N. 52 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 aprile 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 17 aprile 2019 (della Regione Calabria). 
 
Trasporto pubblico - Disciplina del  trasporto  di  persone  mediante
  servizi pubblici non di linea - Servizio di noleggio con conducente
  - Modalita' di svolgimento e di organizzazione del servizio. 
- Decreto-legge 14 dicembre 2018, n.  135  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di sostegno e semplificazione  per  le  imprese  e  per  la
  pubblica amministrazione),  convertito,  con  modificazioni,  nella
  legge 11 febbraio 2019, n. 12, art. 10-bis, comma  1,  lettere  a),
  b), e) e f), e commi 6, 7, 8 e 9. 
(GU n.24 del 12-6-2019 )
    Ricorso ai sensi dell'art. 127, 2° comma  Cost.  e  dell'art.  32
legge n. 87/1953 per la Regione Calabria, in persona  del  Presidente
pro tempore on.  Gerardo  Mario  Oliverio,  rappresentata  e  difesa,
previa deliberazione della Giunta regionale  n.  145  dell'11  aprile
2019  e  per   procura   in   calce,   dall'avv.   Demetrio   Verbaro
(VRBDTR65S29C352F), con elezione di domicilio in Roma,  via  Lima  n.
28, presso  l'avv.  Giuseppe  Cosco  (studio  Nicolosi)  e  domicilio
digitale,  ove  poter   ricevere   comunicazioni   e   notificazioni,
avv.demetrioverbaro@pec.it; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore,  ex
lege rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per
la declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis  del
decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 - rubricato «Misure urgenti in
materia di autoservizi pubblici non di linea» e inserito in  sede  di
conversione dalla legge 11 febbraio 2019,  n.  12,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 36 del 12  febbraio  2019  -
con riferimento al comma 1, lettere a), b), e), f), nonche' ai  commi
6, 7, 8 e 9, per violazione degli articoli 3; 9;  41;  117  comma  1;
117, comma 2, lettera e); 117, comma 4; 118,  comma  1  e  120  della
Costituzione. 
Premessa. 
    E' utile premettere che gli autoservizi pubblici non di linea (di
seguito: NCC) sono da anni oggetto di  un  percorso  assai  tortuoso,
tramite  il  quale  il  legislatore  statale   ha   ripetutamente   e
infruttuosamente tentato di riformare in modo organico la  disciplina
di riferimento. 
    La legge n. 21 del 1992 (nell'ambito della quale  il  nuovo  art.
10-bis, oggi oggetto di impugnazione dinanzi a codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale,  va  ad  inserirsi)  fu,  infatti,  oggetto  di   una
importante modifica gia' ad opera dell'art. 29,  comma  1-quater  del
decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (come modificato  dalla  legge
di conversione 27 febbraio 2009, n. 14),  che  aveva  ridisegnato  la
disciplina   dello   svolgimento   dei   servizi    NCC    prevedendo
l'introduzione di una serie di forti vincoli a tale attivita', tra  i
quali, in primis, l'obbligo di rientro in rimessa a inizio e  termine
di ogni singolo  servizio  e  l'obbligo  di  prenotazione  presso  la
rimessa. L'efficacia di tale disciplina fu immediatamente sospesa,  a
seguito delle dure critiche sollevate  dall'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato (AGCM), dapprima per mezzo dell'art.  7-bis
del  decreto-legge  10  febbraio   2009,   n.   5   (convertito   con
modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33) e quindi per  via  di
una serie continua di successive decretazioni d'urgenza, sino  al  29
dicembre 2018, data di emanazione del decreto-legge 29 dicembre 2018,
n. 143 (decaduto per mancata conversione). 
    Da ultimo, la materia degli autoservizi pubblici non di linea  e'
stata disciplinata dall'art. 10-bis  del  decreto-legge  14  dicembre
2018, n. 135, introdotto dalla legge di  conversione  n.  12  dell'11
febbraio 2019 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale -
n. 36 del 12 febbraio 2019) e rubricato «Misure urgenti in materia di
autoservizi pubblici non di linea». 
    Le norme ivi contenute - e in particolare i commi 1, lettere  a),
b), e), f), e i commi 6, 7, 8 e 9 - introducono un nuovo  regime  per
l'attivita' degli autoservizi pubblici non di linea,  disciplinandone
in dettaglio le modalita' operative di svolgimento,  l'organizzazione
del servizio e  delle  relative  tempistiche,  nonche'  gli  obblighi
specifici di documentazione, in violazione della sfera di  competenza
riservata alle regioni. 
    Da   qui   il    presente    ricorso    per    la    declaratoria
d'incostituzionalita', affidato ai seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
    In via preliminare saranno indicati in maniera sintetica i motivi
di illegittimita', seguiti da una  spiegazione  piu'  dettagliata  di
ciascun motivo. 
1) Violazione del riparto di competenze tra  Stato  e  regioni  (art.
117, comma 2, lettera e, e art. 117, comma 4 Cost.): 
    La materia del trasporto pubblico locale non  di  linea,  poiche'
non espressamente menzionata  dalla  Costituzione  nell'ambito  delle
competenze  statali  esclusive   o   concorrenti,   appartiene   alla
competenza esclusiva delle regioni (di natura residuale). 
    L'intervento  statale  nelle  materie  di  competenza   esclusiva
regionale e' ammesso limitatamente ai casi in cui  esso  avviene  per
l'esercizio di competenze statali cd. «trasversali», come la  materia
della tutela della concorrenza, che non sembrano sussistere nel  caso
di specie. 
    Anche volendo ricondurre l'intervento attuato dallo Stato ad  una
materia cd. «trasversale», e' opinione della Corte costituzionale che
l'intervento statale debba attenersi a criteri di adeguatezza e della
proporzionalita', che nel caso in specie non sono stati rispettati. 
2) Violazione del principio di libera iniziativa economica  (Art.  41
Cost.): 
    Anche volendo ammettere la legittimita'  dell'intervento  statale
nella  materia  del  trasporto  pubblico  non  di  linea,  cio'   non
giustificherebbe in ogni caso la compressione della libera iniziativa
economica dei privati ex art. 41 Cost. 
    Nelle proprie osservazioni del 2015 e  2019  l'Autorita'  garante
della concorrenza e del mercato ha rilevato come l'obbligo di rientro
in rimessa e il peculiare meccanismo di prenotazione (presso la  sede
o  rimessa)  si  tramuterebbero  in  una  limitazione  della   libera
iniziativa economica privata di cui all'art. 41  Cost.  dei  soggetti
che   offrono   servizi   che   mettono   in   collegamento   autisti
professionisti dotati di autorizzazione NCC da un lato e  domanda  di
mobilita' dall'altro. 
3) Violazione del diritto comunitario (Art. 117, comma 1 Cost): 
    La normativa si pone in contrasto con i  principi  affermati  dai
Trattati dell'UE e,  in  particolare,  con  il  principio  di  libera
circolazione (art. 56 del TFUE), di liberta' di stabilimento (art. 49
del TFUE) e di libera concorrenza (articoli 101-109 TFUE). 
    Cio' e' confermato dalle  posizioni  espresse  dalla  Commissione
europea nei confronti del Governo italiano  gia'  nel  novembre  2009
(quando la normativa sugli NCC e' stata  introdotta  e  poi  sospesa)
quando  ha  paventato  il  possibile   avvio   di   un   procedimento
d'infrazione evidenziando come l'obbligo di rientro in rimessa (o  di
effettuare la prenotazione presso la rimessa e di essere in  possesso
di una rimessa  esclusivamente  nel  territorio  del  comune  che  ha
rilasciato l'autorizzazione) fossero in contrasto con il principio di
liberta' di stabilimento (cfr. EU Pilot rif.  n.  623/09/TREN).  Tale
posizione  e'  stata  in   seguito   confermata   nell'ambito   delle
osservazioni formulate dalla  Commissione  UE  dinanzi  la  Corte  di
giustizia dell'Unione europea. 
4) Violazione del principio di leale collaborazione (Art. 120 Cost.): 
    Il principio di leale collaborazione  attiene  all'organizzazione
delle  prerogative  statali  e  regionali.  L'esercizio  del   potere
sostitutivo dello Stato rispetta il principio di leale collaborazione
solo se tale potere e' esercitato tenendo in  considerazione  istanze
territoriali. 
    E' onere del legislatore nazionale  rispettare  il  principio  di
leale collaborazione nella fase discendente, per cui  e'  illegittima
la legge dello Stato che trascura di individuare seri metodi di leale
collaborazione per la sua attuazione. 
    La  violazione  del  principio  di  leale   collaborazione   puo'
manifestarsi anche laddove vi sia un  atto  da  parte  dell'autorita'
centrale quale conseguenza automatica del mancato  raggiungimento  di
un'intesa in un determinato periodo di tempo estremamente breve, come
avvenuto nel caso in specie. 
5) Violazione dei principi di uguaglianza e  ragionevolezza  (Art.  3
Cost.): 
    Le disposizioni impugnate  si  pongono  in  netto  contrasto  con
l'art. 3 Cost., inteso sia quale  principio  di  uguaglianza  che  di
ragionevolezza. 
    Sussiste, infatti, un regime di deroga speciale  per  le  Regioni
Sicilia e Sardegna, dove l'autorizzazione NCC rilasciata in un comune
della  regione  e'  sostanzialmente  valida  sull'intero   territorio
regionale (invece che provinciale). 
    Le deroghe concesse alle Regioni  Sicilia  e  Sardegna  non  sono
giustificate, oppure sono motivate insufficientemente da  non  meglio
specificate ragioni infrastrutturali,  benche'  lo  stesso  principio
possa   applicarsi   ad   altre   regioni   afflitte    da    carenze
infrastrutturali come la Calabria. 
    Il rispetto del principio di uguaglianza, inoltre, e' compromesso
dalla  previsione   della   sospensione   del   rilascio   di   nuove
autorizzazioni  per  l'espletamento  del  servizio  di  noleggio  con
conducente fino alla piena operativita' del registro nazionale, e non
anche per i taxi, che pure pero' rientreranno in detto registro. 
    Sotto il profilo della ragionevolezza, le disposizioni introdotte
sono incoerenti  rispetto  all'insieme  dei  principi  costituzionali
dell'ordinamento, in particolare rispetto  al  valore  costituzionale
della tutela dell'ambiente (art. 9  Cost),  laddove  le  disposizioni
impugnate (e, in particolare l'obbligo di  rientro  in  rimessa),  si
traducono in attivita' dannose per lo stesso. 
    1) Violazione del riparto di  competenze  tra  Stato  e  regioni:
illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  di  cui  all'art.
10-bis, comma 1, lettere a), b), e), f), e commi 6,  7,  8  e  9  del
decreto-legge 14  dicembre  2018  n.  135,  introdotte,  in  sede  di
conversione, dalla legge 11 febbraio 2019 n. 12,  per  contrasto  con
l'art. 117, comma 2, lett e), art. 117, comma 4. 
    1.1) L'art. 117, comma 2 (competenze esclusive dello  Stato)  non
menziona alcuna materia latamente riconducibile al trasporto pubblico
locale, mentre, l'art. 117, comma 3 (competenze concorrenti) menziona
esclusivamente l'ambito materiale delle «grandi reti di  trasporto  e
di navigazione» e dei «porti ed aeroporti civili»,  senza  aggiungere
altro riferimento ai trasporti in generale e tantomeno  al  trasporto
pubblico locale. 
    A conferma, l'art.  117,  comma  4  (competenze  esclusive  delle
regioni), prevede che «spetta alle regioni  la  potesta'  legislativa
con riferimento ad ogni  materia  non  espressamente  riservata  alla
legislazione dello Stato». Conseguentemente, la materia del trasporto
pubblico locale rientra nella competenza residuale ed esclusiva delle
regioni.  Cio'  trova  fondamento  nella  consolidata  giurisprudenza
costituzionale secondo cui,  dopo  la  riforma  del  Titolo  V  della
Costituzione, la materia del trasporto pubblico, di linea  e  non  di
linea, e' transitata nell'ambito dell'esclusiva competenza  regionale
residuale (cfr. sentenze Corte costituzionale n. 452 del 2007, n.  30
del 2016, n. 78 e n. 137 del 2018). 
    Proprio da ultimo, la sentenza  n.  5  dell'11  gennaio  2019  ha
ribadito che «Dopo la riforma  del  Titolo  V,  ...  la  materia  del
servizio  pubblico  di  trasporto,  di  linea  e  non  di  linea,  e'
transitata  nell'ambito  della  competenza  regionale  residuale  (ex
multis, sentenze n. 137 e n. 78 del 2018, n. 30 del 2016 e n. 452 del
2007)». 
    1.2) Le disposizioni censurate introducono un  nuovo  regime  per
l'attivita' NCC disciplinandone in dettaglio le  modalita'  operative
di  svolgimento,  l'organizzazione  del  servizio  e  delle  relative
tempistiche, nonche' gli obblighi specifici di documentazione. 
    1.3) L'intervento statale  non  puo'  neppure  essere  ricondotto
all'esercizio di un potere legislativo statale in materia  di  tutela
della concorrenza in  virtu'  della  peculiarita'  operativa  cui  si
riferiscono. Si pensi,  ad  esempio,  a)  alle  modifiche  introdotte
all'art.  3,  comma  1  e  all'art.  11,  comma  4,   primo   periodo
(prenotazioni da effettuarsi  «presso  la  sede»  e  «anche  mediante
l'utilizzo di strumenti tecnologici») della legge quadro; nonche'  b)
all'art.  11,  comma  4  sull'obbligo  di  rientro   in   rimessa   e
sull'obbligo  del  foglio  di  servizio  (aggravate,  per  altro,  da
disposizioni specifiche sul regime transitorio in  formato  cartaceo,
per il quale sono addirittura previsti requisiti  ulteriori  di  mero
dettaglio, quale la numerazione progressiva  e  l'adozione  di  fogli
cartacei). 
    1.4) Neppure puo' ritenersi,  d'altro  lato,  che  un  intervento
cosi'  pervasivo   da   parte   del   legislatore   nazionale   possa
giustificarsi sulla  scorta  della  natura  cd.  «trasversale»  della
materia  della  concorrenza.  Come  noto,  infatti,  le  materie   di
competenza esclusiva e nel contempo «trasversali» dello  Stato  (come
appunto la tutela  della  concorrenza)  possono  si'  intersecare  la
competenza legislativa regionale, ma soltanto nei  limiti  di  quanto
strettamente necessario ad assicurare gli interessi cui tali  materie
sono preposte (Corte costituzionale, sentenza n. 80 del 2006). 
    1.5) Non puo' certo dirsi che le  disposizioni  introdotte  dalla
legge 11 febbraio 2019, n. 12 possano ricondursi alla benche'  minima
forma di tutela della  concorrenza.  Al  contrario,  queste  sembrano
finalizzate ad una compressione del mercato  del  trasporto  pubblico
non di linea esercitato con NCC. Cio'  si  evince  con  certezza  dal
concetto  di  tutela   della   concorrenza   adottato   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 452 del 2007. 
    1.6) In particolare, nell'ambito  di  tale  giudizio  la  Regione
Veneto  aveva  promosso  questione  di  legittimita'   costituzionale
avverso alcune disposizioni introdotte dal legislatore nazionale  con
decreto-legge n. 223 del 2006 (convertito con modificazioni con legge
n.  248  del  2006).  Tali  disposizioni  miravano  all'accrescimento
dell'offerta concorrenziale consentendo ai comuni di adottare  misure
al fine di allargare la platea degli operatori NCC e taxi attivi  sul
mercato,  bandire  concorsi  straordinari  nonche'  assegnare   nuove
licenze o rilasciare autorizzazioni temporanee o stagionali anche  in
favore di soggetti non iscritti al ruolo  dei  conducenti  di  NCC  e
taxi. Secondo la Regione Veneto tali disposizioni  statali  avrebbero
violato «l'art. 117, quarto  comma  poiche'  [sarebbero  intervenute]
nell'ambito del trasporto  pubblico  locale,  materia  di  competenza
"esclusiva" delle Regioni, mediante una "disciplina compiuta" che non
[avrebbe  rispettato]  "i  parametri  della   adeguatezza   e   della
proporzionalita'"». Inoltre,  sosteneva  la  Regione  nel  corso  del
giudizio che non sarebbe stato sufficiente riferirsi alla titolarita'
della competenza legislativa in tema di tutela della concorrenza  per
giustificare l'intervento del legislatore statale. L'Avvocatura dello
Stato osservava  invece  come  «le  norme  impugnate  non  [avrebbero
disciplinato] "le  modalita'  di  organizzazione  e  svolgimento  del
trasporto pubblico locale", bensi' perseguito "il fine di incentivare
la concorrenza nel settore, di liberalizzare i servizi nella materia,
nonche' di  assicurare  su  tutto  il  territorio  nazionale  livelli
essenziali minimi di tutela degli utenti»: si [sarebbe trattato],  in
sostanza, di disposizioni  riconducibili  alla  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato in materia di "tutela della concorrenza"». 
    1.7) Ad esito di tale giudizio, la Corte costituzionale, aderendo
alla  tesi  dell'Avvocatura  dello  Stato  e  dunque  rigettando   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  proposta  dalla  Regione
Veneto, ha sostenuto come le disposizioni del  decreto-legge  n.  223
del 2006 si ponessero in una relazione «ragionevole  e  proporzionata
rispetto agli obiettivi attesi, cosi'  da  non  travalicare,  secondo
criteri di ragionevolezza e proporzionalita', i limiti  di  esercizio
della competenza trasversale dello Stato, che  [la]  Corte  ha  [...]
ribadito essere comprensiva  della  disciplina  degli  "strumenti  di
liberalizzazione dei mercati"». 
    1.8) In sostanza, la Corte costituzionale ha  ritenuto  in  detto
caso di poter giustificare l'intervento  del  legislatore  nazionale,
riconducendolo all'esercizio di una potesta' legislativa  in  materia
di  tutela  della  concorrenza,  in  quanto  chiaramente  finalizzato
all'apertura  di  un  mercato   caratterizzato   da   condizioni   di
concorrenza deficitaria. 
    1.9)  Le  argomentazioni  della  Corte  costituzionale  in  detto
dimostrano, a contrariis, come le disposizioni introdotte dalla legge
11 febbraio 2019, n. 12 al decreto-legge 14 dicembre  2018,  n.  135,
risultano  del  tutto  incompatibili  con   l'esercizio   di   quella
competenza statale cd. «trasversale» che e' la materia  della  tutela
della  concorrenza,  dovendosi  quindi  tacciare  di   illegittimita'
costituzionale. 
    1.10)  Nessun  dubbio  in  tal  senso  emerge,  quanto  meno,  in
relazione alle disposizioni di cui all'art. 10-bis,  comma  2,  nella
parte in cui: 
        a) si prevede che «l'inizio ed il  termine  di  ogni  singolo
servizio di noleggio con conducente devono avvenire presso le rimesse
(...) con ritorno alle stesse»; e 
        b) si prevede che «a  decorrere  dalla  data  di  entrata  in
vigore  del  presente  decreto  e  fino   alla   piena   operativita'
dell'archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui  al
comma 3, non e' consentito il rilascio di  nuove  autorizzazioni  per
l'espletamento  del  servizio  di   noleggio   con   conducente   con
autovettura, motocarrozzetta e natante» (tra l'altro, non anche per i
taxi). 
    1.11) L'assoluta incompatibilita' del nuovo regime qui contestato
con  l'esercizio  di  una  potesta'  in  materia  di   tutela   della
concorrenza puo'  ricavarsi  agevolmente  anche  dalle  contestazioni
mosse negli  ultimi  anni  dall'AGCM  avverso  la  simile  disciplina
introdotta nel 2009, come illustrato nelle premesse (cfr. sul  punto:
bollettino AGCM n. 7/2009; bollettino AGCM n. 16/2010; parere AGCM n.
AS1222 del 2015; parere AGCM  n.  AS1354  del  2017;  audizione  AGCM
presso la Camera dei deputati del 16 gennaio 2019 nell'ambito del ddl
di conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2018,  n.  143,
il cui contenuto  e'  stato  poi  riversato  nelle  disposizioni  qui
impugnate). 
    Come  precisato   con   giurisprudenza   costante   dalla   Corte
costituzionale, «le regioni possono evocare parametri di legittimita'
diversi  rispetto  a  quelli  che   sovrintendono   al   riparto   di
attribuzioni  solo  se  la   lamentata   violazione   determini   una
compromissione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative tra Stato e
regioni» (sentenza n. 33 del 2011; in senso  conforme,  ex  plurimis,
sentenze n. 46, n. 20 e n. 8 del 2013; n. 311, n.  298,  n.  200,  n.
199, n. 198, n. 187, n. 178, n. 151, n. 80 e  n.  22  del  2012).  Se
dunque il parametro evocato non attiene direttamente al riparto delle
competenze legislative tra Stato e regioni, e'  necessario,  ai  fini
dell'ammissibilita',  che  le  norme  censurate  determinino,   nella
prospettazione della parte ricorrente, una violazione «potenzialmente
idonea a determinare una lesione  delle  attribuzioni  costituzionali
delle regioni» (sentenza n. 22 del 2012, ma, ancora  prima,  sentenze
n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).  Cio'  ovviamente  non  equivale  a
ritenere che la censura basata su parametri non attinenti al  riparto
di competenze sia ammissibile solo se fondata rispetto ad  una  norma
contenuta nel Titolo V della Parte  seconda  della  Costituzione.  La
questione infatti, all'esito di uno  scrutinio  di  merito,  potrebbe
risultare non fondata rispetto ai parametri competenziali, ma  essere
ritenuta preliminarmente ammissibile proprio per  la  sua  potenziale
incidenza su questi ultimi. Solo se dalla stessa  prospettazione  del
ricorso emerge l'estraneita' della questione rispetto agli ambiti  di
competenza regionale - indipendentemente da  ogni  valutazione  sulla
fondatezza delle  censure  -  la  questione  deve  essere  dichiarata
inammissibile   (sentenza   n.   8   del   2013)»   (sentenza   Corte
costituzionale n. 220 del 3 luglio 2013). 
    Ebbene, le norme oggi censurate, anche al di la' della  specifica
invasione  di  materia,   sono   lesive   anche   in   virtu'   della
compromissione di altre attribuzioni regionali e per il riverbero sul
riparto di competenze fra Stato e regioni, per  come  di  seguito  si
rappresentera'. 
    2) Violazione  del  principio  di  libera  iniziativa  economica:
illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  di  cui  all'art.
10-bis, comma 1, lettere a), e), f), e comma 8 del  decreto-legge  14
dicembre 2018 n. 135, introdotte, in sede di conversione, dalla legge
11 febbraio 2019, n. 12, per contrasto con l'art. 41 Cost. 
    2.1) Anche volendo ammettere la  legittimazione  dello  Stato  ad
intervenire nella  materia  del  trasporto  pubblico  non  di  linea,
riconducendo  tale  intervento  nell'alveo  dell'esercizio   di   una
competenza cd. «trasversale» come quella della concorrenza, cio'  non
giustificherebbe in ogni caso la compressione del diritto  di  libera
iniziativa economica dei privati (art. 41 Cost). 
    2.2) L'AGCM ha evidenziato al proposito come la prenotazione  dei
servizi di noleggio con conducente a una  sede  fissa  (sia  essa  la
rimessa o la sede dell'impresa) mal si sposi  con  la  specificazione
che tale prenotazione possa avvenire, come dispone la  legge,  «anche
mediante strumenti tecnologici» (cfr.  audizione  parlamentare  sopra
richiamata del 16  gennaio  2019).  In  particolare,  secondo  l'AGCM
«l'utilizzo sempre piu' diffuso di strumenti tecnologici - quali  app
di intermediazione della domanda di  trasporto,  ma  anche  e-mail  o
messaggistica istantanea (WhatsApp, SMS,  altro)  -  ha  il  precipuo
obiettivo di consentire che la richiesta di trasporto  di  NCC  possa
essere effettuata dal cliente, e ricevuta  e  accettata  dal  vettore
piu' vicino ovunque, attraverso dispositivi mobili  come  smartphone,
tablet o computer portatili. Tale obiettivo di massima  flessibilita'
nell'utilizzabilita' dei servizi di mobilita' non di linea,  a  tutto
vantaggio del consumatore finale in termini di accessibilita' e costi
del  servizio,  sarebbe  del  tutto  vanificato  ove  si   mantenesse
l'obbligo di prenotazione presso la sede o la rimessa». 
    2.3) Di conseguenza, anche volendo qualificare l'intervento dello
Stato come avvenuto nell'ambito delle sue competenze  in  materia  di
concorrenza, tale intervento si sarebbe  dovuto  fermare  dinanzi  al
principio di cui all'art. 41 Cost. 
    2.4)   In   particolare,    1'AGCM    ritiene    che    «seguendo
un'interpretazione   delle   norme    costituzionalmente    orientata
rispettosa del principio di liberta' d'iniziativa  economica  privata
di cui all'art. 41 della Costituzione (...) ai servizi che mettono in
collegamento autisti professionisti dotati di autorizzazione  NCC  da
un lato e domanda di mobilita' dall'altro non  vadano  applicati  gli
articoli 3 e 11 della legge 21/92». 
    2.5) In via subordinata, dunque, gli articoli 3 e l l della legge
n. 21 del 1992, come modificati dalle disposizioni  impugnate,  vanno
dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui limitano
la libera iniziativa economica privata di cui all'art. 41  Cost.  dei
soggetti che offrono servizi  che  mettono  in  collegamento  autisti
professionisti dotati di autorizzazione NCC da un lato e  domanda  di
mobilita' dall'altro. 
    3)   Violazione   del   diritto    comunitario:    illegittimita'
costituzionale delle disposizioni di cui all'art.  10-bis,  comma  1,
lettera a), b), e), f), commi 6 e 9  del  decreto-legge  14  dicembre
2018 n. 135, introdotte, in  sede  di  conversione,  dalla  legge  11
febbraio 2019 n. 12, per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. 
    3.1) Il decreto-legge 14 dicembre 2018 n. 135 risulta viziato  da
illegittimita' costituzionale nella parte in  cui,  all'art.  10-bis,
comma 1, lettera a), b), e), f), commi 6 e  9  introduce  limitazioni
all'ambito territoriale entro i quali  l'attivita'  di  noleggio  con
conducente puo' essere effettuata,  in  contrasto  col  principio  di
liberta' di stabilimento di cui all'art. 49 del TFUE,  col  principio
di libera prestazione dei  servizi  di  cui  all'art.  56  del  TFUE,
nonche' dei principi di concorrenza  di  cui  agli  articoli  101-109
TFUE, e, dunque, in violazione del rispetto del  vincolo  comunitario
di cui all'art.  117,  comma  1,  Cost.,  secondo  cui  «la  potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle  regioni  nel  rispetto
della Costituzione, nonche' dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali». 
    3.2) Il principio di liberta'  di  stabilimento  (art.  49  TFUE)
consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di stabilirsi in  modo
stabile e continuativo in qualsiasi Paese UE.  Esso  vieta,  infatti,
qualsiasi misura nazionale che possa rendere piu' difficile e/o  meno
attrattivo l'esercizio di un'attivita' nel territorio di un Paese UE.
Gli  Stati  membri  dell'UE  possono  adottare  misure  che  limitano
l'esercizio della liberta'  di  stabilimento  soltanto  laddove  tali
misure siano giustificate da gravi motivi  di  interesse  pubblico  e
siano  proporzionate  all'obiettivo   che   tali   misure   intendono
perseguire. Tuttavia, la presenza di misure  meramente  economiche  o
volte a prevenire effetti economici negativi su un settore (es.,  nel
caso, quello dei taxi) non sono  sufficienti  a  giustificare  alcuna
restrizione  ai  principi  di  libera  circolazione  per   le   altre
attivita'.  In  questo  senso,  l'obbligo  di  rientro   in   rimessa
costituisce un chiaro limite alla liberta' di stabilimento in  quanto
impone un onere eccessivo agli operatori NCC e rende  piu'  difficile
e/o meno attrattivo l'esercizio delle attivita' di NCC in Italia. 
    3.3)   La   Commissione   europea   ha   gia'   sollevato   forti
preoccupazioni riguardo a tale obbligo, avendo questa  gia'  espresso
che «per gli operatori di altri Stati membri che vogliano  stabilirsi
sul territorio italiano al fine di svolgervi il servizio di  noleggio
con conducente,  esso  appare  un  onere  eccessivo.  Tali  operatori
sarebbero  invero  chiamati  a  sopportare,  non   solo   gli   oneri
amministrativi ed economici  che  il  rilascio  di  un'autorizzazione
preventiva comporta, ma anche quelli aggiuntivi dovuti  al  fatto  di
dover riportare, a fine servizio, il veicolo adibito al  servizio  di
noleggio con conducente alla rimessa situata nel comune di  rilascio,
senza poterne disporre liberamente, ad altre finalita', una volta  il
servizio terminato. In tal senso, le suddette misure appaiono tali da
impedire  agli  operatori  di  altri  Stati  membri   di   esercitare
liberamente le proprie attivita' tramite una stabile  organizzazione,
pregiudicandone  l'accesso  al  mercato»  (cfr.  osservazioni   della
Commissione UE alla CGUE nei casi C-162 e C-163 del 2012). 
    3.4) Del resto, la stessa  Commissione  UE,  in  una  lettera  al
Governo italiano datata 11 novembre 2009, aveva paventato l'avvio  di
un procedimento  d'infrazione  in  quanto  l'obbligo  di  rientro  in
rimessa - insieme anche all'obbligo  di  effettuare  la  prenotazione
presso la rimessa - introdotto dalla  disciplina  (poi  sospesa)  del
2009  si  poneva  in  contrasto  con  il  principio  di  liberta'  di
stabilimento (cfr. EU Pilot rif. n. 623/09/TREN). 
    3.5) Le disposizioni introdotte si pongono inoltre  in  contrasto
con il principio della libera prestazione dei servizi di cui all'art.
56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea alla luce della
irragionevole limitazione degli  ambiti  territoriali  entro  cui  la
professione di NCC puo' essere di fatto esercitata. Questa,  infatti,
puo'  avere  un'incidenza  anche  meramente  interna  al   territorio
nazionale, laddove sono discriminati cittadini europei appartenenti a
diverse regioni. 
    3.6) A tal proposito, la sentenza n. 271  del  2009  della  Corte
costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  di  una
norma introdotta dalla Regione Emilia-Romagna  in  cui  si  prevedeva
«l'indicazione di una limitazione agli ambiti  territoriali  entro  i
quali la professione  (turistica)  [poteva]  essere  esercitata».  La
Corte a questo proposito rilevava che  detta  limitazione  comportava
una lesione del principio della libera prestazione  dei  servizi,  di
cui all'art. 49 del Trattato CE (ora art.  56  TFUE)  e,  dunque,  la
violazione del rispetto del vincolo comunitario di cui all'art.  117,
comma 1, Cost., oltre che della libera concorrenza. 
    3.7)  Venendo,  poi,  alla  violazione  dei  principi  di  libera
concorrenza, rimangono  valide  le  argomentazioni  gia'  esposte  in
precedenza e, in particolare, le osservazioni gia'  sopra  richiamate
espresse  dall'AGCM  in  numerose  occasioni.  Specificamente,   come
descritto dall'AGCM, «il richiamo (...) ai suddetti vincoli fisici in
ordine alla prenotazione appare presentare un  carattere  restrittivo
della concorrenza» (audizione  parlamentare  del  16  gennaio  2019).
Quanto alla limitazione territoriale, e' stata  del  tutto  disattesa
l'indicazione fornita dall'AGCM nella segnalazione al Parlamento e al
Governo  del  2017  (Parere  AGCM  AS  1354)  ove  aveva  chiaramente
considerato   restrittiva   della   concorrenza    una    limitazione
territoriale provinciale. In particolare, l'AGCM aveva ritenuto quale
«soluzione ottimale» la  «previsione  di  un'autorizzazione  su  base
nazionale rilasciata del Ministero delle infrastrutture-e  trasporti,
come avviene per i servizi di mobilita' su  gomma  a  media  e  lunga
percorrenza». Inoltre, nella stessa segnalazione aveva indicato come,
«in subordine, l'autorizzazione dovrebbe essere rilasciata almeno  su
base regionale». 
    3.8) Non c'e' dubbio che dette violazioni ridondino  in  negativo
sulla possibilita' per  le  regioni  di  legiferare  in  materia.  Si
tengano in mente, a questo proposito, ad esempio: 
        a) le disposizioni contenute all'art. 10-bis, comma  6  della
legge impugnata, che sospendono rilascio di nuove autorizzazioni  NCC
fino alla piena operativita' del registro pubblico nazionale  (e  non
anche per i taxi); 
        b)   le   limitazioni   territoriali   ristrette   all'ambito
provinciale che  non  consentono  alle  regioni  di  disciplinare  il
trasporto interregionale e che non lasciano spazio per un  intervento
relativo alla mobilita' interprovinciale. 
    4)   Violazione   del   principio   di   leale    collaborazione:
illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  di  cui  all'art.
10-bis, comma 1, lettera b) del decreto-legge  14  dicembre  2018  n.
135, introdotte, in sede di conversione, dalla legge 11 febbraio 2019
n. 12,  per  contrasto  con  il  principio  di  leale  collaborazione
desumibile dall'art. 120 Cost. 
    4.1) Il principio di leale collaborazione  di  cui  all'art.  120
Cost. vincola il legislatore nazionale ad operare con estrema cautela
nella cd. fase discendente dell'esercizio del potere legislativo, per
cui e' illegittima la legge dello Stato che trascura  di  individuare
seri metodi di leale collaborazione per la sua attuazione. 
    4.2) In particolare, la Corte costituzionale ha affermato che «la
previsione   dell'intesa,   imposta   dal    principio    di    leale
collaborazione, implica che non sia legittima  una  norma  contenente
una «drastica previsione» della decisivita'  della  volonta'  di  una
sola parte, in caso di  dissenso,  ma  che  siano  necessarie  idonee
procedure per consentire reiterate trattative  volte  a  superare  le
divergenze. Solo nell'ipotesi di ulteriore  esito  negativo  di  tali
procedure mirate all'accordo  puo'  essere  rimessa  al  Governo  una
decisione unilaterale» (sentenza n. 165 del 2011). 
    4.3) Ancora, piu' di  recente  la  Corte  ha  affermato  che  «il
principio di  leale  collaborazione  non  consente  che  l'assunzione
unilaterale dell'atto  da  parte  dell'autorita'  centrale  sia  mera
conseguenza automatica del mancato raggiungimento  dell'intesa  entro
un determinato periodo di tempo - specie quando il  termine  previsto
e', come nel caso, al quanto breve - o dall'urgenza  del  provvedere»
(sentenza n. 1 del 2016). 
    4.4) Tali principi sono  stati  disattesi  con  l'adozione  delle
disposizioni in esame e si contesta, dunque, la violazione  dell'art.
120 Cost. da parte della disposizione di cui all'art.  10-bis,  comma
1, lettera b). In particolare, disponendo innanzitutto  che  la  sede
operativa del vettore e almeno una rimessa devono essere situate  nel
territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione, si  prevede
che «E' possibile per il vettore disporre di  ulteriori  rimesse  nel
territorio  di  altri  comuni  della  medesima   provincia   o   area
metropolitana  in  cui  ricade  il  territorio  del  comune  che   ha
rilasciato l'autorizzazione, previa comunicazione ai comuni predetti,
salvo diversa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata  entro
il 28 febbraio 2019». 
    4.5) Posto che la disposizione impugnata e' entrata in vigore  il
13 febbraio 2019, ad appena quindici giorni  dal  termine  prescritto
alla  Conferenza  unificata,  l'intera  disposizione   si   pone   in
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  120
Cost. 
    4.6) In subordine,  la  Corte  costituzionale  dovrebbe  comunque
dichiarare illegittima la menzionata  disposizione  di  cui  all'art.
10-bis, comma 1, lettera b) nella parte in cui prevede  che  l'intesa
possa essere raggiunta in sede di Conferenza unificata  entro  il  28
febbraio 2019 invece che senza limitazione temporale alcuna. 
    5) Violazione  dei  principi  di  uguaglianza  e  ragionevolezza:
illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  di  cui  all'art.
comma 1, lettera b), e), 0 e comma 6 del  decreto-legge  14  dicembre
2018 n. 135, introdotti, in  sede  di  conversione,  dalla  legge  11
febbraio 2019 n. 12, per contrasto con l'art. 3 Cost. 
    5.1) Le disposizioni impugnate si pongono in netto contrasto  con
l'art. 3 Cost., sia alla luce del principio di uguaglianza che  sotto
il profilo della ragionevolezza. 
    5.2) Innanzitutto, l'art. 10-bis, comma 1, lettera b) prevede che
«in  ragione  delle  specificita'  territoriali   e   delle   carenze
infrastrutturali,  per   le   sole   regioni   Sicilia   e   Sardegna
l'autorizzazione rilasciata in un  comune  della  regione  e'  valida
sull'intero  territorio  regionale,  entro  il  quale  devono  essere
situate la sede operativa e almeno una rimessa». 
    5.3) Una ulteriore deroga per Sicilia e Sardegna e' poi  prevista
all'art.  10-bis,  comma  f),  laddove   viene   estesa   dall'ambito
provinciale all'ambito regionale la  possibilita'  per  gli  NCC,  in
presenza  di  eventuali  prenotazioni  di  servizio  successive  gia'
presenti al momento di uscita dell'autovettura dalla rimessa, di  non
fare rientro in rimessa al termine del primo servizio.  Tale  seconda
deroga, peraltro, non e' neppure giustificata. 
    5.4) Quanto alla prima deroga individuata (art. 10-bis, comma  1,
lettera b sulle rimesse aggiuntive), non si capisce come  questa  non
sia stata prevista anche per altre regioni a statuto speciale  o  per
altre regioni caratterizzate da carenze infrastrutturali:  si  pensi,
ad esempio, a regioni notoriamente scarsamente  infrastrutturalizzate
come  la  Calabria,  oppure  alle  regioni  caratterizzate   da   una
particolare orografia come le regioni alpine, o, anche,  una  Regione
come  l'Umbria,  la  quale  e'  appena  lambita   dall'infrastruttura
autostradale. Oppure, ancora, si pensi alla  peculiarita'  di  alcune
zone, come la  costiera  amalfitana,  la  cui  disposizione  su  piu'
province avrebbe effettivamente giustificato l'adozione di un  regime
di deroga e che invece ora vede drasticamente  e  ingiustificatamente
ridotto il servizio pubblico locale non di linea. 
    5.5) E' evidente che la previsione di un regime differenziato per
situazioni  di  simile  disagio  territoriale  si  traduce   in   una
violazione del principio di uguaglianza. 
    5.6) Inoltre, sempre sotto il profilo  dell'uguaglianza,  non  si
ravvisano giustificazioni  per  la  previsione  di  un'autorizzazione
limitata - di fatto - alla  sola  operativita'  provinciale,  laddove
invece in altri ambiti  del  trasporto  sussiste  la  «previsione  di
un'autorizzazione su base nazionale rilasciata  del  Ministero  delle
infrastrutture e trasporti, come avviene per i servizi  di  mobilita'
su gomma a media e lunga percorrenza» (cfr. Parere AGCM n. AS1354). 
    5.7) Per di piu', uscendo dall'ambito territoriale, il  principio
di uguaglianza risulta altresi' compromesso dall'art. comma 6, ove si
dispone la sospensione del rilascio di nuove  autorizzazioni  NCC  (e
non anche taxi) fino alla piena operativita' del registro  nazionale,
che pero' ha anche ad oggetto il servizio taxi. 
    5.8) Infine, sotto il profilo della ragionevolezza,  risulta  una
violazione  dell'art.  3  alla  luce  del   (mancato)   bilanciamento
complessivo dei principi costituzionali. Si  pensi,  in  particolare,
non solo alle ingiustificate limitazioni poste alla libera iniziativa
economica  privata,  ma  anche  agli  aspetti  legati   alla   tutela
dell'ambiente (art. 9  Cost).  Le  disposizioni  impugnate,  infatti,
appaiono del  tutto  irragionevoli,  in  particolare  cio'  vale  per
l'obbligo di rientro in rimessa, che si traduce in attivita'  dannose
per l'ambiente e di spreco delle risorse, posto  che  le  autovetture
NCC viaggeranno senza alcun passeggero per il cinquanta per cento del
tempo e del chilometraggio complessivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia   l'ecc.ma   Corte   costituzionale    adita    dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto-legge 14
dicembre 2018, n. 135 - inserito in sede di conversione  dalla  legge
11 febbraio 2019 n. 12 -- con riferimento al comma 1, lettere a), b),
e), f), nonche' ai commi 6, 7, 8 e 9, per violazione  degli  articoli
3; 9; 41; 117 comma 1; 117, comma 2, lettera e; 117,  comma  4;  118,
comma 1 e 120 della Costituzione. 
    Con riserva di ulteriori deduzioni. 
    Si riserva di depositare con il presente atto,  la  deliberazione
della Giunta regionale di autorizzazione a ricorrere n.  145  dell'11
aprile 2019. 
      Catanzaro, 12 aprile 2019 
 
                         L'Avvocato: Verbaro