N. 54 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 maggio 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 3  maggio  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Norme  della  Regione  Siciliana  -  Legge  di  stabilita'
  regionale 2019 - Utilizzo di personale per attivita'  di  controllo
  del patrimonio faunistico. 
Demanio e patrimonio dello  Stato  e  delle  Regioni  -  Norme  della
  Regione  Siciliana  -  Legge  di  stabilita'   regionale   2019   -
  Disposizioni in materia di  demanio  marittimo  -  Agevolazioni  in
  favore di strutture  marina  resort  e  dedicate  alla  nautica  da
  diporto. 
Impiego  pubblico  -  Norme  della  Regione  Siciliana  -  Legge   di
  stabilita' regionale 2019 - Disposizioni sul personale impiegato in
  attivita'   socialmente   utili    (ASU)    presso    gli    uffici
  dell'assessorato regionale  dei  beni  culturali  e  dell'identita'
  siciliana -  Disposizioni  sul  personale  impiegato  nel  servizio
  antincendio boschivo - Modifiche all'art. 3 della  legge  regionale
  n. 27 del 2016 in materia di stabilizzazione del personale precario
  -  Previsione  del  passaggio  di  personale  dipendente  a   tempo
  determinato di enti territoriali  alla  societa'  regionale  Resais
  s.p.a.  
Bilancio e contabilita' pubblica - Norme della  Regione  Siciliana  -
  Legge di stabilita' regionale  2019  -  Fondo  per  il  trattamento
  accessorio dei dipendenti. 
Impiego pubblico - Sanita' pubblica - Norme della Regione Siciliana -
  Legge di stabilita' regionale 2019 -  Disposizioni  in  materia  di
  stabilizzazione del personale della sanita' penitenziaria. 
- Legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1  (Disposizioni
  programmatiche e correttive per l'anno 2019.  legge  di  stabilita'
  regionale), artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, 23, 24, 25, 26, comma 2,
  31 e 33. 
(GU n.25 del 19-6-2019 )
    Ricorso ex art. 127 Costituzione per la Presidenza del  Consiglio
dei  ministri  (codice  fiscale  n.  80188230587),  in  persona   del
Presidente   pro-tempore,   rappresentata   e    difesa    ex    lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato (Codice fiscale n.  80224030587;
pec:   ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it;   fax   06/96514000)    ed
elettivamente domiciliata presso i  suoi  Uffici  in  Roma,  via  dei
Portoghesi n. 12; ricorrente; 
    Contro Regione Sicilia in persona  del  Presidente  pro  tempore,
dott. Nello Musumeci, con sede in Palermo, piazza Indipendenza, n. 21
resistente; 
    per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
della Regione Sicilia n. 1  del  22  febbraio  2019,  pubblicata  nel
B.U.R.  n.  9   del   26   febbraio   2019,   recante   «Disposizioni
programmatiche e correttive per l'anno 2019. 
    Legge di stabilita' regionale». 
    La legge della Regione Sicilia 22 febbraio 2019,  n.  1,  recante
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019.  Legge  di
stabilita' regionale», e' censurabile in alcune sue disposizioni,  in
quanto viola i principi di cui agli articoli 3, 51, comma 1, 81,  97,
comma 4, e 117, commi 2, lettera l e s) e 3 della Costituzione per  i
seguenti: 
 
                               Motivi 
 
    La legge indicata in epigrafe ha carattere eterogeneo;  per  tale
ragione si  indicheranno  le  specifiche  disposizioni  che  appaiono
adottate in violazione dei precetti costituzionali sopra indicati. 
Art. 33, in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    Preliminarmente si evidenzia che la vigente normativa in  materia
di protezione della  fauna  selvatica  e  di  prelievo  venatorio  e'
contenuta nella legge quadro 11 febbraio 1992,  n.  157,  concernente
«Norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma  e  per  il
prelievo venatoria», ritenuta dalla Corte  costituzionale  disciplina
recante, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il
nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui  rispetto
deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte  Cost.
n. 233/2010). 
    La  stessa  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  ha,  in
materia, affermato  che  «spetta  allo  Stato,  nell'esercizio  della
potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost, stabilire standard minimi e uniformi  di  tutela  della  fauna,
ponendo  regole  che  possono  essere   modificate   dalle   Regioni,
nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di  caccia,
esclusivamente  nella  direzione  dell'innalzamento  del  livello  di
tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278. n. 116  e  n.
106 del 2012). 
    Cio' posto, l'esame, in  punto  di  legittimita'  costituzionale,
della  norma  regionale  che  si  contesta  impone  una   preliminare
ricostruzione delle previsioni legislative  statali  suscettibili  di
assumere in materia la valenza di  parametri  interposti,  in  quanto
espressione della competenza esclusiva dello Stato a  porre  standard
uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non derogabili  in
pejus dalle regioni. 
    In questa prospettiva, occorre tener conto, anzitutto,  dell'art.
19, comma 2 della suddetta legge n. 157 del 1992,  il  quale  intesta
alle regioni il controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle
zone vietate alla caccia. 
    Tale controllo, esercitato  selettivamente,  viene  praticato  di
norma mediante metodi ecologici su parere dell'istituto nazionale per
la fauna  selvatica  (oggi:  ISPRA).  Solo  laddove  ISPRA  verifichi
l'inefficacia dei predetti metodi,  le  regioni  possono  autorizzare
piani di abbattimento, i quali devono essere  attuati  dalle  guardie
venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, che  potranno
a propria volta avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi  sui
quali si attuano i piani medesimi, purche' provvisti di  licenza  per
l'esercizio  venatorio,  nonche'  delle  guardie  forestali  e  delle
guardie comunali munite della stessa licenza. 
    Nell'ambito di tale cornice normativa primaria statale, l'art. 33
della legge in parola,  sotto  la  rubrica  «Utilizzo  personale  per
attivita'  di  controllo  faunistico»,  al  comma   4   dell'art.   1
della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, dopo le parole «legge 11
febbraio 1992, n. 157», aggiunge la seguente previsione: «e  all'art.
22 della legge 6 dicembre 1991, n.  394».  Quest'ultima  disposizione
stabilisce, al comma 6, che: «6.  Nei  parchi  naturali  regionali  e
nelle riserve naturali regionali l'attivita'  venatoria  e'  vietata,
salvo  eventuali  prelievi  faunistici  ed   abbattimenti   selettivi
necessari per  ricomporre  squilibri  ecologici.  Detti  prelievi  ed
abbattimenti devono avvenire in conformita' al regolamento del  parco
o, qualora non esista, alle  direttive  regionali  per  iniziativa  e
sotto la diretta responsabilita'  e  sorveglianza  dell'organismo  di
gestione del parco e devono essere  attuati  dal  personale  da  esso
dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra
cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni  corsi
di formazione a cura dello stesso Ente». 
    La disposizione  regionale  in  parola,  attraverso  il  testuale
richiamo all'art. 22  della  legge  n.  394  del  1991,  prevede,  al
ritenuto fine di ricomporre gli squilibri ecologici, la  possibilita'
che all'interno delle aree protette i  prelievi  e  gli  abbattimenti
faunistici siano effettuati dal personale  dipendente  dall'organismo
di gestione del parco o da persone da esso  autorizzate,  scelte  con
preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco. 
    La precedente legge regionale n.  18  dell'11  agosto  2015  (che
viene modificata con la norma che qui si impugna), recante «Norme  in
materia  di  gestione  del  patrimonio  faunistico  allo   stato   di
naturalita'» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Reg. Sic. 28 agosto
2015, n. 35), era intervenuta a disciplinare il controllo della fauna
sull'intero territorio regionale, fissando i seguenti punti salienti: 
        per le aree naturali protette, la  competenza  all'attuazione
dei piani di controllo e' correttamente affidata  agli  enti  gestori
(comma 4 dell'art. 1); 
        per il rimanente territorio regionale  (al  di  fuori  quindi
delle aree  naturali  protette)  la  competenza  e'  attribuita  alle
ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, che sono
degli uffici della regione (comma 9 dell'art. 1); 
        soggetti da utilizzare in entrambe le  fattispecie  (comma  4
dell'art. 1) risultano essere esclusivamente il personale dell'ente e
quelli previsti dall'art. 19 della  legge  n.  157  dell'11  febbraio
1992. 
    Prima, quindi, della modifica recata dall'art. 33 della legge  di
cui trattasi, nella Regione siciliana l'unico  personale  che  poteva
essere destinato al controllo del patrimonio  faunistico  era  quello
previsto dall'art. 19 della legge n. 157 del 1992, con la  differenza
che nelle aree protette provvedevano gli  enti  gestori,  mentre  nel
rimanente territorio (comprese le aree precluse a fini  venatori)  le
ripartizioni faunistico venatorie. 
    Con l'art. 33, quindi, modificando il comma 4 dell'art.  1  della
preesistente  legge  regionale  n.  18  del  2015,  si  consente   di
utilizzare sull'intero territorio regionale (ed anche da parte  delle
ripartizioni faunistico venatorie) il personale previsto dall'art. 22
della legge 6 dicembre 1991,  n.  394,  che  riguarda  solo  le  aree
naturali protette. 
    Al riguardo, occorre tenere presente che, a livello  nazionale  e
per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il  controllo
della fauna  e'  sottoposto  al  rispetto  di  rigorose  disposizioni
statali non  derogabili  dal  legislatore  regionale,  le  quali,  in
particolare,  prevedono  rigorose  distinzioni  per  l'utilizzo   del
personale per il  controllo  venatorio  e  gli  abbattimenti,  tenuto
conto, nello specifico: 
        che in  tutto  il  territorio  diverso  dalle  aree  naturali
protette, ai sensi del comma 2 dell'art.  19  della  legge  157/1992,
operano  esclusivamente  le  «guardie  venatorie   dipendenti   dalle
amministrazioni  provinciali.   Queste   ultime   potranno   altresi'
avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
i  piani  medesimi,  purche'  muniti  di  licenza   per   l'esercizio
venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle  guardie  comunali
munite di licenza per l'esercizio venatorio»; 
        che nelle aree naturali protette, ai sensi del comma 22 della
legge n. 394/1991, i controlli devono essere  attuati  esclusivamente
dal personale dipendente dall'ente  gestore  o  da  persone  da  esso
autorizzate; 
        che ai sensi dell'art. 2 comma  33  della  legge  9  dicembre
1998, n. 426 (che ha modificato il comma 22 della legge  n. 394/1991)
le persone autorizzate dall'ente gestore vanno scelte «con preferenza
tra cacciatori residenti nel territorio del parco». 
    Cio' posto, non appare chiaro, dunque,  se  il  richiamo  operato
dall'art. 33 vada riferito al (solo) testo  dell'originario  art.  22
della legge n. 394/1991 (come recita testualmente la norma regionale)
o debba riferirsi anche alla modifica successiva dell'art. 22 operata
dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426/1998: cio' in quanto  non  e'
precisato  dalla  legge  regionale  se  il  recepimento  delle  norme
nazionali abbia carattere statico e recepimento dinamico. 
    Da siffatta ricostruzione del  quadro  normativo  di  riferimento
possono discendere due distinte prospettazioni: 
        1) ove l'art. 33 della legge  regionale  n.  1  del  2019  si
riferisca solo al testo originario dell'art. 22 della  legge  n.  394
del 1991, la censura che si muove e' quella che l'art. 33 della legge
regionale n. 1 del 2019, prevedendo  per  il  controllo  della  fauna
quanto disposto dall'art. 22 della  legge  n.  394/1991,  in  ragione
dell'applicazione  delle  suddette  norme  al  resto  del  territorio
regionale da parte delle ripartizioni faunistico venatorie  (comma  9
dell'art. 1 della legge regionale n. 18  del  2015)  consentirebbe  a
queste di utilizzare il  personale  degli  enti  gestori  delle  aree
naturali protette al di fuori delle aree stesse  da  cui  dipende  e,
soprattutto, consentirebbe alle ripartizioni faunistico venatorie  di
individuare (ulteriori) personale da  autorizzarsi  al  di  fuori  di
quanto tassativamente previsto dall'art. 19 della legge n. 157/1992. 
        2) ove l'art. 33 della legge  regionale  n.  1  del  2019  si
riferisca al  testo  dell'art.  22  della  legge  n.  394/1991,  come
modificato dalla legge 426/1998, ritiene l'intestata  Presidenza  che
l'art. 33 della legge regionale n. 1  del  2019,  prevedendo  per  il
controllo della fauna quanto disposto dall'art.  22  della  legge  n.
394/1991  come  modificato  dall'art.  2  comma  33  della  legge  n.
426/1998, in ragione dell'applicazione delle suddette norme al  resto
del territorio  regionale  da  parte  delle  ripartizioni  faunistico
venatorie (comma 9 dell'art. 1  della  legge  regionale  n.  18/2015)
consentirebbe di utilizzare anche i cacciatori  nel  controllo  della
fauna nel rimanente territorio  regionale  e  nelle  aree  interdette
dalla normativa venatoria (oasi, zone  di  ripopolamento  e  cattura,
demani forestali, ecc.) al di fuori di quanto previsto tassativamente
dall'art. 19 della legge n. 157/1992. 
    Per altro verso, si  osserva  altresi'  che,  essendo  unica  per
l'intero  territorio  regionale  la  disposizione  che  individua  il
personale da utilizzare nelle  attivita'  di  controllo  della  fauna
(art. 1, comma 4, legge regionale n.  18  del  2015,  come  integrato
dall'art. 33 della legge regionale n. 1  del  2019)  sia  nelle  aree
protette (a cura dell'ente gestore ai sensi del comma 4  dell'art.  1
della legge regionale  n.  18/2015),  sia  nel  rimanente  territorio
regionale (a cura delle ripartizioni faunistico  venatorie  ai  sensi
del comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n.  18  del  2015),  la
norma e' affetta da irragionevolezza e profili di incostituzionalita'
in  riferimento   alle   disposizioni   nazionali   che   distinguono
rigorosamente  i  soggetti  che  possono  essere   utilizzati   nelle
attivita' di controllo nelle aree  protette  rispetto  al  resto  del
territorio e viola altresi' i canoni  che  presiedono  alla  corretta
legiferazione,  ponendosi   in   contrasto   con   l'art.   3   della
Costituzione, atteso che non si comprende se l'art.  33  della  legge
regionale n. 1 del 2019 si riferisca al testo originario dell'art. 22
della legge n. 394 del 1991 o  a  quello  successivamente  modificato
dall'art. 2, comma 33 della legge  n.  426  del  1998  e  come  possa
applicarsi il criterio di «cacciatori residenti  nel  territorio  del
parco» al rimanente territorio regionale. 
    In entrambi i casi, chiaramente  con  maggiore  gravita'  per  il
secondo scenario (ossia riferimento all'art. 22 della  legge  n.  394
del 1991 come modificato dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426  del
1998), si amplierebbe la platea dei soggetti (arrivando a prevedere i
cacciatori) che  potrebbero  essere  utilizzati  nelle  attivita'  di
controllo  della  fauna,  in  violazione  delle  rigide  disposizioni
dettate dal legislatore nazionale che rappresentano il nucleo  minimo
di tutela, non derogabile in pejus dal legislatore regionale. 
    E' incontestabile, exfacto, che i cacciatori non  possono  essere
utilizzati  nelle  attivita'  di  controllo  della  fauna   selvatica
sull'intero  territorio  regionale  e  nelle  aree   precluse   dalla
normativa venatoria, oltre alle aree naturali protette. 
    Univoca e rigorosa e' stata in questi anni l'azione  del  Governo
volta alla declaratoria di incostituzionalita' di disposizioni simili
contenute in altre leggi regionali. 
    E' sufficiente fare riferimento al  ricorso  del  Presidente  del
Consiglio del 3 marzo 2016 contro la legge regionale della Liguria  n
29/2015, definito con la sentenza n. 139/2017. 
    Da tanto discende che l'illegittimita' della norma  regionale  in
questione e, soprattutto, il pregiudizio per la corretta gestione del
patrimonio faunistico regionale  al  di  fuori  del  rigoroso  quadro
definito dallo Stato e  dalla  Corte  costituzionale,  risiedono  nel
fatto che dal combinato disposto della preesistente  legge  regionale
n. 18 del 2015 e dell'integrazione di cui  all'art.  33  della  legge
regionale n. 1 del 2019 e' possibile applicare l'art. 22 della  legge
394 del 1991 anche nei Siti Natura 2000 (SIC, ZPS e ZSC al  di  fuori
delle  aree  protette)  e  con  particolare  pregiudizio  per  quelli
sottoposti a divieto di caccia dal vigente Piano Regionale Faunistico
Venatorio. 
    In particolare, ai sensi del  comma  9  dell'art.  1  della legge
regionale n.  18  del  2015,  le  ripartizioni  faunistico  venatorie
applicano il comma 4 dell'art. 1 della medesima legge regionale (come
integrato dall'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019) e  quindi
possono applicare l'introdotto art. 22 della  legge  n.  394/1991  in
aree diverse dalle aree protette e, quindi,  anche  nei  Siti  Natura
2000 (SIC, ZPS e ZSC) ed in particolare  anche  in  quelli  sottratti
alla caccia dal piano regionale faunistico venatorio,  in  violazione
delle tassative disposizioni dell'art. 19 della legge n. 157 del 1992
sul controllo della fauna selvatica al di fuori delle  aree  protette
(diversamente disciplinato proprio dall'art. 22 della  legge  n.  394
del 1991). 
    A tal riguardo si rileva che la materia del  controllo  venatorio
e' stato oggetto di disciplina da parte del legislatore  statale  con
la suddetta, successiva, legge  n.  157  del  1992  -  qualificabile,
secondo giurisprudenza costituzionale,  come  norma  fondamentale  di
riforma economico-sociale - la quale, all'art. 19, comma 2,  fornisce
un'elencazione dei soggetti ad esso deputati,  definita  dalla  Corte
costituzionale tassativa, oltre che vincolante  per  le  Regioni,  in
quanto espressione  della  competenza  esclusiva  dello  Stato  sulla
tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema;   di   talche'   una   sua
integrazione da parte della legge regionale riduce il livello  minimo
e uniforme di tutela dell'ambiente (sent. n. 139/2017 e,  da  ultimo,
sentenza n. 217/2018). La Consulta ha avuto altresi' modo di rilevare
che la  suddetta  disposizione  primaria  statale  non  attiene  alla
caccia, poiche' disciplina un'attivita', il controllo faunistico, che
non e' svolta per fini venatori, ma a fini di tutela  dell'ecosistema
(sentenza n. 392 del 2005), com'e' dimostrato dal fatto che e'  presa
in considerazione dalla norma statale solo come extrema ratio, ove  i
metodi ecologici non risultino efficaci. 
    Nella parte in cui, dunque, l'art. 19 della legge n. 157 del 1992
ha  introdotto  un  elenco  tassativo  di  soggetti  autorizzati   al
controllo venatorio in cui non sono compresi  i  cacciatori  che  non
siano proprietari  o  conduttori  dei  fondi  interessati  dai  piani
medesimi,  essa  mira  a  «evitare  che  la  tutela  degli  interessi
(sanitari, di selezione biologica,  di  proiezione  delle  produzioni
zootecniche, ecc.) perseguiti  trasmodi  nella  compromissione  della
sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorche'  nocive»  (sent.
n. 392 del 2005), in linea, peraltro, con la piu' rigorosa  normativa
europea in tema di  protezione  delle  specie  selvatiche  (direttiva
74/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli  uccelli
selvatici). 
    Pertanto, la norma regionale della Sicilia, nella  parte  in  cui
estende, secondo la modifica apportata al  comma  4  dell'articolo  i
della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, il novero  dei  soggetti
autorizzati al controllo faunistico ai cacciatori, viola la sfera  di
competenza  statale  alterando,  altresi',  il   contemperamento   di
interessi delineato dal legislatore  nell'art.  19,  comma  2,  della
legge n. 157 del 1992, che, nella parte in cui  disciplina  i  poteri
regionali di  controllo  faunistico,  realizza  uno  standard  minimo
uniforme di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, rappresentando un
limite invalicabile anche  per  l'autonomia  regionale  (Corte  Cost.
sentenza n. 44/2012). 
    Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro  normativo
eurounitario e statale in cui  si  colloca  la  tutela  delle  specie
oggetto della disposizione censurata, si rileva  il  contrasto  della
norma regionale con il  secondo  comma,  lettera  s),  dell'art.  117
Cost., poiche' tendente a ridurre inpdus il livello di  tutela  della
fauna selvatica stabilito  dalla  legislazione  nazionale,  invadendo
illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello  Stato  in
materia di tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  in  riferimento
all'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del  1992,  nonche'  con  il
parametro di ragionevolezza della legislazione desumibile dall'art. 3
Cost. 
Profili di incostituzionalita' presentano gli articoli 24 e 25. 
    L'art. 24 stabilisce: 
        una disciplina transitoria, a livello regionale  «nelle  more
del recepimento delle disposizioni di cui all'art. 1, commi da 675  a
684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145», per il rilascio di  nuove
concessioni demaniali marittime, fissandone modalita', termini,  casi
di revoca (comma 1, lettera a); 
        l'utilizzo di procedure amministrative  semplificate  per  il
«rilascio di autorizzazioni di durata breve per l'occupazione e l'uso
di limitate porzioni di aree demaniali marittime e di specchi acquei,
comunque non superiori a complessivi metri quadrati mille  e  per  un
periodo  massimo  di  novanta   giorni,   non   prorogabili   e   non
riproponibili nello  stesso  anno  solare,  allo  scopo  di  svolgere
attivita'  turistico  ricreative,  commerciali  o   sportive,   anche
attraverso la collocazione di manufatti, purche' precari e facilmente
amovibili» (comma 1, lettera b), demandando, per tali fattispecie,  a
un decreto dell'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente la
disciplina concernente le modalita' di presentazione delle  richieste
e le procedure amministrative, nonche' le modalita' per  il  rilascio
della concessione (comma 2). 
      L'art. 25 prevede che: 
    «1. Ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
133, convertito con modificazioni dalla legge 11  novembre  2014,  n.
164, le prestazioni delle strutture di marina resort sono  assimilate
a quelle delle strutture ricettive all'aria aperta  e  pertanto  sono
soggette  all'applicazione  del  tributo  di  cui  al   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 633/1972  e  successive  modifiche  ed
integrazioni, nella medesima misura come determinata ai  sensi  della
Tabella A, parte III, n. 120  dello  stesso  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 63311972. 
    2. Le strutture dedicate alla nautica da diporto,  che  rientrano
nella categoria degli imbullonati ai sensi  dell'art.  1,  comma  21,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono escluse dal calcolo  della
rendita catastale. La disposizione  di  cui  al  presente  comma  non
comporta minori entrate per il bilancio della Regione.» 
    Preme evidenziare, in via preliminare, che i commi da 675  a  684
della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio  2019-2021»,  delineano  un'articolata  procedura   per   la
generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime,
che prevede l'emanazione di un decreto del Presidente  del  Consiglio
dei  ministri  che  ne  fissi  i  termini  e  le  modalita',  nonche'
successive   attivita'   di   implementazione    da    parte    delle
Amministrazioni competenti, tra cui  una  consultazione  pubblica  al
termine  della  quale  saranno  assegnate  le  aree  concedibili  che
attualmente non sono date in concessione. 
    In particolare, il comma 675 dispone l'emanazione di  un  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri che fissi i  termini  e  le
modalita' per la generale revisione  del  sistema  delle  concessioni
demaniali marittime. La finalita' indicata nella norma e'  quella  di
tutelare, valorizzare e promuovere  il  bene  demaniale  delle  coste
italiane, che rappresenta  un  elemento  strategico  per  il  sistema
economico, di attrazione  turistica  e  di  immagine  del  Paese,  in
un'ottica di armonizzazione delle normative europee. 
    Il decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  dovra'
essere adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture  e  dei
trasporti e del  Ministro  per  le  politiche  agricole,  alimentari,
forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia  e
delle finanze, sentito  il  Ministro  dello  sviluppo  economico,  il
Ministro degli affari europei,  il  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del  territorio  e  del  mare,  il  Ministro  per  gli  affari
regionali e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. 
    Si  ricorda  che  sulla  materia  delle   concessioni   demaniali
marittime interviene anche il comma 246, che consente ai titolari  di
concessioni demaniali marittime e  punti  di  approdo  con  finalita'
turistico ricreative di mantenere installati  i  manufatti  amovibili
fino al 31  dicembre  2020  data  di  scadenza  della  proroga  delle
concessioni in essere al 31 dicembre 2015 - nelle more  del  riordino
della materia. 
    Il comma 676 definisce piu' in dettaglio i contenuti del  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, che  dovra'  stabilire  le
condizioni e le modalita' per procedere: 
        a) alla ricognizione e mappatura del litorale e  del  demanio
costiero-marittimo; 
        b) all'individuazione della reale consistenza dello stato dei
luoghi, della tipologia  e  del  numero  di  concessioni  attualmente
vigenti nonche' delle aree libere e concedibili; 
        c) all'individuazione della tipologia  e  numero  di  imprese
concessionarie e sub-concessionarie; 
        d)   alla   ricognizione   degli   investimenti    effettuati
nell'ambito  delle  concessioni  stesse  e   delle   tempistiche   di
ammortamento connesse, nonche' dei canoni  attualmente  applicati  in
relazione alle diverse concessioni; 
        e) all'approvazione dei metodi, indirizzi generali e  criteri
per la programmazione,  pianificazione  e  gestione  integrata  degli
interventi di difesa delle coste e  degli  abitati  costieri  di  cui
all'art. 89, primo comma, lettera  h),  del  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 112. 
    Il comma 677 prevede inoltre che il decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri contenga altresi' i criteri per strutturare: 
        a)   un   nuovo   modello   di   gestione    delle    imprese
turistico-ricreative e ricettive che operano  sul  demanio  marittimo
secondo schemi e  forme  di  partenariato  pubblico-privato,  atto  a
valorizzare la tutela e la piu' proficua  utilizzazione  del  demanio
marittimo, tenendo conto delle singole specificita' e caratteristiche
territoriali secondo criteri di: sostenibilita' ambientale;  qualita'
e   professionalizzazione    dell'accoglienza    e    dei    servizi,
accessibilita';  qualita'  e  modernizzazione  delle  infrastrutture;
tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti;  sicurezza  e  vigilanza
delle spiagge; 
        b) un sistema di  rating  ditali  imprese  e  della  qualita'
balneare; 
        c)  la  revisione  organica   delle   norme   connesse   alle
concessioni demaniali marittime,  con  particolare  riferimento  alle
disposizioni in materia di demanio  marittimo  contenute  nel  Codice
della navigazione o in leggi speciali in materia; 
        d) il  riordino  delle  concessioni  ad  uso  residenziale  e
abitativo, tramite individuazione di criteri di  gestione,  modalita'
di rilascio e termini di durata della  concessione  nel  rispetto  di
quanto  previsto  dall'art.  37,  primo  comma,  del   Codice   della
Navigazione e dei principi di  imparzialita',  trasparenza,  adeguata
pubblicita' e tenuto conto, in termini  di  premialita',  dell'idonea
conduzione del bene demaniale e della durata della concessione. 
        e) la revisione e  l'aggiornamento  dei  canoni  demaniali  a
carico dei concessionari, che tenga conto delle  peculiari  attivita'
svolte dalle imprese del settore, della tipologia dei beni oggetto di
concessione  anche  con  riguardo  alle  pertinenze,  della   valenza
turistica. 
    In base al comma 678, le amministrazioni competenti per  materia,
che saranno individuate nel decreto del Presidente del Consiglio  dei
ministri,  dovranno  provvedere  entro  due  anni  dall'adozione  del
decreto, ciascuna per la  propria  competenza,  all'esecuzione  delle
attivita'  indicate  nei  due  precedenti  commi.  Sulla  base  delle
risultanze di tali lavori  svolti  sara'  avviata  una  procedura  di
consultazione pubblica, nel rispetto dei principi e delle  previsioni
della legge n. 241 del 1990, sulle priorita' e modalita' di azione  e
intervento per la valorizzazione turistica delle aree insistenti  sul
demanio  marittimo  che  dovra'  concludersi  nel   termine   massimo
di centottanta giorni dalla data di conclusione dei lavori  da  parte
delle Amministrazioni (comma 679). 
    Tanto premesso, in disparte la  circostanza  (sulla  quale  preme
comunque richiamare l'attenzione) che il decreto del  Presidente  del
Consiglio dei ministri attuativo delle  specifiche  previsioni  della
legge di Bilancio 2019, e'  in  corso  di  avanzata  definizione,  si
rileva che le richiamate previsioni regionali,  sovrapponendosi  alla
predetta disciplina statale emanata in materia, dalla quale con  ogni
evidenza si discostano sostanzialmente, generano dubbi interpretativi
e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge
applicabili     e     presentano     significativi     profili     di
incostituzionalita'. 
    Al riguardo si sottolinea il consolidato orientamento della Corte
costituzionale  secondo  il  quale  i  criteri  e  le  modalita'   di
affidamento  delle  concessioni  sui  beni  del   demanio   marittimo
appartengono ad ambiti riservati alla  competenza  esclusiva  statale
dall'art. 117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  in  materia  di
«tutela  della  concorrenza»  ,  nella  quale  le   pur   concorrenti
competenze  regionali  trovano  «un  limite  insuperabile»  (cfr.  da
ultimo, sentenza n. 221  del  2018  e  sentenza  n.  1  del  2019)  e
dall'art.  97,  primo  comma,  Cost.  (principio  di  buon  andamento
dell'amministrazione),  laddove  si   censura   per   le   richiamate
disposizioni la sovrapposizione alla disciplina  statale  emanata  in
materia  e   la   conseguente   incertezza   riguardo   alla   chiara
individuazione  delle  norme  di   legge   applicabili   (statali   o
regionali). 
    Evidenti, dunque, sono i profili di  censura  delle  disposizioni
citate. 
Articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 23. 
    Ad analoghe censure sono soggette le disposizioni  in  questione,
tutte in materia di personale. 
    L'art.  11  della  legge  regionale  in  esame   (Personale   ASU
Assessorato Beni Culturali) stabilisce che: «Al fine di garantire  la
continuita' dei servizi prestati presso gli  uffici  dell'assessorato
regionale dei beni culturali e dell'identita' siciliana i soggetti di
cui all'art. 1 della  legge  regionale  5  novembre  2001,  n.  17  e
successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano  in
utilizzazione presso gli stessi». 
    L'art. 14, pur nella genericita' del testo normativo, dispone che
personale forestale possa  essere  utilizzato  con  un  inquadramento
riservato. 
    Tale pare l'unico senso logico  attribuibile  alla  disposizione,
che letteralmente prevede che  tale  personale  «e'  mantenuto  nelle
medesime mansioni»; cio' in mancanza di qualsiasi  termine  finale  e
senza alcuna limitazione numerica. 
    Quanto all'art. 22, comma 2, si osserva che dal quadro  normativo
di riferimento (art. 20, commi 1 e  2,  del  decreto  legislativo  n.
75/2017, art. 3 della legge regionale siciliana n. 27 del 2016 e art.
26, comma 6 della legge regionale siciliana n. 8 del 2018) emerge una
contrapposizione tra la disciplina di cui all'art. 20, comma  2,  del
decreto legislativo n. 75 del 2017 (che prevede, nelle  procedure  di
stabilizzazione, la garanzia dell'adeguato  accesso  dall'esterno)  e
quella contenuta nell'art. 22, secondo comma, della  legge  regionale
all'esame, laddove si prevede che le procedure  di  cui  all'art.  3,
comma 6, della legge regionale n. 27 del 2016 e di cui  all'art.  26,
comma 6, della legge regionale n. 8 del 2018 sono da  intendere  come
procedure di  stabilizzazione  del  personale  precario  «interamente
riservate» a detto personale. 
    Si evidenzia che, in proposito, con deliberazione n. 28/2019,  la
Corte dei Conti, Sezione  di  Controllo  per  la  Regione  siciliana,
chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione degli articoli
20, comma 2, del decreto legislativo n. 75  del  2017,  3,  comma  6,
della legge regionale n. 27 del 2016  e  26,  comma  6,  della  legge
regionale n. 8 del 2018, ha avuto modo  di  precisare  quanto  segue:
«[...] il Collegio non ravvisa alcuna antinomia tra la  norma  di cui
all'art. 20, comma 2, del decreto legislativo n.  75  del  2017,  che
prevede la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, in  relazione
alla disposizione recata dall'art. 26, comma 6 della legge  regionale
n. 8 del 2018, che  introduce  la  possibilita'  di  stabilizzare  il
personale precario  mediante  concorsi  «interamente  riservati».  Il
decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, infatti, e' immediatamente
applicabile in Sicilia, da una parte perche'  introduce  disposizioni
attinenti l'ordinamento civile sottratte  alla  potesta'  legislativa
delle regioni e, dall'altra, in quanto  contiene  norme  in  tema  di
stabilizzazione dei lavoratori precari  che,  secondo  l'insegnamento
della Corte costituzionale, costituiscono  principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica (Sentenze n. 310 del 2011, n. 18
e n. 277 del 2013) e, come tali, non possono essere derogati da norme
regionali. In tal senso, peraltro, e' intervenuta anche la  circolare
n.  16042  del  5  novembre  2018  dell'Assessorato  regionale  delle
autonomie locali e della funzione pubblica. La  disposizione  di  cui
all'art. 26, comma 6 della legge regionale n. 8 del 2018, va  intesa,
invero,  nel  senso  che   nell'ambito   degli   spazi   assunzionali
disponibili per le stabilizzazioni di personale precario  (  che  non
possono  superare  il   cinquanta   per   cento   della   complessiva
disponibilita' dell'ente) - al netto di quelli  destinati  ad  essere
coperti  mediante  procedure  concorsuali  aperte   all'esterno,   le
relative   procedure   concorsuali   possano    essere    interamente
«riservate», senza che cio' contrasti con l'art.  20,  comma  2,  del
decreto legislativo n. 75 del 2017. La «ratio» della  garanzia  della
riserva dei posti  all'esterno,  infatti,  non  riguarda  la  singola
procedura selettiva, nell'ambito della quale sia prevista una riserva
di posti  a  favore  dei  precari  da  stabilizzare,  bensi'  risulta
assicurata dal generale obbligo per gli  enti  di  bandire  procedure
concorsuali  aperte  a  tutti  per  la  copertura   del   fabbisogno,
nell'ambito degli spazi finanziari disponibili (ovvero  nel  rispetto
di tutte  le  disposizioni  vincolistiche  sulturn-over),  destinando
risorse non  superiori  al  cinquanta  per  cento  di  detto  plafond
all'espletamento di procedure concorsuali ad  hoc  tra  il  personale
precario da stabilizzare, al fine di selezionare le  unita'  previste
nel  piano  del  fabbisogno  del  personale.  In  altri  termini,  il
reclutamento del personale attraverso procedure  concorsuali  per  la
stabilizzazione dei precari non puo' in ogni caso  assorbire  risorse
finanziarie superiori al cinquanta per cento  (possono  essere  anche
inferiori) di quello  da  reclutare  attraverso  ordinarie  procedure
concorsuali aperte all'esterno. [...] Ferma restando  la  natura  non
derogatoria  della  disciplina  regionale  rispetto  all'obbligo   di
garantire l'adeguato accesso dall'esterno,  come  sopra  evidenziato,
per  rispondere  al  secondo  quesito  il  Collegio,  richiamando  le
disposizioni della circolare n.  3  del  2017  del  Ministro  per  la
semplificazione e la Pubblica  amministrazione  (§  3.2.2.  nota  4),
precisa   che   nell'ambito   della   individuazione   degli   «spazi
assunzionali» il concetto di  «posti  disponibili»  non  deve  essere
inteso  in  relazione  alla  dotazione  organica  dell'ente,  che  e'
rimodulabile,  ma  quale  «spago  finanziario  disponibile»,   ovvero
riferito  alle  risorse  finanziarie  complessivamente   utilizzabili
dall'ente per le assunzioni di personale, sul cui coacervo  calcolare
la quota (che non puo' in ogni caso superare il cinquanta  per  cento
del totale) da destinare alle stabilizzazioni del personale precario.
Detta interpretazione fornita dalla citata  circolare  consente  agli
enti,  nell'ambito  della   propria   autonomia   organizzativa,   di
utilizzare al meglio le risorse finanziarie per  la  copertura  degli
oneri per il personale, i citi costi a carico degli enti  variano  in
relazione alla qualifica ed alla natura del contratto  di  lavoro  (a
tempo pieno o  parziale):  il  riferimento  ai  «posti»  da  coprire,
infatti, risulta troppo stringente e  di  difficile  applicazione  in
concreto, mentre il concetto di  «risorse  finanziarie»  disponibili,
pur rispettando i vincoli di bilancio per  la  spesa  del  personale,
consente una effettiva autonomia  nell'organizzazione  delle  risorse
umane. Il Collegio ritiene che le risorse  finanziarie  assegnate  ai
comuni dalla citata legge regionale n. 8 del 2018, ai sensi dell'art.
26, comma 7, abbiano la finalita' di garantire la  possibilita'  (non
prevista dal comma 4 dell'art. 20 del decreto legislativo n.  75  del
2017) di elevare i complessivi spazi  assunzionali  mediante  risorse
aggiuntive regionali anche in caso di stabilizzazioni da attuarsi  ai
sensi dell'art. 20, comma 2, del decreto legislativo citato;  in  tal
senso, «il 50 per cento dei posti disponibili» quale  limite  imposto
alle procedure di stabilizzazione dal predetto art. 20, comma 2, deve
calcolarsi  considerando  la  possibilita'  di  elevare  con  risorse
aggiuntive regionali gli spazi  assunzionali  ordinari  ovvero,  come
prospettato  dall'Amministrazione  richiedente,  con  «riflesso  solo
sulla  determinazione  degli  spazi   assunzionali   complessivamente
disponibili,  ferma  restando,  in  ogni  caso,  la   necessita'   di
rispettare l'adeguato accesso dall'esterno fissato nella  misura  del
50% delle risorse (sia  comunali  che  regionali)  utilizzabili».  Ne
consegue che, dato il vincolo di destinazione delle risorse regionali
alle  procedure  di  stabilizzazione,  l'entita'  di  dette   risorse
aggiuntive,  affinche'  possa  dirsi  garantito  l'adeguato   accesso
dall'esterno, non potrebbe in ogni caso superare l'importo di  quelle
a carico del bilancio e destinate al reclutamento ordinario». 
    Orbene,  la  legge  regionale  in  oggetto,  approvata  in   data
successiva alla pubblicazione  del  parere  della  Corte  dei  Conti,
laddove stabilisce che «le disposizioni di cui all'articolo  3  della
legge regionale n. 27/2016 e di citi  all'art.  26,  comma  6,  della
legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono  da  intendersi  relative  a
procedure di reclutamento  straordinario  volte  al  superamento  del
precariato  storico,  che   prescindono   dalle   procedure   rivolte
all'esterno e sono interamente riservate ai soggetti  richiamati  nel
medesimo art. 26», attua  un'interpretazione  ed  applicazione  delle
previsioni de quibus del tutto incompatibile sia  con  la  disciplina
contenuta nell'art. 20 del decreto legislativo n. 75  del  2017,  sia
con il principio dell'adeguato accesso dall'esterno, che  costituisce
un precipitato della previsione di cui  all'art.  97,  quarto  comma,
della  Costituzione,  secondo  cui  «agli  impieghi  nelle  Pubbliche
Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i  casi  stabiliti
dalla legge». 
    Cio' in quanto  si  prevede  che  il  reclutamento  straordinario
finalizzato all'eliminazione  del  precariato  storico  prescinde  da
quello  ordinario,  con   la   conseguenza,   in   assenza   di   una
specificazione  in  tal  senso,  che  esso  ben  puo'  riguardare  la
totalita' degli spazi assunzionali disponibili. 
    L'art. 22, terzo comma, della legge regionale in oggetto  prevede
che le procedure seguite  per  l'assunzione  del  personale  precario
costituiscono  requisito  utile  all'applicazione  del  primo  comma,
lettera b) dell'art. 20 del decreto legislativo n. 75/2017. 
    In  altri  termini,  la  diposizione  in  esame  qualifica   come
procedure  concorsuali  quelle  seguite  per  il   reclutamento   del
personale a tempo determinato. 
    Sul punto, appare necessario ribadire che la procedura  selettiva
di tipo concorsuale  rimane  la  regola  per  l'accesso  al  pubblico
impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme  in
materia di stabilizzazione. 
    Del resto, il requisito di cui  alla  lettera  b)  dell'art.  20,
comma 1, del decreto  legislativo  n.  75  del  2017  e'  predicabile
esclusivamente con riguardo ai  c.d.  precari  che,  in  quanto  gia'
scelti all'esito di un  precedente  pubblico  concorso,  garantiscono
comunque un'elevata professionalita'  all'Amministrazione  presso  la
quale prestano servizio. 
    Il successivo art. 23 modifica il  comma  18  dell'art.  3  della
legge regionale 29 dicembre 2016, n. 27,  nei  seguenti  termini:  «I
soggetti  titolari  di  contratti  di  lavoro  subordinato  a   tempo
determinato che prestano servizio presso gli enti  in  dissesto,  gli
enti deficitari con piano di riequilibrio gia' approvato  dall'organo
consiliare, i liberi Consorzi comunali e le Citta' metropolitane alla
data del 31 dicembre 2018, inseriti nell'elenco di cui  all'art.  30,
comma 1, della legge regionale n. 5/2014 e  successive  modifiche  ed
integrazioni, che ne facciano  richiesta  entro  il  30  giugno  2019
all'Amministrazione  in  cui  prestano  servizio  e   ai   competenti
dipartimenti  regionali  delle  autonomie  locali   o   del   lavoro,
dell'impiego,  dell'orientamento,  dei  servizi  e  delle   attivita'
formative che  ne  attestano  rispettivamente  i  costi  relativi  al
trattamento economico fondamentale complessivo e agli oneri  riflessi
e l'inserimento nell'elenco di cui all'art. 30, comma 1, della  legge
regionale n. 5/2014 al 31 dicembre 2015, transitano in apposita  area
speciale transitoria ad esaurimento istituita presso la Resais S.p.A.
(..). 3. Le  procedure  di  transito  speciale  di  cui  al  presente
articolo sono regolate con contratto di lavoro a tempo  indeterminato
previa espletamento delle procedure di ari al comma  6  dell'art.  26
della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8, anche parziale,  che,  per
singola unita' lavorativa, in termini di costo complessivo annuo e di
giornate   lavorative    nonche'    per    gli    aspetti    connessi
all'inquadramento giuridico ed economico, e' uguale a quello relativo
al contratto a tempo determinato in essere al 31  dicembre  2015.  Il
personale  assunto  ai  sensi  del  presente  comma   e'   utilizzato
prioritariamente presso gli enti di originaria provenienza e conserva
il diritto alla riserva di cui all'art. 4, comma 6, del decreto-legge
31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge  30
ottobre  2013,  n.  125  e  successive  modifiche   e   integrazioni,
nell'ipotesi di avvio delle procedure  di  stabilizzazione  da  parte
degli  enti  di  originaria  assegnazione  ai  sensi  della  medesima
disciplina». 
    Orbene, tutte  le  disposizioni  richiamate  presentano  analoghi
profili di incostituzionalita'. 
    Per orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale,
il principio del pubblico concorso per l'accesso agli impieghi  nelle
pubbliche  amministrazioni,  quando  l'intento  e'   di   valorizzare
esperienze professionali maturate  all'interno  dell'amministrazione,
puo' andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la previsione
di trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, gia'
ricoperte  da  personale  precario  dipendente.  Ma,  affinche'  «sia
assicurata la generalita' della regola del concorso pubblico disposta
dall'art. 97 Cost.», e' necessario che «l'area delle eccezioni»  alla
regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo  rigoroso»
(sentenze n. 363 del 2006, n. 215 del 2009  e  n.  9  del  2010).  In
particolare, e' indispensabile che  le  eccezioni  al  principio  del
pubblico  concorso  siano  numericamente  contenute  in   percentuali
limitate, rispetto alla globalita' delle assunzioni poste  in  essere
dall'amministrazione; che l'assunzione corrisponda  a  una  specifica
necessita' funzionale dell'amministrazione  stessa;  e,  soprattutto,
che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque  che
il  personale  assunto  abbia  la  professionalita'  necessaria  allo
svolgimento dell'incarico (sentenza n. 215 del 2009). 
    Tale principio non e' destinato a subire limitazioni neppure  nel
caso in cui il personale da stabilizzare  abbia  fatto  ingresso,  in
forma  precaria,  nell'amministrazione  con  procedure  di   evidenza
pubblica, e neppure laddove la  selezione  a  suo  tempo  svolta  sia
avvenuta con pubblico concorso, dato che la necessita'  del  concorso
per le  assunzioni  a  tempo  indeterminato  discende  non  solo  dal
rispetto   del   principio   di   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche  dalla  necessita'
di consentire a tutti i cittadini l'accesso alle funzioni  pubbliche,
in base all'art. 51 Cost. 
    Invero, «la natura comparativa e aperta della procedura e'  [...]
elemento essenziale del concorso pubblico», sicche'  deve  escludersi
la legittimita' costituzionale di procedure selettive riservate,  che
escludano o riducano irragionevolmente  la  possibilita'  di  accesso
dall'esterno», violando il carattere pubblico del  concorso  (in  tal
senso, sentenze n. 293 del 2009 e n. 100 del 2010). 
    D'altra parte, come pure e' stato esplicitamente affermato  nelle
citate decisioni di codesta Corte,  «il  previa  superamento  di  una
qualsiasi «selezione pubblica», presso qualsiasi «ente pubblico»,  e'
requisito   troppo   generico   per   autorizzare   una    successiva
stabilizzazione senza concorso», perche' esso «non garantisce che  la
previa selezione avesse natura  concorsuale  e  fosse  riferita  alla
tipologia  e   al   livello   delle   funzioni   che   il   personale
successivamente  stabilizzato  e'   chiamato   a   svolgere»   (Corte
costituzionale, 24 giugno 2010, n. 225). 
    Deve quindi ritenersi non conforme al quadro normativo  delineato
la possibilita', per chiunque ed anche per i precari assunti a  tempo
determinato  con  modalita'  alternative  al  pubblico  concorso,  di
accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale,  ai
benefici della stabilizzazione ogniqualvolta  per  quelle  specifiche
mansioni sia possibile un'assunzione nei ruoli del  pubblico  impiego
(non potendosi ritenere che l'attingere alle graduatorie di cui  alla
legge regionale n. 85 del 1995 e alla legge regionale n. 21 del  2003
possa  essere  assimilato   all'espletamento   di   prove   selettive
concorsuali). 
    Per venire a quanto disposto dall'art. 23, oltra a  quanto  sopra
rilevato, occorre aggiungere che la necessita' del concorso  pubblico
e'  stata  ribadita  con   specifico   riferimento   a   disposizioni
legislative    che    prevedevano     il     passaggio     automatico
all'amministrazione pubblica  di  personale  di  societa'  in  house,
ovvero  di  societa'  o  associazioni  private;  e'  stato   altresi'
specificato che il trasferimento da una  societa'  partecipata  dalla
Regione alla Regione stessa o ad altro soggetto pubblico regionale si
risolve in un privilegio indebito per i soggetti  beneficiari  di  un
siffatto meccanismo, in violazione dell'art. 97, quarto comma,  della
Costituzione (sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del  2014,  n.  227  del
2013, n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011, n. 267 del  2010,  n.
363 e n. 205 del 2006). 
    La previsione di cui all'art. 23 -  passaggio  dei  dipendenti  a
tempo  determinato  anche  degli  enti  territoriali  alla   societa'
regionale Resais S.p.a. e trasformazione del  rapporto  di  lavoro  a
tempo indeterminato - risulta quindi  incompatibile  con  il  dettato
costituzionale. 
    Infatti, l'art. 23 consente, da un lato,  il  transito  di  detto
personale previo esperimento  di  procedure  integralmente  riservate
espletata ai sensi del comma 6 dell'art. 26 della legge  regionale  8
maggio 2018, n. 8 (che, in  base  all'interpretazione  contenuta  nel
comma 2 dell'art. 22 della legge regionale in oggetto sono  procedure
«che prescindono dalle procedure rivolte all'esterno») e, dall'altro,
prevede  la  costituzione  di  un'area  transitoria  ad   esaurimento
all'interno della societa' regionale Resais S.p.a. a  prescindere  da
qualsivoglia valutazione in ordine all'effettivo fabbisogno di  detto
personale. 
    Orbene, e' noto che, con specifico riguardo  alle  c.d.  societa'
pubbliche, la Corte di cassazione ha ripetutamente evidenziato (Cass.
Sez. Lav. n. 4897/2018) che: 
    «Corte costituzionale gia' a partire dalla sentenza  n.  466/1993
[...] ha osservato  che  il  solo  mutamento  della  veste  giuridica
dell'ente non e' sufficiente a giustificare  la  totale  eliminazione
dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione  non  assuma  anche
"connotati sostanziali, tali da determinare l'uscita  delle  societa'
derivate dalla sfera della finanza pubblica". 
    La   giurisprudenza   costituzionale   distingue,   dunque,    la
privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte  Cost.
nn. 29/2006, 209 / 2015, 55 I 2017) e sottolinea che in detta seconda
ipotesi  viene  comunque  in  rilievo  l'art.  97  Cost.,  del  quale
il decreto-legge n. 112 del 2008  costituisce  attuazione,  tanto  da
vincolare  il  legislatore  regionale  ex  art.  117   Cost.   (Corte
Costituzionale n. 68/2011). 
    ....valgono le considerazioni gia' espresse da  questa  Corte  in
merito al rapporto fra procedura concorsuale decreto  legislativo  n.
165 del 2001, ex art. 35 e contratto di lavoro, in relazione al quale
si e' osservato che "sussiste un inscindibile legame fra la procedura
concorsuale ed il rapporto di lavoro con l'amministrazione  pubblica,
poiche'  la  prima  costituisce  l'atto  presupposto  del   contratto
individuale, del quale condiziona la  validita',  posto  che  sia  la
assenza  sia  la  illegittimita'  delle  operazioni  concorsuali   si
risolvono nella  violazione  della  norma  inderogabile  dettata  dal
decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del  principio
costituzionale  affermato  dall'art.  97,  compra  4,   della   Carta
fondamentale." (Cass. n. 13884/2016). 
    Va, quindi, esclusa la portata innovativa del decreto legislativo
n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel  prevedere  espressamente
la nullita' dei contratti stipulati in violazione delle procedure  di
reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza gia'  desumibile
dai principi sopra richiamati in tema di nullita' virtuali. 
    In merito e' utile evidenziare  che  sugli  effetti  del  mancato
rispetto degli obblighi imposti del decreto-legge n.  112  del  2008,
art. 18 la  giurisprudenza  di  merito  aveva  espresso  orientamenti
opposti,  sicche'  la  nuova  normativa  assume  anche  una   valenza
chiarificatrice della disciplina previgente (sulla  possibilita'  che
la norma sopravvenuta,  seppure  non  di  interpretazione  autentica,
possa non essere innovativa cfr. in motivazione  Cassazione  S.U.  n.
18353/2014 e Cassazione n. 20327/2016. 
    Una volta affermato che per le societa' a partecipazione pubblica
il  previo  esperimento  delle  procedure  concorsuali  e   selettive
condiziona la validita' del contratto di lavoro, non puo' che operare
il principio richiamato al punto 2 secondo cui  anche  peri  soggetti
esclusi dall'ambito di applicazione del decreto  legislativo  n.  165
del  2001,  art.  36  la  regola  della  concorsualita'  imposta  dal
legislatore, nazionale  o  regionale,  impedisce  la  conversione  in
rapporto a tempo indeterminato  del  contratto  a  termine  metto  da
nullita'. Diversamente opinando si finirebbe per eludere  il  divieto
posto dalla norma imperativa che, come gia' evidenziato, tiene  conto
della  particolare  natura  delle  societa'   partecipate   e   della
necessita', avvertita dalla Corte  costituzionale,  di  non  limitare
l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97 Cost. ai soli soggetti
formalmente pubblici, bensi' di  estendente  l'applicazione  anche  a
quelli  che,  utilizzando  risorse   pubbliche,   agiscono   per   il
perseguimento di interessi di carattere generale»  (cosi',  Corte  di
cassazione, sezione lavoro, 1° marzo 2018, n. 4897). 
    Ne deriva che, anche con riguardo  alle  societa'  pubbliche,  le
modalita'  di  reclutamento   devono   avvenire   secondo   modalita'
compatibili con le previsioni di cui all'art. 97, quarto comma, della
Costituzione e, per quanto qui rileva, con il principio dell'adeguato
accesso dall'esterno. 
    Conclusivamente tutte le disposizioni richiamate sono censurabili
per violazione degli articoli 51,  97,  quarto  comma,  117,  secondo
comma, lettera 1) e  117,  terzo  comma,  della  Costituzione  e  del
decreto legislativo n. 75/2017. 
    A cio' aggiungasi che la costituzione di  un  ruolo  speciale  ad
esaurimento  (art.  23),  che  prescinde  del  tutto  dal  piano  dei
fabbisogni, appare difficilmente compatibile con la previsione di cui
all'art. 19 del decreto legislativo n. 175 del 2016 che, ai commi 5 e
6, impone alle amministrazioni pubbliche socie di fissare, con propri
provvedimenti,  obiettivi  specifici,  annuali  e  pluriennali,   sul
complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese  quelle  per  il
personale,  delle  societa'   controllate,   «anche   attraverso   il
contenimento  degli  oneri  contrattuali  e   delle   assunzioni   di
personale», e alle societa' partecipate di  perseguire  concretamente
gli obiettivi assegnati. 
    In questo senso la previsione di  cui  all'art.  23  della  legge
regionale n. 1 del 2019 non e' quindi  compatibile  con  l'art.  117,
terzo comma, della Costituzione che riserva allo Stato la  disciplina
dei principi generali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, nonche' con l'art. 117, lettera l) della Costituzione,  che
riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e,
quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile. 
    L'art. 26, comma 2 prevede l'abrogazione dell'art. 13 della legge
regionale 17 marzo 2016, n. 3, il quale stabiliva che il Fondo per la
retribuzione di posizione e di risultato del personale con  qualifica
dirigenziale della  Regione  siciliana,  come  determinato  ai  sensi
dell'art. 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, era ridotto,
a decorrere dall'esercizio finanziario 2016,  della  somma  di  1.843
migliaia di euro e,  a  decorrere  dall'esercizio  finanziario  2017,
dell'ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro. 
    Al riguardo, si evidenzia che l'abrogazione di tale  norma  tende
la materia priva di riferimenti e di vincoli, in  considerazione  del
mancato richiamo della  norma  recata  dall'art.  23,  comma  2,  del
decreto legislativo n. 75/2017. 
    Tale disposizione rappresenta una cornice cui tutte le  pubbliche
amministrazioni devono fare riferimento e definisce  un  limite  alla
contrattazione integrativa che la Regione, pur nella  sua  autonomia,
non e' legittimata a superare. 
    Pertanto, la norma in esame si pone in conflitto con l'art.  117,
comma 2, lettera l) della Costituzione, che riserva  alla  competenza
esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i  rapporti  di
diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) e
comunque con il principio generalissimo  di  cui  all'art.  81  della
Costituzione, che comportano nuovi e significativi oneri. 
Art. 31. 
    La norma in esame reca disposizioni in materia di stabilizzazione
del personale della sanita' penitenziaria. 
    Al comma 1 viene disposto che,  fermo  restando  quanto  previsto
dall'art. 75 della legge regionale n. 8/2018, tutto il  personale  di
sanita' penitenziaria trasferito ai sensi  dell'art.  3  del  decreto
legislativo n. 222/2015 ed  ancora  in  servizio  alla  data  del  31
dicembre 2018 viene inquadrato secondo specifiche modalita' stabilite
con decreto dell'Assessore regionale per la salute, con l'istituzione
di un ruolo ad esaurimento fino ai raggiunti limiti di eta'  previsti
dalla legge n. 740/1970 in atto vigenti. 
    Al comma 2 si stabilisce che  le  aziende  sanitarie  provinciali
sono autorizzate ad avviare selezioni pubbliche per  l'immissione  in
ruolo del personale sanitario infermieristico di cui  alla  legge  n.
740/1970, in  essere  alla  data  del  28  febbraio  2015  ed  ancora
esistenti alla  data  di  entrata  in  vigore  del  predetto  decreto
legislativo n. 222/2015 e trasferito a decorrere dalla medesima  data
di  entrata   in   vigore   dal   Dipartimento   dell'amministrazione
penitenziaria e  dal  Dipartimento  per  la  giustizia  minorile  del
Ministero della giustizia alle aziende  sanitarie  provinciali  della
Regione. Al riguardo, si  osserva  che  la  norma  in  parola  sembra
riprodurre  i  medesimi  profili  di  illegittimita'  sollevati   con
riguardo al suddetto art. 75 della  legge  regionale  n.  8/2018,  in
ordine al quale il Consiglio  dei  Ministri  del  6  luglio  2018  ha
disposto l'impugnativa davanti alla Corte costituzionale. 
    Cio',  dal  momento  che  i  rapporti  di  lavoro  del  personale
sanitario instaurati ai sensi della richiamata legge n. 740 del 1970,
come evidenziato in sede di esame della  citata  legge  regionale  n.
8/2018, continuano ad essere disciplinati  dalla  stessa  legge  fino
alla relativa scadenza, e ove a tempo determinato, sono prorogati per
la durata di dodici mesi. Decorso  tale  termine  i  rapporti  devono
ritenersi esauriti. 
    Pertanto, le previsioni di cui all'art.  31  in  esame  ampliano,
sostanzialmente, il limite temporale stabilito al  31  dicembre  2017
dall'art. 3, comma 7, del decreto legislativo n. 222/2015 e  dall'art
3, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2016, ricomprendendo  nel
processo di stabilizzazione anche i rapporti di lavoro gia'  oggetto,
come innanzi detto, di impugnativa. 
    In particolare, ampliando  il  limite  temporale  di  durata  dei
predetti contratti cosi' come delineato dall'art.  3,  comma  7,  del
citato decreto legislativo n. 222/2015, emanato ai sensi del  decreto
del Presidente del Consiglio dei  ministri  1°  aprile  2008  recante
«Modalita' e criteri  per  il  trasferimento  al  servizio  sanitario
nazionale delle funzioni sanitarie, dei  rapporti  di  lavoro,  delle
risorse finanziarie  e  delle  attrezzature  e  beni  strumentali  in
materia di sanita' penitenziaria», le disposizioni sono  suscettibili
di  configurare  una  violazione  dell'art.  117,  comma   3,   della
Costituzione. Ed invero, il contenuto del decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 - adottato ai  sensi  dell'art.
22 comma  283  della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244  (legge  di
stabilita'  2008)  -   costituisce   principio   fondamentale   della
legislazione  statale  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica,  nell'ambito  del  trasferimento  del  personale  sanitario
penitenziario al Servizio sanitario regionale. 
    Non e' chiaro inoltre se le procedure selettive previste al comma
2 siano a valere su risorse riconducibili al limite di spesa  di  cui
all'art. 9, comma 282 del  decreto-legge  n.  78/2010.  Si  rammenta,
infatti, che il  piano  di  reclutamento  speciale  previsto  in  via
transitoria  dal  richiamato  art.  20  del  decreto  legislativo  n.
75/2017, consente di utilizzare, in deroga all'ordinario regime delle
assunzioni e per finalita' volte esclusivamente  al  superamento  del
precariato, le risorse dell'art. 9, comma 28,  del  decreto-legge  n.
78/2010, calcolate in misura corrispondente al loro  ammontare  medio
nel triennio 2015-2017. Tali risorse,  quindi,  possono  elevare  gli
ordinari limiti finanziari per le assunzioni  a  tempo  indeterminato
previsti dalle norme vigenti, purche' siano destinate per intero alle
assunzioni a  tempo  indeterminato  del  personale  in  possesso  dei
requisiti  previsti  dall'art.  20  e  nel  rispetto  delle  relative
procedure. 
    Le  previsioni  di  cui  ai  suddetti  commi  2,  3  e   4   sono
suscettibili,  dunque,  di  avere  risvolti  onerosi  che  potrebbero
risultare  non  compatibili  con  la  cornice   economico-finanziaria
programmata nel Piano di  rientro  dal  disavanzo  sanitario  cui  la
Regione siciliana  e'  sottoposta,  che  peraltro  prevede  specifici
interventi a riguardo, e, conseguentemente, di porsi in contrasto con
l'art. 81 della Costituzione nonche'  con  il  successivo  art.  117,
comma  3,  atteso  che  le  vigenti  disposizioni   in   materia   di
contenimento  della  spesa  di  personale  degli  enti  del  SSN   si
configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.» 
    Per quanto precede, evidenti sono dunque i molteplici profili per
i quali l'art. 31 viola altresi' gli articoli 3, 51, primo comma,  81
e  97  della  Costituzione,  del  tutto  prescindendo  dal   pubblico
concorso. 
    Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei ministri, come in
epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata,  chiede  l'accoglimento
delle seguenti conclusioni. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita accogliere il presente
ricorso e per l'effetto  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
degli articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, 23, 24, 25, 26, comma 2, 31 e
33 della legge della Regione  Sicilia  n. 1  del  22  febbraio  2019,
pubblicata  nel  B.U.R.  n.  9  del   26   febbraio   2019,   recante
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019.  Legge  di
stabilita' regionale». 
      Roma, 24 aprile 2019 
 
                  L'Avvocato dello Stato: Nunziata