N. 95 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2019

Ordinanza del 5 febbraio 2019 del Tribunale amministrativo  regionale
per il Veneto sul ricorso proposto  da  General  Beton  Italy  S.r.l.
contro Comune di Romano D'Ezzelino. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione  Veneto  -  Sostituzione
  della tabella A4, allegata alla legge regionale  n.  61  del  1995,
  recante "Norme per l'assetto e l'uso del  territorio"  -  Parametri
  per la determinazione della quota del costo di costruzione relativo
  alla  residenza  -  Determinazione  della  quota   del   costo   di
  costruzione effettuata anteriormente all'entrata  in  vigore  della
  legge n.  4  del  2015  -  Successiva  richiesta  di  conguaglio  -
  Disciplina. 
- Legge Regione Veneto del 16 marzo 2015, n. 4  (Modifiche  di  leggi
  regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e  di
  aree naturali protette regionali), art. 2, comma 3. 
(GU n.26 del 26-6-2019 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 512 del  2017,  proposto  da  General  Beton  Italy
S.r.l.,  in  persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Neri, Valentino  Peterle,
con domicilio digitale come da PEC da Registri  di  Giustizia  e  con
domicilio eletto presso lo studio Paolo  Neri  in  Padova,  Gall.  G.
Berchet n. 8; 
    Contro Comune di Romano d'Ezzelino, in  persona  del  Sindaco  in
carica,  rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  Carla   Gobbetto,
Federico Pagetta, Andrea Scuttari, con domicilio digitale come da PEC
da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Federico
Pagetta in Padova, via G. Berchet, 11; 
    Per l'annullamento 
        e  l'accertamento   dell'insussistenza   dell'obbligo   della
ricorrente di corrispondere il conguaglio del  costo  di  costruzione
indebitamente preteso dall'Amministrazione comunale in  relazione  al
permesso di costruire n. 9238 del 2 luglio 2008 (per un importo di  €
6.843,96) ed alla successiva voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009 (per
un importo di € 935,48); 
        e per il conseguente annullamento dell'atto di intimazione di
pagamento prot. 3713 del 13 marzo 2017; 
        nonche'  di   ogni   altro   atto   comunque   connesso   per
presupposizione  e/o  consequenzialita',  ed  in   particolare,   ove
occorresse: 
          della nota prot. 05489 del  10  aprile  2017  a  firma  del
Responsabile del settore III; 
        nonche' per la condanna del Comune  di  Romano  d'Ezzelino  a
restituire alla ricorrente la somma di € 935,48, indebitamente pagata
da General Beton Italy s.r.l. a titolo di conguaglio (non dovuto) del
costo di costruzione  relativamente  alla  voltura  n.  9474  del  13
gennaio 2009. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  di  Comune  di  Romano
d'Ezzelino; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  11  ottobre  2018  la
dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale; 
    1. La societa' ricorrente, General Beton Italy s.r.l., deduce  di
aver acquistato, in data 30 ottobre 2008, dalla sig.ra Maria  Antonia
Zarpellon un fondo, sito nel Comune  di  Romano  d'Ezzelino,  in  via
Bassanese, censito al fg. 18, mapp. 131-1161. 
    Precedentemente, in data 2 luglio 2008, la sig.ra Zarpellon aveva
chiesto ed ottenuto  un  permesso  di  costruire  (n.  9238)  per  la
realizzazione di un  fabbricato  plurifamiliare.  Nel  rilasciare  il
titolo, il comune aveva quantificato  il  contributo  di  costruzione
nella somma complessiva di € 34.034,85, di cui € 29.472,21  a  titolo
di oneri di urbanizzazione primaria e  secondaria  ed  €  4.562,64  a
titolo di costo di costruzione. 
    La societa' deduce di essersi  fatta  carico  del  pagamento  del
suddetto importo e di aver corrisposto al Comune di Romano d'Ezzelino
le somme richieste in data 5 novembre 2008. 
    Il successivo 13 gennaio 2009, la societa' otteneva, inoltre,  la
voltura del titolo edilizio, rilasciato con atto prot. 9474. 
    2. Con atto di rettifica del 4 dicembre 2014, il Comune di Romano
d'Ezzelino ingiungeva alla societa'  ricorrente  di  corrispondere  a
titolo  di  conguaglio  del  contributo  commisurato  al   costo   di
costruzione, la somma complessiva di € 7.779,44, (di cui  €  6.843,96
per l'originario permesso di costruire n. 9238 del 2 luglio 2008 ed €
935,48 per la successiva voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009). 
    Nell'ingiunzione  di  pagamento  il  comune  affermava   che   la
richiesta trovava giustificazione in  un  errore  di  quantificazione
commesso in sede di rilascio del titolo  edilizio  «riconducibile  ad
una errata applicazione della  quota  del  costo  di  costruzione  in
quanto tale quota e' stata erroneamente applicata nella misura del 2%
e del  3%  anziche'  del  5%,  misura  minima  quest'ultima  prevista
dall'art. 16, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica n.
380/2001». 
    3.  La  ricorrente,  versava  solo  l'importo  corrispondente  al
conguaglio per la voltura del titolo, pari ad € 935,48  e  comunicava
al Comune di non essere tenuta a pagare anche il conguaglio  relativo
al titolo originario. 
    Il Comune, con  nota  dell'11  marzo  2015,  prendendo  atto  del
pagamento solo parziale, reiterava  la  richiesta.  Rispetto  a  tale
nuova istanza la ricorrente restava inerte, poiche'  nelle  more  era
entrata in vigore la legge regionale Veneto,  16  marzo  2015,  n.  4
(recante «Modifiche di leggi regionali e disposizioni in  materia  di
Governo del territorio e di aree naturali protette regionali.»)  che,
all'art. 2, comma 3, prevede che le  determinazioni  della  quota  di
contributo afferente al costo di costruzione  effettuate  dai  comuni
sulla scorta di quanto previsto dall'art. 16, comma  9,  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  380/2001,  «restino  ferme»  solo  se
avvenute contestualmente al rilascio del titolo edilizio «e  non  con
una successiva richiesta di conguaglio». 
    All'ulteriore «atto di intimazione di  pagamento»  (prot.  3713),
inviato dal comune in data 13 marzo 2017, la societa' rispondeva  con
una nota nella quale evidenziava l'illegittimita' della pretesa  alla
luce dell'entrata in vigore della suddetta disposizione. 
    La pretesa del Comune, tuttavia, veniva ribadita con la nota  del
10 aprile 2017. 
    4. Con il ricorso all'esame, la societa' ricorrente, deducendo la
violazione dell'art. 2,  comma  3  L.R.  Veneto  n.  4/2015,  chiede:
l'accertamento negativo del  diritto  del  Comune  di  pretendere  il
conguaglio del costo di  costruzione  in  relazione  al  permesso  di
costruire n. 9238 del 2 luglio 2008 (per un importo di € 6.843,96) ed
alla successiva voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009 (per  un  importo
di € 935,48); l'annullamento dell'intimazione di pagamento prot. 3713
del 13 marzo 2017 e della nota prot. 05489 del  10  aprile  2017;  la
condanna del comune alla restituzione la somma di € 935,48, pagata da
General Beton Italy s.r.l.  a  titolo  di  conguaglio  del  costo  di
costruzione per la voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009. 
    5. Si e' costituito il Comune  di  Romano  d'Ezzelino,  eccependo
preliminarmente  l'inammissibilita'  del  ricorso  per   difetto   di
interesse, ritenendo l'atto impugnato (nota  prot.  n.  3713  del  13
marzo 2017) meramente confermativo dell'ingiunzione notificata  il  4
dicembre 2014, alla quale dovrebbe ricondursi l'effetto lesivo  della
sfera giuridica della societa'. 
    6. Nel  merito,  si  e'  difeso  evidenziando  che  il  costo  di
costruzione,   quale   entrata   paratributaria   dei    comuni    e'
irrinunciabile e deve essere  quantificato  in  base  alla  normativa
vigente al  momento  del  rilascio  del  titolo.  Ebbene,  il  titolo
originario e' stato rilasciato quando era gia' in vigore  l'art.  16,
comma 9,  D.P.R.  n.  380/2001  e,  ciononostante,  il  comune  aveva
erroneamente applicato le aliquote regionali previgenti. La richiesta
di conguaglio da parte del comune  era,  pertanto,  doverosa,  ed  e'
stata effettuata, per la prima volta, con l'intimazione di  pagamento
del 4 dicembre 2014, in data precedente all'entrata in  vigore  della
L.R Veneto n. 4/2015. Per tale ragione la legge Regionale  n.  4/2015
non sarebbe applicabile alla fattispecie. 
    7. Inoltre, ha evidenziato  che  sia  il  permesso  di  costruire
rilasciato alla sig.ra Zarpellon n. 9238 del 2 luglio  2008,  sia  la
voltura in favore della General Beton (provvedimento del  13  gennaio
2009, prot. n. 9474), sia le varianti successivamente ottenute  dalla
societa'  il  15  maggio  2009  ed  il  16  agosto  2010,  indicavano
espressamente che il costo di costruzione era determinato  «ai  sensi
del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001  e  salvo
conguaglio», ragion per cui  la  ricorrente  era  ben  conscia  della
possibilita' che il quantum debeatur fosse modificato, cosi' come era
a conoscenza dei parametri normativi cui far riferimento per l'esatta
quantificazione della quota di contributo dovuta, poiche'  il  D.P.R.
n. 380/2001 era espressamente richiamato nei titoli cui  afferiva  la
richiesta di conguaglio. 
    8. Ha specificato,  inoltre,  che,  in  base  all'interpretazione
giurisprudenziale  maggioritaria,  l'art.  16,  comma  9,  D.P.R.  n.
380/2001 e' norma espressione di un principio generale e di immediata
applicazione nel caso in cui le regioni  non  abbiano  adeguato  alla
misura minima da essa prevista le aliquote previgenti. 
    Chiede, pertanto, che il ricorso sia dichiarato  inammissibile  o
rigettato nel merito. 
    9. In vista  dell'udienza  pubblica  le  parti  hanno  presentato
ulteriori scritti difensivi  in  cui  hanno  ribadito  le  rispettive
posizioni. 
    10. Nella memoria di replica  depositata  dal  Comune  di  Romano
d'Ezzelino in data 19 settembre 2018, il medesimo ha chiesto che,  in
via subordinata, ove si ritenga applicabile alla fattispecie  de  qua
l'art. 2, comma 3, L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n.  4,  sia  sollevata
questione di legittimita' costituzionale della norma  per  violazione
degli articoli 117,  terzo  comma,  119,  secondo  comma  e  3  della
Costituzione. 
    11. All'udienza dell'11 ottobre 2018 le parti hanno  discusso  la
causa che e' stata trattenuta in decisione. 
    12.  Il  Collegio  dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, comma 3, L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4,  nella  parte
in cui incide sulla pretesa creditoria  dei  comuni  ad  ottenere  il
pagamento  della  quota  del  costo  di  costruzione   nella   misura
determinata ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell'art. 16, comma
9, decreto del Presidente della  Repubblica  380/01,  per  violazione
degli articoli 3, 5, 97, 114, 117 comma III; 118, comma I; 119, commi
I, II e IV; 117, comma II, lettera l) della Costituzione. 
    13. Preliminarmente, al fine di evidenziare  la  rilevanza  della
questione   di   legittimita'   costituzionale   per   la   decisione
dell'odierno ricorso, e'  necessario  soffermarsi  sull'eccezione  di
inammissibilita' del ricorso sollevata dal comune resistente. 
    Il comune afferma, infatti, che la nota  prot.  n.  3713  del  13
marzo  2017,  oggetto  dell'odierna  impugnazione,  costituisca  atto
meramente confermativo dell'intimazione di pagamento notificata  alla
societa' ricorrente in data 4 dicembre 2014 e non impugnata,  e  che,
pertanto, il ricorso sarebbe da ritenersi inammissibile  per  carenza
di interesse, essendo stato impugnato  un  atto  privo  di  efficacia
immediatamente lesiva. 
    L'eccezione  non  e'   fondata.   Essa   presuppone   la   natura
provvedimentale   ed   autoritativa   degli   atti   con   i    quali
l'Amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione  e
la loro conseguente  impugnabilita'  entro  il  termine  decadenziale
previsto dall'art. 29 c.p.a. Solo partendo da tale premessa, infatti,
potrebbe sostenersi che l'impugnazione di una  diffida  di  pagamento
successiva  alla  riliquidazione  del  contributo  sia   tardiva   ed
inammissibile. 
    L'assunto di partenza, tuttavia,  e'  smentito  dall'orientamento
giurisprudenziale, ormai consolidato (cfr. da  ultimo,  Cons.  Stato,
Ad. Plen. , 30 agosto 2018, n. 12; cfr., altresi',  ex  multis  Cons.
Stato Sez.  IV  sentenza,  27  settembre  2017,  n.  4515,  Tribunale
amministrativo regionale Veneto Venezia Sez. II sentenza,  13  maggio
2016, n. 479),  dal  quale  il  Collegio  non  rinviene  ragioni  per
discostarsi, secondo cui le controversie in materia di determinazione
della misura dei contributi edilizi non  hanno  natura  impugnatoria,
concernendo    l'accertamento    di    una     pretesa     creditoria
dell'Amministrazione,  avente  natura  di  prestazione   patrimoniale
imposta, non tributaria, di cui la legge  integralmente  predetermina
presupposto e contenuti (cosi', Cons. Stato,  Ad.  Plen.,  30  agosto
2018, n. 12:  «la  controversia  in  ordine  alla  spettanza  e  alla
liquidazione  del  contributo  per  gli  oneri   di   urbanizzazione,
riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice  amministrativo  a
norma dell'art. 16 della legge n. 10 del 1977 e, oggi, dell'art. 133,
comma 1, lettera f), c.p.a.,  ha  ad  oggetto  l'accertamento  di  un
rapporto di  credito  a  prescindere  dall'esistenza  di  atti  della
pubblica amministrazione e non e' soggetta alle regole  delle  azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e  ai  rispettivi
termini di decadenza.»). 
    Tali  controversie,  pertanto,  non   soggiacciono   al   termine
decadenziale previsto per le azioni di annullamento («le controversie
in  tema  di  determinazione  della  misura  dei  contributi  edilizi
concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono  origine
direttamente da fonti normative,  sicche'  sarebbero  proponibili,  a
prescindere dall'impugnazione di provvedimenti  dell'amministrazione,
nel termine di prescrizione» Consiglio di Stato, sez. IV, 20 novembre
2012 n. 6033; Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 1992, n. 360). 
    Pertanto la mancata impugnazione, entro il  termine  decadenziale
previsto  dall'art.  29  c.p.a.  dell'atto  di   riliquidazione   del
contributo e richiesta di conguaglio notificato nel 2014, non  incide
sull'ammissibilita' del giudizio con cui e'  contestata  la  suddetta
pretesa  creditoria,  cio'  anche  ove  l'azione  proposta  fosse  di
annullamento. 
    Nel caso di specie,  peraltro,  il  ricorrente  ha  espressamente
proposto - oltre all'azione impugnatoria - l'azione  di  accertamento
negativo del credito vantato  dall'Amministrazione  comunale  con  le
richieste di pagamento, si'  che  neppure  si  pone  un  problema  di
riqualificazione della pretesa azionata. 
    14. In merito alla rilevanza della questione ai fini del presente
giudizio il Collegio osserva quanto segue. 
    14.1  Pacifici  tra  le  parti  i  fatti,  la   decisione   della
controversia impone la soluzione di un'unica  questione  di  diritto,
ovvero l'applicabilita' alla fattispecie della  disposizione  di  cui
all'art. 2, comma 3, L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4. 
    Il ricorrente, infatti, afferma che  la  pretesa  del  comune  al
pagamento  del  conguaglio  sarebbe   infondata,   ostando   al   suo
accoglimento l'entrata in vigore la L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4,
il cui art. 2, comma 3, cosi' recita: «3.  Resta  fermo  quanto  gia'
determinato  dal  comune,  in  relazione  alla  quota  del  costo  di
costruzione, prima dell'entrata in vigore  della  presente  legge  in
diretta  attuazione  del  comma  9  dell'art.  16  del  decreto   del
Presidente  della  Repubblica   n.   380   del   2001,   purche'   la
determinazione sia avvenuta all'atto del  rilascio  del  permesso  di
costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio.». 
    14.2 La difesa del  comune  sostiene  che  la  disposizione,  non
avendo efficacia retroattiva, non si applicherebbe  alla  fattispecie
in esame,  in  cui  la  richiesta  di  conguaglio  e'  stata  inviata
dall'Amministrazione, per la prima volta, il  4  dicembre  2014  (con
intimazione ad eseguire il pagamento entro sessanta giorni), ossia in
data anteriore al 4 aprile 2015, data  di  entrata  in  vigore  della
legge Regionale n. 4/2015 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale  della
Regione Veneto del 20 marzo 2015, n. 27). 
    Ad  avviso  del  Comune,  il  ricorrente,   resosi   inadempiente
all'obbligo di corrispondere la somma dovuta a titolo  di  conguaglio
entro  i  sessanta  giorni  dalla  ricezione  dell'intimazione,   non
potrebbe giovarsi della disposizione sopravvenuta. 
    14.3 Il Collegio ritiene che l'interpretazione della disposizione
offerta dal comune non  sia  condivisibile  e  che  la  norma  debba,
invece, trovare applicazione anche nel presente giudizio. 
    Benche' la disposizione  non  si  qualifichi  espressamente  come
retroattiva, tuttavia,  un'esegesi  della  medesima,  condotta  sulla
scorta dei canoni ermeneutici letterale, teleologico  e  sistematico,
pare deporre per l'applicabilita' della stessa anche ai casi  in  cui
la richiesta di conguaglio da parte  dell'Amministrazione  sia  stata
effettuata prima della sua entrata in vigore. 
    14.4 Giova premettere, al fine di illustrare le ragioni di quanto
si afferma, la ricostruzione del quadro ordinamentale  entro  cui  la
norma si inserisce e della evoluzione  giurisprudenziale  che  ne  ha
preceduto l'approvazione. 
    14.5 La disposizione in esame e' contenuta all'interno del  testo
normativo con cui il legislatore regionale, a quasi  dodici  anni  di
distanza dall'entrata in vigore del  Testo  Unico  dell'edilizia,  ha
dato attuazione al disposto di cui all'art. 16, comma 9  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001, definendo i criteri  per  il
calcolo del contributo afferente al costo di costruzione, sulla  base
dei parametri previsti dalla disposizione di fonte statale. 
    L'art. 16, comma 9 decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001 prevede che le regioni determinino i criteri per il  calcolo
di tale componente  del  contributo  di  costruzione  e  definisce  i
parametri a cui il legislatore regionale  deve  far  riferimento:  il
contributo per il costo di costruzione deve costituire una quota  del
suddetto costo compresa tra il cinque ed il venti percento, variabile
in   funzione   delle   caratteristiche,   delle   tipologie,   della
destinazione e dell'ubicazione delle costruzioni (art.  16,  comma  9
decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001:  «Il  costo  di
costruzione per i nuovi edifici e' determinato  periodicamente  dalle
regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili  per  l'edilizia
agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del
primo comma dell'art. 4 della legge 5 agosto 1978,  n.  457.  Con  lo
stesso provvedimento le regioni identificano classi  di  edifici  con
caratteristiche  superiori  a  quelle   considerate   nelle   vigenti
disposizioni di legge per l'edilizia agevolata,  per  le  quali  sono
determinate maggiorazioni del detto costo di  costruzione  in  misura
non superiore al 50 per  cento.  Nei  periodi  intercorrenti  tra  le
determinazioni  regionali,  ovvero  in  eventuale  assenza  di   tali
determinazioni, il costo di costruzione e' adeguato  annualmente,  ed
autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione  dei  costi  di
costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT).
Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una  quota
di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che  viene
determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche  e  delle
tipologie  delle   costruzioni   e   della   loro   destinazione   ed
ubicazione.»). 
    Il legislatore Veneto, ha dato attuazione all'art.  16,  comma  9
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, sostituendo  con
il comma 1 dell'art. 2, della legge regionale n. 4/2015 la tabella A4
della legge regionale n. 61 del 1985. 
    Al comma 2, ha, poi, previsto che i nuovi criteri  si  applichino
anche «ai procedimenti in corso relativi ai permessi di costruire nei
quali il comune non abbia ancora provveduto a  determinare  la  quota
del costo di costruzione». 
    Infine, al comma 3, ha stabilito che: «Resta  fermo  quanto  gia'
determinato  dal  comune,  in  relazione  alla  quota  del  costo  di
costruzione, prima dell'entrata in vigore  della  presente  legge  in
diretta  attuazione  del  comma  9  dell'art.  16  del  decreto   del
Presidente  della  Repubblica   n.   380   del   2001,   purche'   la
determinazione sia avvenuta all'atto del  rilascio  del  permesso  di
costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio». 
    La previgente tabella A4 della legge Regionale 27 giugno 1985, n.
61  («Norme  per  l'assetto  e  l'uso  del   territorio»)   prevedeva
un'aliquota minima del 1,5%. La disposizione  aveva  dato  attuazione
all'art. 6, comma 3, della legge n. 10/1977  che,  nel  testo  allora
vigente (risultante dalle modifiche  di  cui  all'art.  9,  comma  6,
decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 25  marzo  1982,  n.  94),  senza  prevedere  un'aliquota
minima, stabiliva che il contributo afferente al costo di costruzione
fosse determinato in misura percentuale non superiore al 10%. 
    Pervero,  successivamente,  con  l'art.  7,  comma  2,  legge  24
dicembre 1993, n. 537 (rimasto in vigore fino all'entrata  in  vigore
del Testo unico dell'edilizia)  il  legislatore  statale  aveva  gia'
modificato  il  parametro,  prevedendo  che   il   contributo   fosse
determinato in una percentuale compresa tra il cinque ed il venti per
cento del costo  di  costruzione,  cosi'  riportandolo  alla  cornice
prevista dalla formulazione originaria dell'art. 6, comma 3 legge  28
gennaio 1977, n. 10.  Il  legislatore  Veneto,  tuttavia,  non  aveva
apportato modifiche alla tabella A4 della legge Regionale  27  giugno
1985, n. 61, rimasta in vigore nella sua originaria formulazione. 
    L'entrata in vigore del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 380/2001 (il 30 giugno 2003), avvenuta quasi contestualmente  alla
modifica del Titolo  V  della  Costituzione,  ad  opera  della  legge
costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, ha  imposto  la  verifica  della
conformita' della legislazione regionale  in  materia  edilizia  alle
norme di principio poste dal Testo unico, atteso che i suoi  articoli
1 e 2  espressamente  qualificano  le  norme  di  principio  in  esso
contenute, come principi fondamentali della  materia,  entro  cui  le
Regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente. 
    Anche nell'assetto dei rapporti tra Stato  e  regioni  risultante
dalla riforma costituzionale, infatti, la  materia  dell'edilizia  e'
rimasta  attratta  alla  potesta'  legislativa  concorrente,  essendo
riconducibile - come ha confermato la Corte costituzionale  (sentenze
n. 303, 307, 362 del 2003, n. 196 del 2004) - alla  materia  «governo
del territorio» contenuta nell'elenco di cui al comma  III  dell'art.
117 Cost. 
    La questione fu affrontata con una norma transitoria,  l'art.  13
L.R. Veneto n. 16/2003, ma non risolta, poiche' essa  si  limitava  a
prevedere che: «1. Fino all'entrata in vigore della  legge  regionale
di  riordino  della  disciplina  edilizia  trovano  applicazione   le
disposizioni di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380 "Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in  materia  di  edilizia"e  successive  modificazioni,
nonche' le disposizioni della legge regionale 27 giugno 1985,  n.  61
"Norme  per  l'assetto  e  l'uso   del   territorio"   e   successive
modificazioni, che  regolano  la  materia  dell'edilizia  in  maniera
differente dal testo unico e non siano in contrasto  con  i  principi
fondamentali desumibili dal testo unico medesimo.». 
    Nel dibattito che la norma ha suscitato sull'individuazione,  per
i  vari  istituti,  delle  norme  di   fonte   statale   direttamente
applicabili e di quelle della L.R. 27 giugno  1985,  n.  61,  non  in
contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico,  si
sono inserite diverse pronunce  di  questo  Tribunale  amministrativo
regionale, che - per quanto rileva in questa sede - hanno  affrontato
la questione relativa  alla  diretta  applicabilita'  sul  territorio
regionale della  aliquota  minima  prevista  dall'art.  16,  comma  9
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, sia in  sede  di
determinazione del contributo all'atto del rilascio del  titolo,  sia
con successive richieste di conguaglio. 
    Le pronunce (T.A.R. Veneto, Sez. II, 1° febbraio  2011,  n.  181;
Tribunale amministrativo regionale Veneto, Sez. II, 1° febbraio 2011,
n. 189; Tribunale amministrativo regionale Veneto, Sez. II, 9 ottobre
2014, n. 1285; Tribunale amministrativo regionale Veneto, Sez. II, 16
luglio 2014, n. 1035) hanno risolto la questione  affermando  che  la
norma di cui all'art. 16,  comma  9,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  380/2001  «deve  essere  interpretata  nel  senso  di
disporre l'immediata applicazione della percentuale minima  prevista,
corrispondente al  5%,  mentre  resta  nella  discrezionalita'  delle
regioni  determinare  in  misura  superiore  detta  percentuale,   in
relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9» e che  «Tale
interpretazione  (...)  risponde  anche  all'esigenza  di  assicurare
un'uniformita' nella determinazione del costo di costruzione su tutto
il territorio nazionale,  a  prescindere  dall'esercizio  del  potere
normativo  riconosciuto  alle  singole  Regioni.»   (cfr.   Tribunale
amministrativo regionale Veneto, Sez. II, 1° febbraio 2011, n. 181). 
    La soluzione interpretativa accolta dal Tribunale  amministrativo
regionale ha trovato conferma anche presso il Giudice  amministrativo
d'appello. 
    Il Consiglio di Stato, nella sentenza 21 dicembre 2016, n.  5402,
pronunciandosi sul gravame proposto  avverso  la  sentenza  Tribunale
amministrativo regionale Veneto, Sez. II, 16 luglio 2014, n. 1035, ha
affermato che la norma statale, «nel fissare direttamente  l'aliquota
minima di legge e' comunque inderogabile e  ineludibile  in  base  al
principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi  dell'art.
119, comma 2, Cost., serve altresi' ad  evitare  gli  effetti  nocivi
d'ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che
la Regione non intervenga o a confermarla o a porne una  superiore  a
quella  minima,  ossia  a  quella  ritenuta  congrua  quale   livello
essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini  perequativi  del
prelievo, per tutto il territorio della Repubblica». 
    Chiarito dalle suddette pronunce  che  l'importo  del  contributo
andava quantificato facendo  applicazione  della  norma  statale,  le
amministrazioni comunali  che  avevano  continuato  ad  applicare  la
normativa regionale hanno  dato  avvio  alle  azioni  necessarie  per
ottenere  il  pagamento  del  maggiore  importo  dovuto  in   diretta
attuazione della norma statale, mediante richieste di conguaglio. 
    Come emerge dal comunicato con il quale il Consiglio regionale ha
dato notizia dell'approvazione della legge  regionale  di  attuazione
dell'art. 16, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica n.
380/2001, l'avvio di tali azioni ha indotto il legislatore  regionale
ad introdurre la  previsione  di  cui  all'art.  2,  comma  3,  sopra
riportato. 
    Il  Consiglio  regionale   ha,   infatti,   affermato   che   con
l'intervento normativo in esame «non potranno  esserci  richieste  di
conguaglio  successive  all'atto  del  rilascio   del   permesso   di
costruire,  cosa  che  alcuni  comuni,  per   timore   di   possibili
responsabilita' contabili, stavano iniziando a fare». 
    14.6 Merita, inoltre,  osservare  che  l'intervento  normativo  -
oltre al problema interpretativo relativo alla disciplina applicabile
nelle more dell'adeguamento della  legislazione  regionale  a  quella
statale di principio - incrocia l'ulteriore dibattuta tematica -  che
solo di recente ha trovato compiuta soluzione -  sulla  natura  degli
atti di determinazione e liquidazione del contributo di  costruzione,
nonche'  sulla   ammissibilita'   ed   i   presupposti   della   loro
modificazione. 
    Prima che si esprimesse  l'Adunanza  Plenaria  del  Consiglio  di
Stato, con la  sentenza  11  luglio  2018  n.  12,  le  differenziate
posizioni  della  giurisprudenza  si   erano   polarizzate   su   tre
impostazioni interpretative. 
    Secondo una prima tesi, la determinazione del contributo  darebbe
luogo ad un rapporto paritetico che, seppur  azionabile  da  ambo  le
parti nel rispetto del  termine  prescrizionale  ordinario  di  dieci
anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento  del  rilascio  del
titolo edilizio, ostando a successive  sue  modifiche  la  disciplina
dell'errore riconoscibile prevista dall'art. 1431 del  codice  civile
L'errore  nella  quantificazione  costituirebbe  una  vicenda   tutta
interna al dichiarante che, per tale  ragione,  non  potrebbe  essere
posto  a  fondamento  di  alcuna  modifica  in  peius  del  contenuto
dell'obbligazione cosi' come originariamente definito. 
    Una seconda tesi, muovendo anch'essa dalla natura paritetica  del
rapporto,  perveniva  all'opposta  conseguenza   della   sua   libera
rettificabilita' entro il termine di prescrizione decennale, perche',
per  un  verso,  non  venendo  in  rilievo  atti   autoritativi,   il
procedimento sarebbe svincolato  dal  rispetto  delle  condizioni  di
esercizio dell'autotutela amministrativa e, per altro verso,  essendo
l'obbligazione  definita  da   rigidi   parametri   regolamentari   o
tabellari,  la  sua  quantificazione  secondo  il  contenuto   legale
costituirebbe per l'Amministrazione un atto dovuto. 
    Terza  e  piu'   recente   impostazione,   muove   dalla   natura
pubblicistica  del  rapporto  nascente   dalla   determinazione   del
contributo, per affermare la conseguente applicabilita', in astratto,
delle regole dell'autotutela amministrativa. 
    Il legislatore regionale, con la disposizione in  esame  -  nella
quale prevede di «tener ferme» le sole determinazioni con cui  si  e'
fatta  diretta  applicazione  dell'art.  16,  comma  9  decreto   del
Presidente  della  Repubblica  n.   380/2001   che   siano   avvenute
contestualmente al rilascio del  permesso  di  costruire  e  non  con
successivi conguagli - ha espresso una chiara opzione  per  la  prima
delle tesi richiamate, codificandone gli esiti. 
    Ha,  infatti,  escluso  per  espressa   disposizione   di   legge
l'ammissibilita' del conguaglio che miri a recuperare  l'importo  del
contributo nella misura minima prevista dalla  legislazione  statale,
con il chiaro intento di evitare che i comuni potessero  accedere  ad
altre possibili opzioni interpretative della disciplina degli atti di
determinazione e liquidazione del contributo di costruzione. 
    14.7  Tenendo  conto  del  contesto  nel  quale  e'  maturata  la
previsione in esame, l'art. 2, comma 3, L.R. Veneto 16 marzo 2015, n.
4 appare piu' chiaro nel suo contenuto dispositivo. 
    14.8 Il tenore letterale della disposizione sembra sovvertire gli
esiti  dell'elaborazione  giurisprudenziale   circa   l'assetto   dei
rapporti tra norma statale e  norma  regionale  nella  materia  della
determinazione del contributo afferente al costo di costruzione. 
    Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la disposizione  di
fonte regionale, si afferma che «resta fermo» quanto  determinato  in
diretta applicazione dell'art. 16, comma  9  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001, ma soltanto se tale determinazione  sia
stata effettuata contestualmente al rilascio del titolo («Resta fermo
quanto gia' determinato dal comune (...) in  diretta  attuazione  del
comma 9 dell'art. 16 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380 del 2001, purche' la determinazione  sia  avvenuta  all'atto  del
rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta
di conguaglio»). 
    Quale che sia il presupposto in forza del quale il legislatore si
sia determinato ad esprimersi in tale forma, comunque,  al  contenuto
dispositivo   della   norma   sembra   doversi   attribuire   portata
retroattiva. 
    La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai  comuni
di chiedere e di  riscuotere  soltanto  gli  importi  del  contributo
quantificati in base alla norma statale contestualmente  al  rilascio
del titolo, inibendo la  riscossione  del  conguaglio  anche  ove  la
relativa richiesta sia stata effettuata prima dell'entrata in  vigore
della L.R. Veneto n. 4/2015. 
    Infatti, atteso che la norma si inserisce all'interno  del  testo
normativo di fonte regionale che  ha  dato  attuazione  all'art.  16,
comma 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, essa
non puo' applicarsi alle  determinazioni  del  contributo  successive
all'entrata  in  vigore  della  norma  stessa,  per   le   quali   si
applicheranno le nuove aliquote. 
    Essa si  rivolge,  quindi  alle  «determinazioni»  gia'  avvenute
(quindi  ai  titoli  gia'  rilasciati)  per  affermare   che   quelle
effettuate dando diretta attuazione all'art. 16, comma 9 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001, restano ferme - e quindi
potranno essere fatte valere  e  portate  ad  esecuzione  -  solo  se
contestuali al rilascio del titolo. 
    Il contenuto precettivo della disposizione  appare  integralmente
definito in tale parte del comma: esso determina compiutamente sia la
sorte delle «determinazioni» effettuate sulla  scorta  dell'art.  16,
comma 9 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001  (che
«restano  ferme»),  sia  di  quelle  effettuate  sulla  scorta  della
legislazione regionale (che non potranno essere integrate). 
    Il riferimento alle «successive richieste di conguaglio»,  appare
una  semplice  specificazione  di  un  concetto  gia'   compiutamente
espresso con la locuzione che la  precede  e,  pertanto,  non  sembra
potersi valorizzare al  fine  di  affermare  che  l'impedimento  alla
riscossione  derivante  dalla  disposizione  riguardi   soltanto   le
richieste di conguaglio successive alla sua entrata in vigore. 
    Il tenore precettivo della disposizione -  che  consente  di  far
valere solo le  determinazioni  direttamente  attuative  della  norma
statale  effettuate  contestualmente  al  rilascio   del   titolo   -
resterebbe, infatti, intatto anche in assenza di tale specificazione. 
    D'altronde una diversa soluzione interpretativa - che  la  difesa
del  comune  ha  proposto  nei  suoi  scritti  difensivi   -   appare
incompatibile con la natura non autoritativa riconosciuta  agli  atti
di determinazione del  contributo  ed  a  quelli  con  i  quali  tale
determinazione venga modificata. 
    Solo  attribuendo  ad  essi  natura   provvedimentale,   potrebbe
distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio inviate prima
e dopo l'entrata in vigore della norma. 
    Poiche', pero', e' stato  ormai  chiarito  che  tali  atti  hanno
natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un diritto  di
credito, la norma viene ad incidere sui rapporti obbligatori che sono
sorti, ex lege, per effetto del rilascio del titolo, e quindi appare,
nel suo contenuto dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie
alla riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti  alla
sua entrata in vigore. 
    Da tutto quanto sopra, emerge la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale della norma nel presente giudizio. 
    15. Deve, inoltre, premettersi, sempre in punto di rilevanza, che
la  norma  non  appare   suscettibile   di   alcuna   interpretazione
costituzionalmente orientata, atteso che essa  esclude  espressamente
l'applicazione della disposizione di principio di fonte statale per i
rapporti  conseguenti  alle   determinazioni   e   liquidazioni   del
contributo che siano state erroneamente effettuate sulla  scorta  dei
parametri previsti dalla previgente tabella A4 della legge  regionale
n. 61/85, impedendo, cosi' - in violazione degli articoli 3, 5,  117,
II comma, lettera l) e III comma, 118, I  comma,  119,  I,  II  e  IV
comma, Cost.  -  l'applicazione  diretta  della  norma  di  principio
dettata  dal  legislatore  statale   in   materia   di   legislazione
concorrente a tutela di esigenze  unitarie  di  prelievo  e  violando
l'autonomia di entrata e di spesa dei comuni. 
    La difesa del Comune,  peraltro,  nell'evidenziare  il  contrasto
della disposizione con la «norma cornice», di cui all'art. 16,  comma
9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 ed invocare per
tale ragione un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
norma, non propone alcuna soluzione ermeneutica  diversa  dalla  mera
disapplicazione della norma regionale,  che  non  trova  cittadinanza
nell'ordinamento e che contrasterebbe con  la  equiordinazione  della
funzione  legislativa  statale  e  regionale  prevista   e   tutelata
dall'art. 117, I comma, Cost. 
    Ne' costituirebbe un'interpretazione costituzionalmente orientata
quella volta ad escludere l'applicazione della norma per le richieste
di conguaglio anteriori all'entrata in vigore della disposizione. Non
si tratterebbe, infatti, di un'interpretazione che, tra  i  possibili
significati  del  testo  normativo,  accolga  quello  conforme   alle
disposizioni di rango costituzionale, ma solo  di  un'interpretazione
che mira a limitare la  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale alle richieste di conguaglio successive all'entrata in
vigore della disposizione. 
    Si e' gia' detto,  comunque,  che  tale  interpretazione  non  e'
praticabile, alla luce della formulazione della norma e  dello  scopo
avuto di mira dal legislatore. 
    16. Cosi' ricostruita la genesi e la  portata  applicativa  della
disposizione, per come risulta dalla sua interpretazione letterale  e
teleologica, il Collegio dubita della compatibilita' della norma  che
da essa si ricava con gli articoli 3, 5, 117, III comma, 119 I, II  e
IV comma, della Costituzione. 
    16.1  Il  legislatore  regionale  con  l'art  2,  comma  3  legge
regionale  n.  4/2015,  affermando  che   restano   ferme   solo   le
determinazioni del contributo effettuate in base dell'art. 16,  comma
9,   decreto   del   Presidente   della   Repubblica   n.    380/2001
contestualmente al rilascio del titolo edilizio - ed escludendo,  per
tale via, che la pretesa ad  ottenere  il  pagamento  del  contributo
nella misura minima del 5% previsto dalla legge Statale  possa  farsi
valere dai comuni con una successiva richiesta  di  conguaglio  -  ha
esercitato la propria potesta' legislativa in violazione della  norma
di principio contenuta nell'art. 16, comma 9 decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001, cosi' violando l'art. 117,  III  comma,
ultimo periodo, che riserva al legislatore statale la  determinazione
dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente. 
    Il legislatore regionale, infatti,  ha  disciplinato  i  rapporti
ancora pendenti - tra le amministrazioni comunali  e  i  cittadini  -
sorti nel periodo antevigente alla sua entrata in  vigore  sottraendo
all'applicazione della norma statale quei rapporti in  cui,  all'atto
del rilascio del titolo, l'Amministrazione erroneamente avesse omesso
di dare applicazione della norma statale di  principio,  rifacendosi,
invece,  alle  tabelle  previste  dalla  legislazione  regionale  (la
tabella A4 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61). 
    16.2 La natura di norma  di  principio  dell'art.  16,  comma  9,
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, nella  parte  in
cui definisce i limiti minimo e massimo di incidenza percentuale  sul
costo di costruzione della relativa componente del contributo, la sua
non   derogabilita'   dal   legislatore   regionale   e   l'immediata
applicabilita' della stessa da parte dei  comuni,  anche  in  assenza
della  normativa  regionale  di  adeguamento,  e'  stata  piu'  volte
ribadita dalla  giurisprudenza  amministrativa  di  questo  Tribunale
amministrativo regionale e del Consiglio di Stato. 
    Nella sentenza del  Tribunale  amministrativo  regionale  Veneto,
Sez.  II,  1°  febbraio  2011,  n.  181,  si  legge:  «La  richiamata
disposizione, nel disciplinare le modalita' di calcolo del  costo  di
costruzione, prevede che una quota dello stesso, variabile dal 5%  al
20%, sia determinata dalle regioni in funzione delle  caratteristiche
e delle tipologie delle  costruzioni  e  della  loro  destinazione  e
ubicazione. In  applicazione  dei  criteri  ermeneutici  letterale  e
teleologico, ad avviso  del  Collegio,  la  detta  disposizione  deve
essere interpretata nel senso di  disporre  l'immediata  applicazione
della percentuale minima prevista, corrispondente al 5%, mentre resta
nella discrezionalita' delle regioni determinare in misura  superiore
detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo
comma 9. 
    3.5. Tale interpretazione, peraltro, risponde anche  all'esigenza
di  assicurare  un'uniformita'  nella  determinazione  del  costo  di
costruzione  su  tutto  il  territorio   nazionale,   a   prescindere
dall'esercizio  del  potere  normativo  riconosciuto   alle   singole
regioni. La suddetta disposizione, dunque, non reca alcuna disciplina
transitoria, dovendo trovare immediata applicazione. 
    La  disposizione  in  esame,  piu'  specificamente,  distingue  i
meccanismi di determinazione del costo di costruzione dalle modalita'
di adeguamento automatico di detto costo; solo in relazione a  queste
ultime, infatti, si prevede un'applicazione degli indici  ISTAT  «nei
periodi intercorrenti tra  le  determinazioni  regionali,  ovvero  in
eventuale assenza di tali determinazioni». Da cio' si  trae,  dunque,
ulteriore conferma  dell'immediata  applicabilita'  della  richiamata
disposizione nella parte riferita alla percentuale del  5%,  ai  fini
della determinazione del costo di costruzione in se' considerato.». 
    Il Consiglio di Stato, Sez. I, nel parere del 3 dicembre 2014, n.
3819 reso in seno al ricorso straordinario al Capo dello Stato affare
n. 213/13, ha affermato che, poiche' viene in rilievo una materia  di
competenza  legislativa  concorrente:  «le  leggi  regionali  possono
essere emanate nell'ambito dei principi  fissati  dalle  leggi  dello
Stato» mentre «e' evidente che le regioni  non  hanno  il  potere  di
derogare  ai  minimi  stabiliti  nell'art.  16  della   decreto   del
Presidente  della  Repubblica  n.   380/2001   per   quanto   attiene
l'applicazione delle percentuali da applicare per  il  calcolo  e  la
definizione  dei  contributi  afferente  al  permesso  di  costruire.
Quindi,  l'art.  16  deve  essere  interpretato  nel  senso  che   la
percentuale minima, corrispondente al 5%,  deve  essere  applicata  a
partire dall'entrata in vigore delle legge  statale,  restando  nella
discrezionalita' delle Regioni determinare in misura superiore  detta
percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma
9 dell'art. 16.». 
    Tali affermazioni sono riprese dalla Sesta Sezione del  Consiglio
di Stato nella sentenza del 21 dicembre 2016,  n.  5402,  che  ancora
specifica: «per contro e sebbene alle regioni spetti la disciplina di
dettaglio pure in soggetta materia, al piu' la  diretta  applicazione
comunale della norma statale, che nel fissare direttamente l'aliquota
minima di legge e' comunque inderogabile e  ineludibile  in  base  al
principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi  dell'art.
119, comma 2, Cost., serve altresi' ad  evitare  gli  effetti  nocivi
d'ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che
la regione non intervenga o a confermarla o a porne una  superiore  a
quella  minima,  ossia  a  quella  ritenuta  congrua  quale   livello
essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini  perequativi  del
prelievo, per tutto il territorio della Repubblica». 
    E' opinione del  Collegio  che  la  ricostruzione  operata  dalla
giurisprudenza vada confermata, anche alla luce della  giurisprudenza
della Corte costituzionale in materia. 
    16.3 L'art. 16 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001, nel dettare i criteri di determinazione del  contributo  di
costruzione contribuisce a definire il contenuto dell'onere economico
gravante sul soggetto che  intenda  esercitare  lo  ius  aedificandi,
cosi'  concorrendo   a   determinare   l'effettiva   portata   e   la
caratterizzazione positiva del principio di onerosita'  del  permesso
di costruire. 
    La  Corte  costituzionale,  a  piu'  riprese,  ha  affermato  che
costituiscono  principi  fondamentali  della  materia  di  competenza
concorrente «governo del  territorio»  (e  prima  della  riforma  del
Titolo V della Costituzione, della materia  «urbanistica»)  le  norme
che concernono l'onerosita' del permesso  di  costruire,  nonche'  le
deroghe ed eccezioni al relativo principio. 
    Nella sentenza  n.  1033  del  1988,  la  Consulta,  chiamata  ad
esprimersi sulla compatibilita' con  le  norme  di  attuazione  dello
Statuto della Regione Sicilia (Legge cost. 26 febbraio 1948,  n.  3),
degli articoli 7  e  9  del  decreto-legge  23  gennaio  1982,  n.  9
(convertito nella legge 25 marzo 1982, n. 94), con cui il legislatore
statale aveva previsto  talune  ipotesi  di  deroga  all'obbligo  del
pagamento del contributo di costruzione e ipotesi  di  riduzione  del
contributo,  ha   evidenziato   che   rientrano   nell'ambito   delle
disposizioni  di  principio  non  soltanto  quelle  che   definiscono
l'onerosita' dell'attivita' edilizia, ma anche quelle che,  incidendo
su tale principio, «concorrono a determinare l'effettiva portata e la
caratterizzazione positiva del principio medesimo», in quanto ad esso
«legate  da  un  rapporto  di  coessenzialita'  o   di   integrazione
necessaria». 
    Sulla scorta di tali argomentazioni la  Corte  costituzionale  ha
riconosciuto la  natura  di  norme  di  principio  alle  disposizioni
contenenti deroghe o riduzioni dell'importo  ordinariamente  previsto
del contributo di costruzione. 
    Le medesime argomentazioni sono state ribadite, piu' di  recente,
nell'attuale  quadro  costituzionale  di   riparto   della   potesta'
legislativa, nella sentenza del 3 novembre 2016, n. 231, con la quale
la  Corte  costituzionale  si  e'  pronunciata  sulla  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. dell'art. 6,  commi  20  e  21,
primo trattino della legge della Regione Liguria n. 12 del 2015,  con
cui si prevedeva l'esonero dal  contributo  di  costruzione  per  due
categorie di interventi che, in base alla  legge  statale,  avrebbero
dovuto essere assoggettate a contribuzione. 
    In tale occasione la Corte, richiamando il precedente  del  1988,
ha nuovamente affermato che:  «L'onerosita'  del  titolo  abilitativo
«riguarda infatti un principio della disciplina un tempo  urbanistica
e oggi ricompresa fra le funzioni legislative  concorrenti  sotto  la
rubrica "governo del territorio"» (sentenza n. 303 del 2003), e anche
le deroghe al principio (elencate all'art. 17  del  TUE),  in  quanto
legate a quest'ultimo da un rapporto di coessenzialita',  partecipano
della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n.  1033  del
1988 e n. 13 del 1980).». 
    Anche la disposizione di cui al comma 9 dell'art. 16 del  decreto
del Presidente della Repubblica  n.  380/2001,  nella  parte  in  cui
individua i parametri per la determinazione del contributo, nella sua
componente relativa al costo di costruzione, appare  riconducibile  a
tale categoria di norme di principio, poiche' concorrendo a  definire
il contenuto dell'onere economico gravante sul soggetto  che  intenda
esercitare lo ius aedificandi, ne integra un aspetto essenziale. 
    16.4 Sotto  altro  profilo,  l'art.  16,  comma  9,  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,  come  condivisibilmente
ritenuto  da  Consiglio  di  Stato,  21  dicembre  2016,   n.   5402,
costituisce, altresi',  «principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica ai sensi dell'art. 119, comma 2,  Cost.»  e  dell'art.  117,
comma 3, Cost. 
    La giurisprudenza, sia amministrativa  che  civile,  rinviene  il
fondamento  causale  dell'obbligo  al  pagamento  del  contributo  di
costruzione  nella  compartecipazione   del   soggetto   che   assuma
l'iniziativa edificatoria ai costi per la realizzazione  delle  opere
di urbanizzazione in proporzione  all'insieme  dei  benefici  che  la
nuova costruzione consegue (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30
agosto 2018, n. 12; Cons. Stato Sez. V,  13  maggio  2002,  n.  2575;
Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 1998, n. 201; Cassazione sez. I,  27
settembre 1994, n. 7874). 
    La  definizione  di  criteri  uniformi  di  determinazione  della
prestazione imposta per l'intero territorio  nazionale  mira,  da  un
lato,  a  garantire  a  tutti  i  cittadini  parita'  di   condizioni
nell'esercizio dello ius aedificandi, dall'altro, e correlativamente,
ai comuni una quota minima di compartecipazione ai benefici derivanti
dall'esercizio dell'attivita' edificatoria. 
    Il contributo di costruzione costituisce, per  la  giurisprudenza
maggioritaria, un corrispettivo di diritto pubblico, avente carattere
generale e  non  tributario  (cfr.  da  ultimo  Consiglio  di  Stato,
adunanza plenaria, 30 agosto 2018, n.  12)  di  cui  e'  titolare  il
comune che rilascia il titolo edilizio.  Esso  rientra,  dunque,  nel
novero di quelle «risorse autonome» di cui i comuni,  secondo  quanto
prevede l'art. 119, comma 2 Cost., sono titolari. 
    Con la riforma del Titolo V della Costituzione, infatti, e' stata
prevista,  in  linea  di  principio,  l'equiordinazione  di   comuni,
province, citta' metropolitane e regioni, sul piano della  «autonomia
finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma). 
    L'art. 119, prevede che i suddetti enti hanno «risorse  autonome»
e «stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con
la Costituzione e secondo i principi di coordinamento  della  finanza
pubblica  e  del  sistema   tributario».   Inoltre   «dispongono   di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile  al  loro
territorio» (secondo comma). 
    Le risorse derivanti da  tali  fonti,  e  dal  fondo  perequativo
istituito dalla legge dello Stato, consentono - vale  a  dire  devono
consentire (cfr. Corte costituzionale 26 gennaio 2004, n. 37) -  agli
enti  di  «finanziare  integralmente  le  funzioni   pubbliche   loro
attribuite» (quarto comma), salva la possibilita'  per  lo  Stato  di
destinare risorse aggiuntive ed  effettuare  interventi  speciali  in
favore  di  determinati  comuni,  province,  citta'  metropolitane  e
regioni, per gli scopi di sviluppo  e  di  garanzia  enunciati  dalla
stessa norma o «per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio»
delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma). 
    Pertanto, alle  disposizioni  di  legge  statale  che,  ai  sensi
dell'art. 23 Cost., definiscono  i  criteri  per  la  quantificazione
delle prestazioni imposte spettanti ai comuni  dovrebbe  riconoscersi
natura di principi di coordinamento della finanza  pubblica,  poiche'
anche da esse dipende l'autonomia di entrata e di spesa  riconosciuta
agli enti territoriali, nonche' la concreta possibilita' di assolvere
alle funzioni ad essi attribuite, atteso che il  IV  comma  dell'art.
119, esclude che essi possano ricevere, in via  ordinaria,  ulteriori
risorse rispetto a quelle previste dal medesimo articolo. 
    16.5 Ad ulteriore conferma che l'art. 16,  comma  9  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  380/2001  costituisca  una  norma  di
principio, si osserva che i limiti quantitativi, minimo e massimo, da
essa individuati sono i medesimi di quelli che, fin dall'approvazione
dell'art. 6 della legge n. 10 del 28 gennaio  1977  (che  ha  sancito
l'onerosita' dell'attivita'  edificatoria),  il  legislatore  statale
aveva stabilito. 
    Tale criterio e' rimasto  invariato  fino  al  25  gennaio  1982,
quando l'art. 9, comma  6,  decreto-legge  23  gennaio  1982,  n.  9,
(convertito, con modificazioni, dalla legge 25  marzo  1982,  n.  94)
l'ha modificato, eliminando il limite minimo e riducendo  il  massimo
al 10%. Tuttavia, le  percentuali  minima  e  massima  del  costo  di
costruzione, sono state riportate a quelle originarie  con  l'entrata
in vigore dell'art. 7, comma 2, legge 24  dicembre  1993,  n.  537  e
riprodotte nel Testo Unico dell'edilizia. 
    16.6 L'art. 2, comma 3 L.R. Veneto n. 4/2015 nell'introdurre  una
disciplina parzialmente derogatoria rispetto all'art.  16,  comma  9,
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001  si  pone  in
contrasto anche con gli articoli 117, III comma, 118,  comma  I  e  5
della Costituzione di cui costituisce diretta applicazione l'art.  2,
comma 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. 
    La norma («Le disposizioni,  anche  di  dettaglio,  del  presente
testo unico, attuative dei principi di  riordino  in  esso  contenuti
operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto  ordinario,
fino a quando esse non si adeguano ai principi  medesimi.»)  contiene
una disciplina transitoria - destinata a trovare  applicazione  nelle
more  dell'adeguamento  della  legislazione  regionale  ai   principi
contenuti nel Testo unico dell'edilizia -  e  cedevole,  mediante  la
quale le disposizioni di dettaglio, attuative di norme  di  principio
contenute nel decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380/2001,
trovano immediata applicazione, fino all'adeguamento da  parte  delle
regioni. 
    Il meccanismo di coordinamento tra normativa statale e  regionale
nelle materie di  competenza  concorrente,  costituito  dalle  «norme
cedevoli», e' stato ritenuto dalla Corte costituzionale attuativo  di
quelle   esigenze   unitarie   di   regolamentazione   uniforme   che
l'ordinamento  costituzionale  continua  a  riconoscere   anche   nel
differente sistema di rapporti tra Stato e  regioni  delineato  dalla
legge costituzionale n. 1  del  2003  e  che  rinvengono  il  proprio
referente normativo nell'art. 118, comma 1 Cost., nella parte in  cui
codifica il principio di sussidiarieta'. 
    Nella sentenza n. 303/2003, la Corte costituzionale ha  affermato
che benche' «l'inversione della tecnica  di  riparto  delle  potesta'
legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze  dello  Stato
dovrebbe portare  ad  escludere  la  possibilita'  di  dettare  norme
suppletive  statali  in  materie  di  legislazione  concorrente,  (e)
tuttavia una simile lettura dell'art.  117  svaluterebbe  la  portata
precettiva dell'art. 118, comma primo, che consente l'attrazione allo
Stato,   per   sussidiarieta'   e   adeguatezza,    delle    funzioni
amministrative e delle correlative funzioni legislative»  e  che  «la
disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina  una
temporanea compressione della competenza  legislativa  regionale  che
deve ritenersi non irragionevole, finalizzata  com'e'  ad  assicurare
l'immediato svolgersi di funzioni  amministrative  che  lo  Stato  ha
attratto per soddisfare esigenze unitarie e che  non  possono  essere
esposte al rischio della ineffettivita'». 
    Le norme statali di dettaglio, espressione di principi  generali,
alle   quali   e'   attribuita   temporanea   vigenza   nelle    more
dell'adeguamento da parte delle regioni (per questo dette  «cedevoli»
rispetto alla legislazione regionale sopravvenuta), mirano ad evitare
che l'inerzia regionale ponga nel nulla l'individuazione dei principi
fondamentali  delle  materie  di  legislazione  concorrente,  che  e'
«riservata» al legislatore statale,  cosi'  preservando  la  suddetta
riserva e garantendo, nel contempo l'uniforme disciplina nazionale in
conformita' con gli stessi. 
    A  tale  esigenza  di  uniforme   disciplina   dei   criteri   di
determinazione del  contributo  di  costruzione  e'  improntata,  per
quanto si e' esposto nei punti del paragrafo 4,  la  disposizione  di
cui all'art. 16, comma 9, decreto del Presidente della Repubblica  n.
380/2001, nella parte  in  cui  definisce  la  percentuale  minima  e
massima  del  costo  di  costruzione  entro  cui  le  regioni  devono
individuare  la  quota  di  contributo  di  costruzione  per  singole
categorie di edifici. 
    L'art. 2, comma 3, legge regionale  n.  4/2015,  introducendo  un
regime differenziato di determinazione del contributo di  costruzione
rispetto a quello applicabile sull'intero  territorio  nazionale  per
talune fattispecie (quelle per le quali  il  contributo  fosse  stato
determinato secondo  parametri  diversi  da  quello  minimo  previsti
dall'art. 16, comma 9, decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001),  si  e'  posto  contro   quelle   esigenze   di   uniforme
regolamentazione presidiate dagli articoli 118, comma  I  e  5  della
Costituzione,  rendendo  definitiva  la  violazione  della  norma  di
principio che il mancato tempestivo  adeguamento  della  legislazione
regionale aveva prodotto. 
    17. Sotto altro profilo, l'art. 2, comma 3 L.R. Veneto n. 4/2015,
escludendo che i comuni  possano  pretendere  con  una  richiesta  di
conguaglio il pagamento del contributo nella misura  minima  prevista
dalla norma  di  legge  statale,  incide  e  viola  il  principio  di
equiordinazione tra Enti territoriali, previsto dall'art. 114  Cost.,
nonche' l'autonomia di entrata e  di  spesa  riconosciuta  ai  comuni
dall'art. 119, comma I, II  e  IV  Cost.  e  il  principio  di  buona
amministrazione, previsto dall'art. 97 Cost. 
    Il contributo di costruzione,  come  si  e'  detto,  essendo  una
prestazione imposta che i  comuni  hanno  diritto  di  riscuotere  in
conseguenza del rilascio del permesso di  costruire,  ne  costituisce
un'entrata propria, istituita con legge statale. 
    Ai sensi  del  IV  comma  dell'art.  119  Cost.,  questa  entrata
concorre con le altre entrate di natura tributaria e non  tributaria,
nonche' con le risorse trasferite ai sensi ed alle condizioni di  cui
ai commi III e V, al finanziamento «integrale» delle spese necessarie
per l'espletamento delle proprie funzioni. 
    La norma regionale, escludendo che i  comuni  possano  pretendere
con una richiesta di conguaglio il  pagamento  del  contributo  nella
misura minima prevista dalla norma di legge  statale,  incide  su  un
credito  gia'  acquisito  al  patrimonio  comunale  per  effetto  del
rilascio del permesso di costruire e viola l'autonomia di  entrata  e
di spesa riservata ai comuni, in tal modo ledendo anche il  principio
di equiordinazione  tra  gli  enti  territoriali  che  compongono  la
Repubblica, sancito dall'art. 114 Cost. 
    Inoltre, la norma si pone in contrasto con il principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione perche' impedisce ai  comuni
di  far  valere  e  riscuotere  nella  loro  interezza  crediti  gia'
acquisiti al patrimonio,  in  assenza  di  alcuna  valutazione  sulla
sostenibilita' economica di tale rinuncia. 
    18. La norma, inoltre, invade la sfera  di  potesta'  legislativa
esclusiva  nella  disciplina  dell'ordinamento  civile  riservata  al
legislatore statale dall'art. 117, comma II, lettera  l)  e  viola  i
principi di uguaglianza e ragionevolezza previsti dall'art. 3 Cost. 
    Come si e' gia' evidenziato,  il  legislatore  regionale  con  la
norma in esame ha dettato una disciplina speciale  per  gli  atti  di
determinazione e liquidazione  del  contributo  di  costruzione  gia'
emessi, sottraendo ai comuni il  potere  di  rideterminare  l'importo
gia' liquidato sulla scorta della disciplina regionale antevigente  e
di riscuoterlo. 
    Cosi' facendo si e' inserita nel dibattito - all'epoca non ancora
sopito - sulla natura, autoritativa o paritetica, degli atti con  cui
l'Amministrazione determina e liquida  l'importo  del  contributo  di
costruzione e sull'ammissibilita', e le  relative  condizioni,  della
rideterminazione del suddetto importo. 
    Prima dell'intervento dell'Adunanza  Plenaria  del  Consiglio  di
Stato, con la sentenza del 30 agosto 2018, n. 12, sulla questione, si
erano contrapposti tre orientamenti interpretativi. 
    Secondo una prima impostazione, fatta propria  dal  Consiglio  di
giustizia amministrativa (nelle sentenze nn. 64, 188, 244, 373, 422 e
790 del 2007), la determinazione del contributo darebbe luogo  ad  un
rapporto paritetico che, seppur  azionabile  da  ambo  le  parti  nel
rispetto del termine  prescrizionale  ordinario  di  dieci  anni,  si
cristallizzerebbe nel quantum al  momento  del  rilascio  del  titolo
edilizio, nel  senso  che  lo  stesso  non  sarebbe  suscettibile  di
modifiche  successive  (se  non  nei  casi  di  manifesto  errore  di
calcolo), in quanto, in applicazione dei  principi  desumibili  dalla
disciplina  dei  contratti,  non  darebbe  mai  luogo  ad  un  errore
riconoscibile  (donde  l'intangibilita'  pressoche'  assoluta   della
originaria determinazione amministrativa). 
    Una seconda tesi, che e' stata seguita in alcune  sentenze  della
sez. IV del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. IV, 27 settembre 2017
n. 4515, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2017  n.  2821),  pur
muovendo, come la prima, dalla natura paritetica del  rapporto,  trae
da tale assunto conseguenze opposte, affermando che  proprio  perche'
si tratta di un rapporto di debito-credito di natura  paritetica,  la
rettifica sarebbe sempre possibile, entro  il  termine  decennale  di
prescrizione,  perche',  per  un  verso,  il   procedimento   sarebbe
svincolato dal rispetto delle condizioni di esercizio dell'autotutela
amministrativa e, per altro verso, la rideterminazione del contributo
dovuto   secondo   rigidi   parametri   regolamentari   o   tabellari
costituirebbe un atto dovuto. 
    Terza  e  piu'   recente   impostazione,   muove   dalla   natura
pubblicistica (Cons. St., sez. IV, 21 dicembre  2016,  n.  5402)  del
rapporto nascente dalla determinazione del contributo, trattandosi di
prestazione patrimoniale imposta di  carattere  non  tributario,  per
affermare la conseguente applicabilita', in  astratto,  delle  regole
dell'autotutela amministrativa. 
    L'Adunanza Plenaria  ha  risolto  il  contrasto,  affermando  che
«L'atto di  imposizione  e  di  liquidazione  del  contributo,  quale
corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la  compartecipazione
ai costi delle opere di urbanizzazione, non  ha  natura  autoritativa
ne' costituisce esplicazione di una  potesta'  pubblicistica,  ma  si
risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in  applicazione  di
rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari» e che  «la
natura  paritetica  dell'atto  di  determinazione  consente  che   la
pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche,  sia  in  favore
del privato che in senso contrario, purche' cio' avvenga  nei  limiti
della prescrizione decennale del relativo  diritto  di  credito  (v.,
inter multas, Consiglio di Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6033,
Consiglio di Stato, sez. IV, 17 settembre 2010, n. 6950)». 
    L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha,  quindi,  ritenuto
non condivisibili, sia la tesi  dell'assoluta  immodificabilita'  del
contributo, affermata  sul  presupposto  della  non  riconoscibilita'
dell'errore nel quale  e'  incorsa  l'Amministrazione,  sia  la  tesi
secondo la quale la riliquidazione  del  contributo  sarebbe  ammessa
solo in presenza dei presupposti previsti per l'autotutela. 
    Ha,  invece,  affermato  la  doverosita'  della  rideterminazione
dell'importo   del   contributo   che,   per   errore,   sia    stato
originariamente liquidato in violazione  delle  norme  di  legge  che
regolano i criteri del  relativo  calcolo,  pena  la  violazione  del
principio di legalita' delle prestazioni imposte sancito dall'art. 23
della Costituzione. 
    Ha, altresi', stabilito che la natura di prestazione patrimoniale
imposta riconosciuta al contributo in esame non comporta l'attrazione
nella  sfera  pubblicistica  dell'obbligazione  di  cui   costituisce
oggetto. L'obbligazione nasce ex lege in conseguenza del rilascio del
titolo edilizio ed e' imposta nel  senso  che  il  privato  non  puo'
sottrarsi al vincolo se  non  rinunciando  a  richiedere  il  titolo,
tuttavia,  «esclusa  pacificamente  la  sua  natura  tributaria»,  il
pagamento del contributo «non puo' che  costituire  l'oggetto  di  un
ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di  diritto
privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241 del
1990, salvo che la legge disponga diversamente.». 
    Discende dalle esposte premesse che  gli  atti  con  i  quali  la
pubblica  amministrazione  determina  e  liquida  il  contributo   di
costruzione costituiscono l'esercizio di una facolta'  connessa  alla
pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al comune per il rilascio
del permesso di costruire, nell'ambito di un rapporto obbligatorio  a
carattere paritetico. 
    «Si  e'  cioe'  al  cospetto  di  un  rapporto  obbligatorio,  di
contenuto essenzialmente  pecuniario  (salva  l'ipotesi  di  opere  a
scomputo di cui all'art. 16, comma  1,  del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  380  del  2001),  al  quale  si  applicano  le
disposizioni di diritto privato,  salve  le  specifiche  disposizioni
previste dalla legge (come, ad esempio, i gia' citati articoli  42  e
43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del  2001)  per
la  peculiare  finalita'  del  credito  vantato  dall'amministrazione
comunale  in  ordine  al   pagamento   del   contributo   (oneri   di
urbanizzazione e costo di costruzione).». 
    Quanto  alle  esigenze  di  tutela  dell'affidamento   ingenerato
dall'erronea liquidazione del contributo all'atto  del  rilascio  del
titolo,   l'Adunanza   Plenaria   ha   affermato   che   esse    sono
sufficientemente garantite nei limiti previsti dagli articoli 1175  e
1375 del codice civile 
    Pertanto,  «la  complessita'  delle  operazioni  di   calcolo   o
l'eventuale  incertezza  nell'applicazione  di   alcune   tabelle   o
coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine  tecnico,  non
sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con
l'ordinaria diligenza, richiesta  dagli  articoli  1175  e  1375  del
codice civile, puo' e deve controllarne  l'esattezza  sin  dal  primo
atto di loro determinazione». 
    Quindi «La tutela del legittimo affidamento e il principio  della
buona fede (articoli 1175 e 1375  del  codice  civile),  che  in  via
generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione
nell'attuazione del rapporto obbligatorio (v., sul punto, Cassazione,
sez. L, 7 aprile 1992, n. 4226), possono trovare applicazione ad  una
fattispecie  come  quella  in  esame  nella  quale,   ordinariamente,
l'oggettivita'  dei  parametri  da   applicare   al   contributo   di
costruzione rende vincolato il  conteggio  da  parte  della  pubblica
amministrazione,  consentendone  a  priori  la  conoscibilita'  e  la
verificabilita' da parte dell'interessato con l'ordinaria  diligenza,
solo  nella  eccezionale  ipotesi  in  cui  tali   conoscibilita'   e
verificabilita' non siano possibili con il normale  sforzo  richiesto
al debitore, secondo appunto buona fede,  nell'ottica  di  una  leale
collaborazione finalizzata all'attuazione del rapporto obbligatorio e
al soddisfacimento dell'interesse creditorio.». 
    Come si e' detto, il legislatore regionale con l'art. 2, comma  3
legge  regione  Veneto  n.  4/2015  si  e'  inserito  nel  dibattito,
manifestando  una  chiara  opzione  per  la  tesi  che  escludeva  la
modificabilita' della  liquidazione  del  contributo  di  costruzione
effettuata dal comune contestualmente al rilascio del titolo. 
    I rapporti  obbligatori  gia'  instaurati  alla  data  della  sua
entrata in vigore vengono assoggettati ad una  disciplina  peculiare,
mediante la quale la pretesa creditoria del comune viene ridotta  nel
quantum rispetto al suo contenuto legale, ove non esercitata in  tale
misura fin dal momento della sua originaria  quantificazione,  ed  e'
riconosciuta una tutela dell'affidamento del privato del tutto avulsa
dalla  verifica  dei  profili  di  conoscibilita'   della   normativa
applicabile. 
    Ed, infatti, anche ove si ritenesse che la stratificazione  delle
disposizioni di fonte statale e regionale abbia potuto ingenerare una
situazione di incertezza tale da incidere  sulla  conoscibilita'  dei
criteri  di  calcolo  del  contributo,  cio'  non  potrebbe  comunque
affermarsi  con  riguardo  alle  determinazioni  nelle  quali   fosse
esplicitamente fatta salva la possibilita' di successivi conguagli, o
a quelle adottate  dopo  le  pronunce  del  Tribunale  amministrativo
regionale Veneto e del Consiglio di Stato  con  le  quali  il  dubbio
interpretativo sulla normativa  applicabile  era  stato  risolto  nel
senso della prevalenza della norma di fonte statale. 
    Cosi' facendo, il legislatore regionale ha  dettato  disposizioni
che incidono sul regime giuridico di «un  rapporto  obbligatorio,  di
contenuto essenzialmente pecuniario», in quanto  tale  soggetto  alle
«disposizioni di diritto privato, salve  le  specifiche  disposizioni
previste dalla legge», invadendo una competenza riservata,  dall'art.
117, comma II, Cost. alla potesta' legislativa statale. 
    19. Infine, la norma di legge regionale appare in contrasto anche
con l'art. 3 Cost. 
    Non puo', infatti, ritenersi conforme ai principi di  uguaglianza
e di ragionevolezza una norma che  disciplina  diversamente  rapporti
obbligatori  di  fonte  legale,  integralmente  definiti,  nel   loro
contenuto, per  effetto  della  medesima  legge,  in  funzione  della
circostanza, meramente casuale, che il comune abbia o non abbia fatto
corretta applicazione della legge vigente in  sede  di  rilascio  del
titolo. 
    Neppure puo' addursi a giustificazione di una tale disparita'  di
trattamento  l'affidamento  ingenerato  dal  comune   con   l'erronea
determinazione iniziale dell'importo del contributo, poiche', come ha
ritenuto  l'Adunanza  Plenaria  nella  sentenza  n.   12/2018,   tale
affidamento  e'  meritevole  di  tutela   soltanto   ove   esso   sia
incolpevole, ovvero non fosse evitabile  con  l'ordinaria  diligenza,
circostanza da valutarsi in concreto. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Veneto  (Sezione
Seconda), dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli  articoli  3,  5,  97,  114,  117,  118  e  119  della
Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
2, comma 3, della legge Regionale 16 marzo 2015, n. 4. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della  segreteria
della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi  alla  Corte
costituzionale  per  la  risoluzione  della  prospettata   questione,
nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in  causa  ed
al  Presidente  della  Giunta  regionale  e  la  comunicazione  della
medesima al Presidente del Consiglio regionale per il Veneto. 
    Cosi' deciso in Venezia nella Camera di consiglio del  giorno  11
ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati: 
        Alberto Pasi, Presidente; 
        Daria Valletta, referendario; 
        Mariagiovanna Amorizzo, referendario, estensore. 
 
                         Il Presidente: Pasi 
 
 
                                                L'estensore: Amorizzo