N. 96 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2018

Ordinanza del 12 dicembre 2018 del Tribunale amministrativo regionale
per il Veneto sul ricorso proposto da Carlan Vania, Carlan  Giampaola
e Bertilla Donatello contro Comune  di  Altavilla  Vicentina,  Zordan
Gianluca e Ercego Mario. 
 
 Edilizia e urbanistica - Norme  della  Regione  Veneto  -  Norme  di
  interpretazione autentica di disposizioni regionali a sostegno  del
  settore edilizio - Previsioni di deroghe ai  parametri  edilizi  di
  superficie, volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti
  dai regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione  di  strumenti
  urbanistici e territoriali. 
- Legge della Regione Veneto del 30 dicembre 2016, n.  30  (Collegato
  alla legge di stabilita' regionale 2017), art. 64. 
(GU n.26 del 26-6-2019 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO 
 
 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 164 del 2017, proposto da Vania  Carlan,  Gianpaola
Carlan e Bertilla Donatello, rappresentate e  difese  dagli  avvocati
Gianluca Ghirigatto e Anna Povolo, con domicilio digitale come da PEC
da  Registri  di  Giustizia  e  domicilio  eletto  presso  lo  studio
dell'avv. Enrico Tonolo in Venezia, San Polo 135; 
    Contro il Comune di Altavilla Vicentina, in persona  del  sindaco
pro tempore, rappresentato e difeso  dall'avvocato  Dario  Meneguzzo,
con domicilio digitale  come  da  PEC  da  Registri  di  Giustizia  e
domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Andrea Zuccolo in  Mestre
- Venezia, via Giosue' Carducci n. 45; 
    Nei confronti di Gianluca Zordan, Mario Ercego  non  costituitisi
in giudizio; 
    Per l'annullamento del provvedimento prot.  581  del  17  gennaio
2017 di conferma del precedente ordine di non effettuare l'intervento
del 6 dicembre 2016; e dell'ordine di non effettuale l'intervento del
6 dicembre 2016 notificato il 9 dicembre 2016, n. prot. 17301 di  cui
alla denuncia di inizio attivita' del DIA180-PC; nonche' di ogni atto
annesso, connesso o presupposto; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di  Altavilla
Vicentina; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  25  ottobre  2018  il
dott.  Stefano  Mielli  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
    1. Le ricorrenti espongono di essere titolari di diritti reali su
un immobile residenziale sito nel Comune di Altavilla Vicentina e  di
aver presentato in data 1°  dicembre  2016  una  denuncia  di  inizio
attivita' avente  ad  oggetto  la  ristrutturazione  e  l'ampliamento
dell'edificio usufruendo dei benefici previsti dalla legge  regionale
sul c.d. «piano casa» 8 luglio 2009, n. 14. 
    L'intenzione  delle  ricorrenti  era  nel   senso   di   ampliare
l'abitazione usufruendo del bonus edificatorio del  20  per  cento  e
contestualmente ristrutturare, previa demolizione e ricostruzione, un
manufatto condonato, consistente in una baracca metallica  a  ridosso
del  confine,  al  fine  di  dotare  l'immobile  di  una  piu'  ampia
autorimessa idonea a consentire all'usufruttaria, anziana affetta  da
invalidita'  civile  che  necessita  di   maggiori   spazi   per   la
deambulazione  con  ausili  sanitari,  l'accesso  diretto   dall'auto
all'abitazione in ambienti protetti dalle intemperie. 
    L'intervento prevede, specificandolo nella relazione tecnica,  di
derogare alla distanza di cinque metri dai confini prevista dall'art.
10, comma 3, lettera b), delle norme tecniche operative  allegate  al
vigente Piano degli interventi. 
    2. Per chiarezza espositiva va fin da ora premesso che  la  legge
regionale sul piano casa n. 14 del 2009,  ha  previsto  un'articolata
serie di incentivi e  di  premi  volumetrici  anche  in  deroga  agli
strumenti urbanistici comunali al fine di riqualificare il patrimonio
edilizio esistente e sostenere il settore  edilizio  colpito  da  una
grave crisi economica. 
    L'efficacia  temporalmente  limitata  di  tali  norme  e'   stata
ripetutamente prorogata fino al 31 dicembre 2018 (l'ultima proroga e'
stata disposta dall'art. 65 della legge regionale 30  dicembre  2016,
n. 30). 
    L'art. 9, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2009,  prevede
che nell'applicazione della legge «sono fatte salve  le  disposizioni
in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente». 
    Il Tar Veneto inizialmente  ha  interpretato  questa  norma  come
comportante  il  divieto  di  derogare  alle  distanze  previste   da
disposizioni statali, ma idonea a consentire la deroga alle  distanze
dai confini previste dagli strumenti urbanistici  e  dai  regolamenti
locali (si vedano le sentenze Tar Veneto, Sez. II, 24  ottobre  2013,
n. 1213; id. 13 giugno 2013, n. 835; id. 21 ottobre 2010,  n.  5694),
giungendo  a  ritenere  manifestamente  infondata  la  questione   di
illegittimita'  costituzionale  della  norma  sotto  questo   secondo
profilo (si veda Tar Veneto, Sez. II, 6 febbraio 2014, n. 151). 
    Successivamente lo stesso Tribunale,  con  sentenza  Tar  Veneto,
Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 1128, ha mutato il proprio  orientamento
giungendo in via interpretativa alla conclusione  che  in  base  alla
legge regionale sul piano casa anche le distanze dai confini previste
dagli strumenti urbanistici e dai  regolamenti  locali  non  potevano
ritenersi derogabili. 
    Tenendo conto dei numerosi argomenti critici  offerti  sul  punto
dalla dottrina che si e' occupata di quelle precedenti pronunce o del
commento della legge regionale, tale conclusione  e'  stata  motivata
con riferimento: 
        a) alla necessita'  di  dare  un'interpretazione  restrittiva
alle disposizioni sul piano casa alla  luce  della  natura  peculiare
delle  sue  norme  in  ragione  della  loro  natura   derogatoria   e
temporanea, senza interpretazioni estensive che potrebbero condurre a
stravolgere  l'ordinata  pianificazione  del  territorio   (su   tali
principi si vedano le recenti pronunce Consiglio di Stato,  Sez.  VI,
30 maggio 2018, n. 3249; id. 21 marzo 2016,  n.  1153;  sulla  natura
eccezionale del Piano Casa cfr. altresi' Sez. VI 28 gennaio 2016,  n.
335; Tar Veneto,  Sez.  II,  14  dicembre  2015,  n.  1329),  con  la
conseguenza che, in mancanza di una  espressa  previsione  in  merito
alla  derogabilita'  delle  distanze  dai  confini   previste   dagli
strumenti urbanistici e dai regolamenti locali nel corpo della  legge
sul piano casa,  e'  necessario  ritenere  non  ammissibile  la  loro
deroga; 
        b) alla necessita' di  dare  una  lettura  costituzionalmente
orientata della norma  di  cui  all'art.  9,  comma  8,  della  legge
regionale n. 14 del 2009, essendo  quantomeno  dubbio  che  la  legge
regionale possa intervenire in un ambito normativo, quale  e'  quello
delle maggiori  distanze  tra  gli  edifici  che  possono  dettare  i
regolamenti  locali  con  norme  integrative  dell'art.   873   c.c.,
riconducibile  all'ordinamento   civile   riservato   alla   potesta'
legislativa esclusiva dello Stato. 
    3. Il Comune di Altavilla Vicentina, a fronte della sopra  citata
denuncia di inizio attivita' del 1° dicembre 2016, con  provvedimento
prot. n. 17301 del 6 dicembre 2016, ha inibito i lavori sulla  scorta
di quanto affermato dalla citata pronuncia Tar Veneto,  Sez.  II,  14
ottobre 2016, n. 1128, non ritenendo derogabile, in base  alla  legge
regionale sul piano casa, la distanza di 5 metri dai confini prevista
dall'art. 10, comma 3, lettera b),  delle  norme  tecniche  operative
allegate al vigente Piano degli interventi. 
    Tale provvedimento non e' stato impugnato  ed  ha  consolidato  i
suoi effetti. 
    4. Successivamente e' intervenuto il  legislatore  regionale  con
l'art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, il quale  ha
dato  un'interpretazione  autentica  delle  norme  sul   piano   casa
disponendo che le stesse devono essere interpretate  "nel  senso  che
esse consentono di  derogare  ai  parametri  edilizi  di  superficie,
volume,  altezza  e  distanza,  anche  dai  confini,   previsti   dai
regolamenti  e  dalle  norme  tecniche  di  attuazione  di  strumenti
urbanistici e territoriali, fermo restando quanto  previsto  all'art.
9, comma 8 della medesima legge regionale 8 luglio 2009,  n.  14  con
esclusivo  riferimento  a  disposizioni  di  emanazione  statale"   e
disponendo altresi' al comma 2 che «gli  eventuali  provvedimenti  di
rigetto o di  annullamento  emessi  dal  comune  sulla  base  di  una
interpretazione degli articoli 2, comma 1, 6, comma 1, e 9, comma  8,
della legge regionale  8  luglio  2009,  n.  14,  diversa  da  quella
indicata al comma 1, sono riesaminati alla luce  di  quanto  previsto
dai medesimi». 
    5. Alla luce di tale disposizione le ricorrenti con atto prot. n.
391 del 12 gennaio 2017, hanno presentato un'istanza di  riesame  del
precedente atto di inibitoria della denuncia di inizio attivita' e il
Comune con provvedimento prot. n.  581  del  16  gennaio  2017,  l'ha
respinta facendo riferimento  alla  natura  integrativa  delle  norme
locali rispetto agli articoli  872  e  873  c.c.,  e  alla  possibile
illegittimita'    costituzionale    della    legge    regionale    di
interpretazione autentica. 
    6. Con il ricorso in epigrafe il diniego  e'  impugnato  con  due
motivi. 
    Con  il  primo  motivo  le  ricorrenti  lamentano  la  violazione
dell'art. 64, comma 1, della legge regionale n. 30 del  2016,  ed  il
difetto di motivazione perche' il Comune non ha  tenuto  conto  della
sopravvenuta norma regionale e  ad  esso  non  compete  sindacare  la
legittimita' costituzionale delle leggi regionali che e' chiamato  ad
applicare. 
    Con  il  secondo  motivo,  formulato  in  via   subordinata,   le
ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 64, comma 2, della legge
regionale n. 30 del 2016, il difetto di istruttoria e la  carenza  di
motivazione, perche', quand'anche il provvedimento impugnato  dovesse
essere qualificato come atto meramente  confermativo  del  precedente
atto di inibitoria, dovrebbe comunque trovare applicazione  l'obbligo
di riesame degli atti gia' emanati previsto dal comma 2  della  norma
di interpretazione autentica. 
    6.1.  Si  e'  costituito  in  giudizio  il  Comune  di  Altavilla
Vicentina  eccependo  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  64
della legge  regionale  n.  30  del  2016,  con  la  conseguente  non
derogabilita' delle distanze dai  confini  previsti  dalla  normativa
locale   per   effetto   della   declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale di tale norma, e concludendo pertanto per  il  rigetto
del ricorso. 
    Con ordinanza n. 116 del 16 marzo  2017,  e'  stata  respinta  la
domanda cautelare per mancanza del requisito del periculum in mora. 
    Alla pubblica udienza del 25 ottobre  2018,  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    7. Cio' premesso, il Collegio non puo' esimersi dal sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale della norma di cui  all'art.
64 della legge regionale n. 30 del 2016, nella parte in  cui  dispone
la  deroga  della  distanza  dai  confini  prevista  dagli  strumenti
urbanistici e dai regolamenti dei Comuni. 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  deve   ritenersi
senz'altro rilevante nel giudizio a quo, perche' il diniego e'  stato
motivato con  esclusivo  riferimento  alla  non  derogabilita'  della
distanza    dai     confini,     e     un'eventuale     dichiarazione
dell'illegittimita'   costituzionale   della   norma   regionale   di
interpretazione autentica di cui al citato art. 64  comporterebbe  il
rigetto del ricorso, dato che troverebbe in tal modo applicazione  il
testo originario dell'art. 9, comma 8, della legge  regionale  n.  14
del 2009, con possibile esplicazione dell'interpretazione sistematica
del medesimo data dalla sentenza Tar  Veneto,  Sez.  II,  14  ottobre
2016, n. 1128, e condivisa dal Comune di Altavilla Vicentina. 
    Un'eventuale dichiarazione di  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale comporterebbe invece  l'accoglimento  del
ricorso in epigrafe, il conseguente  annullamento  del  diniego,  con
l'obbligo per il  Comune  di  riesaminare  l'originaria  denuncia  di
inizio attivita' adeguandosi alla  norma  regionale  sopravvenuta  di
interpretazione autentica. 
    8. Quanto alla non manifesta  infondatezza  il  Collegio  ritiene
violati gli articoli 3, 5, 114, comma 2, 117, comma 2, lettera l),  e
comma 6, nonche' 118 della Costituzione. 
    Il primo profilo da esaminare riguarda  la  violazione  dell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  l),  della  Costituzione  perche'  il
legislatore regionale disponendo la deroga delle distanze dai confini
previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti  comunali,  e'
intervenuto  in  un  ambito   normativo   riservato   alla   potesta'
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile». 
    L'art. 873 c.c. «Distanze  nelle  costruzioni»  dispone  che  «le
costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o  aderenti,  devono
essere tenute a distanza non minore di  tre  metri.  Nei  regolamenti
locali puo' essere stabilita una distanza maggiore». 
    L'art. 872, comma 2, c.c. prevede  che  «colui  che  per  effetto
della violazione ha subito danno deve  esserne  risarcito,  salva  la
facolta' di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta  della
violazione delle norme contenute nella sezione seguente o  da  questa
richiamate». 
    Per pacifica giurisprudenza della  Cassazione  (cfr.  Cass.  Civ.
Sez. II, 3 novembre 2000, n. 14351)  «le  norme  edilizie  locali  le
quali prescrivono maggiori distanze nelle costruzioni  fissandole  in
relazione  al  confine,  anziche'  direttamente  tra  le  costruzioni
medesime, hanno  anch'esse  carattere  integrativo  della  disciplina
codicistica, con la conseguenza che la loro violazione da' diritto  a
pretendere la riduzione in pristino, oltre al risarcimento dei  danni
(v., ex plurimis, sent. 24.6.96 n. 5831, 8.7.96 n.  6209,  2.5.97  n.
3820, 18.6.98 n. 6088, 28.11.98 n. 12103)». 
    I medesimi concetti sono ribaditi anche dalla giurisprudenza piu'
recente (cfr. Cassazione civile,  sez.  II,  28  settembre  2018,  n.
23543) che ha avuto modo  di  affermare  che  «in  tema  di  distanze
legali, le norme degli strumenti urbanistici integrano la  disciplina
dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli  articoli  873
c.c. e seguenti, ove tendano ad armonizzare l'interesse  pubblico  ad
un  ordinato  assetto  urbanistico  del  territorio  con  l'interesse
privato relativo ai rapporti  intersoggettivi  di  vicinato,  sicche'
vanno incluse in tale novero le  disposizioni  del  piano  regolatore
generale dell'ente territoriale che stabiliscano la  distanza  minima
delle costruzioni dal  confine  del  fondo  e  non  tra  contrapposti
edifici (cfr.  Cass.  sez.  un.  24.9.2014,  n.  20107)"  e  che  "la
violazione delle norme degli strumenti urbanistici integrative  della
disciplina dettata dal codice civile  nelle  materie  regolate  dagli
articoli 873 c.c. e seguenti,  conferisce  senz'altro  al  vicino  la
facolta' di ottenere la riduzione in pristino  (Cass.  5.11.1990,  n.
10615; Cass. 30.7.1984, n. 4519)» (cfr. tra le tante Cass. Civ.  sez.
II, 12 maggio 2011, n. 10459; id. 23 luglio 2009, n.  17338;  id.  16
gennaio 2009, n. 1073; id. 30 agosto 2004, n. 17390; id.  9  dicembre
1996, n. 10935). 
    Ancora la giurisprudenza ha chiarito che al pari dei  regolamenti
locali, anche le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968,
n. 1444 devono ritenersi immediatamente operative  nei  rapporti  tra
privati in quanto integrative dell'art. 873 c.c.  (cfr.  Cass.  civ.,
sez. II, 23 gennaio 2018, n. 1616; Cass.  civ.  26  luglio  2016,  n.
15458; Cass. Civ. 15 luglio 2016, n. n. 14552; Cass. Civ. sez. II, 29
marzo 2007, n. 7702). 
    Ritiene pertanto il Collegio di poter  affermare  che  sul  piano
delle fonti il rapporto di integrazione che si  instaura  tra  l'art.
873 c.c. e i regolamenti locali, non  e'  dissimile  al  rapporto  di
integrazione che intercorre, in forza  dell'art.  41-quinquies  della
legge 17 agosto 1942, n. 1150, tra  l'art.  873  c.c.  e  il  decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. 
    Pertanto anche per la distanza dai confini,  cosi'  come  per  la
distanza  tra  costruzioni,  devono  valere  i  medesimi  consolidati
principi anche di recente affermati dalla Corte costituzionale  (cfr.
la sentenza 24 febbraio  2017,  n.  41)  la  quale  ha  ribadito  che
«secondo la giurisprudenza  di  questa  Corte,  la  disciplina  delle
distanze fra costruzioni  ha  la  sua  collocazione  anzitutto  nella
sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del codice civile,
intitolata appunto "Delle distanze nelle costruzioni,  piantagioni  e
scavi, e dei  muri,  fossi  e  siepi  interposti  tra  fondi".  "Tale
disciplina, ed in particolare quella degli articoli  873  e  875  che
viene qui in piu'  specifico  rilievo,  attiene  in  via  primaria  e
diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi. [...]  Non  si
puo' pertanto dubitare che la disciplina delle distanze,  per  quanto
concerne   i   rapporti    suindicati,    rientri    nella    materia
dell'ordinamento civile, di competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato" (sentenza n. 232 del 2005)». 
    Ne discende che tutte le norme integrative delle disposizioni  di
cui all'art. 873 c.c., e pertanto anche quelle dei regolamenti locali
oltre a quelle previste dal decreto ministeriale 2  aprile  1968,  n.
1444, concorrendo alla configurazione del diritto di proprieta' nella
disciplina dei rapporti di vicinato al fine di assicurare  un'equita'
nell'utilizzazione edilizia dei suoli privati attribuendo un  vero  e
proprio diritto soggettivo al reciproco rispetto, che in quanto  tale
gode di tutela reale mediante la riduzione in  pristino  in  caso  di
violazione, rientrano nella materia dell'ordinamento civile. 
    Sotto questo profilo la norma regionale di cui all'art. 64  della
legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, nella parte in cui  consente
di non rispettare le distanze dai confini stabilite  dagli  strumenti
urbanistici e dai regolamenti locali integrative dell'art. 873  c.c.,
a giudizio del Collegio risulta pertanto  invasiva  della  competenza
legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile. 
    Invero  una  norma  di  tale  tenore  non  appare  poter   essere
ricondotta alla competenza  ricorrente  in  materia  di  governo  del
territorio perche', come  anche  recentemente  chiarito  dalla  Corte
costituzionale (cfr. la gia' citata Corte costituzionale  n.  41  del
2017) «nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza − statale  in
materia di "ordinamento civile" e concorrente in materia di  "governo
del territorio" − questa Corte ha individuato il punto di  equilibrio
nell'ultimo comma dell'art. 9 del decreto ministeriale  n.  1444  del
1968, piu' volte ritenuto dotato di particolare "efficacia precettiva
e inderogabile" (sentenza n. 185 del 2016, ma anche sentenze  n.  114
del  2012  e  n.  232  del  2005),  in  quanto  richiamato  dall'art.
41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica),
introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765  (Modifiche
ed integrazioni alla legge urbanistica  17  agosto  1942,  n.  1150).
Pertanto, e' stata giudicata legittima  la  previsione  regionale  di
distanze in deroga a quelle stabilite  dalla  normativa  statale,  ma
solo "nel caso di gruppi di edifici  che  formino  oggetto  di  piani
particolareggiati  o  lottizzazioni  convenzionate   con   previsioni
planovolumetriche" (ex  plurimis,  sentenza  n.  231  del  2016).  In
definitiva, le deroghe  all'ordinamento  civile  delle  distanze  tra
edifici  sono  consentite  "se  inserite  in  strumenti  urbanistici,
funzionali  a  conformare  un  assetto  complessivo  e  unitario   di
determinate  zone  del  territorio"  (sentenza  n.  134   del   2014;
analogamente sentenze n. 178, n. 185,  n.  189,  n.  231  del  2016),
poiche' "la loro legittimita' e' strettamente connessa  agli  assetti
urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece,
ai  rapporti  tra  edifici   confinanti   isolatamente   considerati"
(sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza  n.  232  del
2005)». 
    La medesima pronuncia  ha  altresi'  osservato  che  «i  medesimi
principi sono stati  ribaditi  anche  dopo  l'introduzione  dell'art.
2-bis del TUE, da parte  dell'art.  30,  comma  1,  lettera  a),  del
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98. La disposizione,  infatti,
ha  sostanzialmente  recepito  l'orientamento  della   giurisprudenza
costituzionale, inserendo nel testo unico  sull'edilizia  i  principi
fondamentali della vincolativita', anche per le Regioni e le Province
autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto ministeriale n.
1444 del 1968 e dell'ammissibilita' delle deroghe, solo a  condizione
che siano "inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare
un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio"
(sentenza n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis,  sentenza
n. 189 del 2016)». 
    Alla luce di tali principi il Collegio ritiene pertanto  che,  al
di fuori di queste specifiche e limitate ipotesi previste dall'ultimo
comma dell'art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile  1968,  n.  1444,
una  legge  regionale  che  incida  in  maniera  diretta  su  diritti
soggettivi gia' sorti in forza di  norme  integrative  dell'art.  873
c.c., siano esse derivanti dal citato decreto  ministeriale  n.  1444
del 1968 o  dai  regolamenti  locali,  di  fatto  annullandoli,  deve
ritenersi violare la  potesta'  legislativa  statale  in  materia  di
ordinamento civile. 
    9. Il secondo profilo che a  giudizio  del  Collegio  risulta  al
contempo violato e' quello della lesione  della  sfera  di  autonomia
normativa comunale in violazione degli articoli 5, 114, comma 2, 117,
comma 6 e 118 della Costituzione (con riguardo a  quest'ultima  norma
per la violazione del principio della sussidiarieta' verticale). 
    Infatti la legge statale storicamente riconosce in capo al Comune
l'esercizio delle competenze pianificatorie  e  regolatorie  dell'uso
del territorio (cfr. la legge 17 agosto 1942, n. 1150) e gli articoli
114, comma 2, e 117, comma 6, della Costituzione,  nonche'  l'art.  4
della legge 5 giugno 2003, n. 131, riconoscono un ambito di autonomia
regolamentare dei Comuni che, qualora come nel caso di specie sia  da
esercitare in una funzione attribuita dalla legislazione dello Stato,
la Regione non puo' conculcare. 
    Sul punto devono pertanto  ritenersi  ancora  validi  i  principi
affermati dalla Corte costituzionale in un contesto antecedente  alla
riforma del Titolo V della Costituzione, ma che risultano ancor  piu'
attuali per effetto dell'espresso riconoscimento, ad  opera  di  tale
riforma, dell'autonomia normativa dei Comuni nella Costituzione. 
    La Corte costituzionale ha infatti affermato che "gli articoli  5
e 128 della Costituzione presuppongono una posizione di autonomia dei
comuni, che le leggi regionali non  possono  mai  comprimere  fino  a
negarla" (sentenze nn. 286  e  83  del  1997),  precisando  che  tale
principio deve essere inteso nel senso che "il potere dei  comuni  di
autodeterminarsi in  ordine  all'assetto  e  alla  utilizzazione  del
proprio  territorio  non  costituisce  elargizione  che  le  regioni,
attributarie di competenza in materia  urbanistica  siano  libere  di
compiere", in quanto l'art. 128 della Costituzione  "garantisce,  con
previsione di principio, l'autonomia degli enti  infraregionali,  non
solo nei confronti dello Stato, ma anche nei rapporti con  le  stesse
regioni" (cfr. sentenza  n.  83  del  1997;  si  vedano  altresi'  le
sentenze n. 157 del 1990; n. 212 del 1991; n. 61 del 1994). 
    Pertanto a giudizio del Collegio l'art. 64 della legge  regionale
30 dicembre 2016, n. 30, avendo esautorato i Comuni dal  disciplinare
in conformita' con le specifiche esigenze di un ordinato sviluppo del
proprio territorio ed in modo  equo  i  rapporti  tra  i  proprietari
confinanti  per  una  intera  categoria  di  interventi  edilizi  che
corrispondono a quelli attuativi della legge sul  piano  casa,  viola
l'autonomia normativa dei Comuni riconosciuta dagli articoli 5,  114,
comma 2, 117, comma 6, e 118 della Costituzione. 
    10. Infine risulta altresi' violato l'art. 3  della  Costituzione
sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  e  della   disparita'   di
trattamento che costituiscono un parametro particolarmente  rilevante
rispetto alla norma della cui legittimita' costituzionale  si  dubita
che e' una norma di  interpretazione  autentica  al  primo  comma,  e
retroattiva al  secondo  comma,  che  per  essere  costituzionalmente
legittima deve  trovare  adeguata  giustificazione  sul  piano  della
ragionevolezza e non deve contrastare con altri valori  ed  interessi
costituzionalmente protetti (ex pluribus cfr. Corte costituzionale n.
73 del 2017; n. 170 del 2013, nonche' le sentenze n. 78 del 2012 e n.
209 del 2010). 
    Infatti la previsione, nell'ambito degli strumenti urbanistici  e
nei regolamenti comunali, di una distanza di cinque metri dal confine
persegue  chiaramente  una  finalita'   di   carattere   perequativo,
imponendo una ripartizione equa,  in  parti  uguali,  del  sacrificio
derivante dal necessario rispetto della distanza di  dieci  metri  da
pareti finestrate prevista dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.
1444. 
    In mancanza dell'operativita' di  una  disposizione  comunale  di
questo tipo, il soggetto preveniente costringe infatti  il  prevenuto
ad arretrare per rispettare la distanza  di  dieci  metri  da  pareti
finestrate compromettendo seriamente  il  suo  diritto  ad  edificare
qualora lo stesso non  possegga  una  superficie  residua  del  lotto
sufficiente a conservare le facolta'  edificatorie  che  il  medesimo
lotto puo' esprimere in base allo strumento urbanistico. 
    Inoltre una tale eventualita' puo'  potenzialmente  compromettere
anche  gli  interessi   pubblici   coinvolti   nella   pianificazione
urbanistica  creando  elementi  edilizi  estemporanei   e   distonici
rispetto all'ordinato assetto  urbanistico  dato  dalla  presenza  di
caratteristiche  tipologiche  e  architettoniche   omogenee   in   un
determinato ambito territoriale. 
    Pertanto la norma di cui all'art. 64  della  legge  regionale  30
dicembre 2016, n. 30, consentendo la deroga alle distanze dai confini
per i soli interventi di carattere eccezionale attuativi della  legge
sul piano casa, risulta anche irragionevole e discriminatoria perche'
introduce una  disciplina  non  imparziale  che  favorisce  solo  chi
intende dar corso ad un siffatto intervento edilizio a discapito  del
vicino confinante, comprime la posizione  giuridica  di  quest'ultimo
che ha la consistenza di un vero  e  proprio  diritto  soggettivo,  e
finisce per comportare elementi di  squilibrio  e  distorsione  nelle
relazioni  tra  proprietari  confinanti  determinando  situazioni  di
iniquita' nei rapporti intersoggettivi. 
    Inoltre la posizione del terzo  confinante  nonostante  abbia  la
medesima natura di diritto soggettivo perfetto finisce  in  tal  modo
per subire una diversa tutela  a  fronte  di  uno  stesso  intervento
edilizio a seconda che venga realizzato  in  attuazione  delle  norme
sulla legge regionale sul piano casa,  o  in  forza  delle  ordinarie
norme del piano regolatore. 
    Nel primo caso il vicino non puo' che costruire in  arretramento,
in quanto e' privo dei rimedi giuridici per reagire alla compressione
del proprio ius edificandi, nel secondo caso puo' ottenere una tutela
ripristinatoria reale. 
    Sotto questo profilo la norma di interpretazione autentica di cui
all'art. 64 comma 1, e la  norma  retroattiva  di  cui  al  comma  2,
risultano violare l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo  della
ragionevolezza e della disparita' di trattamento. 
    11.  In  conclusione  il  Collegio  ritiene   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 64 della legge regionale 30 dicembre  2016,  n.  30,  nella
parte  in  cui  dispone  la  non  applicabilita'  delle  disposizioni
contenute negli strumenti urbanistici e nei  regolamenti  dei  Comuni
per gli interventi edilizi applicativi della legge regionale 8 luglio
2009, n. 14, per violazione degli articoli 3, 5, 114, comma  2,  117,
comma 2, lettera l), e comma 6, nonche' 118 della Costituzione. 
    Si deve pertanto disporre la sospensione del presente giudizio  e
la rimessione della questione all'esame della  Corte  costituzionale,
ai sensi dell'art. 23, della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  per  la
decisione sulla prospettata questione di costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Veneto  (Sezione
Seconda) solleva questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, per  contrasto  con
gli articoli 3, 5, 114, comma 2, 117, comma 2, lettera l), e comma 6,
nonche'  118  della  Costituzione,  secondo   quanto   stabilito   in
motivazione. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della  Segreteria
della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi  alla  Corte
costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, e  che
la presente ordinanza sia notificata  alle  parti  ed  al  Presidente
della Giunta regionale, e  comunicata  al  Presidente  del  Consiglio
regionale del Veneto. 
    Cosi' deciso in Venezia nella Camera di consiglio del  giorno  25
ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati: 
        Alberto Pasi, Presidente; 
        Stefano Mielli, Consigliere, estensore; 
        Mariagiovanna Amorizzo, referendario. 
 
                         Il Presidente: Pasi 
 
 
                                                  L'estensore: Mielli