N. 148 SENTENZA 22 maggio - 19 giugno 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Acque pubbliche - Demanio idrico regionale - Divieto  di  costruzione
  di opere all'interno della struttura degli argini dei corsi d'acqua
  - Manufatti e lavori funzionali  all'esercizio  di  concessioni  di
  derivazione  idroelettrica   compatibili   con   le   esigenze   di
  prevenzione dei rischi idrogeologici. 
- Legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile  2015,
  n. 11 (Disciplina organica in materia di  difesa  del  suolo  e  di
  utilizzazione delle acque), art. 18, comma 3. 
-   
(GU n.26 del 26-6-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma
3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 aprile
2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e  di
utilizzazione delle acque), promosso dal  Tribunale  superiore  delle
acque pubbliche nel procedimento vertente tra il Comune  di  Castions
di Strada e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  e  altri,  con
ordinanza del 15 febbraio 2017,  iscritta  al  n.  103  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di costituzione del Comune di Castions di Strada e
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  22  maggio  2019  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Luca De Pauli per il  Comune  di  Castions  di
Strada e Giandomenico Falcon per la Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 15 febbraio 2017, il  Tribunale  superiore
delle acque pubbliche, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41,
97 e 117, secondo e terzo comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 3, della legge  della
Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  29  aprile  2015,  n.   11
(Disciplina  organica  in  materia  di  difesa   del   suolo   e   di
utilizzazione delle acque), nella parte in cui non prevede che  siano
esclusi dal divieto di costruzione i manufatti e i lavori  funzionali
all'esercizio di concessioni di derivazione idroelettrica. 
    Tale norma dispone che «all'interno della struttura degli  argini
dei corsi d'acqua non  e'  consentita  la  costruzione  di  opere  di
qualunque tipologia, a eccezione della realizzazione di  manufatti  e
di lavori funzionali  al  mantenimento  in  efficienza  degli  argini
stessi, alla  difesa  idraulica,  al  contenimento  delle  piene,  al
soccorso  pubblico,  alla  tutela  della   pubblica   incolumita'   e
dell'ambiente o di manufatti di presa funzionali all'alimentazione di
reti e impianti consortili aventi finalita' irrigue o di bonifica». 
    In punto di fatto il giudice rimettente premette che con  ricorso
notificato in data 9, 10 e 11 febbraio 2016, il Comune di Castions di
Strada ha impugnato le note n. prot. 0031680/P e n.  prot.  0031681/P
del 9 dicembre 2015, emesse  dalla  Direzione  centrale  ambiente  ed
energia  -  Area  tutela  geologico-idrico-ambientale  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia,  aventi  ad  oggetto  le  domande  di
concessione di derivazione d'acque dal torrente Cormor in  Comune  di
Castions di Strada, ad uso idroelettrico. 
    Il rimettente precisa che con tali note sono state archiviate  le
domande  originariamente  presentate  al   fine   del   rilascio   di
concessioni idroelettriche sul citato Cormor,  con  riferimento  alle
quali era stata successivamente richiesta la revisione  dei  progetti
in collaborazione con un costituendo Consorzio di bonifica,  al  fine
di utilizzare le opere di presa come funzionali all'alimentazione  di
rete di impianti consortili, con finalita'  irrigue  e  di  bonifica;
cio' al fine di rendere compatibili tali domande con la  sopravvenuta
disciplina di cui alla legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  11  del
2015. 
    Il rimettente da' atto che il Comune, con il  ricorso  in  esame,
sostiene l'illegittimita' delle archiviazioni delle domande  riferite
anche ai nuovi  progetti  e  deduce  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 18, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  11
del 2015, perche' in contrasto con la disciplina nazionale in materia
di energia, e segnatamente con il  decreto  legislativo  29  dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'), il  cui  art.  12
disciplina le procedure autorizzative, integrate  dalle  linee  guida
per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti  rinnovabili,
adottate  con  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico  di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
e del mare e con il Ministro per i beni e le attivita' culturali, del
10 settembre 2010. 
    La Regione ha sostenuto,  invece,  che  la  norma  in  questione,
facendo parte della materia «governo del territorio», con particolare
riferimento al rischio idrogeologico e  idraulico,  sarebbe  estranea
alla  materia  «produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia». 
    Ritiene il Tribunale superiore che la censurata norma  regionale,
precludendo,  in  via  generale,  il  rilascio  di  concessioni   per
finalita' idroelettriche, stante il divieto di costruzione, di  opere
e di manufatti di qualunque  tipologia  all'interno  della  struttura
degli argini,  si  porrebbe  in  contrasto  con  i  sopra  richiamati
parametri  costituzionali,  rafforzati  dagli  obblighi  di   matrice
europea in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili. 
    Secondo il rimettente, le questioni prospettate sono rilevanti al
fine della procedibilita' delle domande di concessione di derivazione
proposte dal Comune ricorrente  e,  pertanto,  l'esito  del  giudizio
dipende dalla risoluzione di tali questioni: infatti,  l'applicazione
della normativa  regionale,  oltretutto  sopravvenuta  rispetto  alle
domande di concessione di derivazione d'acqua  ad  uso  idroelettrico
dal fiume Cormor, costituisce la ragione determinante della reiezione
delle domande del Comune  ricorrente;  si  tratta  di  una  normativa
preclusiva in modo assoluto di qualunque  opera  anche  se  destinata
alla realizzazione di impianti per la produzione di energie da  fonti
rinnovabili. 
    Al riguardo, il rimettente osserva che  il  legislatore  statale,
attraverso la disciplina  delle  procedure  di  autorizzazione  delle
fonti  rinnovabili,  ha  introdotto  principi   che,   per   costante
giurisprudenza costituzionale, non tollerano eccezioni sul territorio
nazionale  in  quanto  espressione   della   competenza   legislativa
concorrente in materia di energia di cui all'art. 117,  terzo  comma,
Cost. La normativa comunitaria e  nazionale  manifesta,  inoltre,  un
favor per le fonti energetiche  rinnovabili  (come  si  evince  dalla
direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  23
aprile  2009,  sulla  promozione  dell'uso  dell'energia   da   fonti
rinnovabili, che ha modificato e  abrogato  precedenti  direttive)  e
tale orientamento e' stato recepito dal d.lgs. n. 387  del  2003,  il
cui art.  12  enuncia  i  principi  fondamentali  della  materia.  La
normativa statale di cornice ora indicata, nel suo comma  10,  rinvia
alle linee guida attuate con il d.m. 10 settembre 2010, che hanno  il
compito  di  assicurare  il  corretto  inserimento  degli   impianti,
prevedendo che eventuali limitazioni possono essere poste non in  via
generale,  ma  in  ragione  di  specifiche  tipologie  progettuali  e
costruttive.  Invece,   il   divieto   assoluto   non   consentirebbe
l'espletamento dei procedimenti autorizzativi all'interno  dei  quali
devono  essere  valutati  i  requisiti  degli  impianti  e  la   loro
rispondenza   agli   interessi   pubblici   primari   della    tutela
dell'ambiente e del sistema energetico. 
    Pertanto, una norma, come quella impugnata, che impedisca in modo
aprioristico la costruzione di opere, ovvero di manufatti  e  lavori,
negli argini dei corsi d'acqua, pure quando  destinate  o  funzionali
all'esercizio delle concessioni di derivazione  idroelettrica,  senza
farsi carico di una valutazione  delle  caratteristiche  dei  singoli
progetti rapportati  alle  concrete  condizioni  dei  luoghi  e  alla
comparazione degli interessi in gioco nel caso specifico, alle  quali
e' specificamente deputato il procedimento disciplinato dall'art.  12
del d.lgs. n. 387 del 2003, viola appunto quest'ultima  disposizione,
che, proprio dal suo comma 10 e' stata integrata  dalle  linee  guida
del d.m. 10 settembre 2010. 
    Il rimettente osserva, ancora, che in materia  di  localizzazione
di impianti di produzione di energia  rinnovabile,  alle  Regioni  e'
consentito soltanto individuare, caso per  caso,  «aree  e  siti  non
idonei», in via di eccezione e solo qualora cio' sia  necessario  per
proteggere interessi costituzionalmente rilevanti. 
    Inoltre, la censurata disciplina regionale si pone  in  contrasto
anche  con  l'art.  117,  secondo  comma,  Cost.  perche',  limitando
aprioristicamente  il  libero  accesso   al   mercato   dell'energia,
creerebbe uno squilibrio nella concorrenza, con  violazione  altresi'
degli  artt.  3  e  41   Cost.;   inoltre,   privando   la   pubblica
amministrazione della possibilita' di contemperare gli  interessi  in
gioco per rendere compatibili le esigenze della produzione di energia
da fonti rinnovabili con gli  altri  molteplici  pubblici  e  privati
interessi coinvolti, violerebbe pure l'art. 97 Cost. 
    2. - Con  atto  depositato  in  data  3  settembre  2018,  si  e'
costituito in giudizio il Comune di  Castions  di  Strada,  chiedendo
alla Corte di dichiarare le questioni ammissibili e fondate,  per  le
ragioni  illustrate  con   successiva   memoria   e   sostanzialmente
sovrapponibili alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione. 
    3. - Con  atto  depositato  in  data  5  settembre  2018,  si  e'
costituita in giudizio  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
chiedendo alla Corte di dichiarare le questioni inammissibili  o  non
fondate per le ragioni poi illustrate  nella  memoria  depositata  in
data 30 aprile 2019. 
    In particolare,  dopo  avere  premesso  l'irrilevanza  dello  ius
superveniens di cui all'art. 4, comma 1, lettera i), numero 2)  della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6  febbraio  2018,
n.  3  (Norme  urgenti  in  materia  di  ambiente,  di  energia,   di
infrastrutture e di contabilita'), la difesa della  Regione  osserva,
in via preliminare, che la norma contestata e' ispirata  alla  tutela
degli  argini  e  soprattutto  della  loro  funzione  di  tutela  del
territorio e del sistema fluviale. Peraltro, gli  argini  si  trovano
essenzialmente in pianura  ove  la  mancanza  di  dislivello  risulta
preclusiva della derivazione d'acqua a scopo idroelettrico. 
    La  Regione  sottolinea  soprattutto  che  il  divieto  in  esame
risponde alla finalita' di difesa dal rischio idrogeologico,  cui  il
territorio e' fortemente esposto. 
    In riferimento  alla  dedotta  violazione  dell'art.  117,  terzo
comma,  Cost.,  la  difesa  regionale  afferma  che  la  disposizione
censurata non dispone affatto in materia di «produzione, trasporto  e
distribuzione  nazionale  dell'energia»,   avendo   come   scopo   la
regolamentazione del deflusso delle  acque  in  condizioni  di  piena
sicurezza. 
    Al riguardo  precisa  che  la  domanda  di  derivazione  d'acqua,
oggetto del giudizio a quo, e' stata respinta in quanto comportava la
manomissione degli argini mediante la costruzione al loro interno  di
una centralina per la produzione di energia idroelettrica.  La  norma
censurata, pertanto, e'  espressione  dell'esercizio  delle  potesta'
legislative regionali di cui alla materia  (di  competenza  primaria)
dell'urbanistica, ai  sensi  dell'art.  4,  numero  12)  della  legge
costituzionale 31 gennaio1963, n. 1 (Statuto speciale  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia), comprendente tutte  le  funzioni  di
governo del territorio, e alla materia  (di  competenza  concorrente)
«opere per le derivazioni di acqua», di cui all'art.  5,  numero  14)
dello Statuto. 
    La difesa della Regione non manca di sottolineare la  titolarita'
demaniale dei beni del demanio idrico, tra cui gli argini, atteso che
il decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265  (Norme  di  attuazione
dello Statuto speciale della regione  Friuli-Venezia  Giulia  per  il
trasferimento di beni del demanio  idrico  e  marittimo,  nonche'  di
funzioni in materia di risorse idriche e  di  difesa  del  suolo)  ha
trasferito alla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  l'intero
demanio idrico. 
    La  disposizione  impugnata,  dunque,  sia  dal  punto  di  vista
oggettivo  sia  da  quello  teleologico,   riguarda   l'assetto   del
territorio. 
    Quanto alle censure riferite agli art. 3 e 41  Cost.,  la  difesa
della  Regione  ne  evidenzia  l'inammissibilita'   in   quanto   non
adeguatamente motivate, e nel merito la non fondatezza. 
    Anche in  riferimento  alla  violazione  dell'art.  97  Cost.  la
Regione pone in rilievo l'inammissibilita' della censura  per  essere
la stessa non adeguatamente motivata, ed in ogni caso ritiene che  il
parametro evocato non sarebbe pertinente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con ordinanza del 15 febbraio 2017, il  Tribunale  superiore
delle acque pubbliche, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41,
97 e 117, secondo e terzo comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 3, della legge  della
Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  29  aprile  2015,  n.   11
(Disciplina  organica  in  materia  di  difesa   del   suolo   e   di
utilizzazione delle acque), nella parte in cui non prevede che  siano
esclusi dal divieto di costruzione all'interno della struttura  degli
argini  dei  corsi  d'acqua,  i  manufatti  e  i  lavori   funzionali
all'esercizio  di  concessioni  di  derivazione   d'acqua   per   uso
idroelettrico. 
    Secondo il Tribunale rimettente sarebbe violato l'art. 117, terzo
comma, Cost., in relazione all'art. 12  del  decreto  legislativo  29
dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa
alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'),  quale  principio
fondamentale in materia di  «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale   dell'energia»,   integrato   dalle   Linee   guida    per
l'autorizzazione degli  impianti  alimentati  da  fonti  rinnovabili,
adottate il 10 settembre 2010 con decreto del Ministro dello sviluppo
economico di concerto con il Ministro dell'ambiente  e  della  tutela
del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attivita'
culturali. La disposizione regionale censurata impedirebbe,  in  modo
aprioristico e generalizzato, la costruzione, negli argini dei  corsi
d'acqua della Regione, di opere e manufatti pure quando  destinati  o
funzionali all'esercizio di concessioni di derivazione di  acque  per
la  produzione  di  energia  idroelettrica,  senza  che  sia   invece
richiesta una valutazione delle caratteristiche dei singoli  progetti
in relazione alle concrete condizioni dei luoghi e alla  comparazione
degli interessi coinvolti nel caso specifico. 
    Il Tribunale, poi,  evoca  anche  altri  parametri:  l'art.  117,
secondo comma, Cost., perche' la  disposizione  censurata,  limitando
aprioristicamente  il  libero  accesso   al   mercato   dell'energia,
creerebbe uno squilibrio nella concorrenza; gli artt. 3 e  41  Cost.,
perche' la stessa limiterebbe il  diritto  di  iniziativa  economica;
l'art. 97 Cost., in quanto, per effetto dell'aprioristica preclusione
di valutazioni comparative, priverebbe  la  pubblica  amministrazione
della possibilita' di contemperare gli interessi in gioco per rendere
compatibili  le  esigenze  della  produzione  di  energia  da   fonti
rinnovabili con gli altri molteplici interessi, pubblici  e  privati,
coinvolti. 
    2. - Va premesso che la legge reg. Friuli-Venezia  Giulia  n.  11
del 2015 reca la disciplina organica in materia di difesa del suolo e
di utilizzazione delle acque e in particolare, all'art.  18,  prevede
una speciale tutela  dei  corpi  idrici  superficiali  e  delle  aree
fluviali, ponendo una serie di  divieti  e  prescrizioni  concernenti
l'alveo dei  corsi  d'acqua  naturali,  le  sponde,  la  loro  fascia
adiacente e gli argini. 
    In particolare, il comma 3 - disposizione censurata - prevede che
all'interno della struttura degli argini dei  corsi  d'acqua  non  e'
consentita  la  costruzione  di  opere  di  qualunque  tipologia,   a
eccezione della realizzazione di manufatti e di lavori funzionali  al
mantenimento  in  efficienza  degli  argini   stessi,   alla   difesa
idraulica, al contenimento delle piene, al  soccorso  pubblico,  alla
tutela della pubblica incolumita' e dell'ambiente, o di manufatti  di
presa funzionali all'alimentazione  di  reti  e  impianti  consortili
aventi finalita' irrigue o di bonifica. 
    Per  effetto  della  successiva  legge  della  Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia
di ambiente, di energia, di infrastrutture  e  di  contabilita'),  la
disposizione censurata e' stata modificata e in particolare e'  stata
eliminata la possibilita' di realizzare manufatti di presa funzionali
all'alimentazione di reti  e  impianti  consortili  aventi  finalita'
irrigue. 
    La stessa legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018 ha anche
modificato il comma 1 dell'art. 18, introducendo il riferimento  alle
«finalita' di cui all'art. 115  del  decreto  legislativo  152/2006»;
disposizione questa che reca la disciplina di tutela  delle  aree  di
pertinenza dei corpi idrici e specificamente prevede che  le  Regioni
disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo
e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno dieci  metri  dalla
sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune. 
    Questo jus superveniens, peraltro - puo' subito rilevarsi -,  non
modifica i termini delle questioni di costituzionalita' sollevate dal
Tribunale superiore rimettente. 
    3. - L'art. 18 - come ha giustamente  rilevato  la  difesa  della
Regione - puo' iscriversi alla  materia  della  «utilizzazione  delle
acque pubbliche» che l'art. 5, numero 14), della legge costituzionale
31 gennaio 1963,  n.  1  (Statuto  speciale  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia),  riserva  alla  competenza  concorrente  del
legislatore  regionale  nel  rispetto   dei   principi   fondamentali
stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato;  competenza   arricchita   dal
trasferimento alla Regione delle acque pubbliche, degli alvei e delle
opere  idrauliche,  situati   nel   territorio   regionale   (decreto
legislativo 25 maggio 2001, n.  265,  recante  «Norme  di  attuazione
dello Statuto speciale della regione  Friuli-Venezia  Giulia  per  il
trasferimento di beni del demanio  idrico  e  marittimo,  nonche'  di
funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo»). 
    Al contempo,  tale  disposizione  non  manca  di  regolare  anche
qualche aspetto che incrocia altra materia. 
    Cio'  avviene,   ad   esempio,   nella   prescrizione   contenuta
espressamente nel comma 1 dell'art. 18, che vuole che gli impianti di
smaltimento di rifiuti e di discariche non possono  essere  collocati
nella fascia di 150 metri dal piede dell'argine esterno o dal  ciglio
della  sponda;  prescrizione   che   attiene   anche   alla   materia
dell'ambiente. 
    Ma una parallela prescrizione puo' desumersi - come correttamente
ritiene il Tribunale superiore rimettente - dal comma 3 della  stessa
disposizione: non e' possibile, in modo assoluto,  la  realizzazione,
negli argini di tutti i corsi  d'acqua  della  Regione,  qualsivoglia
manufatto funzionale alla produzione di energia idroelettrica. Questo
frammento normativo - che, cosi' interpretato, e' posto a  fondamento
dei  provvedimenti  della  Regione  di  diniego  di  concessione   di
derivazione, impugnati dal Comune richiedente - incrocia  la  materia
della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»,
che l'art. 117, terzo comma, Cost. indica come competenza concorrente
per le Regioni a statuto ordinario. 
    Invece, lo statuto speciale di autonomia non prevede,  in  favore
della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  alcuna  competenza
legislativa in questa materia (sentenza n. 298 del 2013), ma solo una
riserva  quanto  al  gettito   dell'accisa   sull'energia   elettrica
consumata nella Regione (art. 49). Opera, pertanto,  la  clausola  di
equiparazione di  cui  all'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione), che stabilisce che le disposizioni di  tale  revisione
costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto  speciale  e
alle Province autonome di Trento e di Bolzano per  le  parti  in  cui
prevedono forme di  autonomia  piu'  ampie  rispetto  a  quelle  gia'
attribuite; cio' sino all'adeguamento dei rispettivi statuti  e  alle
relative norme di attuazione, ai sensi dell'art.  11  della  legge  5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). 
    Con riferimento alla materia dell'energia, cio' e'  avvenuto  con
il decreto legislativo 23 aprile 2002, n. 110  (Norme  di  attuazione
dello  statuto   speciale   della   regione   Friuli-Venezia   Giulia
concernenti il trasferimento  di  funzioni  in  materia  di  energia,
miniere, risorse  geotermiche  e  incentivi  alle  imprese),  che  ha
trasferito  alla  Regione  autonoma  le  funzioni  amministrative  in
materia di energia, concernenti in particolare  anche  la  produzione
(art. 1), riservando allo Stato le  funzioni  elencate  nell'art.  3,
afferenti  in  particolare  alle  linee  della  politica   energetica
nazionale  e  alla  definizione  degli  obiettivi  e  dei   programmi
nazionali in materia di fonti rinnovabili, nonche' la definizione dei
criteri generali tecnico-costruttivi e le norme  tecniche  essenziali
degli impianti di produzione dell'energia. 
    Si  tratta  quindi  di  competenza  ripartita,  attuativa   della
competenza concorrente di  cui  all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
estesa alla Regione ad  autonomia  differenziata  per  effetto  della
clausola di estensione automatica di  cui  all'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001. 
    Il legislatore regionale e', quindi, parimenti tenuto al rispetto
delle norme fondamentali della materia, quali poste  dalla  normativa
statale. 
    4.  -  Cio'  premesso,  va  innanzi  tutto  affermata  la   piena
ammissibilita'  delle  questioni  incidentali  di   costituzionalita'
sollevata dal rimettente. 
    Infatti,  sussiste  la  rilevanza  delle  questioni   perche'   i
provvedimenti impugnati dal Comune di  Castions  di  Strada,  che  ha
adito  il  Tribunale  superiore  deducendo  la  loro  illegittimita',
fondano il diniego di concessione  di  derivazione  delle  acque  del
torrente  Cormor  proprio  sul  divieto  assoluto,  contenuto   nella
disposizione censurata, di  realizzare,  negli  argini,  qualsivoglia
manufatto per la produzione di energia  idroelettrica.  Pertanto,  la
legittimita' costituzionale della norma regionale  che  tale  divieto
pone e' direttamente rilevante per la definizione del giudizio a quo. 
    L'ordinanza di rimessione ha, poi, adeguatamente motivato i dubbi
di legittimita' costituzionale in riferimento ai menzionati parametri
(artt.  3,  41,  97  e  117,  secondo  e  terzo  comma,  Cost.).   In
particolare, e' ammissibile la deduzione, come  parametro,  dell'art.
117, terzo comma, Cost., pur  trattandosi  di  Regione  ad  autonomia
differenziata, perche' il Tribunale superiore si e'  confrontato  con
disposizioni dello statuto speciale  che  non  prevedono  la  materia
dell'energia e quindi opera la clausola di equiparazione dell'art. 10
della legge cost. n. 3 del  2001  nei  termini  sopra  descritti  (da
ultimo, sul tema, sentenza n. 119 del 2019). 
    5. - Nel merito, la questione e' fondata con riferimento all'art.
117, terzo comma, Cost. 
    6. - La disciplina delle  fonti  rinnovabili,  essenzialmente  di
matrice europea, tende a favorire la produzione di energia  "pulita",
si' da meglio salvaguardare l'ambiente. E' la strategia nazionale  di
green economy  per  uno  sviluppo  sostenibile  dal  punto  di  vista
energetico (art. 72 della legge 28 dicembre  2015,  n.  221,  recante
«Disposizioni in materia ambientale per promuovere  misure  di  green
economy  e  per  il  contenimento  dell'uso  eccessivo   di   risorse
naturali»). 
    Come questa Corte (sentenza n. 85 del 2012) ha gia' rilevato,  la
normativa  internazionale  (Protocollo  di  Kyoto  addizionale   alla
Convenzione-quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti  climatici,
adottato l'11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con legge 1°
giugno 2002, n.  120;  Statuto  dell'Agenzia  internazionale  per  le
energie  rinnovabili  IRENA,  fatto  a  Bonn  il  26  gennaio   2009,
ratificato e reso esecutivo con legge 5 aprile 2012, n.48)  e  quella
comunitaria  (direttiva  2001/77/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio  del  27  settembre  2001,  sulla  promozione  dell'energia
elettrica prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato
interno dell'elettricita',  e  direttiva  2009/28/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili) manifestano un deciso favor per le
fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza  dai
carburanti fossili. 
    In particolare, in ambito europeo una disciplina cosi'  orientata
e' rinvenibile nelle citate direttive 2001/77/CE e  2009/28/CE  e  in
quella  piu'  recente  (di  rifusione)  2018/2001/UE  del  Parlamento
europeo e del  Consiglio  dell'11  dicembre  2018,  sulla  promozione
dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. 
    In ambito nazionale, la normativa europea e' stata  recepita  dal
decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che attua la  direttiva
2001/77/CE, e dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che  attua
la direttiva 2009/28/CE. Con decreto legislativo 4  luglio  2014,  n.
102, e' poi stata  data  attuazione  alla  direttiva  2012/27/UE  del
Parlamento  europeo  e   del   Consiglio   del   25   ottobre   2012,
sull'efficienza energetica, recante varie disposizioni  per  favorire
l'energia derivante da fonti rinnovabili. 
    In questo contesto  normativo,  in  particolare,  l'art.  12  del
d.lgs.  n.  387   del   2003   enuncia,   come   riconosciuto   dalla
giurisprudenza di questa Corte, i principi  fondamentali  in  materia
disciplinando il procedimento autorizzatorio e la localizzazione  dei
siti per la realizzazione degli impianti in questione  (ex  plurimis,
sentenza n. 364 del 2006). Ulteriori principi fondamentali sono stati
fissati, anche in questo ambito, dalla legge 23 agosto 2004,  n.  239
(Riordino del settore energetico, nonche' delega al  Governo  per  il
riassetto delle disposizioni vigenti  in  materia  di  energia),  che
costituisce «legislazione di cornice»  per  la  materia  dell'energia
(sentenza n. 383 del 2005). 
    Il  principio  di  massima  diffusione  delle  fonti  di  energia
rinnovabile,  derivante  dalla  normativa  europea  e  recepito   dal
legislatore   nazionale,    «trova    attuazione    nella    generale
utilizzabilita'  di  tutti  i  terreni  per  l'inserimento  di   tali
impianti, con le eccezioni, stabilite dalle  Regioni,  ispirate  alla
tutela di altri  interessi  costituzionalmente  protetti  nell'ambito
delle materie di competenza delle Regioni stesse»  (sentenza  n.  224
del 2012). Le quali sono anche  coinvolte  nella  ripartizione  della
quota  minima  di  incremento   dell'energia   elettrica   da   fonti
rinnovabili che il Governo e' stato chiamato a fissare  d'intesa  con
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  per  raggiungere  gli
obiettivi fissati in sede europea (decreto-legge 30 dicembre 2008, n.
208, recante «Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di
protezione dell'ambiente», convertito, con modificazioni, in legge 27
febbraio 2009, n. 13). 
    E', dunque, alla stregua di tali principi che  va  scrutinata  la
disposizione censurata,  considerando  che  il  legislatore  statale,
proprio   «attraverso   la    disciplina    delle    procedure    per
l'autorizzazione degli impianti di produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante  giurisprudenza
di questa  Corte,  non  tollerano  eccezioni  sull'intero  territorio
nazionale,  in  quanto  espressione  della   competenza   legislativa
concorrente in materia di energia, di cui all'art. 117, terzo  comma,
della Costituzione» (sentenza n. 99 del 2012). 
    Il margine di intervento riconosciuto  al  legislatore  regionale
non permette invece  che  le  Regioni  prescrivano  limiti  generali,
perche' cio' contrasterebbe con il principio fondamentale di  massima
diffusione  delle  fonti  di  energia  rinnovabili,   stabilito   dal
legislatore  statale  in  conformita'  alla   normativa   dell'Unione
europea. Pertanto questa Corte (sentenza n. 69 del 2018) ha  ritenuto
illegittima la fissazione, da parte  del  legislatore  regionale,  di
distanze minime per gli impianti di produzione di  energia  da  fonti
rinnovabili. Ne' appartiene alla competenza legislativa della  stessa
Regione la modifica, anzi il rovesciamento,  del  principio  generale
contenuto nell'art. 12, comma 10, del d.lgs. n.  387  del  2003,  con
l'introduzione di divieti generalizzati (sentenza n. 224  del  2012).
Parimenti, in precedenza, nella sentenza  n.  308  del  2011,  si  e'
affermata l'illegittimita' costituzionale di  disposizioni  regionali
che prevedevano un divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato
di localizzazione di tali impianti. 
    Anche con riguardo a una Regione  ad  autonomia  speciale  questa
Corte (sentenza n. 199 del 2014)  ha  ritenuto  che  la  disposizione
censurata - nell'individuare i siti idonei alla  realizzazione  degli
impianti - si poneva in contrasto  con  le  linee  guida  statali  in
quanto  circoscriveva,  limitandole,   le   aree   disponibili   alla
realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile (nella
specie, eolica), senza alcuna ragione giustificatrice  rispetto  alla
specifica competenza primaria in materia paesaggistica della Regione.
Si invertiva cosi' il rapporto  regola-eccezione,  imposto  dall'art.
12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, che prescrive  la  generale
disponibilita',  anche  degli  ambiti  di  paesaggio  costieri,  alla
installazione degli impianti. 
    7. - Occorre, quindi, far riferimento all'art. 12 del  d.lgs.  n.
387 del  2003  che  disciplina  il  procedimento  volto  al  rilascio
dell'autorizzazione unica per  la  costruzione  e  l'esercizio  degli
impianti di produzione  di  energia  elettrica  alimentati  da  fonti
rinnovabili. I commi 3 e 4 prevedono che la costruzione e l'esercizio
degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili,  nonche'  le  opere   connesse   e   le   infrastrutture
indispensabili  alla  costruzione  e  all'esercizio  degli   impianti
stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica,  rilasciata  dalla
Regione o dalle Province delegate dalla Regione, nel  rispetto  delle
normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di  tutela  del
paesaggio e del patrimonio storico-artistico,  che  costituisce,  ove
occorra, variante allo strumento urbanistico. 
    Il comma 10, in particolare, dispone  che  le  linee  guida  sono
approvate in Conferenza unificata, su  proposta  del  Ministro  delle
attivita' produttive (oggi Ministro per lo  sviluppo  economico),  di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
e del mare e con il Ministro per i beni  e  le  attivita'  culturali.
Esse perseguono l'obiettivo, espressamente indicato, di assicurare un
corretto inserimento degli impianti nel territorio. 
    In questo contesto le Regioni possono individuare aree e siti non
idonei all'installazione di specifiche tipologie di impianti e  porre
limitazioni e divieti  in  atti  programmatori  o  pianificatori  per
l'installazione di specifiche tipologie  di  impianti  alimentati  da
fonti rinnovabili, ma con le prescritte modalita' procedimentali. 
    Le linee guida indicano appunto i criteri e  i  principi  che  le
Regioni sono tenute a rispettare al fine di individuare le aree nelle
quali non e' possibile realizzare impianti  alimentati  da  fonti  di
energia alternativa. Pertanto - ha affermato questa  Corte  (sentenza
n. 13 del 2014) - alle Regioni e' consentito  individuare,  caso  per
caso, aree e siti non idonei, avendo specifico riguardo alle  diverse
fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione  e  solo
qualora   cio'    sia    necessario    per    proteggere    interessi
costituzionalmente rilevanti. 
    Conseguentemente,  in  continuita'  con  il  richiamato  costante
orientamento giurisprudenziale, va ribadito che l'art. 12 del  d.lgs.
n. 387 del 2003, con le relative linee guida, appartiene ai  principi
fondamentali della materia, di  competenza  legislativa  concorrente,
«produzione,  trasporto  e  distribuzione  nazionale   dell'energia»;
sicche'  il  margine  di  intervento  riconosciuto   al   legislatore
regionale per  individuare  «le  aree  e  i  siti  non  idonei»  alla
installazione di impianti di produzione di  energia  rinnovabile  non
permette  che  le  Regioni  prescrivano  limiti  generali,   valevoli
sull'intero territorio regionale (nello stesso senso, le sentenze  n.
69 del 2018, n. 199 del 2014 e n. 308 del 2011). 
    Ne' a cio' e' di ostacolo la  "clausola  di  salvezza"  contenuta
nell'art. 19 dello stesso d.lgs. n. 387 del  2003.  Questa  Corte  ha
infatti affermato che  la  competenza  legislativa  delle  Regioni  a
statuto speciale e delle Province autonome «deve tuttavia  coesistere
con la competenza statale in materia di tutela  dell'ambiente  e  con
quella concorrente in materia di energia» (sentenza n. 275 del 2011).
E  infatti,  con  specifico  riferimento   ad   alcune   disposizioni
legislative proprio della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  in
materia di energia da fonti rinnovabili, questa  Corte  (sentenza  n.
298 del 2013) ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  di  una
disposizione regionale che estendeva lo speciale  regime  abilitativo
oltre i limiti fissati dalla legge statale in ordine all'ubicazione e
alla potenza degli impianti. 
    8. - E' pero' ben  possibile  che  la  disciplina  relativa  alla
localizzazione degli impianti  di  produzione  di  energia  da  fonti
rinnovabili  intersechi  anche  gli  ambiti  di  diverse   competenze
legislative, nazionali e regionali. Nel qual caso - come questa Corte
ha gia' precisato -  «l'armonizzazione  profilata  nell'art.  12  del
d.lgs.  n.  387  del  2003,  tra  competenze  statali,  regionali   e
provinciali costituisce una modalita' di equilibrio rispettosa  delle
competenze di tutti gli enti coinvolti nella programmazione  e  nella
realizzazione delle fonti energetiche rinnovabili» (sentenza  n.  224
del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 308 del 2011 e n.  119  del
2010). 
    Nella fattispecie la disposizione censurata, dettata  in  materia
di utilizzazione delle acque, contiene anche il divieto  assoluto  di
realizzazione, negli argini fluviali, di qualsivoglia  manufatto  per
la produzione di energia idroelettrica, senza neppure prevedere, come
eccezione,  la  possibilita'  di  realizzare  opere  compatibili  con
l'esigenza, in particolare, di prevenire rischi idrogeologici. 
    I  richiamati  principi  fondamentali  della  materia  richiedono
all'opposto che la produzione di energia idroelettrica sia favorita e
quindi con essi e' incompatibile una norma  regionale,  quale  quella
censurata,  che  ne  faccia  divieto  in  alcuni  siti  ponendo   una
prescrizione  assoluta  di  immodificabilita',  nella  specie,  degli
argini fluviali. 
    La competenza regionale in materia di utilizzazione  delle  acque
non legittima tale divieto assoluto, ma comporta solo che  il  favore
che assiste la produzione  dell'energia  idroelettrica  debba  essere
bilanciato, nell'apposito procedimento, con le esigenze sottese  alla
competenza regionale in materia di acque. 
    Pertanto,  la  reductio  ad  legitimitatem   della   disposizione
censurata comporta che la possibilita' di realizzazione di  manufatti
negli argini fluviali sia bilanciata dall'esigenza di prevenire  ogni
rischio idrogeologico. 
    9. - In conclusione, assorbiti gli altri  parametri  evocati  dal
Tribunale  superiore  rimettente,  va   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18, comma 3, della legge regionale n. 11 del
2015 nella parte in cui  non  consente  la  costruzione,  all'interno
della struttura degli argini dei corsi d'acqua, di manufatti  per  la
realizzazione di impianti  di  produzione  di  energia  idroelettrica
compatibili con le esigenze di prevenzione dei rischi idrogeologici. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18,  comma  3,
della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  29  aprile
2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e  di
utilizzazione delle acque),  nella  parte  in  cui  non  consente  la
costruzione, all'interno  della  struttura  degli  argini  dei  corsi
d'acqua, di manufatti per la realizzazione di impianti di  produzione
di energia idroelettrica compatibili con le esigenze  di  prevenzione
dei rischi idrogeologici. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA