N. 153 SENTENZA 7 maggio - 21 giugno 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Acque pubbliche  (concessioni  di  derivazione  d'acqua;  sottrazione
  delle  istanze  di  concessione  presentate  prima  della  data  di
  approvazione  del  Piano  regionale  di  tutela  delle  acque  alle
  limitazioni previste dal Piano stesso per le nuove  concessioni)  -
  Rifiuti (possibilita' per i gestori di impianti  di  smaltimento  o
  recupero di stipulare, con i Comuni  interessati,  convenzioni  che
  prevedano la corresponsione di un indennizzo). 
- Legge della Regione Friuli-Venezia Giulia  27  marzo  2018,  n.  12
  (Disposizioni in materia di  cultura,  sport,  risorse  agricole  e
  forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria e raccolta  funghi,
  imposte e tributi, autonomie locali e coordinamento  della  finanza
  pubblica, funzione pubblica, infrastrutture, territorio,  ambiente,
  energia,  attivita'  produttive,  cooperazione,  turismo,   lavoro,
  biodiversita', paesaggio,  salute  e  disposizioni  istituzionali),
  art. 7, commi 1 e 11. 
-   
(GU n.26 del 26-6-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi  1
e 11, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 27 marzo  2018,
n. 12 (Disposizioni in materia di cultura, sport, risorse agricole  e
forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria  e  raccolta  funghi,
imposte e tributi, autonomie locali  e  coordinamento  della  finanza
pubblica, funzione pubblica,  infrastrutture,  territorio,  ambiente,
energia,  attivita'  produttive,   cooperazione,   turismo,   lavoro,
biodiversita',  paesaggio,  salute  e  disposizioni   istituzionali),
promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 25 maggio-1° giugno 2018, depositato in cancelleria  il
30 maggio 2018, iscritto  al  n.  38  del  registro  ricorsi  2018  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  26,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  7  maggio  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi  l'avvocato  dello  Stato  Maria  Letizia  Guida   per   il
Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e  l'avvocato  Giandomenico
Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ricorso  notificato  il  25  maggio-1°  giugno  2018  e
depositato il  30  maggio  2018,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
7, commi 1 e 11, della legge della Regione Friuli-Venezia  Giulia  27
marzo 2018, n. 12 (Disposizioni in materia di cultura, sport, risorse
agricole e forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria e raccolta
funghi, imposte e tributi, autonomie  locali  e  coordinamento  della
finanza  pubblica,  funzione  pubblica,  infrastrutture,  territorio,
ambiente,  energia,  attivita'  produttive,  cooperazione,   turismo,
lavoro,   biodiversita',    paesaggio,    salute    e    disposizioni
istituzionali), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera
s), e 119 della Costituzione. 
    1.1.- Il comma 1 dell'art.  7  della  legge  regionale  impugnata
dispone che «Le limitazioni alle  nuove  concessioni  di  derivazione
d'acqua previste dall'articolo 43, commi 3, 4 e  5,  delle  Norme  di
attuazione  del  Piano  regionale  di  tutela  delle  acque,  non  si
applicano  alle  istanze  di  concessione  di   derivazione   d'acqua
presentate prima della data di approvazione del Piano stesso». 
    Il comma 11 del medesimo articolo introduce, dopo il comma  3-bis
dell'art. 27 della  legge  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  20
ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei rifiuti e
principi di economia circolare), il comma 3-ter, del seguente tenore:
«I gestori degli impianti di cui agli  articoli  [recte  commi]  3  e
3-bis possono stipulare con i Comuni sul cui territorio sono  situati
i relativi impianti convenzioni che prevedano la corresponsione di un
indennizzo, determinato dal regolamento regionale di cui all'articolo
10, comma 1, lettera b)». 
    Preliminarmente,  il  ricorrente   sottolinea   come   le   dette
disposizioni  eccedano  dalle  competenze  attribuite  alla   Regione
autonoma dal proprio statuto, approvato con la  legge  costituzionale
31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione  Friuli-Venezia
Giulia). 
    1.2.- Il comma 1 dell'art.  7  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 12 del 2018 e'  impugnato  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 95 e 96 del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale). 
    In particolare, la norma regionale e' ritenuta in  contrasto  con
le «disposizioni statali ed europee in materia di tutela quantitativa
delle acque, con conseguenze altresi' sulla  tutela  qualitativa  dei
corpi idrici». La difesa statale muove dall'assunto che la disciplina
della  tutela  delle  acque  rientri  nella  materia   della   tutela
dell'ambiente; pertanto, le norme regionali non  potrebbero  derogare
alle leggi statali applicabili in questo ambito. 
    Nel caso di specie, la norma  di  cui  al  comma  1  dell'art.  7
violerebbe gli artt. 95, commi 2 e 4, e 96, commi 1 e 3,  del  d.lgs.
n. 152 del 2006, secondo i quali tutte le istanze di  concessione  di
derivazione d'acqua devono essere  sottoposte  al  parere  vincolante
delle autorita' di bacino territorialmente competenti  affinche'  sia
assicurato il rispetto dell'equilibrio  del  bilancio  idrico  e  sia
garantito il rispetto del minimo deflusso  vitale  dei  corpi  idrici
secondo la pianificazione e programmazione  contenuta  nei  piani  di
tutela, anche se non ancora approvati. 
    Nel caso di specie l'impugnato comma 1 dell'art.  7  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12 del 2018 si  porrebbe  in  contrasto
con  l'anzidetta  normativa   statale   perche'   sottrarrebbe   alle
limitazioni previste dal piano regionale di  tutela  delle  acque  le
domande di  concessione  presentate  prima  della  sua  approvazione,
consentendo   cosi'   di   prescindere   dalle    previsioni    della
pianificazione e programmazione che tendono a garantire  l'equilibrio
del bilancio idrico. 
    1.3.- Il comma 11 dell'art. 7  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 12 del 2018 - il quale introduce il comma  3-ter,  dopo  il
comma 3-bis dell'art. 27 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34
del 2017 - e' impugnato in quanto imporrebbe, «ai soggetti gestori di
impianti di smaltimento  localizzati  sul  territorio  regionale,  il
pagamento di un indennizzo, necessario a compensare il disagio legato
alla  presenza  dell'impianto  di  smaltimento  o  di  recupero   sul
territorio comunale pur non  essendo  sostenuto  da  specifica  norma
statale». 
    In particolare, il ricorrente sostiene che il comma 11  dell'art.
7 si ponga in contrasto con l'art. 119 Cost., poiche' il  legislatore
statale avrebbe gia' istituito «il tributo speciale per  il  deposito
in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico
dei rifiuti solidi» (art. 3, comma 24, della legge 28 dicembre  1995,
n.  549,  recante  «Misure   di   razionalizzazione   della   finanza
pubblica»), che costituirebbe  un  tributo  sovrapponibile  a  quello
previsto dalla norma  impugnata.  Il  soggetto  passivo  del  tributo
speciale e' il «gestore dell'impresa  di  stoccaggio  definitivo  con
obbligo  di  rivalsa  nei  confronti  di  colui   che   effettua   il
conferimento» (art. 3, comma 26, della legge n. 549 del 1995). 
    La difesa  statale  rileva  altresi'  che,  proprio  al  fine  di
compensare il disagio provocato dalla presenza di tali  tipologie  di
impianti sul territorio, il legislatore statale ha  previsto  che  le
regioni destinino una quota parte del gettito  «ai  comuni  ove  sono
ubicati le discariche o gli impianti di incenerimento senza  recupero
energetico e ai  comuni  limitrofi,  effettivamente  interessati  dal
disagio provocato dalla presenza della discarica o dell'impianto, per
la realizzazione di interventi volti al miglioramento ambientale  del
territorio interessato, alla tutela igienico-sanitaria dei residenti,
allo sviluppo di sistemi di controllo e di monitoraggio ambientale  e
alla gestione integrata dei rifiuti urbani» (art. 3, comma 27,  della
legge n. 549 del 1995). 
    Pertanto, l'impugnato comma  11  dell'art.  7  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 12 del 2018 violerebbe «nel  complesso»  gli
artt. 119 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. Infatti, il tributo
speciale  per  il  deposito  in   discarica   dei   rifiuti   solidi,
disciplinato dai commi da 24 a 49 dell'art. 3 della legge n. 549  del
1995, costituisce tributo statale, e non gia' tributo "proprio" delle
regioni, non rilevando a tal fine ne' l'attribuzione del suo gettito,
ne' le competenze amministrative attribuite a queste  ultime.  Questo
tributo risponderebbe a finalita' ambientali consistenti nel favorire
la minore produzione di rifiuti, il recupero di materia  prima  e  di
energie, la bonifica dei siti  contaminati  e  il  recupero  di  aree
degradate (sono citate le sentenze n. 133 e n. 85 del 2017, n. 58 del
2015 e n. 269 del 2014). 
    Non spetterebbe,  quindi,  al  legislatore  regionale  introdurre
modifiche alla normativa statale che non siano da essa  espressamente
consentite  o,  come  nel  caso  di  specie,  istituire  un   tributo
sovrapponibile a quello previsto dalla legislazione statale.  Di  qui
la violazione dell'art. 119 Cost.,  come  peraltro  confermato  dalla
sentenza n. 280 del 2011, con la quale  sarebbe  stata  definita  una
questione simile a quella odierna, e dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in ragione dell'interferenza con la disciplina dei
rifiuti rientrante nella materia ambientale di  competenza  esclusiva
dello Stato. 
    2.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si e' costituita in
giudizio  chiedendo  che  le  questioni  promosse  siano   dichiarate
inammissibili   e   infondate,   rinviando   a    separata    memoria
l'illustrazione delle ragioni addotte a sostegno di questa richiesta. 
    3.-   In   prossimita'   dell'udienza   la    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria nella quale  illustra
le ragioni di inammissibilita' e di infondatezza delle censure  mosse
dal ricorrente. 
    3.1.- Quanto alla questione di  legittimita'  costituzionale  del
comma 1 dell'art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12  del
2018,    la    difesa    regionale    eccepisce,     preliminarmente,
l'inammissibilita' della censura in quanto il ricorso ometterebbe  di
esaminare le disposizioni di cui agli artt. 43, commi 3, 4 e 5, delle
norme di attuazione del piano regionale  di  tutela  delle  acque.  A
detta della resistente, limitandosi la  norma  impugnata  a  disporre
«specifiche e limitate  eccezioni  alla  integrale  applicazione  del
Piano Acque», graverebbe sul  ricorrente  l'onere  di  illustrare  il
contenuto delle disposizioni del piano fatte oggetto della deroga. 
    Sempre in punto di ammissibilita',  la  difesa  regionale  rileva
l'erroneita' del parametro  di  riferimento,  sottolineando  come  il
Presidente del Consiglio  dei  ministri  avrebbe  dovuto  prospettare
l'eventuale violazione  di  parametri  statutari,  piuttosto  che  di
quelli di  cui  all'art.  117  Cost.  L'omessa  considerazione  delle
competenze statutarie della Regione speciale  determinerebbe,  a  suo
dire, l'inammissibilita' della questione promossa. 
    Nel merito la  censura  non  avrebbe  fondamento,  in  quanto  il
ricorso non  illustrerebbe  ne'  i  livelli  inderogabili  di  tutela
ambientale  asseritamente  violati,   ne'   il   modo   in   cui   si
concretizzerebbe questa violazione. La resistente ritiene che,  anche
a voler supplire alle denunciate omissioni del ricorrente,  la  norma
impugnata rispetti i limiti  inderogabili  di  tutela  ambientale,  i
quali  dovrebbero  essere  individuati  nella  regola  che  esige  il
rispetto del limite di deflusso minimo vitale  e  dell'equilibrio  di
bilancio idrico, e in quella che richiede il parere vincolante  delle
autorita' di bacino sulle istanze di concessione. 
    Secondo la difesa regionale,  entrambe  queste  regole  sarebbero
pienamente  rispettate  dalla  norma  impugnata,  la  quale  dichiara
«applicabili solo pro futuro» le disposizioni  di  cui  all'art.  43,
commi 3, 4 e 5, delle norme di attuazione del  piano.  Queste  ultime
non  inciderebbero  ne'  sul  deflusso  minimo,  ne'  sull'equilibrio
idrico, ne' ancora sul controllo  delle  istanze  di  concessione  da
parte dell'autorita' di  bacino,  ma  imporrebbero  una  «valutazione
concreta» delle nuove istanze di concessione di derivazione  d'acqua,
escludendo che esse, qualora presentino le caratteristiche di cui  ai
commi 3, 4 e 5 del citato art. 43, siano automaticamente escluse. 
    Al riguardo, la Regione rivendica il suo potere  di  distinguere,
in sede di  redazione  del  piano  o  contestualmente  a  questo,  le
disposizioni che hanno effetti anticipati (rispetto  all'approvazione
del piano stesso) da quelle che, invece, operano dopo l'approvazione,
rinvenendo il fondamento di questo potere nell'art. 121, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006. Pertanto, il legislatore regionale si sarebbe
limitato a specificare, nella disposizione impugnata, quali norme  di
attuazione non trovano applicazione  alle  istanze  presentate  prima
della data di approvazione del piano. 
    La difesa regionale rinviene un ulteriore  argomento  a  sostegno
della sua tesi nel fatto che l'autorita' di bacino dei fiumi  Isonzo,
Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione, con una nota del  3
febbraio 2016 (allegata alla  memoria),  ha  ritenuto  applicabili  a
tutte le nuove istanze le misure di salvaguardia indicate in sede  di
adozione dell'aggiornamento del piano di  gestione  delle  acque  del
distretto idrografico delle Alpi orientali. 
    Pertanto, sempre a detta della  resistente,  sarebbe  «del  tutto
logico» che le misure  contenute  nell'art.  43,  commi  3,  4  e  5,
corrispondenti a misure che in origine  trovavano  applicazione  solo
alle domande presentate dopo l'entrata  in  vigore  delle  misure  di
salvaguardia, non siano ora  applicabili  retroattivamente  a  quelle
stesse  domande,  in   ragione   del   «ritardo   nella   definizione
dell'istruttoria». 
    3.2.- In relazione al comma  11  dell'art.  7  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 12 del 2018, la resistente  ritiene  che  le
questioni  promosse  siano  infondate  per   le   seguenti   ragioni:
innanzitutto l'indennizzo previsto non avrebbe  natura  tributaria  e
dunque non sarebbe «sovrapponibile»  ad  alcun  tributo  statale;  in
secondo luogo, esso si riferirebbe comunque a fattispecie diverse  da
quelle alle quali si applica il tributo per il deposito in  discarica
e quindi non sarebbe «sovrapponibile» al tributo statale neppure  per
l'oggetto; infine, la Regione disporrebbe di una  propria  competenza
statutaria in materia di rifiuti. 
    Preliminarmente, la difesa regionale sottolinea come gia'  l'art.
27 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017 preveda  che
«[i] Comuni sul cui territorio sono situati impianti  di  smaltimento
dei  rifiuti  sono  indennizzati  dei  relativi  disagi  mediante  la
corresponsione, da parte del gestore dell'impianto, di un  indennizzo
differenziato determinato ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera
b)». 
    Tale indennizzo e' dovuto per la sola quota di rifiuti gestiti in
conto terzi da impianti di  recupero  «che  utilizzano  rifiuti  come
combustibile o altro mezzo per produrre energia» (art. 27,  comma  2,
lettera  a),  «che  utilizzano  rifiuti   per   produrre   ammendante
compostato misto» (art. 27, comma 2, lettera b), «che  effettuano  la
digestione anaerobica di rifiuti» (art. 27, comma 2, lettera c). 
    I  commi  3  e  3-bis  del  medesimo  art.  27  escludono   dalla
corresponsione dell'indennizzo «i gestori di impianti di  recupero  o
di  smaltimento   dei   rifiuti   situati   nelle   aree   produttive
ecologicamente attrezzate (APEA) di cui all'articolo  8  della  legge
regionale 3/2015 e i gestori di impianti di recupero  di  rifiuti  in
possesso  della  registrazione  ai  sensi  del  regolamento  (CE)  n.
1221/2009 del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del  25  novembre
2009, sull'adesione volontaria  delle  organizzazioni  a  un  sistema
comunitario di ecogestione  e  audit»  (comma  3)  e  «i  gestori  di
impianti di recupero di  rifiuti  in  possesso  della  certificazione
ambientale ISO 14001» (comma 3-bis). 
    In questo contesto normativo  si  colloca  l'impugnato  comma  11
dell'art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12 del 2018, il
quale introduce il comma 3-ter dopo il comma 3-bis dell'art. 27 della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  34  del  2017,  prevedendo  che,
benche' non siano obbligati, i  gestori  degli  impianti  individuati
negli articoli (recte commi) 3 e 3-bis possono stipulare con i Comuni
interessati   convenzioni    che    prevedano    la    corresponsione
dell'indennizzo di cui sopra. 
    Da questa ricostruzione del quadro normativo la difesa  regionale
deduce  l'infondatezza   delle   questioni   promosse   sia   perche'
l'indennizzo convenzionale previsto non  ha  natura  tributaria,  sia
perche' esso non si riferisce al deposito in  discarica  dei  rifiuti
solidi. 
    Peraltro - aggiunge la resistente - la questione  prospettata  in
riferimento all'art. 119 Cost. sarebbe inammissibile per inconferenza
del parametro evocato. Nel caso di specie, trattandosi di un  tributo
proprio derivato delle regioni (ai  sensi  dell'art.  8  del  decreto
legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di
autonomia di entrata  delle  regioni  a  statuto  ordinario  e  delle
province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel settore  sanitario»)  il  parametro  pertinente  sarebbe
stato, semmai, quello dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
(«sistema tributario [...] dello Stato»). 
    3.2.1.- In particolare, la difesa regionale  contesta  la  natura
tributaria   dell'indennizzo   previsto   nella   norma    impugnata,
sottolineando come esso costituisca «un contenuto  facoltativo  della
convenzione tra gestore e Comune»; in altre parole, «la volontarieta'
di tale onere che il gestore  intende  assumersi  [sarebbe]  duplice,
correlandosi non solo al suo inserimento in una convenzione, e dunque
in un atto negoziale risultante dall'accordo tra due parti, ma  anche
alla sua espressa  qualificazione  quale  contenuto  eventuale  della
stessa». 
    Nel caso di  specie  mancherebbero,  quindi,  i  caratteri  della
unilateralita' e della coattivita' del  prelievo,  che  costituiscono
elementi essenziali di ogni tributo. Cio'  varrebbe  a  escludere  la
pertinenza dell'art. 119  Cost.  quale  parametro  costituzionale  di
riferimento. A sostegno di questa lettura la difesa regionale  adduce
la  medesima  decisione  della  Corte  costituzionale  richiamata  in
proposito dal ricorrente (sentenza n.  280  del  2011),  evidenziando
come in quel giudizio si discutesse della legittimita' costituzionale
di una norma che imponeva un contributo. 
    Nell'odierno   giudizio,   invece,   «l'obbligo   di    pagamento
dell'indennizzo [troverebbe] la sua fonte  soltanto  in  un  rapporto
convenzionale, vale a dire nella convenzione  tra  il  gestore  e  il
Comune che ospita l'impianto di trattamento dei rifiuti». 
    Da quanto detto deriverebbe l'assoluta inconferenza del  richiamo
all'art. 119 Cost., «da  solo  o  in  combinazione  con  l'art.  117,
secondo comma, lett. s), Cost.». 
    3.2.2.- Quanto all'asserita sovrapposizione tra  l'indennizzo  di
cui alla norma impugnata e il tributo previsto dall'art. 3, commi  24
e seguenti, della legge n. 549 del 1995, la  resistente  precisa  che
l'indennizzo  «non  riguarda  affatto  il  presupposto   di   imposta
considerato dalla disposizione statale, ne' incide in altro modo  sul
tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, ne'
per  quanto  riguarda  il  prelievo,  ne'  per  quanto  riguarda   la
destinazione del gettito». 
    In  particolare,  l'indennizzo  di  cui  alla   norma   impugnata
concernerebbe gli  impianti  autorizzati  alle  operazioni  R1  o  R3
(cioe', rispettivamente, con recupero energetico  o  con  riciclaggio
delle componenti organiche); si tratterebbe, quindi, di  impianti  di
tipologia  diversa  da  quelli  interessati  dal   tributo   per   il
conferimento di rifiuti  solidi  in  discarica  (il  cui  presupposto
d'imposta e' proprio il «deposito  in  discarica  e  in  impianti  di
incenerimento senza recupero energetico dei rifiuti solidi,  compresi
i fanghi palabili»). 
    Alla luce di questa precisazione la difesa regionale ritiene  che
sia chiara la ratio dell'indennizzo previsto dalla  norma  impugnata,
che non perseguirebbe una  finalita'  di  tutela  ambientale,  bensi'
quella di «compensare la comunita' locale [...] del peso su  di  essa
derivante dalla presenza di un impianto di  trattamento  di  rifiuti,
sia pure ecologicamente efficiente». 
    La previsione  di  un  possibile  indennizzo  avrebbe  anche  una
«finalita' di governo del territorio», in quanto volta ad  «agevolare
la formazione di un consenso e di una accettazione  di  decisioni  in
altri casi fortemente avversate dai controinteressati». 
    3.2.3.- Da ultimo, la  resistente  rivendica  la  titolarita'  di
competenze legislative in materia di rifiuti, sia pure  nel  rispetto
dei livelli di protezione ambientale stabiliti dallo Stato. Per  tale
ragione, «la prospettazione di una violazione "secca" dell'art.  117,
secondo comma, lett. s),  Cost.»,  senza  considerare  le  competenze
statutarie,  determinerebbe  l'inammissibilita'  della  questione   o
comunque la sua manifesta infondatezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1 e  11,  della  legge
della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia   27   marzo   2018,   n.   12
(Disposizioni in  materia  di  cultura,  sport,  risorse  agricole  e
forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria  e  raccolta  funghi,
imposte e tributi, autonomie locali  e  coordinamento  della  finanza
pubblica, funzione pubblica,  infrastrutture,  territorio,  ambiente,
energia,  attivita'  produttive,   cooperazione,   turismo,   lavoro,
biodiversita', paesaggio, salute e  disposizioni  istituzionali),  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s),  e  119  della
Costituzione. 
    2.- Il comma 1 dell'art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 12 del 2018 dispone che «[l]e limitazioni alle  nuove  concessioni
di derivazione d'acqua previste dall'articolo 43, commi  3,  4  e  5,
delle Norme di attuazione del Piano regionale di tutela delle  acque,
non si applicano alle istanze di concessione di  derivazione  d'acqua
presentate prima della data di approvazione del Piano stesso». Questa
disposizione e'  censurata  per  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 95 e 96 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia  ambientale),  in
quanto sottrarrebbe alle limitazioni previste dal piano regionale  di
tutela delle acque le domande di concessione presentate  prima  della
sua  approvazione,  consentendo  cosi'  di  prescindere,  nella  loro
valutazione, dalle previsioni della pianificazione  e  programmazione
che tendono a garantire l'equilibrio del bilancio idrico. 
    2.1.- Preliminarmente la difesa regionale deduce  due  motivi  di
inammissibilita' della questione di legittimita'  costituzionale  del
comma 1 dell'art. 7. 
    2.1.1.- Un primo profilo di inammissibilita'  risiederebbe  nella
mancata  illustrazione  del  contenuto  delle  disposizioni  di   cui
all'art. 43, commi 3, 4 e 5, delle  norme  di  attuazione  del  piano
regionale di tutela delle acque. Secondo la  resistente,  l'omissione
renderebbe  impossibile  verificare  se  davvero  «le  specifiche   e
limitate   eccezioni»   all'integrale    applicazione    del    piano
compromettano i livelli inderogabili  di  tutela  delle  acque,  come
sostenuto dal ricorrente. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il comma 1 dell'art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.
12 del 2018 e' impugnato dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri
sull'assunto che il legislatore  regionale  non  possa  sottrarre  le
istanze  di  concessione  di  derivazione  d'acqua  presentate  prima
dell'approvazione del piano ad alcuna delle limitazioni  previste  in
quest'ultimo e nelle sue norme di attuazione. Pertanto, non  rilevano
in questa sede le specifiche limitazioni fatte oggetto di  deroga  da
parte della legge regionale impugnata, quanto  invece  la  competenza
legislativa a intervenire in questa materia. Si deve escludere quindi
che la mancata illustrazione  del  contenuto  dei  commi  3,  4  e  5
dell'art. 43 delle citate norme di attuazione possa incidere in alcun
modo sull'ammissibilita' della  questione  promossa,  i  cui  termini
risultano sufficientemente chiari e definiti. 
    2.1.2.- Un secondo profilo  di  inammissibilita'  e'  individuato
dalla difesa regionale nell'erroneita' del parametro  evocato  e,  in
particolare, nel mancato riferimento alle competenze statutarie della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di acque. 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    Nel presente giudizio il ricorrente, dopo aver precisato  che  le
disposizioni impugnate «eccedono  dalle  competenze  attribuite  alla
Regione dallo Statuto speciale di autonomia 31 gennaio 1963, n.  1  e
successive modifiche ed integrazioni», illustra  le  ragioni  per  le
quali l'impugnato comma 1 dell'art. 7 violerebbe l'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost. La difesa  statale  muove,  dunque,  da  una
prospettiva  di  radicale  esclusione  di   qualsivoglia   competenza
regionale statutaria e  omette,  di  conseguenza,  di  illustrare  le
ragioni dell'applicabilita' alla Regione delle  norme  del  Titolo  V
della Parte seconda  della  Costituzione  anziche'  di  quelle  dello
statuto speciale (sulla necessita' di questa comparazione, da ultimo,
sentenze n. 119 e n. 65 del 2019). 
    Tale impostazione e' intrinsecamente coerente: la difesa  statale
sostiene infatti che la disposizione impugnata incide su  un  ambito,
la tutela delle acque, che la stessa  difesa  assume  rientrare,  per
giurisprudenza costituzionale «consolidata»,  nella  materia  «tutela
dell'ambiente». 
    L'assunzione  di  una  «prospettiva  radicale»   da   parte   del
ricorrente (nel senso di ritenere del  tutto  inesistenti  competenze
statutarie regionali nella materia esaminata) non  puo'  naturalmente
valere, di per se',  a  esonerarlo  dall'assolvimento  dell'onere  di
motivare siffatta inesistenza. Cio' nondimeno, l'asserita  «radicale»
inesistenza di  attribuzioni  statutarie  della  Regione  in  materia
riduce tale  onere  alla  non  implausibile  argomentazione  sul  suo
presupposto, ossia l'anzidetta assenza di competenze statutarie. 
    Tale argomentazione non si tramuta, comunque, in un'anticipazione
della valutazione del merito delle questioni  (sentenza  n.  252  del
2016), restando necessariamente limitata a una  sommaria  delibazione
dell'ambito materiale di pertinenza. A tale proposito questa Corte ha
sottolineato piu' volte la necessita' che l'onere di cui  si  discute
sia  assolto  «in  modo  adeguato»  (ordinanza  n.  247  del   2016),
escludendo l'ammissibilita' del ricorso  quando  il  ricorrente  «non
argoment[i] ne' chiarisc[a] a quale dei parametri indicati  [intende]
fare riferimento, e perche' essi - o uno di essi - assumano  rilievo»
(sentenza n. 58  del  2016).  Ha  invece  ritenuto  ammissibile  quel
ricorso che non sia «sfornito  degli  elementi  argomentativi  minimi
richiesti»,  che  vanno  valutati  anche  «in  considerazione   della
radicalita' della prospettazione operata dal  Governo»  (sentenza  n.
142 del 2015). 
    L'adeguatezza,   nel   senso    detto,    della    argomentazione
sull'inesistenza  di  competenze  statutarie  regionali  puo'  essere
"dedotta"  a   sua   volta,   sulla   scorta   della   giurisprudenza
costituzionale (fra le tante, sentenze n. 81 del 2019, n. 201, n. 178
e n. 168 del 2018, n. 103 del 2017, n. 58 del 2016, n. 151 e  n.  142
del 2015, e ordinanza n. 247 del 2016), dal riferimento a uno o  piu'
elementi indiziari, quali l'indicazione  nel  ricorso  dei  parametri
statutari  potenzialmente  e  astrattamente   "incisi"   o   comunque
genericamente pertinenti (sentenze n. 81 del 2019 e n. 201 del  2018)
o l'indicazione della  giurisprudenza  costituzionale  che  riconduce
alla competenza legislativa statale le norme nella materia di cui  si
discute (sentenza n. 178 del 2018) o l'«evidente» inutilita'  di  uno
scrutinio alla luce delle disposizioni  statutarie,  in  ragione  del
contenuto  della  norma   impugnata   (ad   esempio,   «eminentemente
privatistico e processuale») e della  natura  del  parametro  evocato
(sentenza n. 103 del 2017). 
    Nel suo ricorso, la difesa statale  -  che  esclude  in  partenza
l'esistenza  di  una  competenza  regionale  prevista  nello  statuto
speciale e non  richiama  alcun  parametro  statutario  -  motiva  la
sussistenza della competenza legislativa dello Stato sulla base della
giurisprudenza costituzionale  che  riconduce  alla  materia  «tutela
dell'ambiente» le norme a tutela delle acque. Sulla base dei  criteri
di valutazione anzidetti,  l'argomentazione  non  e'  implausibile  e
assolve all'onere di motivazione gravante sul ricorrente. 
    2.2.- Nel merito la questione e' fondata. 
    La disposizione regionale impugnata consente una deroga a  talune
limitazioni contenute nel  piano  regionale  di  tutela  delle  acque
(quelle previste nell'art. 43, commi 3, 4 e 5,  delle  sue  norme  di
attuazione) alle nuove concessioni di derivazione d'acqua, prevedendo
che  le  dette  limitazioni  non  si  applichino  alle   istanze   di
concessione presentate prima della data  di  approvazione  del  piano
stesso. Il ricorrente censura la disposizione del comma 1 dell'art. 7
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12 del 2018, ritenendo  che
sia violata la competenza legislativa statale in materia  di  «tutela
dell'ambiente». 
    2.2.1.- In via preliminare si impone  una  sintetica  descrizione
del quadro normativo di riferimento. L'art. 121 del d.lgs. n. 152 del
2006 disciplina il piano regionale di tutela delle acque, il quale si
aggiunge al piano di bacino distrettuale (art.  65)  e  al  piano  di
gestione (art. 117). Il piano delle acque e' approvato  all'esito  di
un  complesso  procedimento,  articolato  nelle  seguenti  fasi:  «le
Autorita' di bacino, nel contesto delle attivita' di pianificazione o
mediante appositi atti  di  indirizzo  e  coordinamento,  sentiti  le
province e gli enti di governo dell'ambito, definiscono gli obiettivi
su scala di distretto cui devono attenersi i piani  di  tutela  delle
acque, nonche' le priorita' degli interventi»; «le  regioni,  sentite
le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia,
adottano il Piano di tutela delle acque e lo trasmettono al Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare  nonche'  alle
competenti Autorita' di  bacino,  per  le  verifiche  di  competenza»
(comma 2); «le Autorita' di  bacino  verificano  la  conformita'  del
piano agli  atti  di  pianificazione  o  agli  atti  di  indirizzo  e
coordinamento di cui al comma 2, esprimendo  parere  vincolante»;  le
Regioni approvano il Piano di tutela «entro i  successivi  sei  mesi»
(comma 5). 
    Questa procedura, che vede l'intervento delle regioni  sia  nella
fase dell'adozione del piano sia in  quella  della  sua  approvazione
definitiva, e' interamente  disciplinata  nel  codice  dell'ambiente,
sull'assunto della sua inerenza alla competenza  legislativa  statale
in materia di «tutela dell'ambiente». Questo  assunto  non  e'  stato
smentito dalla giurisprudenza costituzionale,  che  ha  ricondotto  a
tale  materia  la  normativa  sulle  acque,  in  quanto   preordinata
segnatamente alla loro tutela (in questo senso, sentenze n.  229  del
2017 e n. 86 del 2014), osservando in particolare che  «[i]l  riparto
delle competenze [...] dipende proprio dalla  [...]  distinzione  tra
uso  delle  acque  minerali  e  termali,  di   competenza   regionale
residuale,  e  tutela  ambientale  delle  stesse  acque,  che  e'  di
competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente  art.  117,  comma
secondo, lettera s), della Costituzione» (sentenza n. 1 del 2010). 
    Con specifico riferimento al piano di tutela delle acque,  questa
Corte ha affermato che esso costituisce uno  «strumento  fondamentale
di programmazione, attuazione e controllo [...] per  l'individuazione
degli obiettivi minimi di qualita' ambientale per i corpi idrici», la
cui  disciplina  rientra  nella  competenza  legislativa  statale  in
materia di «tutela dell'ambiente» (sentenza n.  44  del  2011;  nello
stesso senso, sentenze n. 254, n. 251, n. 246 e n. 232 del 2009). 
    Gli artt. 95 e 96 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  indicati  dal
ricorrente come norme interposte, stabiliscono, tra  l'altro:  «[n]ei
piani  di  tutela  sono  adottate  le  misure  volte  ad   assicurare
l'equilibrio del bilancio idrico come  definito  dalle  Autorita'  di
bacino,  nel  rispetto  delle  priorita'  stabilite  dalla  normativa
vigente e tenendo conto dei  fabbisogni,  delle  disponibilita',  del
minimo deflusso vitale, della capacita' di ravvenamento della falda e
delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili  con  le  relative
caratteristiche qualitative  e  quantitative»  (art.  95,  comma  2);
«[s]alvo quanto previsto al comma 5, tutte le  derivazioni  di  acqua
comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del
presente decreto sono regolate dall'Autorita' concedente mediante  la
previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei
corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati  dal  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare  con  apposito
decreto, previa intesa con la  Conferenza  Stato-regioni,  senza  che
cio' possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della
pubblica amministrazione,  fatta  salva  la  relativa  riduzione  del
canone demaniale di concessione» (art. 95, comma 4); «[l]e domande di
cui al  primo  comma  relative  sia  alle  grandi  sia  alle  piccole
derivazioni  sono  altresi'  trasmesse  alle  Autorita'   di   bacino
territorialmente competenti  che,  entro  il  termine  perentorio  di
quaranta giorni dalla data di ricezione  ove  si  tratti  di  domande
relative  a  piccole  derivazioni,  comunicano  il   proprio   parere
vincolante  al  competente  Ufficio   Istruttore   in   ordine   alla
compatibilita' della utilizzazione con le  previsioni  del  Piano  di
tutela, ai fini del controllo sull'equilibrio del bilancio  idrico  o
idrologico, anche in attesa  di  approvazione  del  Piano  anzidetto.
Qualora le domande siano relative a grandi  derivazioni,  il  termine
per la comunicazione del suddetto parere e' elevato a novanta  giorni
dalla data di ricezione delle domande medesime.  Decorsi  i  predetti
termini senza che  sia  intervenuta  alcuna  pronuncia,  il  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio  e  del  mare  nomina  un
Commissario  "ad  acta"  che  provvede  entro  i   medesimi   termini
decorrenti dalla data della nomina» (art. 96,  comma  1,  sostitutivo
dell'art. 7, secondo comma, del regio decreto 11  dicembre  1933,  n.
1775, recante «Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque  e
impianti  elettrici»);  «[i]l   provvedimento   di   concessione   e'
rilasciato se: a) non pregiudica il mantenimento o il  raggiungimento
degli  obiettivi  di  qualita'  definiti   per   il   corso   d'acqua
interessato; b) e' garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio
del bilancio idrico; c) non sussistono possibilita' di riutilizzo  di
acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di  acque  piovane
ovvero, pur sussistendo tali possibilita', il riutilizzo non  risulta
sostenibile  sotto  il  profilo  economico»  (art.   96,   comma   3,
sostitutivo dell'art. 12-bis del r.d. n. 1775 del 1933). 
    2.2.2.-  Di  particolare  rilievo  e',  poi,   la   ricostruzione
dell'iter di approvazione del piano regionale di tutela delle acque e
del procedimento di formazione della legge  regionale  impugnata.  Al
riguardo, e' significativo notare come i due  procedimenti  si  siano
svolti e conclusi nello stesso lasso di tempo: il piano regionale  di
tutela delle acque e' stato  approvato  con  decreto  del  Presidente
della Regione 20 marzo 2018, n. 074/Pres. (D.Lgs. 152/2006, art. 121.
L.R. 11/2015, art. 10. Approvazione del  Piano  regionale  di  tutela
delle acque), previa deliberazione della Giunta  15  marzo  2018,  n.
591; la legge reg. n. 12 del 2018 e' stata approvata  definitivamente
dal Consiglio regionale il 15 marzo 2018 ed e' stata  promulgata  dal
Presidente della Regione il 27 marzo 2018. 
    La contestualita' dell'intervento  del  legislatore  regionale  e
dell'approvazione del piano di tutela delle acque induce  a  ritenere
che la valutazione della legge regionale non  possa  prescindere  dal
contenuto del piano, con la conseguenza che  deve  ritenersi  che  la
prima sia stata adottata per venire incontro  a  specifiche  esigenze
emerse nell'approvazione del secondo. 
    2.2.3.- Da quanto detto si deduce chiaramente  come  la  Regione,
intervenendo con la legge impugnata per  escludere  dall'applicazione
di alcune limitazioni le istanze presentate  prima  dell'approvazione
del piano, abbia violato il  riparto  di  competenze  in  materia  di
tutela delle acque. In base ad esso le regioni  possono  adottare  le
prescrizioni del piano di tutela delle acque che ritengono  opportune
alla luce degli obiettivi indicati dalle autorita' di bacino e sempre
nel rispetto del quadro normativo definito dagli artt. 95, 96  e  121
del d.lgs. n.  152  del  2006.  Inoltre,  le  regioni  possono  anche
decidere di prevedere o no «eventuali misure di salvaguardia». 
    Cio' che e', invece, precluso alle regioni e' di intervenire  con
legge per escludere o  circoscrivere  l'ambito  di  operativita'  del
piano stesso, giacche'  cio'  comporterebbe  l'elusione  -  totale  o
parziale  -  del  vincolo  della  legge  statale,  espressione  della
competenza esclusiva in materia di  tutela  delle  acque,  funzionale
alla  garanzia  delle  esigenze  unitarie  cui  e'   preordinata   la
individuazione degli obiettivi minimi di qualita'  ambientale  per  i
corpi idrici. 
    In questa  prospettiva  assumono  scarso  rilievo  le  specifiche
limitazioni la cui applicazione e'  esclusa  dalla  norma  impugnata,
concretizzando comunque la previsione di tale esclusione una indebita
violazione della competenza legislativa statale in materia di «tutela
dell'ambiente». 
    3.- La seconda questione riguarda il comma 11 dell'art.  7  della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 12 del  2018,  con  il  quale  e'
stato introdotto, dopo il comma 3-bis dell'art. 27 della legge  della
Regione Friuli-Venezia Giulia 20  ottobre  2017,  n.  34  (Disciplina
organica  della  gestione  dei  rifiuti  e   principi   di   economia
circolare), il comma 3-ter, del seguente  tenore:  «I  gestori  degli
impianti di cui agli articoli 3  e  3-bis  possono  stipulare  con  i
Comuni  sul  cui  territorio  sono  situati   i   relativi   impianti
convenzioni  che  prevedano  la  corresponsione  di  un   indennizzo,
determinato dal regolamento regionale di cui all'articolo  10,  comma
1, lettera b)». 
    Il comma 11 dell'art. 7 e' impugnato per violazione dell'art. 119
Cost., poiche' introdurrebbe un tributo  sovrapponibile  al  «tributo
speciale per il deposito in discarica e in impianti di  incenerimento
senza  recupero  energetico  dei  rifiuti  solidi»,   istituito   dal
legislatore statale con l'art. 3, comma 24, della legge  28  dicembre
1995, n. 549, recante  «Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica». Esso violerebbe inoltre l'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., per la sua interferenza con  la  disciplina  dei  rifiuti,
rientrante nella materia ambientale  di  competenza  esclusiva  dello
Stato. 
    3.1.- Preliminarmente occorre precisare  che  il  richiamo  «agli
articoli 3 e 3-bis», contenuto  nella  disposizione  impugnata,  deve
intendersi riferito ai commi 3 e 3-bis dell'art. 27 della legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, che, nelle  more  del  presente
giudizio, sono stati abrogati dall'art.  13,  comma  1,  lettera  h),
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2019, n.  6
(Misure urgenti per il recupero della  competitivita'  regionale),  a
decorrere dal 1° maggio 2019. 
    Pertanto, la norma impugnata,  facendo  riferimento  ai  «gestori
degli impianti di cui agli articoli [recte  ai  commi]  3  e  3-bis»,
sebbene non espressamente abrogata non puo' piu' trovare applicazione
a far data dall'entrata in vigore  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 6 del 2019. Quest'ultima  modifica  normativa  non  incide,
pero', nel presente giudizio, non potendosi escludere che l'impugnato
comma 3-ter abbia trovato applicazione nel periodo della sua  vigenza
(dal 29 marzo 2018 al 30 aprile 2019). 
    3.2.- L'art. 27 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34  del
2017  ha  previsto  un  indennizzo  a  favore  dei  «Comuni  sul  cui
territorio sono situati impianti di smaltimento dei rifiuti», al fine
di compensare i «relativi disagi mediante la corresponsione, da parte
del gestore dell'impianto, di un indennizzo differenziato determinato
ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera b)» (comma 1). 
    Questo indennizzo «e' dovuto per la sola quota di rifiuti gestiti
in conto terzi da impianti di recupero: a) autorizzati all'operazione
R1 ai sensi dell'allegato C alla parte quarta del decreto legislativo
152/2006, che utilizzano rifiuti come combustibile o altro mezzo  per
produrre  energia;  b)  autorizzati  all'operazione   R3   ai   sensi
dell'allegato C alla parte quarta del decreto  legislativo  152/2006,
che utilizzano rifiuti per produrre ammendante compostato  misto;  c)
autorizzati all'operazione R3 ai sensi  dell'allegato  C  alla  parte
quarta del decreto legislativo 152/2006, che effettuano la digestione
anaerobica di rifiuti» (comma 2). 
    Dunque, l'indennizzo non grava sui gestori di qualsiasi  impianto
di smaltimento di rifiuti  ma  solo  degli  «impianti  di  recupero»:
autorizzati  all'operazione  R1,   «che   utilizzano   rifiuti   come
combustibile  o  altro  mezzo  per  produrre  energia»;   autorizzati
all'operazione R3, «che utilizzano rifiuti  per  produrre  ammendante
compostato misto»; autorizzati all'operazione R3, «che effettuano  la
digestione  anaerobica  di   rifiuti».   L'operazione   R1   consiste
nell'«[u]tilizzazione principalmente come combustibile o  come  altro
mezzo   per   produrre   energia»,   mentre   l'operazione   R3   nel
«[r]iciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate  come
solventi  (comprese   le   operazioni   di   compostaggio   e   altre
trasformazioni biologiche)». 
    I commi 3 e 3-bis dell'art. 27 della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 34 del 2017 (nel  periodo  di  vigenza,  prima  della  loro
abrogazione)  escludevano  dalla  corresponsione  dell'indennizzo  «i
gestori di impianti di recupero o di smaltimento dei rifiuti  situati
nelle  aree  produttive  ecologicamente  attrezzate  (APEA)  di   cui
all'articolo 8 della legge regionale 3/2015 e i gestori  di  impianti
di recupero di rifiuti in possesso della registrazione ai  sensi  del
regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 25 novembre 2009, sull'adesione volontaria delle organizzazioni a
un sistema comunitario di ecogestione e audit» (comma 3),  e  inoltre
«i gestori di impianti di  recupero  di  rifiuti  in  possesso  della
certificazione ambientale ISO 14001» (comma 3-bis). 
    La disposizione impugnata (comma 3-ter)  attenua  la  portata  di
queste   due   previsioni   di   esclusione   dalla    corresponsione
dell'indennizzo, prevedendo che anche i gestori  di  questi  impianti
possano stipulare convenzioni con i comuni al fine  di  prevedere  la
corresponsione dell'indennizzo. 
    3.3.- Le questioni promosse sono inammissibili. 
    Dalla ricostruzione delle  censure  e  del  quadro  normativo  si
deduce chiaramente che il ricorrente contesta una scelta  legislativa
(quella di prevedere un  indennizzo)  in  realta'  gia'  operata  con
l'art. 27, commi 1 e 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  34
del 2017.  Queste  disposizioni  prevedono  infatti  l'indennizzo  in
questione come obbligatorio per taluni impianti,  escludendone  altri
(quelli previsti negli abrogati commi 3 e  3-bis),  mentre  la  norma
oggi impugnata (comma 3-ter) lo  rende  possibile  anche  per  questi
ultimi. 
    Le ragioni di censura  del  ricorrente  non  si  appuntano  sulla
possibilita' per i gestori degli impianti di cui ai commi 3  e  3-bis
di  stipulare,  con  i   comuni,   convenzioni   che   prevedano   la
corresponsione   dell'indennizzo,   ma   sulla   previsione    stessa
dell'indennizzo, introdotta con la legge reg.  Friuli-Venezia  Giulia
n. 34 del 2017, che e' stata impugnata  dal  Governo  in  alcune  sue
disposizioni (scrutinate dalla Corte con la sentenza n. 215 del 2018)
ma non nel citato art. 27. 
    Il ricorrente contesta, dunque, una  scelta  legislativa  operata
non dalla  norma  oggetto  dell'odierno  giudizio  ma  da  una  norma
presente   nell'ordinamento   regionale   fin   dal   2017   e    non
tempestivamente impugnata. Pertanto,  le  questioni  promosse  devono
essere dichiarate inammissibili (ex plurimis,  sentenze  n.  241  del
2012, n. 325 del 2010 e n. 372 del 2003). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 2018, n.  12
(Disposizioni in  materia  di  cultura,  sport,  risorse  agricole  e
forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria  e  raccolta  funghi,
imposte e tributi, autonomie locali  e  coordinamento  della  finanza
pubblica, funzione pubblica,  infrastrutture,  territorio,  ambiente,
energia,  attivita'  produttive,   cooperazione,   turismo,   lavoro,
biodiversita', paesaggio, salute e disposizioni istituzionali); 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 11, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 12 del 2018, promosse  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e
119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA