N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 2019

Ordinanza del 3 aprile 2019 del  Tribunale  di  Venezia  sul  ricorso
proposto da S.S. e B.A.. 
 
Unione civile - Diritti e doveri riconosciuti alle parti di un'unione
  civile - Atto di nascita - Possibilita' di indicare le  generalita'
  dei genitori legittimi, di quelli che rendono la  dichiarazione  di
  riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio e di quelli che
  hanno espresso con atto pubblico  il  proprio  consenso  ad  essere
  nominati - Preclusione della formazione di un atto  di  nascita  in
  cui vengano  indicati  come  genitori  due  donne  tra  loro  unite
  civilmente  e  che  abbiano   fatto   ricorso   (all'estero)   alla
  procreazione medicalmente assistita. 
- Legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle  unioni  civili
  tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), art.
  1, comma 20; decreto del Presidente  della  Repubblica  3  novembre
  2000, n. 396 (Regolamento per la  revisione  e  la  semplificazione
  dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma
  12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), art. 29, comma 2. 
(GU n.28 del 10-7-2019 )
 
                        TRIBUNALE DI VENEZIA 
                       Sezione seconda civile 
 
    Il Tribunale, composto dai seguenti magistrati: 
        dott. Roberto Simone, Presidente; 
        dott.ssa Silvia Barison, giudice relatore; 
        dott.ssa Silvia Franzoso, giudice; 
nel procedimento ex art. 95 decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 396/2000 iscritto al n.r.g. 3938/2018 v.g. promosso da S.S. e B.A.
ricorrenti con l'intervento del pubblico ministero  visto  il  parere
favorevole del pubblico ministero ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    1. Svolgimento del processo 
    Le  ricorrenti,  unitesi  civilmente   il   ...,   deducono   che
precedentemente, con il consenso espresso della sig.ra S. , la sig.ra
B.  si  era  sottoposta,  all'estero,  a  procreazione   medicalmente
assistita da donatore esterno, in esito alla quale, in data ..., ella
ha dato alla luce, a ..., il piccolo A. ;  che,  nonostante  la  loro
congiunta  richiesta  di  essere  indicate  entrambe  quali  genitori
nell'atto di nascita del bambino, l'ufficiale  di  stato  civile  del
Comune di ... lo ha indicato  come  «nato  dall'unione  naturale  [di
B.A., n.d.r.] con un uomo non parente ne' affine con  lei  nei  gradi
che ostano al  riconoscimento  ai  sensi  dell'art.  251  del  codice
civile» e gli ha attribuito il solo cognome della partoriente,  senza
alcun riferimento alla sig.ra S. 
    Tanto premesso, ed argomentando, per un verso,  l'illegittimita',
finanche  sul  piano   dei   principi   costituzionali,   dell'omessa
indicazione di quest'ultima quale genitore di A.B.  e  della  mancata
attribuzione allo stesso anche del cognome S.; per  altro  verso,  la
sussistenza dei presupposti  di  cui  all'art.  95  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396   per   la
rettificazione di un atto non conforme ne' alla volonta' delle parti,
ne' all'interesse del minore, le ricorrenti hanno  chiesto  -  previa
declaratoria dell'illegittimita' del rifiuto di  rettifica  dell'atto
di nascita formalizzato dell'ufficiale di stato  civile  di  ...  con
atto ... - ordinare la predetta rettifica, indicando che A. e' nato a
seguito di tecniche di procreazione medicalmente  assistita  da  A.B.
unita civilmente con S.S. che vi ha prestato espresso consenso e  che
al nato e' attribuito il cognome «B.S.». 
    Il  pubblico  ministero  ha  concluso  per   l'accoglimento   del
ricorso.  
    2. Le questioni sottoposte al Tribunale 
    In punto di fatto, emerge per tabulas che le ricorrenti  -  unite
civilmente dal ... - si sono rivolte ad una clinica ... ove  nel  ...
la sig.ra B. si e' sottoposta, con l'espresso consenso  della  sig.ra
S. , a procreazione medicalmente assistita (docc. 1 e 5). 
    La sig.ra B ha portato a termine la gravidanza ed il ... e'  nato
a ... A. (doc. 4). 
    In esito al rifiuto dell'ufficiale di stato civile,  formalizzato
con comunicazione scritta (doc. 10), le ricorrenti - invocando l'art.
95 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396/2000,  cit.  -
chiedono a questo Tribunale  che  nell'atto  di  nascita  di  A.  sia
indicata la genitorialita' di entrambe, con attribuzione  del  doppio
cognome:  a  tal  fine,  esse  rilevano  la  carenza  di  potere   di
accertamento della verita' biologica da parte dell'ufficiale di stato
civile,  tenuto  a  recepire  le  dichiarazioni  delle   istanti   ed
argomentano sul diritto delle partner omosessuali unite civilmente  a
suggellare la loro scelta  di  diventare  genitori,  con  indicazione
corrispondente nell'atto di nascita. 
    Il dilemma posto dal ricorso in esame si sostanzia, per un verso,
nella possibilita' - anche per le coppie di donne  omosessuali  -  di
dare alla luce figli  che  non  hanno  generato  insieme,  in  quanto
naturalmente sterili, ma che insieme hanno voluto,  per  appagare  un
desiderio di diventare genitori proprio  di  molti  esseri  umani,  a
prescindere dalle loro inclinazioni sessuali;  per  altro  verso,  la
possibilita'  che  il  nato  in  Italia  da  fecondazione   eterologa
all'estero sia giuridicamente figlio delle donne che  l'hanno  voluto
nella loro unione civile.  (1) 
    La fattispecie s'iscrive tra l'art. 8  della  legge  19  febbraio
2004,  n.  40   (2)  ,  che  regola  la  filiazione  da  procreazione
medicalmente   assistita   eterologa   disciplinata   nei   requisiti
soggettivi dall'art. 5, legge n. 40, cit. e l'art. 29,  comma  2  del
decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n.  396,  il
quale disciplina il contenuto dell'atto  di  nascita  (3)  ,  saldati
dall'art.  1,  comma  20  della  legge  20   maggio   2016,   n.   76
sull'estensione   alle   unioni   civili   delle   disposizioni   sul
«matrimonio» e riferite ai  «coniugi»  recate  dalle  leggi  speciali
(fatta salva  la  legge  22  maggio  1983,  n.  184)  e  dalle  fonti
subordinate (4) . 
    Tali  norme,  negando  l'accoglimento  delle   domande   attoree,
suscitano insuperabili dubbi di legittimita' costituzionale.  
    2.I La via ermeneutica alla tutela 
    Ed infatti, sebbene il collegio non ignori la  giurisprudenza  di
merito favorevole ad accordare in via ermeneutica la  tutela  chiesta
in ipotesi identiche alla presente (cfr. in part. Tribunale  Bologna,
decreto 6 luglio 2018 e Tribunale Pistoia, decreto  3  luglio  2018),
esso non ne condivide ne' le premesse, in  aperto  contrasto  con  il
tenore letterale delle  norme;  ne'  il  risultato,  sistematicamente
incoerente. 
    In primo luogo, tali le pronunce trascurano  l'incipit  dell'art.
1,  comma  20  legge  n.  76,  cit.,  che  espressamente  circoscrive
l'applicazione  estensiva  della  normativa  speciale   riferita   al
matrimonio e/o contenente le parole coniuge/i o equivalenti «ai  soli
fini di assicurare...  diritti  e  ...  doveri  nascenti  dall'unione
civile» (enfasi aggiunta), ossia  quelli  che  avvincono  i  partner,
senza  possibilita'  di  alcun  riferimento  alla  prole   e/o   alla
filiazione. 
    In   secondo   luogo,   l'opzione    ermeneutica    che    superi
l'inapplicabilita' della  tutela  della  filiazione  da  procreazione
medicalmente  assistita  eterologa  alle  unioni  civili  tra   donne
contrasta apertamente con la  ratio  sottesa  sia  all'art.  5  della
stessa legge che preclude alle coppie same sex di farvi ricorso,  sia
alla sanzione amministrativa per chi  la  applichi  a  persone  dello
stesso sesso (art. 12 legge n. 40/2004, cit.). 
    Dovendosi ritenere  esclusa  la  possibilita'  di  accogliere  le
domande attoree in via di  applicazione  estensiva  della  disciplina
dell'art. 8 legge 19 febbraio 2004, n. 40, per i limiti  letterali  e
teleologici posti dagli articoli 1, comma 20 legge n. 76/2016  e  29,
comma 2 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  396/2000,
citt., si deve scrutinare la possibilita' di  ricorrere  a  tal  fine
all'interpretazione analogica.  
    2. I. In particolare, i dubbi sulla possibilita' di ... 
        A) ... una decisione basata sull'analogia iuris ... 
          a) ... con la legge sull'interruzione volontaria gravidanza
(legge 22 maggio 1978, n. 194) 
    Una pur sommaria ricognizione delle  regole  di  diritto  interno
sulle vicende del rapporto di filiazione non puo' che  muovere  dalla
disciplina  dell'interruzione  volontaria  di  gravidanza,  la  quale
tuttavia, subordinato la liceita' della scelta di non  proseguire  la
gestazione (legge n. 194/1978, art. 4) alla sussistenza di  un  serio
pericolo per  la  salute  fisica  o  psichica  della  donna,  afferma
l'assoluta primazia di tale principio senza concessioni alla liberta'
riproduttiva, peraltro esclusa anche  dal  riferimento,  in  apertura
della legge (art. 1 legge n. 194/1978, cit.) alla tutela  della  vita
umana sin dal suo inizio. 
    Per  contro,  in  relazione  alla  genitorialita'   omossessuale,
rispetto alla quale un'esigenza di tutela della  salute  non  si  da'
ne', in concreto, per il singolo partner - quantomeno ove questi  sia
fertile per eta' e condizioni di salute - ne', gia' in astratto,  per
la  coppia,  la  cui  sterilita'  e'  fisiologica,  ogni  riferimento
analogico a norme primarie attuative dell'art. 32 della  Costituzione
si rivela improprio. 
          b) ... con la disciplina dell'adozione dei minori (legge  4
maggio 1983, n. 184) 
    Una netta soluzione  di  continuita'  si  avverte  anche  tra  la
procreazione medicalmente assistita  delle  donne  omosessuali  e  la
disciplina dell'adozione dei minori: ed invero, mentre questa esprime
anche un principio di solidarieta', la prima risponde  unicamente  al
desiderio di mettere al mondo e crescere una progenie. 
    La  disciplina  dalla  c.d.  genitorialita'  sociale  e'   invero
geneticamente connotata da un'aspirazione solidaristica che  coesiste
con il desiderio degli adottanti di  diventare  genitori,  mentre  e'
assente in chi, come le ricorrenti, voglia avere un figlio proprio. 
    Non sarebbe pertanto sistematicamente  corretto  prescrivere  gli
stessi requisiti dell'aspirante famiglia adottiva per l'accesso delle
donne omosessuali unite  civilmente  alla  procreazione  medicalmente
assistita e, piu' in  generale,  invocare  per  l'una  la  disciplina
positiva dell'altra. 
    Al contrario, la disciplina  della  filiazione  nelle  coppie  di
donne  omosessuali  deve  muovere   dalla   consapevolezza   che   la
procreazione medicalmente assistita e' praticata in tali ipotesi  per
appagare un istinto materno, suscettibile di rilevare - finanche  sul
piano normativo - in se' e per  se',  svincolato  dalle  inclinazioni
sessuali, non riferibile alla tutela della salute  (anche  psichica),
ne' - infine - confuso con vaghe finalita' solidaristiche. 
        B) ...una decisione per principi 
    La scelta legislativa contraria alla  genitorialita'  omosessuale
femminile nitidamente espressa dal combinato disposto degli  articoli
1, comma 20 della legge n. 76/2016 e 29,  comma  2  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  396/2000  non  si  presta  neppure  a
temperamenti in via interpretativa, che facciano diretta applicazione
dei principi come l'interesse del minore alla  bigenitorialita',  che
nella prospettazione delle ricorrenti e della  citata  giurisprudenza
di merito rappresenta il cardine della  tutela,  o  la  salute  delle
partner. 
    In primo luogo, non lo richiede la struttura delle norme - la cui
specificita'  e  assenza  di   clausole   generali   scoraggia   anzi
l'approccio ermeneutico e tende a confinare l'interprete al ruolo di'
mero esegeta. 
    Inoltre,  il  principio  della  bigenitorialita'   incide   molto
limitatamente - e sempre su presupposti rigorosamente disciplinati ex
lege (5) - sulla fase genetica del rapporto di filiazione o  comunque
nell'ipotesi  della  sua  costituzione  (6)   ,   esprimendosi   piu'
decisamente  su  quello  funzionale,  quando  cioe'  si   tratti   di
valorizzare nell'attuazione del rapporto le prerogative di coloro che
per legge abbiano potuto e voluto prenderne le parti (7) . 
    Peraltro, se davanti  al  giudice  l'apprezzamento  del  concreto
interesse del minore potrebbe precedere la costituzione del  rapporto
di filiazione (come nell'ipotesi disciplinata  dall'art.  250,  comma
codice civile), altrettanto non si verifica innanzi all'ufficiale  di
stato civile, per il carattere tassativo dell'elenco di  coloro  che,
in base al codice civile od alle leggi speciali, ex art. 29, comma  2
del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  396/2000  possono
essere indicati nell'atto di nascita quali genitori, ossia i genitori
legittimi, naturali o adottivi, la madre che ha dato il  consenso  ad
essere nominata e chi  ha  espresso  il  consenso  alla  procreazione
medicalmente assistita (attualmente, il  solo  coniuge  o  convivente
della madre che dovendo ex articoli 6 e 8  della  legge  n.  40/2004,
cit. essere di sesso di verso da lei non puo' che essere maschio) (8)
. 
    Conclusivamente,   neppure   l'argomento   della   tutela   della
bigenitorialita'  consente  di  scardinare  l'addentellato  normativo
degli articoli 1, comma 20 della legge n. 76/2016 e 29, comma  2  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 per aprirlo  alla
genitorialita' omosessuale femminile. 
    A maggior fortuna sembra destinato l'altro  principio  invocabile
per annoverare le coppie di donne unite  civilmente  tra  i  soggetti
legittimati a fare ricorso alla procreazione  medicalmente  assistita
di tipo eterologo. 
    La Corte costituzionale ha infatti da tempo  ha  riconosciuto  il
diritto dei partner eterosessuali a diventare genitori  superando  la
sterilita', mediante ricorso alla fecondazione  da  donatore  esterno
(Corte costituzionale sentenza 162 del 10 giugno 2014). 
    La pronuncia non si  limita  tuttavia  a  valorizzare  la  «sola»
tutela della salute, ma ne proietta la  realizzazione  in  una  nuova
dimensione,  dove  il  diritto  di  «essere»  genitori   riceve   una
protezione cosi'  intensa  da  riconoscere  piena  legittimita'  alle
scelte che consentano di «diventarlo» senza giudizi assiologici sulle
possibilita' offerte a tal fine dal progresso scientifico. 
    Di qui il dubbio, corroborato anche dalle domande  delle  odierne
ricorrenti, in  ordine  alla  possibilita'  di  riconoscere  -  anche
nell'ordinamento interno ed alla luce dei  principi  di  dignita'  ed
uguaglianza sostanziale, piu' che di privacy e diritto alla felicita'
- un diritto umano inviolabile ed universale a diventare genitore,  a
prescindere dal  proprio  orientamento  sessuale,  sullo  sfondo  del
superamento culturale, prima ancora che giuridico, della tradizionale
«giustificazione» della sessualita' con la procreazione e  della  sua
sublimazione nella funzione genitoriale. 
    Quelle stesse persone a cui recentemente  anche  nell'ordinamento
italiano e' stata riconosciuta  la  possibilita'  di  fondare  unioni
civili quali formazioni sociali ove si svolge  la  loro  personalita'
(la legge n. 76/2016 affonda le sue radici  nella  giurisprudenza  di
legittimita' che fin dai primi anni duemila  inquadrava  la  famiglia
omosessuale nell'art.  2  della  Costituzione)  si  vedono,  infatti,
negare sia la possibilita' di accedere in  Italia  alla  procreazione
medicalmente assistita  (9) ,  sia  -  come  nel  nostro  caso  -  di
costituire  il  rapporto   parentale   col   nato   da   procreazione
medicalmente assistita eseguita all'estero su una delle  partner  con
l'espresso «consenso» dell'altra, unita civilmente. 
    Sennonche', l'adeguamento ai principi  fondamentali,  interni  ed
internazionali, di un sistema di  regole  che  preclude  l'esperienza
genitoriale alle coppie di donne unite civilmente, con  l'ineludibile
bilanciamento - in generale ed a priori - degli interessi  coinvolti,
non puo' essere lasciato all'approccio casistico di un interprete. 
    Le  pur  pregevoli  ed  articolate  interpretazioni   adeguatrici
espresse in tempi recenti anche dalla giurisprudenza di  legittimita'
sono infatti limitate  sia  -  strutturalmente  -  dalle  prerogative
costituzionali dell'organo da cui promanano, sia -  funzionalmente  -
dalla specificita' del  caso  concreto  da  cui  trae  origine  anche
l'operazione nomofilattica. 
    Un chiaro esempio in tal senso proviene dalla sentenza  n.  19599
del 30 settembre 2016, con la quale la  prima  sezione  civile  della
Suprema Corte di  cassazione  -  richiamata  anche  dalle  ricorrenti
odierne - ha ritenuto  trascrivibile  in  Italia  l'atto  di  nascita
formato all'estero e dal quale risulti che il minore e' figlio di due
madri,   escludendone    la    contrarieta'    all'ordine    pubblico
internazionale. 
    La Suprema Corte ha ricordato dapprima che «il giudice  italiano,
chiamato  a  valutare  la  compatibilita'  con   l'ordine   pubblico»
dell'atto di nascita straniero, «deve verificare non gia'  se  l'atto
straniero applichi una disciplina della materia conforme  o  difforme
rispetto  ad  una  o  piu'  norme  interne  (seppure   imperative   o
inderogabili), ma se esso contrasti con le  esigenze  di  tutela  dei
diritti    fondamentali    dell'uomo,    desumibili    dalla    Carta
costituzionale, dai Trattati fondativi  e  dalla  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, nonche' dalla  Convenzione  europea
dei  diritti  dell'uomo»,  basando  su  tale  premessa  il   doveroso
bilanciamento   tra   l'interesse   del   minore   ed   i   principi,
apparentemente di pari rango, desumibili dalla legge  n.  40/2004  in
tema di procreazione medicalmente assistita, dall'art. 269 del codice
civile che associa la maternita' al parto e dall'art.  1,  comma  20,
legge n. 76/2016 che  esclude  dalla  tutela  accordata  alle  coppie
omosessuali  civilmente  unite  la  realizzazione  del  diritto  alla
genitorialita'. 
    Sulla legge n. 40, cit., ribadendo quanto gia' affermato in  tema
di portata (e limiti) del giudizio  di  non  contrarieta'  all'ordine
pubblico,  la  Corte  esclude  che  la  relativa   disciplina   possa
rappresentare un utile parametro di valutazione sub specie di  ordine
pubblico, non essendo espressione di valori costituzionali primari di
preminente  applicazione,  anche  per  l'ampia  discrezionalita'  del
legislatore in materia (10) . 
    La Corte affronta anche la questione  dell'orientamento  sessuale
della coppia esprimente il progetto genitoriale di cui si  chiede  il
riconoscimento, escludendo che la contrarieta' dell'atto  di  nascita
straniero all'ordine pubblico possa desumersi dalla preclusione - per
le coppie dello stesso sesso - di accedere e realizzare  progetti  di
genitorialita', che pur restano non  riconosciuti  ne',  in  ipotesi,
riconoscibili dall'ordinamento italiano (11) . 
    Dunque, la meritevolezza di tutela del vincolo  familiare,  anche
omogenitoriale, fondata sulla «fondamentale e generale liberta' delle
persone di autodeterminarsi e formare una famiglia, a condizioni  non
discriminatorie», pur valendo ad affermare  la  riconoscibilita'  nel
nostro ordinamento di  atti  di  nascita  stranieri,  non  assurge  a
criterio su cui fondare - in positivo - l'esistenza, nell'ordinamento
interno, della corrispondente «possibilita' giuridica». 
    In  altri  termini,  altro  e'  considerare  l'atto  di   nascita
straniero non contrario ai principi che informano  l'ordine  pubblico
internazionale  in  materia  (genitorialita'   intenzionale,   libero
svolgimento  della  vita  affettiva  e  familiare,  bigenitorialita',
etc.), cosi' da poter essere trascritto in Italia; altro ritenerne la
Drittwirkug,   vuoi   con   disapplicazione   del   diritto   interno
contrastante,    vuoi    con    interpretazione     sistematica     o
costituzionalmente orientata del diritto interno, idonea ad  incidere
sulle modalita' di formazione e sul contenuto, nel  diritto  interno,
dell'atto di nascita.  
    3. I.  Dubbi  di  legittimita'  costituzionale  della  disciplina
applicabile 
    Il combinato disposto dell'art. 1, comma 20,  legge  n.  76/2016,
ove   limita   «ai   soli   fini   dell'esercizio   dei   diritti   e
dell'adempimento   dei   doveri    nascenti    dall'unione    civile»
l'applicabilita'  alle  parti  dell'unione  civile   omosessuale   le
disposizioni che si riferiscono al matrimonio, ai «coniugi» o termini
equivalenti,  con  l'art.  29  del decreto   del   Presidente   della
Repubblica n. 396/2000, che  disciplina  il  contenuto  dell'atto  di
nascita, non solo contrasta con la giurisprudenza costituzionale  che
fin  dall'inizio  degli  anni  2000  ha  riconosciuto   la   dignita'
costituzionale alle unioni omossessuali, quali formazioni sociali ove
si svolge la personalita' umana (cfr. e pluribus Corte costituzionale
sentenza n. 138/2010 e sentenza n. 170/2014);  ma  rischia  anche  di
ridursi a rigida espressione di positivismo giuridico  se  scrutinato
alla luce dei principi fondamentali a tutela del nato (12) . 
    Al fine di decidere sul ricorso si impone  dunque  la  rimessione
alla  Corte  costituzionale  della   valutazione   in   ordine   alla
legittimita' costituzionale sub articoli 2, 3, primo e secondo comma,
30 della Costituzione e 117  della  Costituzione  in  relazione  alle
norme interposte di cui all'art. 24, paragrafo  3,  della  Carta  dei
diritti Fondamentali  dell'Unione  europea  (siglata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000), agli articoli 8 e 14 Convenzione europea dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto  1955,
n. 848) e 2 della Convenzione di New York sui Diritti  del  fanciullo
del 20 novembre 1989 (resa esecutiva in Italia con  legge  27  maggio
1991, n. 196) dell'art. 1, comma 20, legge n. 76/2016 nella parte  in
cui limita la tutela ... delle  coppie  di  donne  omosessuali  unite
civilmente ai «soli diritti e ... doveri nascenti dall'unione civile»
e dell'art. 29, comma 2 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 396/2000 che limita la possibilita' di indicare il  solo  genitore
«legittimo, nonche' di quelli che rendono ... o  che  hanno  dato  il
consenso ad essere nominati» e non anche alle donne  tra  loro  unite
civilmente e che abbiano fatto ricorso (all'estero) alla procreazione
medicalmente assistita. Da quanto precede e' emerso  che  nel  nostro
ordinamento   l'apertura   alla    centralita'    individuale,    con
riconoscimento e regolamentazione di pluralita' di modelli  familiari
oltre/a  prescindere  dal  matrimonio  (unione  civile),  non   trova
corrispondenza su quello della filiazione,  dove  permane  una  forte
tensione tra diritto del  minore  ad  essere  educato  nella  propria
famiglia e assiologia delle scelte degli adulti sulla composizione di
quella famiglia. 
    In altri termini, il percorso che ha  riconosciuto  rilevanti  ex
art. 2 della Costituizione le famiglie omosessuali, quando si  tratti
di tutelare le scelte «procreate» di quelle formazioni sociali assume
una direzione incoerente con le sue stesse premesse. 
    Tuttavia, come anticipato, la necessaria correzione di rotta  non
puo' essere demandata all'interprete, ma spetta al legislatore (o del
Giudice delle leggi che ne rappresenta il  continuum  istituzionale),
che deve plasmare in regole principi,  di  per  se'  anodini  -  come
quello della tutela della vita privata e familiare dell'art. 8  CEDU,
senza sconfinamenti  nel  «diritto  alla  felicita'  individuale»  di
stampo nordamericano (lst  Amendement  of  the  Constitution  of  the
United States of America), fondamento della procreative  liberty,  ma
rimanendo ancorato alla prospettiva dell'art.  3  della  Costituzione
italiana che mira al «pieno sviluppo della persona umana». 
    Soltanto il formante legislativo  (cui  senza  dubbio  appartiene
anche la Corte costituzionale)  puo',  in  altri  termini,  esprimere
opzioni di fondo che contemperino i principi costituzionali interni -
al cui vertice permane il principio di  dignita'  e  libero  sviluppo
della  personalita'  -  con   quelli   internazionali,   individuando
equilibri normativi che pur rifuggendo la  tirannia  dei  valori  (o,
peggio, di un «valore»), tuttavia  non  scadano  a  mero  compromesso
delle possibilita'. 
    § 3. II. Il riferimento agli  articoli  2,  3,  30  e  117  della
Costituzione 
        a) Il contrasto con l'art. 2 della Costituzione. 
    Ai fini della prospettata valutazione incidentale di legittimita'
costituzionale va in  primo  luogo  rilevato  che  l'inapplicabilita'
delle regole sulla genitorialita' intenzionale alle coppie  di  donne
unite civilmente contrasta con l'art. 2 della Costituzione, in quanto
non   realizza   il   diritto   fondamentale   alla    genitorialita'
dell'individuo, sia  come  soggetto  singolo,  sia  nelle  formazioni
sociali ove si svolge la sua personalita'. 
    Diritto   alla   genitorialita',    inteso    come    aspirazione
giuridicamente qualificata a mettere al mondo e crescere dei figli, a
fortiori avendo costituito un legame di coppia formalizzato, che  per
la sua almeno  tendenziale  stabilita'  si  presenta  piu'  adatto  a
crescere la prole. La nozione di formazione sociale (di cui al citato
art. 2 della Costituzione) viene, infatti, intesa come «ogni forma di
comunita', semplice o complessa, idonea a consentire  e  favorire  il
libero sviluppo della persona nella vita di relazione,  nel  contesto
di una valorizzazione del modello  pluralistico»  (cfr.  la  sentenza
della Corte costituzionale n. 138/2010). 
    Ed in tale nozione va  oggi  annoverata  anche  l'unione  tra  le
ricorrenti, avendo la legge 20 maggio 2016, n. 76,  al  suo  art.  1,
espressamente istituito «l'unione civile  tra  persone  dello  stesso
sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2  e
3 della Costituzione». 
    Con siffatta previsione  normativa  il  legislatore  italiano  ha
superato la impostazione  tradizionale,  che  individuava  la  coppia
(fondata su matrimonio o su convivenza di fatto) come formata da soli
soggetti di sesso diverso, intraprendendo la strada dell'unificazione
delle discipline familiari, sia omosessuali che eterosessuali. 
        b) La contrarieta' all'art. 3, primo  e secondo  comma  della
Costituzione 
    Negare la tutela richiesta dalle odierne ricorrenti contrasta, in
secondo luogo, con  l'art.  3  della  Costituzione,  comportando  una
disparita' di trattamento basata  sull'orientamento  sessuale  e  sul
reddito, laddove privilegia chi dispone dei mezzi economici non  solo
per concepire, ma anche  per  far  nascere  il  figlio  all'estero  e
richiedere, con ormai sicuro  successo,  la  trascrizione  in  Italia
dell'atto di nascita straniero. 
    Risulta, invero, irragionevole e logicamente  contraddittoria  la
mancata inclusione delle coppie formate da persone dello stesso sesso
nell'elenco dei soggetti legittimati a  giovarsi  delle  tecniche  di
procreazione assistita, contenuta  in  una  legge  che,  fra  le  sue
finalita', si pone l'obiettivo di favorire la soluzione dei  problemi
riproduttivi derivanti dalla sterilita' o  dalla  infertilita'  umana
(requisiti questi ultimi indiscutibili  in  una  coppia  omosessuale:
cfr. Corte costituzionale sentenza n. 19599/2016, cit.). 
    Peraltro, il  mancato  riconoscimento  delle  donne  omossessuali
civilmente unite quali genitori del nato  da  fecondazione  eterologa
praticata dall'una con il consenso dell'altra si risolve anche in una
violazione del secondo  comma  dell'art.  3  della  Costituzione  che
assegna alla Repubblica il  compito  di  rimuovere  gli  ostacoli  di
ordine «sociale», qual e' lo  stigma  tradizionalmente  subito  dagli
omosessuali, al pieno sviluppo della loro personalita' consentendo  -
in  particolare,  alle  donne  -  di  realizzare  il   desiderio   di
maternita', senza che cio' sia giustificato dalla tutela di interessi
di rango almeno pari. 
    Quanto al nato, il rispetto del principio di  uguaglianza  impone
che egli non sia discriminato dalla legge (art. 3, primo comma  della
Cost.), e dunque sotto - tutelato sul piano sia morale che materiale,
in  considerazione  delle  caratteristiche  della  relazione  tra   i
genitori, ed in particolare se questa sia omosessuale. 
        c) La non conformita' all'art. 30 della Costituzione 
    Inoltre,  sia  per  gli  adulti  che  per  il   nato,   l'attuale
impossibilita' di indicare due madri unite  civilmente  nell'atto  di
nascita formato in Italia non rispetta il principio di  tutela  della
filiazione di cui all'art. 30 della Costituzione. 
    Una concezione progressiva di tale principio indurrebbe, infatti,
ad  affrancarne  la  realizzazione  dalla   tradizionale   dimensione
naturalistico - fattuale, tutelandola come  diritto  pretensivo  che,
ove il progresso scientifico la consenta, non puo' essere  escluso  o
limitato,  se  non  in  funzione  di  interessi  che  il  legislatore
consideri, legittimamente, pari - ordinati. 
    3. III. Il contrasto con i principi  internazionali  recepiti  ex
art. 117 della Costituzione 
    Il  riferimento  alla  tutela  costituzionale  della   filiazione
conduce,  infine,  alla  dimensione  sovrannazionale  dei   principi,
compendiati   -   in   particolare   -   nel   c.d.   diritto    alla
bigenitorialita'. 
    Negare al minore la relazione giuridica  con  entrambe  le  madri
integra, infatti, anche una violazione  dell'art.  24,  paragrafo  3,
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (siglata  a
Nizza il 7 dicembre 2000), degli articoli 8  e  14  della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  in  Italia  con
legge 4 agosto 1955, n. 848 (13) e con la Convenzione di New York sui
Diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 resa esecutiva  in  Italia
con legge 27 maggio 1991, n. 196. 
    In base a tale complesso di fonti, puo' considerarsi un principio
internazionale  definitivamente  acquisito,   quello   per   cui   il
matrimonio  non  costituisce  piu'  il  discrimen  nei  rapporti  tra
genitori e figli, ne' per gli uni - che hanno visto  riconosciuto  il
diritto non solo a formarsi una famiglia,  ma  altresi'  a  diventare
genitori, anche oltre i  limiti  imposti  dalla  natura  (sterilita',
identita' di sesso  dei  partner)  e  comunque  per  effetto  di  una
manifestazione di volonta' svincolata dal dato biologico; ne' per gli
altri, che debbono godere  della  medesima  tutela  indipendentemente
dalla forma del legame tra coloro che ne assumo la genitorialita'. 
    La  Grundnorm  in  materia  e'  ricavabile  da   numerose   fonti
internazionali, tra cui  spiccano  in  primo  luogo  l'art.  2  della
Convenzione di New York sui Diritti del  fanciullo  del  20  novembre
1989 resa esecutiva in Italia con legge n. 176/1991 (14) e l'art.  24
della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (Nizza,
2000). 
    Quest'ultima, in particolare, stabilisce che «in tutti  gli  atti
relativi ai minori, siano essi  compiuti  da  autorita'  pubbliche  o
istituzioni private, l'interesse superiore  del  minore  deve  essere
considerato preminente» e si declina, nello specifico,  come  diritto
del minore «a crescere nella propria famiglia, mantenendo un rapporto
equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori,  dai  quali  ha
diritto di ricevere  cura,  educazione  ed  istruzione»  (cfr.  Corte
costituzionale sentenza n. 31/2012; in senso analogo, cfr.  Corte  di
cassazione, sezione I civ. sentenza n. 19599/2016). 
    L'acquisto  dello  status  di  figlio  di   entrambe   le   parti
dell'unione civile omosessuale tra donne va  dunque  riguardato  come
ineludibile presupposto per l'accesso del minore alla massima  tutela
spettantegli. 
    Questo giudice, peraltro,  non  puo'  disapplicare  la  norma  di
diritto nazionale che si ponga in conflitto con le  previsioni  della
CEDU,  ma  deve,   invece,   previamente   sollevare   questione   di
costituzionalita' dinanzi alla Corte costituzionale. 
    Invero, a questo  giudice  e'  preclusa  l'applicazione  «in  via
diretta delle norme convenzionali in luogo di  quelle  nazionali,  in
tesi con esse non compatibili, atteso che, diversamente  dal  diritto
comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo non crea un
ordinamento giuridico sovranazionale ma  costituisce  un  modello  di
diritto internazionale pattizio, idoneo  a  vincolare  lo  Stato,  ma
improduttivo di effetti diretti nell'ordinamento interno (sentenze n.
349 e n. 348 del 2007, e successive conformi). Collocazione,  questa,
delle disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  che,  nel  sistema
delle  fonti,  resta  immutata  anche  dopo  il  richiamo   operatone
dall'art. 6, paragrafo 3, del  Trattato  sull'Unione  europea  (TUE),
come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007,
ratificato e reso esecutivo con legge  2  agosto  2008,  n.  130,  ed
entrato in vigore il 1° dicembre 2009» (cfr., per tutte, la  sentenza
della Corte costituzionale n. 96/2015). 
    I giudici di' codesta Corte hanno, infatti, gia' avuto  occasione
di  chiarire  che  «dalla  qualificazione  dei  diritti  fondamentali
oggetto di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  come  principi
generali  del  diritto  comunitario  non  puo'  farsi  discendere  la
riferibilita'  alla  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali del parametro di  cui
all'art. 11 della Costituzione, ne', correlativamente,  la  spettanza
al giudice comune del potere-dovere di non applicare le norme interne
contrastanti con la predetta Convenzione» (sentenze n. 303 del 2011 e
n. 349 del 2007). Ragione per cui «i principi in  questione  rilevano
unicamente in rapporto alle fattispecie cui  il  diritto  comunitario
(oggi, il diritto dell'Unione) e' applicabile» (sentenze n.  210  del
2013, n. 303 e n. 80 del 2011) e, poiche' le fattispecie, oggetto dei
giudizi a quibus, non sono riconducibili al diritto comunitario,  non
vi e' possibilita' per il  Tribunale  rimettente  di  disapplicazione
della normativa nazionale, peraltro limitata alle ipotesi in  cui  il
diritto comunitario rilevante sia dotato  di  effetti  diretti  (cfr.
Corte costituzionale sentenza n. 96/201, cit.). 
    Ancor piu' recentemente il giudice delle leggi ha  ribadito  che,
anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona,  «quando  una
disposizione di diritto interno diverge da norme dell'Unione  europea
prive  di  effetti  diretti,  occorre  sollevare  una  questione   di
legittimita' costituzionale, riservata alla esclusiva  competenza  di
questa  Corte,  senza   delibare   preventivamente   i   profili   di
incompatibilita' con il diritto europeo. In  tali  ipotesi  spetta  a
questa Corte giudicare la legge,  sia  in  riferimento  ai  parametri
europei (con riguardo alle priorita', nei giudizi in via  di  azione,
si veda ad esempio la sentenza n. 197 del 2014, ove  si  afferma  che
"la verifica della conformita' della norma impugnata alle  regole  di
competenza interna e'  preliminare  al  controllo  del  rispetto  dei
principi comunitari (sentenze n. 245 del 2013, n. 127 e  n.  120  del
2010)"» (Corte costituzionale sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017). 
    Di fronte, dunque, a casi di  c.d.  doppia  pregiudizialita',  la
Corte costituzionale ha ritenuto che, «laddove una legge sia  oggetto
di dubbi di illegittimita' tanto in riferimento ai  diritti  protetti
dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a  quelli  garantiti
dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di
rilevanza  comunitaria,  debba  essere  sollevata  la  questione   di
legittimita'  costituzionale,  fatto  salvo  il  ricorso,  al  rinvio
pregiudiziale per le questioni di interpretazione  o  di  invalidita'
del diritto dell'Unione, ai sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea» (cfr. la sopra citata sentenza  n.
269/2017 della Corte costituzionale).  
    4. Considerazioni di chiusura 
    Riassumendo quanto finora esposto, la questione  di  legittimita'
appare rilevante  nel  caso  di  specie,  ponendosi  in  rapporto  di
strumentalita' rispetto  alla  concreta  definizione  della  presente
controversia, oltre che non manifestamente infondata. 
    Al fine di decidere sul ricorso si impone, dunque, la  rimessione
a codesta Corte della valutazione di legittimita' costituzionale  sub
articoli 2, 3 primo e secondo comma, 30 e 117 della Costituzione - in
rel. ai richiamati principi internazionali - dell'art.  1,  comma  20
della legge 76/2016 perche', limitando l'applicabilita'  delle  leggi
speciali alle coppie di donne omosessuali unite civilmente  ai  «soli
diritti e ... doveri  nascenti  dall'unione  civile»,  nel  combinato
disposto con l'art. 29, comma 2  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  396/2000  preclude  loro  la  possibilita'  di  essere
indicate, entrambe, quali genitori nell'atto  di  nascita  quantunque
siano unite civilmente ed che abbiano fatto ricorso (all'estero) alla
procreazione medicalmente assistita. 
    Il predetto combinato disposto,  infatti,  pregiudica  i  diritti
inviolabili della persona, quali sono il diritto alla  genitorialita'
ed il diritto alla procreazione, nell'ambito  di  una  unione  civile
legalmente  riconosciuta  dall'ordinamento  italiano;  discrimina   i
cittadini per il loro  orientamento  sessuale  ed  in  considerazione
delle condizioni patrimoniali delle coppie;  introduce,  anche  avuto
riguardo al panorama della  legislazione  europea,  un  irragionevole
divieto  basato  su   discriminazioni   per   mere   ragioni   legate
all'orientamento sessuale dei componenti la coppia. 
    Ne' appare possibile conferire  alle  norme  sopra  riportate  un
significato assoggettabile ad una interpretazione  costituzionalmente
orientata o «adeguatrice» propugnata dalla richiamata  giurisprudenza
di merito. Nonostante, infatti, la «apertura» verso le coppie formate
da persone dello stesso  sesso  dimostrata  negli  ultimi  tempi  dal
legislatore e dalla giurisprudenza (di  merito  e  di  legittimita'),
l'univoco tenore lessicale delle specifiche norme  qui  in  questione
segna  il  confine  in   presenza   del   quale   il   tentativo   di
interpretazione  esperito  dal  giudice  deve  cedere  il  passo   al
sindacato di legittimita' costituzionale  (cfr.,  in  tal  senso,  le
sentenze numeri 270 e 315 del 2010 della Corte costituzionale). 
    Va, altresi', escluso che le norme  oggetto  di  censura  possano
essere direttamente non applicate da questo  giudice,  per  contrasto
con gli articoli 8 e 14 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848 (c.d. Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle libera' fondamentali). 
    In ragione di quanto sopra, al fine di provvedere  sulla  domanda
di rettifica dell'atto di nascita del minore A., nato a  ... il  ...,
con indicazione quale genitore anche di S.S. nt. a ... il ... - oltre
ad A.B. nt. a ... il ... - ed aggiunta del cognome S. dopo il cognome
B., con ordine all'ufficiale di stato civile di ... a  provvedere  in
conformita' ai  sensi  dell'art.  95  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 396/2000, il procedimento  va  sospeso  con  rimessione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    In esito andra' valutata la richiesta di attribuzione al  bambino
del cognome di entrambe le  ricorrenti,  a  tutela  del  diritto  del
minore all'identita' personale nel rispetto  del  principio  di  pari
dignita'  dei  genitori  (cfr.  Corte  costituzionale   sentenza   n.
286/2016), a prescindere dal loro orientamento sessuale (15) . 

(1) Problemi in larga parte diversi  si  pongono  qualora  i  partner
    siano entrambi di sesso maschile ed abbiamo  fatto  ricorso  alla
    c.d. gestazione per altri. 

(2) L'art. 8 della legge n. 40/2004, cit. stabilisce, in particolare,
    che  «i  nati  a  seguito  dell'applicazione  delle  tecniche  di
    procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di  figli  ...
    riconosciuti  della  coppia  che  ha  espresso  la  volonta'   di
    ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'art. 6». L'art.  5
    legge 40, cit. sancisce  che  «Fermo  restando  quanto  stabilito
    dall'art.  4,  comma  1,  possono  accedere  alle   tecniche   di
    procreazione medicalmente  assistita  coppie  di  maggiorenni  di
    sesso diverso, coniugate o  conviventi,  in  eta'  potenzialmente
    fertile, entrambi viventi». 

(3) L'art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.
    396/2000, cit. stabilisce, per quanto qui rileva, che  «Nell'atto
    di nascita sono indicati ... le generalita', la cittadinanza,  la
    residenza dei genitori e di quelli che hanno  espresso  con  atto
    pubblico il proprio consenso ad essere nominati...» 

(4) L'art. 1, comma 20 legge n. 76/2016, cit. contiene una  «clausola
    di equivalenza» inestensibile oltre i  diritti  e  i  doveri  che
    trovano titolo nell'unione civile, posto che la norma recita: «Al
    solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e
    il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione  civile
    tra  persone  dello  stesso  sesso,  le   disposizioni   che   si
    riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le  parole
    «coniuge», «coniugi» o  termini  equivalenti,  ovunque  ricorrono
    nelle leggi, negli atti aventi forza di  legge,  nei  regolamenti
    nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi,  si
    applicano anche ad ognuna  delle  parti  dell'unione  civile  tra
    persone dello stesso sesso. La disposizione  di  cui  al  periodo
    precedente non si  applica  alle  norme  del  codice  civile  non
    richiamate  espressamente  nella  presente  legge,  nonche'  alle
    disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo
    quanto previsto e consentito in materia di adozione  dalle  norme
    vigenti» (enfasi aggiunta). 

(5) Favorendola   per   il   figlio   nell'ipotesi   dell'azione   di
    accertamento della paternita' naturale imprescrittibile  riguardo
    al figlio e - limitandola - nell'anonimato del  donatore  esterno
    alla coppia eterosessuale che acceda alla fecondazione eterologa. 

(6) L'ipotesi in cui esso svolge  un  ruolo  attivo  di  orientamento
    dell'interprete nella costituzione del rapporto e'  rappresentata
    dell'art. 250, comma 4 del codice civile. 

(7) La dimensione negoziale della genitorialita' non e'  estranea  al
    nostro ordinamento, come ricorda la  disciplina  codicistica  del
    riconoscimento/accertamento di paternita' e maternita' naturale e
    la stessa facolta' per la partoriente  di  non  essere  nominata,
    prevista nell'ordinamento di stato civile (art. 30, comma  1  del
    decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  396/2000);  solo
    apparentemente,   dunque,    la    genitorialita'    intenzionale
    rappresenta  una  novita';  tuttavia,  mentre  nella   filiazione
    naturale il riconoscimento dovrebbe almeno in  linea  tendenziale
    saldare natura e  diritto,  qui  sicuramente  tale  saldatura  e'
    impossibile  -  sostituendosi  l'elemento   naturale   a   quello
    biologico, sempre ontologicamente assente. 

(8) Con  la  conseguenza  che  anche   un   ipotetico   provvedimento
    giudiziale di riconoscimento ex art.  250,  comma  4  del  codice
    civile della seconda madre, unita civilmente alla partoriente non
    potrebbe essere trascritto nell'atto di nascita. 

(9) E' il caso affrontato dall'ordinanza  con  cui  il  Tribunale  di
    Pordenone, ord. 2 luglio 2018  ha  rimesso  a  codesta  Corte  il
    giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  8,  legge  n.
    40/2004. 

(10) Ulteriore  principio  di  diritto  e',  pertanto,  il  seguente:
     «l'atto di nascita straniero [...] da cui risulti la nascita  di
     un figlio da due madri  [...]  non  contrasta  di  per  se'  con
     l'ordine pubblico  per  il  fatto  che  la  tecnica  procreativa
     utilizzata  non  sia  riconosciuta  in  Italia  dalla  legge  n.
     40/2004, la quale rappresenta una delle possibili  modalita'  di
     attuazione del potere regolatorio attribuito al  legislatore  su
     una  materia,  pur   eticamente   sensibile   e   di   rilevanza
     costituzionale, sulla  quale  le  scelte  legislative  non  sono
     costituzionalmente obbligate». 

(11) In particolare, il Supremo collegio - ai fini  del  giudizio  di
     non contrarieta' all'ordine  pubblico  -  afferma  che  «non  e'
     possibile sostenere l'esistenza di un  principio  costituzionale
     fondamentale [...]  idoneo  ad  impedire  l'ingresso  in  Italia
     dell'atto  di  nascita  [...]  in  ragione   di   una   asserita
     preclusione ontologica per le coppie formate  da  persone  dello
     stesso  sesso  (unite  da  uno  stabile  legame  affettivo)   di
     accogliere,  di  allevare  e  anche  di  generare  figli».  Tale
     asserzione  e'  fondata  su   quattro   elementi   fondamentali,
     puntualmente enunciati dalla Corte: a) l'inerenza  della  scelta
     di diventare genitori e formare una famiglia alla  «fondamentale
     e generale liberta' di autodeterminarsi», come  affermato  dalla
     Corte costituzionale nella sentenza n. 162/14; b) l'indifferenza
     della cornice giuridica del rapporto tra i  genitori  -  dunque,
     del matrimonio - rispetto alle vicende relative allo  status  di
     figlio (Corte costituzionale, n. 166/98), da  cui  consegue  che
     «l'elemento di  discrimine  rappresentato  dalla  diversita'  di
     sesso tra i genitori - che e' tipico dell'istituto  matrimoniale
     - non puo' giustificare una condizione deteriore per i figli ne'
     incidere  negativamente  sul  loro  status»;  c)  il  principio,
     confermato dalla  Corte  stessa  a  partire  dalla  sentenza  n.
     601/13, secondo cui l'orientamento sessuale di una  persona  non
     incide  sulla  sua  idoneita'  ad  assumere  la  responsabilita'
     genitoriale   e,   di   conseguenza,   «l'asserita   dannosita'»
     dell'inserimento del figlio «in  una  famiglia  formata  da  una
     coppia omosessuale [...] va dimostrata in concreto  e  non  puo'
     essere fondata sul mero pregiudizio»; d) la circostanza  che,  a
     partire da Cassazione, sez. I civ., n. 12962/16,  e'  consentito
     il  ricorso  all'adozione  in  casi   particolari,   in   coppie
     omosessuali, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera  d),  della
     legge n. 184/1983: cio' conferma «che le coppie omosessuali  ben
     possano adeguatamente accogliere figli e accudirli». 

(12) Per contro, una volta rimosso il limite  dell'art.  1  comma  20
     cit. in rel. art. 29, comma 2 del decreto del  Presidente  della
     Repubblica  n. 396/2000  all'omogenitorialita'  femminile,   non
     sembrano residuarne altri: non lo e', in particolare, l'art.  30
     del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, che  si
     riferisce ai «genitori» e non usa mai il termine «padre», mentre
     qui non rileva l'art. 269 del codice civile. In relazione a tale
     ultima   norma   va   peraltro   ricordato   che   l'ermeneutica
     costituzionalmente orientata proposta da  C.  Cass.  19599/2016,
     cit.  ha  escluso  che  debba   essere   assunto   a   principio
     inderogabile di ordine pubblico quello secondo cui,  nel  nostro
     ordinamento, madre e' colei che partorisce,  enunciato  all'art.
     269 del codice civile. Afferma la Corte, enunciando un principio
     di diritto, che «la regola secondo cui e'  madre  colei  che  ha
     partorito, a norma del terzo  comma  dell'art.  269  del  codice
     civile, non  costituisce  un  principio  fondamentale  di  rango
     costituzionale, sicche' e' riconoscibile  in  Italia  l'atto  di
     nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato  da  un
     progetto genitoriale di coppia e' figlio di due madri  (una  che
     lo ha partorito, e l'altra che ha donato l'ovulo),  non  essendo
     opponibile  principio  di  ordine  pubblico   desumibile   dalla
     suddetta regola» (C. Cass. 19599/2016, cit.) 

(13) Il cui art. 8 stabilisce che «1.  Ogni  persona  ha  diritto  al
     rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e
     della sua corrispondenza. 2. Non puo' esservi ingerenza  di  una
     autorita' pubblica nell'esercizio di tale  diritto  a  meno  che
     tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura
     che, in una societa' democratica, e' necessaria per la sicurezza
     nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico
     del paese, per la difesa dell'ordine e per  la  prevenzione  dei
     reati, per la protezione della salute o della morale, o  per  la
     protezione dei diritti e delle liberta' altrui» ed il successivo
     art. 14 ribadisce che «Il godimento dei diritti e delle liberta'
     riconosciuti nella presente Convenzione deve  essere  assicurato
     senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul
     sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni
     politiche o di altro  genere,  l'origine  nazionale  o  sociale,
     l'appartenenza a  una  minoranza  nazionale,  la  ricchezza,  la
     nascita o ogni altra condizione» 

(14) A  mente  della  quale  «1.  Gli  Stati  parti  si  impegnano  a
     rispettare i diritti enunciati nella presente  Convenzione  e  a
     garantirli   a   ogni   fanciullo   che   dipende   dalla   loro
     giurisdizione, senza distinzione di sorta  e  a  prescindere  da
     ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
     religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi
     genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine  nazionale,
     etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla  loro
     incapacita', dalla loro nascita o da ogni altra circostanza;  2.
     Gli Stati  parti  adottano  tutti  i  provvedimenti  appropriati
     affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato  contro  ogni
     forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione
     sociale, dalle attivita', opinioni professate o convinzioni  dei
     suoi  genitori,  dei  suoi  rappresentanti  legali  o  dei  suoi
     familiari» (enfasi aggiunta). 

(15) Peraltro la stessa legge n. 76/2016 all'art. 1, comma 19 estende
     alle unioni civili l'art. 146 in rel. art. 147 del codice civile
     che legittima l'intervento  giudiziale  in  ipotesi  di  mancato
     adempimento parentale dei  doveri  verso  i  figli,  cosi'  come
     l'art. 1, comma 25 disciplina lo scioglimento dell'unione civile
     anche in relazione alla presenza di figli.  Anche  la  legge  n.
     4/2018 sulla  tutela  degli  orfani  dei  crimini  domestici  ha
     confermato   questa   impostazione,    proteggendo    i    figli
     indipendentemente dalla  forma  giuridica  del  rapporto  tra  i
     genitori  e  dalla  fonte,  naturale   o   giuridica   (sociale,
     volontaria,  intenzionale)   della   relazione   parentale.   Le
     considerazioni  sopra  formulate  non  consentono  tuttavia   di
     cogliere un'opzione di fondo unitaria del  Legislatore  positivo
     rispetto  ai  dilemmi  bioetici   suscitati   dall'esigenza   di
     contemperare la libera espressione della  personalita'  e  della
     sessualita' di ciascun individuo con il rispetto della  dignita'
     umana, ma sono confinati in singoli ambiti di protezione per  la
     patologia funzionale di un rapporto gia' sorto e non  forniscono
     spunti per la disciplina della sua fase genetica. 
 
                                P.Q.M 
 
    Visto l'art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 20, legge  n.  76/2016
nella parte in cui  limita  la  tutela  ...  delle  coppie  di  donne
omosessuali unite civilmente ai «soli diritti e ...  doveri  nascenti
dall'unione  civile»  e  dell'art.  29,  comma  2  del  decreto   del
Presidente della Repubblica n.  396/2000  -  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117 della Costituzione  in
rel. art. 24, par.  3  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (Nizza, 7 dicembre 2000),  degli  art.  8  e  14  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (Roma,  4
novembre 1950), ratificata e resa esecutiva in  Italia  con  legge  4
agosto 1955, n. 848 e con la Convenzione dei  diritti  del  fanciullo
(New York, 20 novembre 1989) resa esecutiva in Italia  con  legge  27
maggio 1991, n. 196 - laddove limita la possibilita' di  indicare  il
solo genitore «legittimo, nonche' di quelli che  rendono  ...  o  che
hanno dato il consenso ad essere nominati» e non anche alle donne tra
loro unite civilmente e che  abbiano  fatto  ricorso  (all'estero)  a
procreazione medicalmente assistita; 
    Sospende per l'effetto il presente procedimento; 
    Manda alla cancelleria la notificazione della presente  ordinanza
alle parti costituite, al Presidente del Consiglio dei ministri e  di
comunicarla ai Presidenti  delle  due  Camere  del  Parlamento  e  di
trasmettere alla Corte costituzionale la presente ordinanza, gli atti
del  procedimento  e  la  prova  delle   predette   notificazioni   e
comunicazioni. 
 
        Venezia, 1° aprile 2019 
 
                        Il Presidente: Simone 
 
 
                                         Il Giudice relatore: Barison