N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 2019
Ordinanza del 26 aprile 2019 della Corte di cassazione sul ricorso proposto da F. A.. Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare speciale - Concessione nei confronti della condannata madre di prole affetta da handicap totalmente invalidante - Mancata previsione. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 47-quinquies, primo comma.(GU n.28 del 10-7-2019 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Prima Sezione Penale Composta da: Adriano Iasillo, Presidente; Domenico Fiordalisi; Francesco Centofanti, relatore; Gaetano Di Giuro; Alessandro Centonze; ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da F A , nata a il detenuta per questa causa avverso l'ordinanza del 25 settembre 2018 del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti; Lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale Stefano Tocci, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria rigettava l'istanza di detenzione domiciliare «speciale», avanzata, a norma dell'art. 47-quinquies della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), da A F , detenuta presso la casa circondariale di Reggio Calabria, in espiazione della pena inflitta con sentenza emessa dalla locale Corte di appello il 30 aprile 2015 e scadente, allo stato, il 13 novembre 2024. La condanna, pronunciata a carico dell'istante, era relativa ai reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione continuata e ricettazione. Rilevava il Tribunale come alla concessione della misura alternativa non ostasse, in se, la natura dei reati teste' menzionati, quantunque parzialmente riconducibili al catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., posto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 239 del 2014, aveva dichiarato costituzionalmente illegittime - con riferimento alla misura medesima, nonche' alla detenzione domiciliare prevista dall'art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), Ord. pen. - le relative preclusioni; ne' si ponesse, sempre ai fini di una tale concessione, questione alcuna di previa espiazione di una quota/parte della pena inflitta, in quanto la successiva sentenza costituzionale n. 76 del 2017 aveva caducato la corrispondente previsione, valevole rispetto alle persone condannate per i reati indicati nel citato art. 4-bis. Piuttosto, rilevava il Tribunale, l'accesso alla misura alternativa era impedito, in radice, dal fatto che la figlia minorenne della condannata, M R P - in funzione della cui cura e assistenza la misura alternativa era stata domandata - fosse nata nel marzo 1994 e avesse cosi' superato, alla data dell'istanza, il decimo anno di eta'; condizione, quest'ultima, legalmente stabilita per la fruizione del beneficio specificamente invocato. Ancorche' risultasse che la minore fosse persona fisicamente invalida al 100%, in quanto affetta da paralisi cerebrale infantile, di ordine bilaterale, tale da renderla totalmente impossibilitata a deambulare e bisognosa dell'aiuto permanente di un accompagnatore, la relativa circostanza era dal Tribunale reputata ininfluente sul giudizio da rendere in causa. Cio' in quanto le funzioni intellettive della ragazza erano nondimeno conservate, e si presentavano in linea con l'eta' anagrafica, sicche' ella non poteva essere equiparata, sotto il profilo cognitivo-comportamentale, vale a dire per «eta' mentale», ad un soggetto inferiore ai dieci anni, limite che costituiva l'insuperabile criterio legate di riferimento. 2. Ricorre la condannata per cassazione, tramite il difensore di fiducia, avvocato Guido Contestabile, sulla base di unico articolato motivo, con cui si deduce la violazione degli articoli 125 cod. proc. pen. e 47-quinquies Ord. pen., nonche' il vizio della motivazione. Secondo la ricorrente, l'ordinanza impugnata avrebbe trascurato di esaminare significative evidenze istruttorie e avrebbe tratto, in ogni caso, conclusioni incompatibili con i dati acquisiti, risolvendosi in un provvedimento illogico e privo di adeguata e razionale giustificazione. Sotto altro aspetto, la medesima ordinanza avrebbe fatto applicazione di una disposizione che - se interpretata nel senso di escludere la parificazione, ai fini della concedibilita' alla madre condannata della detenzione domiciliare «speciale», tra i minori di dieci anni e i soggetti di eta' superiore totalmente disabili, anche solo dal lato fisico - sarebbe in contrasto con plurimi parametri costituzionali (e, in particolare, con gli articoli 2, 3, 29, primo comma, 30, primo e secondo comma, e 31, secondo comma, della Carta), come nel motivo diffusamente argomentato; ragion per cui la ricorrente domanda a questa Corte, sia pure in prospettazione subordinata, di sollevare incidente di legittimita' costituzionale. 3. Nella requisitoria, presentata a norma dell'art. 611 cod. proc. pen., il Procuratore generate presso questa Corte ha concluso per la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso appare, gia' ad un preliminare apprezzamento, manifestamente infondato nella parte relativa alla censura di mancanza, contraddittorieta' ed illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato, il quale appare viceversa basato su una esaustiva ricognizione della situazione di fatto alla cui stregua l'istanza di misura alternativa deve trovare, nell'odierno procedimento, giuridica definizione. Facendo puntuale riferimento alle deduzioni di parte, e alla documentazione dalla medesima fornita, nonche' avvalendosi degli esiti di apposita perizia, in sede camerale scrupolosamente disposta, il giudice a quo ha ineccepibilmente verificato che la figlia della condannata, quattordicenne, non e' affetta da alcun handicap di tipo intellettivo, incidente sulla sua capacita' di relazionarsi con il mondo esterno, quest'ultima pienamente corrispondente all'eta' anagrafica; ella e' bensi' affetta da handicap totale di ordine fisico, a seguito della precoce insorgenza della patologia, non reversibile, in narrativa specificata. Da tale accertamento, in se' peraltro genericamente (e quindi inammissibilmente) dalla ricorrente confutato, il Tribunale di sorveglianza ha tratto conseguenze in se perfettamente coerenti con l'interpretazione normativa recepita, vale a dire con l'impossibilita' di ricondurre la situazione dianzi descritta (la condizione di madre di soggetto totalmente disabile, per handicap fisico, ma di eta' superiore ai dieci anni) nel paradigma applicativo dell'istituto giuridico di causa (la detenzione domiciliare «speciale», disciplinata dall'art. 47-quinquies Ord. pen. ); onde, sul piano motivatorio e logico-fattuale, la assoluta incensurabilita' della decisione adottata. 2. Il discorso deve tuttavia ora spostarsi sul piano giuridico. Deve cioe', anzitutto, verificarsi se sia esatta l'esegesi della disposizione sopra esposta, ovverosia se sia corretto affermare che, in base ad essa, la detenzione domiciliare «speciale» non possa essere concessa, ricorrendo le ulteriori condizioni ivi previste, in funzione della cura e della educazione di prole di eta' superiore a dieci anni, ove essa risulti totalmente handicappata; e risulti tale anche solo dal lato fisico, come e' il soggetto minore in relazione a cui la misura alternativa e', in causa, concretamente invocata. In caso di risposta affermativa, dovra' ulteriormente verificarsi - e il tema e' posto dallo stesso ricorso, nel suo ulteriore sviluppo - se tale esegesi presenti profili di possibile frizione con il quadro costituzionale. 3. L'esegesi in discorso riflette, invero, un'adeguata lettura dello stato attuale del diritto positivo. 3.1. Come da questa Corte di recente ricordato (Sez. 1, n. 32331 del 10 luglio 2018, Giugliano) in occasione del promovimento di distinta questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto la medesima disposizione di legge - sulla scia, peraltro, degli insegnamenti della stessa Corte costituzionale (sentenze nn. 239 del 2014 e 76 del 2017, citate) - la detenzione domiciliare «speciale» e' un istituto, introdotto nell'ordinamento per effetto della legge 8 marzo 2001, n. 40, e poi ulteriormente disciplinato, ed esteso, dalla legge 21 aprile 2011, n. 62, che si inserisce nell'ambito del processo di progressivo ampliamento del presidi a tutela del rapporto tra condannate madri (e, a certe condizioni, detenuti padri) e figli minori. La ratio della disposizione e' comune a quella delle forme di detenzione domiciliare, gia' previste dall'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), Ord. pen., ossia quella di impedire, ove possibile, il distacco del bambino dalla figura genitoriale, at tempo stesso evitandone l'inserimento in un «contesto punitivo», privo di adeguati stimoli per la sua crescita e del tutto inidoneo alla creazione di un rapporto affettivo fisiologico con la figura stessa. Il nuovo istituto persegue ulteriormente tale ratio, istituendo nuovi presupposti perche' l'espiazione della pena al domicilio possa essere attutata. Anche li' dove la pena detentiva ancora da scontare superi il limite del quattro anni, e le misure alternative anzidette non potrebbero essere concesse, le condannate madri di prole di eta' non superiore a dieci anni - ovvero i condannati padri, se la madre e' deceduta, o versa in condizioni tali da renderle assolutamente impossibile provvedere ai figli, e non vi e modo di affidare la prole ad altri - possono essere comunque ammessi ad espiare la pena «nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli», a condizione che abbiano gia' espiato almeno un terzo della pena o almeno quindici anni, nel caso di condanna all'ergastolo (art. 47-quinquies, commi 1 e 7). Occorre anche che vi sia «la possibilita' di ripristinare la convivenza con i figli» e che non sussista «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti». Con la legge 21 aprile 2011, n. 62, e' stata peraltro consentita (mediante l'introduzione, nel corpo dell'art. 47-quinquies, del comma 1-bis, su cui ha inciso, in senso ampliativo, la menzionata sentenza costituzionale n. 76 del 2017) l'espiazione in modalita' alternative al regime carcerario, o comunque in modalita' protette, altresi' della frazione di pena utile alla maturazione della quantita' minima necessaria per l'ammissione, a pieno titolo, al regime di detenzione domiciliare «speciale». 3.2. In altro recente arresto (Sez. 1, n. 25164 del 19 dicembre 2017, dep. 2018, Troia, Rv. 273122-01), questa Corte ha opportunamente evidenziato come - in relazione alle preesistenti forme di detenzione domiciliare, previste dall'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), Ord. pen. - sia intervenuta l'importante sentenza della Corte costituzionale, n. 350 del 2003, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni, nella parte in cui esse non prevedono la concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata e, nei casi previsti, del padre condannato, «conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante». La pronuncia di legittimita' teste citata, pur nel contesto di un'interpretazione attenta a cogliere la sostanziale omogeneita' sistematica e funzionale delle diverse tipologie di misura alternative sopra considerate, ha incidentalmente rilevato che gli effetti della declaratoria di illegittimita' costituzionale, cosi' adottata, non erano suscettibili di estendersi alla detenzione domiciliare «speciale», che restava inapplicabile nel caso allora in esame (riguardante parimenti un minore in gravi condizioni di salute psico-fisica) «trattandosi di figlio maggiore degli anni dieci». 3.3. L'assunto deve essere condiviso ed ulteriormente iliustrato. La contraria impostazione, volta ad equiparare, per via interpretativa, in seno all'art. 47-quinquies Ord. pen., alla prole di tenera eta' quella in cui figuri un soggetto «debole» in relazione al suo stato di salute, realizzerebbe un'evidente forzatura semantica di una previsione testuale in se chiara e univoca, di cui lo stesso giudice delle leggi prese atto nella sentenza n. 350 del 2003, a fronte dell'identica previsione contenuta nel comma 1 dell'art. 47-ter Ord. pen., inducendosi cosi' ad emettere, nei confronti di essa, una decisione di illegittimita' costituzionale. Il fatto che quest'ultima non abbia riguardato (neppure in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) la disposizione «gemella», gia' allora vigente, a maggior ragione non autorizza l'interprete a sostituirsi all'organo cui l'ordinamento affida il controllo accentrato di costituzionalita', tenuto conto del principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della Consulta (tra le molte, sentenza n. 36 del 2016) per cui l'obbligo di interpretazione conforme «cede il passo all'incidente di legittimita' costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si riveli del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca». L'interpretazione conforme e' quindi doverosa e prioritaria, ma appartiene pur sempre alla famiglia delle tecniche esegetiche, poste a disposizione del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, che hanno carattere dichiarativo. Ove, percio', sulla base di tali tecniche, non sia possibile trarre dalla disposizione una norma realmente sintonica rispetto al parametro sopra-ordinato, il giudice non puo' ricorrervi. 3.4. L'impossibilita' di un'esegesi «adeguatrice» Si ritrae da circostanze ulteriori, di carattere storico-sistematico. Dopo la pubblicazione della sentenza n. 350 del 2003 e' intervenuta la novellazione integrale, ad opera del Parlamento, del comma 1 dell'art. 47-ter Ord. Pen., gia' inciso dalla pronuncia costituzionale. In particolare, l'art. 7, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, ha ad esso sostituito due commi, ed esattamente il nuovo comma 1 - che riproduce integralmente il testo della disposizione, come vigente anteriormente alla declaratoria d'illegittimita' costituzionale (corrispondente al testo tuttora in vigore, salvo il successivo riferimento alla possibilita' di espiare la misura alternativa, per la madre condannata, in case famiglia protette, inserito dalla legge n. 62 del 2011) - e il comma 1.1, teso a restringere l'accesso al beneficio nei confronti dei soggetti condannati cui fosse stata applicata la recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (comma in seguito abrogato dal d.l. 1° luglio 2013, n. 78, conv. dalla legge 9 agosto 2013, n. 94). In tal modo e' tornata obiettivamente ad essere applicabile - ad onta dell'art. 136 Cost., se ne sia reso conto, o meno, il legislatore storico - una disposizione che, nel disciplinare in via ordinaria l'accesso alla detenzione domiciliare del condannato che sia genitore di prole di tenera eta' (misura che costituisce l'archetipo di quella in scrutinio), oblitera la possibilita', gia' ritenuta costituzionalmente imposta, di estendere il beneficio ai casi in cui la prole sia affetta da handicap totalmente invalidante. Il medesimo legislatore, in tempi gia' recenti, ha peraltro avvertito la necessita' di rimediare, se e' vero che, in sede di attuazione della delega conferita della legge 23 giugno 2017, n. 103, nella parte relativa alle modifiche all'ordinamento penitenziario, era stata originariamente prevista (v. Relazione governativa, illustrativa del primo schema di decreto legislativo, pagg. 36 e 38) la modifica del testo, come sopra ripristinato, dell'art. 47, comma 1, lett. a) e b), Ord. pen. - oltre che la modifica, nella parte corrispondente, dello stesso art. 47-quinquies Ord. pen. - proprio nel senso preteso dalla sentenza costituzionale n. 350 del 2003, ossia mediante l'opportuno «riferimento alla condizione del figlio affetto da disabilita' grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'art. 4 della medesima legge». La mancata conferma di tale iniziale intendimento, nella versione definitiva del decreto legislativo delegato (2 ottobre 2018, n. 123), appare dunque frutto di una precisa opzione legislativa, la quale - all'interno di un quadro ordinamentale, ove era stato gia' caducato il principio regolatore, che avrebbe potuto servire da tramite per l'eventuale interpretazione costituzionalmente orientata - convince conclusivamente del fatto che tale ultima strada non possa essere percorsa. 4. L'esegesi, fatta propria dall'ordinanza in questa sede impugnata, seppure dunque corretta a legislazione vigente, induce tuttavia ad interrogarsi sulla compatibilita' di quest'ultima, in parte qua, con i principi e i valori della Costituzione. 4.1. I dubbi di costituzionalita' sono alimentati proprio dalle argomentazioni contenute nella citata giurisprudenza della Corte deputata al controllo delle leggi. L'assetto, garantito dalle misure di detenzione domiciliare introdotte dagli articoli 47-ter, comma 1, lett. a) e b), e 47-quinquies, Ord. pen., omogenee per funzione, mira a «favorire il pieno sviluppo della personalita' del figlio» del soggetto condannato a pena detentiva (Corte cost., n. 350 del 2003). Nell'economia degli istituti assume, infatti, «un rilievo del tutto prioritario l'interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera eta', ad instaurare un rapporto quanto gia' possibile «normale» con la madre (o, eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo» (Corte cost., n. 239 del 2014). Se cosi' e', occorre constatare che il sistema prevede, in proposito, la possibilita' di fare ricorso, nei confronti del genitore assoggettato ad espiazione, ad un trattamento sanzionatorio che non interrompa il continuum educativo-assistenziale del medesimo con il figlio, limitandola pero' all'ipotesi del minore di eta' inferiore a dieci anni. Non e' stata viceversa presa in considerazione - come espressamente sottolinea la sentenza costituzionale n. 350 del 2003 - la condizione del figlio gravemente invalido, rispetto alla quale il riferimento all'eta' non puo' assumere un rilievo dirimente, essendo la sua salute psico-fisica suscettibile di essere in pari modo pregiudicata dall'assenza del genitore, detenuto in carcere, «non essendo indifferente per il disabile grave, a qualsiasi eta', che le cure e l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore» medesimo. 4.2. La limitazione in questione sembra dunque contrastare, anzitutto, con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo - gia' ritenuto della pronuncia costituzionale n. 350 del 2003 - della intrinseca irragionevolezza di un sistema rigidamente legato all'eta' del minore, in cui, ai fini della concessione della detenzione domiciliare in esame, non si consenta affatto di apprezzare l'esistenza di situazioni omogenee a quella espressamente regolata, in cui si palesi la medesima necessita' di assicurare al figlio l'effettiva presenza, e il pregnante sostegno, del genitore, quali sono le situazioni in cui il figlio appaia portatore di un handicap totalmente invalidante. Al riguardo il Collegio non puo' che replicare le considerazioni gia' spese dalla Corte costituzionale, che, nella pronuncia da ultimo citata, ebbe a ritenere irrazionale «il trattamento difforme di situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della madre di un figlio incapace perche' minore degli anni dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno sul piano fisico, e quella della madre di un figlio disabile e incapace di provvedere da solo anche alle sue piu' elementari esigenze, il quale, a qualsiasi eta', ha maggiore e continua necessita' di essere assistito della madre rispetto ad un bambino di eta' inferiore agli anni dieci». Ne' mancano recenti indici legislativi, emersi in sede di ulteriore aggiornamento del diritto penitenziario, della piena equiparabilita' delle situazioni anzidette. La legge 16 aprile 2015, n. 47, incidendo sulla conformazione di un istituto di recente conio, quale quello delle visite al minore infermo da parte del genitore detenuto (art. 21-bis Ord. pen.), ha infatti esteso tale possibilita', tra l'altro, al caso del figlio affetto da handicap grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, in base a quest'ultima ritualmente accertato. Analoga estensione tuttora difetta in seno all'art. 47-quinquies Ord. pen., a riprova dell'ingiustificata discriminazione in esso viceversa insita. 4.3. Appaiono verosimilmente violati, altresi', gli articoli 3, secondo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione. La prima disposizione impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli, anche di ordine sociale, che impediscono il pieno sviluppo della personalita' umana. La seconda la impegna a proteggere la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo. E' stato gia' sottolineato che in tale ultimo senso e' esattamente orientata la ratio dell'istituto regolato dall'art. 47-quinquies Ord. pen., e che la finalita' ultima di tale disposizione e' la valorizzazione del rapporto genitoriale, a tutela della prole che versi in situazioni di minorita' e la cui crescita, in termini di realizzazione umana e sociale, potrebbe, in relazione a cio', restare altrimenti vulnerata. In questo contesto, l'indebita compressione delle finalita' di protezione dell'istituto medesimo, realizzata tramite l'irragionevole restrizione del suoi spazi applicativi, in grado di compromettere l'anzidetto valore di promozione della personalita' umana, si pone in potenziale contraddizione con il programma costituzionale espresso nelle citate disposizioni (la cui violazione, in effetti, venne parimenti ritenuta nella pronuncia costituzionale n. 350 del 2003). 5. La questione cosi' posta appare sicuramente rilevante nel presente giudizio, con specifico riguardo alla misura alternativa di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, Ord. pen., relative alla madre condannata, che nel giudizio stesso viene in applicazione. Dall'accoglimento della questione discenderebbe la necessita' di annullare con rinvio la decisione impugnata, perche i Tribunale di sorveglianza - superata la ravvisata preclusione, costituita dall'eta' della prole - possa, in piena autonomia di apprezzamento, compiere le ulteriori valutazioni, in punto di assenza di pericolosita' sociale della richiedente e di adeguatezza genitoriale rispetto alla finalita' rieducativa da svolgere, dovute sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 47092 del 19 luglio 2018, Barbi Cinti, Rv. 274481-01; Sez. 1, n. 25164 del 2017, dep. 2018, Troia, citata; Sez. 1, n. 38731 del 7 marzo 2013, Radouane, Rv. 257111-01). Ogni diverso esito dell'incidente di costituzionalita' sarebbe viceversa ostativo ad una favorevole delibazione del proposto ricorso per cassazione. 6. Per le ragioni sin qui esposte il Collegio ritiene di sollevare, nei termini precisati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1, Ord. pen., nella parte in cui la disposizione non prevede la concessione della detenzione domiciliare «speciale» anche nei confronti della condannata, madre di prole affetta da handicap totalmente invalidante. Spettera' alla Corte costituzionale valutare, in caso di accoglimento, l'opportunita' di estendere, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, la declaratoria d'illegittimita' costituzionale alle analoghe limitazioni - qui tuttavia non «rilevanti» - stabilite per i casi di detenzione domiciliare regolati dagli articoli 47-ter, comma 1, lett. a) e b) (nel testo risultante della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251), e 47-quinquies, comma 7, Ord. pen. Il processo deve essere per l'effetto sospeso, e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale, come da dispositivo.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche nei confronti della condannata madre di prole affetta da handicap totalmente invalidante. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone altresi' che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alla ricorrente, al procuratore generale presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso il 27 marzo 2019 Il Presidente: Iasillo Il Consigliere estensore: Centofanti