N. 199 SENTENZA 3 - 24 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Documentazione amministrativa - False  dichiarazioni  sostitutive  di
  certificazioni o di atto di  notorietà-  Decadenza  automatica  dal
  beneficio  eventualmente  conseguito  in  virtu'  di  provvedimento
  emanato sulla base della dichiarazione non veritiera. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre  2000,  n.  445
  (Testo unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia di documentazione amministrativa), art. 75. 
-   
(GU n.31 del 31-7-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  75  del
d.P.R. 28 dicembre 2000,  n.  445  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative   e   regolamentari   in   materia   di    documentazione
amministrativa), promossi dal Tribunale amministrativo regionale  per
la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanze del 17 settembre,
del 23 ottobre, del 25  ottobre  e  del  24  ottobre  2018,  iscritte
rispettivamente ai nn. 2, 27, 28 e 29 del registro ordinanze  2019  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  5  e  n.  9,
prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti l'atto di costituzione di Alessandro Nardelli nel  giudizio
r.o. n. 2 del 2019 e  gli  atti  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica e nella camera di  consiglio  del  3
luglio 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato; 
    uditi  l'avvocato  Giorgia  Calella  per  Alessandro  Nardelli  e
l'avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,  sezione
staccata di Lecce,  con  quattro  ordinanze  di  analogo  tenore,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 75 del d.P.R. 28 dicembre 2000,
n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di documentazione amministrativa). 
    La disposizione in esame disciplina le  conseguenze  delle  false
dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di  certificazioni.  Essa
prevede che  «[f]ermo  restando  quanto  previsto  dall'articolo  76,
qualora  dal  controllo  di  cui  all'articolo  71  emerga   la   non
veridicita' del contenuto della dichiarazione, il dichiarante  decade
dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla
base della dichiarazione non veritiera». 
    E'  denunciata  la  violazione   dell'art.   3   Cost.,   poiche'
l'automatica decadenza dal beneficio e l'impedimento a conseguire  lo
stesso, quali «conseguenze  [...]  lato  sensu  sanzionatorie»  della
dichiarazione  mendace,  colpirebbero   in   maniera   indiscriminata
condotte di rilievo differente e si porrebbero  in  contrasto  con  i
principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita',  essendo  preclusa
qualsiasi valutazione circa la gravita' del fatto, il suo disvalore e
l'elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante. 
    2.- In ciascuno dei quattro giudizi  a  quibus  e'  impugnato  il
provvedimento con cui  l'Agenzia  delle  dogane  e  dei  monopoli  ha
rigettato l'istanza di rinnovo del patentino per la vendita di generi
di monopolio, disponendo la decadenza dall'autorizzazione provvisoria
rilasciata nelle more  dell'istruttoria.  In  base  all'art.  75  del
d.P.R. n. 445 del 2000, il diniego e' stato  determinato  dall'omessa
indicazione, nelle dichiarazioni sostitutive di atto notorio allegate
alle rispettive istanze, dell'esistenza di pendenze verso l'erario. 
    Ad avviso del giudice a quo, la non veridicita' delle  rispettive
dichiarazioni costituirebbe l'unico presupposto del provvedimento  di
diniego.  Pertanto,   non   sarebbe   possibile   prescindere   dalla
definizione della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
75 del d.P.R. n. 445 del  2000  che,  in  presenza  di  dichiarazioni
mendaci, prevede la decadenza «dai benefici eventualmente conseguenti
al  provvedimento  emanato  sulla  base   della   dichiarazione   non
veritiera». 
    2.1.- Il giudice a quo  evidenzia  che,  secondo  la  consolidata
giurisprudenza amministrativa, la dichiarazione non veritiera, al  di
la' dei profili penali, preclude  al  dichiarante  il  raggiungimento
dello scopo cui  era  indirizzata  la  dichiarazione  o  comporta  la
decadenza dall'utilitas conseguita per effetto del mendacio.  La  non
veridicita' di quanto dichiarato rileva sotto un profilo oggettivo  e
determina la decadenza  dai  benefici  ottenuti.  Al  riguardo,  sono
richiamate le sentenze del Consiglio  di  Stato,  sezione  quinta,  9
aprile 2013, n. 1993, e 24 aprile 2012, n. 2447. 
    Per  effetto  di  tale  consolidata  interpretazione,   tale   da
assurgere al rango di «diritto vivente», l'applicazione dell'art.  75
del d.P.R. n. 445 del 2000 comporta dunque l'automatica decadenza dal
beneficio  eventualmente  conseguito  o,  comunque,  l'impedimento  a
conseguirlo. Ad avviso del giudice a quo, queste  conseguenze,  oltre
ad avere valenza lato sensu sanzionatoria, sarebbero irragionevoli  e
sproporzionate,  in  quanto  previste  a  prescindere  dall'effettiva
gravita' del fatto  e  dalla  sua  incidenza  rispetto  all'interesse
pubblico perseguito dall'amministrazione. Verrebbe cosi' riservato il
medesimo trattamento a situazioni oggettivamente diverse. Ne' sarebbe
possibile escludere i casi di non veridicita' su  aspetti  di  minima
rilevanza concreta. 
    D'altra parte, le censure non potrebbero essere superate  facendo
leva sulla ratio della disposizione,  rinvenibile  nel  principio  di
semplificazione  amministrativa,  cui  si  accompagna  l'affermazione
dell'autoresponsabilita' del dichiarante. Al riguardo, si fa rilevare
che la disposizione censurata e'  volta  a  rendere  piu'  efficiente
l'azione amministrativa,  ma  e'  anche  finalizzata  a  garantire  i
diritti dei singoli di volta  in  volta  coinvolti  nel  procedimento
amministrativo, nell'ambito del quale sono rese le dichiarazioni.  Il
rigido automatismo in esame sarebbe  lesivo  dell'equilibrio  fra  le
diverse  esigenze  in  gioco,  poiche'  pregiudicherebbe  i   diritti
costituzionali  del  singolo.  La  finalita'  di  semplificazione  si
risolverebbe, in definitiva, nella diminuzione  degli  adempimenti  a
carico  dell'amministrazione  pubblica,  a  fronte  di   un'eccessiva
autoresponsabilita' del privato. 
    3.- Nel giudizio iscritto al r.o. n. 2 del 2019 si e'  costituito
Alessandro Nardelli, in qualita' di parte ricorrente nel  giudizio  a
quo,  chiedendo  l'accoglimento  della  questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    3.1.-  Dopo   avere   illustrato   gli   argomenti   a   sostegno
dell'irragionevolezza della disposizione censurata, la parte  privata
sottolinea come essa si ponga in contrasto anche con il principio  di
proporzionalita'  delle  pene,  riconosciuto  dall'art.   49,   terzo
paragrafo, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea,
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, che e' stato esteso dal campo del diritto penale anche
al settore delle sanzioni disciplinari (sono richiamate  le  sentenze
di questa Corte n. 179 del 2017, n. 268 del 2016, n. 170 del 2015, n.
2 del 1999 e n. 363 del 1996). 
    La difesa della parte privata fa notare, inoltre, che,  nel  caso
in esame, il mancato rinnovo  del  patentino,  nonostante  l'avvenuto
pagamento della sanzione amministrativa, finirebbe per  ripercuotersi
proprio nei confronti degli interessi economici dello Stato, volti  a
promuovere le vendite dei generi di monopolio. 
    4.- In ciascuno dei quattro giudizi e' intervenuto il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo - con atti di contenuto analogo - che
la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata. 
    4.1.-   In   via   preliminare,   l'interveniente   ha   eccepito
l'incompleta  ricostruzione  del  quadro  normativo,   per   l'omessa
considerazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze
21  febbraio  2013,  n.  38  (Regolamento  recante  disciplina  della
distribuzione  e  vendita  dei   prodotti   da   fumo).   Ad   avviso
dell'Avvocatura generale  dello  Stato,  le  censure  del  rimettente
dovrebbero essere riferite direttamente alle disposizioni del d.m. n.
38 del 2013 che, nel disciplinare i requisiti  per  il  rilascio  dei
patentini, non prevedrebbe una graduazione circa la  rilevanza  delle
pendenze fiscali. 
    E' inoltre eccepito  il  mancato  esperimento  del  tentativo  di
interpretazione conforme. L'esegesi del censurato art. 75  richiamata
dal giudice a quo e considerata  alla  stregua  di  diritto  vivente,
sarebbe tutt'altro che consolidata. Di recente, la giurisprudenza del
Consiglio  di   Stato   avrebbe,   infatti,   offerto   una   lettura
costituzionalmente orientata dell'autocertificazione, valorizzando la
sostanza dell'attestazione,  ove  ricorrano  vizi  meramente  formali
(sono richiamate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione  quinta,
17 gennaio 2018, n.  257  e  23  gennaio  2018,  n.  418,  che  hanno
confermato le decisioni  dello  stesso  TAR  Puglia,  Lecce,  sezione
seconda, 21 dicembre 2015, n. 3664 e 18 febbraio 2016, n. 335). 
    Secondo questa interpretazione, per la  decadenza  dal  beneficio
non sarebbe determinante il  profilo  formale  della  falsita'  della
dichiarazione, bensi' quello sostanziale, costituito  dalla  mancanza
del requisito falsamente dichiarato. 
    D'altra parte, proprio con riguardo al rinnovo del patentino  per
la rivendita di tabacchi, laddove l'istanza si  presenti  incompleta,
sarebbe ammissibile il soccorso istruttorio. Si  evidenzia,  inoltre,
che l'amministrazione e' tenuta a valutare compiutamente la portata e
l'attualita'  delle   pendenze   fiscali   sussistenti   al   momento
dell'istanza,  e  quindi  a  tenere  conto  anche   della   eventuale
rateizzazione del pagamento (TAR  Sicilia,  Palermo,  sezione  prima,
sentenza 29 ottobre 2018, n. 2190). 
    E' inoltre richiamata una recente pronuncia che  ha  escluso  che
sia qualificabile come pendenza fiscale, ai  sensi  dell'art.  8  del
d.m. n. 38 del 2013, quella situazione di fatto che, alla luce  della
normativa tributaria, non possieda tali caratteri, ad esempio per  il
mancato superamento della soglia minima  di  rilevanza  fiscale  (TAR
Basilicata, sezione staccata di Potenza, sentenza 7 gennaio 2019,  n.
31). 
    4.2.- Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata. 
    Non   sarebbero   violati   i   principi    di    ragionevolezza,
proporzionalita' ed imparzialita' di cui all'art. 3 Cost., poiche' la
disciplina in esame non sarebbe volta a sanzionare la falsita'  delle
dichiarazioni, quanto piuttosto a garantire la certezza dei  rapporti
giuridici, facendo applicazione del principio di  autoresponsabilita'
del dichiarante, con evidenti vantaggi per l'amministrazione e per il
cittadino. 
    D'altra parte, la concessione del beneficio anche in presenza  di
false attestazioni porterebbe ad effetti irragionevoli e contrastanti
con l'art. 3  Cost.,  finendo  per  incentivare  comportamenti  volti
all'attestazione del falso, a danno  di  chi,  invece,  operando  con
correttezza e  buona  fede,  si  assume  la  responsabilita'  di  una
dichiarazione,  pur  sfavorevole,  ma  veritiera.   La   scelta   del
legislatore risponde, quindi, ad esigenze  di  efficacia  dell'azione
amministrativa, le quali sarebbero frustrate laddove fosse attribuita
all'amministrazione una valutazione in ordine alla gravita' del fatto
contestato ed all'elemento soggettivo del dichiarante. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,  sezione
staccata di Lecce, con quattro distinte ordinanze, ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 75 del  d.P.R.  28  dicembre  2000,  n.  445
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di documentazione amministrativa). 
    La disposizione in esame disciplina le  conseguenze  delle  false
dichiarazioni sostitutive di atto notorio o di  certificazioni.  Essa
prevede che  «[f]ermo  restando  quanto  previsto  dall'articolo  76,
qualora  dal  controllo  di  cui  all'articolo  71  emerga   la   non
veridicita' del contenuto della dichiarazione, il dichiarante  decade
dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla
base della dichiarazione non veritiera». 
    E'  denunciata  la  violazione   dell'art.   3   Cost.,   poiche'
l'automatica decadenza dal beneficio e l'impedimento a conseguire  lo
stesso, quali «conseguenze  [...]  lato  sensu  sanzionatorie»  della
dichiarazione  mendace,  colpirebbero   in   maniera   indiscriminata
condotte di rilievo differente e si porrebbero  in  contrasto  con  i
principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita',  essendo  preclusa
qualsiasi valutazione circa la gravita' del fatto, il suo disvalore e
l'elemento soggettivo del dolo o della colpa del dichiarante. 
    2.- Va preliminarmente  rilevato  che  le  quattro  ordinanze  di
rimessione  pongono  questioni  identiche  in  relazione  alla  norma
censurata e  ai  parametri  costituzionali  evocati  e,  pertanto,  i
giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente  esaminati  e  decisi
con unica pronuncia. 
    3.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost. va dichiarata inammissibile. 
    3.1.- Nelle ordinanze di rinvio, il giudice a quo  riferisce  che
gli impugnati provvedimenti di diniego hanno tutti ad oggetto istanze
di rinnovo del patentino per la vendita di prodotti  da  fumo  e  che
tale  diniego  e'  stato  determinato  dalla  non  veridicita'  delle
dichiarazioni sostitutive di atto notorio che le  accompagnavano.  La
falsita'   delle   dichiarazioni   sarebbe   consistita   nell'omessa
indicazione di pendenze nei confronti dell'erario o  dell'agente  per
la    riscossione.    Dalle    successive    verifiche     effettuate
dall'amministrazione, sarebbero emerse, infatti, alcune  cartelle  di
pagamento,  non  dichiarate  al  momento  della  presentazione  delle
istanze. 
    La disciplina del rilascio e del rinnovo  dei  patentini  per  la
vendita di prodotti da fumo e' contenuta  nel  decreto  del  Ministro
dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013,  n.  38  (Regolamento
recante disciplina della distribuzione  e  vendita  dei  prodotti  da
fumo). Esso stabilisce,  all'art.  7  (Criteri  per  il  rilascio  di
patentini), comma 3, lettera g), che, «[a]i  fini  dell'adozione  del
provvedimento, gli Uffici competenti in relazione  all'esercizio  del
richiedente, valutano: [...] l'assenza di eventuali pendenze  fiscali
e/o di morosita' verso l'Erario o verso  l'Agente  della  riscossione
definitivamente accertate o risultanti da sentenze non  impugnabili».
Il successivo art. 8 (Rilascio dei patentini), al  comma  3,  lettera
f), prevede parimenti che «[l]a  dichiarazione  sostitutiva  di  atto
notorio indica: [...] la sussistenza di  eventuali  pendenze  fiscali
e/o di morosita' verso  l'Erario  o  verso  il  concessionario  della
riscossione definitivamente accertate o risultanti  da  sentenze  non
impugnabili». 
    In  entrambe  le  disposizioni   richiamate,   la   definitivita'
dell'accertamento qualifica espressamente il requisito  richiesto  ai
fini del rilascio e del rinnovo del titolo autorizzatorio. 
    Pur   individuando   nelle   cartelle   emerse   dalla   verifica
dell'amministrazione un titolo per la riscossione, il giudice  a  quo
omette,  tuttavia,  di  fornire  qualsiasi  informazione   circa   il
carattere  definitivo  dell'accertamento  dell'obbligazione,  cui  si
riferiscono espressamente gli artt. 7 e  8  del  d.m.  38  del  2013.
Questa definitivita' puo' ritenersi realizzata quando  non  sia  piu'
esperibile alcun  rimedio  contro  l'accertamento  dell'obbligazione,
ovvero quando sia  intervenuta  una  decisione  giudiziale,  divenuta
irrevocabile, che ne accerti la fondatezza (art.  80,  comma  4,  del
d.lgs.  18  aprile  2016,  n.  50,  recante  «Codice  dei   contratti
pubblici»). 
    In due delle quattro ordinanze di rimessione (r.o. n. 28 e n.  29
del 2019) il giudice a quo riferisce,  altresi',  l'esistenza  di  un
piano di rateizzazione. Pur essendo presuntivamente indicativa di  un
riconoscimento  del  debito,  neppure  tale  circostanza,   tuttavia,
fornisce  elementi  circa  la   riferibilita'   delle   cartelle   in
contestazione a debiti  definitivamente  accertati,  ai  sensi  degli
artt.  7  e  8  del  d.m.  n.  38  del  2013.  Infatti,  proprio   la
rimodulazione della scadenza e il differimento dell'esigibilita', che
conseguono alla rateizzazione, potrebbero essere in contrasto con  la
definitivita' dell'accertamento. Del resto, la Corte di cassazione ha
affermato piu' volte che  «in  materia  tributaria,  non  costituisce
acquiescenza, da parte del contribuente, l'aver chiesto  e  ottenuto,
senza alcuna riserva, la rateizzazione degli importi  indicati  nella
cartella di pagamento» (Corte di cassazione, sezione  quinta  civile,
sentenza 11 maggio 2018, n. 11481; nello  stesso  senso,  sentenza  8
febbraio 2017, n. 3347, e ordinanza 8 giugno 2018, n. 14945). 
    Inoltre,  il  giudice  a  quo  non  prende  posizione  circa   la
tempestivita'    dell'istanza    di    rateizzazione,     ai     fini
dell'accertamento del requisito della regolarita' fiscale. Del resto,
la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto soddisfatto il requisito
laddove  la  rateizzazione   sia   stata   consentita   prima   della
presentazione   della   richiesta   accompagnata   da   dichiarazione
sostitutiva (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 5 giugno
2013, n. 15, e  le  successive  sentenze  della  sezione  quinta,  12
febbraio 2018, n. 856, e 18 marzo 2019, n. 1753). 
    Pertanto, in nessuno dei quattro  giudizi  a  quibus  sono  state
fornite indicazioni circa la  definitivita'  dell'accertamento,  cio'
che qualifica il requisito previsto dagli artt. 7 e 8 del d.m. n.  38
del 2013 e, di conseguenza, la dichiarazione della parte  in  termini
di falsita' o veridicita'. 
    L'incompleta  descrizione  della  fattispecie  si  riflette   nel
difetto di motivazione sulla rilevanza e determina l'inammissibilita'
della questione (ex plurimis, sentenze n. 242 e n. 22  del  2018,  n.
338 del 2011; ordinanze n. 37 del 2018, n. 248 e n. 187 del 2017). 
    3.2.- La questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
TAR per la Puglia e', d'altra parte,  inammissibile  anche  sotto  un
ulteriore profilo. 
    Nei casi oggetto dei giudizi a  quibus,  il  diniego  del  titolo
autorizzativo e' derivato,  in  primis,  dall'assenza  del  requisito
previsto dagli artt. 7 e 8 del d.m. n. 38 del 2013  e,  solo  in  via
consequenziale,  dalla  non  veridicita'  della   dichiarazione.   La
considerazione  di  tale  atto  normativo,  e  in  particolare  della
disciplina  dei  requisiti,  appare  suscettibile  di   definire   il
contenzioso    instaurato    dai    ricorrenti,     a     prescindere
dall'applicazione del censurato art. 75 del d.P.R. n. 445  del  2000.
Le ordinanze non contengono, tuttavia, alcun  rilievo  in  ordine  al
rapporto  che  lega  la  disciplina  regolamentare  e  quella   delle
conseguenze delle false dichiarazioni sostitutive. 
    Pertanto,  nelle  ordinanze  di  rimessione  risulta  carente  la
motivazione circa la rilevanza della questione  sollevata.  Anche  da
cio'  consegue  l'inammissibilita'  della  questione  (ex   plurimis,
sentenze n. 194, n. 114, n. 102 e n. 18 del 2018). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 75 del  d.P.R.  28  dicembre  2000,  n.  445
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di documentazione amministrativa), sollevata, in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale
per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con le  ordinanze  indicate
in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE