N. 116 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo 2019

Ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze del 21 marzo  2019
nel procedimento penale a carico di D.S.R.. 
 
Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione dei benefici per i
  condannati per taluni delitti in assenza della  collaborazione  con
  la giustizia - Mancata esclusione dal  novero  dei  reati  ostativi
  indicati, del reato di cui all'art. 630 cod.  pen.,  allorche'  sia
  stata riconosciuta l'attenuante del  fatto  di  lieve  entita',  ai
  sensi della sentenza n. 68 del 2012 della Corte costituzionale. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 4-bis, comma 1. 
(GU n.35 del 28-8-2019 )
 
                TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE 
 
    Il giorno 14 marzo 2019 in Firenze si e'  riunito  in  Camera  di
consiglio nelle persone dei componenti: 
      dott. Bortolato Marcello, Presidente; 
      dott.ssa Venturini Maria Letizia, Magistrato di sorveglianza; 
      dott.ssa Fortini Paola, Esperta; 
      don. Capecchi Mattia, Esperto; 
    sentito il Sostituto procuratore generale dott. Fabio Origlio che
ha espresso parere contrario, nonche' la difesa: 
      ha pronunciato  la  seguente  Ordinanza  per  deliberare  sulla
domanda di: affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 O.P. ),
presentata da: D.S.R, nato a ... il...., attualmente detenuto  presso
la casa reclusione di San Gimignano, con fine  pena  al  16  dicembre
2022; condannato con sentenza n. 2015/42 reg. gen., emessa in data 28
settembre 2015 da Corte di Assise di appello Roma, in  riforma  della
sentenza emessa in data 8  maggio  2014  da  Corte  di  Assise  Roma,
definitiva il 26 giugno 2017, alla  pena  di  anni  9  e  mesi  8  di
reclusione per i seguenti reati: 
      reato A: art. 110 C.P. luogo: Roma, art. 630 C.P.; 
      reato B: art. 110 C.P. luogo: Roma, art.  582  C.P.,  art.  585
C.P., art. 576 n. 1 C.P. 
 
                               Osserva 
 
    L'interessato - costituitosi  il  30  giugno  2017  e  da  allora
ininterrottamente detenuto - ha avanzato istanza  di  affidamento  in
prova al servizio  sociale,  ai  sensi  dell'art.  47  O.P,  rispetto
all'esecuzione della pena sopra indicata, irrogata per  sequestro  di
persona a scopo di estorsione e lesioni, in concorso, ritenuta per il
sequestro la diminuente dell'art. 311  del  codice  penale,  come  da
sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 19 marzo 2012,  per  la
limitata durata nel tempo del sequestro (tre giorni), per il luogo di
restrizione (appartamento) e la parziale liberta' di movimento  delle
persone offese (non impedito da strumenti di  coercizione),  come  si
legge a pagina 12 della sentenza della Corte di Assise di appello  di
Roma. E' stata inoltre riconosciuta l'attenuante del risarcimento del
danno ex art. 62, n. 6 del codice  penale,  gia'  ritenuta  in  primo
grado a favore di tutti gli imputati, stanti le dichiarazioni scritte
rese da entrambe le persone offese e ritenuto congruo il quantum  dai
giudici. 
    A sostegno dell'istanza  di  affidamento  in  prova  al  servizio
sociale, il detenuto  prospetta  la  disponibilita'  di  domicilio  e
lavoro in Roma. 
    La durata della pena da espiare non e' superiore ai quattro  anni
(attuale fine pena: 16 dicembre 2022) e quindi nella soglia di cui al
comma 3-bis dell'art. 47 O.P., tuttavia e' relativa al reato  di  cui
all'art. 630 del codice penale, compreso nel  primo  comma  dell'art.
4-bis O.P., che vieta la  concessione  di  benefici  penitenziari  in
assenza di collaborazione con la giustizia. 
    Il detenuto non ha tuttavia avanzato istanza  per  l'accertamento
della collaborazione - che in effetti non risulta comunque prestata -
ne'  di  accertamento  della  collaborazione   cd   'impossibile'   o
'inesigibile'.   La   difesa   ha   invece   prospettato   la    tesi
dell'ammissibilita' dell'istanza, stante l'avvenuto risarcimento  del
danno,  a  norma  del  comma  1-bis   dell'art.   4-bis   O.P.   Tale
prospettazione  non  e'  pero'  condivisibile,  poiche'  in  tema  di
declaratoria di collaborazione con la giustizia ex art.  58-ter  O.P.
e' da escludere, ai sensi e per gli effetti di detta  norma,  che  il
riconoscimento della  circostanza  attenuante  del  risarcimento  del
danno,   seppur   riconosciuta   in   sentenza,   possa   far   luogo
dell'attivita' collaborativa prevista dallo stesso art.  58-ter  che,
nel caso  di  specie  (comma  1-bis  dell'art.  4-bis),  deve  essere
comunque  'offerta'  affinche'  il  Tribunale  possa  accertarne   la
rilevanza o  meno.  In  altre  parole  anche  il  caso  dell'avvenuto
risarcimento del danno nei reati di cd  'I  fascia'  deve  transitare
nell'alveo dell'accertamento della collaborazione ai sensi  dell'art.
58-ter, sotto il profilo  della  sua  'rilevanza',  accertamento  che
spetta esclusivamente al Tribunale di sorveglianza. Tuttavia  -  come
si diceva - nessuna istanza di previo accertamento di collaborazione,
in qualsivoglia forma, e' stata presentata dal condannato. 
    L'istanza di affidamento in  prova  al  servizio  sociale  appare
quindi inammissibile. 
    Il Tribunale ha peraltro ben presente l'ordinanza della Corte  di
cassazione del 21  settembre  2018,  prima  sezione,  n.  51877,  sul
ricorso presentato  da  Hu  Bingqiu,  proprio  in  relazione  ad  una
decisione di questo Tribunale di sorveglianza, in  materia  in  parte
analoga (il caso  riguardava  l'ammissione  ai  permessi  premio,  ma
sempre  rispetto  alla  questione  dell"ostativita'  del   reato   di
sequestro  di  persona  a  scopo  di  estorsione,  pur   nell'ipotesi
attenuata della lieve entita'). 
    Ritiene il Collegio di dover sollevare la medesima  questione  di
legittimita'  costituzionale,  gia'  prospettata   dalla   Corte   di
legittimita', pur riguardando il caso oggi ad  oggetto  l'accesso  ad
una misura alternativa e non ad un permesso premio. 
    Anche  nel  caso  in  esame  appare  infatti  rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione, per contrasto con gli artt.  3
e 27 Costituzione dell'art. 4-bis, primo comma, O.P. nella  parte  in
cui comprende fra i  reati  ostativi  alla  concessione  di  benefici
penitenziari il reato di sequestro di persona a scopo di  estorsione,
di cui all'art. 630  del  codice  penale,  per  il  quale  sia  stata
riconosciuta la speciale attenuante della lieve  entita'  del  fatto,
come da sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2012. 
    Sulla rilevanza si osserva che la questione e' rilevante, poiche'
in astratto ricorrono gli altri presupposti per la valutazione  della
concessione del beneficio: pena  residua  nella  soglia  di  legge  e
presenza di elementi valutabili in  fatto  (ivi  compreso  l'avvenuto
integrale risarcimento del danno). Tuttavia, di fronte al  titolo  di
reato commesso, rientrante  tra  quelli  assolutamente  ostativi,  in
assenza di collaborazione e in mancanza di  alcuna  prospettazione  o
offerta di collaborazione, il  detenuto  non  puo'  avere  accesso  a
misura alternativa  e  quindi  l'istanza  appare  inammissibile  tout
court, senza che possano  svilupparsi  ulteriori  considerazioni  nel
merito. 
    Sulla non manifesta infondatezza, il passaggio e' gia' ampiamente
affrontato e sviluppato  dalla  Corte  di  cassazione  nell'ordinanza
sopra richiamata cui qui ci si riporta integralmente. 
    L'ostativita' di cui all'art. 4-bis O.P. ha origini  nelle  leggi
dell'emergenza dei primi anni '90, in funzione restrittiva rispetto a
delitti di particolare allarme sociale. Fu cosi introdotto il divieto
di benefici per i reati associativi piu' gravi (associazione di  tipo
mafioso  e  associazione  finalizzata  allo   spaccio   di   sostanze
stupefacenti), nonche' per i reati commessi con  finalita'  o  metodo
mafioso e per il reato di cui all'art. 630 del codice  penale,  tutte
fattispecie  caratterizzate   dal   necessario   o   almeno   normale
inserimento del reo in  compagini  criminose  di  gruppo  o  comunque
collegate  con  organizzazioni  criminali.  Si  assume   quindi   una
presunzione di pericolosita' in ragione della  commissione  di  reati
che  ontologicamente  presuppongono  la  presenza  di   un   contesto
associativo di spessore. 
    La  disciplina  dell'art.  4-bis  O.P.  ha  subito  modifiche   e
interventi ripetuti negli anni, da parte del legislatore  e  anche  a
seguito delle pronunce del Giudice delle leggi. E' stata innanzitutto
introdotta l'eccezione della collaborazione effettiva, poi di  quella
impossibile e irrilevante; e' stato tuttavia anche ampliato  l'elenco
dei reati ostativi o parzialmente tali. 
    La  disciplina  complessiva  ha   resistito   alle   censure   di
costituzionalita',   in   forza   dell'effetto   «mitigatore»   della
collaborazione   e   della   sua   estensione   alle   accezioni   di
impossibilita', inesigibilita', irrilevanza. 
    Tuttavia,  come  ben  ha  rilevato   la   Corte   di   cassazione
nell'ordinanza Hu,  per  la  fattispecie  dell'art.  630  del  codice
penale, nell'ipotesi della lieve entita' del fatto, appare fondato il
dubbio  di  legittimita'  costituzionale  circa  il  suo  inserimento
nell'elenco dei delitti per cui vi e' presunzione pressoche' assoluta
di pericolosita' sociale, come se anche detto reato fosse espressione
di  criminalita'  esercitata  in   forma   organizzata   o   comunque
particolarmente pervasiva e quindi tale da giustificare  l'esclusione
tout curt dai benefici penitenziari in assenza di collaborazione. 
    Ripetuti sono stati gli  interventi  della  Corte  costituzionale
rispetto alla illegittimita' di presunzioni di pericolosita'  sociale
«assolute». 
    L'art. 275, comma 3, del codice  di  procedura  penale  e'  stato
ritenuto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui vincola il
giudice cautelare nella scelta delle misure applicabili,  proprio  in
considerazione della oggettiva diversita' di talune  fattispecie  pur
ricomprese nell'elenco. (sentenza 57 del 2013). 
    L'art. 630 del codice penale e' norma che gia' nel 1980 ha  avuto
un'importante aumento dei limiti edittali, in ragione dell'importante
allarme sociale del fenomeno dei sequestri di persona, perpetrati  in
Italia   dalla   criminalita'   organizzata.   Tale   severita'    di
inquadramento  non  e'  sembrata  coerente  rispetto  a  fatti   meno
rilevanti, per caratteristiche oggettive  di  tempo,  di  azione,  di
numero di partecipi, determinanti la restrizione della liberta' della
vittima per breve durata  o  con  profitti  patrimoniali  di  entita'
contenuta. La norma e' stata quindi dichiarata illegittima perche' il
trattamento sanzionatorio e' apparso irragionevole in  assenza  della
possibilita' di mitigare la pena come nella parallela fattispecie  di
cui all'art. 289-bis del codice penale sulla base dell'art.  311  del
codice penale. Il riconoscimento dell'attenuante della lieve  entita'
del fatto deve quindi determinare una diminuzione di pena ed  implica
pero' logicamente  una  valutazione  di  minore  pericolosita'  degli
autori o almeno un'attenuazione della presunzione  di  pericolosita',
connessa alla commissione  del  delitto,  che  di  conseguenza  possa
giustificare un regime maggiormente restrittivo  anche  in  punto  di
esecuzione penale. 
    D'altra parte, la Corte di cassazione a sezioni unite gia' con la
sentenza 23 giugno 2011  (dep.  22  settembre  2011)  ha  seguito  un
ragionamento conforme rispetto all'ipotesi  dell'art.  74,  comma  6,
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990  (associazione
costituita per spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entita'), in
cui coerentemente il  legislatore  ha  gia'  disposto  l'applicazione
dell'art. 416 del codice penale, svolgendo  considerazioni  anche  in
punto della minore pericolosita' sociale degli autori, che di per se'
giustifica un trattamento diverso e piu' mite, sia in punto di  pena,
sia in punto di conseguenze gia' nella fase cautelare  (la  questione
riguardava la necessita' dell'applicazione della  custodia  cautelare
in  carcere  e  appunto  la  cosiddetta   presunzione   di   maggiore
pericolosita'). 
    Il Tribunale ha ben presenti  anche  le  considerazioni  espresse
sempre dalla Corte  di  cassazione  in  altre  recenti  ordinanze  di
rimessione alla Corte (n. 57913/2018, Cannizzaro  e  n.  9126,  2019,
Marchi), che hanno un comune denominatore  costituito  essenzialmente
dall'incompatibilita'  costituzionale  di  presunzioni  assolute   di
pericolosita'  sociale,  soprattutto  quando  applicate  a   condotte
illecite che non presuppongono legami con associazione mafiose o  che
comunque non sono ritenute ad esse legate. La Corte costituzionale ha
negli anni costantemente ribadito  detto  principio,  rafforzando  la
consistenza  di  detta  linea   interpretativa   (sentenze   57/2013;
239/2014; 48/2015; 76/2017). 
    Da ultimo,  con  sentenza  149  dell'11  luglio  2018,  la  Corte
costituzionale ha dichiarato  illegittimo  l'art.  58-quater,  quarto
comma, O.P. sottolineando, in particolare, l'incompatibilita' con  il
vigente assetto costituzionale  di  norme  «che  precludano  in  modo
assoluto, per un arco temporale assai esteso, l'accesso  ai  benefici
penitenziari a particolari categorie di condannati (...)  in  ragione
soltanto  della  particolare  gravita'  del  reato  commesso,  ovvero
dell'esigenza di  lanciare  un  robusto  segnale  di  deterrenza  nei
confronti della generalita' dei  consociati»;  «la  personalita'  del
condannato - ha concluso la Corte -  non  resta  segnata  in  maniera
irrimediabile dal reato  commesso  in  passato,  foss'anche  il  piu'
orribile; ma  continua  ad  essere  aperta  alla  prospettiva  di  un
possibile  cambiamento.  Prospettiva   che   chiama   in   causa   la
responsabilita'  individuale  del  condannato  nell'intraprendere  un
cammino di revisione critica del proprio passato e  di  ricostruzione
della propria personalita',  in  linea  con  le  esigenze  minime  di
rispetto dei valori  fondamentali  su  cui  si  fonda  la  convivenza
civile; ma che non  puo'  non  chiamare  in  causa  -  assieme  -  la
correlativa  responsabilita'  della  societa'  nello   stimolare   il
condannato  a  intraprendere  tale  cammino,  anche   attraverso   la
previsione da parte del legislatore - e la  concreta  concessione  da
parte del giudice - di  benefici  che  gradualmente  e  prudentemente
attenuino, in risposta al percorso di cambiamento  gia'  avviato,  il
giusto  rigore  della  sanzione  inflitta  per  il  reato   commesso,
favorendo  il  progressivo   reinserimento   del   condannato   nella
societa'». 
    La norma denunciata si pone pertanto in  evidente  contrasto  con
l'art. 3 Cost. poiche' introduce una preclusione assoluta, limitativa
di diritti  fondamentali,  in  palese  violazione  del  principio  di
uguaglianza risolvendosi in un trattamento del tutto arbitrario - non
suffragato da dati di esperienza generalizzati - nei confronti di  un
soggetto che riconosciuto responsabile di un sequestro di  persona  a
scopo  di  estorsione  di  'lieve  entita',  viene  irragionevolmente
parificato  a  condannati  di   ben   superiore   pericolosita'   pur
nell'ambito dello stesso titolo di reato. 
    Inoltre la norma si pone in contrasto con l'art. 27  Cost.  nella
parte in cui preclude  al  medesimo  condannato  -  a  fronte  di  un
finalismo rieducativo che dovrebbe accedere in particolare alla  fase
'terminale'  della  pena  in  esecuzione  -  l'accesso  alla   misura
alternativa dell'affidamento in prova,  impedendo  anziche'  favorire
quel progressivo reinserimento nella societa' che, nella  prospettiva
di un  possibile  recupero,  e'  lo  scopo  principale  della  misura
richiesta, pur a fronte, come sopra esposto, di un  gia'  intervenuto
risarcimento del danno (il quale, si noti per  inciso,  costituirebbe
di per se' l'adempimento di una  prescrizione  inerente  alla  stessa
misura: art. 47, comma 7 O.P.). 
    Il filo logico appare pertanto assolutamente chiaro e  lineare  e
il Tribunale ritiene quindi di dover sollevare d'ufficio la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis,  comma  1,  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario), con riferimento agli
artt. 3 e 27 Costituzione, nella parte in cui  include  tra  i  reati
'ostativi' all'accesso alle misure alternative anche il reato di  cui
all'art. 630 del codice  penale,  allorche'  sia  stata  riconosciuta
l'attenuante del fatto di lieve  entita',  ai  sensi  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 68 del 23 marzo 2012. La  questione  e'
rilevante e non appare manifestamente infondata per tutte le  ragioni
sopra esposte. 
    A norma dell'art. 23, legge 11 marzo  1953,  n.  87  deve  essere
dichiarata  la  sospensione  di  questo  procedimento  con  immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    La Cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza all'interessato e al suo difensore, al Procuratore generale
presso la Corte d'appello di Firenze, al Presidente del Consiglio dei
ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica, ai  sensi  dell'art.  23,
ultimo comma, legge n. 87/1953. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, primo  comma,  legge  n.
354/1975 (norme sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta')  nella  parte  in
cui non esclude dal novero dei reati ivi  ricompresi  quello  di  cui
all'art. 630 del codice  penale,  allorche'  sia  stata  riconosciuta
l'attenuante del fatto di lieve  entita',  ai  sensi  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 68 del 23 marzo 2012, per contrasto con
gli artt. 3 e 27 della Costituzione; 
    Sospende il presente procedimento; 
    Manda la Cancelleria per gli adempimenti previsti  dall'art.  23,
ultimo comma, legge n. 87/1953  e  dispone  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Cosi deciso in Firenze il 14 marzo 2019. 
 
                      Il Presidente: Bortolato 
 
                    Il magistrato est: Venturini