N. 117 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 2019
Ordinanza del 16 aprile 2019 del Tribunale di sorveglianza di Alessandria nel procedimento penale a carico di Q.R.. Esecuzione - Pene pecuniarie inflitte dal Giudice di pace - Conversione per insolvibilita' del condannato - Giudice competente - Abrogazione dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000. - Decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia - Testo B), art. 299 - «trasfuso» nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A" -, nella parte in cui abroga l'art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). In via «indotta» dall'eventuale accoglimento della prima questione: Reati e pene - Pene pecuniarie - Attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate - Giudice competente per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del debitore - Riferimento al "magistrato di sorveglianza competente" anziche' genericamente al "giudice competente". - Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), art. 238-bis (introdotto dall'art. 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020"), commi 2, 5, 6 e 7.(GU n.35 del 28-8-2019 )
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di sorveglianza iscritto al n. 2019/961 SIUS promosso da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria contro Q. R., nato ad ... il ..., residente a ..., ..., avente ad oggetto la conversione ex art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 della pena pecuniaria inflitta al predetto con sentenza emessa dal Giudice di pace di Alessandria il 17 novembre 2010 (irrevocabile il 17 gennaio 2011). Con atto in data 11 dicembre 2018 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria attivava presso questo Ufficio (ex art. 238-bis, comma 2 ss., decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) il procedimento di conversione per insolvibilita' del condannato della pena pecuniaria inflitta a Q R (come sopra generalizzato) con sentenza emessa dal Giudice di pace di Alessandria il 17 novembre 2010 (irrevocabile il 17 gennaio 2011). Il Procuratore richiedente investiva questo Ufficio perche' la Corte di cassazione [in sede di risoluzione di conflitto di competenza insorto tra il medesimo ed il Giudice di Pace di Alessandria in diverso e precedente procedimento (1) ]aveva dichiarato la competenza della magistratura di sorveglianza in subiecta materia. Per le ragioni che si esporranno in seguito, lo scrivente intende sollevare le questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso a sua volta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (che assegnava al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione la competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria applicata da un giudice di pace), per violazione dell'art. 76 Cost.; e in via «indotta» dall'eventuale accoglimento della prima questione (2) . b) dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' enericamente di «giudice competente», per violazione degli articoli 3 Cost. (principio di ragionevolezza e canone di razionalita'), 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo). Poiche' tali questioni rappresentano il portato di una complessa vicenda normativa e giurisprudenziale, si ritiene opportuno «ricapitolare» tale vicenda al fine di poter dare una piu' chiara e (si spera) piu' convincente motivazione della «non manifesta infondatezza» delle questioni stesse: cosa che conferira' alla presente ordinanza di rimessione un'inconsueta ampiezza, della quale si chiede comprensione. Per rendere, poi, piu' snella la lettura dell'ordinanza (limitando al massimo la presenza nel testo di «inciampanti» parentesi), le si dara' un'insolita veste grafica, corredandola di note a pie' di pagina. In via preliminare, infine, si ritiene opportuno premettere il seguente «Sommario» degli argomenti trattati nei singoli paragrafi della presente ordinanza di rimessione. Sommario: 1. - La conversione per insolvibilita' del condannato delle pene pecuniarie applicate dai giudici «ordinari» nel sistema del codice di procedura penale del 1988. 2. - La conversione per insolvibilita' del condannato delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace nel «microsistema di tutela integrata» costituito dal decreto legislativo n. 274/2000. 3. - La coerenza interna degli «originari ed autonomi» sistemi di conversione del magistrato di sorveglianza e del giudice di pace. 4. - La sopravvenuta disciplina della conversione posta in essere dal decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002). 5. - L'incidenza di Corte costituzionale n. 212/2003 sulle regole di competenza divisate dal decreto legislativo n. 113/2002. 6. - L'incidenza di Corte costituzionale n. 212/2003 sulle regole di attivazione del procedimento giurisdizionale di conversione. 7. - La sentenza 15 novembre 2018, n. 56967 della Corte di cassazione e sua critica. 8. - Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate con la presente ordinanza. 9. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost. 10. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte in cui esclude dal suo ambito operativo il giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione. Premessa. 10. 1 - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto disciplinare soltanto l'attivazione del procedimento di conversione, per violazione dell'art. 3 Cost. 10. 2 - Non manifesta infondatezza della questione riguardante l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto pure disciplinare ex novo la competenza relativa al procedimento di conversione, per violazione degli articoli 3, 97, comma 2, e 111, comma 2, Cost. 11. - Sintesi finale. 1. - La conversione per insolvibilita' del condannato delle pene pecuniarie applicate dai giudici «ordinari» nel sistema del codice di procedura penale del 1988. Dichiarato incostituzionale l'originario istituto della conversione in pena detentiva della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato (3) con la legge 24 novembre 1981, n. 689 (art. 102 ss.) e' stato introdotto il sistema della conversione della pena pecuniaria in sanzioni sostitutive: piu' esattamente l'art. 102 legge n. 689/1981 menziona al riguardo come sanzioni sostitutive la liberta' controllata (prevista dall'art. 55 stessa legge) oppure, su richiesta del condannato, il lavoro sostitutivo (previsto dall'art. 105). Nel sistema «originario» della legge n. 689/1981 l'accertamento dell'insolvibilita' del condannato e la conversione erano demandati al pubblico ministero o al pretore quali organi competenti per l'esecuzione (art. 586, comma 3, codice di procedura penale previgente), mentre al magistrato di sorveglianza (del luogo di residenza del condannato) spettava soltanto il compito di determinare le modalita' di esecuzione della sanzione sostitutiva gia' determinata dal pubblico ministero o dal pretore (art. 107 legge n. 689/1981) (4) . L'art. 660 codice di procedura penale del «nuovo» codice di procedura penale del 1988 (5) ha «trasferito» al magistrato di sorveglianza gli incombenti demandati dal codice previgente al pubblico ministero o al pretore, stabilendo che spetta al magistrato di sorveglianza il compito di accertare l'effettiva insolvibilita' del condannato, disporre la rateizzazione della pena ai sensi dell'art. 133-ter codice penale e/o la conversione. Giova ribadire che all'epoca dell'entrata in vigore dell'art. 660 codice di procedura penale l'unica ipotesi di conversione di pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato era quella divisata dall'art. 102 legge 24 novembre 1981, n. 689 (6) : di guisa soltanto a codesta ipotesi andava riferito l'art. 660 codice di procedura penale. Il procedimento di conversione incentrato sull'art. 660 codice di procedura penale., infine, era caratterizzato ex articoli 181-182 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (7) e art. 30 reg. esec. codice di procedura penale (8) da una «frammentazione di competenze» (vedendo coinvolti la cancelleria del giudice dell'esecuzione, il pubblico ministero e il magistrato di sorveglianza) e da lunghi «giri di valzer» da un ufficio ad un altro, intercalati a loro volta tra inutili «soste intermedie» presso l'ufficio del pubblico ministero. Piu' esattamente, tale procedimento si articolava nelle seguenti fasi: attivazione della procedura esecutiva da parte della cancelleria del giudice dell'esecuzione entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 181 disp. att. codice di procedura penale.); trasmissione di copia degli atti dalla cancelleria del giudice dell'esecuzione al pubblico ministero, in caso di esito negativo della procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria (art. 182, comma 1, disp. att. codice di procedura penale.); trasmissione da parte del pubblico ministero degli stessi atti (ricevuti dalla cancelleria del giudice dell'esecuzione) al magistrato di sorveglianza competente [la cui individuazione, peraltro, implicava preventivi accertamenti da parte del pubblico ministero ai fini dell'applicazione dei criteri sulla competenza divisati dall'art. 677, commi 1-2, codice di procedura penale (9) . (10) ai fini della conversione da parte di quest'ultimo (art. 660, comma 2, codice di procedura penale.): in caso di accertata insolvenza del condannato: a) conversione della pena pecuniaria da parte del magistrato di sorveglianza (normalmente in liberta' controllata oppure, «a richiesta del condannato», in lavoro sostitutivo: art. 102 legge n. 689/1981); b) trasmissione del provvedimento di conversione dal magistrato di sorveglianza al pubblico ministero richiedente; c) ulteriore successiva trasmissione del provvedimento di conversione da parte del pubblico ministero al magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato ai fini della determinazione delle modalita' di esecuzione della sanzione conseguente alla conversione (art. 107 legge n. 689/1981) (11) in caso di accertata solvibilita' del condannato: a) restituzione degli atti al pubblico ministero da parte del magistrato di sorveglianza (art. 30, comma 1, reg. esec. codice di procedura penale.); b) successiva comunicazione da parte del pubblico ministero dell'accertata solvibilita' del condannato alla cancelleria del giudice dell'esecuzione con la richiesta di rinnovo degli atti esecutivi (art. 30, comma 2, reg. esec. codice di procedura penale.); c) rinnovazione degli atti esecutivi da parte della cancelleria del giudice dell'esecuzione (art. 30. comma 2, reg. esec. codice di procedura penale.): con la «ripresa del giro di valzer», ovviamente, in caso di esito infruttuoso del rinnovo degli atti esecutivi per una ragione qualunque (ad esempio, per il trasferimento o la perdita nelle more dei beni accertati nella precedente fase del procedimento innanzi al magistrato di sorveglianza) (12) In virtu' dell'art. 1 codice di procedura penale., il sistema di conversione come sopra delineato riguardava, ovviamente, le pene pecuniarie inflitte o applicate dai giudici penali «ordinari» (della cognizione) operanti al momento dell'entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988 (pretore, tribunale, corte di assise, corte di appello e corte di assise di appello). 2. - La conversione per insolvibilita' del condannato delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace nel «microsistema di tutela integrata» costituito dal decreto legislativo n. 274/2000. Con il decreto legislativo n. 28 agosto 2000, n. 274 (13) e' stato «affiancato» al modello «ordinario» di procedimento penale (quello disciplinato dal codice di procedura penale) un procedimento specifico per i reati devoluti alla competenza del giudice di pace, il quale e' stato concepito come un «microsisterna di tutela integrata» (14) avente «caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario» (15) Tale procedimento si caratterizza in particolare: per il fatto che, mentre le funzioni requirenti sono svolte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale, quelle non requirenti (o «giudicanti» lato sensu) sono esercitate in tutto il procedimento [compreso quello di esecuzione (16) ] soltanto dal giudice di pace, il quale, per la maggiore vicinanza al corpo sociale in quanto magistrato onorario, e' sembrato piu' idoneo a realizzare «un riavvicinamento della collettivita' all'amministrazione della giustizia anche nel delicato settore del diritto penale» (17) e a favorire quella conciliazione che «costituisce l'obbiettivo principale della giurisdizione penale affidata al giudice di pace» (18) ; per le sue «finalita' di snellezza, semplificazione e rapidita'» (19) ; per la «specialita'» del relativo sistema sanzionatorio, al quale - da una parte - restano assolutamente estranee tutte le sanzioni principali non pecuniarie (reclusione e arresto) e tutte le sanzioni sostitutive (semidetenzione e liberta' controllata: art. 53 ss. legge n. 689/1981) applicabili dal giudice «ordinario» [v. art. 62 decreto legislativo n. 274/2000; e al quale - dall'altra parte - ineriscono sanzioni principali [c.d. paradetentive: la permanenza domiciliare (art. 53 decreto legislativo n. 274/2000 ) ed il lavoro di pubblica utilita' (art. 54 decreto legislativo n. 274/2000) (20) (21) o sanzioni sostitutive [la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilita' (art. 55 stesso decreto legislativo n.), nonche' l'espulsione sostitutiva di pena pecuniaria (art. 62-bis stesso decreto legislativo n.) (22) ] applicabili soltanto dal giudice di pace: la cui «competenza» esclusiva al riguardo non solo si desume sistematicamente dal mancato inserimento di tali sanzioni nel «catalogo» generale delle pene principali contenuto nel codice penale (art. 22 ss. c.p.), ma viene ex professo sancita dal decreto legislativo n. 274/2000, nel cui titolo II (articoli 52-62-bis) si concentra e si esaurisce la disciplina delle sanzioni applicabili esclusivamente dal giudice di pace (23) tanto in via diretta quanto in sede di conversione delle pene pecuniarie (art. 55) o in funzione sostitutiva di queste ultime (art. 62-bis) (24) ; per una fase esecutiva incentrata tutta sulle suindicate esigenze di semplificazione e celerita', le quali si concretizzano nella concentrazione delle competenze nel minor numero possibile di organi, nella conseguente tendenziale coincidenza tra il giudice dell'esecuzione e il giudice di pace che ha emesso il provvedimento da eseguire (art. 40, comma 1) [coincidenza derogata soltanto in presenza di ragionevoli e valide ragioni (25) ], nella «gestione» prevalentemente «amministrativa» delle sanzioni paradetentive [demandata in massima parte al pubblico ministero ed agli organi di polizia, esaurendosi l'intervento del giudice di pace nella sola modifica delle modalita' di esecuzione di quelle sanzioni stabilite nella sentenza: v. articoli 42-43) (26) ]; sempre in attuazione di codeste esigenze di semplificazione e di concentrazione delle competenze in executivis, per la valorizzazione del ruolo del giudice di pace anche nell'esecuzione delle pene pecuniarie, attribuendosi allo stesso (giudice di pace) pure le competenze demandate dall'art. 660 codice di procedura penale al magistrato di sorveglianza ai fini della loro conversione (art. 42): e cio' al dichiarato fine di «evitare gli inconvenienti, avvertiti nell'applicazione della disciplina attualmente vigente, derivanti dalla frammentazione delle competenze tra giudice dell'esecuzione e magistrato di sorveglianza» (27) . A quest'ultimo proposito si sottolinea che il procedimento di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, risultante dalle disposizioni ex articoli 181-182 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (28) e da quelle ex art. 660 codice di procedura penale coordinate con le norme «speciali» relative al procedimento davanti al giudice di pace [art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e art. 18 decreto ministeriale 6 aprile 200,1 n. 204 (29) ] si articolava nelle seguenti fasi: attivazione della procedura esecutiva da parte della cancelleria del giudice di pace quale giudice dell'esecuzione entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 181 disp. att. codice di procedura penale.); trasmissione di copia degli atti dalla cancelleria del giudice di pace quale giudice dell'esecuzione al pubblico ministero, in caso di esito negativo della procedura esecutiva per il recupero della pena pecuniaria (art. 182, comma 1, disp. att. codice di procedura penale.); trasmissione degli stessi atti da parte del pubblico ministero al giudice di pace quale giudice dell'esecuzione con la richiesta di conversione (art. 660, comma 2, codice di procedura penale e art. 42 decreto legislativo n. 274/2000); in caso di accertata insolvenza del condannato, conversione della pena pecuniaria in sanzioni costituite dalle medesime (diverse da quella pecuniaria) applicabili ex directo dal giudice di pace ai sensi degli articoli 52-54: vale a dire, normalmente dall'obbligo di permanenza domiciliare oppure, «a richiesta del condannato», dal lavoro di pubblica utilita' (30) (art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 e art. 18 d.m. 204/2001); in caso di accertata solvibilita' del condannato, ordine da parte del giudice di pace quale giudice dell'esecuzione alla sua stessa cancelleria di provvedere al rinnovo degli atti esecutivi, del quale (rinnovo) veniva data semplice comunicazione al pubblico mistero (art. 18 decreto ministeriale 6 aprile 2001, n. 204). Trattasi all'evidenza di un procedimento assai piu' spedito, agile e lineare rispetto a quello divisato per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario»: soprattutto perche' concentrava in un solo organo (il giudice di pace che ha emesso il provvedimento: comb. disp. articoli 40, comma 1, 42 e 55 decreto legislativo n. 274/2000) la competenza che, invece, rispetto alle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» risultava ripartita tra tre diversi organi giudicanti costituiti: 1) dal giudice dell'esecuzione (recte: dalla sua cancelleria) per l'iniziale attivazione della fase esecutiva e l'eventuale rinnovo degli atti esecutivi in caso di successivo accertamento della solvibilita' del condannato da parte del magistrato di sorveglianza; 2) dal magistrato di sorveglianza territorialmente competente ex art. 677 codice di procedura penale per l'accertamento dell'insolvenza del condannato e la conseguente pronuncia del provvedimento di conversione; 3) dal magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato (che poteva anche non coincidere con quello individuabile con i criteri ex art. 677 codice di procedura penale.) per la determinazione delle modalita' di esecuzione delle sanzioni conseguenti alla conversione (31) . 3. - La coerenza interna degli «originari ed autonomi» sistemi di conversione del magistrato di sorveglianza e del giudice di pace. Mette conto sottolineare che i due sistemi di conversione sopra delineati avevano una loro autonomia ed una loro coerenza interna perche': la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario» della cognizione, pur se disposta dalla magistratura di sorveglianza, si risolveva nell'applicazione di una sanzione sostitutiva (normalmente la liberta' controllata: art. 102 legge n. 689/981) corrispondente ad una di quelle applicabili ex directo dal giudice «ordinario» della cognizione (v. art. 53 legge n. 689/1981) e rispetto alla quale (sanzione applicata ex directo dal giudice della cognizione) spettava sempre e solo alla magistratura di sorveglianza la «gestione» dell'intera fase esecutiva [recte: la determinazione delle loro modalita' di esecuzione (art. 62 legge n. 689/1981), la modifica di tali modalita' (art. 64 legge n. 689/1981), la sospensione della loro esecuzione (art. 68 legge n. 689/1981) e la vigilanza sull'osservanza delle relative prescrizioni ai fini di una loro eventuale conversione in pena detentiva (art. 66 legge n. 689/1981)]: la presenza della magistratura di sorveglianza in subiecta materia, pertanto, non risultava (per cosi' dire) extra ordinem o «estravagante» perche' essa (magistratura di sorveglianza) in sede di conversione applicava (di regola) una sanzione (la liberta' controllata), rispetto alla quale (sanzione) aveva gia' significative attribuzioni quando risultava «inflitta» in sede di condanna (e direttamente) dal giudice della cognizione; per la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (quale giudice della cognizione) provvedeva un giudice di pace (in funzione di giudice dell'esecuzione), il quale applicava sanzioni sostitutive applicabili [all'epoca (32) ] solo da un giudice di pace e corrispondenti a quelle applicabili ex directo dal giudice di pace in sede di cognizione. 4. - La sopravvenuta disciplina della conversione posta in essere dal decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002). I due suindicati «sistemi» di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato erano stati sostituiti e, eccezione fatta per le regole sulla competenza, uniformati dal decreto legislativo n. 113/2002 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 114/2002, i cui contenuti erano stati «trasfusi nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (33) . Piu' esattamente e sinteticamente: nel Titolo IV della Parte VI (artt. 235-239) veniva regolata l'intera materia relativa alla riscossione delle pene pecuniarie in tutte le sue fasi (invito al pagamento, iscrizione a ruolo, attivazione della procedura di conversione, accertamento dell'insolvibilita', rateizzazione, rinnovo degli atti esecutivi, conversione); il procedimento di conversione delle pene pecuniarie veniva ex professo demandato al «giudice dell'esecuzione competente» (articoli 237 e 238), da individuarsi ovviamente in base alle «normali» regole sulla competenza: vale a dire, ai sensi dell'art. 665 codice di procedura penale per le pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» (G.I.P., G.U.P., tribunale in composizione monocratica, tribunale in composizione collegiale o corte di appello - secondo i casi -, ciascuno in funzione di giudice dell'esecuzione) ovvero ai sensi dell'art. 40, comma 1, decreto legislativo n. 274/2000 per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (di regola, il giudice di pace che ha emesso il provvedimento in funzione di giudice dell'esecuzione); si stabiliva che «con l'ordinanza che dispone la conversione il giudice dell'esecuzione determina le modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti (art. 238, comma 6): e, quindi, si convertiva in liberta' controllata o in lavoro sostitutivo ex articoli 102 e 107 legge n. 689/1981 (mai abrogati) la pena pecuniaria applicata dal giudice «ordinario»; e nell'obbligo di permanenza domiciliare o in lavoro di pubblica utilita' ex art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 (mai abrogato) la pena pecuniaria applicata dal giudice di pace; per evitare problemi di coordinamento e/o sovrapposizione tra la nuova normativa e quella preesistente, venivano espressamente abrogati l'art. 660 codice di procedura penale., gli art. 181-182 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (tutti abrogati dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002), nonche' l'art. 18 decreto ministeriale 6 aprile 2001, n. 204 (abrogato dall'art. 301 decreto del Presidente della Repubblica n. 114/2002, trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002). Mette conto sottolineare che con il nuovo assetto normativo veniva uniformato il procedimento di riscossione e di conversione delle pene pecuniarie (tanto di quelle applicate dal giudice «ordinario» quanto di quelle applicate dal giudice di pace), mentre restava differenziata la competenza a provvedere sulla conversione delle pene stesse in caso di accertata insolvibilita' del debitore, la quale spettava (in conseguenza del fatto che gli articoli 237-238 citt. parlavano genericamente al riguardo di «giudice dell'esecuzione competente»): a) al giudice dell'esecuzione «ordinario» individuato ex art. 665 codice di procedura penale per le pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario»; b) al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie applicate da un giudice di pace. Pertanto, le norme sulla competenza a disporre la conversione scaturenti dal decreto legislativo n. 113/2002 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nel loro testo originario (34) : erano innovative rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario» perche' - da un lato - «cancellavano» la preesistente competenza del magistrato di sorveglianza con la suindicata abrogazione dell'art. 660 codice di procedura penale e degli articoli 181-182 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (abrogazione operata dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) e - dall'altro lato - con i «nuovi» articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 «trasferivano» tale competenza al giudice dell'esecuzione da individuarsi ex art. 665 codice di procedura penale (35) ; nulla, invece, innovavano lo si ripete: «nel loro testo originario» (36) ] rispetto alte pene pecuniarie applicate da un giudice di pace in quanto la competenza riconosciuta a quest'ultimo quale giudice dell'esecuzione dall'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (abrogato dall'art. 299 decreto del Presidente della Repubblica n. 113/2002) permaneva in capo a quest'ultimo quale giudice dell'esecuzione per effetto degli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e dell'art. 40, comma 1, decreto legislativo n. 274/2000: di guisa che l'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 dipendeva soltanto dal fatto di essere divenuta (all'epoca) norma superflua nell'ambito della nuova regolamentazione della competenza in subiecta materia posta in essere dagli articoli 235-239 decreto legislativo n. 113/2002. Assai importante e', infine, rimarcare che l'assetto normativo scaturito dagli artt. 235-239 decreto legislativo n. 113/2002 lasciava del tutto autonomi e distinti tra di loro il «sistema di tutela ordinaria» operante per le pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» ed il «microsistema di tutela integrata» operante per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace di pace, ognuno dei quali conservava la sua «interna coerenza» senza interferenze reciproche, posto in particolare che: per la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario» (quale giudice della cognizione) provvedeva un giudice «ordinario» (in funzione di giudice dell'esecuzione), il quale applicava sanzioni sostitutive applicabili solo da un giudice «ordinario» (stante il suindicato divieto posto al giudice di pace dall'art. 62 decreto legislativo n. 274/2000) e normalmente corrispondenti ad una di quelle applicabili pure e direttamente dal giudice «ordinario» in sede di cognizione (la liberta' controllata: v. art. 53, 56 e 102 legge n. 689/1981); per la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (quale giudice della cognizione) provvedeva un giudice di pace (in funzione di giudice dell'esecuzione), il quale applicava sanzioni sostitutive applicabili [all'epoca (37) ] solo da un giudice di pace (stante sempre il suindicato divieto posto al giudice di pace dall'art. 62 decreto legislativo n. 274/2000) e corrispondenti a quelle applicabili pure ex directo dal giudice di pace in sede di cognizione. 5. - L'incidenza di Corte costituzionale 212/2003 sulle regole di competenza divisate dal decreto legislativo n. 113/2002. Questo assetto normativo, nondimeno, e' stato subito sconvolto. Con due ordinanze contenutisticamente identiche in data, rispettivamente, 23 settembre 2002 e 4 novembre 2012 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, in qualita' di giudice dell'esecuzione, sollevava (tra l'altro) la questione di legittimita' costituzionale «degli articoli da 235 a 239 e 299 (quest'ultimo nella parte in cui abroga l'art. 660 cod. proc. pen. » del decreto legislativo n. 113/2002 come riprodotti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 con riferimento agli articoli 76, 97, comma 1, e 111 Cost. Il rimettente: esponeva di essere stato investito di istanze di conversione di pene pecuniarie e di dovere, quindi, fissare l'udienza ex art. 666 codice di procedura penale per gli adempimenti previsti dall'art. 238 decreto legislativo n. 113/2002; riteneva, tuttavia, che le norme impugnate, disciplinando il procedimento di conversione delle pene pecuniarie e, in particolare, attribuendo al giudice dell'esecuzione la relativa competenza, precedentemente spettante al magistrato di sorveglianza, fossero (sotto diversi e concorrenti profili) in contrasto con i principi ed i criteri direttivi contenuti nella norma di delega di cui all'art. 7 legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi); riteneva altresi' che le medesime norme, assegnando incombenze ulteriori e marginali all'organo deputato all'esercizio della giurisdizione penale, compromettessero l'efficienza del sistema giudiziario, con conseguente lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e di quello della ragionevole durata del processo. Con la sentenza 18 giugno 2003, n. 212 la Corte costituzionale: dichiarava inammissibile la questione relativa all'art. 239 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, essendo norma di rango regolamentare perche' derivante dal decreto del Presidente della Repubblica n. 114/2002 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia) e, quindi, sottratta al sindacato di legittimita' costituzionale in quanto norma secondaria; dichiarava inammissibile per difetto di rilevanza la questione relativa agli articoli 235 e 236 decreto legislativo n. 113/2002, osservando che il rimettente, investito quale giudice dell'esecuzione di un'istanza di conversione di pena pecuniaria, non era chiamato a fare applicazione di codeste norme, che erano invece attinenti alla disciplina della riscossione; considerava fondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 237, 238 e 299 (quest'ultimo nella parte in cui abroga l'art. 660 codice di procedura penale.) del decreto legislativo n. 113/ 2002, con riferimento all'art. 76 Cost., «restando in tale pronuncia assorbita ogni altra censura». A quest'ultimo proposito la Corte costituzionale cosi' motivava: Il decreto legislativo di cui si tratta trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 ... Le norme denunciate riguardano la disciplina del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie, con particolare riguardo alla relativa competenza, che viene sottratta al magistrato di sorveglianza per essere, in via generale, attribuita al giudice dell'esecuzione. Si desume dalla ... relazione illustrativa del testo unico che il Legislatore delegato ha ritenuto che tale disciplina rientrasse nell'oggetto della delega ... sulla base di una valutazione di sostanziale «comunanza» della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia» costituente espressamente uno degli oggetti della delega in questione. «Una simile prospettazione non puo' tuttavia essere condivisa. Contrariamente a quanto sostenuto nella menzionata relazione al testo unico, l'esistenza della delega, specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge quale e', ex art. 25 della Costituzione, quella riguardante la competenza del giudice non puo' essere desunta dalla mera «connessione» con l'oggetto della delega stessa. Il Legislatore delegato indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia - era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza». Ai nostri fini e' importantissimo sottolineare subito che: la «reviviscenza» dell'art. 660 codice di procedura penale conseguente a Corte costituzionale 212/2003 e' avvenuta non sulla base di una ipotetica (ed inesistente) competenza «naturale» ed inderogabile in subiecta materia della magistratura di sorveglianza, ma solo per vizio di eccesso di delega: piu' esattamente, «perche' il Legislatore delegato ... era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza» (come sta scritto a chiare lettere nella motivazione della predetta sentenza); nell'occasione la Corte costituzionale non si e' posta il problema dell'incidenza della sua pronuncia (38) sulla competenza per la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace sol perche' ha fatto rigorosa applicazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 27, prima parte, legge 11 marzo 1953 n. 87 (39) , limitando la sua decisione alle sole norme sottoposte al suo sindacato dal giudice remittente; poiche' «il Legislatore delegato era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza», la «logica interna» di Corte costituzionale 212/2003, tuttavia, era sicuramente quella di considerare costituzionalmente illegittima una innovazione da parte del Legislatore delegato (recte: del decreto legislativo n. 113/2002 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) delle preesistenti regole di competenza in subiecta materia: le quali (regole preesistenti al decreto legislativo n. 113/2002 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) prevedevano la competenza del magistrato di sorveglianza per le pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» (art. 660 codice di procedura penale.) e la competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (art. 42 decreto legislativo n. 274/2000); sarebbe, pertanto, assolutamente paradossale e illogico che la Corte costituzionale con la sua sentenza 212/2003, facendo «resuscitare» l'art. 660 codice di procedura penale., avesse determinato un «legittimo e valido» trasferimento di competenza in capo al magistrato di sorveglianza del procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, la quale (competenza) in base alle regole preesistenti spettava al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione (40) . Proprio codesto trasferimento di competenza, invece, rappresenta (come si vedra') la «singolare ed assurda» conseguenza, che la Corte di cassazione sta annettendo a Corte costituzionale 212/2003: conseguenza «singolare ed assurda» costituente la ragion d'essere delle questioni di legittimita' costituzionale, che ci si accinge a sollevare. Mette conto evidenziare ancora che il sistema «positivo» venutosi a creare a seguito di Corte costituzionale 212/2003 puo' cosi' sintetizzarsi: A) con la dichiarazione di incostituzionalita' «totale» degli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e «parziale» (nella parte in cui ha abrogato l'art. 660 codice di procedura penale.) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, la competenza a disporre la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario» spettava (recte: ritornava) alla magistratura di sorveglianza per effetto del «resuscitato» art. 660 codice di procedura penale.; B) stante la persistente abrogazione (ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e della dichiarazione di «totale» incostituzionalita' degli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 (che parlavano genericamente al riguardo di «giudice dell'esecuzione competente»), la competenza a disporre la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace si prestava formalmente a rientrare anch'essa nella formulazione generica del «resuscitato» art. 660 codice di procedura penale e, quindi, a risultare cosi' trasferita alla magistratura di sorveglianza, che pero' ... non l'aveva mai avuta; C) restava, pertanto, aperta la questione circa la legittimita' costituzionale di quest'ultima conseguenza, concretando essa una «radicale modifica delle regole sulla competenza preesistenti» (in base alle quali la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace spettava allo stesso giudice di pace quale giudice dell'esecuzione): «radicale modifica delle regole sulla competenza» derivante (lo ripetiamo) dalla «reviviscenza» ex Corte costituzionale 212/2003 dell'art. 660 codice di procedura penale e dalla persistente abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 ad opera di un Legislatore delegato (recte: dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002), cui pero' la legge-delega non aveva dato alcun potere «innovativo» in subiecta materia! A quest'ultima questione (e' bene sottolinearlo) nessuno mai ha posto attenzione: a) ne' l'Amministrazione giudiziaria centrale in sede di diramazione delle proprie circolari aventi ad oggetto le indicazioni operative agli uffici periferici sul recupero dei crediti delle pene pecuniarie, le quali (indicazioni operative) si erano rese necessarie a seguito del vuoto normativa conseguente a Corte costituzionale 212/2003, di cui tra poco si parlera': quelle circolari, infatti (e come si dira' funditus nelle pagine seguenti), omettono di prendere in considerazione il «settore» delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace (41) , basandosi sic et simpliciter sul sistema normativo cosi' come risultante a seguito della sentenza 212/2003 della Corte costituzionale (sistema nel quale era di nuovo presente l'art. 660 codice di procedura penale., ma nel quale non era piu' presente l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, persistendo la sua abrogazione ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) e senza porsi minimamente il problema della legittimita' costituzionale di quel sistema complessivamente considerato (in particolare, della validita' di quell'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000); b) ne' il Legislatore in sede di introduzione dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introduzione operata dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017), il quale (come parimenti si dira' funditus tra poco) ha voluto soltanto porre rimedio alle «disfunzioni operative» evidenziate dall'Amministrazione giudiziaria centrale con le circolari sopra ricordate, prendendo anch'egli atto sic et simpliciter del sistema normativo cosi' come risultante a seguito della sentenza 212/2003 della Corte costituzionale e senza porsi il problema della legittimita' costituzionale di quel sistema complessivamente considerato. Quanto teste' detto rende doveroso soffermarsi adesso su un'altra questione venutasi a creare a seguito di Corte costituzionale 212/2003. 6. - L'incidenza di Corte costituzionale 212/2003 sulle regole di attivazione del procedimento giurisdizionale di conversione. Preoccupandosi di «cancellare» dall'ordinamento la competenza in subiecta materia del giudice dell'esecuzione «sostitutiva» di quella preesistente del magistrato di sorveglianza, la Corte costituzionale con la sentenza 212/2003: ha dichiarato l'incostituzionalita' non solo dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 660 codice di procedura penale (che prevedeva, per l'appunto, la competenza del magistrato di sorveglianza sulla conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario»), ma pure degli articoli 237 e 238 decreto legislativo n. 113/2002, che parlavano del «giudice dell'esecuzione» quale organo competente per la conversione; non ha considerato, tuttavia, che nella generica espressione «giudice dell'esecuzione competente» per la conversione contenuta negli articoli 237-238 citt. venivano ricomprese sia la specifica competenza del giudice «ordinario» in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene applicate da un giudice «ordinario» (competenza che «ritornava» alla magistratura di sorveglianza a seguito della dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale.) sia la specifica competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace (competenza gia' prevista dall'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, sulla cui abrogazione posta in essere dallo stesso art. 299 la Corte, invece, non era intervenuta); non ha considerato neppure che gli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 non solo avevano inciso sulle preesistenti regole relative alla competenza per il procedimento giurisdizionale di conversione, ma avevano pure disciplinato ex novo l'attivazione di quel procedimento (gia' regolamentata dagli articoli 181-182 disp. att. codice di procedura penale.: anch'esse abrogate dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 e mai «resuscitate»), dettando le norme di raccordo tra la fase amministrativa di riscossione della pena pecuniaria e la successiva fase giurisdizionale di conversione. Orbene! Dichiarandosi l'incostituzionalita' in toto degli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e persistendo l'abrogazione degli articoli 181 e (soprattutto) 182 disp. att. codice di procedura penale., Corte costituzionale 212/2003 aveva involontariamente provocato un vero e proprio vuoto normativo tra le due fasi suindicate (quella amministrativa di esazione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale della sua conversione), restando priva di regolamentazione la fase «intermedia» di attivazione del procedimento di conversione. Poiche' tale vuoto normativo aveva di fatto «paralizzato» i procedimenti di conversione delle pene pecuniarie, allo scopo e solo allo scopo di colmarlo (42) in occasione del varo della legge di bilancio 2018 e' stato introdotto (43) nel corpus del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 l'art. 238-bis sotto la rubrica «attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate» (44) . Questa disposizione, nondimeno, menziona quale organo giurisdizionale competente per la conversione «il magistrato di sorveglianza» (commi 2, 5, 6 e 7): circostanza che ha indotto la Corte di cassazione (come si vedra') a considerare risolta ogni questione sulla competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie, essendo (a suo dire) dall'art. 238-bis cit. confermata «espressamente la competenza unica del Magistrato di sorveglianza». Conclusione, codesta, che pare alquanto «affrettata» perche' un'interpretazione storica, logica e sistematica dell'art. 238-bis cit. ingenera dubbi sulla legittimita' costituzionale di tale norma nel significato attribuitole dalla Suprema Corte. 7. - La sentenza 15 novembre 2018, n. 56967 della Corte di cassazione e sua critica. Investito dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti di precedente e analoga richiesta di conversione di pena pecuniaria applicata dal Giudice di pace di Asti, questo Ufficio in quell'occasione aveva declinato la propria competenza per materia in favore del Giudice di pace di Asti in funzione del giudice dell'esecuzione, rilevando essenzialmente che: l'art. 660 codice di procedura penale e' stato introdotto nel nostro ordinamento con il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale); all'epoca l'unica ipotesi di conversione di pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita' del condannato era quella prevista dall'art. 102 legge 24 novembre 1981, n. 689 (ergo: la conversione di pena pecuniaria applicata da un giudice «ordinario»): di guisa che ad essa (e ad essa soltanto) andava riferito l'art. 660 codice di procedura penale; la materia della conversione di pena pecuniaria applicata dal giudice di pace e non eseguita per insolvibilita' del condannato, invece, trovava la sua completa e specifica disciplina nel decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) e, piu' esattamente, nel suo art. 55 (Conversione delle pene pecuniarie); la competenza a disporre la suindicata conversione ex art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 doveva riconoscersi allo stesso giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione: e cio' in virtu' dell'art. 40, 1° comma, stesso decreto legislativo («Salvo diversa disposizione di legge, competente a conoscere dell'esecuzione di un provvedimento e' il giudice di pace che l'ha emesso»), il quale, in quanto sopravvenuto all'art. 660 codice di procedura penale e in quanto lex specialis, prevaleva sulla disciplina dettata dallo stesso art. 660 codice di procedura penale; ai fini in discorso appariva irrilevante la circostanza che la «sopravvivenza» dell'art. 660 codice di procedura penale fosse conseguita alla declaratoria di illegittimita' costituzionale «degli articoli 237, 238 e 299 (nella parte in cui abroga l'art. 660 codice di procedura penale) del decreto legislativo n. 30 maggio 2002, n. 113»; tale dichiarazione di incostituzionalita', infatti, era stata fatta dalla Corte costituzionale con la sentenza 18 giugno 2003, n. 212 non sulla base di una ipotetica (ed inesistente) competenza «naturale» ed inderogabile in subiecta materia della magistratura di sorveglianza, ma solo per vizio di eccesso di delega: piu' esattamente «perche' il Legislatore delegato ... era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse - come quella impugnata - una radicale modifica delle regole di competenza» (come si legge nella motivazione della predetta sentenza); la «disciplina impugnata» (e dichiarata incostituzionale) era quella che, contestualmente abrogando l'art. 660 codice di procedura penale, aveva trasferito «al giudice dell'esecuzione la relativa competenza precedentemente spettante al magistrato di sorveglianza in tenia di rateizzazione e conversione di pene pecuniarie»; tuttavia, in virtu' della «disciplina impugnata» (e dichiarata incostituzionale) codesta «radicale modifica delle regole della competenza» non si era mai avuta rispetto alla conversione prevista dall'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000, la quale (a differenza di quella prevista dall'art. 102 legge 689/1981) era stata sempre di competenza del giudice di pace in virtu' dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000; e' ben vero che quest'ultima disposizione (al pari dell'art. 660 codice di procedura penale, poi «risuscitato» da Corte costituzionale 212/2003) era stata abrogata dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002; il che, nondimeno, non aveva determinato alcuna sostanziale modifica della competenza in subiecta materia: la quale (come gia' detto in precedenza), ad onta dell'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, restava al giudice di pace in virtu' del suindicato art. 40, 1° comma, decreto legislativo n. 274/2000; opinandosi diversamente ed ipotizzandosi che l'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (per effetto dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2003) e la «reviscenza» dell'art. 660 codice di procedura penale (per effetto di Corte costituzionale 212/2003) avessero determinato lo «spostamento» di competenza in subiecta materia dal giudice di pace competente per l'esecuzione al magistrato di sorveglianza, l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 si sarebbe esposto allo stesso vizio di incostituzionalita' rilevato da Corte costituzionale 212/2003 in quanto avrebbe comportato una «radicale modifica delle regole di competenza» (quelle sulla competenza del giudice di pace in subiecta materia), che il Legislatore delegato non aveva il potere di apportare. La superiore interpretazione «adeguatrice», nondimeno, e' stata disattesa (anzi, elusa) dalla Corte di cassazione in sede di risoluzione del conflitto di competenza sollevato dal Giudice di pace di Asti. Piu' esattamente, con la sentenza 15 novembre 2018 n. 56967 la Suprema Corte, nell'escludere la competenza del giudice di pace (45) , ha [quasi «suo malgrado» (46) ] affermato al riguardo che: A) «avendo la Corte costituzionale abrogato» (sic!) «il menzionato art. 299 soltanto parzialmente» nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale, «restava salva l'efficacia abrogativa che tale norma operava dell'art. 42 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il quale aveva attribuito la conversione delle pene pecuniarie inflitte dal Giudice di Pace a questo stesso giudice ... per cui, difettando una norma che attribuisca al Giudice di Pace la competenza alla conversione delle pene pecunierie (o specificamente o quale giudice dell'esecuzione) non sussiste piu' una norma di legge che attribuisca al Giudice di Pace la materia della conversione delle pene pecuniarie inflitte... Detto intervento» della Corte costituzionale (Corte cost. 212/2003) «ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioe' l'art. 660 codice di procedura penale) la quale si prestava comunque a disciplinare l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie, per cui risulta eliminata soltanto la competenza derogatoria del Giudice di Pace»; B) «questo sistema, peraltro, appare rafforzato dalla recente introduzione dell'art. 238-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ad opera del comma 473 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, che, occupandosi della procedura di attivazione della conversione delle pene pecuniarie non pagate, richiama l'art. 660 codice di procedura penale ed espressamente la competenza unica del Magistrato di Sorveglianza». Tali argomentazioni non appaiono punto convincenti. Per quanto riguarda l'argomentazione sub A), a parte le manifeste imprecisioni giuridiche in cui e' incorso l'estensore del provvedimento qui avversato (47) , si osserva che: con la sentenza 212/2003 la Corte costituzionale non ha inteso affatto coonestare l'abrogazione (ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, ma ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 solo nella parte in cui abrogava l'art. 660 codice di procedura penale (e non anche nella parte in cui abrogava pure l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) in perfetta ed assoluta coerenza con il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 27, prima parte, legge 11 marzo 1953, n. 87 (48) e/o per il semplice motivo che la norma ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava (pure) l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 non era stata (ovviamente) sottoposta al suo sindacato di costituzionalita' in quanto irrilevante nel giudizio a quo (49) ; se e' vero che la suindicata declaratoria di illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 «ha fatto riprendere vigenza ad una norma (e cioe' l'art. 660 codice di procedura penale) la quale si prestava a disciplinare, in via generale, l'intera materia della conversione delle pene pecuniarie, per cui risulta eliminata la competenza derogatoria del Giudice di pace» (prima prevista dall'abrogato art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), e' proprio codesta «eliminazione» che avrebbe dovuto indurre la Corte di cassazione a porsi il dubbio circa la legittimita' costituzionale dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava (pure) l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000: e cio', in base alla stessa norma-parametro (l'art. 76 Cost.) gia' evocata dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Verona in qualita' di giudice dell'esecuzione ai fini della «reviviscenza» dell'art. 660 codice di procedura penale; infatti, (come aveva rilevato Corte costituzionale n. 212/2003) in base ai principi ed ai criteri direttivi contenuti nella norma di delega «il Legislatore delegato era sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza» preesistenti: e quindi, tanto della regola c.d. «generale» ex art. 660 codice di procedura penale quanto della regola c.d. «derogatoria» ex art. 42 decreto legislativo n. 274/2000. Quanto all'argomentazione sub B), poi, si rileva che l'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205 nell'aggiungere al decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, l'art. 238-bis: ha voluto soltanto colmare il vuoto normativa venutosi a creare tra la fase amministrativa di esazione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione (50) , disciplinando la fase intermedia di «attivazione delle procedure di conversione delle pene pecuniarie non pagate» (come, del resto, recita la stessa rubrica dell'art. 238-bis); a tal fine, ha «preso atto» sic et simpliciter dell'assetto normativo conseguente alla sentenza 212/2003 della Corte costituzionale, senza porsi minimamente il problema circa la legittimita' costituzionale di quell'assetto normativo complessivamente considerato (51) . Avendo voluto disciplinare soltanto il modus operandi del passaggio dalla fase dell'esazione a quella della conversione della pena pecuniaria, cioe', l'art. 238-bis non ha inteso pure dare una regolamentazione ex novo alla competenza giurisdizionale sulla conversione della pena pecuniaria: come, invece, ha di fatto e implicitamente postulato la Corte di cassazione. Stando cosi' le cose, l'art. 238-bis cit. non «chiude» affatto il discorso relativo alla competenza sulla conversione della pena pecuniaria applicata da un giudice di pace (come ha, invece, corrivamente ritenuto la Corte di cassazione), restando aperta la questione della sua incidenza sul sistema normativa complessivamente considerato: sul cui sfondo aleggia come «convitato di pietra» quell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 che, abrogando (pure) l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, ha prodotto per effetto di Corte cost. 212/2003 impreviste conseguenze stravolgenti la coerenza interna di quel sistema. Del resto, anche se si volesse ritenere che l'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017, nell'aggiungere nel corpus del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 l'art. 238-bis, abbia voluto pure dare una nuova regolamentazione della competenza giurisdizionale per la conversione delle pene pecuniarie non pagate e cosi' implicitamente «sopprimere» definitivamente la competenza del giudice di pace una volta prevista dall'art. 42 decreto legislativo n. 274/2002; anche se si volesse ritenere tutto questo - si stava dicendo -, la norma ingenererebbe dubbi di legittimita' costituzionale non intravisti dalla Corte di cassazione: come tra poco si dira'. A questo punto il quadro normativo e giurisprudenziale della materia in discorso ci pare esaurientemente delineato: di guisa che possiamo entrare in medias res per cercare di dimostrare la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni da rimettere al giudizio della Corte costituzionale. 8. - Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate con la presente ordinanza. Le argomentazioni rassegnate dalla Corte di cassazione per affermare la competenza del magistrato di sorveglianza pure per la conversione della pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (52) sono state reiterate in diverse altre pronunce (53) . Pertanto: l'affermazione della competenza del magistrato di sorveglianza in subiecta materia costituisce «diritto vivente», che rende di fatto vana una contraria interpretazione «costituzionalmente orientata»; diventa, conseguentemente, necessario sollevare la questione di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso a sua volta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (che assegnava al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione la competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria applicata da un giudice di pace), per violazione dell'art. 76 Cost.; e in via «indotta» dall'eventuale accoglimento della prima questione (54) b) dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. l, comma 473, legge n. 205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' genericamente di «giudice competente», per violazione dell'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e canone di razionalita'), dell'art. 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e dell'art. 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo). La rilevanza delle questioni predette risulta evidente se si considera che: il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria ha (ex art. 238-bis, comma 2 e ss., decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) attivato presso questo Ufficio (di sorveglianza) il procedimento di conversione (per insolvibilita' del condannato) di pena pecuniaria inflitta a Q R con sentenza del Giudice di pace di Alessandria; conseguentemente, questo Ufficio dovrebbe disporre le «opportune indagini» «al fine di accertare l'effettiva insolvibilita' del debitore» ai sensi dell'art. 238-bis, comma 6, decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002; l'invocata declaratoria di incostituzionalita' delle norme suindicate, invece, comporterebbe in limine litis una pronuncia di incompetenza per materia di questo Ufficio ex art. 21, comma 1, codice di procedura penale con gli adempimenti conseguenti ex art. 23, comma 1, codice di procedura penale [restituzione degli atti al pubblico ministero (in applicazione di Corte costituzionale 76/1993) per l'attivazione del procedimento di conversione innanzi al Giudice di pace di Alessandria in funzione di giudice dell'esecuzione, che diventerebbe competente per effetto delle qui invocate pronunce di incostituzionalita' da parte della Corte costituzionale]. 9. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost. Come ampiamente visto in precedenza (55) , nel sistema previgente al decreto legislativo n. 113/2002 la competenza a provvedere sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato spettava: per le pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario» [recte: all'esito di uno dei procedimenti di diritto comune (56) ] alla magistratura di sorveglianza ex art. 660 codice di procedura penale, la quale applicava le sanzioni sostitutive previste dall'art. 102 legge n. 689/1981 (normalmente la liberta' controllata oppure, «a richiesta del condannato», il lavoro sostitutivo: v. articoli 102 e 107 legge n. 689/1981); per le pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace (recte: con la condanna emessa all'esito del procedimento disciplinato dal decreto legislativo n. 274/2000) allo stesso giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione ex art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, il quale applicava le sanzioni sostitutive previste dall'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 [normalmente l'obbligo di permanenza domiciliare oppure, «a richiesta del condannato», il lavoro di pubblica utilita' (57) ]. Il decreto legislativo n. 113/2002 ha espressamente abrogato entrambe le norme suindicate (l'art. 660 codice di procedura penale e l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), sostituendole con le «nuove» disposizioni contenute negli articoli 237-238 stesso decreto legislativo, le quali prevedevano ex professo al riguardo la competenza del «giudice dell'esecuzione» (58) . Sennonche' (e mutuando mutatis mutandis quanto si trova espressamente scritto in Corte costituzionale 212/2003): «il decreto legislativo di cui si tratta» (il n. 113 del 2002) «trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi. Legge di semplificazione 1998), come modificato dall'art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340»; «dal preambolo dello stesso decreto legislativo si evince, in particolare, che la delega e' esercitata con riferimento alle materie indicate ai numeri 9, 10 e 11 dell'allegato numero 1 della predetta legge n. 50 del 1999, che rispettivamente attengono al procedimento di gestione e alienazione dei beni sequestrati e confiscati, al procedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per l'iscrizione a ruolo e il rilascio di copie di atti in materia tributaria e in sede giurisdizionale, compresi i procedimenti in camera di consiglio, gli affari non contenziosi e le esecuzioni civili mobiliari e immobiliari»; «come si legge nella relazione illustrativa del testo unico, i tre procedimenti - meglio individuati, nella legge di delega, con specifico riferimento alle fonti della relativa disciplina «l'intera materia delle spese di giustizia, che puo' dirsi percio' costituire l'oggetto sostanziale della delega stessa»; «la norma qui denunciata (l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) riguarda la disciplina della competenza relativa al procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace; «si desume dalla gia' citata relazione illustrativa del testo unico che il Legislatore delegato ha ritenuto che tale disciplina» (al pari della disciplina riguardante la competenza rispetto al procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate da un organo della giustizia ordinaria) «rientrasse nell'oggetto della delega, quale sopra individuato, sulla base di una valutazione di sostanziale «comunanza» della materia delle pene pecuniarie con quella delle spese di giustizia»; «una simile prospettazione non puo' tuttavia essere condivisa» perche', «contrariamente a quanto sostenuto nella menzionata relazione al testo unico, l'esistenza della delega, specie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge quale e', ex art. 25 della Costituzione, quella riguardante la competenza del giudice non puo' essere desunta dalla mera «connessione» con l'oggetto della delega stessa»; «il Legislatore delegato indipendentemente dall'ampiezza dei contorni che vogliano attribuirsi alla materia delle spese di giustizia era, dunque, sicuramente privo del potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse ... una radicale modifica delle regole di competenza» preesistenti, le quali erano costituite dall'art. 660 codice di procedura penale (rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice «ordinario») e dall'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (rispetto alle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace); alla dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 660 codice di procedura penale (gia' fatta da Corte cost. 212/2003), pertanto, andrebbe coerentemente aggiunta la dichiarazione di incostituzionalita' dello stesso art. 299 nella parte in cui ha abrogato pure l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost. (eccesso di delega). Ne' puo' obiettarsi in contrario che l'abrogazione (ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) dell'art. 660 codice di procedura penale aveva determinato una modifica (non solo formale, ma pure) sostanziale della preesistente competenza per la conversione delle pene applicate da un giudice «ordinario» (competenza che «passava» dal magistrato di sorveglianza al giudice dell'esecuzione per effetto degli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002), mentre invece l'abrogazione ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 aveva determinato una modifica solo formale della preesistente normativa sulla competenza per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, la quale «restava» pur sempre al giudice di pace in funzione del giudice dell'esecuzione per effetto dei suindicati art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 (che parlavano genericamente al riguardo di «giudice dell'esecuzione competente») (59) . Ed infatti, se si considera l'ordinamento giuridico nel suo assetto positivo conseguente alla sentenza n. 212/2003 della Corte costituzionale, risulta evidente che anche l'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 posta in essere dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 ha determinato una «radicale modifica» (non solo formale, ma pure sostanziale) «delle regole di competenza» sulla conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace, modifica che il Legislatore delegato non aveva il potere di operare (con conseguente vizio di eccesso di delega dell'art. 299 cit. pure in parte qua): come si passa a dimostrare. Si osserva, anzitutto, al riguardo che, essendo Corte costituzionale n. 212/2003 una pronuncia di accoglimento, essa ha determinato l'annullamento (con efficacia retroattiva) delle norme dichiarate incostituzionali (60) . Pertanto: a seguito di Corte costituzionale 212/2003 sono stati «eliminati ex tunc» dall'ordinamento giuridico (perche' dichiarati incostituzionali tout court) gli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002, che demandavano genericamente al «giudice dell'esecuzione» il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato; a seguito della contestuale declaratoria di incostituzionalita' (parziale) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 660 codice di procedura penale, Corte cost. 212/2003 ha determinato altresi' la «reviviscenza ex tunc» dell'art. 660 codice di procedura penale, che attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza per il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie; piu' esattamente, «in conseguenza dell'inidoneita'» dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 («per il radicale vizio procedurale che lo inficia») «a produrre effetti abrogativi» (61) rispetto all'art. 660 codice di procedura penale, a seguito di Corte cost. 212/2003 l'efficacia dello stesso art. 660 codice di procedura penale deve considerarsi ripristinata senza soluzione di continuita' e/o «come se non fosse stato mai abrogato»: e questo, in applicazione tanto della giurisprudenza costituzionale relativa agli effetti della caducazione di una norma (nella fattispecie, dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) emanata in difetto di delega (62) quanto della giurisprudenza costituzionale relativa alle conseguenze della dichiarazione di incostituzionalita' di una norma (nella fattispecie, dell'art. 299 cit.) espressamente abrogatrice di un'altra norma (nella fattispecie, dell'art. 660 codice di procedura penale) (63) . Tutto cio' val quanto dire che a seguito di Corte costituzionale 212/2003: gli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 (che attribuivano la competenza per la conversione al «giudice dell'esecuzione»), essendo stati dichiarati incostituzionali in toto, sono stati eliminati dal nostro ordinamento con efficacia ex tunc e, quindi, «come se non fossero mai esistiti»; per effetto della declaratoria di incostituzionalita' parziale dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, l'art. 660 codice di procedura penale deve considerasi «presente e vigente» nel nostro ordinamento ab initio [recte: sin dalla sua entrata in vigore nel 1989 (64) ] e «senza soluzione di continuita'» perche' lo stesso non e' stato mai validamente abrogato dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002. Orbene! prima dell'entrata in vigore dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 la magistratura di sorveglianza non aveva mai avuto alcuna competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, essendo quest'ultima spettata sempre al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione ex art. 42 decreto legislativo n. 274/2000; con la dichiarazione di incostituzionalita' totale degli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e con il loro conseguente annullamento (ex tunc), l'ordinamento da un punto di vista logico-giuridico «non ha mai conosciuto» quella competenza del «giudice dell'esecuzione» genericamente prevista da codeste norme per la conversione delle pene pecuniarie; con l'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 posta in essere dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, pertanto, la competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione (prevista dallo stesso art. 42) da un punto di vista logico-giuridico non poteva intendersi ricompresa negli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e nella ivi divisata competenza generica del «giudice dell'esecuzione» poiche' tali norme sono state dichiarate incostituzionali e, quindi, devono considerarsi mai esistite nell'ordinamento; con l'abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 posta in essere dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, invece, la competenza «speciale» del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (prevista dallo stesso art. 42) da un punto di vista logico-giuridico doveva considerasi ricompresa (gia' al momento della suindicata abrogazione dell'art. 42 cit.) nella formulazione generica contenuta nel «mai validamente abrogato» art. 660 codice di procedura penale (65) e, quindi, trasferita nella competenza «generale» del magistrato di sorveglianza ivi (nell'art. 660 codice di procedura penale) menzionata (66) , il quale (magistrato di sorveglianza) pero' non aveva mai avuto in precedenza la competenza per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace; l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, nondimeno, costituiva (come detto) l'esercizio di una delega (quella contenuta nell'art. 7 legge n. 50/1999), che non aveva conferito al Legislatore delegato alcun «potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse una radicale modifica delle regole di competenza» (cosi' Corte costituzionale 212/2003); conseguentemente, l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 risulta viziato da «eccesso di delega» nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e (da un punto di vista logico-giuridico) contestualmente trasferito al magistrato di sorveglianza ex art. 660 codice di procedura penale la competenza per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace: donde la sua incostituzionalita' per violazione dell'art. 76 Cost. 10. - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte in cui esclude dal suo ambito operativo il giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione. Premessa. Passiamo adesso a dimostrare la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del debitore, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' genericamente di «giudice competente». Con questa seconda questione, piu' esattamente, si intende censurare una vera e propria «incostituzionalita' indotta» dell'art. 238-bis cit. perche' essa (incostituzionalita') sarebbe «creata» dall'auspicato accoglimento della suindicata prima questione e dalla conseguente eliminazione dal sistema normativo dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 con contestuale «reviviscenza ex tunc» di quest'ultimo (art. 42) (67) . Tale questione puo' essere sollevata sotto due profili tra loro alternativi a seconda che: a) si assegni all'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017 (che ha introdotto nel corpus del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 il citato art. 238-bis) soltanto la funzione (ratio) di colmare il vuoto normativo venutosi a creare tra la fase amministrativa di esazione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione a seguito - da una parte - della persistente abrogazione degli articoli 181-182 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (posta in essere dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) e - dall'altra parte - della dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 237-238 stesso decreto legislativo (fatta da Corte costituzionale 212/2003); oppure b) si assegni all'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017 (che ha introdotto nel corpus del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 il citato art. 238-bis) pure la funzione di dare una nuova regolamentazione della competenza sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato (tanto della conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» quanto della conversione delle pene applicate dal giudice di pace), concentrandola sempre e solo nella magistratura di sorveglianza. 10. 1 - Non manifesta infondatezza della questione relativa all'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto disciplinare soltanto l'attivazione del procedimento di conversione, per violazione dell'art. 3 Cost. Cominciando ad esaminare la questione sotto il primo dei due profili suindicati a), si rileva quanto segue. Applicando i gia' ricordati principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale relativamente agli effetti della caducazione di una norma (nella fattispecie, dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) emanata in difetto di delega (68) e dalla giurisprudenza costituzionale relativa alle conseguenze della dichiarazione di incostituzionalita' di una norma (nella fattispecie, dell'art. 299 cit.) espressamente abrogatrice di un'altra norma (nella fattispecie, dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2002) (69) , risulta logico e coerente affermare che: se venisse accolta la prima delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate con la presente ordinanza (quella relativa all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), si avrebbe la «reviviscenza ex tunc» dello stesso art. 42, che demanda «al giudice di pace competente per l'esecuzione» il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace; piu' esattamente, «in conseguenza dell'inidoneita'» dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 («per il radicale vizio procedurale che lo inficia») «a produrre effetti abrogativi» (70) rispetto all'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, a seguito della qui invocata dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 [e del suo conseguente annullamento con efficacia retroattiva (ex tunc)] la vigenza dello stesso art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 sarebbe ripristinata senza soluzione di continuita': di guisa esso (art. 42) dovrebbe considerarsi «presente e vigente» nel nostro ordinamento ab initio [recte: sin dal momento della sua entrata in vigore nel 2002 (71) ] e continuativamente «in quanto mai validamente abrogato» dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002. Orbene! A seguito di codesta «reviviscenza ex tunc» dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 sarebbero compresenti nel nostro ordinamento due norme dello stesso grado tra loro in contrasto, e cioe': l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017), il quale, con riferimento al procedimento giurisdizionale di conversione genericamente indicato, parla di «magistrato di sorveglianza competente» (commi 2, 5, 6 e 7); l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, il quale, con riferimento allo specifico procedimento di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, parla di «giudice di pace competente per l'esecuzione». Sennonche': come gia' detto (72) , l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e' stato introdotto dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017 al solo scopo di colmare il vuoto normativo venutosi a creare tra la fase amministrativa di esazione della pena pecuniaria e quella giurisdizionale di conversione; a tal fine, il Legislatore del 2017 ha «preso atto» sic et simpliciter dell'assetto normativo conseguente alla sentenza n. 212/2003 della Corte costituzionale, il quale (assetto normativo) era caratterizzato in quel momento (27 dicembre 2017) dalla presenza della sola disposizione contenuta nel «resuscitato» art. 660 codice di procedura penale e della sola competenza del magistrato di sorveglianza divisata dallo stesso art. 660; la qui invocata declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, invece, verrebbe oggi a modificare l'assetto normativo preso in considerazione dal Legislatore del 2017 nell'introdurre l'art. 238-bis d.pr. 115/2002. Pertanto: l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nel testo oggi vigente, nell'indicare come giudice competente per la conversione soltanto il magistrato di sorveglianza ex art. 660 codice di procedura penale e nell'escludere cosi' implicitamente la «recuperata» competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione, avrebbe una conseguenza (per l'appunto, l'implicita esclusione della competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione per la conversione delle pene applicate da un giudice di pace) non prevista e (soprattutto) non voluta dal Legislatore: a) non prevista, perche' nel momento dell'introduzione (il 27 gennaio 2017) dell'art. 238-bis cit. non si poteva «pronosticare» (e, comunque, non era stata «pronosticata») la sopra invocata (e auspicata) pronuncia di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e la connessa «reviviscenza retroattiva» di quest'ultima norma; b) non voluta, perche' (attesa la suindicata ratio legis) con l'introduzione dell'art. 238-bis cit. il Legislatore stesso ha inteso soltanto dettare la disciplina di raccordo tra la fase amministrativa di riscossione della pena pecuniaria e la fase giurisdizionale della sua conversione, senza volere incidere sulle regole di competenza in materia; in virtu' della predetta «implicita esclusione» della «recuperata» competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione, pero', lo stesso art. 238-bis cit. presenterebbe quella «intrinseca contraddittorieta' tra ratio della disposizione e il suo contenuto normativo», che «si estrinseca nella violazione del canone della ragionevolezza e pertanto rientra nella sfera applicativa dell'art. 3 Cost.» [come sta scritto testualmente nella motivazione di Corte cost., sentenza 12 dicembre 2012, n. 279 (73) ]; infatti, l'attuale formulazione dell'art. 238-bis cit. (il suo «contenuto normativo»), parlando soltanto del «magistrato di sorveglianza» come organo giurisdizionale competente per la conversione, avrebbe una conseguenza (l'implicita esclusione della competenza del giudice di pace prevista dal «resuscitato» art. 42 decreto legislativo n. 274200) intrinsecamente contraddittoria con la sua ratio (consistente soltanto nella finalita' di dettare la disciplina di raccordo tra la fase di esazione delle pene pecuniarie e quella della loro conversione e non anche la finalita' di disciplinare e/o innovare la competenza in subiecta materia); con l'invocata declaratoria di incostituzionalita' parziale (recte: sostitutiva) dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, nel suo «contenuto normativo» (che parlerebbe genericamente di «giudice competente» per la conversione) rientrerebbe pure il giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione, oltreche' il magistrato di sorveglianza; in tal modo, quindi, non solo sarebbe eliminata quella «intrinseca contraddittorieta' tra ratio della disposizione e il suo contenuto normativo» ravvisabile nell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 («intrinseca contraddittorieta'» che che lo vizia di irragionevolezza ex art. 3 Cost.), ma sarebbe altresi' «composto e superato» il suindicato contrasto tra lo stesso art. 238-bis e il «resuscitato» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000: cosi' soddisfacendosi pure l'esigenza di razionalita' dell'ordinamento [intesa come coerenza e non contraddizione dello stesso (74) ]. A tal fine si chiede che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' genericamente di «giudice competente», per violazione del principio di ragionevolezza e/o del canone di razionalita' ex art. 3 Cost. 10. 2 - Non manifesta infondatezza della questione riguardante l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, se interpretato nel senso di aver voluto pure disciplinare ex novo la competenza relativa al procedimento di conversione, per violazione degli articoli 3, 97, comma 2, e 111, comma 2, Cost. Passiamo adesso a dimostrare la non manifesta infondatezza dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 sotto l'altro dei due profili «alternativi» suindicati; vale a dire, presupponendo che l'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017, nell'introdurre nel corpus del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 il citato art. 238-bis, abbia voluto pure dare una nuova regolamentazione della competenza sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato (tanto della conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» quanto di quelle applicate dal giudice di pace), concentrandola sempre e solo nella magistratura di sorveglianza: cosi' come sembra postulare (ma apoditticamente e senza adeguata dimostrazione) la suindicata sentenza 56967/2018 della Corte di cassazione (75) . In questa prospettiva: se venisse accolta la prima delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate con la presente ordinanza (quella relativa all'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), si avrebbe la «reviviscenza ex tunc» dello stesso art. 42, che demanda «al giudice di pace competente per l'esecuzione» il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie inflitte da un giudice di pace; piu' esattamente, a seguito della sopra invocata dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 [e del suo conseguente annullamento con efficacia retroattiva (ex tunc)], la vigenza dello stesso art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 sarebbe ripristinata senza soluzione di continuita' e/o «come se non fosse stato mai abrogato»: di guisa esso (art. 42) dovrebbe considerarsi «presente e vigente» nel nostro ordinamento ab initio ed ininterrottamente sin dal momento della sua entrata in vigore nel 2002 (76) in quanto mai validamente abrogato dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002; l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, essendo stato introdotto dall'art. 1 legge n. 205/2017, quindi, sarebbe lex posterior rispetto al predetto art. 42 decreto legislativo n. 274/2000; la suindicata antinomia tra codeste due norme [l'una (l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) che, quando fa riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione genericamente indicato, parla di «magistrato di sorveglianza competente»; e l'altra (l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), che, rispetto allo specifico procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, assegna la relativa competenza al «giudice di pace competente per l'esecuzione«], pertanto, dovrebbe essere risolta con l'applicazione del «criterio cronologico» previsto dall'art. 15 preleggi e con la conseguente prevalenza dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, il quale, in quanto norma successiva, avrebbe implicitamente e/o tacitamente abrogato quella «piu' vecchia» contenuta nell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000. Tuttavia, se si assegnasse all'art. 238-bis cit. pure il predetto significato di «norma implicitamente abrogatrice dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000», lo stesso si esporrebbe (per l'appunto) a plurime censure di incostituzionalita'. Ed invero, il conseguente trasferimento di competenza (scilicet: del procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace) dal giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione (previsto dall'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) alla magistratura di sorveglianza (ex art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) sarebbe incostituzionale per diverse ragioni e piu' esattamente perche': sarebbe privo di ragionevole giustificazione, con violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. [conf. Corte costituzionale 369/1993 e Corte costituzionale 117/1990 (77) ]; finirebbe per stravolgere immotivatamente la coerenza interna di quel «microsistema di tutela integrata» costituito dal procedimento penale davanti al giudice di pace, con violazione del canone di razionalita' ex art. 3 Cost. (78) ; vanificherebbe le «finalita' di snellezza, semplificazione e rapidita'» del procedimento penale davanti al giudice di pace (79) e coessenziali pure al principio della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost.; avrebbe effetti contrastanti con il principio di «buon andamento dell'amministrazione» della giustizia ex art. 97, comma 2, Cost. Come si passa a dimostrare. Si osserva, anzitutto, al riguardo che il contestato trasferimento in capo alla magistratura di sorveglianza (ex art. 238-bis cit.) del procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace non risponderebbe all'esigenza di realizzare una «logica armonizzazione della disciplina» in subiecta materia (quella della conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato). Tale armonizzazione di disciplina, infatti, sarebbe stata «logica» solo se avesse concentrato le competenze in subiecta materia in capo al giudice dell'esecuzione (cosi' «sanando» il vizio di eccesso di delega, in cui era incorso il Legislatore delegato con l'introduzione delle norme dichiarate incostituzionali da Corte costituzionale 212/2003): in tal modo, invero, si sarebbero eliminati quegli inutili «passaggi» tra diversi uffici giudiziari provocati proprio dalla presenza nel procedimento della magistratura di sorveglianza (80) . Viceversa, mettendo nelle mani della magistratura di sorveglianza il procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (come avverrebbe in base all'interpretazione qui avversata dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002), codesto procedimento sarebbe privato di quelle «snellezza, semplificazione e rapidita'» originariamente (vale a dire, con la previsione ex art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) assicurate dalla «concentrazione delle competenze in executivis» in capo allo stesso giudice di pace che ha emesso la sentenza. Per rendersi conto di tutto questo bastera' considerare che, se per effetto dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (interpretato nel senso qui avversato) la conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace dovesse spettare alla magistratura di sorveglianza, quel procedimento implicherebbe l'intervento di diversi uffici giudiziari e un «pendolarismo» tra l'uno e l'altro, articolandosi: a) nella richiesta di attivazione della conversione da parte del c.d. ufficio recupero crediti (art. 238-bis, comma 2) presso il giudice dell'esecuzione (81) ; b) nella trasmissione di tale richiesta al pubblico ministero (art. 238-bis, comma 2, cit.): con un primo «pericolo di stasi» del procedimento, non essendo chiaro se a tal fine debba essere investito il pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione oppure (ai sensi dell'art. 678, comma 3, codice di procedura penale) il pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza competente a disporre la conversione; c) nell'attivazione da parte del pubblico ministero del procedimento di conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, che spetta allo stesso pubblico ministero individuare in base ai criteri stabiliti dall'art. 677 codice di procedura penale, comma l (se il condannato risulta detenuto o internato) e comma 2 (se il condannato non e' detenuto o internato) (82) : con altro «pericolo di stasi» del procedimento, dovendo il pubblico ministero (al fine di individuare l'ufficio di sorveglianza competente) effettuare «ricerche» sul condannato per accertare se lo stesso sia o meno detenuto (o internato) e/o dove lo stesso sia ristretto (se detenuto o internato) o dove abbia la residenza o il domicilio (se «libero»); e con tutti i rischi di ulteriore «stasi» connessi all'eventualita' che il condannato muti il proprio status (di detenuto o di «libero«) o il luogo di detenzione o di residenza nelle more della trasmissione degli atti dal pubblico ministero al magistrato di sorveglianza; d) in caso di accertata solvibilita' del condannato, nella restituzione degli atti al pubblico ministero perche' richieda all'ufficio recupero crediti presso il giudice dell'esecuzione il riavvio delle attivita' di riscossione (arg. ex art. 238-bis, comma 7, e 239 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002); e) in caso di conversione della pena o di sua rateizzazione o di differimento della conversione, nella comunicazione del provvedimento all'ufficio recupero crediti presso il giudice dell'esecuzione perche', a sua volta, provveda a comunicarlo all'agente di riscossione (art. 238-bis, comma 8, cit.). Assai piu' snello e rapido, invece, sarebbe il procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, se rispetto allo stesso permanesse la competenza del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione: e cio', in conseguenza del fatto che il giudice di pace competente per l'esecuzione di un provvedimento e' normalmente lo stesso giudice di pace che lo ha emesso (art. 40, comma 1, decreto legislativo n. 274/2000). Ed invero, se il «modulo operativo» divisato dall'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 vedesse la presenza (anziche' del magistrato di sorveglianza) del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione quale organo competente per il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, si avrebbero soltanto: la richiesta di conversione dell'ufficio recupero crediti presso lo stesso giudice di pace, che ha emesso il provvedimento di condanna alla pena pecuniaria da convertire [arg. ex articoli 40, comma 1, decreto legislativo n. 274/2000 e 208, comma 1, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (83) ]; la trasmissione di tale richiesta al pubblico ministero presso lo stesso giudice di pace che ha emesso il provvedimento [recte: al pubblico ministero presso il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace che ha emesso il provvedimento: v. art. 1, lettera a), decreto legislativo n. 274/20021: senza, quindi, quei dubbi circa l'individuazione del pubblico ministero cui trasmettere la richiesta de qua, sopra rappresentati sub b); l'attivazione da parte del pubblico ministero del procedimento di conversione presso lo stesso giudice di pace competente per l'esecuzione, che «coincide» sempre e solo con quello stesso ufficio esecutivo che gli ha richiesto l'attivazione del procedimento: senza, quindi, quella «stasi» imposta dalle ricerche necessarie per individuare il magistrato di sorveglianza competente, di cui si e' teste' detto sub c); in caso di accertata solvibilita' del condannato, riavvio delle attivita' di riscossione da parte dell'ufficio recupero crediti presso lo stesso giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione, previa semplice comunicazione al P.M.: riavvio «diretto», quindi, e senza la preventiva restituzione degli atti al pubblico ministero ai fini della richiesta di riavvio sopra vista sub d), risultando tale richiesta assolutamente superflua poiche' l'attivita' di riscossione e' demandata all'ufficio recupero crediti presso lo stesso giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione (84) . Alla stregua di quanto precede, quindi, risulta evidente che l'art. 238-bis cit., se interpretato nel senso di avere trasferito dal giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione al magistrato di sorveglianza il procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate da un giudice di pace, sarebbe privo di ragionevole giustificazione anche perche' avrebbe effetti gravemente dilatori, i quali si risolverebbero in una lesione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.) non «compensata» dall'esigenza di dare attuazione ad altri valori costituzionali. Ma non basta. La sottrazione al giudice di pace del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie dal medesimo applicate (sottrazione conseguente all'interpretazione qui censurata dell'art. 238-bis cit.) verrebbe immotivatamente a «stravolgere» la coerenza interna di quell'autonomo «microsistema di tutela integrata» rappresentato dal procedimento penale davanti al giudice di pace (85) . E cio' sotto diversi profili e in particolare perche': dal punto di vista soggettivo, determinerebbe la «intrusione» in quel procedimento di un organo diverso da quelli previsti dall'art. 2 decreto legislativo n. 274/2000 e, piu' esattamente», di un giudice «professionale» o «togato» quale e' il magistrato di sorveglianza: e questo in violazione della ratio sottesa alla disciplina di quel procedimento, che ha inteso contenere «in termini minimali» la presenza di magistrati «togati» e valorizzare, invece, il ruolo del magistrato «onorario» (il giudice di pace, per l'appunto) (86) ; dal punto di vista sanzionatorio, determinerebbe in sede di conversione l'applicazione da parte del magistrato di sorveglianza di sanzioni [normalmente l'obbligo di permanenza domiciliare o, su richiesta del condannato, il lavoro di pubblica utilita' (v. art. 55 decreto legislativo n. 274/2002) (87) ], che invece nel disegno del Legislatore sono «applicabili solo dal giudice di pace» (88) ; dal punto di vista funzionale, infine, determinerebbe una anomala distonia nella «gestione esecutiva» delle predette (ed ontologicamente identiche) sanzioni disciplinata dall'art. 44 decreto legislativo n. 274/2000, la quale («gestione esecutiva») continuerebbe a spettare al giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione in presenza di sanzioni applicate ex directo dal giudice di pace in sede di cognizione; e spetterebbe, invece, al magistrato di sorveglianza in presenza di sanzioni applicate da quest'ultimo in caso di conversione (89) : con conseguente violazione del «principio di concentrazione delle competenze nella fase esecutiva» ispirante la disciplina del procedimento penale davanti al giudice di pace (90) . Merita, infine, di essere sottolineato anche il fatto che la qui contestata interpretazione dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2902 introdotto dall'art. 1 legge n. 205/2017 (interpretazione assegnante a tale norma pure la funzione di dare una nuova regolamentazione della competenza in subiecta materia: con il conseguente trasferimento di competenza dal giudice di pace alla magistratura di sorveglianza del procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace), creerebbe - da un lato - un ingiustificato «svuotamento» delle funzioni esecutive del giudice di pace e di contro - dall'altro lato - un altrettanto ingiustificato incremento dei compiti della magistratura di sorveglianza. E cio', proprio in un momento storico, che sta vedendo gli Uffici di sorveglianza chiamati da una legislazione emergenziale (91) a cercare di porre rimedio a urgenti problemi fortemente sentiti dalla popolazione carceraria (in primis, quello del «sovraffollamento» e quello dell'effettivita' della tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti nei confronti dell'Amministrazione) e conseguentemente gravati (spesso ex abrupto) da sempre piu' numerose attribuzioni, ma senza un corrispondente adeguamento delle risorse «umane e materiali»: di guisa che il suindicato trasferimento di competenza della conversione delle pene pecuniarie applicate dai giudici di pace finirebbe con il comportare altresi' una compromissione del valore costituzionale (art. 97, comma 2, Cost.) del «buon andamento» (recte: dell'efficienza) di quel particolare settore «dell'amministrazione della giustizia» costituito dalla magistratura di sorveglianza. Alla luce delle superiori considerazioni si puo' affermare che: l'art. 238-bis d.pr. 115/2002, se interpretato nel senso qui avversato [nel senso, cioe', di avere implicitamente e/o tacitamente abrogato il «resuscitato» (per effetto dell'auspicato accoglimento della prima delle questioni di costituzionalita' oggi sollevate) art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e di avere conseguentemente «trasferito» dal giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione al magistrato di sorveglianza la competenza anche del procedimento giurisdizionale di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice pace], appare in contrasto con l'art. 3 Cost. (sia come espressione dei principio di ragionevolezza sia come espressione del canone di razionalita'), con l'art. 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e con l'art. 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo); con l'invocata declaratoria di incostituzionalita' parziale (recte: sostitutiva) dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, invece, nel suo «contenuto normativa» (che parlerebbe genericamente di «giudice competente» per la conversione) rientrerebbe pure il giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione, oltreche' il magistrato di sorveglianza; conseguentemente, essa (invocata declaratoria di incostituzionalita' parziale - sostitutiva) svuoterebbe l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 della sua illegittima (per le predette violazioni degli articoli 3, 97 e 111 Cost.) funzione abrogativi del «resuscitato» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000; in tal modo risulterebbe pure «composto e superato» il suindicato contrasto tra le due disposizioni in parola (l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) e soddisfatta l'esigenza di razionalita' dell'ordinamento intesa come coerenza e non contraddizione dello stesso (92) . Anche a tal fine, percio', si torna a chiedere che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' genericamente di «giudice competente» , per violazione del principio di ragionevolezza e/o del canone di razionalita' ex art. 3 Cost., dell'art. 97, comma 2, Cost. e dell'art. 111, comma 2, Cost. 11. - Sintesi finale. Riepilogando e sintetizzando quanto sopra scritto, possiamo cosi' concludere: Corte costituzionale 212/2003 ha dichiarato incostituzionali (perche' viziati da «eccesso di delega») gli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002, nonche' l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale; per effetto di codesta sentenza [e in applicazione dei principi elaborati sia dalla giurisprudenza costituzionale sugli effetti della dichiarata incostituzionalita' di una norma emanata in difetto di delega sia dalla giurisprudenza costituzionale sugli effetti della dichiarazione di incostituzionalita' di una norma espressamente abrogatrice di un'altra norma (93) ] da un punto di vista logico-giuridico non sono mai validamente esistiti nel nostro ordinamento gli articoli 237-238 (che demandavano il procedimento di conversione al «giudice dell'esecuzione» genericamente indicato), mentre a sua volta l'art. 660 codice di procedura penale (che in via generale attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza per la conversione) deve considerarsi presente nel nostro ordinamento «senza soluzione di continuita' e come se non fosse stato mai abrogato» [recte: dal 24 ottobre 1989, data di entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988 (94) ]; la persistente (dopo Corte costituzionale 212/2003) abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 per effetto dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002, pertanto, ha determinato l'assorbimento nella previsione generale ex art. 660 codice di procedura penale (da considerarsi mai abrogato) della «speciale» competenza relativa al procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, la quale (competenza) invece spettava prima al giudice di pace quale giudice dell'esecuzione in virtu' del predetto art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (abrogato dall'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002); l'art. 299 del decreto legislativo delegato 113/2002, pertanto, nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e conseguentemente determinato il trasferimento al magistrato di sorveglianza della competenza relativa al procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, e' da considerarsi costituzionalmente illegittimo ex art. 76 Cost. per le stesse ragioni (vizio di eccesso di delega) «sottostanti» alla dichiarazione di incostituzionalita' fatta da Corte costituzionale 212/2003: vale a dire, perche' quel decreto legislativo delegato «trova il proprio fondamento nella delega contenuta nell'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50», la quale non aveva dato al Legislatore delegato alcun «potere di dettare una disciplina del procedimento di conversione delle pene pecuniarie che comportasse ... come quella impugnata una radicale modifica delle regole di competenza» (come sta scritto in Corte costituzionale 212/2003); da tutto cio' deriva la non manifesta infondatezza della prima delle due questioni di legittimita' costituzionale oggi sollevate: quella dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 (trasfuso a sua volta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000, per violazione dell'art. 76 Cost. A seguito dell'accoglimento della prima questione di costituzionalita' sopra prospettata, a sua volta, si avrebbero: sempre in applicazione dei principi elaborati dalla suindicata giurisprudenza costituzionale (95) , la «reviviscenza ex tunc» dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 «senza soluzione di continuita' e come se non fosse stato mai abrogato e mai eliminato» (96) : ergo, dal 2 gennaio 2002 [data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 274/2000 (97) ]; la conseguenza che quest'ultimo (l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) dovrebbe considerarsi presente nel nostro ordinamento (sin dal 2 gennaio 2002 e, quindi) gia' al momento dell'introduzione (ex art. 1, comma 473, legge n. 205/2017) dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002; la conseguente compresenza nel nostro ordinamento di codeste due disposizioni: del «resuscitato e mai morto» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 e del «logicamente sopravvenuto» art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002; un'antinomia tra le medesime disposizioni perche' il «mai morto» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 attribuisce al «giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione» la competenza per quello specifico procedimento di conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace, mentre il (logicamente sopravvenuto) art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 individua nel «magistrato di sorveglianza» l'organo competente per il procedimento giurisdizionale di conversione tout court (ossia, genericamente indicato); la conseguente necessita' di comporre il suindicato contrasto di norme, che postula la previa individuazione della ratio del «logicamente sopravvenuto» art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002. Orbene! L'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, se intepretato (come sembra piu' corretto) nel senso di avere avuto soltanto la funzione (ratio) di colmare il vuoto normativo venutosi a creare (98) nella disciplina tra la fase amministrativa di esazione delle pene pecuniarie e la fase giurisdizionale della loro conversione, finirebbe con l'avere un «contenuto normativo» (recte: una formulazione letterale determinante l'assorbimento in essa della competenza del giudice di pace in funzione del giudice dell'esecuzione divisata dal «logicamente anteriore» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 ed il conseguente trasferimento di tale competenza in capo al magistrato di sorveglianza: trasferimento concretante, a sua volta, una non prevista e non voluta innovazione della disciplina della competenza in subiecta materia) intrinsecamente contraddittorio con la sua ratio: con conseguente configurabilita' di un vizio di legittimita' costituzionale dello stesso art. 238-bis cit. (come sopra interpretato), per violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. ed in applicazione dell'insegnamento dato (per esempio) da Corte costituzionale 279/2012 (99) . Se, invece, si ipotizzasse che l'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017, introducendo nel corpus del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 il citato art. 238-bis, avesse avuto pure la funzione (ratio) di dare una «nuova» regolamentazione della competenza sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato [concentrandola sempre e solo nella magistratura di sorveglianza ed abrogando cosi' implicitamente o tacitamente (ex art. 15 preleggi) il «resuscitato ex tunc» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000], in tal caso la norma dovrebbe parimenti considerarsi incostituzionale perche' la sostituzione del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione con il magistrato di sorveglianza per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace integrerebbe: violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. in quanto essa (sostituzione) sarebbe priva di ragionevole giustificazione (100) e/o sarebbe assolutamente inidonea a realizzare una «logica armonizzazione della disciplina» in subiecta materia; violazione del principio di razionalita' ex art. 3 Cost. perche' essa (sostituzione) determinerebbe plurime ed immotivate lesioni della coerenza interna di quel «microsistema di tutela integrata» rappresentato dal procedimento penale davanti al giudice di pace (101) ; violazione del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost. perche' essa (sostituzione) introdurrebbe nel procedimento giurisdizionale per la conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace numerosi fattori aventi effetti gravemente ed ingiustificatamente dilatori; violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia ex art. 97, comma 2, Cost. perche' essa (sostituzione) onererebbe immotivatamente la magistratura di sorveglianza di ulteriori e gravosi compiti extra ordine» suscettibili di ostacolare l'esercizio delle sue funzioni «istituzionali». La suindicata antinomia tra il «resuscitato ex tunc» art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 ed il «logicamente sopravvenuto» art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2000, invece, sarebbe eliminata in caso di accoglimento della seconda questione di legittimita' costituzionale oggi sollevata: quella avente ad oggetto l'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205) nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' genericamente di «giudice competente», per violazione dell'art. 3 Cost. - principio di ragionevolezza e/o dell'art. 3 Cost. principio di razionalita' e/o dell'art. 97, comma 2, Cost. e/o dell'art. 11, comma 2, Cost. (1) Trattasi del procedimento iscritto al n. 25719/2018 R.G. Cass., definito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 527/2019 emessa il 27 novembre 2018 (abbiamo inserito tale sentenza tra gli atti del presente procedimento: v. fascicolo «Documentazione giuridica»). Abbiamo fatto questa precisazione per dissipare eventuali incertezze sulla rilevanza delle questioni oggi prospettate, che sarebbero state precluse se le avessimo sollevate in quell'occasione dopo la risoluzione da parte della Cassazione del conflitto di competenza (v. Corte costituzionale n. 237/1976). Le solleviamo, pertanto, nel presente e sopravvenuto procedimento: in limine litis ed in assenza (ancora) di quaisivoglia pronuncia sulla competenza. (2) Si suole parlare in dottrina di «incostituzionalita' indotta» (di cui una sorta di prototipo e' stato individuato in Corte costituzionale 40/1990) allorche' una decisione della Corte costituzionale, nell'espungere una norma illegittima, «crea» involontariamente un'ulteriore e diversa illegittimita'. (3) Tale conversione in pena detentiva era prevista inizialmente dall'art. 136 codice penale e dall'art 586, comma 4, codice di procedura penale del 1930, che sono stati dichiarati incostituzionali da Corte costituzionale 21 novembre 1979, n. 131 (4) In tal senso v. ex multis Cassazione pen., Sez. I, sentenza 8 marzo 1988, n. 747, Laudando, Rv. 178115 - 01. (5) Com'e' noto, il vigente codice di rito penale e' stato approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 ed e' entrato in vigore il 24 ottobre 1989. (6) L'art. 102 legge n. 689/1981 (come gia' detto) a sua volta menzionava come sanzioni sostitutive la liberta' controllata (prevista dall'art. 55 stessa legge) oppure, su richiesta del condannato, il lavoro sostitutivo (previsto dall'art. 105) (7) Le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del vigente codice di procedura penale., piu' esattamente, sono contenute nel decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. (8) il regolamento per l'esecuzione del vigente codice di procedura penale e' contenuto nel decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334. (9) La prevalenza di quest'ultima norma su quella ex art. 107 legge n. 689/1981 (che prevede la competenza del magistrato di sorveglianza del luogo di residenza del condannato) e' stata definitivamente affermata (a composizione di precedenti contrasti giurisprudenziali) da Cass. pen., Sez. unite, sentenza 29 ottobre 1997, n. 12, Confl. comp. in proc. Russo, Rv. 208813 - 01, nella cui motivazione sono ricordati i precedenti conformi e quelli difformi (10) In base all'art. 677 codice di procedura penale., infatti, ai fini dell'individuazione del magistrato di sorveglianza competente occorreva (ed occorre) accertare preventivamente lo status del condannato (se detenuto, operando in tal caso il criterio di cui al comma 1; o se libero. operando in tal caso il criterio di cui al comma 2); e accertare successivamente l'ubicazione del luogo di detenzione per il condannato in vinculis (comma 1) o della residenza o domicilio del condannato libero (comma 2): con conseguente dilatazione dei tempi per addivenire alla richiesta di conversione. (11) Questo passaggio, nondimeno, veniva escluso da quella parte della giurisprudenza (ultimamente prevalente) postulante l'inscindibilita' fra il provvedimento di conversione della pena pecuniaria in sanzione sostitutiva ed il provvedimento di determinazione delle modalita' esecutive di quella sanzione sostitutiva [salvo poi discutere sull'individuazione del magistrato di sorveglianza competente per entrambi i provvedimenti (da individuarsi per alcuni ex art. 107 legge n. 689/1981 e per altri ex art. 677 codice di procedura penale.: v. la nota 9)]. La differenziazione delle competenze rispetto alle autonome fasi della formazione del provvedimento di conversione e dell'attuazione del medesimo, tuttavia, si rinviene ancora in recente giurisprudenza (Cass. pen. , Sez. I, sentenza 23 marzo 2005, n. 13424, Confl. comp. in proc. Amendola, Rv. 230894 - 01; contra tuttavia Cass. pen., Sez. I, sentenza 28 settembre 2018, n. 50971, Confl. comp. in proc. Leveque Rv. 274516 - 01); (12) Al riguardo in dottrina (che non viene nominativamente menzionata in applicazione del divieto ex art. 118, comma 3, disp. att. c.p.c.) e' stato esattamente osservato quanto segue: «L'ufficio del pubblico ministero viene, infatti, coinvolto nelle procedure in questione unicamente in ossequio al suo tradizionale ruolo di propulsore dell'esecuzione della pena, ma, in realta', nella materia in questione il suo ruolo viene ridotto a quello - del tutto formale - di un «passacarte» tra la cancelleria del giudice dell'esecuzione e il magistrato di sorveglianza ... Da un armonico coordinamento delle richiamate norme (art. 660, comma 2, codice di procedura penale., 181 e 182 disp. att. codice di procedura penale.) appare evidente che il compito del pubblico ministero nella procedura in argomento era limitato soltanto ad un controllo formale dell'attivita' svolta dal giudice dell'esecuzione - cui fa carico istituzionalmente, ai sensi dell'art. 181 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale l'attivazione della procedura volta al «recupero delle pene pecuniarie» - per accertare la «impossibilita' di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa. Il p.m., cioe', ha il compito, una volta che quella cancelleria gli ha trasmesso gli atti riguardanti la procedura di recupero risoltasi con esito negativo, di accertare se le ragioni di tale esito siano tali da dar luogo ad una effettiva «impossibilita'» di esazione della pena pecuniaria, ovvero se risultino in qualche modo superabili: in questa seconda ipotesi il pubblico ministero dovra' restituire gli atti alla predetta cancelleria perche' riprenda la procedura di riscossione, mentre nella prima ipotesi dovra' rivolgersi - come espressamente previsto dall'art. 660, comma 2, codice di procedura penale - al magistrato di sorveglianza perche' questi provveda alla conversione, previo accertamento dell'effettiva insolvibilita' del condannato (Cass. pen. , Sez. unite, sentenza 25 ottobre 1995, n. 35, Nikolic)». (13) Il decreto legislativo n. 274/2000 contiene le «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468». La sua entrata in vigore, originariamente prevista per il 4 aprile 2001, e' stata poi prorogata al 2 gennaio 2002. (14) Questa qualificazione si rinviene nella Relazione del Governo di accompagnamento allo schema di decreto legislativo poi divenuto il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (che d'ora in poi chiameremo Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000), in www.penale.it/legislaz/rel_dlgs_28_8_00_274.htm sub IV (Disciplina sanzionatoria), punto 10.1 (Problemi posti dalla legge delega). Per agevolarne la consultazione, abbiamo inserito la predetta Relazione negli atti del presente procedimento (v. fascicolo «Documentazione giuridica»). (15) Cosi' tra le piu' recenti Corte cost., ordinanza 9 marzo 2016 n. 50. V. pure la Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub I (Premessa), punto 1 (Linee generali della riforma): «La legge delega in materia di competenza penale del giudice di pace e il presente decreto legislativo introducono nell'ordinamento importanti novita' delineando un modello di giustizia penale affatto diverso da quello tradizionale, destinato ad affiancarsi a quest'ultimo in funzione ancillare, ma suscettibile di assumere in futuro piu' ampia diffusione, previa la sua positiva «sperimentazione» sul campo della prassi». (16) Invero, le «Disposizioni sull'esecuzione» (compresa quella ex art. 42 sulla conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del condannato) sono contenute nel capo VII di quello stesso Titolo I (contenente le disposizioni sul «procedimento davanti al giudice di pace»), il cui articolo iniziale (art. 1) individua esclusivamernte nel procuratore della repubblica presso il tribunale e nel giudice di pace gli «organi giudiziari nel procedimento davanti al giudice di pace»: senza alcun riferimento alla magistratura di sorveglianza ne' diretto o indiretto ne' esplicito o implicito ne' testuale o per relationem. E' ben vero che il procedimento davanti al giudice di pace conosce pure l'intervento di un altro organo giudiziario diverso da quelli menzionati dal predetto art. 1: vale a dire, del tribunale in composizione monocratica, cui spetta la competenza per il giudizio di appello contro le sentenze del giudice di pace (v. art. 39). Sennonche', tale previsione costituisce una doverosa applicazione dei principi direttivi della legge-delega in materia di competenza penale del giudice di pace (v. art. 19 legge 24 novembre 1999, n. 468), mentre nessuna norma ne' della legge-delega ne' del decreto delegato (il decreto legislativo n. 274/2000) prevede alcun intervento della magistratura di sorveglianza nell'ambito di quel procedimento. (17) V. Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub I (Premessa), punto 1 (Linee generali della riforma): «E' risaputo, infatti che lo strumento penalistico ha invaso settori distanti dal suo «naturale» campo di elezione: e' stato posto a presidio di interessi diffusi ovvero sovraindividuali, anche di rilievo prioritario, ma non di ratio lontani dalle esperienze e dal vissuto quotidiano del singolo. Questo processo, in parte inevitabile, di ampliamento dell'area penalmente rilevante ha cosi' comportato una progressiva divaricazione tra le ragioni della giustizia e le esigenze del cittadino comune, che lamenta una lentezza intollerabile, quando non addirittura un deficit nella risposta dello Stato. In questo contesto, la dislocazione sul territorio del giudice di pace, in uno con la sua caratterizzazione professionale consentiranno un riavvicinamento della collettivita' all'amministrazione della giustizia anche nel delicato settore del diritto penale». (18) V. Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub II (Giurisdizione e competenza del giudice di pace), punto 2 (Disposizioni sui soggetti e principi generali del procedimento): «La disposizione contenuta nel comma 2 dell'art. 2 sintetizza, nella Parte iniziale del decreto, le connotazioni eminentemente conciliative proprie del giudice di Pace, anche in materia penale. Proprio la finalita' conciliativa costituisce l'obbiettivo principale della giurisdizione penale affidata al giudice di pace. Invero, la conciliazione deve per quanto possibile costituire l'esito fisiologico di questo tipo di giustizia piu' vicina agli interessi quotidiani del cittadino». (19) Cosi' esemplificativamente e tra le piu' recenti Corte cost., sentenza 47/2014, che «chiama in motivazione i numerosi precedenti conformi (v. ex plurimis sentenze 64/2009 e 298/2008; e ordinanze 56/2010, 32/2010 e 28/2007). (20) La Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub IV (Disciplina sanzionatoria), punto 10.4 (Lavoro di pubblica utilita') precisa al riguardo «che, nel delineare la disciplina del lavoro di pubblica utilita', ci si e', anzitutto, sensibilmente distaccati dal «modello» offerto, in materia, dall'art. 105 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per plurime ragioni», che vengono cola' specificate. (21) Considerata la peculiare natura delle sanzioni non pecuniarie previste per i reati di competenza del giudice di pace e tenuto conto della specifica disciplina della loro esecuzione, appare evidente che non possono trovare applicazione le disposizioni di cui all'art. 656 codice di procedura penale.: ivi comprese quelle (commi 5-6) contemplanti l'applicazione di misure alternative da parte del tribunale di sorveglianza. (22) V. la nota 24. (23) V. Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub IV (Disciplina Ranzionatoria), punto 10.1 (Problemi posti dalla legge delega): «Un cenno merita la collocazione sistematica del capo relativo alle sanzioni e che appare anch'esso frutto delle disposizioni della legge delega sopra richiamate le quali, nel prevedere l'applicabilita' di determinate sanzioni solo per opera del giudice di pace e solo a seguito di una peculiare disciplina processuale, antepongono logicamente quegli aspetti a quest'ultimo» (vale a dire: all'inserimento di tali sanzioni nel sistema «generale» previsto dal codice penale), «rendendo cosi' plausibile la sistematica «interna» del presente provvedimento normativo». (24) Mette conto sottolineare la specialita' dell'espulsione quale sanzione sostitutiva applicabile dal giudice di pace [applicabilita' introdotta dall'art. 1, comma 17, lettera d), legge 15 luglio 2009, n. 94], la quale, a differenza di quella prevista dall'art. 16, comma 1, prima parte, decreto legislativo n. 286/1998 (sanzione sostitutiva della sola pena detentiva e non anche della pena pecuniaria inflitta o applicata dal giudice «ordinario») e' applicabile in sostituzione della pena pecuniaria [attualmente di quella prevista per il reato di cui all'art. 10-bis decreto legislativo n. 286/1998 (v. art. 16, comma 1, seconda parte, cit.), la cui cognizione e' devoluta al giudice di pace dal comma 3 dello stesso art. 10-bis]. Di guisa che la previsione ex art. 62-bis decreto legislativo n. 274/2000 risulta assolutamente coerente con la «sistematica interna» dello stesso decreto legislativo (v. nota precedente), essendo applicabile soltanto dal giudice di pace un'espulsione sostitutiva di pena pecuniaria. (25) Tale deroga, infatti, e' prevista dal comma 2 dell'art. 40 decreto legislativo n. 274/2000 per l'ipotesi di concorso in sede esecutiva di provvedimenti emessi da giudici di pace diversi (donde la necessita' di individuare quello tra essi competente); e dai commi 3 e 4 dello stesso art. 40 per le ipotesi di concorso in sede esecutiva di provvedimenti emessi dal giudice di pace e, rispettivamente, da altro giudice ordinario (professionale) o da un giudice speciale. L'esigenza di «tendenziale concentrazione delle funzioni esecutive in capo allo stesso giudice di pace che emesso la sentenza da eseguire» (vale a dire, l'esigenza di far coincidere nella «misura massima possibile» il giudice dell'esecuzione con il giudice di pace che ha emesso il provvedimento da eseguire), infine, trova conferma nell'art. 40, ultimo comma, decreto legislativo n. 274/2000, il quale, (diversamente da quanto previsto dall'art. 665, comma 2, codice di procedura penale.) esclude ogni competenza «esecutiva» del giudice di appello e la attribuisce al giudice di pace anche «se il provvedimento da eseguire e' stato comunque riformato». (26) V. Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub III (Disciplina del processo), punto 8.3 (Esecuzione delle pene paradetentive): «L'esecuzione delle nuove pene applicabili dal giudice di pace (permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilita') ha richiesto una specifica disciplina, anch'essa ispirata a criteri di semplificazione e funzionalita', contenuta negli articoli 43 e 44 dello schema di decreto». (27) V. Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub III (Disciplina del processo), punto 8.2 (Esecuzione delle pene pecuniarie) «L'art. 42 disciplina l'esecuzione delle condanne a pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, stabilendo che questa ha luogo a norma della regola generale di cui all'art. 660 codice di procedura penale. Peraltro, per ragioni di economia processuale, funzionali alla concentrazione delle competenze in executivis, e apparendo opportuno valorizzare anche in tale fase il ruolo del giudice di pace, si e' previsto che l'accertamento dell'effettiva insolvibilita' del condannato sia svolto dal giudice di pace competente per l'esecuzione, il quale adotta anche i provvedimenti in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria. In tal modo si evitano gli inconvenienti, avvertiti nell'applicazione della disciplina attualmente vigente, derivanti dalla frammentazione delle competenze tra giudice dell'esecuzione e magistrato di sorveglianza». Su tali inconvenienti rinviamo alla lettura della parte finale del paragrafo 1. (28) Tali disposizioni, invero, erano applicabili pure nel procedimento davanti al giudice di pace per effetto del richiamo fattone dall'art. 2 decreto legislativo n. 274/2000, atteso che: l'art. 2 cit. stabilisce che «nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto cio' che non e' previsto dal presente decreto, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ad eccezione delle disposizioni relative ...»; gli art. 181-182 erano inseriti, per l'appunto, nel Titolo I del decreto legislativo n. 28 luglio 1989, n. 271. (29) Si rammenta che il decreto ministeriale 6 aprile 2001, n. 204 costituisce il «Regolamento di esecuzione del decreto legislativo n. 274/2000». (30) E' ben vero che l'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 parla al riguardo di lavoro sostitutivo, ma e' altrettanto vero che contenuti del lavoro sostitutivo vengono peraltro qui individuati con riferimento a quelli propri del lavoro di pubblica utilita', essendo risultata improponibile una diversificazione delle due misure (che risultano pertanto assimilate, in assenza di contrarie direttive» della legge delega, «anche in punto di durata massima), mentre rimane fermo che esse comportano, in caso di' violazione, conseguenze affatto diverse in sinfonia con il dettato della legge delega» [cosi' si legge nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub IV (Disciplina sanzionatoria), punto 10.5 (Altre disposizioni)]. (31) V. la nota 11. (32) Solo successivamente, invero, il lavoro di pubblica utilita' e' stato previsto come sanzione sostitutiva applicabile pure da un giudice «ordinario della cognizione: v. il comma 5-bis dell'art. 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, aggiunto dall'art. 4-bis, comma 1, lettera g), decreto-legge n. 272/2005 conv. in legge n. 49/2006; il comma 9-bis dell'art. 186 cod. strada, aggiunto dall'art. 33, comma 1, lettera d), legge n. 120/2010; e il comma 8-bis dell'art. 187 cod. strada, aggiunto dall'art. 33, comma 3, lettera h), legge n. 120/2010. Trattasi tuttavia: non di un sanzione sostitutiva «generalizzata» perche' e' applicabile solo in caso di condanna per determinati reati (produzione, detenzione e possesso di stupefacenti di lieve entita'; guida sotto l'influenza di alcol o di stupefacenti); di una sanzione solo in parte coincidente con quella ex art. 54 decreto legislativo n. 274/2000, diversi essendone (per esempio) i presupposti, la durata e le conseguenze in caso di inosservanza. (33) Il decreto legislativo n. 113/2002 costituisce il «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia». Il decreto del Presidente della Repubblica n. 114/2002 costituisce, a sua volta, il «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia». Il decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, infine, e' il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia». (34) Sottolineiamo e rimarchiamo le parole «nel loro testo originario» perche' (come vedremo nel paragrafo 9) una «radicale modifica delle regole sulla competenza» rispetto alla conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace si e', invece, determinata in base alle disposizioni di quegli stessi testi normativi (il decreto legislativo n. 113/2002 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) risultanti a seguito della dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e dell'art. 299 stesso decreto legislativo nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale. (35) In tal modo, a ben considerare, il decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 aveva «razionalizzato» la disciplina in sucbiecta materia perche', attesa la natura strettamente «esecutiva» del procedimento di conversione delle pene pecuniarie, il preesistente intervento della magistratura di sorveglianza si risolveva in una «invasione di campo» in una materia estranea a quella che ne aveva determinato l'istituzione (la materia penitenziaria), la quale («invasione di campo»), a sua volta, aveva provocato quegli inutili «giri di valzer» sopra segnalati (v. paragrafo 1) (36) V. la nota 34. (37) V. nota 32. (38) Come vedremo piu' diffusamente nel paragrafo 9, infatti, Corte costituzionale 212/2003 ha determinato la «reviviscenza ex tunc della competenza della magistratura di sorveglianza ex art. 660 codice di procedura penale., ma in un contesto normativa che (stante la contestuale declaratoria di incostituzionalita' tout court degli art. 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 e stante la persistente abrogazione dell'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002) non consentiva piu' un intervento del giudice di pace in funzione di giudice dell'esecuzione in subiecta materia: cancellandosi cosi' «di fatto e di diritto» la sua preesistente competenza sulla conversione delle pene pecuniarie. (39) La norma cosi' recita: «La Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un ricorso relativo a questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime». (40) Questa, peraltro, e' l'assurda conseguenza che la Corte di cassazione sta annettendo a Corte costituzionale 212/2003: v. il paragrafo 7. (41) A conferma di cio' bastera' leggere la Circolare del Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria (DOG) del 4 agosto 2017 [recante l'intitolazione «Analisi della normativa sul recupero dei crediti per pene pecuniarie con indicazioni operative agli Uffici giudiziari» (ed inserita anch'essa negli atti del presente procedimento: v. fascicolo «Documentazione giuridica»)], la quale in nessuna sua parte parla o accenna minimamente alla materia della conversione delle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (quasi ad ignorarne persino l'esistenza) e in particolare: ne' nel paragrafo 1 della parte prima, dove si intende «procedere ad una breve ricognizione del quadro normativo che disciplina la riscossione dei crediti di giustizia»; ne' nel paragrafo 2.1 della parte seconda, contenente «la disciplina specifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 in materia di riscossione delle pene pecuniarie: ricostruzione normativa»; ne' nel paragrafo 2.2 della stessa parte seconda, dove si intende fare una «ricostruzione sistematica» della materia a seguito della dichiarazione di incostituzionalita' operata da Corte costituzionale 212/2003. Lo stesso silenzio, infine, si rinviene altresi' nella Circolare dello stesso Dipartimento del 16 gennaio 2018, recante l'intitolazione «Nota di aggiornamento alla Circolare protocollo n. 147874.U del 4 agosto 2017, concernente l'analisi della normativa sul recupero dei crediti per pene pecuniarie, con indicazioni operative agli Uffici giudiziari» (inserita anch'essa negli atti del presente procedimento: v. fascicolo «Documentazione giuridica»). (42) Che sia stata questa e soltanto questa la ratio dell'introduzione dell'art. 238-bis cit. lo si desume chiaramente dalle circolari del Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria emanate proprio «a cavallo» di quell'introduzione, e cioe': dalla circolare di quel Dipartimento del 4 agosto 2017 (gia' menzionata nella nota precedente), dove sta scritto quanto segue: «Norme specifiche per la riscossione delle pene pecuniarie sono contenute nel titolo IV della Parte VII del Testo unico (articoli 235-239). Detto titolo conteneva due disposizioni (gli articoli 237 e 238), che disciplinavano l'attivazione e lo svolgimento del procedimento di conversione della pena pecuniaria, in tal modo sostituendo integralmente l'art. 660 codice di procedura penale., che, infatti, era stato oggetto di abrogazione da parte dell'art. 299 del medesimo Testo unico. Tale ultimo articolo ha, inoltre, abrogato gli articoli 181 e 182 Disp. att. codice di procedura penale., relativi all'esecuzione delle pene pecuniarie. Tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 212 del 18 giugno 2003, ha dichiarato l'incostituzionalita' degli articoli 237 e 238 nonche' dell'art. 299 del citato Testo unico, nella parte in cui abrogava l'art. 660 c.p.p, A seguito della citata dichiarazione d'incostituzionalita' e' tornato, quindi, vigente l'art. 660 codice di procedura penale. ... L'intervenuta dichiarazione d'incostituzionalita' degli articoli 237, 238 e 299 del Testo unico e la reviviscenza dell'art. 660 codice di procedura penale pongono, allo stato, un problema di coordinamento di tale ultima disposizione di legge con la normativa sulla riscossione a mezzo ruolo. Infatti, l'art. 660 codice di procedura penale non disciplina le modalita' secondo cui si attiva il procedimento di conversione della pena pecuniaria, facendo riferimento - unicamente - all'accertamento della impossibilita' di esazione della pena stessa ed alla successiva trasmissione degli atti dal P. M. al magistrato di sorveglianza ... La conclusione cui si giunge necessariamente, sulla base di quanto detto ai precedenti paragrafi, e' che per l'accertamento dell'impossibilita' di esazione della pena pecuniaria - richiesto quale presupposto dall'art. 660 codice di procedura penale per l'attivazione del procedimento di conversione della pena - non si possa piu' fare riferimento alla comunicazione d'inesigibilita' di cui all'art. 19 del decreto legislativo n. 112 del 1999 (come ritenuto nella relazione illustrativa del Testo unico) ... Sembrerebbe mancare, allo stato, una norma di raccordo fra la disciplina della riscossione a mezzo ruolo e la disciplina codicistica delle pene pecuniarie, tale da permettere la tempestiva attivazione del procedimento di conversione della pena ... Attualmente, in attesa di un auspicato e necessario intervento legislativo, l'unico raccordo che permane fra la disciplina codicistica dell'attivazione del procedimento di conversione della pena e quella della riscossione a mezzo ruolo e' quello dell'art. 36 del decreto legislativo n. 112 del 1999»; dalla circolare di quello stesso Dipartimento del 16 gennaio 2018 (gia' menzionata nella nota precedente) dove sta scritto quanto segue: «Si premette che la presente nota costituisce un aggiornamento della Circolare in oggetto indicata, in conseguenza delle modifiche normative introdotte dalla recente legge di bilancio per il 2018. Come forse si ricordera', nel § 2.4 della Circolare in parola era stato rappresentato che nel sistema di recupero dei crediti per pene pecuniarie si rilevava la mancanza di una norma di raccordo fra la disciplina della riscossione a mezzo ruolo e la disciplina codicistica delle pene pecuniarie, idonea a consentire una tempestiva attivazione del procedimento di conversione della pena. La recente legge di bilancio per il 2018 ha oggi colmato tale aporia, in quanto ha opportunamente introdotto nel testo unico spese di giustizia (decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115), attraverso il comma 473 dell'art. 1, la seguente nuova norma: Art. 238-bis... Appare chiara, pertanto, alla luce del sopra riportato art. 238-bis, la necessita' di aggiornare ed integrare le «indicazioni operative» contenute nella Circolare del 4 agosto 2017...». (43) Tale introduzione si deve, piu' esattamente, all'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205. (44) Si ritiene opportuno riportare il testo dell'art. 238-bis cit: «1. Entro la fine di ogni mese l'agente della riscossione trasmette all'ufficio, anche in via telematica, le informazioni relative allo svolgimento del servizio e all'andamento delle riscossioni delle pene pecuniarie effettuate nel mese precedente. L'agente della riscossione che viola la disposizione del presente comma e' soggetto alla sanzione amministrativa di cui all'art. 53 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, 55 e 56 del predetto decreto. 2. L'ufficio investe il pubblico ministero perche' attivi la conversione presso il magistrato di sorveglianza competente, entro venti giorni dalla ricezione della prima comunicazione da parte dell'agente della riscossione, relativa all'infruttuoso esperimento del primo pignoramento su tutti i beni. 3. Ai medesimi fini di cui al comma 2, l'ufficio investe, altresi, il pubblico ministero se, decorsi ventiquattro mesi dalla presa in carico del ruolo da parte dell'agente della riscossione e in mancanza della comunicazione di cui al comma 2, non risulti esperita alcuna attivita' esecutiva ovvero se gli esiti di quella esperita siano indicativi dell'impossibilita' di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa. 4. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, sono trasmessi al pubblico ministero tutti i dati acquisiti che siano rilevanti ai fini dell'accertamento dell'impossibilita' di esazione. 5. L'articolo di ruolo relativo alle pene pecuniarie e' sospeso dalla data in cui il pubblico ministero trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente. 6. Il magistrato di sorveglianza, al fine di accertare l'effettiva insolvibilita' del debitore, puo' disporre le opportune indagini nel luogo del domicilio o della residenza, ovvero dove si abbia ragione di ritenere che lo stesso possieda altri beni o cespiti di reddito e richiede, se necessario, informazioni agli organi finanziari. 7. Quando il magistrato di sorveglianza competente accerta la solvibilita' del debitore. l'agente della riscossione riavvia le attivita' di competenza sullo stesso articolo di ruolo. 8. Nei casi di conversione della pena pecuniaria o di rateizzazione della stessa o di differimento della conversione di cui all'art. 660, comma 3, del codice di procedura penale, l'ufficio ne da' comunicazione all'agente della riscossione, anche ai fini del discarico per l'articolo di ruolo relativo. 9. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 trovano applicazione anche per le partite di credito per le quali si e' gia' provveduto all'iscrizione a ruolo alla data di entrata in vigore delle medesime». (45) Si fa presente che tale sentenza risulta inserita nel sistema ITALGIURE-CED della Corte di cassazione, dove tuttavia sta scritto erroneamente «Dichiara competenza, Giudice di pace ASTI». Si fa altresi' presente che tale decisione e' stata deliberata su parere difforme del Procuratore generale. (46) Il paragrafo 4 della motivazione della suindicata decisione della Suprema Corte, invero, ha tale incipit: «In dottrina, non isolati commenti hanno auspicato un nuovo intervento del Legislatore che torni ad assegnare formalmente tale attribuzione al Giudice di Pace». (47) Cassazione 56967/2018 e' incorsa in tali imprecisioni due volte: a) una prima volta la' dove ha scritto «avendo la Corte costituzionale abrogato il menzionato art. 299 soltanto parzialmente...»: la sentenza 212/2003 della Corte costituzionale, invero, costituisce una pronuncia di «illegittimita' costituzionale» (parziale) dell'art. 299 cit., cui consegue un (parziale) annullamento della norma (con efficacia normalmente ex tunc: conf. tra le piu' recenti Corte cost., ordinanza 18 marzo 2016, n. 54) e non la sua abrogazione (avente, invece, efficacia ex tunc) (v. amplius la successiva nota 60); b) una seconda volta la' dove annette all'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (abrogato anch'esso dall'art. 299) il contenuto di una «competenza derogatoria» del giudice di pace rispetto a quella «generale» del magistrato di sorveglianza ex art. 660 codice di procedura penale: invero, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 274/2000 il nostro ordinamento non conosceva ne' la competenza penale del giudice di pace ne' (conseguentemente) pene pecuniarie applicate da un giudice di pace ne' un procedimento di conversione delle medesime; di guisa che quello introdotto dall'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 rispetto alle pene pecuniarie applicate dal giudice di pace costituiva un procedimento di conversione «nuovo, autonomo e parallelo» (e non «derogatorio») rispetto a quello gia' previsto dall'art. 660 codice di procedura penale rispetto alle pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario». (48) V. la nota 39. (49) Ricordiamo, infatti, che (v. la parte iniziale del paragrafo 5) la relativa quaestio legitimitatis era stata sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona in qualita' di giudice dell'esecuzione: ergo, ai fini della conversione di pene pecuniarie applicate dal medesimo G.I.P. (v. art. 665, comma 1, codice di procedura penale) e non dal giudice di pace. (50) V. la nota 42. (51) V. il paragrafo 5. (52) V. la parte centrale del paragrafo 7, sub A) e sub B). (53) Ci limitiamo in questa sede a ricordare quelle comunicate a questo Ufficio di sorveglianza in sede di risoluzione di conflitti di competenza da esso sollevate o nei suoi confronti sollevate (ed inserite negli atti del presente procedimento: v. fascicolo «Documentazione giuridica»): Cassazione pen., sentenza 27 novembre 2018, n. 527; sentenza emessa il 17 gennaio 2019 nel proc. n. 29691/2018 r.g. Cass.; sentenza emessa il 17 gennaio 2019 nel proc. n. 29703/2018 r.g. Cass.; sentenza emessa il 17 gennaio 2019 nel proc. n. 29695/2018 r.g. Cass.; sentenza emessa il 14 marzo 2019 nel proc. n. 37971/2018 r g. Cass. (54) Sulla «incostituzionalita' indotta» rinviamo alla nota 2. (55) V. i paragrafi 1-3. (56) Mutuiamo questa terminologia da Cassazione pen. , Sez. unite, sentenza 22 giugno 2017, n. 53683, Pmp ed altri, Rv. 271587 - 01. (57) E' ben vero che l'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 parla al riguardo di «lavoro sostitutivo», ma e' altrettanto vero che «i contenuti del lavoro sostitutivo vengono peraltro qui individuati con riferimento a quelli propri del lavoro di pubblica utilita', essendo risultata improponibile una diversificazione delle due misure (che risultano pertanto assimilate, in assenza di contrarie direttive» della legge delega, «anche in punto di durata massima), mentre rimane fermo che esse comportano, in caso di violazione, conseguenze affatto diverse in sintonia con il dettato della legge delega» [cosi' sta scritto nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub IV (Disciplina sanzionatoria), punto 10.5 (Altre disposizioni)]. (58) Come gia' detto (v. il paragrafo 4), quest'ultimo (il «giudice dell'esecuzione competente»): doveva individuarsi in base alle «normali» regole sulla competenza: vale a dire ai sensi dell'art. 665 codice di procedura penale per le pene pecuniarie applicate dal giudice «ordinario» (G.I.P., G.U.P., tribunale in composizione monocratica, tribunale in composizione collegiale o corte di appello, secondo i casi, ciascuno in funzione di giudice dell'esecuzione) ovvero ai sensi dell'art. 40, comma 1, decreto legislativo n. 274/2000 per le pene pecuniarie applicate dal giudice di pace (giudice di pace che ha emesso il provvedimento in funzione di giudice dell'esecuzione); «con l'ordinanza che dispone la conversione ... determina(va) le modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti» (art. 238, comma 6): e, quindi, convertiva in liberta' controllata o in lavoro sostitutivo ex articoli 102 e 107 legge n. 689/1981 (mai abrogati) la pena pecuniaria applicata dal giudice «ordinario»; e in lavoro di pubblica utilita' o in obbligo di permanenza domiciliare ex art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 (mai abrogato) la pena pecuniaria applicata dal giudice di pace. (59) Questo, infatti, e' il ragionamento su cui ha fatto leva la suindicata decisione della Corte di cassazione n. 56967 del 2018 per escludere che l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 fosse incostituzionale per eccesso di delega non solo nella parte in cui aveva abrogato l'art. 660 codice di procedura penale, ma pure nella parte in cui aveva abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000. Sta scritto, infatti, in tale decisione: «Ne' pare possibile avanzare un sospetto di costituzionalita' dell'art. 299 del testo unico citato anche nella parte in cui dispone l'abrogazione di tale norma» (recte: dell'art. 42 cit.): «l'abrogazione suddetta, infatti, non ha comportato di per se' una modifica delle regole della competenza precedentemente stabilite per detto Giudice» (recte: per il giudice di pace). «In effetti, l'intervento legislativo ritenuto incostituzionale aveva operato un intervento asimmetrico che, abrogando l'art. 660 codice di procedura penale, determinava l'attribuzione al giudice dell'esecuzione della competenza in materia di conversione di pene pecuniarie in luogo del magistrato di sorveglianza; diversamente, con la vigenza dell'art. 42 decreto legislativo n. 274 del 2000, quella confluenza verso il giudice dell'esecuzione era, di fatto, gia' realizzata». Cosi' ragionando, tuttavia, la Corte di cassazione ha totalmente omesso di considerare le conseguenze (di annullamento e non di mera abrogazione della norma dichiarata incostituzionale) inerenti all'intervenuta declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 299 nella parte in cui abrogava l'art. 660 codice di procedura penale: conseguenze determinanti (come si dimostrera' tra poco) la «reviviscenza ex tunc» (senza soluzione di continuita' e come se non fosse stato mai abrogato) dell'art. 660 codice di procedura penale e la «incostituzionalita' indotta» dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000 (sulla «incostituzionalita' indotta» v. sempre la nota 2). Il «vizio di origine» del suindicato ragionamento della Corte di cassazione deve (ci pare) ravvisarsi nel fatto di avere essa (espressamente, ma erroneamente) attribuito a Corte cost. 212/2003 conseguenze di «abrogazione» (e non, invece, di annullamento) dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui abrogava l'art. 660 codice di procedura penale Come gia' segnalato (v. la nota 47), infatti, la Corte di cassazione con la decisione qui avversata ha espressamente (ma erroneamente) scritto: «Ed invero, avendo la Corte costituzionale abrogato il menzionato art. 299 soltanto parzialmente, restava salva l'efficacia abrogativa che tale norma operava dell'art. 42 del decreto legislativo del 2000». (60) Tranne i casi in cui la stessa Corte «autolimiti» gli effetti temporali delle proprie decisioni di accoglimento (come succede, per esempio, in caso di illegittimita' costituzionale c.d. sopravvenuta o come sta succedendo sempre piu' spesso in caso di potenziali gravi ripercussioni sul bilancio pubblico derivanti dalla declaratoria di incostituzionalita' di una norma), sin dai primi anni del suo «funzionamento» la Corte costituzionale ha insegnato che le sue sentenze dichiarative dell'illegittimita' costituzionale di una norma hanno (in forza del combinato disposto degli articoli 136 Cost. e 30, comma 3, legge. n. 87 del 1953) una efficacia retroattiva, la quale e' assimilabile a quella dell'annullamento (della norma) e, non, invece, a quella (non retroattiva, per l'appunto) dell'abrogazione [v. esemplificativamente Corte costituzionale 127/1966 non solo per il richiamo di altre precedenti pronunce della Consulta, ma pure per un incisivo excursus storico; ma gia' nella sua prima pronuncia la Corte costituzionale aveva icasticamente affermato: «I due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimita' costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si' muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre e' piu' ristretto, in confronto di quello della illegittimita' costituzionale, e i requisiti richiesti perche' si abbia abrogazione per incompatibilita' secondo i principi generali sono assai piu' limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una legge» (Corte cost., sentenza 5 giugno 1956, n. 1, Pres. Enrico De Nicola, sottoscritta da tutti i componenti della Corte)]. Sul significato e sui limiti di codesta «normale» retroattivita' bastera' qui ricordare Cassazione civ., Sez. III, sentenza 28 luglio 1997, n. 7057, Rv. 506315_01: «Le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validita' e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche «consolidate» per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato. L'atto amministrativo non piu' impugnabile, la prescrizione e la decadenza». (61) Le parole riportate in corsivo sono state testualmente mutuate da Corte cost., sentenza 25 febbraio 2014 n. 32, su cui torneremo nella nota seguente. (62) Cfr. tra le piu' recenti Corte cost., sentenza 25 febbraio 2014 n. 32, nella cui motivazione sta testualmente scritto quanto segue: «In considerazione del particolare vizio procedurale accertato in questa sede» (costituito in quell'occasione dalla carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione dei decreti-legge), «deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, tornino a ricevere applicazione l'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati. nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate. Il potere di conversione non puo', infatti, considerarsi una mera manifestazione dell'ordinaria potesta' legislativa delle Camere ... Nella misura in cui le Camere non rispettano la funzione tipica della legge di conversione, facendo uso della speciale procedura per essa prevista al fine di perseguire scopi ulteriori rispetto alla conversione del provvedimento del Governo, esse agiscono in una situazione di carenza di potere. In tali casi, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l'atto affetto da vizio radicale nella sua formazione e' inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010). Sotto questo profilo, la situazione risulta assimilabile a quella della caducazione di norme legislative emanate in difetto di delega, per le quali questa Corte ha qia' riconosciuto, come conseguenza della declaratoria di illegittimita' costituzionale, l'applicazione della normativa precedente (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162 del 2012), in conseguenza dell'inidoneita' dell'atto, per il radicale vizio procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi anche per modifica o sostituzione. Deve, dunque, ritenersi che la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, nella versione precedente alla novella del 2006, torni ad applicarsi, non essendosi validamente verificato l'effetto abrogativo». (63) La «reviviscenza» di norme abrogate da disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime puo' ormai considerarsi «diritto vivente». Infatti, dopo l'iniziale affermazione fattane da Corte costituzionale 107/1974 e pur con alcune pronunce dubitative (ma mai «negatorie»: v. per esempio Corte costituzionale 310/1993 e 294/2001), l'esistenza di tale fenomeno e' stata ripetutamente e costantemente affermata nella giurisprudenza piu' recente: v. esemplificativamente Corte costituzionale 13/2012 (nella cui motivazione sta scritto: «Il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e puo' essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse da quella dell'abrogazione referendaria in esame. Ne e' un esempio l'ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale»); nonche' Corte costituzionale 162/2012, 32/2014, 218/2015 e 214/2016. (64) V. la nota 5. (65) Ed invero: l'art. 660 codice di procedura penale parla genericamente di impossibilita' di esazione della «pena pecuniaria» senza altre specificazioni circa il giudice della cognizione, che l'aveva applicata; al comma 4 lo stesso art. 660 stabilisce che, «con l'ordinanza che dispone la conversione, il magistrato di sorveglianza determina le modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti» (con una sorta di generico rinvio formale e non, invece, col richiamo di specifiche disposizioni in materia). (66) Nella fattispecie, cioe', si verificata una sorta di «riespansione» del «mai morto» art. 660 codice di procedura penale rispetto all'abrogato art. 42 decreto legislativo n. 274/2000. Sulla «riespansione» («che si ha, ad esempio, nel rapporto tra due discipline delle quali una generale, l'altra speciale, per cui la disciplina generale produce i propri effetti sulle fattispecie in precedenza regolate dalla disciplina speciale abrogata») v. Corte cost., sentenza 12 gennaio 2012, n. 13. (67) Ricordiamo ancora una volta (v. la nota 2) che si suole parlare di «incostituzionalita' indotta» allorche' una decisione della Corte costituzionale (nella fattispecie: la auspicata dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), nell'espungere una norma illegittima (nella fattispecie: l'art. 299 decreto legislativo n.113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000), «crea» involontariamente un'ulteriore e diversa illegittimita' (nella fattispecie: quella ora denunciata dell'art. 238-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 introdotto dall'art. 1, comma 473, legge n. 205/2017). (68) V. la nota 62. Per comodita', nondimeno, riteniamo opportuno ricordare il «nucleo motivazionale» di Corte cost. 32/2014: «... l'atto affetto da vizio radicale nella sua formazione e' inidoneo ad innovare l'ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010). Sotto questo profilo, la situazione risulta assimilabile a quella della caducazione di norme legislative emanate in difetto di delega, per le quali questa Corte ha gia' riconosciuto, come conseguenza della declaratoria di illegittimita' costituzionale l'applicazione della normativa precedente (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162 del 2012), in conseguenza dell'inidoneita' dell'atto, per il radicale vizio procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi anche per modifica o sostituzione. Deve, dunque, ritenersi che la disciplina» precedente «torni ad applicarsi, non essendosi validamente verificato l'effetto abrogativo». (69) V. la nota 63. Anche stavolta, tuttavia, ricordiamo per comodita' la parte essenziale di Corte costituzionale 13/2012: «il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e puo' essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse da quella dell'abrogazione referendaria in esame. Ne e' un esempio l'ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale». (70) Le parole riportate in corsivo sono state testualmente mutuate da Corte costituzionale 32/2014 (v. la nota 68). (71) V. nota 13. (72) V. il paragrafo 6. (73) Nella motivazione di Corte costituzionale 279/2012 vengono indicate in senso conforme pure le sentenze 172/2006, 146/1996 e 313/1995. (74) Sulla «esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalita' intrinseca altrimenti lesa» v. Corte costituzionale 120/2013. (75) Ci si riferisce, piu' esattamente, a quella parte della suindicata sentenza, la' dove sta scritto: «questo sistema» di concentrazione della competenza in subiecta materia sempre e solo nella magistratura di sorveglianza «appare rafforzato dalla recente introduzione dell'art. 238-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ad opera del comma 473 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, che, occupandosi della procedura di attivazione della conversione delle pene pecuniarie non pagate, richiama l'art. 660 codice di procedura penale ed espressamente la competenza unica del Magistrato di Sorveglianza». Null'altro! (76) V. la nota 13. (77) Corte costituzionale 3691/1993 e Corte 117/1990 hanno, per l'appunto, considerato incostituzionali norme «traslative» di competenza non giustificate «da alcun apprezzabile interesse» (sentenza 369/1993) o da «ragionevoli esigenze» (sentenza 117/1990). (78) Sulla «esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalita' intrinseca altrimenti lesa» V. sempre Corte costituzionale 120/2013. Sul «principio di razionalita' ... nel senso di razionalita' formale, cioe' del principio logico di non contraddizione» v. ultimamente Corte costituzionale 113/2015, che richiama pure la sentenza 172/1996. (79) Cosi' esemplificativamente e tra le piu' recenti Corte costituzionale sentenza n. 47 del 2014, che richiama in motivazione i numerosi precdenti conformi (ex plurimis sentenze 64/2009 e 298/2008; e ordinanze 56/2010, 32/2010 e 28/2007). (80) V. il paragrafo 1. Quanto scritto trova conferma nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub III (Disciplina del processo), punto 8.2 (Esecuzione delle pene pecuniarie), dove sta scritto quanto segue: «L'art. 42 disciplina l'esecuzione delle condanne a pene pecuniarie inflitte dal giudice di pace, stabilendo che questa ha luogo a norma della regola generale di cui all'art. 660 codice di procedura penale Peraltro, per ragioni di economia processuale, funzionali alla concentrazione delle competenze in executivis, e apparendo opportuno valorizzare anche in tale fase il ruolo del giudice di pace, si e' previsto che l'accertamento dell'effettiva insolvibilita' del condannato sia svolto dal giudice di pace competente per l'esecuzione, il quale adotta anche i provvedimenti in ordine alla rateizzazione o alla conversione della pena pecuniaria. In tal modo si evitano gli inconvenienti, avvertiti nell'applicazione della disciplina attualmente vigente, derivanti dalla frammentazione delle competenze tra giudice dell'esecuzione e magistrato di sorveglianza». (81) V. art. 208, comma 1, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002: «(Ufficio competente). 1. Se non diversamente stabilito in modo espresso, ai fini delle norme che seguono e di quelle cui si rinvia, l'ufficio incaricato della gestione delle attivita' connesse alla riscossione e' cosi' individuato: ... per il processo penale e' quello presso il giudice dell'esecuzione». (82) In tal senso v. ultimamente Cassazione pen. , Sez. I, sentenza 28 settembre 2018 n. 50971, Confl. comp. in proc. Leveque, Rv. 274516 - 01. (83) Per il testo dell'art. 208, comma 1, lettera b), decreto del Presidente della Repubblica 115/2002 v, la nota 81. (84) Proprio codesto rinnovo ex directo degli atti esecutivi (previa semplice comunicazione al PM), invero, era previsto dall'art. 18 d.m. 6 aprile 2001. E' vero che tale articolo e' stato espressamente abrogato dall'art. 301 decreto del Presidente della Repubblica 114/2002 (trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002), recante la rubrica «Abrogazione di norme secondarie». Tuttavia, trattandosi di abrogazione di una norma secondaria strettamente connessa ad una norma primaria (l'art. 42 decreto legislativo n. 274/2000) contestualmente abrogata da altra norma primaria (l'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002), la qui invocata declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 decreto legislativo n. 274/ 2000. provocando la «reviviscenza ex tunc» di quest'ultimo, dovrebbe determinare l'illegittimita' sopravvenuta della predetta norma regolamentare nella parte in cui ha abrogato la norma secondaria attuativi di quella norma primaria «resuscitata»: donde la disapplicabilita' della stessa (norma regolamentare viziata da illegittimita' sopravvenuta). Ed invero, secondo la giurisprudenza amministrativa un atto emanato sulla base di una norma (successivamente) dichiarata illegittima e' considerato viziato in via derivata (o sopravvenuta) e, quindi, e' riconducibile al regime processuale dell'annullabilita' per «illegittimita' sopravvenuta» (conf. ultimamente Cons. Stato, Sez. V, sentenza 14 aprile 2015, n. 1862). (85) Sulla «esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalita' intrinseca altrimenti lesa» v. ancora Corte costituzionale 120/2013. Sul «principio di razionalita' nel senso di razionalita' formale, cioe' del principio logico di non contraddizione» v. ultimamente Corte costituzionale sentenza 113/2015, che richiama pure la sentenza 172/1996. (86) V. Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub I (Premessa), punto 1 (Linee generali della riforma): «E' risaputo, infatti che lo strumento penalistico ha invaso settori distanti dal suo «naturale» campo di elezione: e' stato posto a presidio di interessi diffusi ovvero sovraindividuali, anche di rilievo prioritario, ma non di rado lontani dalle esperienze e dal vissuto quotidiano del singolo. Questo processo, in parte inevitabile, di ampliamento dell'area penalmente rilevante ha cosi' comportato una progressiva divaricazione tra le ragioni della giustizia e le esigenze del cittadino comune, che lamenta una lentezza intollerabile, quando non addirittura un deficit nella risposta dello Stato. In questo contesto, la dislocazione sul territorio del giudice di pace, in uno con la sua caratterizzazione professionale, consentiranno un riavvicinamento della collettivita' all'amministrazione della giustizia anche nel delicato settore del diritto penale». (87) V. la nota 30. (88) Si sottolinea al riguardo che l'art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 (intitolato «conversione delle pene pecuniarie») e' collocato nel Titolo II intitolato «sanzioni applicabili dal giudice di pace». Sul punto v. pure la Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 274/2000, sub IV (Disciplina sanzionatone), punto 10.1 (Problemi posti dalla legge delega): «Un cenno merita la collocazione sistematica del capo relativo alle sanzioni e che appare anch'esso frutto delle disposizioni della legge delega sopra richiamate le quali, nel prevedere l'applicabilita' di determinate sanzioni solo per opera del giudice di pace e solo a seguito di una peculiare disciplina processuale, antepongono logicamente quegli aspetti a quest'ultimo» (vale a dire: all'inserimento di tali sanzioni nel sistema «generale» previsto dal codice penale), «rendendo cosi' plausibile la sistematica «interna»del presente provvedimento normativo». (89) Come gia' visto sopra (paragrafo 2 e parte conclusiva del paragrafo 3), le sanzioni applicabili ex art. 55 decreto legislativo n. 274/2000 in sede di conversione corrispondono esattamente a quelle applicabili ex directo dal giudice di pace in sede di cognizione ai sensi degli art. 52-54. (90) V. sopra, in corrispondenza della nota 25 e la nota 27. (91) Ci si riferisce: alla legge 26 novembre 2010, n. 199, che ha introdotto la misura dell'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi: al decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, il quale (tra le misure urgenti volte a contrastare il sovraffollamento carcerario) aveva con l'art. 4 introdotto l'istituto della liberazione anticipata «speciale»; all'art. 35-bis O.P. (aggiunto dallo stesso decreto-legge 146/2011 convertito dalla legge 10/2014), che ha introdotto il «reclamo giurisdizionale» proponibile dai detenuti in materia disciplinare [art. 69, comma 6, lettera a), O.P. il cui ambito operativo e' stato contestualmente esteso in taluni casi al merito del provvedimento disciplinare] e a tutela dei diritti dei detenuti stessi «pregiudicati» dall'inosservanza da parte dell'amministrazione delle norme sull'ordinamento penitenziario; all'art. 35-ter O.P. (inserito dall'art. 1 decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117), che ha introdotto i «rimedi risarcitoci» conseguenti alla violazione dell'art. 3 CEDU. Si sottolinea che questa escalation dei compiti degli Uffici di sorveglianza sta continuando, considerati gli effetti che proprio su codesti Uffici graveranno a seguito della recente modifica dell'art. 678 codice di procedura penale ad opera del decreto legislativo n. 2 ottobre 2018 n. 123, il cui art. 4. comma 1, lettera b), n. 3, ha inserito in quell'articolo il comma 1-ter, che dispone: «Quando la pena da espiare non e' superiore a un anno e sei mesi, per la decisione sulle istanze di cui all'art. 656. comma 5, il presidente del tribunale di sorveglianza, acquisiti i documenti e le necessarie informazioni, designa il magistrato relatore e fissa un termine entro il quale questi, con ordinanza adottata senza formalita', puo' applicare in via provvisoria una delle misure menzionate nell'art. 656, comma 5». (92) Sulla «esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalita' intrinseca altrimenti lesa» v. sempre Corte costituzionale 120/2013. (93) V. le note 62 e 63. (94) V. la nota 5. (95) Ci riferiamo, cioe', ai principi elaborati sia dalla giurisprudenza costituzionale sugli effetti della dichiarata incostituzionalita' di una norma emanata in difetto di delega sia dalla giurisprudenza costituzionale sugli effetti della dichiarazione di incostituzionalita' di una norma espressamente abrogatrice di un'altra norma (v. le note 62 e 63). (96) V. sempre Corte cost., sentenza 32/2014, ricordata nella nota 62. (97) V. la nota 13. (98) Ricordiamo che tale vuoto normativa si era venuto a creare a seguito della persistente abrogazione (ex art. 299 decreto legislativo n. 113/2002 in parte qua) degli art. 181-182 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e della successiva dichiarazione di incostituzionalia' (ex Corte costituzionale 212/2003) delle norme «sostitutive» contenute negli articoli 237-238 decreto legislativo n. 113/2002 (v. il paragrafo 6). (99) V. Corte costituzionale 279/2012, nella cui motivazione sta icasticamente scritto che «il vizio suddetto, anche se consistente ... nella intrinseca contraddittorieta' tra la ratio della disposizione e il suo contenuto normativo, si estrinseca nella violazione del canone della ragionevolezza e pertanto n'entra nella sfera applicativa dell'art. 3 della Costituzione (sentenze n. 172 del 2006, n. 146 del 1996 e n. 313 del 1995)». (100) Cfr. Corte cosi'. 369/1993 e 117/1990, che hanno considerato incostituzionali norme «traslative» di competenza non giustificate «da alcun apprezzabile interesse» (sentenza 369/1993) o da «ragionevoli esigenze» (sentenza 117/1990). (101) Sulla «esigenza di ricondurre il sistema ad una razionalita' intrinseca altrimenti lesa» v. Corte costituzionale 120/2013. Ci permettiamo conclusivamente di sottolineare che (ad avviso di chi scrive) le qui invocate dichiarazioni di incostituzionalita' consentirebbero altresi' il «recupero» di quella intrinseca razionalita' del sistema normativo complessivamente considerato, che abbiamo evidenziato nel paragrafo 3 (cfr. Corte costituzionale 84/1997, nella quale si afferma espressamente che «il canone della ragionevolezza deve trovare applicazione non solo all'interno dei singoli compatti normativi, ma anche con riguardo all'intero sistema»; sul punto v. pure Corte costituzionale 113/2015).
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87: Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 299 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 («Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia», trasfuso nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia») nella parte in cui ha abrogato l'art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 («Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»), per violazione dell'art. 76 Cost.; e in via «indotta» dall'eventuale accoglimento della prima Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 238-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia») introdotto dall'art. 1, comma 473, legge 27 dicembre 2017, n. 205 («Bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020») nella parte in cui (commi 2, 5, 6 e 7), facendo riferimento al giudice competente per il procedimento di conversione delle pene pecuniarie per insolvibilita' del debitore, parla specificamente di «magistrato di sorveglianza competente» anziche' genericamente di «giudice competente», per violazione dell'art. 3 Cost. (principio di ragionevolezza e canone di razionalita'), dell'art. 97, comma 2, Cost. (principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia) e dell'art. 111, comma 2, Cost. (principio della ragionevole durata del processo); Dispone l'immediata trasmissione della presente ordinanza e degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Sospende il procedimento in corso sino alla comunicazione della decisione della Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti del procedimento ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Alessandria, 16 aprile 2019 Il Magistrato di sorveglianza: Vignera