N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2019
Ordinanza del 29 gennaio 2019 del Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di M.V. e V.V.. Reati e pene - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 cod. pen. rispetto alla recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione).(GU n.36 del 4-9-2019 )
TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA Sezione dibattimentale penale Il giudice, dott. Fabrizio Forte, a scioglimento della riserva di decidere formulata all'udienza del 29 gennaio 2019, nell'ambito del processo in epigrafe, a carico di M.V., e V.V., imputati: del reato p. e p. dagli articoli 110, 624-625 nn. 2 e 7, 61 n. 5 del codice penale, perche', in concorso morale e materiale fra loro, con violenza sulle cose (necessaria a sradicare dal muro i due pluviali in rame poi sottratti) e danneggiando, contestualmente, l'intonaco del muro esterno dell'ingresso laterale destro della chiesa greco-ortodossa, si impossessavano al fine di profitto di due pluviali in rame, di proprieta' del predetto ente religioso (parte del rame, al momento dell'intervento degli operanti, era gia' stato occultato sulla vettura di proprieta' del M.) sottraendoli, con la condotta sopra descritta, al legittimo proprietario. Fatto aggravato, altresi', dall'aver approfittato di circostanze di tempo (la condotta delittuosa risultava ancora in corso alle ore 2,30 di notte) tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. In Reggio Calabria, in data 3 luglio 2018. Recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale per entrambi. Ha pronunciato la seguente ordinanza per sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale (come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251), in quanto rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3, 27, 1° e 3° comma, e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente prevista dall'art. 89 del codice penale sulla recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale. Ritenuto in fatto In seguito ad arresto, eseguito in data 3 luglio 2018, M.V. e V.V. sono stati condotti in pari data dinanzi al giudice monocratico del Tribunale di Reggio Calabria per la convalida ed il contestuale giudizio con il rito direttissimo in ordine al reato di furto pluriaggravato, commesso in concorso tra loro, come indicato in epigrafe. Ad entrambi gli imputati e' stata contestata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. Convalidato l'arresto ed instaurato il giudizio con il rito direttissimo, il giudice ha disposto un breve rinvio del processo su richiesta di un termine a difesa da parte degli imputati. Indi, all'udienza del 10 luglio 2018, le difese, munite di procura speciale, hanno chiesto la definizione del processo nelle forme del rito abbreviato, condizionato all'espletamento di una perizia psichiatrica sullo stato di mente degli imputati al momento del fatto; hanno prodotto, all'uopo, documentazione medica attestante i pregressi ricoveri cui sono stati sottoposti gli imputati e le patologie dalle quali gli stessi erano affetti (con riguardo al V., sono state prodotte altresi' due relazioni peritali, redatte nell'ambito di altrettanti procedimenti penali, che attestavano una capacita' di intendere e di volere totalmente abolita, in ordine ad un episodio delittuoso del 2013, e grandemente scemata, in ordine ad un analogo episodio del 2016). Il giudice, ritenendo l'integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalita' di economia processuale proprie del rito prescelto, ha disposto il giudizio abbreviato, conferendo, alla successiva udienza dell'11 settembre 2018, il relativo incarico peritale al dott. Giovanni Francesco Malara. Il perito, nella relazione depositata in data 19 novembre 2018, ha dato atto di aver visitato e valutato disgiuntamente, in diverse giornate, i due periziandi e di aver sottoposto entrambi ad esame clinico ed il solo M. a valutazione «testologica» (non essendosi il V. presentato agli appuntamenti all'uopo concordati: il perito riferisce tuttavia di conoscere la storia clinica del V., per averlo gia' sottoposto a valutazione psichiatrico-forense nell'ambito di un altro procedimento giudiziario). Quanto al M.V., in particolare, la relazione peritale afferma che «l'esame clinico ha escluso la sussistenza di patologie psicotiche strutturate ma ha evidenziato un importante sbilanciamento depressivo dell'asse affettivo e la presenza [...] di tratti personologici marcatamente disarmonici. Si tratta, dunque, di un soggetto nel quale la presenza di severe disarmonie dell'organizzazione fondamentale della personalita' (vedi la pervasivita' dei tratti antisociale e schizoide che risulta dal test) fanno assumere una connotazione disforica alla sofferenza affettiva e, assai probabilmente, facilitano l'emergere di condotte regressive finalizzate all'ottenimento di immediata gratificazione e prive di adeguata valutazione del rischio che esse comportano. Per cio' che riguarda il funzionamento mentale del soggetto al momento del fatto reato, si richiama l'attenzione sul fatto che egli e' stato in grado di fornire una pur personale (autogiustificativa e proiettivamente orientata) ricostruzione degli eventi; mancano, invece, screzi confusionali o distorsioni a tinta psicotica dei dati di realta' ed anche lo sfumato declino delle prestazioni cognitive non e' tale da destrutturare, per se stesso ed in misura grave, il rapporto con la realta'. Il complesso psicopatologico asseverato (depressione e disarmonia personologica) induce a ritenere che la capacita' di intendere e, soprattutto, la capacita' di volere del M. momento del fatto reato era grandemente scemata ma non totalmente abolita». Con riguardo al V., la relazione peritale riferisce innanzitutto che dalla stessa circostanza che il periziando abbia disertato gli appuntamenti concordati per l'esperimento dell'esame «testologico» si possa trarre un'indiretta conferma dei dati clinici delineanti un quadro di «disturbo della personalita' con tratti misti del primo e del secondo raggruppamento (particolarmente rilevanti i tratti schizotipico, narcisistico, istrionico, antisociale)». Ed invero, «il ripetuto sottrarsi alla visita medico-legale (senza preoccuparsi di preavvertire l'esaminatore o di fornirgli adeguata giustificazione), la qualita' supponente di certi comportamenti in relazione, la poverta' dell'empatia, l'insistita convinzione di essere meritevole di particolare considerazione, infatti, rimandano ad un funzionamento mentale distorto dalla sovrarappresentazione dei citati tratti. Pure nel caso del V., il disturbo di personalita' ha consistenza tale da acquisire qualita' morbosa, ma non appare tanto destrutturante da giustificare un giudizio medico-legale di totale abolizione della capacita' di intendere e di volere». In definitiva, con riferimento ad entrambi gli imputati, il perito ha concluso osservando «alterazioni psicopatologiche che soddisfano i criteri diagnostici per il disturbo della personalita'»; in ambedue i soggetti egli ha ravvisato altresi' «le stimmate psicologiche di un disturbo da abuso di sostanze (oppiacei), oggidi' in parziale remissione»; il solo M., inoltre, «presenta un quadro di depressione persistente»: sia per il M. che per il V. il perito ha ritenuto pertanto che «la capacita' di intendere e di volere al momento del fatto reato era grandemente scemata ma non totalmente abolita». Interrogato, poi, all'udienza dell'11 dicembre 2018 in ordine alla rilevanza delle patologie riscontrate sull'eziologia delle condotte delittuose in oggetto, il perito ha aggiunto che le stesse «hanno una rilevanza generale, dal momento che lasciano traccia sulla globalita' del funzionamento mentale dei soggetti ... specialmente quelle parti del funzionamento mentale che vengono definite funzioni esecutive, quindi capacita' di programmazione, valutazione, valutazione inferenziale, criteri di appropriatezza e di opportunita', pesatura del rischio anche rispetto all'utile personale ...». Come anticipato, ad entrambi gli imputati e' stata contestata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. Ed invero, dalla lettura dei rispettivi certificati del casellario giudiziale, emergono, sia a carico del M. che del V., plurimi precedenti per reati contro il patrimonio (entrambi hanno riportato diverse condanne passate in giudicato per rapina, furto tentato e consumato, ricettazione, danneggiamento), alcuni dei quali anche in epoca relativamente recente ed, in ogni caso, nel quinquennio precedente alla commissione del fatto per il quale si procede; nei confronti di entrambi, in piu' occasioni, e' stata riconosciuta la recidiva (anche reiterata) ed applicato il relativo aumento; il V. e' stato assolto in due occasioni per vizio totale di mente e, in un altro caso (tentativo di furto aggravato, commesso nel 2017), ad onta della contestazione della recidiva reiterata di cui al quarto comma dell'art. 99 del codice penale, il dispositivo, riconosciuta l'attenuante del vizio parziale di mente, ha ritenuto quest'ultima prevalente sulle aggravanti; dal canto suo, il M. annovera una sentenza di condanna (per un'evasione, commessa nel 2013) il cui dispositivo, in virtu' del disposto dell'art. 69, quarto comma del codice penale, ha riconosciuto equivalenti l'attenuante del vizio parziale di mente e la recidiva reiterata, cosi' come contestata. Per le valutazioni in merito a tali, oscillanti pronunce e al rilievo da dare ai numerosi precedenti, qui sommariamente enumerati, si rinvia al seguente paragrafo, in punto di rilevanza della questione. Orbene, all'odierna udienza, fissata per la discussione del processo, le parti - gia' invitate ad interloquire sugli eventuali profili di illegittimita' della disciplina normativa applicabile - hanno concluso come segue: il pubblico ministero ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale, per violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione; la difesa di V.V. si e' associata alla richiesta del pubblico ministero, rimettendosi alla decisione del giudice; la difesa di M.V. ha depositato una memoria conclusiva, con la quale ha chiesto in via principale l'esclusione della recidiva ed il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui agli articoli 62, n. 4, 62-bis e 89 del codice penale in misura prevalente rispetto alle contestate aggravanti di cui agli articoli 625, comma 1, n. 2 e n. 7 del codice penale; in subordine, la stessa si e' associata all'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dalle altre parti. Si ritiene, pertanto, di dover sollevare la questione di legittimita' costituzionale descritta in premessa, non potendosi definire il giudizio indipendentemente dalla sua risoluzione e non risultando la stessa manifestamente infondata, con le motivazioni che di seguito si esporranno. Considerato in diritto Questo giudice ritiene di dover premettere, alla valutazione in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione sollevata, alcune considerazioni in ordine alle peculiarita' che la stessa presenta rispetto a quelle, di analogo tenore, cui hanno fatto seguito in passato pronunce parzialmente «demolitorie» della norma oggi censurata (il riferimento e' alle sentenze della Corte costituzionale n. 251 del 5 novembre 2012, n. 105 e n. 106 del 18 aprile 2014, n. 74 del 7 aprile 2016 e n. 205 del 17 luglio 2017). E' noto, infatti, che da parte della Corte costituzionale non vi sia stata, finora, una valutazione sfavorevole a carattere generale dell'automatismo sanzionatorio imposto dal quarto comma dell'art. 69 del codice penale, cioe' una stima negativa circa la tollerabilita' costituzionale della regola che esclude la subvalenza della recidiva reiterata rispetto a circostanze di segno opposto. Si e' ritenuto, in buona sostanza, che il legislatore sia libero di alterare il normale meccanismo di comparazione tra circostanze, anche (ma non solo) riguardo allo specifico caso della recidiva reiterata, purche' la scelta non produca esiti di manifesta irragionevolezza. L'analisi circa la ragionevolezza o meno di tale automatismo e' stata condotta prevalentemente in base alle peculiari caratteristiche della circostanza chiamata alla comparazione con la recidiva. Innanzitutto, le circostanze attenuanti il cui divieto di prevalenza rispetto alla recidiva reiterata e' stato ritenuto, fino a questo momento, irragionevole (tanto da pervenire ad esiti demolitori di detto automatismo) hanno avuto in comune la caratteristica di essere tutte circostanze ad effetto speciale: circostanze, cioe', il cui riconoscimento comporta una tale divaricazione del delta sanzionatorio rispetto alle corrispondenti ipotesi-base, che la «neutralizzazione» delle stesse per l'operare del meccanismo di cui all'art. 69, quarto comma del codice penale avrebbe condotto ad esiti del tutto irragionevoli, giungendo a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale. Nel caso che si intende sottoporre oggi al vaglio della Corte, invece (vizio parziale di mente, di cui all'art. 89 del codice penale), si e' evidentemente di fronte ad una circostanza attenuante ad effetto comune, il cui riconoscimento comporta una diminuzione di pena fino a un terzo (come suggerisce la locuzione «la pena e' diminuita», da leggersi in combinato con la regola generale posta dall'art. 65, n. 3) del codice penale). Le pronunce demolitorie del menzionato automatismo hanno, in secondo luogo, avuto ad oggetto fino a questo momento solo circostanze attenuanti di tipo «oggettivo» (concernenti, cioe', secondo la definizione contenuta nell'art. 70, comma 1, n. 1) del codice penale, la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalita' dell'azione, la gravita' del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualita' personali dell'offeso), talche' il divieto di prevalenza delle stesse sulla recidiva reiterata di cui al quarto comma dell'art. 99 del codice penale, si e' osservato, indirizzava l'individuazione della pena concreta verso un'abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla ricaduta del reo nel delitto, a detrimento delle componenti oggettive del reato. Nel caso in esame, viceversa, la circostanza attenuante da porre in bilanciamento con la recidiva reiterata e' di tipo «soggettivo», ai sensi del medesimo art. 70, comma 1, n. 2) del codice penale: si tratta, in particolare, di una «circostanza inerente la persona del colpevole», categoria alla quale appartengono (art. 70, comma 2 del codice penale) le circostanze riguardanti l'imputabilita' e la - stessa - recidiva. Il che, se da un lato - in punto di fondatezza o meno della questione - non consente quella stigmatizzazione dell'enfasi rivolta al «tipo d'autore» rispetto all'effettivo disvalore del fatto (e, quindi, il richiamo alla violazione del principio di offensivita'); dall'altro lato - per quanto attiene alla rilevanza della questione - pone il delicato problema se, a fronte di un vizio di mente di tale gravita' da risultare determinante nell'eziologia del reato, non sia da escludere del tutto il rilievo della recidiva, disapplicandola, in quanto i precedenti penali non sarebbero dimostrativi di una maggiore «colpevolezza» dell'autore del reato. Cionondimeno, si ritiene che tali considerazioni, pur pregnanti, non siano di ostacolo ad un giudizio in termini di rilevanza (nel caso concreto) e non manifesta infondatezza della questione che oggi si intende porre al vaglio della Corte, come si cerchera' di argomentare. A) Quanto alla rilevanza della questione, questo giudice ritiene di non potere, allo stato degli atti utilizzabili ai fini della decisione e senza incorrere in forzature interpretative degli elementi di fatto emergenti dagli stessi, escludere tout court, nei confronti di M.V. e V.V., la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, cosi' come ad essi contestata. Ed invero, M.V. risulta essere stato condannato, con sentenze passate in giudicato, tra l'altro: in data 27 novembre 1992, per ricettazione; in data 24 settembre 1993, per concorso in violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento; in data 3 novembre 2005, per concorso in tentata rapina e lesioni personali; in data 31 gennaio 2012, per furto aggravato; in data 28 giugno 2012, ancora per furto aggravato, con applicazione della recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, prima ipotesi, del codice penale; in data 17 dicembre 2013, per evasione, con applicazione della recidiva reiterata ed infraquinquennale ex art. 99, quarto comma, seconda ipotesi, del codice penale; in data 11 marzo 2014, infine, per evasione e resistenza a un pubblico ufficiale, con riconoscimento delle attenuanti - tra cui, come detto, quella della seminfermita' mentale di cui all'art. 89 del codice penale - in misura equivalente alla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale (con espresso richiamo al meccanismo imposto dall'art. 69, comma quarto del codice penale). V.V., invece, e' stato condannato, con sentenze passate in giudicato, tra l'altro: in data 7 novembre 1991, per furto in concorso (con l'attenuante della minore eta', art. 98 del codice penale); sempre in data 7 novembre 1991, per rapina, detenzione e porto illegale di armi e munizioni (con l'attenuante della minore eta' di cui al citato art. 98); in data 24 aprile 1992, per furto aggravato in concorso (anche in questo caso, con riconoscimento dell'attenuante della minore eta'); in data 8 febbraio 1996, per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale; in data 25 novembre 1997, per concorso in un tentativo di furto aggravato; in data 5 febbraio 2003, nuovamente per concorso in un tentativo di furto aggravato; in data 1° marzo 2005, per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale; in data 12 gennaio 2010, per ricettazione; in data 28 giugno 2012, per danneggiamento seguito da incendio, lesione personale e resistenza a pubblico ufficiale, con applicazione della recidiva reiterata ed infraquinquennale; in data 3 marzo 2016, per violazione di domicilio, con applicazione della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale; in data 21 ottobre 2016, per furto aggravato, con applicazione della recidiva reiterata ed infraquinquennale; in data 31 marzo 2017, per alcuni furti, consumati e tentati, in continuazione, con applicazione dell'attenuante del vizio parziale di mente in misura equivalente alla recidiva reiterata e specifica; in data 26 ottobre 2017, per furto tentato, con prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 89 del codice penale sulle riconosciute aggravanti, ad onta della contestazione della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale (non e' dato sapere se previa esclusione di quest'ultima ovvero in violazione dell'automatismo imposto dall'art. 69, quarto comma del codice penale). In due occasioni, in data 10 maggio 2011 e in data 29 settembre 2017, il V. e' stato invece assolto da altrettante ipotesi di danneggiamento per difetto di imputabilita', dovuta a vizio totale di mente (art. 88 del codice penale). Ritiene questo giudice che sussistano senz'altro, nel caso di specie, gli indici rivelatori di una relazione qualificata tra i descritti precedenti ed il nuovo illecito, per il quale si procede (il furto in concorso di due pluviali in rame), trattandosi di reati della stessa indole, omogenei dal punto di vista del bene giuridico offeso, posti in essere nel tempo, senza che possa ravvisarsi una qualche soluzione di continuita' nella perpetrazione di condotte antigiuridiche da parte di entrambi gli imputati. Dagli atti a disposizione di questo giudice (ed in particolare dalle precedenti perizie e dai documenti clinici depositati dalle difese a sostegno della richiesta di perizia), si evince peraltro un'omogeneita' degli episodi delittuosi pregressi ed attuale anche quanto al contesto nel quale le condotte sono state poste in essere e alle modalita' delle stesse (in ore notturne, con mezzi e modalita' piuttosto rudimentali) ed altresi' all'entita' delle rispettive offese (trattandosi sovente di beni di scarso valore patrimoniale). Si ritiene pertanto, in accordo con l'orientamento espresso in materia dalla giurisprudenza costituzionale (sin dalla sentenza n. 192/2007) e di legittimita' (ex aliis, Cassazione - Sezione unica, sentenze n. 35738 del 27 maggio 2010 e n. 20798 del 24 febbraio 2011), che nel caso di specie la reiterazione dell'illecito, «al di la' del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali», sia effettivo sintomo e di maggiore colpevolezza e di una piu' elevata capacita' a delinquere dei due imputati. Ed invero, accanto ad una piu' accentuata pericolosita' sociale, tali e tanti precedenti specifici, posti in essere con analoghe modalita' (talche' sembra da escludersi l'occasionalita' della ricaduta), lasciano emergere senz'altro una peculiare insensibilita' degli imputati nei confronti delle condanne precedentemente riportate e dell'implicito monito a non violare piu' la legge, in esse contenuto, comportando un maggiore addebito anche in termini di rimproverabilita' soggettiva. D'altra parte, le patologie mentali riscontrate in sede di perizia sembrano aver avuto un sicuro rilievo nella genesi delle condotte delittuose poste in essere dal M. e dal V. Nel M. sono emersi un «importante sbilanciamento depressivo dell'asse affettivo e la presenza [...] di tratti personologici marcatamente disarmonici», tali da facilitare «l'emergere di condotte regressive finalizzate all'ottenimento di immediata gratificazione e prive di adeguata valutazione del rischio che esse comportano». Sono state riscontrate alterazioni psicopatologiche tali da integrare il disturbo della personalita' ed altresi' il disturbo da abuso di sostanze (oppiacei), quest'ultimo «oggidi' in parziale remissione»; infine, il M. presenterebbe un quadro di depressione persistente. L'insieme delle patologie dalle quali egli risulta affetto sarebbero tali che «la capacita' di intendere e di volere al momento del fatto reato era grandemente scemata ma non totalmente abolita». Nel V. e' stato delineato un quadro di «disturbo della personalita' con tratti misti del primo e del secondo raggruppamento (particolarmente rilevanti i tratti schizotipico, narcisistico, istrionico, antisociale)»; anch'egli presenta i tratti del disturbo della personalita' e del disturbo da abuso di sostanze (oppiacei) - quest'ultimo in parziale remissione - di consistenza tale da acquisire qualita' morbosa, facendo ritenere anche per lui «la capacita' di intendere e di volere al momento del fatto reato [...] grandemente scemata ma non totalmente abolita». Come anticipato supra, il perito in udienza ha confermato la rilevanza delle patologie riscontrate sull'eziologia delle condotte delittuose contestate agli imputati, dichiarando che le stesse «lasciano traccia sulla globalita' del funzionamento mentale dei soggetti ... specialmente quelle parti del funzionamento mentale che vengono definite funzioni esecutive, quindi capacita' di programmazione, valutazione, valutazione inferenziale, criteri di appropriatezza e di opportunita', pesatura del rischio anche rispetto all'utile personale ...». Orbene, ritiene questo giudice che la ridotta capacita' di intendere e di volere degli imputati al momento del fatto non possa valere ad escludere tout court la recidiva reiterata nei loro confronti, attraverso la disapplicazione della stessa, in virtu' dell'asserita impossibilita' di muovere nei loro riguardi un addebito di maggiore rimproverabilita' soggettiva, dovuto all'atteggiamento antidoveroso della loro volonta'. Tale disapplicazione implicherebbe di conferire allo stato di mente degli imputati un valore tanto determinante nella genesi del reato da escludere che, nel caso di specie, gli stessi potessero essere sufficientemente sensibilizzati e motivati dai moniti provenienti dalle condanne riportate in precedenza. In ragione delle emergenze fattuali suesposte - il numero, la natura, le modalita', le altre circostanze dei precedenti illeciti - a parere di questo giudice cio' non e' consentito nel caso in esame. Un tale esito, peraltro, rischierebbe di sovrapporre indebitamente due piani che si ritiene essere distinti sia dal punto di vista antologico che sotto l'aspetto dommatico. Ed invero, i piani su cui si muovono il maggior addebito di colpevolezza da cui deriva il riconoscimento della recidiva reiterata ed il minore addebito mosso al soggetto che, al momento del fatto, si sia trovato in uno stato di semi-imputabilita', pur senz'altro contigui, sono tuttavia eterogenei e non sovrapponibili tra loro, potendo pertanto coesistere (talche', l'unico meccanismo per bilanciare tali fattori eterogenei, facendo uso della discrezionalita' orientata a valori legislativamente e costituzionalmente fondati, sarebbe per l'appunto quello dettato, in via generale, dall'art. 69 del codice penale). L'attenuante del vizio parziale di mente (art. 89 del codice penale), infatti - pur condividendo con la recidiva la natura di «circostanza inerente la persona del colpevole» (ai sensi del secondo comma dell'art. 70 del codice penale) -, attiene al piano dell'imputabilita', che della colpevolezza (cioe' del relativo giudizio) e' un presupposto, senza confondersi con essa. In particolare, la distinzione tra le due forme (totale e parziale) di vizio di mente e' affidata ad un criterio non qualitativo, ma quantitativo, prendendo la legge in considerazione il «grado» e non l'estensione della patologia mentale. Come si suole insegnare, quindi, vizio parziale non e' l'anomalia che interessa un solo settore della mente, bensi' quella che investe tutta la mente ma in misura meno grave. Pertanto, la valutazione circa l'imputabilita' o meno del soggetto semi-imputabile si risolve pur sempre nel senso della sua «imputabilita'», della possibilita', cioe', di effettuare scelte sufficientemente consapevoli tra motivi antagonistici: cio' implica che sia possibile, nei suoi confronti, addivenire a quel successivo giudizio di colpevolezza, nel quale rientra anche la valutazione dell'incidenza dei precedenti penali sulla rimproverabilita' del soggetto agente. Il giudizio di colpevolezza presuppone cioe' un gia' esperito - in senso non ostativo - vaglio sull'imputabilita' del soggetto, nel senso che questi possa, almeno in parte e secondo criteri di normalita' psico-fisica, essere motivato dalle norme di divieto. A parere di questo giudice, da cio' discende che non si possa, senza operare una forzatura (ed omettendo un vaglio individualizzante circa la responsabilita' dell'agente), escludere che, nei confronti del soggetto ritenuto semi-imputabile - e per il sol fatto che egli sia semi-imputabile -, assumano rilevanza i precedenti penali a suo carico anche nel senso di inferire dalla ricaduta nel delitto un giudizio di piu' accentuata rimproverabilita' (pur potendo, ovviamente, cio' valere nei singoli casi concreti, in particolare laddove il vizio parziale di mente si riveli determinante o costituisca addirittura la sola causa della commissione del delitto, come puo' accadere nel caso delle cd. monomanie). Anche laddove si riconosca un ruolo decisivo nell'eziologia del reato alla condizione di seminfermita' mentale, infatti, ben diverso puo' essere, nel caso concreto, l'addebito in termini di colpevolezza nei confronti di un soggetto parzialmente incapace (e, quindi, parzialmente capace) che abbia nel passato, anche recente, commesso plurimi reati della stessa specie di quello per cui si procede, rispetto a quello inerente un soggetto, parimenti seminfermo, a carico del quale non vi siano precedenti o vi siano precedenti non altrettanto significativi. Del resto, in tal senso sembra deporre una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimita', la quale - nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma del codice penale, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui (prima dell'intervento della Corte costituzionale, con sentenza n. 185 del 2015) escludeva la possibilita' per il giudice di verificare la concreta applicabilita' della recidiva nei confronti del seminfermo di mente - ha affermato che «nello stato di imputabilita' diminuita per vizio parziale di mente residua pur sempre una capacita', sia pure scemata, di intendere e di volere, e puo' ben essere configurato il dolo (1) , non impedendo la ridotta imputabilita' che l'evento sia preveduto e voluto dall'agente come conseguenza della propria azione od omissione. Non e', pertanto, irrazionale che possa essere prevista anche per il seminfermo di mente l'applicazione obbligatoria della recidiva, soprattutto ove si consideri che proprio la possibilita' di effettuare il giudizio di comparazione da un lato consente un trattamento sanzionatorio piu' severo nel caso in cui il giudice ritenga la prevalenza della recidiva, ma dall'altro consente un trattamento sanzionatorio piu' mite nel caso in cui il giudice stesso ritenga la prevalenza della circostanza inerente alla persona del colpevole, rimanendo in tal modo salvaguardata la discrezionalita' del giudicante» (Cassazione - Sezione II, sentenza n. 35006/2010). E' altrettanto evidente, quindi, che il riconoscimento, in questi casi, della recidiva non implica che la stessa non possa essere in concreto ritenuta subvalente rispetto alla circostanza di segno opposto costituita dal vizio parziale di mente da cui risulti affetto l'autore al momento del fatto, laddove la legge consentisse al giudice un effettivo giudizio di bilanciamento tra tali valori eterogenei, mediante l'utilizzo di una discrezionalita' assiologicamente orientata. Nel caso di specie, la riconosciuta rilevanza delle patologie riscontrate sull'eziologia delle condotte delittuose - specialmente per quanto attiene alle capacita' di programmazione e valutazione dei propri comportamenti da parte dei due imputati - potrebbe suggerire al giudice, ove non vi ostasse il dato normativo, di ritenere prevalente tale stato di mente sulla pur riconosciuta recidiva. Val la pena rammentare ancora una volta la circostanza che il M. ed il V. hanno riportato condanne definitive sia con riconoscimento della recidiva (anche reiterata) sia con riconoscimento dell'infermita' parziale (valutata, laddove posta in bilanciamento, in termini di equivalenza ed, in un caso, persino di prevalenza rispetto a tale recidiva); in due occasioni il V., come detto, e' stato assolto in quanto non punibile per vizio totale di mente. A fronte di tali, oscillanti pronunce, il sospetto e' che le rispettive vicende giudiziarie abbiano potuto risentire fortemente dell'esistenza del denunciato automatismo che, se da un lato intende contenere la discrezionalita' del giudice, dall'altro finisce paradossalmente per ampliarla (rectius, per allargare forzatamente il delta delle alternative disponibili), costringendolo all'alternativa «secca» tra l'esclusione tout court della recidiva (con un commodus discessus sovente incompatibile con le emergenze fattuali) ed il suo riconoscimento in misura quantomeno equivalente rispetto all'attenuante in discorso. B) Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' sollevate dalla normativa denunziata, occorre premettere che l'applicazione dell'automatismo di cui all'art. 69, quarto comma del codice penale condurrebbe ad individuare la pena, al piu', entro la cornice edittale prevista dall'art. 624 del codice penale (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 154 a euro 516), escludendo la possibilita' di adeguare, con il riconoscimento dell'attenuante del vizio parziale di mente in misura prevalente rispetto alla recidiva reiterata, la pena da irrogare all'effettiva entita' del fatto e, soprattutto, alle particolari condizioni personali degli imputati. Orbene, la Corte costituzionale ha sempre affermato che la legittimita', in via generale, di trattamenti differenziati per il recidivo - ossia per «un soggetto che delinque volontariamente pur dopo aver subito un processo ed una condanna per un delitto doloso, manifestando l'insufficienza, in chiave dissuasiva, dell'esperienza diretta e concreta del sistema sanzionatorio penale» (in questi termini, sentenza n. 249 del 2010) - non sottrae allo scrutinio di legittimita' costituzionale le singole norme che tali trattamenti prevedono. Quanto al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, poi, si e' ritenuto che questo consenta tra l'altro al giudice di «valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono» (Corte costituzionale, sentenza n. 38 del 1985). La valutazione complessiva degli elementi circostanziali, insita nel giudizio di comparazione fissato dall'art. 69 del codice penale - ha affermato anche la giurisprudenza di legittimita' (ex aliis, Cassazione - Sezione VI, sentenza n. 6 del 2014, Acquafredda e altri) - «trova fondamento nella necessita' di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa ed e' funzionale alla finalita' di quantificare la pena nel modo piu' aderente al caso concreto». Come anticipato, la Corte costituzionale, nelle numerose pronunce rese in merito alle deroghe che la legge pone a detto bilanciamento, ha affermato che le stesse sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte rimesse alla discrezionalita' del legislatore, risultando sindacabili «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012), non potendo in ogni caso «giungere a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale» (sentenza n. 251 del 2012). Le decisioni di segno «demolitorio» della norma oggi censurata hanno pertanto preso sempre in considerazione le peculiari caratteristiche della circostanza chiamata alla comparazione con la recidiva. In tutti i casi si e' trattato di circostanze ad effetto speciale, segnate da valori edittali di pena assai ridotti rispetto alla figura principale del reato: l'allora attenuante del fatto di lieve entita' di cui all'art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, prevedeva una pena detentiva pari nel massimo a quella minima prevista all'epoca per l'(unica) ipotesi-base; il minimo edittale della «ricettazione lieve» di cui all'art. 648, secondo comma del codice penale e' pari ad un quarantottesimo rispetto a quello previsto dal primo comma; anche l'ipotesi di «minore gravita'» di cui all'art. 609-bis, terzo comma del codice penale prevede una pena massima inferiore al minimo stabilito per la violenza sessuale di cui al primo comma; l'attenuante della «collaborazione» disciplinata dal comma 7 dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, prevede una diminuzione «dalla meta' a due terzi» rispetto alle ipotesi-base; infine, una sensibile diminuzione (fino a due terzi) e' riconosciuta per i fatti di bancarotta che abbiano «cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuita'». In secondo luogo, si e' trattato sempre di circostanze di tipo oggettivo, pertinenti ad un forte scarto nell'offensivita' della condotta delittuosa (con la rilevante eccezione dell'attenuante di cui all'art. 73, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990, ove si e' inteso incentivare il ravvedimento post-delittuoso del reo), talche' le menzionate pronunce hanno ravvisato nell'automatismo sanzionatorio oggi in discussione una «abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato», si' da sfigurare quel «diritto penale del fatto» che l'art. 25 della Costituzione, al secondo comma, incardina quale modello essenziale del sistema criminale. Come significativamente affermato nella sentenza n. 251/2012, «la recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosita' ed e' da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensivita' e' chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se cosi' non fosse, la rilevanza dell'offensivita' della fattispecie base potrebbe risultare "neutralizzata" da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosita'». Un analogo vizio di irragionevolezza, tuttavia, sembra potersi ravvisare altresi' nel divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 del codice penale - circostanza, evidentemente, ad effetto comune e di tipo soggettivo, inerente, in particolare, alla persona del colpevole - sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale, ponendosi lo stesso in contrasto con i principi sanciti dagli articoli 3, 27, commi primo e terzo, e 32 della Costituzione. Ed invero, la norma censurata e' in contrasto, innanzitutto, con i principi di uguaglianza (sub specie ragionevolezza e proporzione) e personalita' della responsabilita' penale di cui agli articoli 3 e 27, comma primo della Costituzione, perche' conduce ad applicare pene identiche a condotte di rilievo sostanziale enormemente diverso, impedendo un vaglio individualizzante della responsabilita' del singolo individuo. Non sembra doversi riconoscere valore ostativo, rispetto alla censura di incostituzionalita' che si intende prospettare, alla natura di circostanza ad effetto comune propria dell'attenuante in discorso: l'irragionevolezza insita nella mancata possibilita' di adeguata valutazione di un fattore tanto pregnante quale lo stato di seminfermita' del reo, in ragione di un automatismo legislativo, infatti, non puo' ancorarsi soltanto alla piu' o meno ampia distanza quoad poenam, rispetto al tipo base, che il suo riconoscimento comporta. Proprio in relazione all'attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 del codice penale, una risalente ma mai contraddetta pronuncia della giurisprudenza di legittimita' (Cassazione - Sezione I, sentenza n. 556 del 1996), nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del previgente art. 69, comma quarto del codice penale (nella parte in cui estendeva - come, del resto, estende tuttora - il giudizio di bilanciamento anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a quelle ad effetto speciale) sollevata con riferimento agli articoli 2, 3 e 27 della Costituzione, ancorava il proprio giudizio alla considerazione che detta disciplina da un lato consente un trattamento sanzionatorio piu' severo nel caso che il giudice di merito ritenga la prevalenza delle circostanze aggravanti, dall'altro lascia la possibilita' di un trattamento piu' mite nel caso in cui detto giudice ritenga al contrario la prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente. Anche una piu' recente pronuncia, che gia' si e' avuto modo di menzionare (Cassazione - Sezione II, sentenza n. 35006/2010), nel ritenere manifestamente infondata la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma del codice penale - laddove (nella versione precedente all'intervento parzialmente caducatorio del 2015 da parte del giudice delle leggi) escludeva la possibilita' per il giudice di verificare la concreta applicabilita' di tale recidiva nei confronti del seminfermo di mente -, sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione, argomentava che proprio la possibilita' di effettuare il giudizio di comparazione di cui all'art. 69 del codice penale da un lato avrebbe consentito un trattamento sanzionatorio piu' severo nel caso in cui il giudice avesse ritenuto la prevalenza della recidiva, ma dall'altro avrebbe consentito un trattamento piu' mite laddove il giudice stesso avesse ritenuto la prevalenza dell'attenuante inerente alla persona del colpevole, rimanendo in tal modo «salvaguardata la discrezionalita' del giudicante». Orbene, se il rispetto dei principi costituzionali di eguaglianza e di proporzionalita' della pena, in materia di circostanze inerenti la persona del colpevole e, nella fattispecie, di vizio parziale di mente viene dalla giurisprudenza ancorato alla possibilita' riconosciuta al giudice di valutare caso per caso l'eventualita' della prevalenza della particolare condizione soggettiva rispetto alle aggravanti concretamente ricorrenti, e' inevitabile che un meccanismo che deprivi il giudice di questa facolta' (consentendo solo il giudizio di equivalenza o addirittura di subvalenza dell'attenuante) possa finire per rimettere in discussione tutti i dubbi prospettati nel tempo in dottrina e in giurisprudenza in ordine alla legittimita' della stessa sottoposizione al giudizio di comparazione di questa particolare circostanza inerente la sfera dell'imputabilita'. Val la pena osservare, tra l'altro, come la eterogeneita' delle circostanze inerenti la persona del colpevole quanto di quelle ad effetto speciale (rectius, di quelle cc.dd. «autonome» e «indipendenti»), rispetto a quelle comuni, sia stata ben presente nel legislatore, che le ha sempre sottoposte, nella materia de qua, a trattazione unitaria: entrambe le categorie erano infatti originariamente sottratte al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, fino alla discussa novella del 1974, nella quale piu' di un autore intravide una «resa al potere discrezionale del giudice», peraltro priva di criteri-guida legislativamente predeterminati (piu' opportuno, si ritenne, sarebbe stato intervenire sugli ambiti edittali di pena o sull'apparato, a volte ipertrofico, delle circostanze aggravanti). Orbene, tale essendo la considerazione legislativa, in particolare, delle circostanze inerenti alla persona del colpevole (quelle che riguardano, cioe', l'imputabilita' e la recidiva), ritiene questo giudicante che possano ritenersi ragionevoli sia la comune sottrazione sia la comune sottoposizione delle stesse al giudizio di bilanciamento: non altrettanto puo' dirsi per una disposizione, come quella oggi censurata, che, pur in maniera parziale, sottragga soltanto una di esse - nella specie, la recidiva reiterata - al bilanciamento proprio con una circostanza tradizionalmente, logicamente e dogmaticamente meritevole della medesima considerazione. La conseguenza, inevitabile, e' l'impossibilita' di graduare il trattamento sanzionatorio in relazione all'obiettivo disvalore del fatto e all'effettiva personalita' del soggetto agente, col rischio di irrogare pene identiche a quelle usualmente inflitte per fatti ben piu' gravi, omettendo al contempo - si ripete - un vaglio individualizzante in relazione alla concreta responsabilita' «colpevole» del singolo, con violazione dei principi espressi dagli articoli 3 e 27, comma 1 della Costituzione. Ne discende altresi' il mancato rispetto della finalita' rieducativa della pena, sancita dall'art. 27, comma 3 della Costituzione, il quale implica un costante «"principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» e, «lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (Corte costituzionale, sentenza n. 313 del 1990). Cio' comporta la necessita' di calibrare specie e durata della sanzione, sia in sede normativa sia in sede applicativa, alle reali necessita' rieducative del soggetto destinatario della stessa, il quale, per aderire al programma di trattamento offerto, deve poter innanzitutto avvertire la pena inflitta come «giusta». Ebbene, il soggetto seminfermo di mente autore di un reato, ancorche' recidivo reiterato, deve essere sottoposto ad un trattamento sanzionatorio adeguato (anche) alla sua infermita', trattamento che potrebbe essere assicurato esclusivamente dalla possibilita' di ritenere in concreto prevalente l'attenuante prevista dall'art. 89 del codice penale sulla recidiva reiterata, allorche' cio' sia suggerito dalle risultanze di fatto emerse nel corso del processo. Solo in questo modo sarebbe infatti possibile irrogare una pena adeguata alla concreta gravita' del fatto, nonche' alla personalita' e colpevolezza dell'autore, tale da poter costituire il punto di partenza di un legittimo - ed auspicabilmente proficuo - percorso rieducativo. Da ultimo, la disposizione censurata finisce per violare altresi', a parere di questo giudicante, il principio espresso dall'art. 32 della Costituzione, il quale tutela la salute «non solo come interesse della collettivita' ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, sicche' si configura come un diritto primario ed assoluto» (Corte costituzionale, sentenze n. 356/1991, n. 202/1991, n. 559/1987, n. 184/1986 e n. 88/1979) che impone una piena ed esaustiva tutela (sentenze n. 307 e n. 455 del 1990). Si ponga mente al trattamento particolare che il legislatore ha riservato all'imputato minorenne, allorche' ha introdotto l'aggravante della finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale (con l'art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15) e quella del metodo mafioso (con l'art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 203, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203): ed invero, il generale divieto di equivalenza o prevalenza delle circostanze attenuanti con esse concorrenti ivi previsto non si estende all'attenuante della minore eta' di cui all'art. 98 del codice penale (oltre che a quella di cui all'art. 114 del codice penale). Anche la Corte costituzionale ha attribuito particolare rilievo all'attenuante della minore eta', allorche', tra l'altro, con sentenza del 28 aprile 1994, n. 168, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale (come modificato dall'art. 7 del decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito con legge 7 giugno 1974, n. 220), nella parte in cui - estendendo il giudizio di bilanciamento alle circostanze inerenti alla persona del colpevole - prevedeva che nei confronti del minore imputabile fosse applicabile la disposizione del primo comma dello stesso art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o piu' circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonche' nella parte in cui prevedeva che nei confronti del minore stesso fossero applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o piu' circostanze aggravanti che accedono ad un reato per il quale e' prevista la pena base dell'ergastolo. La questione fu ritenuta fondata in riferimento all'art. 31, in relazione con l'art. 27, comma 3 della Costituzione: «se l'art. 27, comma 3 non espone di per se' a censura di incostituzionalita' la previsione della pena dell'ergastolo ed il relativo carattere della perpetuita' [...], di esso deve darsi una lettura diversa allorche' lo si colleghi con l'art. 31 della Costituzione, che impone una incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del trattamento penalistico dei minori». Orbene, senza volere con cio' enfatizzare in misura eccessiva le analogie tra la condizione dell'infermo di mente e quella del minore di eta' (in relazione al quale il legislatore ha predisposto un sistema diversificato, non solo sul piano strettamente sanzionatorio), risulta evidente che anche il soggetto semi-imputabile per vizio di mente debba ricevere dall'ordinamento una risposta alla commissione di un fatto reato che sia non solo funzionale alla rieducazione ma, anche e soprattutto, improntata alla tutela della salute, secondo quanto imposto dall'art. 32 della Costituzione. Non e' un caso che l'art. 89 e l'art. 98 del codice penale risultino formulati nello stesso modo e, d'altra parte, la stessa Corte costituzionale ha efficacemente affermato, nelle fondamentali sentenze n. 253 del 2003 e n. 367 del 2004 - relative alla declaratoria di illegittimita' costituzionale rispettivamente degli articoli 222 e 206 del codice penale - che «la situazione dell'infermo di mente [...] e' per molti versi assimilabile a quella di una persona bisognosa di protezione come il minore e le esigenze di tutela della collettivita' non possono prevalere su quelle della salute». Ne discende che la possibile (e, si badi, non automatica) assimilazione dell'infermo di mente e del minore di eta', sotto il profilo dell'immaturita' intellettiva, affettiva e volitiva, comporta che anche alla circostanza attenuante prevista dall'art. 89 del codice penale, benche' ad effetto comune, debba essere riconosciuto un valore particolarmente pregnante, quanto alle esigenze di tutela che la stessa evoca, per cui la norma che la sottrae, sia pur parzialmente, al giudizio di bilanciamento con la recidiva reiterata, impedendone la prevalenza su quest'ultima, deve essere ritenuta irragionevole. In definitiva, si ritiene che l'automatismo sanzionatorio che stabilisce il divieto di prevalenza della diminuente del vizio parziale di mente rispetto alla recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale violi esigenze essenziali di uguaglianza, sub specie ragionevolezza e proporzionalita' (art. 3 della Costituzione), di personalita' della responsabilita' penale (art. 27, primo comma della Costituzione), di finalita' rieducativa della pena (art. 27, terzo comma della Costituzione) e di protezione dei diritti della persona, con particolare riguardo al diritto alla salute (art. 32 della Costituzione). (1) Qui probabilmente la citata sentenza prova troppo, sovrapponendo indebitamente - a parere di questo giudicante - il piano dell'elemento psicologico del fatto e quello, distinto, della colpevolezza, non potendosi escludere a priori la sussistenza del dolo anche nel soggetto totalmente incapace (in questo senso sembra deporre lo stesso art. 222 del codice penale).
P.Q.M. Letto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Solleva, in quanto rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice penale (come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251), in relazione agli articoli 3, 27, commi primo e terzo, e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 del codice penale sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma del codice penale; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle camere del Parlamento. Reggio Calabria, 29 gennaio 2019 Il Giudice: Forte