N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2019

Ordinanza del 29 gennaio 2019 del Tribunale di  Reggio  Calabria  nel
procedimento penale a carico di M.V. e V.V.. 
 
Reati e pene - Concorso di  circostanze  aggravanti  e  attenuanti  -
  Divieto di prevalenza del vizio parziale di mente di  cui  all'art.
  89 cod. pen. rispetto alla recidiva reiterata di cui  all'art.  99,
  quarto comma, cod. pen. 
- Codice penale, art. 69, comma quarto, come sostituito  dall'art.  3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice  penale  e
  alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche,
  di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato
  per i recidivi, di usura e di prescrizione). 
(GU n.36 del 4-9-2019 )
 
                     TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA 
                    Sezione dibattimentale penale 
 
    Il giudice, dott. Fabrizio Forte, a scioglimento della riserva di
decidere formulata all'udienza del 29 gennaio 2019,  nell'ambito  del
processo in epigrafe, a carico di M.V., e V.V., imputati:  del  reato
p. e p. dagli articoli 110, 624-625 nn. 2 e 7, 61  n.  5  del  codice
penale, perche',  in  concorso  morale  e  materiale  fra  loro,  con
violenza sulle cose (necessaria a sradicare dal muro i  due  pluviali
in rame poi sottratti) e  danneggiando,  contestualmente,  l'intonaco
del  muro  esterno  dell'ingresso  laterale   destro   della   chiesa
greco-ortodossa,  si  impossessavano  al  fine  di  profitto  di  due
pluviali in rame, di proprieta' del predetto  ente  religioso  (parte
del rame, al momento dell'intervento degli operanti, era  gia'  stato
occultato sulla vettura di proprieta' del M.)  sottraendoli,  con  la
condotta sopra descritta, al legittimo proprietario. 
    Fatto aggravato, altresi', dall'aver approfittato di  circostanze
di tempo (la condotta delittuosa risultava ancora in corso  alle  ore
2,30 di notte) tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. 
    In Reggio Calabria, in data 3 luglio 2018. 
    Recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale per entrambi. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza per sollevare  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del  codice
penale (come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251), in quanto rilevante e non manifestamente infondata in relazione
agli articoli 3, 27, 1° e 3° comma, e 32  della  Costituzione,  nella
parte in cui prevede  il  divieto  di  prevalenza  della  circostanza
attenuante del vizio parziale di  mente  prevista  dall'art.  89  del
codice penale sulla recidiva reiterata di  cui  all'art.  99,  quarto
comma del codice penale. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    In seguito ad arresto, eseguito in data 3  luglio  2018,  M.V.  e
V.V. sono stati condotti in pari data dinanzi al giudice  monocratico
del Tribunale di Reggio Calabria per la convalida ed  il  contestuale
giudizio con il  rito  direttissimo  in  ordine  al  reato  di  furto
pluriaggravato, commesso in  concorso  tra  loro,  come  indicato  in
epigrafe. Ad entrambi gli imputati e' stata  contestata  la  recidiva
reiterata, specifica ed infraquinquennale. 
    Convalidato l'arresto ed  instaurato  il  giudizio  con  il  rito
direttissimo, il giudice ha disposto un breve rinvio del processo  su
richiesta di un termine a  difesa  da  parte  degli  imputati.  Indi,
all'udienza  del  10  luglio  2018,  le  difese,  munite  di  procura
speciale, hanno chiesto la definizione del processo nelle  forme  del
rito  abbreviato,  condizionato  all'espletamento  di   una   perizia
psichiatrica sullo stato di  mente  degli  imputati  al  momento  del
fatto; hanno prodotto, all'uopo, documentazione medica  attestante  i
pregressi ricoveri cui  sono  stati  sottoposti  gli  imputati  e  le
patologie dalle quali gli stessi erano affetti (con riguardo  al  V.,
sono  state  prodotte  altresi'  due  relazioni   peritali,   redatte
nell'ambito di altrettanti procedimenti penali, che  attestavano  una
capacita' di intendere e di volere totalmente abolita, in  ordine  ad
un episodio delittuoso del 2013, e grandemente scemata, in ordine  ad
un analogo episodio del 2016). Il giudice,  ritenendo  l'integrazione
probatoria necessaria ai fini della decisione e  compatibile  con  le
finalita' di economia processuale  proprie  del  rito  prescelto,  ha
disposto il giudizio abbreviato, conferendo, alla successiva  udienza
dell'11 settembre  2018,  il  relativo  incarico  peritale  al  dott.
Giovanni Francesco Malara. 
    Il perito, nella relazione depositata in data 19  novembre  2018,
ha dato atto di aver visitato e valutato disgiuntamente,  in  diverse
giornate, i due periziandi e di aver  sottoposto  entrambi  ad  esame
clinico ed il solo M. a valutazione «testologica» (non  essendosi  il
V.  presentato  agli  appuntamenti  all'uopo  concordati:  il  perito
riferisce tuttavia di conoscere la storia clinica del V., per  averlo
gia' sottoposto a valutazione psichiatrico-forense nell'ambito di  un
altro procedimento giudiziario). 
    Quanto al M.V., in particolare, la relazione peritale afferma che
«l'esame clinico ha escluso la sussistenza  di  patologie  psicotiche
strutturate ma ha evidenziato un importante sbilanciamento depressivo
dell'asse affettivo e  la  presenza  [...]  di  tratti  personologici
marcatamente disarmonici. Si tratta, dunque, di un soggetto nel quale
la presenza di  severe  disarmonie  dell'organizzazione  fondamentale
della personalita' (vedi la pervasivita'  dei  tratti  antisociale  e
schizoide che risulta  dal  test)  fanno  assumere  una  connotazione
disforica  alla  sofferenza   affettiva   e,   assai   probabilmente,
facilitano   l'emergere   di    condotte    regressive    finalizzate
all'ottenimento di  immediata  gratificazione  e  prive  di  adeguata
valutazione del rischio che esse comportano. Per cio' che riguarda il
funzionamento mentale del soggetto al momento  del  fatto  reato,  si
richiama l'attenzione sul fatto che egli e' stato in grado di fornire
una pur personale (autogiustificativa  e  proiettivamente  orientata)
ricostruzione degli eventi; mancano, invece,  screzi  confusionali  o
distorsioni a tinta psicotica dei dati di realta' ed anche lo sfumato
declino delle prestazioni cognitive non e' tale da destrutturare, per
se stesso ed  in  misura  grave,  il  rapporto  con  la  realta'.  Il
complesso  psicopatologico  asseverato  (depressione   e   disarmonia
personologica) induce a ritenere che la  capacita'  di  intendere  e,
soprattutto, la capacita' di volere del M. momento  del  fatto  reato
era grandemente scemata ma non totalmente abolita». 
    Con riguardo al V., la relazione peritale riferisce  innanzitutto
che dalla stessa circostanza che il periziando  abbia  disertato  gli
appuntamenti concordati per l'esperimento dell'esame «testologico» si
possa trarre un'indiretta conferma dei  dati  clinici  delineanti  un
quadro di «disturbo della personalita' con tratti misti del  primo  e
del  secondo  raggruppamento  (particolarmente  rilevanti  i   tratti
schizotipico, narcisistico, istrionico, antisociale)». Ed invero, «il
ripetuto sottrarsi alla visita medico-legale (senza  preoccuparsi  di
preavvertire l'esaminatore o di fornirgli adeguata  giustificazione),
la qualita'  supponente  di  certi  comportamenti  in  relazione,  la
poverta' dell'empatia, l'insistita convinzione di  essere  meritevole
di particolare considerazione, infatti, rimandano ad un funzionamento
mentale distorto dalla sovrarappresentazione dei citati tratti.  Pure
nel caso del V., il disturbo di personalita' ha consistenza  tale  da
acquisire qualita' morbosa, ma non  appare  tanto  destrutturante  da
giustificare un giudizio medico-legale  di  totale  abolizione  della
capacita' di intendere e di volere». 
    In definitiva, con  riferimento  ad  entrambi  gli  imputati,  il
perito  ha  concluso  osservando  «alterazioni  psicopatologiche  che
soddisfano i criteri diagnostici per il disturbo della personalita'»;
in ambedue  i  soggetti  egli  ha  ravvisato  altresi'  «le  stimmate
psicologiche di un disturbo da abuso di sostanze (oppiacei),  oggidi'
in parziale remissione»; il solo M.,  inoltre,  «presenta  un  quadro
di depressione persistente»: sia per il M. che per il V. il perito ha
ritenuto pertanto che «la capacita'  di  intendere  e  di  volere  al
momento del fatto reato era grandemente  scemata  ma  non  totalmente
abolita». 
    Interrogato, poi, all'udienza dell'11  dicembre  2018  in  ordine
alla  rilevanza  delle  patologie  riscontrate  sull'eziologia  delle
condotte delittuose in oggetto, il perito ha aggiunto che  le  stesse
«hanno una rilevanza generale, dal momento che lasciano traccia sulla
globalita' del funzionamento mentale dei  soggetti  ...  specialmente
quelle parti del funzionamento mentale che vengono definite  funzioni
esecutive,   quindi   capacita'   di   programmazione,   valutazione,
valutazione   inferenziale,   criteri   di   appropriatezza   e    di
opportunita', pesatura del rischio anche rispetto all'utile personale
...». 
    Come anticipato, ad entrambi gli imputati e' stata contestata  la
recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. Ed invero,  dalla
lettura  dei  rispettivi  certificati  del   casellario   giudiziale,
emergono, sia a carico del M. che  del  V.,  plurimi  precedenti  per
reati contro il patrimonio (entrambi hanno riportato diverse condanne
passate  in  giudicato  per  rapina,  furto  tentato   e   consumato,
ricettazione,  danneggiamento),  alcuni  dei  quali  anche  in  epoca
relativamente recente ed, in ogni caso,  nel  quinquennio  precedente
alla commissione del fatto per il quale si procede; nei confronti  di
entrambi, in piu' occasioni, e' stata riconosciuta la recidiva (anche
reiterata) ed applicato il relativo aumento; il V. e'  stato  assolto
in due occasioni per vizio totale  di  mente  e,  in  un  altro  caso
(tentativo di furto aggravato, commesso  nel  2017),  ad  onta  della
contestazione  della  recidiva  reiterata  di  cui  al  quarto  comma
dell'art.  99  del  codice  penale,  il   dispositivo,   riconosciuta
l'attenuante del vizio parziale di mente,  ha  ritenuto  quest'ultima
prevalente sulle aggravanti;  dal  canto  suo,  il  M.  annovera  una
sentenza di condanna (per un'evasione,  commessa  nel  2013)  il  cui
dispositivo, in virtu' del disposto dell'art. 69,  quarto  comma  del
codice penale, ha riconosciuto  equivalenti  l'attenuante  del  vizio
parziale di mente e la recidiva reiterata, cosi' come contestata. 
    Per le valutazioni in merito a tali,  oscillanti  pronunce  e  al
rilievo da dare ai numerosi precedenti, qui sommariamente  enumerati,
si  rinvia  al  seguente  paragrafo,  in  punto  di  rilevanza  della
questione. 
    Orbene, all'odierna  udienza,  fissata  per  la  discussione  del
processo, le parti - gia' invitate ad  interloquire  sugli  eventuali
profili di illegittimita' della disciplina  normativa  applicabile  -
hanno  concluso  come  segue:  il  pubblico  ministero  ha   eccepito
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del codice
penale, per violazione degli articoli 3 e 27 della  Costituzione;  la
difesa di V.V. si e' associata alla richiesta del pubblico ministero,
rimettendosi alla  decisione  del  giudice;  la  difesa  di  M.V.  ha
depositato una memoria conclusiva, con la quale  ha  chiesto  in  via
principale l'esclusione della recidiva  ed  il  riconoscimento  delle
circostanze attenuanti di cui agli articoli 62, n. 4, 62-bis e 89 del
codice  penale  in  misura  prevalente   rispetto   alle   contestate
aggravanti di cui agli articoli 625, comma 1, n. 2 e n. 7 del  codice
penale; in subordine, la stessa  si  e'  associata  all'eccezione  di
illegittimita' costituzionale sollevata dalle altre parti. 
    Si  ritiene,  pertanto,  di  dover  sollevare  la  questione   di
legittimita' costituzionale  descritta  in  premessa,  non  potendosi
definire il giudizio indipendentemente dalla sua  risoluzione  e  non
risultando la stessa manifestamente infondata, con le motivazioni che
di seguito si esporranno. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Questo giudice ritiene di dover premettere, alla  valutazione  in
termini di rilevanza e non  manifesta  infondatezza  della  questione
sollevata, alcune considerazioni in ordine alle peculiarita'  che  la
stessa presenta rispetto a quelle, di analogo tenore, cui hanno fatto
seguito in passato pronunce parzialmente  «demolitorie»  della  norma
oggi  censurata  (il  riferimento  e'  alle  sentenze   della   Corte
costituzionale n. 251 del 5 novembre 2012, n. 105 e  n.  106  del  18
aprile 2014, n. 74 del 7 aprile 2016 e n. 205 del 17 luglio 2017). 
    E' noto, infatti, che da parte della Corte costituzionale non  vi
sia stata, finora, una valutazione sfavorevole a  carattere  generale
dell'automatismo sanzionatorio imposto dal quarto comma dell'art.  69
del codice penale, cioe' una stima negativa circa  la  tollerabilita'
costituzionale della regola che esclude la subvalenza della  recidiva
reiterata rispetto a circostanze di segno opposto. Si e' ritenuto, in
buona sostanza, che il legislatore sia libero di alterare il  normale
meccanismo di comparazione  tra  circostanze,  anche  (ma  non  solo)
riguardo allo specifico caso della  recidiva  reiterata,  purche'  la
scelta non produca esiti  di  manifesta  irragionevolezza.  L'analisi
circa la ragionevolezza o meno di tale automatismo e' stata  condotta
prevalentemente  in  base  alle   peculiari   caratteristiche   della
circostanza chiamata alla comparazione con la recidiva. 
    Innanzitutto,  le  circostanze  attenuanti  il  cui  divieto   di
prevalenza rispetto alla recidiva reiterata e' stato ritenuto, fino a
questo momento, irragionevole (tanto da pervenire ad esiti demolitori
di detto automatismo) hanno avuto  in  comune  la  caratteristica  di
essere tutte circostanze ad effetto speciale: circostanze, cioe',  il
cui  riconoscimento  comporta  una  tale  divaricazione   del   delta
sanzionatorio  rispetto  alle  corrispondenti  ipotesi-base,  che  la
«neutralizzazione» delle stesse per l'operare del meccanismo  di  cui
all'art. 69, quarto comma del codice penale avrebbe condotto ad esiti
del tutto irragionevoli, giungendo a determinare un'alterazione degli
equilibri  costituzionalmente  imposti  nella  strutturazione   della
responsabilita' penale. Nel caso che si intende  sottoporre  oggi  al
vaglio della Corte, invece (vizio parziale di mente, di cui  all'art.
89  del  codice  penale),  si  e'  evidentemente  di  fronte  ad  una
circostanza attenuante  ad  effetto  comune,  il  cui  riconoscimento
comporta una diminuzione di pena fino a un terzo (come suggerisce  la
locuzione «la pena e' diminuita», da leggersi  in  combinato  con  la
regola generale posta dall'art. 65, n. 3) del codice penale). 
    Le pronunce demolitorie  del  menzionato  automatismo  hanno,  in
secondo  luogo,  avuto  ad  oggetto  fino  a  questo   momento   solo
circostanze  attenuanti  di  tipo  «oggettivo»  (concernenti,  cioe',
secondo la definizione contenuta nell'art. 70, comma  1,  n.  1)  del
codice penale, la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il
luogo e ogni altra modalita' dell'azione, la gravita' del danno o del
pericolo, ovvero le condizioni o le qualita' personali  dell'offeso),
talche'  il  divieto  di  prevalenza  delle  stesse  sulla   recidiva
reiterata di cui al quarto comma dell'art. 99 del codice  penale,  si
e' osservato, indirizzava l'individuazione della pena concreta  verso
un'abnorme enfatizzazione delle componenti  soggettive  riconducibili
alla ricaduta del reo nel  delitto,  a  detrimento  delle  componenti
oggettive del reato. Nel caso in  esame,  viceversa,  la  circostanza
attenuante da porre in bilanciamento con la recidiva reiterata e'  di
tipo «soggettivo», ai sensi del medesimo art. 70, comma 1, n. 2)  del
codice  penale:  si  tratta,  in  particolare,  di  una  «circostanza
inerente la persona del colpevole», categoria alla quale appartengono
(art. 70, comma 2  del  codice  penale)  le  circostanze  riguardanti
l'imputabilita' e la - stessa - recidiva. Il che, se da un lato -  in
punto di fondatezza o meno della  questione  -  non  consente  quella
stigmatizzazione dell'enfasi  rivolta  al  «tipo  d'autore»  rispetto
all'effettivo disvalore  del  fatto  (e,  quindi,  il  richiamo  alla
violazione del principio  di  offensivita');  dall'altro  lato -  per
quanto attiene alla rilevanza  della  questione -  pone  il  delicato
problema se, a fronte di un  vizio  di  mente  di  tale  gravita'  da
risultare determinante nell'eziologia del reato, non sia da escludere
del tutto il rilievo della recidiva,  disapplicandola,  in  quanto  i
precedenti  penali  non  sarebbero  dimostrativi  di   una   maggiore
«colpevolezza» dell'autore del reato. 
    Cionondimeno, si ritiene che tali considerazioni, pur  pregnanti,
non siano di ostacolo ad un giudizio in  termini  di  rilevanza  (nel
caso concreto) e non manifesta infondatezza della questione che  oggi
si intende  porre  al  vaglio  della  Corte,  come  si  cerchera'  di
argomentare. 
    A) Quanto alla rilevanza della questione, questo giudice  ritiene
di non potere, allo stato  degli  atti  utilizzabili  ai  fini  della
decisione  e  senza  incorrere  in  forzature  interpretative   degli
elementi di fatto emergenti dagli stessi, escludere tout  court,  nei
confronti di  M.V.  e  V.V.,  la  recidiva  reiterata,  specifica  ed
infraquinquennale, cosi' come ad essi contestata. 
    Ed invero, M.V. risulta essere  stato  condannato,  con  sentenze
passate in giudicato, tra l'altro: in  data  27  novembre  1992,  per
ricettazione; in data 24 settembre 1993, per concorso in  violenza  a
pubblico ufficiale e danneggiamento; in data  3  novembre  2005,  per
concorso in tentata rapina e lesioni personali; in  data  31  gennaio
2012, per furto aggravato; in data 28 giugno 2012, ancora  per  furto
aggravato, con applicazione della recidiva reiterata di cui  all'art.
99, quarto comma, prima  ipotesi,  del  codice  penale;  in  data  17
dicembre  2013,  per  evasione,  con  applicazione   della   recidiva
reiterata ed infraquinquennale ex  art.  99,  quarto  comma,  seconda
ipotesi, del codice penale;  in  data  11  marzo  2014,  infine,  per
evasione e resistenza a un  pubblico  ufficiale,  con  riconoscimento
delle attenuanti - tra cui, come detto,  quella  della  seminfermita'
mentale di cui all'art. 89 del codice penale - in misura  equivalente
alla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale (con espresso
richiamo al meccanismo imposto dall'art. 69, comma quarto del  codice
penale). 
    V.V., invece,  e'  stato  condannato,  con  sentenze  passate  in
giudicato, tra l'altro:  in  data  7  novembre  1991,  per  furto  in
concorso (con l'attenuante della minore  eta',  art.  98  del  codice
penale); sempre in data 7 novembre 1991,  per  rapina,  detenzione  e
porto illegale di armi e munizioni  (con  l'attenuante  della  minore
eta' di cui al citato art. 98); in data 24  aprile  1992,  per  furto
aggravato in concorso  (anche  in  questo  caso,  con  riconoscimento
dell'attenuante della minore eta'); in  data  8  febbraio  1996,  per
furto aggravato  e  resistenza  a  pubblico  ufficiale;  in  data  25
novembre 1997, per concorso in un tentativo di  furto  aggravato;  in
data 5 febbraio 2003, nuovamente per  concorso  in  un  tentativo  di
furto aggravato; in  data  1°  marzo  2005,  per  furto  aggravato  e
resistenza a  pubblico  ufficiale;  in  data  12  gennaio  2010,  per
ricettazione; in data 28 giugno 2012, per danneggiamento  seguito  da
incendio, lesione personale e resistenza a  pubblico  ufficiale,  con
applicazione della recidiva reiterata ed infraquinquennale; in data 3
marzo 2016, per  violazione  di  domicilio,  con  applicazione  della
recidiva  reiterata,  specifica  ed  infraquinquennale;  in  data  21
ottobre 2016, per furto aggravato, con  applicazione  della  recidiva
reiterata ed infraquinquennale; in data 31  marzo  2017,  per  alcuni
furti,  consumati  e  tentati,  in  continuazione,  con  applicazione
dell'attenuante del vizio parziale di  mente  in  misura  equivalente
alla recidiva reiterata e specifica; in data  26  ottobre  2017,  per
furto tentato, con prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 89  del
codice  penale  sulle  riconosciute   aggravanti,   ad   onta   della
contestazione    della    recidiva    reiterata,     specifica     ed
infraquinquennale  (non  e'  dato  sapere  se  previa  esclusione  di
quest'ultima ovvero in violazione dell'automatismo imposto  dall'art.
69, quarto comma del codice penale). In due  occasioni,  in  data  10
maggio 2011 e in data 29  settembre  2017,  il  V.  e'  stato  invece
assolto da altrettante  ipotesi  di  danneggiamento  per  difetto  di
imputabilita', dovuta a vizio totale di mente  (art.  88  del  codice
penale). 
    Ritiene questo giudice che sussistano  senz'altro,  nel  caso  di
specie, gli indici rivelatori di  una  relazione  qualificata  tra  i
descritti precedenti ed il nuovo illecito, per il  quale  si  procede
(il furto in concorso di due pluviali in rame), trattandosi di  reati
della stessa indole, omogenei dal punto di vista del  bene  giuridico
offeso, posti in essere nel tempo, senza  che  possa  ravvisarsi  una
qualche soluzione di  continuita'  nella  perpetrazione  di  condotte
antigiuridiche da parte  di  entrambi  gli  imputati.  Dagli  atti  a
disposizione di questo giudice (ed in  particolare  dalle  precedenti
perizie e dai documenti clinici depositati dalle  difese  a  sostegno
della richiesta di perizia), si evince peraltro un'omogeneita'  degli
episodi delittuosi pregressi ed attuale anche quanto al contesto  nel
quale le condotte sono state poste in essere e alle  modalita'  delle
stesse (in ore notturne, con mezzi e modalita' piuttosto rudimentali)
ed altresi' all'entita' delle rispettive offese (trattandosi  sovente
di beni di scarso valore patrimoniale). 
    Si ritiene pertanto, in accordo con  l'orientamento  espresso  in
materia dalla giurisprudenza costituzionale (sin  dalla  sentenza  n.
192/2007) e di legittimita' (ex aliis, Cassazione  -  Sezione  unica,
sentenze n. 35738 del 27 maggio 2010  e  n.  20798  del  24  febbraio
2011), che nel caso di specie la reiterazione dell'illecito,  «al  di
la' del mero ed indifferenziato riscontro formale  dell'esistenza  di
precedenti penali», sia effettivo sintomo e di maggiore  colpevolezza
e di una piu' elevata capacita' a delinquere dei due imputati. 
    Ed invero, accanto ad una piu' accentuata pericolosita'  sociale,
tali e tanti precedenti  specifici,  posti  in  essere  con  analoghe
modalita'  (talche'  sembra  da  escludersi  l'occasionalita'   della
ricaduta), lasciano emergere senz'altro una peculiare  insensibilita'
degli imputati nei confronti delle condanne precedentemente riportate
e dell'implicito  monito  a  non  violare  piu'  la  legge,  in  esse
contenuto, comportando un  maggiore  addebito  anche  in  termini  di
rimproverabilita' soggettiva. 
    D'altra parte,  le  patologie  mentali  riscontrate  in  sede  di
perizia sembrano aver avuto un  sicuro  rilievo  nella  genesi  delle
condotte delittuose poste in essere dal M. e dal V. 
    Nel M.  sono  emersi  un  «importante  sbilanciamento  depressivo
dell'asse affettivo e  la  presenza  [...]  di  tratti  personologici
marcatamente disarmonici», tali da facilitare «l'emergere di condotte
regressive finalizzate all'ottenimento di immediata gratificazione  e
prive di adeguata valutazione del rischio che esse comportano».  Sono
state riscontrate alterazioni psicopatologiche tali da  integrare  il
disturbo della personalita' ed  altresi'  il  disturbo  da  abuso  di
sostanze (oppiacei), quest'ultimo «oggidi' in  parziale  remissione»;
infine, il M. presenterebbe un  quadro  di  depressione  persistente.
L'insieme delle patologie dalle quali egli risulta affetto  sarebbero
tali che «la capacita' di intendere e di volere al momento del  fatto
reato era grandemente scemata ma non totalmente abolita». 
    Nel  V.  e'  stato  delineato  un  quadro  di   «disturbo   della
personalita' con tratti misti del primo e del secondo  raggruppamento
(particolarmente  rilevanti  i  tratti  schizotipico,   narcisistico,
istrionico, antisociale)»; anch'egli presenta i tratti  del  disturbo
della personalita' e del disturbo da abuso di sostanze  (oppiacei)  -
quest'ultimo  in  parziale  remissione  -  di  consistenza  tale   da
acquisire qualita'  morbosa,  facendo  ritenere  anche  per  lui  «la
capacita' di intendere e di volere al momento del fatto  reato  [...]
grandemente scemata ma non totalmente abolita». 
    Come anticipato supra, il perito  in  udienza  ha  confermato  la
rilevanza delle patologie riscontrate sull'eziologia  delle  condotte
delittuose  contestate  agli  imputati,  dichiarando  che  le  stesse
«lasciano traccia sulla  globalita'  del  funzionamento  mentale  dei
soggetti ... specialmente quelle parti del funzionamento mentale  che
vengono   definite   funzioni   esecutive,   quindi   capacita'    di
programmazione, valutazione,  valutazione  inferenziale,  criteri  di
appropriatezza e di opportunita', pesatura del rischio anche rispetto
all'utile personale ...». 
    Orbene, ritiene  questo  giudice  che  la  ridotta  capacita'  di
intendere e di volere degli imputati al momento del fatto  non  possa
valere ad  escludere  tout  court  la  recidiva  reiterata  nei  loro
confronti, attraverso la  disapplicazione  della  stessa,  in  virtu'
dell'asserita impossibilita' di muovere nei loro riguardi un addebito
di maggiore rimproverabilita'  soggettiva,  dovuto  all'atteggiamento
antidoveroso della loro volonta'. Tale disapplicazione  implicherebbe
di conferire allo stato di  mente  degli  imputati  un  valore  tanto
determinante nella genesi del reato da escludere  che,  nel  caso  di
specie, gli stessi potessero essere sufficientemente sensibilizzati e
motivati  dai  moniti  provenienti  dalle   condanne   riportate   in
precedenza. In  ragione  delle  emergenze  fattuali  suesposte  -  il
numero, la natura, le modalita', le altre circostanze dei  precedenti
illeciti - a parere di questo giudice cio' non e' consentito nel caso
in esame. 
    Un   tale   esito,   peraltro,   rischierebbe   di    sovrapporre
indebitamente due piani che si ritiene essere distinti sia dal  punto
di vista antologico che sotto l'aspetto dommatico. Ed invero, i piani
su cui si muovono il maggior addebito di colpevolezza da  cui  deriva
il riconoscimento della recidiva  reiterata  ed  il  minore  addebito
mosso al soggetto che, al momento del fatto, si sia  trovato  in  uno
stato di semi-imputabilita', pur senz'altro contigui,  sono  tuttavia
eterogenei e non sovrapponibili tra loro, potendo pertanto coesistere
(talche', l'unico meccanismo per bilanciare tali fattori  eterogenei,
facendo   uso   della    discrezionalita'    orientata    a    valori
legislativamente e costituzionalmente fondati, sarebbe per  l'appunto
quello dettato, in via generale, dall'art. 69 del codice penale). 
    L'attenuante del vizio parziale di  mente  (art.  89  del  codice
penale), infatti - pur condividendo con  la  recidiva  la  natura  di
«circostanza inerente la persona del colpevole» (ai sensi del secondo
comma  dell'art.  70  del  codice  penale)  -,   attiene   al   piano
dell'imputabilita',  che  della  colpevolezza  (cioe'  del   relativo
giudizio)  e'  un  presupposto,  senza  confondersi  con   essa.   In
particolare, la distinzione tra le due forme (totale e  parziale)  di
vizio di mente  e'  affidata  ad  un  criterio  non  qualitativo,  ma
quantitativo, prendendo la legge in considerazione il «grado»  e  non
l'estensione  della  patologia  mentale.  Come  si  suole  insegnare,
quindi, vizio parziale  non  e'  l'anomalia  che  interessa  un  solo
settore della mente, bensi' quella che investe tutta la mente  ma  in
misura meno grave. 
    Pertanto,  la  valutazione  circa  l'imputabilita'  o  meno   del
soggetto semi-imputabile si risolve pur sempre nel  senso  della  sua
«imputabilita'», della  possibilita',  cioe',  di  effettuare  scelte
sufficientemente consapevoli tra motivi antagonistici:  cio'  implica
che sia possibile, nei suoi confronti, addivenire a  quel  successivo
giudizio di colpevolezza, nel  quale  rientra  anche  la  valutazione
dell'incidenza dei  precedenti  penali  sulla  rimproverabilita'  del
soggetto agente. Il giudizio di colpevolezza presuppone cioe' un gia'
esperito - in senso  non  ostativo -  vaglio  sull'imputabilita'  del
soggetto, nel senso che questi  possa,  almeno  in  parte  e  secondo
criteri di normalita' psico-fisica, essere motivato  dalle  norme  di
divieto. 
    A parere di questo giudice, da cio' discende che  non  si  possa,
senza operare una forzatura (ed omettendo un vaglio individualizzante
circa la responsabilita' dell'agente), escludere che,  nei  confronti
del soggetto ritenuto semi-imputabile - e per il sol fatto  che  egli
sia semi-imputabile -, assumano rilevanza i precedenti penali  a  suo
carico anche nel senso di inferire  dalla  ricaduta  nel  delitto  un
giudizio  di  piu'   accentuata   rimproverabilita'   (pur   potendo,
ovviamente, cio' valere nei singoli  casi  concreti,  in  particolare
laddove  il  vizio  parziale  di  mente  si  riveli  determinante   o
costituisca addirittura la sola causa della commissione del  delitto,
come puo' accadere nel caso delle cd. monomanie). 
    Anche laddove si riconosca un ruolo decisivo  nell'eziologia  del
reato alla condizione di seminfermita' mentale, infatti, ben  diverso
puo' essere, nel caso concreto, l'addebito in termini di colpevolezza
nei confronti  di  un  soggetto  parzialmente  incapace  (e,  quindi,
parzialmente capace) che abbia nel passato, anche  recente,  commesso
plurimi reati della stessa specie  di  quello  per  cui  si  procede,
rispetto a quello  inerente  un  soggetto,  parimenti  seminfermo,  a
carico del quale non vi siano precedenti o vi  siano  precedenti  non
altrettanto significativi. 
    Del resto, in tal senso  sembra  deporre  una  recente  pronuncia
della  giurisprudenza  di  legittimita',  la  quale  -  nel  ritenere
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  99,  quinto  comma  del  codice  penale,  con  riferimento
all'art.  3  della  Costituzione,   nella   parte   in   cui   (prima
dell'intervento della Corte costituzionale, con sentenza n.  185  del
2015) escludeva la possibilita'  per  il  giudice  di  verificare  la
concreta applicabilita' della recidiva nei confronti  del  seminfermo
di mente - ha affermato che «nello stato di  imputabilita'  diminuita
per vizio parziale di mente residua pur  sempre  una  capacita',  sia
pure scemata, di intendere e di volere, e puo' ben essere configurato
il dolo (1) , non impedendo la ridotta imputabilita' che l'evento sia
preveduto e voluto dall'agente come conseguenza della propria  azione
od omissione. Non e', pertanto, irrazionale che possa essere prevista
anche per il seminfermo di mente  l'applicazione  obbligatoria  della
recidiva, soprattutto ove si consideri che proprio la possibilita' di
effettuare il  giudizio  di  comparazione  da  un  lato  consente  un
trattamento sanzionatorio piu' severo nel  caso  in  cui  il  giudice
ritenga la prevalenza  della  recidiva,  ma  dall'altro  consente  un
trattamento sanzionatorio piu' mite nel caso in cui il giudice stesso
ritenga la prevalenza della circostanza  inerente  alla  persona  del
colpevole, rimanendo in tal modo  salvaguardata  la  discrezionalita'
del giudicante» (Cassazione - Sezione II, sentenza n. 35006/2010). 
    E' altrettanto evidente, quindi, che il riconoscimento, in questi
casi, della recidiva non implica che la stessa non  possa  essere  in
concreto ritenuta  subvalente  rispetto  alla  circostanza  di  segno
opposto costituita dal vizio parziale di mente da cui risulti affetto
l'autore al momento  del  fatto,  laddove  la  legge  consentisse  al
giudice un  effettivo  giudizio  di  bilanciamento  tra  tali  valori
eterogenei,   mediante    l'utilizzo    di    una    discrezionalita'
assiologicamente orientata. 
    Nel caso di specie, la  riconosciuta  rilevanza  delle  patologie
riscontrate sull'eziologia delle condotte delittuose  -  specialmente
per quanto attiene alle capacita' di programmazione e valutazione dei
propri comportamenti da parte dei due imputati -  potrebbe  suggerire
al giudice, ove  non  vi  ostasse  il  dato  normativo,  di  ritenere
prevalente tale stato di mente sulla pur riconosciuta recidiva. 
    Val la pena rammentare ancora una volta la circostanza che il  M.
ed il V. hanno riportato condanne definitive sia  con  riconoscimento
della   recidiva   (anche   reiterata)   sia    con    riconoscimento
dell'infermita' parziale (valutata, laddove posta  in  bilanciamento,
in termini di equivalenza ed,  in  un  caso,  persino  di  prevalenza
rispetto a tale recidiva); in due occasioni il  V.,  come  detto,  e'
stato assolto in quanto non punibile per vizio  totale  di  mente.  A
fronte di tali, oscillanti pronunce, il sospetto e' che le rispettive
vicende   giudiziarie    abbiano    potuto    risentire    fortemente
dell'esistenza del denunciato automatismo che, se da un lato  intende
contenere  la  discrezionalita'  del  giudice,   dall'altro   finisce
paradossalmente per ampliarla (rectius, per allargare forzatamente il
delta delle alternative disponibili), costringendolo  all'alternativa
«secca» tra l'esclusione tout court della recidiva (con  un  commodus
discessus sovente incompatibile con le emergenze fattuali) ed il  suo
riconoscimento   in   misura    quantomeno    equivalente    rispetto
all'attenuante in discorso. 
    B) Sotto  il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni di costituzionalita' sollevate dalla normativa  denunziata,
occorre  premettere  che  l'applicazione  dell'automatismo   di   cui
all'art.  69,  quarto  comma  del  codice   penale   condurrebbe   ad
individuare la pena, al piu',  entro  la  cornice  edittale  prevista
dall'art. 624 del codice penale (reclusione da sei mesi a tre anni  e
multa da  euro  154  a  euro  516),  escludendo  la  possibilita'  di
adeguare, con il riconoscimento dell'attenuante del vizio parziale di
mente in misura prevalente rispetto alla recidiva reiterata, la  pena
da irrogare all'effettiva entita'  del  fatto  e,  soprattutto,  alle
particolari condizioni personali degli imputati. 
    Orbene, la  Corte  costituzionale  ha  sempre  affermato  che  la
legittimita', in via generale, di trattamenti  differenziati  per  il
recidivo - ossia per «un soggetto che  delinque  volontariamente  pur
dopo aver subito un processo ed una condanna per un  delitto  doloso,
manifestando l'insufficienza, in chiave  dissuasiva,  dell'esperienza
diretta e concreta  del  sistema  sanzionatorio  penale»  (in  questi
termini, sentenza n. 249 del 2010) - non sottrae  allo  scrutinio  di
legittimita' costituzionale le singole  norme  che  tali  trattamenti
prevedono. 
    Quanto al giudizio di bilanciamento tra  circostanze  eterogenee,
poi, si e' ritenuto che questo consenta tra  l'altro  al  giudice  di
«valutare il fatto in  tutta  la  sua  ampiezza  circostanziale,  sia
eliminando  dagli   effetti   sanzionatori   tutte   le   circostanze
(equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas
delicti, oppure  soltanto  di  quelle  che  la  diminuiscono»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 38 del 1985). La valutazione  complessiva
degli elementi circostanziali, insita nel  giudizio  di  comparazione
fissato dall'art. 69 del  codice  penale  -  ha  affermato  anche  la
giurisprudenza di legittimita' (ex aliis, Cassazione  -  Sezione  VI,
sentenza n. 6 del 2014, Acquafredda  e  altri)  -  «trova  fondamento
nella  necessita'  di  giungere  alla  determinazione  del  disvalore
complessivo dell'azione delittuosa ed e' funzionale alla finalita' di
quantificare la pena nel modo piu' aderente al caso concreto». 
    Come anticipato, la Corte costituzionale, nelle numerose pronunce
rese in merito alle deroghe che la legge pone a detto  bilanciamento,
ha affermato che le stesse sono  possibili  e  rientrano  nell'ambito
delle  scelte  rimesse   alla   discrezionalita'   del   legislatore,
risultando  sindacabili  «soltanto  ove  trasmodino  nella  manifesta
irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenza  n.  68  del  2012),  non
potendo in ogni caso «giungere  a  determinare  un'alterazione  degli
equilibri  costituzionalmente  imposti  nella  strutturazione   della
responsabilita' penale» (sentenza n. 251 del 2012). 
    Le decisioni di segno «demolitorio» della  norma  oggi  censurata
hanno  pertanto  preso  sempre   in   considerazione   le   peculiari
caratteristiche della circostanza chiamata alla comparazione  con  la
recidiva. In tutti i casi si e' trattato di  circostanze  ad  effetto
speciale, segnate da valori edittali di pena assai  ridotti  rispetto
alla figura principale del reato: l'allora attenuante  del  fatto  di
lieve entita' di cui all'art. 73, comma 5 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990, prevedeva una pena detentiva  pari  nel
massimo  a   quella   minima   prevista   all'epoca   per   l'(unica)
ipotesi-base; il minimo edittale della «ricettazione  lieve»  di  cui
all'art.  648,  secondo  comma  del codice  penale  e'  pari  ad   un
quarantottesimo rispetto a quello previsto  dal  primo  comma;  anche
l'ipotesi di «minore gravita'» di cui all'art. 609-bis,  terzo  comma
del codice penale  prevede  una  pena  massima  inferiore  al  minimo
stabilito  per  la  violenza  sessuale  di  cui   al   primo   comma;
l'attenuante  della  «collaborazione»  disciplinata   dal   comma   7
dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990,
prevede una diminuzione «dalla  meta'  a  due  terzi»  rispetto  alle
ipotesi-base; infine, una sensibile diminuzione (fino a due terzi) e'
riconosciuta per i fatti di  bancarotta  che  abbiano  «cagionato  un
danno patrimoniale di speciale tenuita'». 
    In secondo luogo, si e' trattato sempre di  circostanze  di  tipo
oggettivo, pertinenti ad  un  forte  scarto  nell'offensivita'  della
condotta delittuosa (con la rilevante  eccezione  dell'attenuante  di
cui all'art. 73, comma 7 del decreto del Presidente della  Repubblica
n.  309/1990,  ove  si  e'   inteso   incentivare   il   ravvedimento
post-delittuoso  del  reo),  talche'  le  menzionate  pronunce  hanno
ravvisato nell'automatismo  sanzionatorio  oggi  in  discussione  una
«abnorme enfatizzazione  delle  componenti  soggettive  riconducibili
alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive  del
reato», si' da sfigurare quel «diritto penale del fatto»  che  l'art.
25 della Costituzione, al  secondo  comma,  incardina  quale  modello
essenziale del sistema criminale. 
    Come significativamente affermato nella sentenza n. 251/2012, «la
recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e  della
pericolosita' ed e' da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al
reato, non possano  assumere,  nel  processo  di  individualizzazione
della  pena,  una  rilevanza  tale   da   renderli   comparativamente
prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di  offensivita'
e' chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle
circostanze, ma anche rispetto a  tutti  gli  istituti  che  incidono
sulla individualizzazione  della  pena  e  sulla  sua  determinazione
finale. Se cosi' non  fosse,  la  rilevanza  dell'offensivita'  della
fattispecie base potrebbe risultare "neutralizzata" da un processo di
individualizzazione prevalentemente orientato  sulla  colpevolezza  e
sulla pericolosita'». 
    Un analogo vizio di irragionevolezza,  tuttavia,  sembra  potersi
ravvisare  altresi'  nel  divieto  di  prevalenza  della  circostanza
attenuante di cui  all'art.  89  del  codice  penale  -  circostanza,
evidentemente, ad effetto comune e di tipo soggettivo,  inerente,  in
particolare, alla persona del  colpevole  -  sulla  recidiva  di  cui
all'art. 99, quarto comma del codice penale, ponendosi lo  stesso  in
contrasto con i principi sanciti dagli articoli 3, 27, commi primo  e
terzo, e 32 della Costituzione. 
    Ed invero, la norma censurata e' in contrasto, innanzitutto,  con
i principi di uguaglianza (sub specie ragionevolezza e proporzione) e
personalita' della responsabilita' penale di cui agli  articoli  3  e
27, comma primo della Costituzione, perche' conduce ad applicare pene
identiche a condotte  di  rilievo  sostanziale  enormemente  diverso,
impedendo  un  vaglio  individualizzante  della  responsabilita'  del
singolo individuo. 
    Non sembra doversi riconoscere  valore  ostativo,  rispetto  alla
censura di  incostituzionalita'  che  si  intende  prospettare,  alla
natura di circostanza ad effetto comune  propria  dell'attenuante  in
discorso: l'irragionevolezza insita  nella  mancata  possibilita'  di
adeguata valutazione di un fattore tanto pregnante quale lo stato  di
seminfermita' del reo, in  ragione  di  un  automatismo  legislativo,
infatti, non puo' ancorarsi soltanto alla piu' o meno ampia  distanza
quoad poenam, rispetto  al  tipo  base,  che  il  suo  riconoscimento
comporta. 
    Proprio in relazione all'attenuante del vizio parziale  di  mente
di  cui  all'art.  89  del  codice  penale,  una  risalente  ma   mai
contraddetta   pronuncia   della   giurisprudenza   di   legittimita'
(Cassazione - Sezione I, sentenza n. 556 del  1996),  nel  dichiarare
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del previgente art. 69, comma quarto del codice penale  (nella  parte
in cui estendeva - come, del resto, estende tuttora - il giudizio  di
bilanciamento  anche  alle  circostanze  inerenti  alla  persona  del
colpevole ed a quelle ad effetto speciale) sollevata con  riferimento
agli articoli 2, 3 e  27  della  Costituzione,  ancorava  il  proprio
giudizio alla considerazione che detta disciplina da un lato consente
un trattamento sanzionatorio piu' severo nel caso che il  giudice  di
merito ritenga la prevalenza delle circostanze aggravanti, dall'altro
lascia la possibilita' di un trattamento piu' mite nel  caso  in  cui
detto giudice ritenga al contrario la  prevalenza  della  circostanza
attenuante del vizio parziale di mente. 
    Anche una piu' recente pronuncia, che gia' si e'  avuto  modo  di
menzionare (Cassazione - Sezione II,  sentenza  n.  35006/2010),  nel
ritenere  manifestamente  infondata  la  prospettata   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 99,  quinto  comma  del  codice
penale  -   laddove   (nella   versione   precedente   all'intervento
parzialmente caducatorio del 2015 da parte del giudice  delle  leggi)
escludeva la possibilita' per il giudice di  verificare  la  concreta
applicabilita' di tale recidiva nei confronti del seminfermo di mente
-,  sollevata  con  riferimento  all'art.   3   della   Costituzione,
argomentava che proprio la possibilita' di effettuare il giudizio  di
comparazione di cui all'art. 69 del codice penale da un lato  avrebbe
consentito un trattamento sanzionatorio piu' severo nel caso  in  cui
il  giudice  avesse  ritenuto  la  prevalenza  della   recidiva,   ma
dall'altro avrebbe consentito un trattamento  piu'  mite  laddove  il
giudice stesso avesse ritenuto la prevalenza dell'attenuante inerente
alla persona del colpevole, rimanendo in tal modo  «salvaguardata  la
discrezionalita' del giudicante». 
    Orbene, se il rispetto dei principi costituzionali di eguaglianza
e di proporzionalita' della pena, in materia di circostanze  inerenti
la persona del colpevole e, nella fattispecie, di vizio  parziale  di
mente  viene  dalla   giurisprudenza   ancorato   alla   possibilita'
riconosciuta al giudice di  valutare  caso  per  caso  l'eventualita'
della prevalenza della  particolare  condizione  soggettiva  rispetto
alle aggravanti  concretamente  ricorrenti,  e'  inevitabile  che  un
meccanismo che deprivi il giudice  di  questa  facolta'  (consentendo
solo  il  giudizio  di  equivalenza  o  addirittura   di   subvalenza
dell'attenuante) possa finire per rimettere in  discussione  tutti  i
dubbi prospettati nel tempo in dottrina e in giurisprudenza in ordine
alla  legittimita'  della  stessa  sottoposizione  al   giudizio   di
comparazione di questa  particolare  circostanza  inerente  la  sfera
dell'imputabilita'. 
    Val la pena osservare, tra l'altro, come la  eterogeneita'  delle
circostanze inerenti la persona del colpevole  quanto  di  quelle  ad
effetto  speciale   (rectius,   di   quelle   cc.dd.   «autonome»   e
«indipendenti»), rispetto a quelle comuni, sia stata ben presente nel
legislatore, che le ha sempre sottoposte, nella  materia  de  qua,  a
trattazione   unitaria:   entrambe   le   categorie   erano   infatti
originariamente  sottratte   al   giudizio   di   bilanciamento   tra
circostanze eterogenee, fino alla discussa novella  del  1974,  nella
quale piu' di un autore intravide una «resa al  potere  discrezionale
del  giudice»,  peraltro  priva  di  criteri-guida   legislativamente
predeterminati (piu' opportuno, si ritenne, sarebbe stato intervenire
sugli ambiti edittali di pena o sull'apparato, a  volte  ipertrofico,
delle circostanze aggravanti). 
    Orbene,  tale   essendo   la   considerazione   legislativa,   in
particolare, delle circostanze inerenti alla  persona  del  colpevole
(quelle  che  riguardano,  cioe',  l'imputabilita'  e  la  recidiva),
ritiene questo giudicante che possano ritenersi  ragionevoli  sia  la
comune sottrazione sia  la  comune  sottoposizione  delle  stesse  al
giudizio  di  bilanciamento:  non  altrettanto  puo'  dirsi  per  una
disposizione,  come  quella  oggi  censurata,  che,  pur  in  maniera
parziale, sottragga soltanto una di esse - nella specie, la  recidiva
reiterata  -   al   bilanciamento   proprio   con   una   circostanza
tradizionalmente,  logicamente  e  dogmaticamente  meritevole   della
medesima considerazione. 
    La conseguenza, inevitabile, e' l'impossibilita' di  graduare  il
trattamento sanzionatorio in relazione  all'obiettivo  disvalore  del
fatto e all'effettiva personalita' del soggetto agente,  col  rischio
di irrogare pene identiche a quelle usualmente inflitte per fatti ben
piu'  gravi,  omettendo  al  contempo  -  si  ripete  -   un   vaglio
individualizzante  in   relazione   alla   concreta   responsabilita'
«colpevole» del singolo, con violazione dei principi  espressi  dagli
articoli 3 e 27, comma 1 della Costituzione. 
    Ne  discende  altresi'  il  mancato  rispetto   della   finalita'
rieducativa  della  pena,  sancita  dall'art.  27,  comma   3   della
Costituzione,  il  quale   implica   un   costante   «"principio   di
proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra» e, «lungi dal  rappresentare  una  mera  generica
tendenza riferita al solo  trattamento,  indica  invece  proprio  una
delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la  pena  nel
suo  contenuto  ontologico  e   l'accompagnano   da   quando   nasce,
nell'astratta previsione normativa, fino  a  quando  in  concreto  si
estingue» (Corte costituzionale, sentenza  n.  313  del  1990).  Cio'
comporta la necessita' di calibrare specie e durata  della  sanzione,
sia in sede normativa sia in sede applicativa, alle reali  necessita'
rieducative del soggetto destinatario della  stessa,  il  quale,  per
aderire al programma di trattamento offerto, deve poter  innanzitutto
avvertire la pena inflitta come «giusta». 
    Ebbene, il soggetto seminfermo  di  mente  autore  di  un  reato,
ancorche'  recidivo  reiterato,  deve   essere   sottoposto   ad   un
trattamento  sanzionatorio  adeguato  (anche)  alla  sua  infermita',
trattamento  che  potrebbe  essere  assicurato  esclusivamente  dalla
possibilita' di ritenere in concreto prevalente l'attenuante prevista
dall'art. 89 del codice penale sulla  recidiva  reiterata,  allorche'
cio' sia suggerito dalle risultanze di fatto  emerse  nel  corso  del
processo. Solo in questo modo sarebbe infatti possibile irrogare  una
pena  adeguata  alla  concreta  gravita'  del  fatto,  nonche'   alla
personalita' e colpevolezza dell'autore, tale da poter costituire  il
punto di partenza di un legittimo -  ed  auspicabilmente  proficuo  -
percorso rieducativo. 
    Da  ultimo,  la  disposizione  censurata  finisce   per   violare
altresi', a  parere  di  questo  giudicante,  il  principio  espresso
dall'art. 32 della Costituzione, il quale tutela la salute «non  solo
come interesse  della  collettivita'  ma  anche  e  soprattutto  come
diritto fondamentale dell'individuo, sicche'  si  configura  come  un
diritto primario ed  assoluto»  (Corte  costituzionale,  sentenze  n.
356/1991, n. 202/1991, n. 559/1987, n. 184/1986  e  n.  88/1979)  che
impone una piena ed esaustiva tutela (sentenze n. 307 e  n.  455  del
1990). 
    Si ponga mente al trattamento particolare che il  legislatore  ha
riservato   all'imputato   minorenne,   allorche'    ha    introdotto
l'aggravante  della  finalita'   di   terrorismo   o   di   eversione
dell'ordinamento costituzionale (con l'art. 1  del  decreto-legge  15
dicembre 1979, n. 625, convertito con  modificazioni  nella  legge  6
febbraio 1980, n. 15) e quella del metodo mafioso (con l'art.  7  del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 203,  convertito  con  modificazioni
nella legge 12 luglio 1991, n. 203): ed invero, il  generale  divieto
di equivalenza o prevalenza delle  circostanze  attenuanti  con  esse
concorrenti ivi previsto non si estende all'attenuante  della  minore
eta' di cui all'art. 98 del codice penale (oltre che a quella di  cui
all'art. 114 del codice penale). 
    Anche la Corte costituzionale ha attribuito  particolare  rilievo
all'attenuante  della  minore  eta',  allorche',  tra  l'altro,   con
sentenza del 28  aprile  1994,  n.  168,  dichiaro'  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma  del  codice  penale  (come
modificato dall'art. 7 del  decreto-legge  11  aprile  1974,  n.  99,
convertito con legge 7 giugno 1974, n. 220), nella  parte  in  cui  -
estendendo il giudizio di  bilanciamento  alle  circostanze  inerenti
alla persona del colpevole - prevedeva che nei confronti  del  minore
imputabile fosse applicabile la disposizione del  primo  comma  dello
stesso art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante  di
cui all'art. 98 del codice penale e una o piu' circostanze aggravanti
che comportano la pena dell'ergastolo, nonche'  nella  parte  in  cui
prevedeva che nei confronti del minore stesso fossero applicabili  le
disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in  caso
di concorso tra la circostanza attenuante  di  cui  all'art.  98  del
codice penale e una o piu' circostanze aggravanti che accedono ad  un
reato per il quale e' prevista la pena base dell'ergastolo. 
    La questione fu ritenuta fondata in riferimento all'art.  31,  in
relazione con l'art. 27, comma 3 della Costituzione: «se  l'art.  27,
comma 3 non espone di per se' a  censura  di  incostituzionalita'  la
previsione della pena dell'ergastolo ed il relativo  carattere  della
perpetuita' [...], di esso deve darsi una lettura  diversa  allorche'
lo si colleghi con l'art.  31  della  Costituzione,  che  impone  una
incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del
trattamento penalistico dei minori». 
    Orbene, senza volere con cio' enfatizzare in misura eccessiva  le
analogie tra la condizione dell'infermo di mente e quella del  minore
di eta' (in relazione al  quale  il  legislatore  ha  predisposto  un
sistema   diversificato,   non   solo    sul    piano    strettamente
sanzionatorio),   risulta   evidente   che    anche    il    soggetto
semi-imputabile per vizio di mente  debba  ricevere  dall'ordinamento
una risposta alla commissione di un fatto  reato  che  sia  non  solo
funzionale alla rieducazione ma, anche e soprattutto, improntata alla
tutela della  salute,  secondo  quanto  imposto  dall'art.  32  della
Costituzione. 
    Non e' un caso che l'art.  89  e  l'art.  98  del  codice  penale
risultino formulati nello stesso modo e,  d'altra  parte,  la  stessa
Corte costituzionale ha efficacemente affermato,  nelle  fondamentali
sentenze  n.  253  del  2003  e  n.  367  del  2004 -  relative  alla
declaratoria di illegittimita' costituzionale  rispettivamente  degli
articoli  222  e  206  del  codice  penale -   che   «la   situazione
dell'infermo di mente [...] e' per molti versi assimilabile a  quella
di una persona bisognosa di protezione come il minore e  le  esigenze
di tutela della collettivita' non possono prevalere su  quelle  della
salute». 
    Ne discende  che  la  possibile  (e,  si  badi,  non  automatica)
assimilazione dell'infermo di mente e del minore di  eta',  sotto  il
profilo dell'immaturita' intellettiva, affettiva e volitiva, comporta
che anche alla  circostanza  attenuante  prevista  dall'art.  89  del
codice penale, benche' ad effetto comune, debba  essere  riconosciuto
un valore particolarmente pregnante, quanto alle esigenze  di  tutela
che la stessa evoca, per  cui  la  norma  che  la  sottrae,  sia  pur
parzialmente, al giudizio di bilanciamento con la recidiva reiterata,
impedendone la  prevalenza  su  quest'ultima,  deve  essere  ritenuta
irragionevole. 
    In definitiva, si ritiene  che  l'automatismo  sanzionatorio  che
stabilisce il  divieto  di  prevalenza  della  diminuente  del  vizio
parziale di mente rispetto alla recidiva reiterata  di  cui  all'art.
99, quarto comma del  codice  penale  violi  esigenze  essenziali  di
uguaglianza, sub specie ragionevolezza  e  proporzionalita'  (art.  3
della Costituzione), di  personalita'  della  responsabilita'  penale
(art. 27, primo comma della Costituzione), di  finalita'  rieducativa
della pena (art. 27, terzo comma della Costituzione) e di  protezione
dei diritti della persona, con particolare riguardo al  diritto  alla
salute (art. 32 della Costituzione). 

(1) Qui probabilmente la citata sentenza prova troppo,  sovrapponendo
    indebitamente  -  a  parere  di  questo  giudicante  -  il  piano
    dell'elemento psicologico del fatto  e  quello,  distinto,  della
    colpevolezza, non potendosi escludere a priori la sussistenza del
    dolo anche nel soggetto  totalmente  incapace  (in  questo  senso
    sembra deporre lo stesso art. 222 del codice penale). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Letto l'art. 23 della legge n. 87/1953; 
    Solleva,  in  quanto  rilevante  nel  presente  giudizio  e   non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  69,  quarto  comma  del  codice  penale  (come  sostituito
dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251), in  relazione  agli
articoli 3, 27, commi primo e terzo, e 32 della  Costituzione,  nella
parte in cui prevede  il  divieto  di  prevalenza  della  circostanza
attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 del  codice
penale sulla recidiva di cui all'art. 99,  quarto  comma  del  codice
penale; 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e comunicata ai  Presidenti  delle  camere
del Parlamento. 
      Reggio Calabria, 29 gennaio 2019 
 
                         Il Giudice: Forte