N. 128 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 dicembre 2018
Ordinanza del 7 dicembre 2018 del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di B. A.. Processo penale - Udienza di convalida dell'arresto facoltativo in flagranza - Applicazione della misura coercitiva in deroga ai limiti di pena di cui agli artt. 274, comma 1, lettera c), e 280 cod. proc. pen. quando l'arresto e' stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381, comma 2, cod. proc. pen. - Codice di procedura penale, art. 391, comma 5. Misure coercitive - Condizioni di applicabilita' - Applicabilita' in deroga alle condizioni previste con riferimento al disposto dell'art. 391 cod. proc. pen. - Codice di procedura penale, art. 280, comma 1.(GU n.37 del 11-9-2019 )
TRIBUNALE DI FIRENZE Prima sezione penale Il giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di B.A., nato in Kosovo il (...), arrestato in flagranza di reato in data 7 dicembre 2018 e oggetto del decreto di presentazione diretta in giudizio per il rito direttissimo con la seguente imputazione: accusato del reato di cui all'art. 624-bis del codice penale, perche', al fine di trarne profitto, si impossessava del portafoglio, di due astucci e di oggetti personali della dott.ssa A. D. P., sottraendo tali beni dal bancone della sala pazienti del pronto soccorso dell'Ospedale di ..., dove erano detenuti quali unico spazio per il personale di servizio per custodire gli effetti personali durante il lavoro, mediante introduzione in tale luogo destinato in parte a privata dimora, avendo lo stesso in sostanza funzione di spogliatoio; o, alternativamente, con l'aggravante di aver commesso il fatto su cosa esposta per necessita' e consuetudine alla pubblica fede. In Firenze il 7 dicembre 2018. Con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. Premesso che: in base agli atti d'indagine alle ore 6,20 circa del 7 dicembre 2018 gli operanti della Questura di Firenze erano inviati dalla centrale operativa presso il cittadino Ospedale di ..., in quanto uno dei medici di turno presso il pronto soccorso (P. A.) aveva segnalato il furto appena avvenuto degli effetti personali di altro medico (D. P. A.); il parente (M. J.) di un paziente del pronto soccorso aveva notato un soggetto (capelli corti, corporatura esile, andatura barcollante, giubbotto marrone) avvicinarsi al bancone usato dai sanitari in un'area di degenza, frugare nello stesso approfittando dell'assenza dei sanitari e asportare alcuni oggetti; la dott. D. P., allertata, tornava al bancone, constatava la mancanza dalla propria borsa del portafogli (contenente 180 euro), di un paio di guanti e di due astucci; mentre il dott. P. allertava le Forze dell'ordine, la D. P. intuito chi fosse l'autore del furto (un soggetto precedentemente ricoverato in stato d'intossicazione e appena allontanatosi senza dimissione), trovava per terra uno dei guanti, raggiungeva in strada il detenuto e lo convinceva a restituirle il maltolto; vedeva poi il predetto allontanarsi e salire a bordo del tram in direzione centro citta'; una volante della Polizia - in contatto radio con la centrale - raggiungeva il veicolo alla fermata di ..., procedeva al controllo dei viaggiatori tra cui era presente l'attuale prevenuto, rispondente alla descrizione fornita; in suo possesso veniva rinvenuta un'agenda intestata alla dott. D. P. la foto del B. - inviata tramite cellulare - era sottoposta ai due medici, che riconoscevano il citato soggetto; il prevenuto ha rilasciato dichiarazioni spontanee poco ordinate, riferendo in sostanza di avere ricevuto gli oggetti in questione da un soggetto marocchino non meglio identificato e che, appena richiestone, egli li avrebbe restituiti alla titolare; alla citata udienza il Pm chiedeva la convalida dell'arresto e l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere; Rilevato che: l'arresto va convalidato in quanto compiuto in stato di quasi flagranza posto che il prevenuto in sede di perquisizione era trovato in possesso dell'agenda della persona offesa, circostanza da cui emergeva che aveva appena compiuto il fatto (art. 382 del codice di procedura penale); le condizioni soggettive del predetto (gravato da innumerevoli precedenti) giustificano peraltro l'arresto in ragione della sua personalita'; quanto all'applicazione della misura cautelare richiesta o di altra misura cautelare coercitiva, per poter addivenire ad una corretta decisione appare necessario il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla deroga prevista dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale al requisito concernente i limiti di pena previsti dall'art. 280 e dall'art. 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale; Cio' premesso, Osserva in base agli atti d'indagine e alle stesse dichiarazioni del prevenuto sussistono gravi indizi di colpevolezza rispetto al fatto contestato, sia pur diversamente qualificato; in primo luogo il teste M. ha fornito una descrizione dell'autore del furto perfettamente corrispondente al B.; in secondo luogo la versione fornita dal prevenuto (ricezione degli oggetti da parte di terzo soggetto) appare del tutto inverosimile; il fatto non puo' tuttavia qualificarsi come furto in abitazione: da un lato il luogo in cui e' stato commesso non puo' ritenersi privata dimora, posto che trattavasi di una sala del pronto soccorso accessibile anche ai pazienti (ed il prevenuto era un paziente ricoverato); dall'altro il prevenuto non ha commesso il fatto mediante introduzione nel citato luogo, ma era gia' presente nello stesso per altri motivi (il precedente ricovero) e nell'occasione ha posto in essere il reato (cfr. Cassazione sezione 5, sentenza n. 14868 del 15 dicembre 2009 Rv. 246886); trattasi dunque di furto ex art. 624 del codice penale, aggravato ex art. 625, n. 7 del codice penale in quanto commesso su cose esistenti in stabilimenti pubblici quale e' appunto il pronto soccorso dell'Ospedale cittadino di (circostanza dunque contestata in fatto); non pare viceversa ravvisabile il profilo dell'esposizione alla pubblica fede (in ogni caso trattasi di un'unica aggravante a fattispecie alternative); in ragione delle modalita' della condotta, dei numerosi precedenti penali (anche specifici e recenti) del prevenuto, che ha gia' subito diversi periodi di detenzione senza evidentemente che questi abbiano sortito un sufficiente effetto deterrente, sussistono parimenti le esigenze cautelari indicate dal Pm di cui all'art. 274, lettera c) del codice di procedura penale, concreto e attuale essendo il rischio di reiterazione del reato o di commissione di reati della stessa specie di quello in esame; in considerazione di quanto precede non e' possibile ritenere che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena; si dovrebbe dunque applicare una misura cautelare coercitiva, anche se la misura carceraria (richiesta dal Pm) in considerazione dell'entita' del fatto appare eccessiva e le esigenze potrebbero essere soddisfatte con la meno grave misura degli arresti domiciliari (non e' prevedibile del resto l'applicazione in sentenza di una pena superiore ai tre anni, per cui opera il limite ex art. 275, comma 2-bis del codice di procedura penale); rilevante ed essenziale appare quindi la questione dei limiti edittali previsti dall'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale per le misure cautelari personali coercitive e dall'art. 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale specificamente per la misura degli arresti domiciliari; in particolare l'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale prevede che - salvo quanto disposto dall'art. 391 del codice di procedura penale - le misure coercitive possono essere disposte solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni; l'art. 278 del codice di procedura penale prevede che agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e non si tiene conto delle circostanze, fatta eccezione per alcune specifiche circostanze, tra cui quella ex art. 62, n. 4 del codice penale; per il reato ora in esame l'art. 624 del codice penale prevede la pena edittale della reclusione da sei mesi a tre anni; in ragione del modesto valore degli oggetti sottratti (e della natura e professione della persona offesa) e' ravvisabile la circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale, che rileva ai fini della determinazione della pena per l'applicazione delle misure cautelari ai sensi dell'art. 278 del codice di procedura penale (non rileva viceversa la recidiva, pur qualificata); In assenza di indicazioni specifiche nella disposizione di cui all'art. 278 del codice di procedura penale, si deve ritenere che in presenza di attenuanti e aggravanti si debba operare come di consueto il bilanciamento ex art. 69 del codice penale (si veda la pur risalente Cassazione sezione 5, sentenza n. 1944 del 25 maggio 1993 Rv. 195254), che nel caso in esame - tenuto conto delle peculiarita' del caso concreto - va effettuato quanto meno in termini di equivalenza, essendo le contrapposte circostanze di pari pregnanza; ne deriva quindi che per il reato in questione il massimo edittale e' ex art. 624 del codice penale pari ad anni tre di reclusione, laddove l'art. 280 del codice di procedura penale prevede la possibile applicazione di misure cautelari coercitive solo per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; l'art. 274, lettera c) del codice di procedura penale richiede inoltre per la misura degli arresti domiciliari un limite edittale di almeno quattro anni; e' dunque rilevante nel caso di specie la deroga prevista dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale, ai sensi del quale «Quando l'arresto e' stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'articolo 381, comma 2 [...] l'applicazione della misura e' disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280»; si ha motivo di dubitare della legittimita' costituzionale di tale norma; in particolare la citata deroga alla previsione generale di cui all'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale per le misure cautelari personali coercitive e alla previsione di cui all'art. 274, comma 1, lettera c) per la misura degli arresti domiciliari pare costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 3 e 13 della Costituzione; la disciplina in questione pare infatti in primo luogo realizzare una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a situazioni del tutto simili: per effetto della citata deroga, uno stesso fatto (nel caso in esame un furto, ma il discorso puo' valere anche per gli altri tipi di reato previsti dall'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale) e' suscettibile di fondare o meno l'applicazione di una misura cautelare coercitiva o addirittura custodiate a seconda che sia intervenuto o meno un arresto in flagranza; la circostanza tuttavia che vi sia stato o meno un arresto in flagranza puo' dipendere da fattori anche casuali (ad es. la presenza di Forze dell'ordine nei pressi del luogo in cui il delitto viene commesso), ma in ogni caso estranei alla gravita' del fatto di reato e alla personalita' del suo autore; paradossalmente il compiuto arresto e la relativa legittimita' potrebbero dipendere dalla mancata fuga e quindi da un fattore indice di minore pericolosita' del soggetto o, come nel caso in esame, da tracce del reato appena compiuto di per se' poco significative (se il prevenuto avesse restituito alla persona offesa l'agenda -unitamente agli altri oggetti - o se ne fosse disfatto, l'arresto non sarebbe stato consentito difettando la quasi flagranza); la differenza di trattamento tra l'ipotesi in cui l'autore di un medesimo fatto sia arrestato e quella in cui viceversa non sia arrestato (perche' magari sia riuscito nell'immediatezza a fuggire o a disfarsi della merce sottratta) pare dunque ingiustificata; in proposito occorre avere riguardo ai principi affermati dalla giurisprudenza ormai consolidata della Corte di cassazione ed in particolare dalla sentenza delle sezioni unite n. 39131 del 24 novembre 2015 Rv. 267591, che ha chiarito l'essenza dell'istituto dell'arresto in flagranza e quindi definito i suoi confini: la privazione della liberta' personale da parte della polizia giudiziaria - in assenza di un provvedimento motivato dell'autorita' giudiziaria - trova il proprio fondamento nella percezione diretta dei fatti delittuosi da parte della stessa P.G., con conseguente elevata probabilita' della colpevolezza dell'arrestato. Tali essendo l'essenza e la ratio dell'arresto in flagranza, ne deriva che ai fini dell'adozione della misura cautelare la rilevanza dell'intervenuto arresto si dispiega unicamente sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza (in ragione della diretta constatazione del reato da parte degli operanti); il dato dell'arresto non attiene viceversa al profilo della gravita' del fatto di reato, sicche' non pare potersi giustificare un diverso trattamento - a parita' di fatto delittuoso - tra l'ipotesi in cui il soggetto sia stato arrestato e quella in cui - pur a fronte di gravissimi indizi di colpevolezza (ad es. per la confessione del reo o per la presenza di una registrazione audiovisiva dei fatti) - tale misura precautelare non sia stata viceversa, per le piu' svariate ragioni, eseguita; del pari il dato dell'arresto non attiene di per se' al profilo della pericolosita' del soggetto; tale differenza di trattamento pare violare anche il principio di proporzionalita' della misura cautelare all'entita' del fatto e alla sanzione irrogabile, sancito espressamente dall'art. 275, comma 2 del codice di procedura penale ma - si deve ritenere - comunque riconducibile all'art. 13 della Costituzione, che sancisce l'inviolabilita' della liberta' personale: in questo caso infatti ad incidere sull'applicabilita' della misura e' un dato (l'arresto) estraneo all'entita' del fatto (e alla sanzione irrogabile) e alle esigenze cautelari; si deve poi escludere che la deroga di cui all'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale possa trovare fondamento e giustificazione nell'esigenza, avvertita dall'opinione pubblica, di assicurare la pronta reazione istituzionale nella repressione dei reati di cui la polizia giudiziaria abbia avuto immediatamente contezza, mediante la possibilita' che le misure cautelari siano applicate anche in assenza del requisito relativo alla pena edittale prevista; innanzi tutto, come chiaramente affermato dalla citata sentenza delle Sezioni unite n. 39131 del 24 novembre 2015 Rv. 267591, il mero dato cronologico (brevita' del lasso di tempo trascorso tra la commissione del reato e l'intervento della P.G.) non assume giuridicamente rilevanza sulla base del diritto positivo al fine di offrire fondamento di legittimita' all'arresto del reo, dirimente essendo - come si e' detto - la percezione diretta dei fatti da parte della P.G. (o viceversa il rinvenimento di cose o tracce del reato). Quindi - se l'esigenza di una pronta reazione istituzionale all'attivita' criminale puo' ravvisarsi in modo identico in tutti i casi in cui il reato si sia da poco consumato - nell'ipotesi dell'intervenuto arresto (in cui la P.G. ha percepito direttamente i fatti ed e' riuscita ad eseguire l'arresto oppure ha rinvenuto tracce del reato in capo all'arrestato) non pare potersi ravvisare alcun elemento ulteriore che giustifichi l'applicazione della misura cautelare rispetto alla diversa ipotesi in cui il delitto sia stato parimenti appena realizzato, ma la P.G. non abbia percepito direttamente i fatti ne' abbia rinvenuto tracce del reato addosso al sospettato oppure non sia riuscita ad arrestare il relativo autore; in secondo luogo, la citata esigenza di pronta reazione istituzionale all'attivita' criminale pare potersi legittimamente esplicare in sede di repressione punitiva, con un celere svolgimento del procedimento di merito, ma non in sede cautelare. essendo le misure cautelari volte unicamente a presidiare i pericula libertatis; non si puo' poi non notare che la deroga qui censurata e' prevista dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale unicamente per i delitti indicati nell'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale e dunque per alcune specifiche ipotesi di arresto facoltativo, non operando viceversa per le ipotesi di cui all'art. 381, comma 1 del codice di procedura penale. Conseguentemente - ove venga in rilievo un delitto consumato per il quale sia previsto un massimo edittale superiore a tre anni ma inferiore a cinque anni (ad es. violenza privata ex art. 610 del codice penale o cessione di stupefacenti ex art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990) - sara' possibile l'arresto, ma non l'applicazione della custodia in carcere. Analogamente, nel caso di delitto consumato per il quale sia previsto un massimo edittale superiore a tre anni ma inferiore a quattro anni (ad es. cessione di stupefacenti ex art. 73, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 qualora ricorra la circostanza attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale, che come si e' detto rileva ai fini cautelari ex art. 278 del codice di procedura penale e che secondo le piu' recenti pronunce di legittimita' e' configurabile anche in materia di stupefacenti), sara' possibile l'arresto, ma non l'applicazione di misure custodiali neppure domiciliari; va poi notato che per pacifica giurisprudenza di legittimita' (cfr. tra le altre Cass. n. 45511 del 5 ottobre 2005 rv 232933) la norma di cui all'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale, concerne i soli delitti consumati; nell'ipotesi di titoli di reato previsti dall'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale ma integrati nella sola forma tentata (ad es. tentato furto aggravato ex art. 625 del codice penale) l'arresto potrebbe essere comunque possibile ai sensi dell'art. 381, comma 1 del codice di procedura penale, ma non opererebbe la deroga di cui all'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale; paradossalmente vi possono anche essere dei casi - ad es. nelle ipotesi di tentati furti aggravati ex art. 625, n. 2 prima ipotesi del codice penale o 625, n. 5 del codice penale, senza che ricorra l'attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale - in cui l'arresto sia obbligatorio ex art. 380 del codice procedura penale, ma poi - non operando la deroga di cui all'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale (prevista per i soli delitti consumati indicati nell'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale) - la misura della custodia in carcere non e' applicabile; tale misura e' viceversa applicabile nei casi di arresto facoltativo di cui all'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale in forza della deroga qui censurata; quelle sopra elencate sono, a parere di questo giudice, evidenti disparita' di trattamento, ancor piu' gravi rispetto all'ipotesi da ultimo prospettata dell'arresto obbligatorio, che in quanto tale - per volonta' dello stesso legislatore - dovrebbe attenere a fattispecie in cui il fatto e' piu' grave o comunque impone un intervento immediato delle autorita'; pare poi sussistere un ulteriore profilo di illegittimita'. La deroga prevista dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale opera nei soli casi di intervenuta convalida dell'arresto (cfr. sezione 5, sentenza n. 22354 dell'8 giugno 2006 Rv. 234557), conformemente peraltro al principio secondo cui - in assenza di convalida - l'arresto non puo' esplicare alcun effetto. In base alla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, ai fini della convalida o meno dell'arresto il giudice deve operare con giudizio «ex ante», avendo riguardo alla situazione in cui la polizia giudiziaria ha provveduto, senza tener conto degli elementi non conosciuti o non conoscibili della stessa, che siano successivamente emersi (Cassazione sezione 3 sentenza n. 35962 del 7 luglio 2010 Rv. 248479), per cui «il vaglio cui e' chiamato il giudice in questa fase attiene soltanto alla verifica del ragionevole uso dei poteri discrezionali della polizia giudiziaria e quando ravvisi la mancanza di ragionevolezza nell'uso degli stessi, deve fornire sul punto adeguata argomentazione giustificativa» (Cassazione sezione 5, sentenza n. 21577 del 27 marzo 2009 Rv. 243885); cio' in quanto l'arresto e' un'iniziativa che avviene nell'immediatezza del fatto, normalmente all'esordio dell'indagine, e il giudizio circa la convalida ha ad oggetto l'atto della P.G. e non la responsabilita' dell'arrestato o il piano cautelare (cfr. Cassazione sezione 6, n. 700/2014 del 3 dicembre 2013). Alla luce di queste premesse, condivisibili e comunque costituenti «diritto vivente», appare legittimo dubitare della deroga prevista dall'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale: ai fini della convalida il giudice deve porsi nell'ottica della P.G., che opera in flagranza di reato, sulla base dei soli elementi disponibili nell'immediatezza del fatto, e dunque in una prospettiva solo parziale; un arresto convalidato (in tale prospettiva necessariamente solo parziale) rileva pero' ai fini dell'operativita' della citata deroga e dunque ai fini dell'applicabilita' delle misure cautelari; tale rilevanza ai fini cautelari di un dato - vagliato unicamente sulla base di alcuni elementi, quelli disponibili in capo alla P.G. - pare contrastare con l'art. 13 della Costituzione, sia sotto il profilo della tutela della liberta' personale sia sotto il profilo del presidio costituito dalla valutazione dell'autorita' giudiziaria (la limitazione della liberta' personale per effetto della misura cautelare consegue si' ad un provvedimento dell'autorita' giudiziaria, ma il vaglio di quest'ultima e' per alcuni profili limitato solo ad alcuni elementi); ulteriore profilo di violazione dell'art. 13 della Costictuzione attiene al fatto che un atto della polizia giudiziaria, soggetto a verifica di legittimita' ma comunque discrezionale, finisce per effetto della citata deroga ex art. 391, comma 5 del codice di procedura penale per incidere non solo sulla limitazione della liberta' personale connessa alla misura precautelare, ma sulla concreta applicabilita' successiva di una misura cautelare coercitiva e dunque limitativa della liberta' personale: l'art. 13 della Costituzione pone al secondo comma una riserva di legge in ordine ai casi e ai modi in cui e' ammessa la detenzione o altra restrizione della liberta' personale; e' si' vero che lo stesso art. 13 della Costituzione al terzo comma prevede in casi eccezionali di necessita' ed urgenza la possibilita' che l'autorita' di pubblica sicurezza adotti provvedimenti provvisori al riguardo; tale previsione pero' e' limitata per l'appunto ai casi eccezionali di necessita' ed urgenza e alla situazione provvisoria precautelare; per effetto della previsione di cui all'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale, viceversa, la valutazione discrezionale dell'autorita' inquirente finisce con l'incidere sull'intera vicenda cautelare elidendo l'ordinario limite del massimo edittale posto dalla legge (art. 274 e 280 del codice di procedura penale) a presidio della liberta' personale dell'individuo; nella recente sentenza n. 180/2018, la Corte costituzionale - a proposito della riserva di cui all'art. 13, comma 5 della Costituzione e dell'incidenza sulla liberta' personale della disciplina di cui al codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati - ha ritenuto la disciplina di legge incostituzionale nella misura in cui consentiva ad una fonte secondaria di interferire con la disciplina della liberta' personale dell'imputato; la norma ora censurata pare consentire una non dissimile interferenza delle valutazioni discrezionali della polizia giudiziaria con la disciplina delle misure cautelari e dunque della liberta' personale del soggetto; il dubbio di legittimita' costituzionale investe di riflesso anche l'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale nella parte in cui nel prevedere i requisiti di applicazione delle misure coercitive fa salvo il disposto dell'art. 391 del codice di procedura penale. Non risultano percorribili interpretazioni conformi della norma ora censurata alle citate disposizioni della Costituzione, chiaro e univoco essendo il dato letterale (la disposizione e' peraltro interpretata in modo costante dalla giurisprudenza in conformita' al citato dato letterale); dubitando della legittimita' costituzionale delle norme che consentono l'applicazione della misura in deroga ai normali limiti, si deve sospendere l'applicazione della citata norma in attesa della decisione della Corte costituzionale;
P.Q.M. Visti gli articoli 391 e 558 del codice di procedura penale; Convalida l'arresto. Sospende la decisione in ordine alla richiesta di misura cautelare personale. Dispone l'immediata liberazione dell'imputato. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti legge n. 87/1953, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata; solleva questione di legittimita' costituzionale per violazione degli articoli 3 e 13 della Costituzione dell'art. 391, comma 5 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che quando l'arresto e' stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art. 381, comma 2 del codice di procedura penale l'applicazione della misura e' disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 del codice di procedura penale, e dell'art. 280, comma 1 del codice di procedura penale nella parte in cui nel prevedere i requisiti di applicazione delle misure coercitive fa salvo il disposto dell'art. 391 del codice di procedura penale. Sospende il procedimento in corso, ed i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale. Manda alla Cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Firenze, 7 dicembre 2018 Il Giudice: Attina'