N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 luglio 2019

Ordinanza  del  18  luglio  2019  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento penale a carico di P. A.. 
 
Ordinamento  penitenziario  -  Benefici  penitenziari   -   Modifiche
  all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 -  Inserimento
  del delitto di peculato di cui all'art. 314, primo comma, cod. pen.
  tra  i  reati  ostativi  alla  concessione   di   alcuni   benefici
  penitenziari. 
- Legge 9 gennaio 2019, n. 3  (Misure  per  il  contrasto  dei  reati
  contro  la  pubblica  amministrazione,  nonche'   in   materia   di
  prescrizione del reato e in materia di trasparenza  dei  partiti  e
  movimenti politici), art. 1,  comma  6,  lettera  b),  modificativo
  dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
  sull'ordinamento penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
  privative e limitative della liberta'), in relazione all'art.  314,
  primo comma, del codice penale. 
(GU n.39 del 25-9-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima sezione penale 
 
    Composta da: 
      Giuseppe Santalucia - Presidente; 
      Gaetano Di Giuro; 
      Raffaello Magi - Relatore; 
      Antonio Minchella; 
      Alessandro Centonze; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: 
      Procuratore della Repubblica presso il Tribunale  di  Como  nel
procedimento a carico di P. A. nato a...  il...  avverso  l'ordinanza
del 6 marzo 2019 del GIP Tribunale di Como, 
    udita la relazione svolta dal Consigliere Raffaello Magi; 
    lette le  conclusioni  del  PG  Stefano  Tocci,  che  la  chiesto
l'accoglimento del ricorso; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1 - Con ordinanza emessa in data 8 marzo 2019 il Giudice  per  le
indagini preliminari del Tribunale di  Como  -  quale  giudice  della
esecuzione - ha accolto la  domanda  introdotta  da  P.  A.  tesa  ad
ottenere la sospensione dell'ordine di carcerazione emesso  nei  suoi
confronti in data 7 marzo 2019 dal P.M. presso il Tribunale di Como. 
    1.1. Va premesso, in fatto, che: 
      a) P. A. risulta destinatario di una decisione  affermativa  di
penale responsabilita' per il delitto di peculato (art. 314, comma  1
del codice penale) divenuta irrevocabile in data  13  febbraio  2019,
con condanna alla pena di anni quattro di reclusione; 
      b) al momento del passaggio in giudicato della sentenza  P.  A.
non risultava raggiunto da alcun titolo cautelare; 
      c) i  fatti  oggetto  di  giudizio  in  cognizione  sono  stati
commessi tra marzo 2012 e luglio 2014. 
    1.2. Cio' posto, il Giudice della esecuzione affronta il tema  in
diritto posto dal condannato e relativo alla  intervenuta  evoluzione
del quadro normativa, in virtu' di quanto previsto dalla legge numero
3 del 9 gennaio 2019, entrata in vigore il  31  gennaio  2019  (nella
Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 2019). 
    In particolare, va ricordato: che la previsione di cui all'art. 1
comma 6 della legge citata interviene sul testo dell'art. 4-bis comma
1 legge n. 354 del 1975 con incremento delle fattispecie di reato cui
e' correlato il sistema della ostativita' ex lege all'applicazione di
misure alternative alla detenzione; e  che  il  delitto  di  peculato
rientra in tale elenco aggiuntivo (cosi'  il  testo,  [...]  dopo  le
parole: «mediante il compimento di atti di violenza, delitti  di  cui
agli articoli» sono inserite le seguenti:  «314,  primo  comma,  317,
318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320,  321,  322,
322-bis,» [..]). 
    Inoltre, la disposizione contenuta  nell'art.  656  comma  9  del
codice di rito vieta l'emissione  del  provvedimento  di  sospensione
dell'ordine di carcerazione (previsto come obbligatorio  al  comma  5
della medesima disposizione nelle ipotesi di condannato non raggiunto
da misura cautelare carceraria, li' dove la  pena  inflitta  non  sia
superiore ad anni quattro di reclusione), per quanto qui rileva,  nei
confronti dei condannati «per i delitti di cui all'art.  4-bis  della
legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modificazioni». 
    Dal combinato disposto di  tali  norme  e'  derivata  l'emissione
dell'ordine di carcerazione presupposto dell'incidente esecutivo. 
    1.3. Nell'affrontare l'esame della  richiesta  del  P.,  tesa  ad
ottenere - cosi' specificandosi ulteriormente il petitum  sostanziale
- nonostante la vigenza della legge numero 3  del  2019  (al  momento
della irrevocabilita' della sentenza  di  condanna),  la  sospensione
degli effetti dell'ordine di carcerazione , allo scopo di  presentare
- da libero e nei trenta giorni previsti dalla legge (art. 656  comma
5 del del  codice  di  procedura  penale)  -  la  domanda  di  misura
alternativa alla detenzione, il giudice della esecuzione sviluppa, in
sintesi, le argomentazioni che seguono. 
    2 - Non viene ritenuta possibile - in premessa - la  proposizione
di giudizio incidentale di legittimita' costituzionale in riferimento
alla  disposizione  «accrescitiva»  del  catalogo  di  reati  di  cui
all'art. 4-bis ord. pen. (art. 1, comma 6, lett. b), legge n.  3/2019
come sopra), posto che - si afferma - il giudice della esecuzione non
e' competente in materia di applicazione dei  benefici  penitenziari,
ma  esercita  i  propri  poteri  di   verifica   sulla   legittimita'
dell'ordine di carcerazione, potendo - al piu' - estendere il proprio
sindacato in riferimento alla sola disposizione di cui  all'art.  656
comma 9 del codice di procedura pernale 
    2.1. Di seguito, il G.E.  ritiene  di  aderire  alla  tesi  della
natura «sostanziale»  della  modifica  legislativa,  con  conseguente
applicazione del principio di irretroattivita'  di  cui  all'art.  2,
comma 1 codice penale. 
    La disposizione peggiorativa di cui all'art. 1, comma 6 legge  n.
3/2019 viene ritenuta applicabile - in tale dimensione ermeneutica  -
ai soli fatti di reato commessi in epoca posteriore al 31 gennaio del
2019 e, dunque, non al caso del P. 
    Le argomentazioni  impiegate  per  sostenere  tale  inquadramento
muovono dalla presa d'atto  dell'assenza  di  disciplina  transitoria
espressa, non dettata dal legislatore del 2019. 
    Da  cio',   pur   nella   consapevolezza   di   un   orientamento
interpretativo costantemente seguito da questa Corte di  legittimita'
e teso ad attribuire natura processuale alte disposizioni  dettate  a
fini di regolamentazione della fase esecutiva (per tutte v. Sez.  Un.
n. 24561 del 30 maggio 2006, rv 233976, secondo cui  le  disposizioni
concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative
alla  detenzione,  non  riguardando  l'accertamento   del   reato   e
l'irrogazione della pena, ma soltanto le  modalita'  esecutive  della
stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto  -
in assenza di una specifica disciplina transitoria - soggiacciono  al
principio tempus regit actum, e non alle regole dettate in materia di
successione di norme penali nel tempo dall'art. 2  codice  penale,  e
dall'art. 25 della Costituzione) il G.E. fa derivare  l'esistenza  di
un potere di apprezzamento - in capo al giudice - della  «consistenza
afflittiva» dell'intervento legislativo, che  conduce  a  discostarsi
dal consolidato indirizzo interpretativo prima evocato. 
    2.2. Si assume, dunque, la natura di disposizione sostanziale  in
riferimento a: 
      a) la necessaria adozione di un criterio interpretativo  basato
sulla identificazione degli effetti concreti prodotti dall'intervento
di novellazione, in riferimento  ai  principi  di  garanzia  espressi
dall'art. 25 Cost., dall'art. 7 Convenzione Edu  e  dall'art.  2  del
codice penale; 
      b) la portata della modifica apportata con legge n. 3/2019, che
viene ritenuta incidente in via diretta sulla consistenza  afflittiva
della pena, si' da dover rientrare  nel  contenuto  originario  della
previsione incriminatrice, pena la violazione dei canoni di legalita'
e prevedibilita' della sanzione  penale,  che  richiedono  la  previa
conoscenza delle conseguenze sfavorevoli del proprio agire. 
    In  particolare  viene  sottoposto  ad  esame  il  connotato   di
consistente  afflittivita'  correlato  al  divieto   di   sospensione
dell'ordine di carcerazione di cui all'art. 656, comma 9  del  codice
di procedura penale,  immediatamente  peggiorativo  delta  condizione
sostanziale del destinatario della  condanna,  dovendosi  -  in  tesi
dominante  -  necessariamente  presentare  -  in  caso  di  immediata
applicazione della  novella  -  dal  carcere  la  domanda  di  misura
alternativa e cio' anche nelle ipotesi di  fatto  commesso  in  epoca
antecedente alla modifica. 
    Cio' porta alla adozione di un canone ermeneutico basato  -  come
si  e'  detto  -  sulla  quota  concreta   di   afflittivita'   della
disposizione di nuovo  conio,  il  che,  secondo  i  contenuti  della
decisione    qui    sintetizzata,    preclude    -    in    un'ottica
costituzionalmente e  convenzionalmente  orientata  -  l'applicazione
della  novella  a  fatti  di  reato  commessi  prima  della  modifica
legislativa. 
    Viene pertanto disposta la temporanea sospensione dell'ordine  di
carcerazione. 
    Dagli atti risulta che il P. si trova a tutt'oggi  in  condizione
di liberta'. 
    3 - Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
P.M. presso il Tribunale di Como, titolare della potesta'  di  azione
esecutiva. 
    3.1. Il ricorrente deduce erronea applicazione delle disposizioni
regolatrici, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b, del codice  di
procedura penale. 
    Le argomentazioni in diritto espresse nel provvedimento impugnato
vengono ritenute erronee perche' tese a sovrapporre  il  concetto  di
«sanzione»  e  quello  di   «esecuzione»   della   medesima,   ambiti
concettualmente distinti. 
    Si  evidenzia  la  totale   divergenza   tra   gli   orientamenti
interpretativi - sul tema della natura giuridica  delle  disposizioni
in tema di esecuzione - espressi costantemente  da  questa  Corte  di
legittimita' e la tesi esposta nella decisione impugnata. 
    Si afferma che anche secondo la giurisprudenza  della  Corte  Edu
non   sarebbe   consentita   la   applicazione   del   principio   di
irretroattivita' in rapporto a modifiche  legislative  introdotte  in
tema di modalita' esecutive della sanzione. Cio' che  rileva  sarebbe
esclusivamente la predeterminazione legale della sanzione rispetto al
fatto, non gia' le forme e modalita' della sua esecuzione. 
    Non  potrebbe,  in  particolare,  parlarsi  di   un   antecedente
'diritto' del condannato  ad  essere  ammesso  alla  fruizione  della
misura alternativa alla detenzione (escluso  dalla  riforma  adottata
con legge n. 3 del 2019), attesa l'esistenza -  in  ogni  caso  -  di
condizioni  predeterminate  dalla  legge  per  l'accesso  ai  singoli
benefici, la cui applicazione e' sempre, in concreto,  stata  rimessa
alle valutazioni della giurisdizione di sorveglianza. 
    Si evidenzia, ancora, che  all'esito  del  primo  grado  la  pena
inflitta al P. superava i quattro anni di reclusione, il che  rendeva
imprevedibile - in concreto - l'applicazione di misura alternativa. 
    4 - Il Procuratore Generale presso questa Corte con  requisitoria
scritta del 5 giugno 2019,  ha  chiesto  l'accoglimento  del  ricorso
introdotto dalla parte pubblica. 
    Si compie riferimento, a tal  proposito,  al  costante  indirizzo
ermeneutico di questa Corte, anche posteriore al noto arresto Sezioni
Unite 24561/2006, teso a ritenere consentita l'immediata applicazione
della  modifica  normativa  del  trattamento  esecutivo,   anche   se
peggiorativa. 
    Si ritengono assenti dubbi di legittimita' costituzionale su tale
profilo (si cita, in proposito, il contenuto di Corte  cost.  n.  257
del 2006) e si  rappresenta  che  anche  in  riferimento  al  portato
innovativo di cui alla legge n. 3 del 2019  questa  Corte,  nei  suoi
primi  arresti,  ha  compiuto  riferimento  al  principio  regolativo
secondo cui tempus regit actum (si cita, in particolare,  Sez.  I  n.
1446 del 3 maggio 2019). 
    5 - La difesa di P. A. ha depositato memoria in  data  1°  giugno
2019. 
    5.1  L'atto  difensivo  ripercorre  la  vicenda  processuale,   i
contenuti della decisione impugnata e quelli del ricorso della  parte
pubblica essenzialmente nei termini  sintetizzati  ai  paragrafi  che
precedono. 
    5.2 Si rappresenta, quanto alle possibili opzioni  interpretative
sui temi dedotti, la necessita' di  superamento  di  un  orientamento
interpretativo (sulla natura processuale delle disposizioni  relative
alla  fase  esecutiva)  definito  formalistico  e  contrario  a  piu'
principi di matrice costituzionale e convenzionale (art. 25  Cost.  -
art. 7 Convenzione Edu). 
    La  modifica  legislativa   del   gennaio   2019   tradisce,   in
particolare, l'affidamento riposto dal P. circa  la  possibilita'  di
presentare in stato  di  liberta'  le  proprie  richieste  di  misura
alternativa al carcere, con variazione degli assetti  intervenuta  in
corso di giudizio (ed  in  prossimita'  della  irrevocabilita'  della
sentenza). 
    Il  mutamento  di  condizione  e'  radicale  ed  apre  le  porte,
quantomeno, ad un «assaggio di pena» non prevedibile al  momento  del
fatto. 
    Si sostiene che il tipo di  pena  ne  risulta  -  in  sostanza  -
variato, posto che dal ragionevole affidamento sulla possibilita'  di
applicare misura extramuraria e immediatamente risocializzante (quale
l'affidamento in prova  al  servizio  sociale)  si  transita  in  una
condizione di restrizione inframuraria temporalmente immediata. 
    Da qui la considerazione per l'esistenza di spazi  interpretativi
di rimeditazione del quadro interpretativo - con eventuale rimessione
della trattazione del ricorso alle Sezioni Unite ai  sensi  dell'art.
618, comma 1-bis del codice di  procedura  penale  -  sulla  scia  di
autorevoli precedenti della Corte di Strasburgo (si cita il caso  Del
Rio Prada contro Spagna del 21 dicembre 2013 e la decisione  relativa
al caso Scoppola contro Italia del 17 settembre 2009). 
    Nel sostenere l'opzione interpretativa espressa  nella  decisione
impugnata si  chiede,  altresi',  la  considerazione  di  profili  di
illegittimita'  costituzionale   del   nuovo   assetto   legislativo,
rappresentando l'avvenuta attivazione del giudizio incidentale  -  ai
sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953  -  da  piu'  autorita'
giurisdizionali di merito,  sul  tema  della  assenza  di  disciplina
transitoria. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  Il  Collegio,  per  le  ragioni  che  seguono,  ritiene   che
dall'esame dei profili in diritto relativi al caso oggetto di ricorso
emerga  un  rilevante  e  non  manifestamente  infondato  dubbio   di
legittimita' costituzionale della disposizione introdotta con  l'art.
1, comma 6, lett. b, legge n. 3 del 2019. 
    Cio' determina - ai sensi dell'art. 23 legge n.  87  del  1953  -
l'attivazione di ufficio del  giudizio  incidentale  di  legittimita'
costituzionale  (quanto  al  potere  della  Corte  di  Cassazione  di
sollevare di ufficio la questione, v. gia' Sez.  VI  n.  1523  del  9
dicembre 1970, dep. 4 febbraio 1971, Benassi, rv 116570). 
    Nessun dubbio - quanto alla stessa  possibilita'  di  attivazione
del  giudizio  incidentale   -   puo'   esservi   circa   la   natura
giurisdizionale del procedimento attivato dalla parte privata innanzi
al giudice della esecuzione allo scopo di ottenere  la  pronunzia  di
temporanea inefficacia dell'ordine di  carcerazione,  trattandosi  di
stabilire - da parte dell'organo giurisdizionale  competente  in  via
funzionale sulle questioni insorte  posteriormente  al  giudicato  ed
incidenti su diritti - quale sia la esatta  modalita'  di  attuazione
dei contenuti della decisione irrevocabile (in tempi recenti v. Cass.
Sez. I n. 41592 del 2009, rv 245568; Cass. Sez. I n. 34427 del  2018,
rv 273857; l'orientamento giurisprudenziale circa la «sindacabilita'»
dell'ordine di carcerazione da parte del giudice della esecuzione, su
istanza del condannato, risale a Sez. I n. 3922 del 23 ottobre  1991,
rv 189753). 
    1.1 Prima di esporre - tuttavia -  i  profili  concreti  relativi
alla rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale individuata, occorre  evidenziare  taluni
aspetti in diritto del tema oggetto di  valutazione  ed  interrogarsi
sulle opzioni interpretative selezionate nella decisione impugnata. 
    2. La condizione vissuta da P. A., destinatario  della  decisione
favorevole emessa dal giudice della esecuzione,  tesa  a  paralizzare
gli effetti dell'ordine di carcerazione emesso in data 7 marzo  2019,
ricade - a ben vedere - nell'ambito applicativo di  due  disposizioni
di legge. 
    La prima e' rappresentata dai contenuti dell'art. 4-bis, comma 1,
ord. pen. - cosi' come il testo risulta formulato ai sensi del citato
art. 1, comma 6, della legge n. 3/2019. 
    Cio' perche' il reato commesso ed irrevocabilmente  giudicato  e'
rappresentato dal peculato  (art.  314,  comma  1  codice  penale  ),
fattispecie che in forza  della  novellazione  risulta  «posizionata»
all'interno dell'art. 4-bis, comma 1 ord. pen. 
    In forza di tale modifica legislativa il reato di peculato  entra
a far parte della «famiglia»  delle  fattispecie  cd.  ostative,  nel
senso che l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi  premio  e
le  misure  alternative  alla  detenzione  (esclusa  la   liberazione
anticipata) possono essere concesse ai condannati per  peculato  solo
nelle ipotesi di collaborazione effettiva con la giustizia  ai  sensi
dell'art. 58-ter ord. pen. o nei casi di collaborazione impossibile o
inesigibile (di cui comma 1-bis) e sempre  in  presenza  di  avvenuta
acquisizione  di  elementi  tali   da   escludere   l'attualita'   di
collegamenti  con  la  criminalita'   organizzata,   terroristica   o
eversiva. 
    La seconda disposizione - con funzioni serventi ed ancillari - e'
quella di cui all'art. 656, comma 9, del codice di  procedura  penale
nella  parte  in  cui  detta  disposizione  prevede  il  divieto   di
sospensione    dell'ordine    di    esecuzione    (posteriore    alla
irrevocabilita' della sentenza) nei confronti dei  condannati  per  i
delitti di  cui  all'art.  4-bis  legge  26  luglio  1975  n.  354  e
successive modifiche. 
    2.1. La ratio del divieto espresso nel corpo dell'art. 656, comma
9 del codice di procedura  penale  e'  -  visibilmente  -  quella  di
determinare immediatamente l'attivazione  di  un  circuito  esecutivo
differenziato, in riferimento alla  previa  connotazione  legislativa
(art. 4-bis) di un particolare livello di pericolosita'  sociale  dei
soggetto condannato, ritenuto «tendenzialmente insensibile» all'opera
di rieducazione o comunque bisognoso di una particolare  verifica  di
affidabilita' soggettiva,  in  prima  approssimazione  definibile  in
termini  di  necessaria  emersione  di  una  condotta  specifica  (la
collaborazione con  la  giustizia  o  le  condizioni  legali  di  sua
equivalenza) tesa  a  determinare  la  riespansione  della  ordinaria
discrezionalita' del  giudice  in  tema  di  accesso  agli  strumenti
risocializzanti previsti dall'ordinamento penitenziario. 
    Sempre in premessa e' pertanto necessario affermare che la comune
finalita' delle due disposizioni  (quantomeno  li'  dove  l'art.  656
comma 9, al primo  periodo,  fa  esplicito  rinvio  alle  fattispecie
ostative alla sospensione 'perche' previste nel corpo dell'art. 4-bis
ord. pen.) rende necessaria una lettura congiunta e  di  sistema  dei
due testi normativi, non apparendo corretto isolare uno  dei  momenti
di costruzione del sottosistema esecutivo differenziato. 
    In altre parole, cosi'  come  la  medesima  ratio  lega  in  modo
inscindibile l'istituto della sospensione della esecuzione di cui  al
comma 5 dell'art. 656 e la concreta conformazione  legislativa  degli
istituti  dell'ordinamento   penitenziario   che   regolamentano   le
condizioni di accesso alle misure alternative (si veda, sul tema,  la
ricostruzione del parallelismo tra le diverse disposizioni  contenuta
in Corte cost. n. 41 del 2018, con riallineamento della quota di pena
utile  alla  sospensione  e  all'affidamento  in  prova,  ove  si  e'
sottolineato il carattere complementare che l'art. 656, comma 5,  del
codice di procedura penale riveste rispetto alla  scelta  legislativa
di aprire la via alla  misura  alternativa  ...  la  natura  servente
dell'istituto oggetto del dubbio di  legittimita'  costituzionale  lo
espone a profili  di  incoerenza  normativa  ogni  qual  volta  venga
spezzato il filo che lega la sospensione  dell'ordine  di  esecuzione
alla possibilita' riconosciuta al  condannato  di  sottoposti  ad  un
percorso risocializzante che non includa il trattamento carcerario..)
altrettanto puo' dirsi, ma  in  senso  inverso,  per  il  legame  che
intercorre tra il contenuto dell'art. 4-bis ord. pen. e la previsione
del divieto di sospensione della esecuzione di cui al comma 9  (anche
in ipotesi di condannato libero al  momento  della  irrevocabilita'),
posto  che  e'  «quella»  particolare  presunzione  di  pericolosita'
sociale di cui all'art. 4-bis (legata al titolo del reato) a sbarrare
la strada alla sospensione (con mera presa d'atto da parte  del  P.M.
della condizione negativa, v. Sez. I n. 14331 del 2012, rv 255925) ed
a determinare l'immediato ingresso in carcere del  condannato,  quale
che sia l'entita' della pena residua. 
    Le due disposizioni (4-bis, comma 1/656 comma 9), pertanto,  sono
da ritenersi entrambe «applicate» li' dove si  tratti  di  una  delle
fattispecie che realizzano  la  condizione  ostativa  all'accesso  ai
benefici penitenziari, con mera  anticipazione  degli  effetti  della
presunzione legate di pericolosita' (art.  4-bis)  al  momento  della
irrevocabilita' della sentenza (essendo tale  il  momento  che  segna
l'inizio della fase esecutiva, v. Sez. Un. n. 18353 del 2011). 
    Si  veda,  sul  tema,  quanto  affermato   dalla   stessa   Corte
costituzionale nella ordinanza  n.  166  del  2010,  secondo  cui  la
disposizione di cui all'art. 656, comma 1, lett. a,  nella  parte  di
interesse, prevede  che  la  sospensione  dell'esecuzione  non  possa
essere disposta «nei confronti dei condannati per i  delitti  di  cui
all'art. 4-bis della legge 26  luglio  1975,  n.  354,  e  successive
modificazioni», sicche', per effetto del rinvio in essa contenuto, la
norma  processuale  recepisce  automaticamente  le   variazioni   del
catalogo dei delitti indicati  nello  stesso  art.  4-bis.  E  dunque
l'art. 656, comma  9,  del  codice  di  procedura  penale  disciplina
unicamente  l'attivita'  del  pubblico  ministero,  vincolandone   il
contenuto in funzione della presunzione di pericolosita' che concerne
i condannati per i delitti compresi nel catalogo. 
    2.2. Da cio'  deriva  che  non  puo'  condividersi  la  posizione
interpretativa assunta dal giudice della esecuzione  nella  parte  in
cui, a mo' di premessa del  ragionamento  contenuto  nella  decisione
impugnata, «atomizza» la previsione di  legge  di  cui  all'art.  656
comma  9  del  codice  di  procedura  penale   rispetto   a   quella,
pregiudicante, di cui all'art. 4-bis comma 1 ord.  pen.  (cosi'  come
novellato) dovendosi invece verificare - in via prioritaria -  se  la
novellazione accrescitiva, apportata con legge n. 3/2019 e  nel  caso
di specie riferita al delitto di peculato, sia o meno immune da dubbi
di illegittimita' costituzionale. 
    Li' dove si ritenga - infatti -  che  la  presunzione  legale  di
pericolosita' del condannato per il delitto  di  peculato  (vincibile
solo attraverso le condotte collaborative o le situazioni equiparate)
non trovi ragionevole giustificazione in rapporto alla base  empirica
del  ragionamento  sottostante  -  o   comunque   si   dubiti   della
ragionevolezza di tale approdo - ne risulterebbero vulnerati  sia  il
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. che quello  della
finalita' rieducativa della pena di cui all'art.  27  comma  3  Cost.
(specie nelle sue  recenti  declinazioni  contenute  in  arresti  del
giudice delle leggi) e  cio'  porterebbe  a  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale della disposizione ampliativa dell'elenco
di cui all'art. 4-bis, comma 1 ord. pen., da  ritenersi  applicata  -
sia pure in via mediata - gia'  nel  momento  processuale  in  cui  a
venire in rilievo e' esclusivamente il divieto di  sospensione  della
esecuzione di cui all'art. 656,  comma  9  del  codice  di  procedura
penale. 
    Cio' per l'essenziale ragione rappresentata dalla  necessita'  di
evitare zone franche nel  sistema  di  controllo  della  legittimita'
costituzionale delle opzioni legislative (tra le molte v. Corte cost.
n. 291 del 2013 in tema di rilevanza della questione di  legittimita'
della disciplina della sospensione  degli  effetti  della  misura  di
prevenzione con esecuzione  automatica  del  provvedimento  in  epoca
posteriore)  come  finirebbe  per  accadere  li'  dove  si  ritenesse
possibile il sindacato di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis
(come novellato) solo nelle ipotesi  di  applicazione  diretta  della
disposizione (ossia in sede di  decisione  sulla  domanda  di  misura
alternativa) e non nelle ipotesi di applicazione «mediata» attraverso
una norma «servente» (l'art. 656, comma 9  del  codice  di  procedura
penale) con portata  anticipatoria  e  meccanicistica  degli  effetti
della norma «servita» (appunto, l'art. 4-bis). 
    2.3. Al contempo, va evidenziato che in ipotesi di fondatezza del
ricorso introdotto dalla parte  pubblica  -  quanto  al  profilo  del
diritto  intertemporale  -  questa  Corte   non   potrebbe   disporre
l'annullamento della decisione impugnata li'  dove  dovesse  ritenere
sussistente  simile  dubbio  di  legittimita'  costituzionale   della
disposizione (art. 4-bis come novellato). Cio' perche'  la  decisione
di annullamento potrebbe essere realizzata solo nei limiti in cui non
ricorra «altra» ragione  (anche  diversa  da  quella  indicata  nella
decisione impugnata) ugualmente idonea a paralizzare gli effetti  del
provvedimento  immediatamente   lesivo   della   liberta'   personale
(l'ordine di carcerazione). 
    Operate  tali  premesse  risulta  possibile  sviluppare  i   temi
trattati nella decisione impugnata e quelli che il  Collegio  ritiene
necessario introdurre di ufficio, ferme  restando  le  sollecitazioni
provenienti dalle parti. 
    3. Quanto al tema del diritto intertemporale, il Collegio osserva
che la tesi  espressa  nella  decisione  impugnata  non  puo'  essere
accolta. 
    3.1. A venire in rilievo,  in  virtu'  della  modifica  normativa
(introduttiva, come si  e'  detto,  di  una  particolare  presunzione
legale di pericolosita' del soggetto condannato) e' un diverso (e  di
certo peggiorativo) assetto regolativo delle  «condizioni  legali  di
accesso» alle  misure  alternative  alla  detenzione,  non  gia'  una
«cancellazione» delle medesime per  gli  autori  di  una  determinata
condotta  di  reato.  La  conseguenza  del  divieto  di   sospensione
temporanea delle pene brevi - di cui si discute -  rappresenta,  come
si e' detto, la  «proiezione»  della  diversa  considerazione  legale
della intensita' della pericolosita' sociale e non  puo'  elevarsi  a
«variazione»   della   tipologia   di   sanzione   penale   (aspetto,
quest'ultimo, trattato dalla  Corte  Edu  nel  caso  Scoppola  contro
Italia) ne' determina di per se' una protrazione della  durata  della
pena (aspetto trattato dalla Corte Edu nel caso Del Rio Prada  contro
Spagna), il che esclude il  diretto  e  immediato  contrasto  con  le
previsioni  costituzionali  e  convenzionali  che  regolamentano   la
prevedibilita' e accessibilita' preventiva delle  conseguenze  penali
della propria condotta (art. 25 Cost., art. 7 Convenzione Edu). 
    3.2. Non puo' ritenersi, in altre parole, un  fattore  necessario
di orientamento della  condotta  la  predeterminazione  legale  delle
opportunita'  concrete  di   flessibilita'   della   pena   detentiva
attraverso l'accesso a misure alternative, pur  sempre  rimesse  alla
discrezionalita' guidata del giudice, dovendosi ritenere - di  contro
- la condizione minima di validita' quella che impone  la  previsione
anteriore al fatto delle fasce  edittali  della  sanzione  in  quanto
tale, rappresentata dalla pena, e fermo restando  che  la  variazione
peggiorativa  delle  condizioni   di   accessibilita'   alle   misure
alternative, con restrizione della discrezionalita'  soggettivizzante
il momento applicativo, rappresenta indubbiamente  un  aspetto  della
complessiva risposta statuale alla commissione del reato che esige da
un lato  la  verifica  di  ragionevolezza  della  presunzione  legale
introdotta, dall'altro la calibrata  individuazione  (in  assenza  di
disciplina transitoria ex lege) del momento processuale che legittima
l'applicazione delle nuove disposizioni. 
    In  tal  senso  va  osservato  che   la   costante   elaborazione
interpretativa di' questa Corte  (sollecitata  nel  corso  del  tempo
proprio dalle numerose variazioni apportate dal legislatore al  testo
dell'art. 4-bis ord. pen.) e'  attestata,  come  osservato  dal  P.M.
ricorrente,  sulla  natura   processuale   di   tale   tipologia   di
disposizioni (v. Sez. Un. n. 24561 del 30 maggio  2006,  nonche'  nel
corso del tempo, tra le molte, Sez. I n. 3789 del 22 settembre  1994,
rv 199591; Sez. I n. 3834 del 23 settembre 1994, rv 199786; Sez. I n.
46649 dell'11 novembre 2009,  rv  245511;  Sez.  I  n.  11580  del  5
febbraio  2013,  rv  255310)  senza  che   cio'   abbia   determinato
interrogativi di legittimita' costituzionale, e tale assetto - con le
precisazioni che seguono - e' condiviso dal Collegio. 
    3.3 D'altra parte, va anche osservato che dal 1991 a tutt'oggi la
disposizione di cui all'art. 4-bis ord.  pen.  e'  stata  oggetto  di
modifica legislativa in piu' di  dieci  occasioni  e  -  tra  queste,
escludendo la limitata disciplina  transitoria  iniziale  di  cui  al
decreto-legge n. 152 del 1991 - soltanto in una delle  successive  il
legislatore (art. 4, legge n. 279 del 23 dicembre 2002)  ha  ritenuto
di regolamentare in bonam partem il diritto  intertemporale  con  una
disposizione  transitoria,  tesa  a  rendere  applicabili  le   nuove
disposizioni ai soli fatti di reato posteriori alla vigenza,  ne'  la
Corte costituzionale,  pur  sollecitata  su  numerosi  profili  della
disciplina legislativa si e' mai espressa nella  direzione  sostenuta
nella decisione  impugnata,  presupponendo  in  numerosi  arresti  la
vigenza immediata delle nuove disposizioni (v. ord. n. 29 del 2013) e
limitandosi ad operare - in riferimento  al  contenuto  dell'art.  27
comma  3  Cost.  -  sul  terreno  della  inibizione  all'applicazione
immediata delle disposizioni peggiorative nei confronti di coloro che
in regime di restrizione avessero gia' raggiunto - al  momento  della
vigenza delle disposizioni peggiorative -  uno  stadio  del  percorso
rieducativo  da  ritenersi  adeguato  al  godimento   del   beneficio
(sentenze n. n. 504 del 1995, n. 445 del 1997, n. 137  del  1999,  n.
257 del 2006). 
    3.4.  La  tutela  dell'affidamento  dell'imputato,  sottoposto  a
verifica processuale delle  proprie  condotte,  nella  accessibilita'
(non  condizionata  da  nova  sfavorevoli)  a  forme  alternative  di
espiazione  previste   dalla   legge   antecedente   risulta   essere
indubbiamente un valore meritevole di attenzione e  tutela,  ma  tale
esigenza di garanzia non impone -  in  altre  parole  -  di  ritenere
sempre inapplicabili le disposizioni peggiorative  introdotte  in  un
momento posteriore rispetto a quello della condotta. 
    Come e' stato affermato in un recente arresto  di  questa  Corte,
sul tema specifico (Sez. I n. 25212 del 3 maggio 2019)  a  venire  in
rilievo - secondo la ricognizione concreta del principio tempus regit
actum - e' la conformazione legislativa degli  istituti  penitenziari
esistente nel momento in  cui  il  condannato,  nella  vigenza  della
disciplina previgente, ha attivato la procedura tesa all'applicazione
della  misura  alternativa,  in  regime  di  sospensione  del  titolo
esecutivo. 
    In tal caso la entrata in  vigore,  posteriore  alla  sospensione
della esecuzione, della disciplina peggiorativa non puo'  determinare
una cancellazione del diritto ad ottenere  -  secondo  le  previgenti
disposizioni - la valutazione della  domanda  di  applicazione  della
misura alternativa gia' formulata. 
    Si e' precisato, in  detto  recente  arresto  (sulla  linea  gia'
percorsa da  Sez.  I  n.  24831  del  15  giugno  2010,  rv  248046),
intervenuto su un caso in cui la decisione di condanna  era  divenuta
irrevocabile prima della entrata in vigore della legge n. 3 del  2019
(con avvenuto  deposito  della  istanza  di  applicazione  di  misura
alternativa  parimenti  antecedente  al  31  gennaio  2019),  che  la
sospensione dell'ordine di esecuzione e' atto che si inserisce in una
piu' ampia fattispecie, di natura complessa, costituita  anche  dalla
decisione  sulla  eventuale  richiesta  di  misure  alternative  alla
detenzione entro il termine assegnato  dalla  legge,  e  scandito  in
trenta giorni per la proposizione dell'istanza  e  in  quarantacinque
giorni per la decisione della magistratura di sorveglianza. 
    Da tale  premessa  e'  derivata  la  considerazione  per  cui  le
disposizioni peggiorative sopravvenute (legge n.  3  del  2019  nella
parte di rilievo) non potrebbero travolgere la particolare «sequenza»
rappresentata  dalla   sospensione   dell'ordine   di   carcerazione,
proposizione della domanda da libero e  decisione  del  Tribunale  di
Sorveglianza, ove sia stato gia' formalmente avviato l'atto complesso
«in alcuni dei suoi tasselli essenziali». 
    Ora, e' evidente  che  tale  arresto  da  un  lato  riafferma  la
necessaria applicazione  dei  principi  della  successione  di  leggi
processuali nel tempo,  dall'altro  rintraccia  all'interno  di  tale
contesto una logica tesa a preservare gli effetti di una  fattispecie
processuale complessa, li' dove ne sia venuto in essere,  nel  vigore
della precedente legge piu' favorevole, un segmento iniziale. 
    Si tratta di un assetto ermeneutico condiviso dal Collegio ma di'
certo non applicabile al caso in esame, caratterizzato dalla  entrata
in vigore delle disposizioni peggiorative in un momento  (31  gennaio
2019) antecedente  rispetto  a  quello  della  irrevocabilita'  della
decisione (13 febbraio 2019), momento che segna l'apertura della fase
esecutiva. 
    Da quanto sinora esposto deriva - sul tema - la fondatezza  delle
doglianze esposte dalla parte pubblica ricorrente. 
    4.  Quanto  osservato  al  paragrafo  che  precede  non  conduce,
tuttavia, all'accoglimento del ricorso, per le ragioni anticipate  in
apertura della trattazione. 
    4.1. Ad avviso del Collegio va infatti ritenuto rilevante  e  non
manifestamente infondato il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 6, lett. b, della legge n. 3 del 9  gennaio  2019,
nella parte in cui inserisce all'art. 4-bis, comma 1, della legge  26
luglio 1975 n. 354 il riferimento  al  delitto  di  peculato  di  cui
all'art. 314, primo comma, del codice penale. 
    In punto di rilevanza si e' gia' precisato che l'accoglimento del
ricorso determinerebbe l'immediato ripristino di validita' del titolo
esecutivo  oggetto  di  sospensione,  con  applicazione  delle  nuove
disposizioni legislative, individuate negli articoli  4-bis  comma  1
ord. pen., (come novellato) e 656 comma 9  del  codice  di  procedura
penale. 
    A tale  immediata  applicazione  osta,  tuttavia,  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale che  si  passa  ad  illustrare  sotto  il
congiunto profilo della non manifesta infondatezza della questione. 
    4.2.  L'inserimento,  per  quanto  qui  rileva,  del  delitto  di
peculato nella disposizione di cui all'art. 4-bis comma 1 impone,  in
particolare, di interrogarsi sulla idoneita' di tale  fattispecie  di
reato - presa in esame in  rapporto  esclusivamente  al  titolo  -  a
sostenere la  ragionevole  formulazione  (art.  3  Cost.)  di  quella
sottostante presunzione legale di  accentuata  pericolosita'  sociale
dei suo autore che legittima l'iscrizione nel  particolare  catalogo,
con  tutto  cio'  che  ne  deriva  in  punto  di  limitazione   della
discrezionalita'   dei   momento   giurisdizionale   in    sede    di
individualizzazione del percorso di espiazione della  pena  (art.  27
Cost.). 
    La giurisprudenza della Corte costituzionale  ha  raggiunto,  sul
tema della verifica di ragionevolezza  delle  presunzioni  legali  di
pericolosita', un consolidato assetto cui occorre - inevitabilmente -
compiere riferimento. 
    4.3. Prima ancora  di  illustrarne  i  principali  contenuti,  va
tuttavia ricordata la descrizione normativa  della  condotta  di  cui
all'art. 314, comma 1 del codice penale. 
    La condotta di peculato e' quella tenuta dal pubblico ufficiale o
dall'incaricato di un pubblico servizio che, avendo per  ragione  del
suo ufficio o servizio il possesso o comunque  la  disponibilita'  di
denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria. 
    La disposizione appare destinata a  tutelare,  al  di  la'  degli
aspetti patrimoniali,  il  buon  andamento  e  l'imparzialita'  della
pubblica amministrazione, attraverso la repressione degli  abusi  dei
funzionari  sulle  cose  loro  affidate  per  ragioni  di  ufficio  o
servizio. 
    Il soggetto passivo del reato oltre la P.A. e' anche il  titolare
del bene oggetto di appropriazione. 
    In giurisprudenza  si  e'  ritenuto  -  anche  in  rapporto  alla
consistente entita' della previsione sanzionatoria (da quattro anni a
dieci anni e sei mesi) - che la fattispecie  incriminatrice  colpisce
in particolare il «tradimento  di  fiducia»  del  soggetto  al  quale
l'ordinamento ha conferito la possibilita' di disporre  in  autonomia
della  cosa  affidatagli  (Sez.  VI  n.  31243  del  4  aprile  2014,
intervenuta sulla distinzione tra l'ipotesi  del  peculato  e  quella
della truffa aggravata ai sensi dell'art. 61, comma 1 n. 9 del codice
penale). 
    4.4.   In   riferimento   al   sistema   delle   presunzioni   va
preliminarmente evidenziato che, per teoria generale, le  presunzioni
sono conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto  per
risalire ad un fatto ignoto, ritenuto sussistente. 
    Le presunzioni, inoltre, si distinguono in legali (previste dalla
legge) o semplici (derivanti  dalla  formalizzazione  di  massime  di
esperienza, su base logica); nonche' in assolute (che  non  ammettono
prova contraria) o relative (che  ammettono  prova  contraria,  cosi'
risolvendosi in un meccanismo di inversione dell'onere probatorio  su
uno o piu' punti della controversia). 
    Soltanto  le  presunzioni   legali   comportano   l'esonero   del
giudicante dall'obbligo di motivazione sul fatto ignoto, in  presenza
di constatazione  del  fatto  noto  (posto  che  la  conseguenza  e',
appunto, prevista dal legislatore, salvo eventuale prova contraria se
la presunzione e' relativa)  li'  dove  le  presunzioni  semplici  si
risolvono in criteri argomentativi (di mera semplificazione)  cui  il
giudice  puo'  fare  ricorso,  in  motivazione,  li'  dove  ne  abbia
verificato l'effettiva coerenza  logica  e  l'attinenza  al  caso  in
esame. 
    4.5. Ora, la logica sottostante l'inserimento di una  fattispecie
di reato nella previsione di legge di cui all'art. 4-bis comma 1 ord.
pen. risiede - in tesi - nella particolare connotazione di  disvalore
del  fatto  commesso  dal  condannato,  tale  da   implicare,   nella
prospettiva seguita dal legislatore, la  totale  inaffidabilita'  del
medesimo verso forme alternative di esecuzione della pena che pongano
il destinatario  in  una  condizione  di  possibile  interazione  con
l'esterno - con sottrazione di tale  giudizio  alla  discrezionalita'
del giudice in forza della scelta legislativa  -  salve  le  ipotesi,
anch'esse formalizzate dalla legge, di avvenuta collaborazione con la
giustizia (ai sensi dell'art. 58-ter ord. pen.) o  di  collaborazione
impossibile o inesigibile (art. 4-bis - comma 1-bis) previa  verifica
dell'assenza  di  collegamenti  con  la   criminalita'   organizzata,
terroristica o eversiva. 
    Dunque,  la  sottrazione  alla  ordinaria  discrezionalita'   del
giudice  in  tema  di  accesso  a  misure   alternative   tese   alla
risocializzazione  (ai  sensi  dell'art.  47  ord.  pen.,  la  misura
dell'affidamento in prova al servizio sociale  puo'  essere  disposta
solo  li'  dove  il  provvedimento   favorevole   contribuisca   alla
rieducazione del reo e assicuri la prevenzione dal pericolo che  egli
commetta  altri   reati)   si   muove   tutta   in   un   ambito   di
predeterminazione legislativa dei principali  snodi  del  trattamento
penitenziario, basata sul titolo del reato giudicato,  in  chiave  di
esclusione dell'accesso agli strumenti risocializzanti, salve ipotesi
tipizzate e correlate alla visibile attenuazione della  pericolosita'
(tramite condotta collaborativa). 
    4.6. Tale particolare assetto e' comprensibile essenzialmente  in
chiave storica, posto che  la  inversione  di  tendenza  rispetto  ai
contenuti della legge numero 663 del 1986, con parziale ripristino  -
decreto-legge n. 152 del 13 maggio 1991, seguito dal decreto-legge  8
giugno 1992 n. 306 - del sistema di preclusioni parziali  all'accesso
alle misure alternative alla detenzione con  sottostante  presunzione
di accentuata pericolosita' (il che equivale ad affermare ex lege  un
consistente pericolo di reiterazione di condotte  analoghe  a  quelle
giudicate  o  comunque  altamente  lesive  di   beni   giuridici   di
particolare  rango)  e'  correlata  alla  pervasivita'  di   fenomeni
criminali di  stampo  mafioso  o  terroristico  o  comunque  a  reati
espressivi di visibile  contiguita'  a  tali  realta'  criminali  (la
versione iniziale  della  disposizione  individua  esclusivamente  le
fattispecie associative di stampo mafioso, i  reati  aggravati  dalla
finalita' o dal metodo mafioso,  quelli  commessi  per  finalita'  di
terrorismo o eversione dell'ordinamento costituzionale, il  sequestro
di persona a  scopo  di  estorsione,  l'associazione  finalizzata  al
traffico di stupefacenti, e, su  un  livello  di'  minore  intensita'
della presunzione, le fattispecie di omicidio, rapina  ed  estorsione
aggravata,   la   cessione   di   ingente   quantita'   di   sostanza
stupefacente). 
    Cio' ha contribuito  a  determinare  una  considerazione  di  non
irragionevolezza di  una  simile  tipologia  di  presunzione  legale,
espressa in piu' occasioni dal giudice delle leggi con valutazioni di
compatibilita' con i principi espressi dal testo dell'art. 27  Cost.,
pur con delle rilevanti precisazioni tese  ad  evidenziare  punti  di
perplessita'  circa  la  tecnica  legislativa  utilizzata,   tesa   a
determinare automatismi limitativi di diritti  in  ragione  del  mero
riferimento al titolo di reato. 
    In particolare, nella fondamentale decisione Corte cost.  n.  306
del 1993 si e' affermato che [...] la normativa in esame e' frutto di
scelte  di  politica  criminale  che  si  muovono  in  una   triplice
direzione, l'analisi delle quali e'  utile  premessa  allo  scrutinio
delle censure dianzi illustrate. La prima  di  tali  scelte  consiste
nell'enucleazione di una serie  di  figure  delittuose  che,  per  se
stesse o  per  le  modalita'  della  condotta,  sono  espressive  del
fenomeno della c.d. criminalita' organizzata e nella statuizione,  in
via generale, che ai condannati per tali reati non sono concedibili -
e se gia' concessi, vanno revocati - i benefici che comportano un sia
pur temporaneo distacco, totale o parziale, dal carcere (c.d.  misure
extramurali):  scelta,  questa,  che   nel   testo   originario   del
decreto-legge si estendeva a tutti i benefici penitenziari, e che  e'
stata poi, in  sede  di  conversione,  ridimensionata  mantenendo  la
concepibilita' a tutti i detenuti  della  liberazione  anticipata.  A
fronte, cioe', dell'acuto allarme sociale creatosi nella  contingenza
in cui il decreto fu emanato -  ampiamente  testimoniato  dai  lavori
parlamentari - il legislatore ha  ritenuto  di  adottare  una  misura
drastica, nettamente ispirata a finalita' di prevenzione  generale  e
di tutela della sicurezza collettiva, nella convinzione  che  per  il
contenimento del crimine  organizzato  fosse  necessaria  una  decisa
inversione di tendenza rispetto agli indirizzi della legge n. 663 del
1986: inversione che si era gia' in parte manifestata con la legge n.
203 del 1991, di conversione del decreto-legge n.  152  dello  stesso
anno, (nonche' con i decreti-legge non  convertiti  che  precedettero
quest'ultimo: nn. 324 del 1990, 5 e 76 del 1991). La  seconda  scelta
legislativa e' consistita nello stabilire che, invece, tutti benefici
penitenziari sono concedibili ai detenuti per delitti di criminalita'
organizzata che si inducano a collaborare con la giustizia. [...] ...
[...]  alla  luce  delle  suesposte   premesse,   le   censure   alla
disposizione sull'ammissione ai benefici  penitenziari  (art.  4-bis,
lettera a), prima parte, primo e secondo periodo)  riferite  all'art.
27, terzo comma, Cost. non possono ritenersi fondate. Va innanzitutto
ribadito, al riguardo, che  tra  le  finalita'  che  la  Costituzione
assegna alla pena - da un lato,  quella  di  prevenzione  generale  e
difesa  sociale,  con  i  connessi  caratteri  di   afflittivita'   e
retributivita', e, dall'altro, quelle di prevenzione  speciale  e  di
rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa  flessibilita'
della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo  -
non puo' stabilirsi a priori una gerarchia statica  ed  assoluta  che
valga una volta per tutte ed in ogni condizione (cfr. sentenza n. 282
del  1989).  Il  legislatore  puo'   cioe'   -   nei   limiti   della
ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere, di  volta  in  volta,
l'una o l'altra finalita' della pena, ma a patto che nessuna di  esse
ne risulti obliterata. Per un verso, infatti, il perseguimento  della
finalita' rieducativa -  che  la  norma  costituzionale  addita  come
tendenziale sol perche' prende atto «della  divaricazione  che  nella
prassi puo' verificarsi tra quella finalita' e  l'adesione  di  fatto
del destinatario al processo di rieducazione» (sentenza  n.  313  del
1990) - non puo' condurre a superare  «la  durata  dell'afflittivita'
insita nella pena detentiva determinata nella sentenza  di  condanna»
(sentenza n. 282 cit.). 
    Per altro verso, la prevalenza  degli  obiettivi  di  prevenzione
generale e di difesa sociale non puo'  spingersi  fino  al  punto  da
«autorizzare il pregiudizio della finalita' rieducativa espressamente
consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della  pena»
(sentenza n. 313 del 1990 cit.): tant'e' che questa Corte ha  dedotto
dal precetto dell'art. 27, terzo  comma,  Cost.  che  l'incentivo  ad
un'attiva partecipazione all'opera di rieducazione  costituito  dalla
concedibilita' della liberazione anticipata non puo' essere  precluso
neanche nei confronti dei condannati all'ergastolo. In questo  quadro
appare  certamente  rispondente  alla  esigenza  di  contrastare  una
criminalita'  organizzata  aggressiva  e  diffusa,  la   scelta   del
legislatore di privilegiare finalita' di prevenzione  generale  e  di
sicurezza della collettivita', attribuendo  determinati  vantaggi  ai
detenuti che collaborano con la giustizia. Non si puo'  tuttavia  non
rilevare come la soluzione adottata, di inibire l'accesso alle misure
alternative alla  detenzione  ai  condannati  per  determinati  gravi
reati, abbia comportato una rilevante  compressione  della  finalita'
rieducativa della pena. Ed infatti  la  tipizzazione  per  titoli  di
reato  non  appare  consona  ai  principi   di   proporzione   e   di
individualizzazione della  pena  che  caratterizzano  il  trattamento
penitenziario,  mentre   appare   preoccupante   la   tendenza   alla
configurazione  normativa  di  «tipi  di  autore»,  per  i  quali  la
rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non  essere  perseguita
[...]. 
    Si e' altresi' ribadito, nelle  decisioni  posteriori  (v.  Corte
cost. sent. n. 273 del 2001) in rapporto alle  fattispecie  di  reato
inserite nella previsione di legge di cui al comma 1 dell'art.  4-bis
che [...] tali delitti sono infatti, o possono ritenersi, espressione
tipica di una criminalita'  connotata  da  livelli  di  pericolosita'
particolarmente elevati, in quanto la loro  realizzazione  presuppone
di  norma,  ovvero  per  la  comune  esperienza  criminologica,   una
struttura e una organizzazione criminale tali da comportare  tra  gli
associati  o  i  concorrenti  nel  reato  vincoli  di  omerta'  e  di
segretezza particolarmente forti [...] il che  rende  ragionevole  la
presunzione legale di pericolosita' ed al contempo la  valorizzazione
- quale criterio di accertamento della rottura dei  collegamenti  con
la criminalita' organizzata - del parametro della collaborazione  con
la giustizia. 
    Dunque   l'esame   della   ragionevolezza    complessiva    della
disposizione introduttiva del sistema delle presunzioni  legali  (che
e' qui l'aspetto di interesse, non essendo in alcun modo  esaminabile
il parametro della intervenuta  collaborazione  o  meno  in  sede  di
divieto di sospensione della esecuzione ex art.  656  del  codice  di
procedura penale) ha sinora  valorizzato  -  in  un  quadro  ritenuto
compatibile con i principi di cui agli articoli 3 e  27  Cost.  -  il
concreto legame funzionale tra le particolari  caratteristiche  della
condotta tipica della fattispecie  considerata  ostativa  -  ritenuta
espressiva  di  un  humus  relazionale  teso  a  permanere  in  epoca
posteriore alla commissione del  singolo  fatto  -  e  la  scelta  di
limitare (fino  al  punto  di  escluderla)  la  discrezionalita'  del
giudice sulla meritevolezza del singolo ad accedere agli strumenti di
rieducazione alternativi. 
    4.7. Sta di fatto che la disposizione in esame ha  subito  -  nel
corso degli anni - numerose novellazioni con  costante  accrescimento
del catalogo di reati ritenuti fondanti - peraltro con  diversificati
modelli operativi, dal cui esame puo' prescindersi -  la  presunzione
legale di pericolosita' sociale. 
    Senza pretesa di esaustivita' va detto che  si  e'  proceduto  ad
inserire  progressivamente   nella   complessa   architettura   della
disposizione i reati  associativi  finalizzati  alla  commissione  di
delitti contro la liberta' individuale e alla commissione di reati di
violenza sessuale (decreto-legge n. 341  del  2000)  le  associazioni
finalizzate al contrabbando (legge n. 92 del 2001);  le  associazioni
finalizzate alla immigrazione clandestina (legge n. 189 del 2002); le
ipotesi di tratta, riduzione in schiavitu' acquisto o alienazione  di
schiavi  (legge  n.  279  del  2002);   le   ulteriori   ipotesi   di
prostituzione minorile, pornografia minorile ed altri reati  sessuali
(legge n. 38 del 2006); lo scambio elettorale  politico  mafioso;  il
favoreggiamento della immigrazione clandestina in quanto tale  (legge
n. 43 del 2015) sino all'attuale novellazione realizzata con legge n.
3 del 2019 tesa a ricomprendere, oltre al  delitto  di  peculato,  le
ipotesi di  cui  agli  articoli  317,  318,  319,  319-bis,  319-ter,
319-quater primo comma, 320, 321, 322, 322-bis del codice penale. 
    Cio' ha determinato - secondo  autorevoli  opinioni  espresse  in
dottrina - la difficolta' di rintracciare nella sequenza accrescitiva
un chiaro criterio selettivo capace di  esprimere  la  ragionevolezza
intrinseca della disposizione, aspetto di cui  vi  e'  traccia  nella
stessa  espressione  utilizzata  dalla  Corte  costituzionale   nella
decisione  n.  32  del  2016  (intervenuta  in  tema  di  liberazione
anticipata  speciale)  ove  l'elenco  dei  reati  da  cui  deriva  la
presunzione  legale  di  pericolosita'  di  cui  all'art.  4-bis   si
definisce «complesso, eterogeneo e stratificato». 
    La  disposizione  in   esame   si   e'   di   certo   allontanata
dall'originario  modello  di   tutela   della   collettivita'   dalla
drammatica aggressivita' del fenomeno mafioso, tendendo  ad  assumere
funzioni di norma-contenitore di fattispecie che di volta in volta si
ritengono espressive  di  un  consistente  livello  di  pericolosita'
dell'autore, con prevalenza  di  finalita'  di  prevenzione  generale
rispetto  alle  esigenze  di  individualizzazione   del   trattamento
esecutivo. 
    Cio', ad avviso del Collegio, non puo' comportare -  di  per  se'
solo  -  un  dubbio  di  ragionevolezza,  trattandosi  piuttosto   di
interrogarsi sui criteri di volta in volta adottati  dal  legislatore
per selezionare le singole fattispecie e sul rispetto  di  canoni  di
logicita' e di base empirica della singola scelta, fermo restando che
va segnalato come nella scorsa legislatura siano stati approvati  dal
Parlamento piu' punti di legge delega - la legge n. 103 del 23 giugno
2017 - tendenti alla riconsiderazione complessiva  delle  preclusioni
legali di pericolosita' in sede di accesso alle  misure  alternative,
con  forte  riduzione  del  margine  operativo  delle  presunzioni  e
ri-affidamento al giudice del  compito  di  valutare  la  sussistenza
delle condizioni di utile ammissione (al comma 85: lett. b) revisione
delle modalita' e dei presupposti di accesso alle misure alternative,
sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento  ai
limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle  stesse,  salvo
che  per  i  casi  di  eccezionale  gravita'  e  pericolosita'  e  in
particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche
internazionale; e) eliminazione di automatismi e di  preclusioni  che
impediscono ovvero ritardano, sia per i recidivi sia per  gli  autori
di  determinate  categorie  di   reati,   l'individualizzazione   del
trattamento  rieducativo   e   la   differenziazione   dei   percorsi
penitenziari in relazione alla tipologia dei reati  commessi  e  alle
caratteristiche personali del  condannato,  nonche'  revisione  della
disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i  condannati
alla pena  dell'ergastolo,  salvo  che  per  i  casi  di  eccezionale
gravita' e pericolosita' specificatamente individuati e comunque  per
le  condanne  per   i   delitti   di   mafia   e   terrorismo   anche
internazionale). 
    Il  mancato  esercizio,  su  tali  aspetti,  della  delega,   non
ridimensiona - ai fini qui in rilievo - la valenza obiettiva  di  una
ampia convergenza di opinioni circa  la  necessaria  riconsiderazione
organica del sistema delle presunzioni tradottasi in legge nel 2017. 
    4.8. Cio' che rileva, per quanto  sinora  detto,  al  fine  della
proposizione  del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale   e'   la
considerazione  della  esistenza  o  meno   di   una   congrua   base
logico-empirica capace di sostenere la  avvenuta  qualificazione  del
delitto di peculato (oggetto dei caso  in  esame)  come  fondante  la
descritta presunzione legale di accentuata pericolosita'. 
    Infatti, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale -
ripresa e ribadita di recente nella sentenza  n.  141  del  2019  (in
specie, si veda il paragrafo 7.1 Cons. dir.) -  l'individuazione  dei
fatti punibili, cosi' come fa determinazione della pena per  ciascuno
di essi,  costituisce  materia  affidata  alla  discrezionalita'  del
legislatore. Gli apprezzamenti in ordine alla  «meritevolezza»  e  al
«bisogno di pena» - dunque, sull'opportunita' del ricorso alla tutela
penale e sui livelli ottimali della stessa - sono  per  loro  natura,
tipicamente politici (v. sent. n. 95 del 2019 e n. 394 del 2006). 
    Le scelte legislative in materia sono  pertanto  censurabili,  in
sede di sindacato di legittimita' costituzionale, solo ove trasmodino
nella  manifesta  irragionevolezza  o  nell'arbitrio  (ex   plurimis,
sentenze n. 95 del 2019, n. 273 e n. 47 del 2010; ordinanze n. 249  e
n. 71 del 2007; nonche',  con  particolare  riguardo  ai  trattamento
sanzionatorio, sentenze n. 179 del 2017, n. 236 e n. 148 del 2016). 
    La manifesta irragionevolezza delle scelte legislative,  come  si
dira' subito, sempre secondo l'insegnamento del giudice delle  leggi,
si  deve  valutare  sulla  base  dei  dati  generalizzati  di  comune
esperienza. 
    Ad avviso  del  Collegio  appare,  dunque,  lecito  dubitare  del
fondamento logico e criminologico di  simile  approdo  nel  caso  del
peculato, e cio' in rapporto alla avvertita  necessita'  per  cui  le
presunzioni assolute, li' dove limitano un diritto fondamentale della
persona, finiscono con il violare il principio di uguaglianza di  cui
all'art. 3 se non rispondono  a  dati  di  esperienza  generalizzati,
riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit: evenienza che
si riscontra segnatamente allorche' sia «agevole»  formulare  ipotesi
di accadimenti contrari alla  generalizzazione  posta  a  base  della
presunzione stessa (v. Corte cost.  n.  139  del  2010  e  successive
decisioni intervenute sul tema delle presunzioni di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere di  cui  all'art.  275  del  codice  di
procedura penale; circa inoltre la necessaria utilizzazione, in  sede
di formulazione di una presunzione legale, del portato  delle  comuni
esperienze gia' Corte cost. n. 19 del 1966). 
    In particolare la condotta di peculato, per come configurata  dal
legislatore, non appare contenere -  fermo  restando  il  suo  comune
disvalore - alcuno dei connotati idonei a sostenere una accentuata  e
generalizzata considerazione di elevata pericolosita' del suo autore,
trattandosi di condotta di approfittamento, a fini  di  arricchimento
personale, di una particolare condizione di  fatto  (il  possesso  di
beni  altrui  per  ragioni  correlate  al   servizio)   preesistente,
realizzata ontologicamente senza uso di  violenza  o  minaccia  verso
terzi e  difficilmente  inquadrabile  -  sul  piano  della  frequenza
statistica  delle  forme  di  manifestazione   -   in   contesti   di
criminalita' organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi. 
    La connotazione di elevata  pericolosita'  di  «ogni»  autore  di
simile condotta - che ben potrebbe risolversi in  un'unica  occasione
di consumazione, isolata e marcatamente episodica  -  espressa  dalla
legge n. 3 del 2019 pare dunque contrastare con la mera  osservazione
delle caratteristiche obiettive del tipo legale, in chiave di  dubbio
circa il rispetto del principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3
Cost. 
    Ne' dall'esame dei lavori preparatori delta legge citata e'  dato
rinvenire - in particolare  quanto  al  peculato  -  una  esposizione
chiara di criteri di metodo  e  di  osservazione  empirica  idonei  a
giustificare simile scelta, di certo portatrice - come si e' detto  -
di forti limitazioni a diritti costituzionalmente garantiti. 
    4.9. L'apprezzamento concreto delle caratteristiche obiettive del
fatto e della personalita' dell'autore viene peraltro sottratto -  in
tale dimensione - alla discrezionalita' del Tribunale di sorveglianza
(con anticipazione degli effetti pregiudizievoli in tema di  liberta'
personale derivante dalla previsione di legge di  cui  all'art.  656,
comma 9 del codice di procedura penale) finendo  con  il  determinare
l'ulteriore  dubbio  -  che  si  intende  esprimere  -  di   concreto
pregiudizio al principio di  individualizzazione  della  pena  e  del
finalismo rieducativo di cui all'art. 27 comma 3 Cost. 
    La selezione  delle  fattispecie  di  reato  «ostative»  comporta
l'attrazione dei  condannati  per  tali  fatti  -  al  di  la'  delle
condizioni soggettive e dei profili di quantificazione  concreta  del
trattamento sanzionatorio  -  in  un  sottosistema  che  nel  rendere
marginale la discrezionalita' del giudice incide concretamente  sulla
dimensione rieducativa della  pena,  esaltandone  -  per  converso  -
l'aspetto di prevenzione generale a fini di deterrenza. 
    Simile assetto - ove non assistito da fondata base empirica della
selezione - si ricollega esclusivamente ad un automatismo. 
    Sul tema va dunque evidenziato  che  nel  percorso  di  ragionata
diffidenza del giudice delle leggi verso  l'utilizzo  di  presunzioni
legali di pericolosita', correlate alla commissione di uno  specifico
fatto  di  reato,  si  inserisce,  di  recente,  il  contenuto  della
decisione Corte cost. n. 149 del 2018 (intervenuta sulla  particolare
previsione di cui all'art. 58-quater, comma  4  ord.  pen.)  nel  cui
ambito si e' ribadito che la  finalita'  rieducativa  della  pena  e'
«ineliminabile»  ed  esige   «valutazioni   individualizzate»,   rese
impossibili da rigidi automatismi legali  da  ritenersi  contrastanti
con i principi di proporzionalita' ed individualizzazione della pena;
analoga posizione di sfavore verso le predeterminazioni  legali,  qui
in tema di durata delle inibizioni sanzionatorie (per contrasto con i
principi   di   proporzionalita'   della   pena   e   di   necessaria
individualizzazione della medesima) risulta espressa, di recente, nel
settore delle pene accessorie da Corte cost. n. 222 del 2018. 
    Cio'  rende  -  ad  avviso   del   Collegio   -   necessaria   la
prospettazione di tale ulteriore parametro, nell'ambito del  promosso
giudizio incidentale. 
    4.9. Per tutte le ragioni sinora espresse va sollevata di ufficio
la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  6,
lett. b), della legge n. 3 del 9 gennaio 2019,  nella  parte  in  cui
inserisce all'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975 n.  354
il riferimento al delitto di peculato  di  cui  all'art.  314,  primo
comma, del codice penale. 
    Va sospeso il procedimento, ai sensi dell'art. 23 legge n. 87 del
1953, come da dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge n. 87 del 1953, ritenuta la rilevanza e  la
non manifesta infondatezza, solleva, con riferimento agli articoli  3
e 27 della Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 6, lett. b) della legge n. 3 del 9  gennaio  2019,
nella parte in cui inserisce all'art. 4-bis, comma 1, della legge  26
luglio 1975 n. 354 il riferimento  al  delitto  di  peculato  di  cui
all'art. 314, primo comma, del codice penale. 
    Sospende  il  presente   procedimento   e   dispone   l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Manda la Cancelleria per la  notifica  della  presente  ordinanza
alle parti del giudizio  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Manda  la  Cancelleria  per  la  comunicazione   della   presente
ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Cosi' deciso il 18 giugno 2019 
 
                      Il Presidente: Santalucia 
 
 
                                       Il consigliere estensore: Magi