N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 maggio 2019

Ordinanza del 27 maggio 2019 del Tribunale  amministrativo  regionale
per le  Marche  sul  ricorso  proposto  da  B.  R.  contro  Ministero
dell'interno e Ufficio  territoriale  del  Governo  -  prefettura  di
Fermo.. 
 
Circolazione stradale - Patente  di  guida  -  Requisiti  morali  per
  ottenere il rilascio - Soggetti sottoposti a misure di  prevenzione
  ai sensi del  decreto  legislativo  6  settembre  2011,  n.  159  -
  Previsione che il Prefetto "provvede", anziche' "puo'  provvedere",
  alla revoca della patente. 
- Decreto legislativo 30 aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
  strada), art. 120, comma 2. 
(GU n.39 del 25-9-2019 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LE MARCHE 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 191 del 2019, proposto  da  R.B.,  rappresentato  e
difeso dagli avvocati Alessandro Lucchetti e Francesca Paoletti,  con
domicilio digitale come da pec da Registri di giustizia; 
    Contro Ministero dell'interno e Ufficio territoriale del  Governo
- Prefettura di Fermo,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura  distrettuale
dello Stato, domiciliati presso la  sede  della  stessa,  in  Ancona,
piazza Cavour n. 29; 
    Per l'annullamento previa sospensione del provvedimento prot.  n.
0008683 in data 18 marzo 2019, notificato in data 22 marzo 2019,  con
cui la Prefettura, Ufficio territoriale del Governo di Fermo ordinava
la revoca della patente di guida  nonche'  di  ogni  altro  eventuale
documento  di  guida  dell'odierno  ricorrente   sulla   base   della
irrogazione al sig. B. della misura di sicurezza  della  sorveglianza
speciale per anni cinque. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'interno e di Ufficio territoriale del Governo  -  Prefettura  di
Fermo; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio  2019  il
dott. Tommaso Capitanio  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1.  Con  decreto  collegiale  n.  24/2018  SIPPI,  depositato  in
cancelleria il 20 febbraio 2019, il Tribunale  di  Ancona  -  Ufficio
misure di prevenzione ha applicato nei confronti  del  ricorrente  la
misura  di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di   pubblica
sicurezza, ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo  6  settembre
2011, n. 159. 
    In conseguenza di cio' il vice prefetto aggiunto di Fermo,  nella
sua qualita' di dirigente dell'area III della  stessa  Prefettura,  a
cio'  appositamente  delegato  dal  prefetto,  con  il  provvedimento
odiernamente impugnato disponeva nei confronti del sig. B. la  revoca
della patente di guida ai sensi dell'art.  120,  commi  1  e  2,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), secondo cui: 
        «1. Non possono conseguire la patente di guida i  delinquenti
abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati
sottoposti  a  misure  di  sicurezza  personali  o  alle  misure   di
prevenzione previste dalla  legge  27  dicembre  1956,  n.  1423,  ad
eccezione di quella di cui all'art. 2, e dalla legge 31 maggio  1965,
n. 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli  73  e
74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, fatti  salvi  gli  effetti  di  provvedimenti
riabilitativi, nonche' i soggetti destinatari dei divieti di cui agli
articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera f),  del
medesimo  testo  unico  di  cui  al  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 309 del 1990 per tutta la durata dei predetti  divieti.
Non possono di nuovo conseguire la patente di guida le persone a  cui
sia applicata per la seconda volta, con sentenza di condanna  per  il
reato di cui al terzo periodo del comma 2 dell'art.  222,  la  revoca
della patente ai sensi del quarto periodo del medesimo comma. 
    2. Fermo restando quanto previsto dall'art. 75, comma 1,  lettera
a), del citato testo unico di cui al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990, se le condizioni soggettive  indicate  al
primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in  data
successiva al  rilascio,  il  prefetto  provvede  alla  revoca  della
patente di  guida.  La  revoca  non  puo'  essere  disposta  se  sono
trascorsi piu' di tre anni dalla data di applicazione delle misure di
prevenzione, o di quella del passaggio in giudicato della sentenza di
condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1». 
    2. Nel presente ricorso il provvedimento suddetto viene censurato
sia in ragione del fatto che, a seguito della  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 24 del 2019,  sarebbe  venuta  meno  la  norma  del
decreto legislativo n. 159/2011 in base alla quale e' stata applicata
la misura di prevenzione (dal che discenderebbe, a cascata, il  venir
meno del provvedimento del Tribunale di Ancona  e  anche  degli  atti
amministrativi eventualmente adottati sulla base dello  stesso),  sia
in ragione del fatto che l'art. 120, comma 2, del codice della strada
sarebbe incostituzionale nella parte in cui la norma prevede  che  il
prefetto «provvede» - e non gia'  «puo'  provvedere»  -  alla  revoca
della patente di guida nei riguardi dei soggetti a  cui  siano  state
applicate le misure di prevenzione di cui  alla  legge  n.  1423/1956
(attualmente  il  riferimento  va  inteso   ovviamente   al   decreto
legislativo n. 159/2011). 
    A questo  secondo  riguardo  parte  ricorrente  richiama  sia  la
sentenza della Consulta n. 22 del 2018 (recante  la  declaratoria  di
incostituzionalita' dell'art. 120, comma 2, del codice della  strada,
come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera  a),  della  legge  15
luglio 2009, n. 94, nella parte in cui - con riguardo all'ipotesi  di
condanna per reati di cui agli articoli  73  e  74  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, che intervenga in
data successiva a quella di rilascio della patente di guida - dispone
che il prefetto «provvede», invece che «puo' provvedere», alla revoca
della patente), sia l'ordinanza di questo Tribunale 24  luglio  2018,
n. 519 (con cui e'  stata  sollevata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 120, comma 2,  del  decreto  legislativo  n.
285/1992, nella parte in cui dispone che  il  prefetto  «provvede»  -
invece che «puo' provvedere» - alla revoca della patente anche quando
il relativo presupposto riguardi la sottoposizione dell'interessato a
misure  di  sicurezza  personali),   chiedendo   che   il   Tribunale
amministrativo  regionale  sollevi  la  questione   di   legittimita'
costituzionale anche in parte qua. 
    3. Si sono costituiti per resistere al  gravame,  chiedendone  il
rigetto, il Ministero dell'interno e la Prefettura di Ancona. 
    Alla camera di consiglio del  22  maggio  2019,  fissata  per  la
trattazione collegiale della domanda cautelare, il collegio  ha  dato
avviso alle parti della possibilita' di definire il giudizio gia'  in
questa sede ai sensi dell'art. 60  cod.  proc.  amm.  (visto  che  il
contraddittorio  e'   integro   e   che   non   sussistono   esigenze
istruttorie), non riscontrando opposizioni o riserve di sorta. 
    Con  separata  ordinanza  n.  87/2019,  resa  in  pari  data,  il
Tribunale ha accolto la domanda cautelare. 
    4. Il  collegio  ritiene  di  dover  condividere  la  prospettata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 2,  del
codice della strada, nella parte in  cui  la  norma  dispone  che  il
prefetto «provvede» - invece che  «puo'  provvedere»  -  alla  revoca
della  patente   quando   il   relativo   presupposto   riguardi   la
sottoposizione dell'interessato ad una delle misure di prevenzione di
cui alla legge n. 1423/1956 (come detto, attualmente  il  riferimento
va inteso al decreto legislativo  n.  159/2011)  e  di  dover  quindi
investire della questione la Corte costituzionale. 
    4.1. Quanto alla non manifesta infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale,  l'odierno  collegio  ritiene  di  dover
anzitutto richiamare le puntuali considerazioni di  cui  alla  citata
ordinanza del Tribunale  amministrativo  regionale  n.  519/2018,  le
quali si rifanno a loro volta alla sentenza della Consulta n. 22  del
2018.  Cosi'  il  Tribunale  ha  dato  conto  della   non   manifesta
infondatezza della questione «... il  prevalente  orientamento  della
giurisprudenza  sia  amministrativa,  sia  civile,  ritiene  che   il
provvedimento prefettizio di revoca della patente  in  dipendenza  di
misure  di  sicurezza  personali,  come  nel  caso  in   esame,   sia
espressione  di  discrezionalita'  amministrativa,  cioe'  di  potere
idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo  della  persona
abilitata alla guida, ma costituisca un  atto  dovuto,  nel  concorso
delle condizioni all'uopo  stabilite  dalla  norma  (cfr.  Cassazione
civ., SS.UU., 14 maggio  2014,  n.  10406;  Tribunale  amministrativo
regionale  Lazio,  Roma,  I-ter,  17  gennaio  2018,  n.   548).   Di
conseguenza, il prevalente orientamento della giurisprudenza  esclude
la giurisdizione del giudice  amministrativo  (cfr.  tra  le  ultime,
Cassazione 10406 del 2014 cit.;  Tribunale  amministrativo  regionale
Campania, Napoli, Sezione V,  24  gennaio  2018,  n.  487;  Tribunale
amministrativo regionale Lazio, n. 548 del 2018 cit.). 
    3. Il collegio rileva, tuttavia, che tale  orientamento  potrebbe
essere rivisitato per effetto della  recente  pronuncia  della  Corte
costituzionale 9 febbraio 2018, n. 22 (nella  Gazzetta  Ufficiale  14
febbraio 2018, n. 7), che ha  dichiarato  l'illegittimita'  dell'art.
120, comma 2, del richiamato decreto legislativo  n.  285  del  1992,
come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera  a),  della  legge  15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di  sicurezza  pubblica),
nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede"  -  invece  che
"puo' provvedere" - alla revoca della patente. 
    La citata declaratoria  di  incostituzionalita'  veniva  tuttavia
pronunciata "con riguardo all'ipotesi di condanna per  reati  di  cui
agli articoli 73 e 74 del decreto del Presidente della  Repubblica  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza)",
mentre, in questa sede, il presupposto della decisione amministrativa
riguarda l'applicazione di misure di sicurezza personali. 
    A giudizio del  collegio  emergono  tuttavia  i  presupposti  per
affermare  la  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  120,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 285 del 1992,  nella  parte  in  cui  dispone  che  il
prefetto "provvede" - invece che  "puo'  provvedere"  -  alla  revoca
della patente  anche  quando  il  relativo  presupposto  riguardi  la
sottoposizione dell'interessato a misure di sicurezza personali  come
nel caso in esame. 
    3.1 Sul punto e' utile ricordare le seguenti  considerazioni  che
si  leggono  al  paragrafo  7  della  citata  pronuncia  della  Corte
costituzionale n. 22 del 2018: 
        "7. La seconda questione  -  relativa  all'automatismo  della
revoca della patente, da parte dell'autorita' amministrativa, in caso
di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati  in  materia  di
stupefacenti - e', invece, fondata per  violazione  dei  principi  di
eguaglianza, proporzionalita' e  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3
della Costituzione. 
    La   disposizione   denunciata   -   sul   presupposto   di   una
indifferenziata  valutazione  di  sopravvenienza  di  una  condizione
ostativa al mantenimento del titolo  di  abilitazione  alla  guida  -
ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca
di quel titolo, ad una varieta' di fattispecie,  non  sussumibili  in
termini di omogeneita', atteso che  la  condanna,  cui  la  norma  fa
riferimento, puo' riguardare reati di diversa, se non addirittura  di
lieve, entita'. Reati che, per di piu', possono (come  nella  specie)
essere assai risalenti nel tempo, rispetto alla data  di  definizione
del giudizio. Il che dovrebbe escluderne l'attitudine a fondare,  nei
confronti del condannato,  dopo  un  tale  intervallo  temporale,  un
giudizio, di assenza dei requisiti soggettivi per il mantenimento del
titolo di abilitazione  alla  guida,  riferito,  in  via  automatica,
all'attualita'. 
    Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione in esame
e', poi, ravvisabile nell'automatismo della  'revoca'  amministrativa
rispetto alla discrezionalita' della parallela  misura  del  'ritiro'
della patente che, ai sensi dell'art. 85 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n.  309  del  1990,  il  giudice  che  pronuncia  la
condanna per i reati in questione 'puo' disporre', motivandola,  'per
un periodo non superiore a tre anni'. 
    E' pur vero che tali due misure - come gia' evidenziato - operano
su piani diversi e rispondono a diverse finalita'. 
    Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna per  reati
in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione  soggettiva
ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida,  agli
effetti   della   sua   revocabilita'   da    parte    dell'autorita'
amministrativa, anche quando il giudice  penale  (non  ritenendo  che
detto titolo sia strumentale al reato commesso o che possa  agevolare
la commissione  di  nuovi  reati)  decida  di  non  disporre  (ovvero
disponga per un piu' breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro
della patente. 
    La contraddizione  sta,  invece,  in  cio'  che  -  agli  effetti
dell'adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur  si
ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in
senso identicamente  negativo  sulla  titolarita'  della  patente)  -
mentre il giudice penale ha la 'facolta' di disporre, ove lo  ritenga
opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il 'dovere'
di disporne la revoca. 
    Per tali profili di contrasto con  l'art.  3  della  Costituzione
(nei  quali  restano  assorbite  le  altre  formulate  censure)   va,
pertanto, dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'esaminato
comma 2 dell'art. 120 del codice della strada,  nella  parte  in  cui
dispone che il prefetto 'provvede' - invece che 'puo'  provvedere'  -
alla revoca della patente di guida, in caso di sopravvenuta  condanna
del suo titolare per reati di cui agli articoli 73 e 74  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990". 
    3.2 Anche in caso di  misure  di  sicurezza  personali  l'odierno
collegio rileva la disomogeneita' di tali misure applicabili in  base
alle circostanze (liberta' vigilata, ex articoli 228-232  del  codice
penale; divieto di soggiorno, ex art. 233 del codice penale;  divieto
di frequentare osterie e pubblici spacci  di  bevande  alcoliche,  ex
art. 234 del codice penale), ma tutte compatibili con la possibilita'
di utilizzare il titolo di guida. 
    La durata complessiva delle misure di sicurezza e' poi  variabile
in relazione  alla  pericolosita'  sociale  del  destinatario,  ferma
restando la loro durata minima. 
    L'automatismo delineato dall'art. 120, comma 2, del codice  della
strada risulterebbe quindi irragionevole di fronte alla molteplicita'
di situazioni (pericolosita' del soggetto piu' o  meno  grave)  e  di
misure di sicurezza che potrebbero  essere  applicate  (piu'  o  meno
rigorose e piu' o meno protratte nel tempo). 
    3.3  Emerge  inoltre  l'ulteriore  profilo  di   irragionevolezza
dell'art. 120, comma 2, del codice della strada, nella contraddizione
tra scopi e poteri esercitati  dalle  diverse  autorita'  (giudice  e
prefetto) di fronte alla medesima vicenda. 
    Il magistrato di sorveglianza esercita un  potere  discrezionale,
ai sensi degli articoli 228 del codice penale e 190  disp.  att.  del
codice di procedura penale,  nello  stabilire  le  prescrizioni  alle
quali deve attenersi la persona sottoposta  a  liberta'  vigilata.  A
norma dell'art. 228 del codice penale "la  sorveglianza  deve  essere
esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento
della  persona  alla  vita  sociale".  Analogo  indirizzo  si   legge
nell'ultimo comma del citato art. 190 secondo cui  "La  vigilanza  e'
esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi e'
sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con
la necessaria tranquillita'". 
    L'art. 62,  comma  2,  della  legge  24  novembre  1981,  n.  689
(Modifiche al sistema penale) prevede, con  riferimento  alle  misure
della liberta' controllata e della  semidetenzione,  che  "quando  il
condannato svolge  un  lavoro  per  il  quale  la  patente  di  guida
costituisce indispensabile requisito, il magistrato  di  sorveglianza
puo' disciplinare la sospensione in modo da non ostacolare il  lavoro
del condannato". 
    Proprio  per  garantire  tali   finalita',   il   magistrato   di
sorveglianza di Ancona, con la  citata  ordinanza  n.  2107/1089,  si
esprimeva anche sulla patente del ricorrente, rilasciando nulla  osta
"a che il soggetto possa continuare a farne uso in costanza di misura
di sicurezza per ragioni legate all'attivita' lavorativa". 
    Tale   possibilita',   specificatamente   legata    all'attivita'
lavorativa favorita attraverso la liberta' vigilata, veniva  tuttavia
vanificata dalla revoca del titolo di guida disposta dal prefetto  di
Ancona nell'esercizio del potere - appunto vincolato -  previsto  dal
richiamato art. 120, comma 2, del codice della strada. 
    3.4 La norma che  prevede  un  tale  potere  vincolato  evidenzia
quindi  profili,  non  manifestamente  infondati,  di  disparita'  di
trattamento, sproporzionalita'  e  irragionevolezza  incidenti  sulla
liberta' personale,  sul  diritto  al  lavoro  e  sulla  liberta'  di
circolazione in contrasto con gli  articoli  3,  4,  16  e  35  della
Costituzione...». 
    4.2. Con specifico riguardo alle misure di prevenzione di cui  al
Libro I, Capo II, del decreto legislativo  n.  159/2011  va  aggiunto
che: 
        come   e'   noto,   l'autorita'   giudiziaria   che   dispone
l'applicazione della sorveglianza speciale  di  P.S.  e'  tenuta,  ai
sensi dell'art. 8 del citato  decreto  legislativo,  a  stabilire  le
prescrizioni a cui l'interessato deve attenersi per tutto il  periodo
di efficacia della misura; 
        tali prescrizioni, tuttavia, non possono avere  l'effetto  di
inibire all'interessato la possibilita' di  vivere  una  vita  quanto
piu' possibile normale (anche se  vengono  notevolmente  limitate  la
liberta' di spostamento e la  liberta'  di  frequentazione  di  altre
persone) e, soprattutto, non debbono impedirgli di svolgere attivita'
lavorativa lecita. Questo secondo profilo  emerge  sia  dall'art.  8,
comma  3,  laddove  si  prevede  addirittura  che  il  Tribunale   in
determinati casi «ordini» all'interessato di darsi alla ricerca di un
lavoro (nel caso del sig. B. tale prescrizione evidentemente  non  e'
stata  imposta  in  quanto  egli  gia'  svolge  attivita'  lavorativa
lecita), sia, a livello piu' generale, dall'art.  67,  comma  5,  del
decreto legislativo n. 159/2011  (laddove  si  prevede  che  «Per  le
licenze ed autorizzazioni di polizia, ad eccezione di quelle relative
alle armi, munizioni ed esplosivi, e per gli altri  provvedimenti  di
cui al comma 1  le  decadenze  e  i  divieti  previsti  dal  presente
articolo possono essere esclusi dal  giudice  nel  caso  in  cui  per
effetto degli stessi verrebbero a mancare i  mezzi  di  sostentamento
all'interessato e alla famiglia»); 
        pertanto, e sia pure sotto un diverso profilo, anche nel caso
delle misure di prevenzioni  personali  di  cui  agli  articoli  4  e
seguenti del decreto legislativo n. 159/2011 si  verifica  il  «corto
circuito» segnalato dal Tribunale nell'ordinanza n.  519/2018,  visto
che la revoca obbligata della patente  di  guida  prevista  dall'art.
120, comma  2,  del  codice  della  strada  puo'  impedire  di  fatto
all'interessato di svolgere attivita' lavorativa lecita per tutto  il
periodo in cui egli e' sottoposto alla sorveglianza speciale (il  che
rende  la  misura  ancora  piu'  gravosa  di  quanto   abbia   inteso
configurarla il giudice penale). 
    4.2. Con riguardo, invece, alla  rilevanza  della  questione,  la
stessa sussiste indubbiamente, in quanto: 
        come correttamente eccepito dalla  Prefettura  di  Fermo  nei
propri  scritti  difensivi,  l'art.  120,  comma   2,   del   decreto
legislativo n. 285/1992 attribuisce all'amministrazione, in  subiecta
materia, un potere vincolato, il che vuol dire che le censure  svolte
al riguardo dal sig. B. potrebbero trovare condivisione  solo  se  la
norma venisse espunta dall'ordinamento giuridico; 
        il motivo con cui si deduce che  il  provvedimento  impugnato
sarebbe divenuto privo di base giuridica  a  seguito  della  sentenza
della Corte costituzionale n. 24 del 2019 non e' invece  fondato,  in
quanto compete solo alla Corte di appello di Ancona (di  fronte  alla
quale il sig. B. ha  impugnato  il  provvedimento  del  Tribunale  di
Ancona)  pronunciarsi  sulla  perdurante  validita'  del  decreto  di
applicazione della misura di prevenzione. Pertanto,  fino  a  che  il
decreto rimane formalmente in  vita  questo  Tribunale  non  potrebbe
annullare il provvedimento prefettizio oggetto del presente giudizio,
ritenendolo affetto da invalidita' derivata; 
        ugualmente  infondato  e'  il  motivo  con  cui   si   deduce
l'incostituzionalita'  in  parte  qua  dell'art.   67   del   decreto
legislativo n. 159/2011, visto che tale disposizione non e' stata  in
alcun modo richiamata nel provvedimento impugnato. 
    4.3. Non e' invece consentito al giudice di  merito,  come  parte
ricorrente pretende con il primo motivo  di  ricorso,  estendere  gli
effetti di una precedente sentenza della  Corte  costituzionale  (nel
caso in esame si tratta sempre della  sentenza  n.  22  del  2018)  a
fattispecie analoghe. 
    4.4.  Pertanto,  l'unico  motivo  che  puo'  essere  esaminato  e
condiviso   dal   Tribunale   e'   quello   con   cui    si    deduce
l'incostituzionalita' in parte qua dell'art. 120, comma 2, del codice
della strada, il che conferma che la questione e' rilevante. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  le  Marche  (Sezione
Prima): 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 2,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), per  contrasto  con  gli  articoli  3,  4,  16  e  35  della
Costituzione, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» -
invece che «puo' provvedere» - alla revoca della patente di guida nei
confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di prevenzione
ai sensi del decreto legislativo n. 159/2011; 
        dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e   ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        ordina  che,  a  cura  della  segreteria  del  Tribunale,  la
presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente
del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata  ai  Presidenti  della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art.  52,  comma
1, del decreto legislativo 30 giugno  2003,  n.  196,  a  tutela  dei
diritti  o  della  dignita'  della  parte  interessata,  manda   alla
segreteria di procedere all'oscuramento delle generalita' nonche'  di
qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. 
    Cosi' deciso in Ancona nella camera di consiglio  del  giorno  22
maggio 2019 con l'intervento dei magistrati: 
        Gianluca Morri, presidente FF; 
        Tommaso Capitanio, consigliere, estensore; 
        Simona De Mattia, consigliere. 
 
                        Il Presidente: Morri 
 
 
                                               L'estensore: Capitanio