N. 145 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 agosto 2019

Ordinanza del 1° agosto 2019 del  Tribunale  di  Milano  sul  ricorso
proposto  da  A.   H.,   Associazione   per   gli   studi   giuridici
sull'immigrazione e Associazione avvocati  per  niente  onlus  contro
Ministero dell'interno e Comune di Milano.. 
 
Straniero - Accoglienza dei richiedenti protezione  internazionale  -
  Disposizione  inserita  dal  decreto-legge   n.   113   del   2018,
  convertito, con modificazioni,  nella  legge  n.  132  del  2018  -
  Previsione che il permesso di soggiorno  per  richiesta  di  asilo,
  rilasciato   al   richiedente   protezione   internazionale,    non
  costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica. 
- Decreto legislativo  18  agosto  2015,  n.  142  (Attuazione  della
  direttiva 2013/33/UE recante  norme  relative  all'accoglienza  dei
  richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'  della  direttiva
  2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del  riconoscimento  e
  della revoca dello status di protezione  internazionale),  art.  4,
  comma 1-bis, introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera  a),  numero
  2, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113  (Disposizioni  urgenti
  in materia di protezione internazionale e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132. 
Straniero - Disposizioni in materia di  protezione  internazionale  e
  immigrazione, sicurezza pubblica introdotte  dal  decreto-legge  n.
  113 del 2018, convertito, con modificazioni, nella legge n. 132 del
  2018 - Previsione che il permesso di  soggiorno  per  richiesta  di
  asilo, rilasciato al  richiedente  protezione  internazionale,  non
  costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica. 
- Decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132, art. 13, comma 1, lettera a), numero 2. 
(GU n.39 del 25-9-2019 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO 
                        prima sezione civile 
 
    Il giudice Laura Massari, nella causa civile iscritta al n.  r.g.
14134/2019 promossa da H    A     (C.F.), con il patrocinio dell'avv.
Guariso Alberto e Onida Valerio (NDOVLR36C30F205R) via XX  Settembre,
24  -  20123  Milano,  elettivamente  domiciliato  in  viale   Regina
Margherita, 30 -  20122  Milano  presso  il  difensore  avv.  Guariso
Alberto ricorrente; 
    contro Ministero dell'interno (CF. 97149560589), in  persona  del
Ministro in carica, con il patrocinio dell'Avvocatura  Stato  Milano,
elettivamente domiciliato in via Freguglia,1 20122 Milano presso  gli
uffici  della  Avvocatura  Stato  Milano  Comune  di   Milano   (C.F.
01199250158), in persona del Sindaco pro tempore e del Sindaco  nella
sua qualita' di ufficiale del Governo, con il patrocinio degli avv.ti
Mandarano  Antonello,  Moramarco   Anna   Maria   (MRMNMR57S44A225K),
Pelucchi   Anna   Lisa   (PLCNLS74L66F205T),    D'Auria    Elisabetta
(DRALBT55L57F205S), Bartolomeo Angela  (BRTNGL66E49F205S)  e  Claudio
Colombo, elettivamente domiciliato in via della Guastalla, 6 -  20122
Milano presso gli uffici dell'Avvocatura Comunale convenuti; 
    ASGI Associazione degli studi giuridici  sull'immigrazione  (C.F.
97086880156)  e  Avvocati  per  niente   ONLUS   (C.F.   97384770158)
rappresentati e difesi dagli avv.ti  Guariso  Alberto  e  Neri  Livio
(NRELVI73P16F205H),  elettivamente  domiciliati   in   viale   Regina
Margherita, 30  - 20122  Milano  presso  il  difensore  avv.  Guariso
Alberto intervenuti; 
    a scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  26  giugno
2019, ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con ricorso ex artt. 28 d.lgs. 1° settembre 2011,  n.  150  e  44
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nonche' ex art.  702  bis  c.p.c.,  il
signor H       A       , nato a          il           , ha  convenuto
in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Comune di Milano  e  il
Ministero dell'Interno,  chiedendo,  previa  occorrendo  rinvio  alla
Corte   Costituzionale,   la   dichiarazione   di    invalidita'    e
l'accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto opposto  dal
Comune di Milano alla iscrizione del ricorrente  nell'anagrafe  della
popolazione residente. 
    A sostegno delle proprie richieste, il ricorrente ha premesso: 
        - di aver fatto ingresso in Italia il 16 novembre 2015  e  di
aver fatto richiesta di protezione internazionale; 
        -  in  attesa  della  individuazione   dello   Stato   membro
competente all'esame  della  sua  domanda,  il  16  ottobre  2018  ha
ottenuto permesso di soggiorno c.d. Dublino con validita' sino al  15
gennaio 2019 (doc. 1 prodotto dal ricorrente); 
        - di aver quindi ottenuto, ed essere tuttora in possesso,  di
permesso di soggiorno per richiesta asilo valido sino  al  14  luglio
2019 (doc. 2 prodotto dal ricorrente); 
        - di aver sempre alloggiato presso, 
        ove abitualmente dimora; 
        - di aver fatto domanda al Comune  di  Milano  di  iscrizione
anagrafica di residenza al predetto indirizzo; 
        - di aver ricevuto dal  Comune  la  comunicazione  datata  29
ottobre 2018 di "annullamento pratica  iscrizione  anagrafica"  cosi'
motivata: "con l'entrata in vigore in data 5 ottobre 2018 del d.l. n.
113/2018 (Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica - art. 13)
si comunica l'annullamento della Sua pratica di residenza  in  quanto
il permesso di soggiorno per  richiedenti  protezione  internazionale
non costituisce titolo  per  l'iscrizione  anagrafica  ai  sensi  del
d.P.R. n. 223/1989 e dell'art. 6, comma 7, d. lgs. n. 286/1998" (doc.
3 prodotto dal ricorrente); 
    - di avere interesse concreto e attuale a ottenere una  pronuncia
di  accertamento  del  carattere  discriminatorio  del   rifiuto   di
iscrizione all'anagrafe opposto dal Comune di Milano  e  del  proprio
diritto all'iscrizione anagrafica in quanto  "non  varrebbe  invocare
l'art. 13, comma 1, lettera b) del D.L. n. 113/18 (che ha  sostituito
il comma 3 dell'art. 5 del D.lgs n. 142/15) secondo cui 'l'accesso ai
servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato  nel  luogo  di
domicilio  individuato  ai  sensi  dei  commi  1   e   2'.   Infatti,
l'iscrizione anagrafica costituisce un  diritto  soggettivo  volto  a
identificare la persona sancendone  l'appartenenza  a  una  comunita'
locale; questa sua funzione non puo'  essere  sostituita  dalla  mera
garanzia di erogazione dei servizi. E tanto basterebbe  a  sorreggere
l'interesse  ad  agire  del  ricorrente.  Comunque,  la  mancanza  di
iscrizione anagrafica comporta, pur in presenza della  citata  norma,
il venir meno o la difficolta' di esercizio di molteplici diritti. Si
consideri in particolare quanto segue: 
        a) La norma citata (art. 13, comma 1,  lett.  b)  DL  113/18)
riguarda solo l'erogazione servizi pubblici, non  i  rapporti  con  i
privati che hanno evidente interesse a identificare  la  persona  (ad
es.  nel  caso  di  stipulazione  di  un  contratto)  anche  mediante
l'indicazione del luogo  di  residenza  anagrafica.  La  mancanza  di
iscrizione anagrafica pregiudica quindi il  richiedente  asilo  nella
sua liberta' contrattuale  che  e'  invece  garantita  a  parita'  di
condizioni  con  il  cittadino  italiano  a   tutti   gli   stranieri
regolarmente  soggiornanti,  ai  sensi  dell'art.  2,  comma  2,   TU
immigrazione. 
        b) A cio' si aggiunga che la norma, anche per quanto riguarda
i servizi  pubblici,  appare  incompleta  perche'  -  pur  garantendo
l'accesso ai servizi - nulla dice in ordine alle modalita'  paritarie
o meno  di  accesso,  sicche'  sono  gia'  stati  segnalati  casi  di
amministrazioni che, ai  fini  di  servizi  comunali  quali  mensa  o
trasporto scolastico, applicano ai richiedenti asilo domiciliati  nel
comune la tariffa massima prevista per i non residenti. 
        c) Qualora la domanda di protezione sfoci in un accoglimento,
il ricorrente avrebbe un rilevantissimo danno derivante  dal  mancato
computo del periodo trascorso come  richiedente  asilo  (periodo  che
puo' estendersi fino a uno o due anni,  talvolta  di  piu')  al  fine
dell'esercizio di tutti quei diritti che sono collegati  alla  durata
della residenza: in primo luogo il diritto  alla  acquisizione  della
cittadinanza (art. 9 della Legge 5 febbraio 1992 n. 91 che collega la
maturazione del requisito alla 'residenza legale'); in secondo  luogo
i diritti sociali quali l'accesso alla edilizia  popolare  (cfr.,  ad
es. l'art. 22, c. l, lettera b) L.R.  Lombarda  8.7.16  n.16  recante
'Disciplina regionale dei servizi abitativi' che prevede il requisito
della  'residenza  anagrafica'  nella  Regione  da  almeno  5  anni),
l'accesso al cd. reddito di cittadinanza (cfr. art. 2, comma 1, lett.
a) del Decreto Legge 28  gennaio  2019  n.  4  recante  'Disposizioni
urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni' che prevede
il requisito della residenza in Italia per almeno 10 anni), l'accesso
alle prestazioni regionali che sono normalmente collegate,  in  tutte
le Regioni, alla residenza continuativa in Regione da un certo numero
di anni. 
        d) riferimento normativo al 'luogo di domicilio' quale  luogo
di erogazione dei servizi, espone poi gli interessati a contestazioni
e a ostacoli pratici che rendono l'accesso ai servizi  da  parte  dei
richiedenti asilo enormemente piu' difficile: si consideri che mentre
l'iscrizione anagrafica e' soggetta a una procedura di  controllo  da
parte degli enti locali nei 45 giorni successivi alla  domanda  (cfr.
art. 18 bis D.P.R. 223/89), la 'dichiarazione di domicilio' ai  sensi
dei commi l e 2  dell'art.  5  Dlgs  n.  142/15  e'  atto  del  tutto
unilaterale, che puo' prescindere dalla dimora abituale e che per  di
piu' e' rivolto ad un  ufficio  (la  Questura)  diverso  dal  Comune,
tenuto alla erogazione dei servizi: e' quindi agevole  prevedere  che
l'ente  locale  potra'  opporre   ostacoli   rifiutandosi   di   fare
affidamento sulla dichiarazione del ricorrente di essere  domiciliato
in uno o altro Comune. Si consideri inoltre che ad oggi  non  risulta
emanata da nessuna amministrazione alcuna circolare  esplicativa  che
preveda   l'equiparazione   tra   domicilio   e   residenza,   mentre
disposizioni come quella  relativa  alla  iscrizione  al  centro  per
l'impiego  continuano  a  fare  riferimento   alla   sola   residenza
anagrafica (art. 11 lettera c del D.Lgs. 14 settembre 2010 n. 150  in
materia di servizi per il lavoro e di politiche  attive  che  pone  i
servizi per l'impiego  a  disposizione  di  tutti  i  'residenti  sul
territorio italiano') con conseguente impossibilita' del  richiedente
asilo di accedere al lavoro, in violazione dell'art. 25  del  Decreto
Legislativo 19 novembre 2007 n. 251, il quale dispone che 'I titolari
dello status di rifugiato e dello status  di  protezione  sussidiaria
hanno diritto di godere del  medesimo  trattamento  previsto  per  il
cittadino italiano in materia di lavoro subordinato, lavoro autonomo,
per  l'iscrizione  agli  albi  professionali,   per   la   formazione
professionale, compresi i corsi di aggiornamento,  per  il  tirocinio
sul luogo di lavoro e per i servizi resi dai centri per l'impiego  di
cui all'art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469'. 
        e)  Diversi  statuti  comunali  prevedono  poi   diritti   di
partecipazione popolare all'amministrazione locale, diritti dei quali
il richiedente asilo  non  iscritto  all'anagrafe  resterebbe  invece
privo. 
        f) Inoltre,  in  base  alla  nuova  normativa,  lo  straniero
titolare di permesso di  soggiorno  per  richiesta  di  asilo  -  non
disponendo della carta d'identita' -  ha  l'onere  di  esibire  copia
della domanda di protezione internazionale o copia  della  successiva
dichiarazione di domicilio fatta presso la Questura. Cosi' al fine di
accedere ai servizi (ad esempio per accedere  al  Servizio  Sanitario
Nazionale) o a fronte di  qualsiasi  necessita'  di  identificazione,
mentre  per  gli  altri  stranieri   regolarmente   soggiornanti   e'
sufficiente esibire la carta di identita' lo  straniero  titolare  di
permesso di soggiorno per richiesta di asilo sara' tenuto  a  esibire
quest'ultimo  documento  per  attestare  il  suo  domicilio:  il  che
indirettamente viola l'obbligo  di  riservatezza  delle  informazioni
concernenti  le  domande  di  protezione   internazionale,   previsto
dall'art. 37 Decreto Legislativo 28 gennaio 2008 n. 25, in attuazione
dell'articolo 48 della Direttiva 2013/32/UE recante procedure  comuni
ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di  protezione
internazionale." 
    Il ricorrente  ha  quindi  chiesto  di  accertare  il   carattere
discriminatorio  del  diniego   alla   iscrizione   anagrafica,   per
violazione del principio di  parita'  di  trattamento  tra  cittadini
italiani e stranieri, in materia di iscrizioni anagrafiche, stabilito
dall'art. 6, comma 7, d.lgs. n. 286/1998 e art. 15 d.P.R.  31  agosto
1999, n. 394, nonche' per violazione del principio  paritario,  sotto
il profilo della nazionalita', stabilito dall'art. 3 Cost., dall'art.
14 CEDU, dall'art. 43 d.lgs. n. 286/1998. La discriminazione e' stata
prospettata anche rispetto a stranieri in  possesso  di  una  diversa
tipologia di permesso di soggiorno. 
    In via autonoma, ha chiesto  di  accertare  l'illegittimita'  del
rifiuto del Comune alla sua iscrizione all'anagrafe dei  residenti  e
di ordinare al Ministero dell'Interno, e  per  esso  al  Sindaco  del
Comune di Milano nella sua qualita'  di  ufficiale  del  governo  per
l'esercizio  delle  funzioni  di  ufficiale  dell'anagrafe  ai  sensi
dell'art.  3  1.  24   dicembre   1954,   n.   1228,   di   procedere
all'iscrizione.  Qualora  necessario  il   ricorrente   ha   altresi'
domandato "la  previa  rimessione  alla  Corte  Costituzionale  della
questione di  legittimita'  dell'art.  4,  comma  1  bis,  d.lgs.  n.
142/2015, introdotto dall'art. 13, comma 1, lett a),  n.  2,  d.l.  4
ottobre 2018 n. 113, convertito in l. 1° dicembre  2018  n.  132,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, 16 e 77 della Costituzione,  nonche'
all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione ai  seguenti  parametri
interposti: artt. 8 e 14 CEDU, art. 2 Protocollo 4 CEDU, artt. 2 e  6
TUE, artt. 15, 18, 21, 34 e 45 della Carta dei  diritti  fondamentali
dell'Unione Europea, art. 6, paragrafo 6, e art.  7  della  direttiva
2013/33/UE e artt. 12 e 26 del Patto  internazionale  per  i  diritti
civili e politici". 
    Nelle  more  della  instaurazione  del   contraddittorio,   hanno
depositato congiunto atto di intervento ex art. 105, comma 1,  c.p.c.
la ASGI - Associazione degli studi giuridici sull'Immigrazione  e  la
associazione Avvocati per Niente Onlus deducendo la natura collettiva
della discriminazione, come emergente  dalla  posizione  assunta  dal
Comune  di  Milano  (doc.2)  e  dal  Ministero  dell'Interno  con  la
circolare n. 15 del 18 ottobre  2018,  illustrativa  delle  modifiche
legislative  qui  in   rilievo   (doc.3),   nonche'   aderendo   alla
prospettazione del ricorrente quanto alla natura discriminatoria  del
diniego all'iscrizione anagrafica. 
    Hanno  concluso  con  richiesta  di  accertare  e  dichiarare  il
carattere discriminatorio  dei  comportamenti  tenuti  dal  Ministero
dell'Interno (nella emanazione  della  circolare  n.  15/2018,  nella
parte in cui ha comunicato ai prefetti e agli altri destinatari della
stessa che i richiedenti asilo non hanno piu' diritto alla iscrizione
anagrafica per effetto della entrata  in  vigore  dell'art.  13  d.l.
113/2018) e dal Sindaco del Comune di Milano nella  sua  qualita'  di
ufficiale della anagrafe, nel diniego di  iscrizione  anagrafica  dei
richiedenti asilo. 
    Si sono  inoltre  costituiti  i  convenuti  resistenti  Ministero
dell'Interno e Comune di Milano. 
    Con comparsa del 14 giugno 2019, si e'  costituito  il  Ministero
degli  Interni  eccependo,  in  via  pregiudiziale,  il  difetto   di
interesse ad agire del ricorrente. A detta  del  Ministero,  infatti,
una   pronuncia   giurisdizionale   favorevole   e,   prima   ancora,
l'iscrizione   all'anagrafe   della   popolazione    residente    non
produrrebbero alcuna utilita' effettiva in capo al ricorrente, a  cui
e' comunque  garantito  l'esercizio  dei  diritti  e  delle  facolta'
rispetto alle quali l'iscrizione nell'anagrafe e'  strumentale.  Cio'
in quanto l'art. 13 d.l.  n.  113/2018,  dopo  aver  escluso  che  il
permesso di soggiorno per richiesta d'asilo  costituisca  titolo  per
l'iscrizione anagrafica, dispone comunque che  l'accesso  ai  servizi
previsti dal d.lgs. n. 142/2018 e a quelli erogati sul territorio  ai
sensi delle norme  vigenti  debba  essere  assicurato  nel  luogo  di
domicilio del richiedente asilo, senza che  la  residenza  -  la  cui
individuazione presuppone, appunto, l'iscrizione anagrafica  -  possa
acquisire qualsivoglia rilievo. Ancora, sempre in via  pregiudiziale,
il Ministero dell'Interno ha eccepito l'inammissibilita'  dell'azione
in materia di discriminazione, in  quanto  proposta  in  assenza  dei
presupposti di legge. Quella  disciplinata  dall'art.  28  d.lgs.  n.
150/2011  e'  un'azione  tipica,  esperibile  unicamente   nei   casi
tassativi indicati dal primo comma mediante rinvio all'art. 44 d.lgs.
n. 286/1998 (azione civile  contro  la  discriminazione  "per  motivi
razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o
religiosi"),  senza  che  nessuno  di  queste  ipotesi  tassative  di
discriminazione possa ravvisarsi  nel  caso  di  specie:  secondo  la
difesa dell'amministrazione, infatti, il fattore che ha  sorretto  il
provvedimento di diniego di iscrizione e' esclusivamente lo status di
richiedente asilo del ricorrente, non assumendo rilievo alcuno la sua
razza, la sua  etnia,  la  sua  lingua,  la  sua  religione,  la  sua
nazionalita' o la sua provenienza geografica. 
    Rispetto agli intervenuti volontari, la difesa del  Ministero  ha
rilevato l'insussistenza del presupposto dell'art. 5 d.lgs. 9  luglio
2003, n. 215 e,  con  riferimento  alle  sole  censure  rivolte  alla
circolare del ministero, il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice
ordinario, l'incompetenza  per  territorio  di  questo  Tribunale  in
favore del Tribunale di Roma ai sensi degli artt. 19 e  25  c.p.c.  e
l'assenza di ragione di connessione con  le  domande  del  ricorrente
H        A       .  
    Con riferimento a tali ultime domande, la difesa del Ministero ha
quindi  concluso  con  la  richiesta  di  dichiarare   l'incompetenza
territoriale a favore del Tribunale ordinario di Roma. 
    Nel merito, invece, ha chiesto di  respingere  tanto  il  ricorso
quanto  le  domande  svolte  dagli  intervenienti  poiche'   entrambe
inammissibili e comunque infondate. 
    Con comparsa depositata del 12 giugno 2019, si e'  costituito  il
Comune  di  Milano,  eccependo  in  via  preliminare  il  difetto  di
legittimazione  passiva  del  Sindaco   quale   organo   di   vertice
dell'amministrazione comunale, ricordando che la tenuta dei  registri
di stato civile e di popolazione e' compito  del  Sindaco  nella  sua
qualita'  di  ufficiale  del  governo.  Ha  quindi   rivendicato   la
legittimita' del suo operato  poiche',  a  seguito  dell'introduzione
dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n. 142/2015, come interpretato dalle
circolari del Ministero dell'Interno del 18 ottobre 2018 (doc.3) e 18
dicembre 2018 (doc.4),  egli  era  vincolato  a  negare  l'iscrizione
anagrafica del richiedente. Pertanto, la natura vincolata del diniego
d'iscrizione escluderebbe, secondo quanto sostenuto  dal  Comune,  il
carattere    discriminatorio     dell'azione     amministrativa     e
determinerebbe, il rigetto dal ricorrente. 
    La difesa del Comune ha inoltre richiamato le pronunce di' merito
che hanno ritenuto di adottare un'interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs.  n.  142/2015,  introdotto
dall'art.13 d.l. n. 113/2018, convertito in  l.  n.  132/2018,  e  ha
chiesto di "adottare ogni piu' opportuna decisione circa la possibile
interpretazione costituzionalmente orientata" della citata norma.  In
subordine ha sollecitato  la  rimessione  alla  Corte  Costituzionale
della questione di legittimita'" dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs.  n.
142/2015 per contrasto con gli artt. 2, 3 e 10 Cost." 
    All'udienza del 26 giugno 2019,  acquisita  nuova  documentazione
dalle  difese  del  ricorrente  e  del  Ministero  (giurisprudenza  e
provvedimenti di altre  autorita'  comunali  sulla  questione),  dopo
ampia discussione tra le parti, questo giudice  si  e'  riservato  di
decidere. 
1. Interesse ad agire del sig. A      . 
    Come noto, l'interesse ad agire richiede non solo  l'accertamento
di  una  situazione  giuridica,  ma  anche  che  la  parte  prospetti
l'esigenza  -  di  ottenere  un   risultato   utile,   giuridicamente
apprezzabile, e non conseguibile senza l'intervento del giudice. 
    Secondo  il  consolidato  insegnamento   della   Suprema   Corte,
l'interesse ad agire, previsto quale condizione dell'azione dall'art.
100 c.p.c., va identificato in una situazione di carattere  oggettivo
derivante da un fatto lesivo, inteso in senso ampio,  di  un  diritto
che, senza l'intervento del giudice resterebbe  sfornito  di  tutela,
con conseguente  danno  per  l'attore.  Da  cio'  consegue  che  tale
interesse deve avere necessariamente carattere attuale, poiche'  solo
in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione  soggettiva
assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza,  (cfr.,  ex  multis,
Cass. n. 24434/2007, n. 2617/2006, n. 17815/2005, n. 685/93). 
    Rinviando, per un maggiore approfondimento, ai paragrafi dedicati
alla situazione giuridica soggettiva vantata dal  ricorrente  e  alla
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale, basti qui rilevare che  il  sig.  A         vanta  un
effettivo interesse ad agire che  scaturisce  dall'impossibilita'  di
vedersi iscritto all'anagrafe del  Comune  in  cui  ha  stabilito  la
propria dimora abituale. 
    L'intervento del giudice, infatti, si dimostra indispensabile per
rimediare  alla  lesione  che  la  condotta  dell'amministrazione  ha
cagionato al diritto soggettivo  di  iscrizione  anagrafica,  il  cui
corretto soddisfacimento sarebbe capace di  garantire  al  ricorrente
un'utilita' ulteriore rispetto a  quella  derivante  dall'accesso  ai
servizi e dall'esercizio dei diritti e delle facolta'  rispetto  alle
quali  l'iscrizione  nell'anagrafe   e'   strumentale.   L'iscrizione
anagrafica,  infatti,  e'  direttamente   collegata   alla   dignita'
personale  e  sociale   dell'individuo,   alla   sua   capacita'   di
identificazione, appartenenza e, in senso  piu'  ampio,  integrazione
con la comunita' locale, che  a  loro  volta  costituiscono  passaggi
indispensabili per  la  concretizzazione  del  progetto  fondante  la
nostra Costituzione,  ossia  assicurare  all'individuo  -  legalmente
presente nel territorio italiano - una vita libera e degna. 
    Ancora, la mancata iscrizione anagrafica comporta un immediato  -
e non meramente ipotetico o futuro - nocumento in capo al  ricorrente
laddove esclude a  priori  il  computo  del  periodo  trascorso  come
richiedente asilo (periodo che puo' estendersi ben al di la' dei  sei
mesi per cui viene inizialmente rilasciato il permesso  di  soggiorno
in questione) al fine dell'esercizio di tutti quei diritti  che  sono
collegati  alla  durata  della  residenza.  Qualora  la  domanda   di
protezione venga accolta -  ossia  nell'ipotesi  che  costituisce  la
ragione  naturale  per  cui  la   disciplina   sull'accoglienza   dei
richiedenti  protezione  internazionale  e'  stata  introdotta  prima
nell'ordinamento sovranazionale  e  poi  in  quello  italiano  -,  il
ricorrente vedrebbe inoltre  indebitamente  frustrati  diritti  quali
quello alla acquisizione della cittadinanza (art. 9   l.  5  febbraio
1992, n. 91, che collega la maturazione del requisito alla "residenza
legale"), oppure altri diritti sociali - non  ricompresi  tra  quelli
per cui il d.l. n.  113/2018  ha  affermato  la  rilevanza  del  mero
domicilio - quali, ad esempio, l'accesso alla edilizia  popolare  (si
veda l'art. 22, comma 1, lett. b), l.r. Lombardia 8 giugno 16, n.  16
recante "Disciplina regionale dei servizi abitativi" che  prevede  il
requisito della "residenza anagrafica"  nella  Regione  da  almeno  5
anni) o l'accesso al "Reddito di  cittadinanza"  (art.  2,  comma  1,
lett. a), d.l. 28 gennaio 2019, n. 4 recante "Disposizioni urgenti in
materia di  reddito  di  cittadinanza  e  pensioni"  che  prevede  il
requisito della residenza in Italia per almeno 10 anni). 
    Deve, pertanto, ritenersi sussistente  l'interesse  ad  agire  in
capo al sig. A       . 
2.   Presenza   dei   presupposti   per    l'esercizio    dell'azione
antidiscriminatoria. 
    Ai sensi dell'art. 43, comma  1,  d.lgs.  n.  286/1998:  "  [...]
costituisce discriminazione ogni comportamento  che,  direttamente  o
indirettamente, comporti una distinzione, esclusione,  restrizione  o
preferenza basata sulla razza, il colore,  l'ascendenza  o  l'origine
nazionale o etnica, le convinzioni e le  pratiche  religiose,  e  che
abbia lo scopo o l'effetto  di  distruggere  o  di  compromettere  il
riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parita',
dei diritti umani e delle liberta' fondamentali  in  campo  politico,
economico, sociale e culturale e in ogni  altro  settore  della  vita
pubblica". 
    In piu', ai sensi del successivo comma 2: "In ogni caso compie un
atto di discriminazione:  a)  il  pubblico  ufficiale  o  la  persona
incaricata di pubblico servizio o la persona esercente un servizio di
pubblica necessita' che nell'esercizio delle sue funzioni  compia  od
ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero  che,  soltanto  a
causa della sua condizione di straniero  o  di  appartenente  ad  una
determinata razza, religione, etnia o nazionalita',  Io  discriminino
ingiustamente". 
    Quest'ultima ipotesi, dunque,  appare  ravvisabile  nel  caso  di
specie: in presenza di una disciplina generale, dettata dall'art.  6,
comma 7, d.lgs.n. 286/1998  che  prevede  il  trattamento  uguale  di
cittadini  italiani  e  stranieri  legalmente   residenti   ai   fini
dell'iscrizione anagrafica, l'ufficiale dell'anagrafe del  Comune  di
Milano  ha  negato  l'iscrizione  all'attuale  ricorrente  in  quanto
straniero titolare di  un  permesso  di  soggiorno  come  richiedente
asilo. Cio' in applicazione della normativa  speciale  sub  art.  13,
comma 1, lett. a), n.  2),  d.l.  n.  113/2018,  che  -  interpretata
conformemente a quanto  risulta  dalla  relazione  introduttiva  alla
legge  di  conversione  del  decreto,  oltre   che   alle   circolari
ministeriali esplicative della nuova disciplina -  preclude  in  toto
l'iscrizione di tali soggetti all'anagrafe dei residenti. 
    E'  cosi'  riscontrabile  uno  dei  presupposti  per  l'esercizio
dell'azione   antidiscriminatoria,   sussistendo    un    trattamento
ingiustificatamente    differenziato    in    considerazione    della
nazionalita' del richiedente l'iscrizione:  se  il  ricorrente  fosse
italiano, la sua iscrizione non  sarebbe  stata  negata.  Considerato
come la  condotta  dell'amministrazione  sia  espressione  dell'unica
interpretazione possibile della summenzionata previsione derogante al
principio di eguale trattamento di cittadini italiani e stranieri  in
relazione all'iscrizione anagrafica, l'azione antidiscriminatoria  si
rivela  il  corretto  contesto  in  cui  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale relativa all'4, comma  1  bis,  d.lgs. n.
142/2015, introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. a), n. 2)  d.l.  n.
113/2018, convertito nella legge n. 132/2018, il cui accoglimento non
solo  priverebbe  di  fondamento  normativo  l'azione   dell'anagrafe
comunale, ma costituirebbe dimostrazione inconfutabile del  carattere
discriminatorio dell'azione amministrativa (Cass. civ., Sez. un.,  29
aprile 2016, n. 7951). 
    Ancora, non esclude  la  configurazione  di  una  discriminazione
sulla base dell'origine nazionale il fatto che la mancata  iscrizione
anagrafica non riguardi tutti gli stranieri, ma solo quelli  titolari
di permesso di soggiorno per richiesta di asilo: cio'  non  impedisce
che l'azione amministrativa posta in essere dall'anagrafe del  Comune
di Milano colpisca sistematicamente  solo  ed  esclusivarnente  degli
stranieri, proprio per il loro essere  stranieri,  compromettendo  il
soddisfacimento di un loro diritto e dando  luogo  a  un  trattamento
piu' sfavorevole rispetto a quello assicurato ai cittadini italiani. 
    Da cio', dunque, la sussistenza dei presupposti  per  iI  ricorso
allo strumento processuale preposto alla repressione  delle  condotte
discriminatorie. 
3. Legittimazione passiva del Comune di Milano. 
    Il Comune di Milano (pur  senza  formulare  sul  punto  specifica
domanda conclusiva) ha rilevato il proprio difetto di  legittimazione
passiva  precisando  che  il  Sindaco,  quale   organo   di   vertice
dell'amministrazione comunale, e' estraneo ai compiti e alle funzioni
connesse alla tenuta dei registri della popolazione residente. 
    Va rilevato che, come  riconosciuto  dalla  stessa  difesa,  sono
stati evocati in giudizio sia il Comune  di  Milano  in  persona  del
Sindaco pro tempore, sia il Sindaco nella sua qualita'  di  ufficiale
del governo per l'esercizio delle funzioni di ufficiale dell'anagrafe
ai sensi dell'art. 3 l. n. 1228/1954; e il Sindaco si  e'  costituito
in tale duplice veste. 
    Cio'   consente   di   ritenere   correttamente   instaurato   il
contraddittorio, oltre che con il Ministero dell'Interno,  anche  con
il Sindaco nella sua qualita' di Ufficiale del Governo, al quale sono
riferibili gli atti compiuti in  tale  veste,  quale  e'  il  diniego
all'iscrizione all'anagrafe dei residenti. 
4. Legittimazione attiva delle associazioni. 
    Il Ministero ha eccepito la inammissibilita'  dell'intervento  di
ASGI e di Avvocati per niente Onlus. 
    L'intervento, qualificato in  via  principale  dalle  parti  come
"intervento litisconsortile  o  adesivo  autonomo",  e'  svolto  come
azione antidiscriminatoria collettiva ex art. 5  d.lgs.  n.  215/2003
diretta, a far accertare e dichiarare  il  carattere  discriminatorio
del  comportamento  del  Ministero  dell'Interno  "consistente  nella
emanazione della circolare n. 15/2018" e ordinare  al  Ministero  "di
revocare o modificare la predetta circolare". 
    In questi termini,  come  posto  in  evidenza  dalla  difesa  del
Ministero, le censure rivolte alla circolare ministeriale n.  15/2018
esulerebbero dalla giurisdizione del giudice ordinario. 
    Va tuttavia considerato che l'intervento e' stato spiegato  anche
come "mero intervento adesivo dipendente  a  sostegno  delle  domande
proposte dal sig. A      " ed in  questa  prospettiva  e'  pienamente
ammissibile. 
5. Diritto vantato dal ricorrente. 
    Il diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica e' la  situazione
giuridica soggettiva di cui e' titolare il ricorrente  e  di  cui  lo
stesso lamenta una lesione a fronte  della  condotta  discriminatoria
dell'amministrazione. La  qualificabilita'  di  tale  posizione  come
diritto soggettivo consegue della definizione dell'ordinamento  delle
anagrafi    della    popolazione     residente     come     strumento
giuridico-amministrativo di documentazione e conoscenza,  predisposto
tanto nell'interesse dell'amministrazione, quanto nell'interesse  dei
privati. Infatti, all'esigenza di conoscere la popolazione residente,
espressione di un interesse pubblico, fa da  contraltare  l'interesse
individuale ad ottenere le certificazioni anagrafiche necessarie  per
l'esercizio dei diritti civili e politici e, in generale, per provare
la residenza e lo stato di' famiglia (cosi' Cass. civ., Sez. un.,  19
giugno  2000,  n.   449).   Il   carattere   vincolato   dei   poteri
amministrativi in materia di iscrizioni anagrafiche, poi,  fuga  ogni
dubbio sulla natura del  suddetto  interesse  privato:  l'assenza  di
discrezionalita'  e  l'attivita'  di  mero   accertamento   demandata
all'amministrazione  esclude   la   configurabilita'   di   interessi
legittimi  in  capo  ai  singoli  individui,  i  quali   saranno   di
conseguenza titolari di diritti soggettivi. 
    D'altra  parte,   la   lettura   della   disciplina   concernente
l'ordinamento delle anagrafi  della  popolazione  residente  dimostra
come l'iscrizione anagrafica non sia  solamente  un  diritto  per  il
soggetto  che  abbia  dimora  abituale  in  un  comune  italiano,  ma
costituisca un obbligo (art. 2 l. n.  1228/1954)  la  cui  violazione
viene punita tramite l'applicazione di  una  sanzione  amministrativa
(art. 11 L. n. 1228/1954). 
    Trova  cosi'  conferma  il  duplice  interesse  (privatistico   e
pubblicistico)  perseguito  con  l'iscrizione  anagrafica,   da   cui
discende la duplice natura (rispettivamente, diritto e obbligo) della
situazione giuridica di cui e' titolare il soggetto  che  soddisfi  i
requisiti  previsti  dalla   legge   per   procedere   all'iscrizione
anagrafica. 
    Per  espresse   previsioni   normative   tale   ragionamento   e'
estendibile anche agli stranieri e, quindi,  assume  piena  rilevanza
per il caso di specie. 
    Guardando infatti agli stranieri che, a seguito  di  immigrazione
dall'estero, abbiano deciso di stabilire la propria  dimora  abituale
in un comune italiano, da un lato,  l'art.  6,  comma  7,  d.lgs.  n.
286/1998  riconosce  la  titolarita'   del   diritto   all'iscrizione
anagrafica  "alle  medesime  condizioni  dei   cittadini   italiani",
fissando come naturale presupposto  quello  della  regolarita'  della
presenza sul territorio nazionale. Cio' e'  ulteriormente  confermato
dal regolamento attuativo del Testo Unico sull'Immigrazione  (d.P.R.,
n. 394/1999), ai sensi del cui art. 15 le iscrizioni e le  variazioni
anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate
nei casi e secondo i criteri previsti dalla L.  n.  1228/1954  e  dal
regolamento anagrafico della popolazione residente (d.P.R. 30  maggio
1989, n. 223). 
    Dall'altro lato, la 1. n. 1228/1954 conferma la  configurabilita'
di un obbligo di iscrizione anagrafica anche  in  capo  ai  migranti,
dedicando una  specifica  disciplina  all'ipotesi  di  violazione  di
questo obbligo con l'introduzione di una sanzione amministrativa piu'
elevata rispetto a quella prevista per  i  cittadini  italiani  (art.
11). 
    L'obbligo di iscrizione  anagrafica  dello  straniero  legalmente
soggiornante e' poi confermato anche dal  regolamento  di  attuazione
della l. n. 1228/1954, il quale espressamente richiede allo straniero
che trasferisce la  residenza  dall'estero  di  comprovare,  all'atto
della dichiarazione di trasferimento, la propria  identita'  mediante
l'esibizione del passaporto o di  documento  equipollente  (art.  14,
comma 1, d.P.R. n. 223/1989). Quest'ultima documentazione, dunque, si
aggiunge a quella che deve in ogni caso accompagnare la dichiarazione
di trasferimento, volta  a  dimostrare  la  configurabilita'  di  una
dimora abituale nel comune di interesse, nonche' - per lo straniero -
la sua regolare presenza sul territorio italiano. 
    Alla luce del quadro appena descritto, l'iscrizione anagrafica si
dimostra un passaggio necessario, anche per lo straniero, sia al fine
del soddisfacimento di un diritto sia per l'adempimento di un obbligo
giuridico, entrambi caratterizzanti il rapporto che si  instaura  con
l'autorita' pubblica. 
6. Rilevanza. 
    A  fronte  del  summenzionato  quadro  normativo   generale,   la
disciplina speciale introdotta dall'art. 13, comma 1,  lett.  a),  n.
2),  d.l.  n.  113/2018  e  la  sua  conformita'  alla   Costituzione
acquisiscono immediata rilevanza ai fini della risoluzione  del  caso
concreto. 
    Ai sensi del suddetto art. 13, comma 1, lett. a), n. 2), infatti:
"dopo il comma 1 [dell'art. 4, d.lgs. 18 agosto  2015,  n.  142],  e'
inserito il seguente: «1-bis. Il permesso  di  soggiorno  di  cui  al
comma 1 [ossia, il permesso di soggiorno per i richiedenti asilo] non
costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi  del  decreto
del  Presidente  della  Repubblica  30  maggio  1989,   n.   223,   e
dell'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.
286". 
    Tanto l'amministrazione comunale quanto quella ministeriale hanno
riconosciuto, da parte loro, come questa disposizione non lasci alcun
margine di discrezionalita' al  Sindaco,  in  qualita'  di  Ufficiale
dell'anagrafe, dovendosi essa interpretare come  introduzione  di  un
diniego generalizzato di  iscrizione  anagrafica  per  gli  stranieri
legalmente  soggiornanti  sul  territorio  italiano   a   titolo   di
richiedenti asilo. 
    L'art. 4, comma  1  bis,  d.lgs.  n.  142/2015,  come  introdotto
dall'art. 13 d.l. n. 113/2018, dunque, racchiude una deroga, chiara e
univoca,  tanto  alle  norme   generali   in   materia   d'iscrizione
anagrafica, quanto a quelle dedicate agli stranieri dal  Testo  Unico
sull'Immigrazione, rispetto alle quali prevale, oltre che come  norma
speciale,  anche  in  quanto  norma  piu'  recente.  Al  diritto   di
iscrizione anagrafica riconosciuto dall'art. 6, comma  7,  d.lgs.  n.
286/1998 agli stranieri legalmente soggiornati, in via generale e  in
parita' di condizioni con i cittadini italiani, fa cosi' eccezione il
divieto di iscrizione per la particolare  categoria  degli  stranieri
richiedenti asilo. 
    Il fatto che l'ufficiale dell'anagrafe non avrebbe  potuto  agire
in  altro  modo  se  non  negando   l'iscrizione   all'anagrafe   del
richiedente asilo e', poi, conseguenza delle indicazioni fornite  dal
Ministero dell'Interno con le  proprie  circolari  n.  15/2018  e  n.
0083774/2018, vincolanti per gli  ufficiali  dello  stato  civile  ai
sensi dell'art. 9, comma 1, d.P.R. 396/2000, ed entrambe univoche nel
sostenere l'interpretazione per cui, successivamente  all'entrata  in
vigore del d.l. n. 113/2018,  al  richiedente  asilo  sarebbe  sempre
preclusa l'iscrizione anagrafica. 
    Dunque, l'applicazione  dell'art.  4,  comma  1  bis,  d.lgs.  n.
142/2015, come introdotto dall'art. 13 d.l. n.  113/2018  costituisce
la sola ragione  del  diniego  dell'iscrizione  anagrafica  del  sig.
A           .  come  traspare  anche  dalla  motivazione  stessa  del
provvedimento contestato: "con l'entrata in vigore in data 5  ottobre
2018 del D.L. n. 113/2018  (Disposizioni  in  materia  di  iscrizione
anagrafica - l'art. 13)", "il permesso di soggiorno  per  richiedenti
protezione   internazionale   non   costituisce   piu'   titolo   per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del D.P.R.  223/89  e  dell'art.  6,
comma 7, del D.Lgs n. 286/1998". 
    D'altra parte, e' fuori di dubbio  che  il  caso  di  specie  sia
sussumibile nella disciplina introdotta dal d.l. n. 113/2018. 
    Prima di tutto, il sig. A            era qualificabile al momento
di presentazione  della  domanda  di  iscrizione  anagrafica  (ed  e'
tuttora), ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 142/2015,  come  richiedente
asilo, avendo presentato domanda di protezione internazionale su  cui
non e' ancora stata adottata una decisione definitiva. 
    L'avere presentato domanda di asilo ha poi comportato il rilascio
di apposito permesso di soggiorno, atto  a  garantire  la  permanenza
legale dello straniero nel territorio fino  a  che  la  summenzionata
decisione definitiva sul suo status non venga adottata. 
    Irrilevante, ai fini della presente questione, e'  il  fatto  che
inizialmente  (16  ottobre  2018  -  15  gennaio  2019)  fosse  stato
rilasciato  un  permesso  di  soggiorno   ed.   "Dublino",   e   solo
successivamente (15 gennaio 2019 -14  luglio  2019)  un  permesso  di
soggiorno per richiesta asilo. Infatti, il permesso di soggiorno  cd.
"Dublino" e' pur  sempre  un  permesso  di  soggiorno  rilasciato  al
richiedente protezione internazionale nei cui confronti,  pero',  sia
stata  attivata  la  procedura  per  la  determinazione  dello  Stato
competente alla presa in carico della domanda di protezione. 
    Dunque, lo si  ribadisce,  il  sig  A             e'  richiedente
asilo, cosi' come lo era al momento di presentazione della domanda di
iscrizione  anagrafica,  e  proprio  tale   qualifica   ha   impedito
l'accoglimento dell'istanza dallo  stesso  presentata  al  Comune  di
Milano. 
    Proprio la data di presentazione della domanda preclude, da parte
sua, ogni dubbio quanto all'applicabilita' al caso  di  specie  della
novella del 2018 sotto  il  profilo  dell'efficacia  temporale:  come
dimostrato dal Comune (doc. 1), l'istanza  e'  stata  sottoscritta  e
presentata il 22 ottobre 2018, ossia successivamente  all'entrata  in
vigore del d.l. n. 113/2018 (5 ottobre 2018). 
    A ultima conferma della  rilevanza,  per  l'ipotesi  in  analisi,
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4,  comma  1
bis, d.lgs. n. 142/2015, introdotto dall'art. 13, comma 1, lett.  a),
n. 2) d.l. n.  113/2018,  convertito  nella  legge  n.  132/2018,  si
segnala come il sig. A        abbia accompagnato la  propria  domanda
di iscrizione non solo con la presentazione del proprio  permesso  di
soggiorno quale  richiedente  asilo,  documento  che  sarebbe  dovuto
essere idoneo a dimostrare l'identita' e la legalita'  del  soggiorno
del richiedente, ma con ulteriore documentazione atta  ad  avvalorare
la sua regolare presenza sul territorio italiano  e,  soprattutto,  a
dimostrare di avere stabilito dimora abituale nel  Comune  di  Milano
(codice  fiscale;  contratto  di  comodato  stipulato   tra   Regione
Lombardia  e  l'ente  "            "  avente  ad  oggetto  l'immobile
di                 ;  dichiarazione  di  assenso  del  titolare   del
contratto a ospitare il richiedente nell'immobile di                ,
con copia del documento di identita';  dichiarazione  di  ospitalita'
sottoscritta dal presidente di                          e riferita al
richiedente). 
    Documentazione  che,  pero',  ha  perso   ogni   rilievo   stante
l'automatismo del diniego di iscrizione frutto della  sola  qualifica
del  sig.  A           come  richiedente  asilo  e,  dunque,   frutto
dell'applicazione del  suddetto  art.  4,  comma  1  bis,  d.lgs.  n.
142/2015. 
    Percio',  ad  avviso  di  questo   giudice,   la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 4,  comma  1  bis,  d.lgs.  n.  142/2015,
introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. a), n. 2) d.l.  n.  113/2018,
convertito nella legge n. 132/2018, e' rilevante e, come si vedra' in
seguito, non manifestamente infondata, in riferimento agli  artt.  2,
3, 10, 77, 117, comma 1, Cost. 
    La caducazione della previsione introdotta dall'art. 13, comma 1,
lett. a), n. 2, d.l. n. 113/2018, infatti,  pur  non  comportando  la
reintroduzione della disciplina di favore prevista  dall'art.  5  bis
d.lgs. n. 142/2015, consentirebbe ai richiedenti asilo  di  procedere
all'iscrizione  anagrafica  alle  medesime  condizioni  degli   altri
stranieri  regolari  e,  prima  ancora,   dei   cittadini   italiani,
conformemente a quanto previsto dall'art. 6,  comma  7,  TUI  e  alla
normativa in materia di iscrizione  anagrafica  (1.  n.  1228/1954  e
relativo regolamento di attuazione). 
7.   Impossibilita'   di   una   interpretazione   costituzionalmente
orientata. 
    Come noto, qualora una disposizione sia  suscettibile  di  essere
interpretata   secondo   il   canone   della   c.d.   interpretazione
costituzionalmente orientata, il giudice deve applicarla in tal senso
ed evitare di sollevare  la  questione  di  legittimita'  alla  Corte
costituzionale. Tale  insegnamento  e'  stato  peraltro  ribadito  da
ultimo  dalla  Corte  nella   pronuncia   con   cui   ha   dichiarato
l'inammissibilita'  delle  questioni  sollevate  da  alcune   regioni
proprio con riferimento a talune disposizioni del d.l.  n.  113/2018,
tra  cui  anche  l'art.  13:  "La  doverosa  applicazione  del   dato
legislativo   in   conformita'   agli   obblighi   costituzionali   e
internazionali potrebbe rivelare che il paventato effetto restrittivo
rispetto alla  disciplina  previgente  sia  contenuto  entro  margini
costituzionalmente  accettabili.  Diversamente  questa  Corte  potra'
essere adita in via incidentale, restando ovviamente  impregiudicata,
all'esito della presente pronuncia,  ogni  ulteriore  valutazione  di
legittimita' costituzionale  della  disposizione  in  esame."  (Corte
cost., sent. 20 giugno 2019, dep. 24 luglio 2019, n. 194, par. 7.8). 
    Occorre,   dunque,   operare    il    preliminare    vaglio    di
interpretabilita' in conformita' alla Costituzione della disposizione
che questo giudice deve applicare nel caso di specie e, a tale  fine,
non si puo' prescindere da un'analisi del confronto tra il testo oggi
vigente e quello in vigore prima  della  promulgazione  del  d.l.  n.
113/2018 non solo dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs.  n.  142/2015,  ma
altresi' degli artt. 5 e 5 bis del medesimo testo di legge. 
    Proprio sulla base del criterio di  interpretazione  sistematica,
invero, alcuni tribunali hanno ritenuto possibile una applicazione in
conformita' alla Costituzione dell'art. 4, comma  1  bis,  d.lgs.  n.
142/2015, introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. a), n. 2)  d.l.  n.
113/2018, convertito nella legge n. 132/2018.  Hanno  cioe'  ritenuto
che, nonostante tale disposizione sia di difficile comprensione, alla
luce  del  quadro  normativo,  costituzionale  ed   eurounitario   di
riferimento, essa debba essere intesa nel senso di escludere  che  il
permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituisca di  per  se'
titolo per l'iscrizione automatica  all'anagrafe  basata  sulla  sola
domanda  di  protezione  e  sull'inserimento   nella   struttura   di
accoglienza, senza che cio' preluda comunque in toto la  possibilita'
di iscrizione anagrafica di questa categoria  di  stranieri  (in  tal
senso Trib. Firenze, ord. 18 marzo  2019,  giud.  Carvisiglia;  Trib.
Bologna, ord. 2 maggio 2019,  giud.  Betti;  Trib.  Genova,  ord.  20
maggio 2019, giud. Di Sarno). 
    Il Tribunale di Firenze, in particolare, ha  specificato  che  le
modifiche normative introdotte con il d.l. n. 113/2018 implicano  che
il permesso di soggiorno in Italia per  richiesta  di  asilo  non  e'
(piu') titolo idoneo a comprovare la  regolarita'  del  soggiorno  ai
fini dell'iscrizione anagrafica, ma  che  tale  condizione  giuridica
puo' essere provata attraverso altri documenti che attestino  l'avvio
del procedimento  volto  al  riconoscimento  della  fondatezza  della
pretesa di protezione, quali il c.d. "modello C3" oppure il documento
nel quale la questura attesta  che  il  richiedente  ha  formalizzato
l'istanza di protezione internazionale. 
    In  definitiva,  secondo  questa  impostazione,   dall'intervento
normativo di cui al d.l. n. 113/2018 non puo' desumersi un divieto di
iscrizione  anagrafica  per  il  richiedente  asilo  ma,   solamente,
l'abrogazione della modalita' semplificata di iscrizione all'anagrafe
per i richiedenti asilo prevista dall'art.  5  bis  d.lgs.  142/2015,
introdotto dalla l. n. 46/2017. 
    Questa impostazione non appare pero' condivisibile. 
    Da un lato, infatti, non vi e' dubbio - anche ai sensi del  primo
comma dell'art. 4 d.lgs. 142/2015 - che il permesso di soggiorno  per
richiesta  asilo  costituisca  documento  di  riconoscimento   e   di
attestazione della permanenza sul territorio nazionale del migrante a
qualsiasi fine. 
    Dall'altro  lato,  a  voler  ritenere   corretta   l'impostazione
poc'anzi    descritta,    non    si     comprenderebbe     l'utilita'
dell'introduzione del nuovo comma I bis dell'art. 4 d.lgs.  142/2015.
Al fine di far venir meno la  procedura  semplificata  di  iscrizione
all'anagrafe  per  il  richiedente  asilo   sarebbe   infatti   stato
sufficiente   abrogare   l'art.   5   bis    d.lgs.    142/2015    e,
conseguentemente, l'iscrizione  all'anagrafe  del  richiedente  asilo
sarebbe  stata  garantita  dalla  procedura  ordinaria  prevista  dal
combinato disposto del d.P.R. n. n. 223/1989, e dell'art. 6, comma 7,
d.Igs. n. 286/1998. 
    Dalla lettura del comma 1 bis dell'art. 4 d.lgs. n. 142/2015  non
puo' dunque ricavarsi il significato  secondo  cui  per  l'iscrizione
anagrafica il  richiedente  asilo  deve  fornire  all'amministrazione
comunale un documento diverso dal permesso di soggiorno;  si  desume,
invece, la contrarieta' dell'ordinamento all'iscrizione anagrafica di
chi e' regolarmente sul territorio italiano in forza di  un  permesso
di   soggiorno   per   richiesta   di   asilo.   E    cio'    secondo
un'interpretazione letterale, sistematica e teleologica, che tenga in
considerazione la (chiara) "intenzione del legislatore". 
    Quest'impostazione e' condivisa, inoltre, dal Tribunale di Trento
che, nell'ordinanza dell'11 giugno  2019,  ha  rigettato  la  domanda
cautelare proposta da  un  richiedente  asilo  volta  a  ottenere  la
propria iscrizione nel registro  anagrafico  del  comune  di  Bolzano
motivando in questi termini: "[...]  il  giudicante  osserva  che  la
norma di cui all'art. 4 comma 1 bis della legge 14212015, cosi'  come
modificata dall'art. 13 del d.l.  113/2018  introduce  un  regime  di
carattere peculiare  per  i  richiedenti  protezione  internazionale,
permettendo agli stessi di avere un permesso di soggiorno temporaneo,
nell'attesa  della  definizione  della  loro  domanda  di  protezione
internazionale. 
    Lo straniero si trova, cosi', in una posizione di permanenza  sul
territorio italiano, in  virtu'  di  regolare  temporaneo  titolo  di
soggiorno, costituente anche documento di identita', ma al  contempo,
la situazione di incertezza sulla sua futura condizione  di  soggetto
meritevole di protezione internazionale o meno ha fatto  ritenere  al
legislatore di non farlo  iscrivere  nel  registro  anagrafico  della
popolazione residente, garantendo al medesimo,  pero',  l'accesso  ad
una serie di  diritti,  che  tutelano  la  sua  persona,  nell'attesa
dell'esito del procedimento volto al riconoscimento della  protezione
internazionale. 
    La norma si presenta, pertanto, a carattere speciale, rispetto  a
quella di cui all'art. 6 comma VII del  Testo  Unico  in  materia  di
immigrazione e risulta dettata per far fronte al  dilagante  fenomeno
migratorio, garantendo ai richiedenti protezione la  possibilita'  di
soggiornare sul territorio italiano, con  la  garanzia  di  avere  la
possibilita' di accesso ad una serie  di  servizi  e  prestazioni  di
natura assistenziale. 
    In questo senso, si ritiene che il parametro  di  interpretazione
estensiva, proposto da parte della  ricorrente,  con  riferimento  al
suddetto art. 6 comma VII del Testo Unico in materia di immigrazione,
che  prevede  il  diritto  degli  stranieri  ad  avere   l'iscrizione
anagrafica nel Comune di residenza, risulti  ultroneo  rispetto  alla
palese chiarezza della relativa normativa richiamata, di cui all'art.
4 comma 1 bis della legge 142/2015, cosi' come  modificato  dall'art.
13 del d.l. 113/2018, che esclude, per tabulas la possibilita' per il
richiedente  protezione  di  ottenere  l'iscrizione  anagrafica   nel
comune, ove e' di fatto residente. 
    Inoltre, si deve osservare che una interpretazione della suddetta
norma, in senso costituzionalmente orientato, puo'  effettuarsi  alla
condizione che il testo normativo da applicare non  venga  del  tutto
stravolto,  nel  suo  significato   palese,   altrimenti   effettuare
operazione di tal  fatta,  equivarrebbe  a  rendere  non  applicabili
norme, espungendole di fatto dall'ordinamento giuridico, atto  questo
vietato  all'operatore  giuridico,  dovendo,   semmai,   il   giudice
sollevare questione di legittimita'  costituzionale,  per  violazione
dei parametri della Carta fondamentale" (Trib. Trento, ord. 11 giugno
2019, giud. Tamburrino; di analogo  tenore,  Trib.  Trento,  ord.  15
giugno 2019, giud. Alinari). 
    L'esito di rigetto della domanda cui  perviene  il  Tribunale  di
Trento non e' pero' condiviso da questo giudice, dal momento  che  la
disciplina prevista dal d.lgs. n. 142/2015 -  cosi'  come  risultante
dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 113/2018 - e'  discriminatoria
e  presenta  profili  non   conformi   ai   dettami   costituzionali.
Ciononostante,  nel  rispetto  del  ruolo  del  legislatore  e  della
divisione dei poteri che  conforma  il  nostro  ordinamento,  non  e'
possibile per il giudice forzare il dato letterale e  far  dire  alla
legge qualcosa di ulteriore e diverso  rispetto  al  suo  significato
linguistico, neppure nell'apprezzabile intento  di  ricondurlo  entro
parametri costituzionalmente accettabili. 
    Occorre   dunque   interrogarsi   sulla   questione   preliminare
riguardante la corretta interpretazione della norma in esame, tenendo
conto dei suddetti criteri letterali, sistematici e teleologici. 
    Innanzitutto pare, a questo giudice, incontrovertibile la  chiara
intenzione di negare tout court la possibilita'  di  iscriversi  alle
liste anagrafiche allo straniero in possesso  del  solo  permesso  di
soggiorno  per  richiesta   di   asilo,   emergente   -   oltre   che
dall'inequivoco tenore letterale della disposizione, di cui si diceva
- da un'interpretazione  sistematica  della  complessiva  disciplina,
come risultante dalla recente modifica legislativa. A tal fine, basti
qui osservare che se non fosse invero preclusa in  toto  l'iscrizione
anagrafica del richiedente asilo, non  avrebbe  senso  quanto  (oggi)
previsto dall'art. 13, comma 1, lett. b), n. 1, d.l. n. 113/2018, che
ha modificato l'art. 5, comma  3,  d.lgs.  n.  142/2015.  In  base  a
quest'ultima  previsione,   l'accesso   ai   servizi   garantiti   ai
richiedenti  asilo  sulla  base  del  d.lgs.  n.  142/2015  e'   oggi
assicurato nel luogo del domicilio e non piu' nel luogo di residenza:
se per  i  richiedenti  asilo  fosse  ancora  possibile  l'iscrizione
all'anagrafe, non si comprenderebbe l'utilita' e  il  significato  di
tale novella. 
    Ne' puo' trascurarsi il chiaro intento legislativo  che  sorregge
una tale interpretazione. 
    A tal fine e' sufficiente menzionare i  lavori  preparatori  alla
legge di conversione del d.l. n.  113/2018  (Atto  del  Senato  della
Repubblica n. 840 del 2018) in cui si chiarisce  che  "L'articolo  13
prevede che il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente
l'iscrizione all'anagrafe dei  residenti,  fermo  restando  che  esso
costituisce documento di riconoscimento. L'esclusione dall'iscrizione
all'anagrafe non pregiudica l'accesso ai servizi  riconosciuti  dalla
legislazione vigente  ai  residenti  asilo  (iscrizione  al  servizio
sanitario, accesso al lavoro, iscrizione scolastica dei figli, misure
di accoglienza) che si fondano  sulla  titolarita'  del  permesso  di
soggiorno. L'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustifica  per
la precarieta' del permesso  per  richiesta  asilo  e  risponde  alla
necessita' di definire preventivamente la  condizione  giuridica  del
richiedente"; nonche' le circolari del Ministero dell'Interno del  18
ottobre 2018, n. 15 e del 18 dicembre 2018,  n.  0083774,  vincolanti
per gli ufficiali dello stato civile ai sensi dell'art. 9,  comma  1,
d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, ed entrambe  univoche  nel  sostenere
l'interpretazione secondo cui, successivamente all'entrata in  vigore
del d.1. n. 113/2018, al richiedente asilo e'  preclusa  l'iscrizione
anagrafica. 
    Ebbene,  nell'interpretazione  di  un  atto   normativo   (e   in
particolare di un atto normativo 'giovane', come  quello  di  cui  si
discute) non puo'  prescindersi  da  una  attenta  ricostruzione  dei
lavori preparatori e di quella che era l'intenzione  del  legislatore
in quel momento, anche sulla base delle dichiarazioni esternate dagli
esponenti politici: questi dati forniscono,  infatti,  la  chiave  di
lettura di quello che  e'  stato  l'intendimento  dei  rappresentanti
democraticamente legittimati a comporre il potere legislativo. 
    Nell'ipotesi sottoposta all'esame di questo giudice, il testo  di
legge e' estremamente recente (il d.l. n. 113/2018  e'  stato  invero
emanato il 4 ottobre 2018 e convertito in legge il 1° dicembre  2018)
e   la   volonta'   politica   del   legislatore   e'   perfettamente
intellegibile.  Ne  sono  ben  consapevoli  anche  i  sostenitori  di
un'interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione  in
esame, come ben emerge dalla motivazione dell'ordinanza del Tribunale
di Firenze citata. L'iter  argomentativo  del  Tribunale  di  Firenze
muove,  infatti,  dall'idea  di   svalutare   il   criterio   storico
dell'interpretazione,  ossia  quel  criterio  che  si   fonda   sulla
ricostruzione della volonta' dei  soggetti  che  hanno  materialmente
partecipato  al  procedimento  legislativo.  La  tesi  e'  quella  di
valorizzare la voluntas legis in senso obiettivo: 
        cio' che conta,  cioe',  non  e'  l'interesse  che  intendeva
perseguire il redattore della norma, ma la volonta' che si desume dal
testo normativo, dal sistema giuridico in cui la norma e' inserita, e
dalla finalita'  di  tutela  che  risulta  dalla  norma  stessa.  Una
impostazione che poggia invero sull'assunto secondo cui  nell'operare
una interpretazione  aderente  all"intenzione  del  legislatore',  ai
sensi dell'art. 12 delle disposizioni preliminari al  codice  civile,
deve farsi riferimento  all'intenzione  del  legislatore  obiettivata
nella norma: l'interprete non puo',  dunque,  ritenersi  vincolato  a
cercare un significato conforme alla 'volonta' politica'  di  cui  la
norma e', storicamente, un prodotto; la legge, una  volta  approvata,
'si stacca' dall'organo che l'ha prodotta e non viene piu' in rilievo
come una 'decisione' legata a ragioni e fini di chi l'ha  voluta,  ma
come un  testo  legislativo  inserito  nell'insieme  dell'ordinamento
giuridico" (Trib. Firenze, ordinanza citata, par. 2). 
    Tuttavia,  e'  stato  di  recente  segnalato  come  l'idea  della
voluntas legis obiettiva possa  tradursi  in  un  espediente  atto  a
legittimare  delle   decisioni   antidemocratiche,   sostituendo   la
valutazione del giurista, non democraticamente legittimato, a  quella
del legislatore. 
    Per  essere  fedeli  al  principio   democratico,   la   volonta'
soggettiva  del  legislatore  che  ha  emanato  la  disposizione   da
interpretare e' un dato che, a parere di  questo  giudice,  non  puo'
essere ignorato, tanto piu' se ci si colloca in  un  tempo  vicino  a
quello in cui e' intervenuta  la  promulgazione  della  disposizione.
Tale principio e'  tanto  piu'  stringente  quando  anche  gli  altri
criteri interpretativi - in particolar modo quello letterale e quello
sistematico, cui si faceva riferimento in precedenza - depongono  nel
senso di individuare un unico, preciso significato della disposizione
normativa: quello che nega  al  richiedente  asilo,  tout  court,  la
possibilita' di iscriversi alle liste anagrafiche. 
    La norma che univocamente si trae dall'analisi della disposizione
di cui all'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n. 142/2015,  come  introdotto
dall'art. 13, comma 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 113/2018,  tuttavia  -
come  si  diceva   -   e'   in   grado   di   vulnerare   i   diritti
costituzionalmente   tutelati   del   richiedente   asilo   che    si
evidenzieranno di seguito. 
8. Non manifesta infondatezza. 
    Come gia' anticipato, la disposizione  che  questo  giudice  deve
applicare per decidere il caso sottoposto  alla  sua  attenzione  dal
ricorrente e' l'art.  4,  comma  1  bis,  d.lgs.  n.  142/2015,  come
introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. a), n. 2, d.l.  n.  113/2018,
convertito nella legge 132/2018. Tale disposizione  appare  pero'  in
contrasto con  gli  artt.  2,  3,  10,  117  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 2, § 1, del Protocollo n. 4 della Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(di seguito, Cedu), nonche' in riferimento agli artt. 14  Cedu  e  26
del Patto  internazionale  relativo  ai  diritti  civili  e  politici
adottato a New York il 16 dicembre 1966,  entrato  in  vigore  il  23
marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n.
881. 
    Oltre ai vizi di legittimita'  costituzionale  che  attengono  al
contenuto dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n. 142/2015, appare  pero'
opportuno affrontare in via preliminare un motivo  di  illegittimita'
procedurale  attinente  al  procedimento  legislativo  con   cui   la
disposizione censurata e' stata introdotta. 
    Il d.l. n. 113/2018 - e, specificamente, l'art. 13, co. 1,  lett.
a), n. 2 di tale decreto, che ha introdotto l'art. 4,  comma  l  bis,
d.lgs.  n.  142/2015  -  appare  invero   radicalmente   affetto   da
illegittimita' per la carenza dei requisiti stabiliti  dall'art.  77,
secondo comma, Cost., cosi' come interpretati  dall'evoluzione  della
giurisprudenza costituzionale. 
8.1. Art. 77 Cost. 
    La Corte costituzionale  da  almeno  trent'anni  ha  mostrato  un
crescente  impegno  nel   ripristinare   l'equilibrio   istituzionale
nell'uso  della  decretazione   d'urgenza:   un   percorso   che   ha
inizialmente riguardato le note decisioni sul divieto di reiterazione
del decreto legge non convertito entro i termini sanciti dall'art. 77
Cost., e che si e' esteso poi in un sindacato sempre piu'  penetrante
con riferimento tanto ai presupposti di necessita' e urgenza,  quanto
ai limiti della sua emendabilita' in sede di conversione. 
    La Corte ha in particolare evidenziato in plurime  occasioni  che
la  mancanza  evidente  del  presupposto  dei  casi  straordinari  di
necessita' e urgenza rende incostituzionale  il  ricorso  al  decreto
legge, e che tale vizio non e' sanato dalla successiva conversione in
legge (cfr., ex multis, Corte cost. senti. nn. 29/1995, 154/2015,  e,
piu' di recente, nn. 99 e 137 del 2018; sulla inidoneita' della legge
di conversione a sanare il vizio, cfr. seni. n. 171/2007). 
    Nel caso di specie, difetta una motivazione circa la necessita' e
urgenza di introdurre il divieto di iscrizione all'anagrafe  per  chi
permanga  legittimamente  sul  territorio  nazionale  in  attesa   di
ricevere  risposta  alla  propria  richiesta  di  asilo.  Le   scarne
indicazioni circa il profilo di necessita' e urgenza che ha mosso  il
Governo a introdurre per mezzo di decreto legge le  disposizioni  che
compongono il Titolo I del d.l. 113/2018 (Disposizioni in materia  di
rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di
carattere umanitario nonche' in materia di protezione  internazionale
e  di  immigrazione)  attengono  alle  seguenti  ragioni:  assicurare
l'effettivita' dei provvedimenti di rimpatrio di coloro che non hanno
titolo a soggiornare nel territorio nazionale; assicurare  l'accurato
svolgimento delle istanze di riconoscimento e della concessione della
cittadinanza in costante incremento  in  conseguenza  della  crescita
della  popolazione  straniera;  assicurare  la  massima   accuratezza
nell'istruttoria avviata  per  la  valutazione  di  tali  istanze  in
ragione dell'accresciuta minaccia terroristica internazionale  e  dei
preoccupanti fenomeni  di  contraffazione  dei  documenti  dei  Paesi
d'origine prodotti dai richiedenti; assicurare adeguate politiche  di
prevenzione della minaccia terroristica anche  connessa  al  fenomeno
dei cosiddetti foreign fighters. 
    Anche a voler  ritenere  che  queste  esigenze  siano  tutelabili
attraverso il ricorso alla decretazione d'urgenza, e' pero'  evidente
come la disciplina prevista con l'art. 13, comma 1, lett. a),  n.  2,
d.l. 113/2018 non incida in alcun  modo  sulla  sicurezza  nazionale,
sull'efficacia dei provvedimenti di  rimpatrio  di  chi  permane  sul
territorio italiano senza titolo, ovvero sulla necessita' di svolgere
un'accurata  istruttoria  delle  istanze  di  riconoscimento   o   di
concessione della cittadinanza. Del resto, una volta stabilito che  i
titolari di permesso per richiesta di asilo permangono legittimamente
sul suolo nazionale, il fatto che  essi  possano  o  meno  iscriversi
all'anagrafe dei residenti in alcun  modo  ostacola  le  esigenze  di
tutela che la decretazione d'urgenza intende garantire. Anzi,  a  ben
vedere, una corretta prospettazione sulle liste dell'anagrafe di  chi
effettivamente permane in un determinato Comune altro non farebbe che
facilitare  l'azione  dell'ente  territoriale  e  degli   organi   di
sicurezza. 
    Inoltre, anche a voler ritenere che la disciplina prevista  dalla
disposizione in esame afferisca a una  piu'  efficiente  ed  efficace
gestione del  fenomeno  migratorio,  essa  costituisce  una  incisiva
riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica e giuridica,
che avrebbe richiesto un adeguato dibattito  parlamentare,  possibile
solo ove si fossero seguite  le  ordinarie  procedure  di  formazione
della legge ex art. 72 Cost. 
    Dibattito parlamentare che, per effetto  del  "voto  di  fiducia"
posto in entrambi i rami del Parlamento in occasione delle  votazioni
della legge di conversione, e' stato totalmente escluso anche solo in
relazione a eventuali proposizioni di emendamenti della normativa  da
approvare. 
    Oltre al difetto  dei  requisiti  di  necessita'  e  urgenza,  la
disposizione di cui all'art.  13,  comma  1,  lett.  a),  n.  2  d.l.
113/2018  si  pone  altresi'  in  contrasto  con  il   requisito   di
omogeneita' del contenuto del decreto legge. Tale contenuto,  invero,
secondo l'art. 15, co. 3. 1. 40/1998 "deve essere specifico, omogeneo
e corrispondente al titolo" e, ancorche' la  disposizione  da  ultimo
citata, essendo  di  rango  ordinario,  non  assurga  direttamente  a
parametro di legittimita' costituzionale, essa tuttavia  "costituisce
esplicazione della ratio implicita nel  secondo  comma  dell'art.  77
Cost., il quale impone il collegamento dell'intero  decreto-legge  al
caso straordinario di necessita' e urgenza" (Corte cost., sent. n. 22
del 2012, n. 3.3. del Considerato in diritto). 
    L'intero decreto legge n. 113/2018 appare privo della  necessaria
omogeneita' dato  che  prevede  disposizioni  su  materie  del  tutto
diverse fra loro che attengono,  indifferentemente,  alla  disciplina
dei casi di permesso di soggiorno per motivi umanitari, al  contrasto
dell'immigrazione  illegale,  al  contrasto  al  terrorismo  e   alla
criminalita'  mafiosa,  alla  riorganizzazione   dell'amministrazione
civile del Ministero dell'interno  e  al  funzionamento  dell'agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata. 
8.2. Art. 2 Cost. 
    Quanto alle censure relative al contenuto della  disposizione  di
cui all'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n. 142/2015, introdotto dall'art.
13, comma 1, lett. a), n. 2), d.l. n. 113/2018, convertito  nella  l.
n. 132/2018, la questione di legittimita' costituzionale  appare,  ad
avviso di questo giudice, non manifestamente infondata in  relazione,
in primo luogo, all'art. 2 Cost. 
    Come gia' ampiamente argomentato, la disposizione  in  questione,
nell'unica lettura ammissibile, comporta il diniego generalizzato del
diritto  di  iscrizione  anagrafica  per  gli  stranieri   legalmente
soggiornanti sul  territorio  italiano  in  qualita'  di  richiedenti
asilo. 
    La Corte  Costituzionale  ha  oramai  da  tempo  abbracciato  una
concezione dell'art. 2 Cost. quale  "norma  di  apertura",  idonea  a
ricondurre  sotto  la  garanzia  costituzionalmente  prevista  per  i
diritti inviolabili  anche  ipotesi  non  esplicitamente  contemplate
nella Legge fondamentale, o che  non  siano  direttamente  desumibili
dalle stesse. Vero punto di svolta e' stata la pronuncia C. cost., 18
dicembre 1987, n. 561, che ha  riconosciuto  come  "fondamentale"  il
diritto alla liberta' sessuale, non presente in Costituzione, seguita
da altre decisioni a  conferma,  come  quelle  che  hanno  ricondotto
all'art. 2 Cost., ex pluribus, il diritto sociale all'abitazione  (C.
cost., 7 aprile 1988, n. 404 e ID., 19 novembre  1991,  n.  419),  il
diritto alla vita (C. cost.,  27  giugno  1996,  n.  223  e  ID.,  10
febbraio 1997, n. 35), il diritto di abbandonare il proprio paese (C.
cost., 17 giugno 1992, n. 278), il  diritto  all'identita'  personale
(C. cost., 3 febbraio 1994, n. 13; ID., 23 luglio 1996, n. 297;  ID.,
11 maggio 2001, n. 120; ID., 21 dicembre 2016, n. 286), il diritto al
rispetto e alla libera esplicazione della personalita' (C. cost.,  30
luglio 1997, n. 283), il diritto alla famiglia (C. cost., 22 novembre
2013, n. 278). 
    La   Corte   ha   cosi'   suggerito   un    carattere    dinamico
dell'inviolabilita',  che  muta  al  mutare   della   societa',   con
un'apertura dei diritti inviolabili che non significa pero' una  loro
indeterminatezza, dovendo e potendo essere ricompresi nel loro novero
solo  quelli  che  siano  riconducibili   al   cuore   del   progetto
costituente, ossia quello di predisporre per  ciascun  consociato  le
condizioni per il conseguimento di una vita libera e degna. 
    Cosi', la dignita' umana diventa tratto comune o,  meglio,  punto
di arrivo di questi diritti inviolabili. 
    La centralita' della persona, d'altronde, trova diretto riscontro
nel testo della norma  che,  nell'individuare  i  soggetti  a  cui  i
diritti inviolabili devono essere riconosciuti,  non  fa  riferimento
all'individuo  in  quanto  partecipe  di  una  determinata  comunita'
politica, ma in quanto essere umano,  parlando  di  riconoscimento  e
garanzia,  da  parte  della  Repubblica,  dei  diritti   fondamentali
dell'uomo (cosi', C. cost. 105/2001). 
    Che la dignita' umana e, quindi, i  diritti  necessari  alla  sua
garanzia non spettino solo ai cittadini trova inconfutabile  conferma
nei principi di  eguaglianza  e  di  parita'  sociale  contenuti  nel
successivo  art.  3  Cost.  Prima   di   tutto,   la   giurisprudenza
costituzionale  ha  riconosciuto  come   "il   testuale   riferimento
dell'art. 3, comma 1, Cost. ai soli cittadini non esclude  [...]  che
l'eguaglianza davanti alla legge sia garantita agli stessi  stranieri
dove si tratti  di  assicurare  la  tutela  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo" (cosi', testualmente, C. cost. 54/1979; vedasi  anche,  C.
cost. 120/1967; ID., 21/1968;  ID.,  104/1969;  ID.,  144/1970;  ID.,
177/1974; ID., 244/1974 e ID., 490/1988) o che "quando venga in gioco
il riferimento al godimento  dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  il
principio costituzionale  di  eguaglianza  in  generale  non  tollera
discriminazioni  fra  la  posizione  del  cittadino  e  quella  dello
straniero" (C. cost. 62/1994). 
    I diritti inviolabili, dunque, rappresentano  campo  privilegiato
di applicazione del principio di uguaglianza, cosi' da assicurare una
loro pari titolarita' al cittadino e allo straniero. 
    Questo riconoscimento in favore  dello  straniero  non  ha  pero'
impedito  alla  Corte  di  specificare  ulteriormente  la  questione,
affermando come "tra cittadino  e  straniero,  benche'  uguali  nella
titolarita' di certi diritti  di  liberta',  esistano  differenze  di
fatto che  possano  giustificare  un  loro  diverso  trattamento  nel
godimento di quegli stessi diritti" (C. cost. 104/1969). 
    Da  un  lato,  dunque,  l'espressione  "certi  diritti"   demarca
l'esigenza di discernere tra diritti inviolabili  spettanti  solo  al
cittadino  e  diritti  spettanti  al  cittadino  e  allo   straniero,
dall'altro,  assume   rilevanza   l'esigenza   di   distinguere   tra
titolarita'  -  estesa  a  tutti  -  e  godimento  -  differentemente
modulabile - di un diritto inviolabile. 
    In quest'ottica, la Corte ha introdotto il  concetto  di  "nucleo
irriducibile" dei diritti inviolabili che, per i diritti non limitati
ai cittadini, deve essere sempre e comunque riconosciuto a tutti  (C.
cost. 252/2001). L'accesso e  il  godimento  di  quella  porzione  di
diritto involabile che eccede questo 'nucleo', invece,  ricadono  nel
margine di discrezionalita' spettante al legislatore: in questo caso,
la  differenza  di  trattamento  tra   cittadino   e   straniero   e'
ammissibile, ma, ad ogni modo, deve  restare  circoscritta  entro  il
limite  per  cui  la   disparita'   di   trattamento   non   sconfini
nell'irragionevolezza. 
    Rinviando l'approfondimento su tale profilo al  successivo  punto
riguardante la non manifesta infondatezza del contrasto con l'art.  3
della novella del 2018, in questa sede non resta che evidenziare come
il diritto all'iscrizione anagrafica ricada tra i diritti  che  hanno
come punto di approdo ultimo quello della dignita' umana,  nella  sua
dimensione individuale e sociale. 
    L'iscrizione    anagrafica,    infatti,    diventa    presupposto
dell'identificazione di se stessi anche  e  soprattutto  mediante  lo
sviluppo di un senso di appartenenza con la comunita'  locale  presso
cui si  decide  di  fissare  la  propria  stabile  dimora.  Senso  di
appartenenza   che,    dunque,    e'    prodromico    all'inserimento
dell'individuo nella societa' al cui interno egli puo' avere pieno  e
libero svolgimento  della  propria  personalita',  come  riconosciuto
dall'art. 2 Cost. 
    L'iscrizione anagrafica, quindi, diventa passo essenziale di quel
processo di integrazione a  cui  sono  chiamati  tanto  lo  straniero
quanto la societa' presso cui egli si stabilisce:  anche  qualora  si
tratti di uno straniero richiedente asilo, a  fronte  dell'innegabile
regolarita' della sua presenza sul territorio italiano per  tutto  il
tempo necessario alla definizione  della  sua  richiesta.  Questo  in
considerazione del fatto che,  al  di  la'  delle  tempistiche  tutto
fuorche' istantanee con cui puo' essere definito il  suo  status,  la
transitorieta' e' legittimamente riferibile solo  al  suo  status  di
richiedente asilo, ma non  alla  sua  presenza  sul  suolo  italiano:
l'intera  disciplina  dell'accoglienza  dei  richiedenti   protezione
internazionale, infatti, non puo' che ritenersi  strutturata  attorno
all'ipotesi dello  straniero  che  sia  effettivamente  titolare  del
diritto d'asilo, per il quale  il  processo  di  integrazione  (e  la
presenza sul territorio italiano) costituisce un fluire  ininterrotto
che inizi quale richiedente e continui quale titolare  di  protezione
internazionale. 
    Infine, anche da un punto di vista simbolico, negare l'iscrizione
anagrafica  significa   lasciare   l'individuo   al   margine   della
collettivita' stessa, confinandolo in  un  "non  luogo"  giuridico  e
sociale che appare sicuramente come un limite alla libera e dignitosa
crescita della sua personalita' e che  difficilmente  puo'  ritenersi
compatibile con l'impegno alla partecipazione  alla  vita  economica,
sociale e culturale che lo stesso legislatore individua come  momento
saliente del processo di integrazione (art. 4 bis TUI). Basti pensare
che l'iscrizione anagrafica e' condizione per il rilascio della carta
di  identita':  un  documento  che,  anche  su  un  piano   meramente
evocativo, esprime una maggiore identificazione con la  comunita'  in
cui ci si inserisce rispetto  al  solo  permesso  di  soggiorno  che,
invece, comunica sempre e comunque una sensazione di estraneita'. 
    Diventa cosi' irrilevante  il  fatto  che  l'accesso  ai  servizi
sociali generalmente erogati in base  alla  residenza  -  e,  dunque,
all'iscrizione anagrafica - venga ora garantito in base al domicilio,
poiche' il divieto di iscrizione anagrafica lede un diritto  autonomo
e presupposto rispetto a questi ulteriori diritti sociali. 
    Allo stesso modo, la suesposta violazione dell'art.  2  Cost.  si
verifica  anche  trascendendo  dalla  (tutto  fuorche'  trascurabile)
presenza nel nostro ordinamento - gia' evidenziata  nella  precedente
sezione dedicata all'interesse ad agire - di diritti sociali, a  loro
volta fondamentali e inviolabili, la cui titolarita' deriva sempre  e
comunque  dalla  durata  della  residenza  sul  territorio   italiano
(diritto all'acquisto della  cittadinanza,  all'accesso  all'edilizia
popolare, all'accesso al reddito di cittadinanza, ecc.). 
    Tutto cio' posto, non rimane che confermare come  il  diritto  di
iscrizione anagrafica sia - fuori ogni dubbio -  un  diritto  di  cui
possono  essere  titolari  anche  gli  stranieri.  Come  gia'  visto,
infatti, tale diritto e' riconosciuto, alle medesime  condizioni  che
ai cittadini italiani, anche agli stranieri  legalmente  soggiornanti
(cfr., in primis„  l'art.  6,  comma  7,  TUI),  tra  cui  certamente
ricadono anche gli stranieri richiedenti asilo titolari  di  apposito
permesso. 
    D'altra  parte,  cio'  che   sembra   comportare   l'applicazione
dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n.  142/2015,  introdotto  dall'art.
13, comma 1, lett. a), n. 2) d.l. n. 113/2018, convertito nella legge
n. 132/2018, non e' una (ragionevole)  compressione  del  diritto  in
questione, conforme  al  principio  dell'ammissibilita'  del  diverso
trattamento nel godimento  dei  diritti  tra  italiani  e  stranieri,
quanto piuttosto una sua negazione totale in  capo  a  una  specifica
categoria di stranieri, senza che possa ravvisarsi alcun  margine  di
conservazione di un suo 'nucleo essenziale'. 
8.3. Art. 3 Cost. 
    La questione, anche alla luce  di  quanto  gia'  esposto,  appare
inoltre non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 Cost. la
cui applicabilita' agli stranieri e' pacificamente riconosciuta dalla
Corte costituzionale. 
    All'applicabilita' in astratto del principio di eguaglianza  agli
stranieri  si  aggiunge,  nel  caso  di  specie,  il   suo   espresso
riconoscimento  normativo  in  relazione  al  diritto  di  iscrizione
anagrafica: l'art. 6, comma 7, TUI introduce  come  regola  generale,
infatti,  quella  dell'iscrivibilita'  degli   stranieri   legalmente
soggiornanti in Italia all'anagrafe della popolazione residente, alle
medesime condizioni dei cittadini italiani. L'art. 4,  comma  l  bis,
d.lgs. n. 142/2015, come introdotto dall'art. 13  d.l.  n.  113/2018,
costituisce cosi' una deroga a tale disciplina  generale  disponendo,
come gia' argomentato,  la  non  iscrivibilita'  di  una  particolare
tipologia  di  stranieri  legalmente   soggiornati   sul   territorio
nazionale - i richiedenti  asilo  -  all'anagrafe  della  popolazione
residente. 
    D'altra parte, tale deroga non  appare  capace  di  soddisfare  i
requisiti  di  razionalita'  e  ragionevolezza  che  costituiscono  i
parametri tradizionalmente  adottati  dalla  Corte  per  svolgere  il
giudizio costituzionale di eguaglianza. 
    Il primo comporta  una  verifica  della  coerenza  tra  la  norma
soggetta a sindacato di costituzionalita'  e  le  altre  disposizioni
normative nella stessa materia, cosi' da verificare se  sussista  una
congruita' dispositiva o, invece, vi siano contraddizioni  insanabili
(in questo senso, C. cost., n. 10/1980). 
    La presenza di contraddizioni insanabili tra l'art.  4,  comma  1
bis, d.lgs. n. 142/2015 e  il  contesto  normativo  in  cui  esso  si
inserisce appare, a questo punto, configurabile sotto  una  serie  di
profili, ulteriori rispetto al contrasto tra la previsione in esame e
il  diritto,  per  tutti  gli  stranieri  legalmente   presenti   sul
territorio, all'iscrizione anagrafica. 
    Primo sintomo dell'irrazionalita' della norma e  del  trattamento
differenziato  che  essa  introduce  e'  la  sua  incoerenza  con  le
finalita' perseguite dal legislatore mediante l'adozione del d.l.  n.
113/2018, all'interno del quale si colloca la disposizione stessa. 
    Negare l'iscrizione anagrafica  ai  richiedenti  asilo  significa
limitare, in primo luogo, le capacita' di  controllo  e  monitoraggio
dell'autorita' pubblica su una categoria di stranieri, rendendo  piu'
incerti i dati relativi alla loro presenza sul territorio e  ai  loro
spostamenti. Cio' mal  si  coniuga,  come  detto,  con  le  finalita'
perseguite dal decreto, tra cui compaiono l'esigenza di rafforzare  i
dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica  e  il  potenziamento
delle  misure  di   rimpatrio.   Limitare   le   informazioni   sulla
localizzazione di una categoria  di  stranieri  caratterizzata  dalla
precarieta' del  loro  diritto  di  permanenza  sul  suolo  nazionale
(quanto meno secondo l'ottica seguita dal legislatore nel negare loro
l'iscrizione anagrafica) non appare compatibile  con  tali  esigenze.
Questa inconciliabilita' logica rende cosi' plausibile  l'assenza  di
giustificazioni della disciplina derogatoria introdotta con  il  d.l.
n.  113/2018  al  generale  regime  di  uguaglianza  tra  italiani  e
stranieri nel diritto all'iscrizione anagrafica. 
    Tutto cio' trova ulteriore conferma se si ragiona sulla  coerenza
tra l'art. 4, comma  1  bis,  d.lgs.  n.  142/2015  e  la  disciplina
dell'ordinamento  delle  anagrafi  della  popolazione  residente.  La
presenza di una  sanzione  specificamente  indirizzata  a  tutti  gli
stranieri - quindi anche i richiedenti asilo - che non  procedano  ad
iscrizione anagrafica (art. 11 1. n.  1228/1954)  altro  non  fa  che
ribadire la natura obbligatoria di tale  iscrizione  (art.  2  1.  n.
1228/1954), che risulta cosi' chiaramente preposta al soddisfacimento
di primari interessi pubblici, tra cui proprio quello  di  assicurare
la puntuale conoscenza dei soggetti presenti sul territorio  italiano
e, dunque, anche la sicurezza pubblica. E' palese  la  contraddizione
di una normativa  che,  da  un  lato,  impedisce  allo  straniero  di
iscriversi all'anagrafe e, dall'altro, individua  nell'iscrizione  un
obbligo rafforzato da una sanzione amministrativa, per di piu'  senza
che la disciplina del  2018  contenga  una  deroga  espressa  a  tale
obbligo (e a tale sanzione) per i richiedenti asilo. 
    Da ultimo, negare l'iscrizione anagrafica  ai  richiedenti  asilo
mostra la sua incoerenza con le finalita'  perseguite  dal  d.lgs.  a
142/2015, al cui art. 4 si inserisce la modifica apportata  dall'art.
13, comma 1, lett. a), n.  2,  d.l.  n.  113/2018.  La  direttiva  n.
33/2013, recepita tramite il  d.lgs.  n.  142/2015,  mira  infatti  a
introdurre una disciplina di garanzia  e  tutela  per  i  richiedenti
asilo,  diretta  a  creare  "uno  spazio  di  liberta',  sicurezza  e
giustizia  aperto  a  quanti,  spinti  dalle   circostanze,   cercano
legittimamente protezione nell'Unione".  Di  talche',  gli  specifici
obiettivi di migliorare l'accoglienza e, soprattutto,  di  "garantire
un livello di vita  dignitoso"  al  richiedente  asilo  non  sembrano
affatto compatibili con l'istituzione di un non  necessario  ostacolo
all'integrazione e al libero  sviluppo  individuale  dello  straniero
qual e' la negazione del diritto d'iscrizione anagrafica,  come  gia'
sopra argomentato. 
    Passando al controllo sulla ragionevolezza dell'art. 4,  comma  1
bis,  d.lgs.  n.  142/2015,  anch'esso  dimostra  l'assenza  di   una
giustificazione al trattamento differenziato tra richiedenti asilo  e
cittadini  italiani,  nonche'  tra  richiedenti  asilo  e  gli  altri
stranieri legalmente presenti sul territorio nazionale. 
    In  generale,  possono  considerarsi  violative   del   principio
costituzionale di uguaglianza le deroghe alla disciplina generale  di
una materia, prive di giustificazione adeguata, capaci di  introdurre
ipotesi ingiustificate di  disparita'  di  trattamento,  per  esempio
imponendo sacrifici irragionevoli ad una categoria di soggetti (cosi'
C. cost., nn. 4, 24, 76/1994; e ID., 285/1995). 
    Prima  di  tutto,  risulta   difficile   (se   non   impossibile)
comprendere quale sia l'interesse che il  legislatore  ha  perseguito
nell'introduzione  del  divieto  di  iscrizione  anagrafica   per   i
richiedenti asilo,  che  fornirebbe  una  motivazione  al  sacrificio
imposto a questa categoria di stranieri:  il  diniego  di  iscrizione
anagrafica, come gia' evidenziato,  ne'  apporta  ulteriori  garanzie
alla sicurezza  pubblica,  ne'  facilita  l'espulsione  di  stranieri
irregolari, ne' puo' considerarsi  un  passo  mosso  verso  una  piu'
efficiente accoglienza  di  questi  soggetti.  Non  si  coglie  quale
vantaggio - anche meramente economico - derivi dunque alla Repubblica
da tale previsione. 
    Ne', d'altra parte, lo status di richiedente presenta in concreto
caratteristiche tali  da  legittimare  l'esclusione  dal  diritto  di
iscrizione anagrafica. 
    Per un'ultima volta, anche  i  richiedenti  asilo  sono  soggetti
legalmente presenti sul territorio italiano, proprio come attesta  il
rilascio  di  un  apposito  permesso   di   soggiorno.   Non   appare
ragionevole, poi, giustificare il diniego di iscrizione anagrafica  a
fronte della provvisorieta' del diritto di soggiorno. Prima di tutto,
ad essere provvisorio e' solo lo  status  di  richiedente  asilo,  il
quale e' destinato a  tramutarsi  -  nell'ipotesi  fisiologica  -  in
status di titolare di  protezione  internazionale,  la  cui  regolare
presenza  sul  territorio  italiano  prosegue,  senza  soluzione   di
continuita' alcuna. D'altra  parte,  non  sembra  razionale  porre  a
fondamento della negazione del diritto di  iscrizione  anagrafica  la
diversa ipotesi in cui lo straniero richiedente asilo si veda  negata
la protezione internazionale:  questo,  come  gia'  sottolineato,  si
porrebbe in contrasto con la ratio del d.lgs.  n.  142/2015,  che  ha
come obiettivo principe  l'accoglienza  dei  richiedenti  protezione,
nell'ottica di una  loro  futura  stabilizzazione,  e  non  del  loro
allontanamento. 
    Anche da un punto di vista  materiale,  non  risulta  convincente
parlare di precarieta'  della  presenza  dello  straniero  sul  suolo
italiano: il permesso di soggiorno per richiedenti asilo ha  scadenza
semestrale, rinnovabile fino alla decisione della domanda. 
    Quest'ultimo  termine  ricomprende   non   solo   i   tempi   del
procedimento   amministrativo,   ma   anche   quelli   dell'eventuale
impugnazione  giurisdizionale  del  diniego.  Il  completamento   dei
procedimenti amministrativi  e  giudiziari,  d'altro  canto,  non  e'
assicurato in un breve periodo, cosi'  da  rendere  plausibili  anche
periodi molto lunghi di soggiorno, fino a tre o quattro anni. Volendo
schematizzare queste tempistiche, in seguito alla presentazione della
richiesta di protezione internazionale, la  Commissione  territoriale
competente deve provvedere al  colloquio  personale  col  richiedente
entro 30  giorni  dal  ricevimento  della  domanda  stessa,  per  poi
decidere entro i tre giorni feriali successivi. Tuttavia, qualora  la
Commissione ritenga di dover acquisire nuovi elementi, questi termini
sono prorogabili di sei mesi, nonche' di ulteriori nove  mesi  se  la
decisione  richiede  valutazioni  complesse,  oppure   in   caso   di
inosservanza dell'obbligo di cooperazione che grava  sul  richiedente
ex art. 11 d.lgs. n. 25/2008, ma anche per il semplice fatto che,  in
un determinato frangente, risulti presentato  un  elevato  numero  di
richieste. A  questo  punto,  in  casi  eccezionali,  il  termine  di
conclusione del procedimento puo' essere esteso  di  altri  tre  mesi
(art. 27, d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25). 
    Gia' solo in relazione al procedimento amministrativo e' evidente
come  la  normativa  renda  possibile  una  regolare  permanenza  del
richiedente asilo sul territorio italiano per ben 19 mesi.  A  questo
termine, ampiamente superiore all'anno,  possono  poi  aggiungersi  i
tempi del processo di impugnazione della decisione della  Commissione
innanzi al giudice ordinario: la  presentazione  del  ricorso  (entro
trenta giorni dalla notificazione del diniego) ha, infatti, efficacia
sospensiva del provvedimento, e da' avvio a un giudizio che, ex lege,
dovrebbe concludersi  entro  quattro  mesi  dalla  presentazione  del
ricorso stesso (cosi' art. 35 bis  d.lgs.  n.  25/2008).  Si  arriva,
cosi', a 24 mesi anche solo applicando le  tempistiche  previste  dal
legislatore, escludendo ritardi di sorta e trascurando  la  possibile
impugnazione innanzi alla Cassazione della decisione di primo  grado,
la quale - pur  non  avendo  automatica  efficacia  sospensiva  della
pronuncia del  tribunale  -  puo'  essere  accompagnata  da  apposita
istanza di sospensione. 
    L'irragionevolezza del diniego di iscrizione anagrafica  e  della
sua giustificazione legata alla precarieta' del diritto di  soggiorno
sul territorio italiano (poiche' limitato, in prima  battuta,  a  sei
mesi) risulta ancora piu' chiara se si tiene in considerazione quanto
disposto dal d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, concernente il diritto di
circolazione e soggiorno dei cittadini europei. L'art. 9 del  decreto
prevede  espressamente  che  un   cittadino   europeo   che   intenda
soggiornare per piu'  di  tre  mesi  sul  territorio  italiano  debba
procedere all'iscrizione anagrafica. Dunque, non si capisce quale sia
la ragione per cui, in un caso, "piu' di tre mesi" (quindi anche solo
quattro o cinque) debbano considerarsi come  una  finestra  temporale
sufficiente  per  escludere  la  precarieta'  della  presenza   dello
straniero sul territorio italiano, facendo sorgere il  diritto/dovere
di iscrizione anagrafica, e, nell'altro caso, sei  mesi  -  de  plano
incrementabili fino oltre due anni - non lo siano. 
    Ne' in concreto,  ne'  in  astratto,  quindi,  il  soggiorno  del
richiedente  asilo  puo'  definirsi  "precario"   e,   pertanto,   la
precarieta' non puo' considerarsi causa ragionevole della  differenza
di trattamento - quanto al diritto di  iscrizione  anagrafica  -  tra
richiedenti e cittadini, nonche' tra richiedenti e altre categorie di
stranieri. 
    Cio' posto, gli effetti di  un'irragionevole  e  irrazionale  (e,
dunque,  incostituzionale)  deroga  al   principio   di   uguaglianza
producono conseguenze concrete sulla  vita  di  questa  categoria  di
soggetti, gia' richiamate nel paragrafo dedicato all'art. 2 Cost. 
    Cosi', il diniego di iscrizione anagrafica mostra  tutta  la  sua
irragionevolezza, costituendo un ostacolo al processo di integrazione
per i soli richiedenti asilo (e, dunque, anche  per  tutti  i  futuri
titolari di protezione internazionale). 
    L'integrazione,  quale  processo  finalizzato  a  promuovere   la
convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto
dei valori sanciti dalla  Costituzione  italiana,  con  il  reciproco
impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale  della
societa', non e' solo un diritto  per  gli  stranieri,  ma  anche  un
dovere, cosi come e' un  dovere  per  lo  Stato  italiano  promuovere
l'integrazione. Questo principio e' diventato inconfutabile a seguito
dell'introduzione  dell'art.  4  bis  TUI  in  tema  di  accordo   di
integrazione, e trova conferma, ad esempio, nella  Carta  dei  valori
della cittadinanza e dell'integrazione di cui al decreto del Ministro
dell'interno 23 aprile 2007, alla quale viene riconosciuto  il  ruolo
di  direttiva  generale  per  l'esercizio  delle   attribuzioni   del
Ministero stesso (art. 1). Nella Carta si  riconosce,  appunto,  come
base  dell'integrazione  sia  l'impegno  dell'Italia  "perche'   ogni
persona sin dal primo momento in cui si trova sul territorio italiano
possa fruire dei diritti fondamentali, senza  distinzione  di  sesso,
etnia, religione, condizioni sociali". D'altra parte, allo straniero,
si domanda pari impegno, chiedendogli di "rispettare i valori su  cui
poggia la societa', diritti degli altri,  i  doveri  di  solidarieta'
richiesti dalle leggi". 
    Allo stesso modo, il Piano nazionale d'integrazione dei  titolari
di protezione internazionale di ottobre 2017, valido per  il  biennio
successivo,  riconosce  come  il  processo  di  integrazione  sia  un
processo  particolarmente  delicato  nei  confronti  dei  richiedenti
protezione internazionale (in  considerazione  della  loro  posizione
iniziale di svantaggio e vulnerabilita') che richiede tempo, cosi' da
rendere necessario che le  "attivita'  di  supporto  all'integrazione
siano offerte fin da subito anche ai richiedenti [asilo]". Proprio in
quest'ottica viene affermata la  centralita'  di  un  rapido  accesso
all'alloggio  e  alla  residenza,  riconoscendo  come   "l'iscrizione
anagrafica sia uno dei presupposti necessari per avviare e proseguire
qualsiasi percorso d'inclusione sociale". 
    Cio' posto, se la particolare  posizione  di  vulnerabilita'  dei
richiedenti asilo avrebbe potuto legittimare una deroga razionale  al
principio di eguaglianza predisponendo una disciplina di  favore  per
l'iscrizione anagrafica degli stranieri (come di fatto  avvenuto  con
l'introduzione della procedura semplificata ex art. 5 bis  d.lgs.  n.
142/2015, abrogata, pero', sempre dall'art. 13, comma  1,  lett.  c),
d.l.   n.   113/2018),   non   sembra    assolutamente    ragionevole
l'introduzione di' una disciplina di sfavore,  che  svantaggi  questi
soggetti - rispetto agli altri  stranieri  -  nel  loro  processo  di
integrazione. 
    L'impossibilita' di procedere ad iscrizione  anagrafica,  infine,
impedisce o rende piu' difficoltoso  l'esercizio  di  alcuni  diritti
sociali del richiedente asilo rispetto ai  cittadini  italiani  e  ad
altre categorie di stranieri. 
    Si e' gia' detto dei diritti per la cui titolarita'  e'  previsto
il requisito della residenza protratta per un determinato periodo  di
tempo,  come  il  reddito  di  cittadinanza,  l'accesso  all'edilizia
popolare o il c.d. bonus bebe' materia, vedasi  anche  C.  cost.,  n.
141/2014 e ID, n. 222/2013, che  hanno  affermato  la  conformita'  a
costituzione del  requisito  della  residenza  protratta  per  questo
genere  di  prestazioni  sociali).  Negare  l'iscrizione   anagrafica
significa negare - quanto meno per un certo periodo  di  tempo  -  la
residenza, dando luogo ora a un'irragionevole discriminazione  capace
di estendere anche verso il futuro i propri effetti: il  richiedente,
ottenuto  il  riconoscimento  della  protezione  internazionale,  non
potra' vedersi computato, a parita' di condizioni con gli italiani  e
con gli altri stranieri, il periodo iniziale di soggiorno legale  sul
territorio, allontanando nel tempo la  possibilita'  di  accedere  ai
diritti in analisi. 
    D'altra  parte,  anche  assicurare  sul   luogo   del   domicilio
"l'accesso ai  servizi  previsti  dal  presente  decreto  [d.lgs.  n.
142/2015 e a quelli comunque erogati sul territorio  ai  sensi  delle
norme vigenti" (art. 13, comma 1, lett. b),  d.l.  n.  113/2018)  non
esclude la creazione di una situazione deteriore  per  i  richiedenti
asilo rispetto agli altri stranieri regolarmente soggiornanti. Mentre
per questi ultimi la residenza mediante  l'iscrizione  anagrafica  e'
accertata una volta per tutte in modo ufficiale dal Comune (anche con
il rilascio della carta di identita'), il domicilio  dei  richiedenti
asilo  e'  situazione  oggettivamente  piu'  vaga   e   incerta,   in
conseguenza delle stesse previsioni di legge: si pensi anche solo  al
fatto che l'art. 5, commi 1 e 2, d.lgs. n. 142/2015 individua ben tre
ipotesi  di  domicilio,  cioe'  quello  indicato  nella  domanda   di
protezione   internazionale,   quello   indicato   nella   successiva
comunicazione alla questura e quello indicato nella dichiarazione del
centro   di   accoglienza.   Una   simile   esibizione   ogni   volta
potenzialmente differenziata del domicilio per  accedere  ai  servizi
generalmente predisposti per i residenti, pero', diventa pratica piu'
complessa proprio per chi sia appena arrivato  nel  paese  e  percio'
abbia maggiori difficolta', anche solo di comprensione linguistica. 
    Del resto, l'accesso ai servizi pubblici in base al domicilio non
si dimostra capace di  prevenire  tutti  gli  ostacoli  che  emergono
nell'ambito  delle  relazioni  sociali.  Cio'  appare  evidente   nei
rapporti tra privati, refrattari a superare  la  rilevanza,  ai  fini
dell'identificazione delle  parti,  dell'iscrizione  anagrafica:  per
esempio, la mancanza di una carta d'identita'  ostacola  l'assunzione
dello straniero, considerato  come  tale  documento  sia  considerato
fondamentale, agli occhi del datore di lavoro, per il  riconoscimento
del lavoratore. 
    In aggiunta, e' evidente che  nelle  due  ipotesi  del  domicilio
indicato nell'art. 5,  comma  1,  d.lgs.  n.  142/2015  lo  straniero
titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo  e'  esposto
all'onere di esibire copia della domanda di protezione internazionale
o copia della successiva dichiarazione fatta presso la Questura. 
    Di talche', al fine di accedere ai servizi sociali,  mentre  agli
altri stranieri regolarmente soggiornanti e' sufficiente  esibire  la
carta  di  identita'  per  attestare  l'iscrizione   anagrafica,   al
richiedente asilo  si  chiede  di  esibire  tale  documentazione  per
attestare  il  proprio  domicilio,  cosi'   violando   l'obbligo   di
riservatezza delle informazioni concernenti le domande di  protezione
internazionale,  previsto  dall'art.  37  d.lgs.   n.   25/2008,   in
attuazione dell'articolo 48 della direttiva 2013/32/UE. 
    A questo punto, in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  appare  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n.  142/2015,  introdotto  dall'art.
13, comma 1, lett. a), n. 2) d.l. n. 113/2018, convertito nella legge
n. 132/2018, avendo  adottato  la  sola  interpretazione  ammissibile
della previsione in analisi, ossia quella che  comporta  l'esclusione
in toto dei richiedenti asilo dall'iscrizione anagrafica. 
8.3.1. (Segue) Art. 3 Cost. 
    Vale la pena notare, tuttavia, che anche una lettura dell'art. 4,
comma  1  bis,  d.lgs.  n.  142/2015  che  consentisse   l'iscrizione
anagrafica   costringendo   il   richiedente   asilo    a    produrre
documentazione differente dal permesso di soggiorno  per  provare  la
propria identita' e il proprio soggiorno legale  sul  suolo  italiano
risulterebbe, comunque, incostituzionale per violazione del principio
di uguaglianza ex  art.  3  Cost.  Essa,  infatti,  ingenererebbe  un
trattamento irrazionalmente e  irragionevolmente  deteriore  per  una
categoria  di   stranieri   rispetto   alle   altre,   senza   alcuna
giustificazione. Tutto  cio'  a  conferma  della  non  accoglibilita'
dell'interpretazione conforme proposta da altri giudici  e  descritta
al precedente paragrafo 7. 
    Evidente sarebbe l'irrazionalita' legislativa che,  nella  stessa
disposizione di legge (art. 4  d.lgs.  n.  142/2015),  da  una  parte
qualifica espressamente il permesso di soggiorno  come  documento  di
identita' e, dall'altra, nega che questo documento possa servire  per
l'identificazione  dello  straniero  nella  procedura  di  iscrizione
anagrafica. 
    Altrettanto  evidente  sarebbe  l'irragionevolezza  dell'art.  4,
comma 1 bis,  d.lgs.  n.  142/2015  anche  qualora  lo  si  ritenesse
interpretabile  nel  senso  di  consentire  l'iscrizione  anagrafica,
proprio perche' non permetterebbe al richiedente di  produrre  quello
che e' il documento principale a  sua  disposizione  per  provare  la
propria identita' e, soprattutto,  la  propria  legale  presenza  sul
territorio. 
    Quanto alla prova della propria identita', la scelta  legislativa
di  non  considerare  il  permesso  di  soggiorno   potrebbe   essere
compensata  tramite  la  produzione  del  passaporto  (o   di   altra
documentazione del paese di provenienza, non potendo naturalmente  lo
straniero produrre una carta di identita'  italiana,  che  presuppone
proprio l'iscrizione anagrafica). E' lo  stesso  art.  14  d.P.R.  n.
223/1989 che, in  tema  di  iscrizione  anagrafica  dello  straniero,
prevede  che:  "Chi  trasferisce  la   residenza   dall'estero   deve
comprovare all'atto della dichiarazione di cui all'art. 13, comma  1,
lettera a), la propria identita' mediante l'esibizione del passaporto
o  di  altro  documento  equipollente".  Tuttavia,   domandare   allo
straniero  richiedente  asilo  di  produrre  il  proprio   passaporto
significa applicare il principio  di  uguaglianza  in  modo  cieco  e
incostituzionale, trattando in maniera uguale categorie di  stranieri
che, in realta', si trovano in  differenti  condizioni  concrete.  Si
pensi al confronto fra un migrante economico, che  giunge  in  Italia
per lavorare e risulta quindi titolare di permesso di  soggiorno  per
motivi di lavoro, e un richiedente asilo, che giunge  in  Italia  per
sfuggire alla situazione di crisi che caratterizza la propria nazione
di origine. Solo lo status di richiedente protezione  internazionale,
infatti,  presuppone  una  condizione  di  persecuzione,  guerra   o,
generalmente, pericolo nel paese  di  provenienza  che  ben  potrebbe
precludere i  contatti  del  cittadino  straniero  con  le  autorita'
pubbliche  e,  quindi,  l'ottenimento  del  passaporto  e  di   altra
documentazione di identita'.  Da  cio'  discende  l'importanza  e  la
ragionevolezza di consentire, proprio ai richiedenti, di  provare  la
propria identita' con il permesso di soggiorno, rilasciato in seguito
a  un  procedimento  di  identificazione  da  parte  della  autorita'
italiane competenti, e di non  fare  dei  richiedenti  asilo  l'unica
categoria esclusa da tale facolta'. 
    Ancora, la norma trascura del tutto la particolare  posizione  di
fragilita' dei richiedenti asilo, anche rispetto agli altri stranieri
legalmente presenti sul territorio italiano, abrogando una  normativa
di favore (art. 5 bis, d.lgs. n. 142/2015) e  sostituendola  con  una
previsione che crea incertezze sulla documentazione che i richiedenti
asilo dovrebbero presentare congiuntamente alla domanda di iscrizione
anagrafica. L'art.  4,  comma  l  bis,  d.  lgs.  n.  142/2015,  come
introdotto dall'art. 13 d.l. n. 113/2018, dice  quale  documento  non
puo'  essere  presentato,  tacendo  su  cosa,  invece,  sarebbe   ora
necessario produrre per provare la propria  identita'  e  il  proprio
regolare soggiorno. 
    L'incertezza   e'   forte,   soprattutto   considerata    l'altra
documentazione  che,  a  una  prima   lettura,   potrebbe   ritenersi
producibile: la copia  della  domanda  di  protezione  internazionale
presentata dallo straniero alla questura per dare inizio al  relativo
procedimento amministrativo, oppure la copia del  Modello  C3  e  dei
relativi allegati, cioe' il modulo con cui si  formula  ufficialmente
la domanda di  protezione  internazionale.  A  una  riflessione  piu'
attenta, tuttavia,  ritenere  che  il  legislatore  abbia  negato  la
producibilita' del permesso di soggiorno per consentire quella  della
domanda di protezione o del Modulo C3 appare fortemente  irrazionale,
considerato  come  questi.  ultimi  siano  atti   endoprocedimentali,
prodromici al rilascio del permesso di  soggiorno  per  richiesta  di
asilo. Non si coglie proprio il senso di non consentire la produzione
di un provvedimento con chiara efficacia esterna,  come  riconosciuto
dallo stesso art. 13, comma 1, lett. a), n. 1, per consentire  invece
la produzione degli atti interni, legati alla fase  di  iniziativa  e
istruttoria del procedimento, che a tale provvedimento hanno portato. 
    Permane, cosi,  il  dubbio  tanto  sulla  documentazione  che  si
dovrebbe produrre quanto sulla razionalita' di una norma che, secondo
questa interpretazione, da un lato consentirebbe ancora  l'iscrizione
anagrafica, ma dall'altro negherebbe - senza  alcuna  utilita'  -  la
possibilita' di produrre il permesso di soggiorno, ossia il documento
che, piu' di tutti, si  rivelerebbe  idoneo  a  provare  identita'  e
regolarita' del soggiorno. 
    Tutta questa incertezza, gia' di per se' inammissibile nel nostro
ordinamento   giuridico,    diviene    ancor    piu'    difficilmente
giustificabile quando si traduce in un inasprimento della  condizione
di  soggetti  gia'  in  posizione  di  particolare  fragilita'.   Nei
confronti dei richiedenti asilo - stranieri provenienti da condizioni
di forte disagio e  pericolo,  generalmente  privi  delle  conoscenze
linguistiche, culturali e delle competenze giuridiche  per  capire  a
fondo il nostro ordinamento - una  scelta  di  semplificazione  degli
adempimenti burocratici sarebbe sicuramente  piu'  corrispondente  al
principio di uguaglianza, piuttosto che una complicazione della  loro
posizione. 
8.4. Art. 10 Cost. 
    In terzo  luogo,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. n.  142/2015,  introdotto  dall'art.
13, comma 1, lett. a), n. 2) d.l. n. 113/2018, convertito nella legge
n. 132/2018 appare, ad avviso di questo giudice,  non  manifestamente
infondata in relazione anche all'art. 10 Cost. 
    La normativa in questione, infatti, da' luogo  a  un  trattamento
diversificato soltanto nei confronti di una  categoria  di  stranieri
regolarmente soggiornanti, ossia proprio quelli che hanno  esercitato
il diritto di asilo ex art. 10, comma 3, Cost. Si noti,  pero',  come
questi ultimi siano titolari di un  diritto  soggettivo  perfetto  al
soggiorno:  infatti,  il  diritto   d'asilo   comporta   il   diritto
all'ingresso e alla permanenza nel territorio dello Stato, in  attesa
che venga definita la propria domanda di  protezione  internazionale,
cosi' da evitare fin da subito il  rischio  che  il  richiedente  sia
nuovamente sottoposto al pericolo di  violazione  dei  diritti  umani
fondamentali. 
    Condizione, quest'ultima, da cui lo straniero fugge e  che  viene
in ogni caso posta alla base dell'accoglienza  e  del  soggiorno  nel
nostro paese. 
    Il  diritto  d'asilo  ex  art.  10  Cost.,  poi,  e'  un  diritto
soggettivo  perfetto  all'ingresso  e  al  soggiorno  nel  territorio
italiano, immediatamente azionabile anche  in  mancanza  delle  leggi
ordinarie che fissino alcune condizioni per il suo  esercizio  (Cass.
civ., Sez. Un., 12 dicembre 1996, n. 4674), che si configura come una
condizione  piu'  favorevole  per  lo  straniero  richiedente   asilo
rispetto  a  quella  degli  altri  migranti  i  quali,  invece,  sono
generalmente titolari di soli interessi legittimi circa  l'accesso  e
la permanenza sul territorio italiano. 
    Cio' posto, appare ancor  piu'  irrazionale  e  irragionevole  il
trattamento differenziato introdotto dall'art. 13 d.l.  n.  113/2018,
perche' al diritto di soggiornare legalmente si accompagna il divieto
di esercizio del diritto-dovere di fissare la propria residenza in un
comune della Repubblica proprio per una categoria di  stranieri  che,
per definizione, hanno abbandonato la loro residenza  all'estero  per
chiedere di essere ammessi a rimanere nel territorio. 
    Senza contare il paradosso che l'art. 4, comma 1 bis,  d.lgs.  n.
142/2015 appare creare:  come  visto,  negare  ai  richiedenti  asilo
l'iscrizione anagrafica significa precludere loro l'esercizio  di  un
diritto fondamentale quando  proprio  l'esigenza  di  sottrarre  tale
categoria di stranieri  al  pericolo  di  lesione  dei  loro  diritti
fondamentali e' presupposto per  il  riconoscimento  del  diritto  di
asilo. 
8.5. Art. 117, comma 1, Cost. 
    La questione di legittimita' costituzionale appare,  infine,  non
manifestamente infondata in riferimento all'art. 117, comma 1,  Cost.
in relazione all'art. 2, del Protocollo n. 4 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  (di
seguito, Cedu), nonche' in riferimento agli artt. 14 Cedu  e  26  del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a
New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore  il  23  marzo  1976,
ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881. 
    Quanto al primo profilo di censura, ritiene  questo  giudice  che
l'art. 4, comma 1 bis, d.lgs.  142/2015,  impedendo  al  titolare  di
permesso di soggiorno per richiesta asilo di iscriversi all'anagrafe,
violi l'art. 2, § 1, Protocollo n. 4 Cedu, secondo cui  "chiunque  si
trovi regolarmente sul territorio di  uno  Stato  ha  il  diritto  di
circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza". 
    L'iscrizione all'anagrafe, invero, costituisce  l'essenza  stessa
del fissare la residenza in un comune dello Stato e, pertanto, negare
a  un  soggetto  (legalmente  presente  sul   territorio   nazionale)
l'iscrizione all'anagrafe implica ledere il  suo  diritto  a  fissare
liberamente la residenza sul territorio dello Stato. 
    Del  resto,  che  il   termine   'residenza'   utilizzato   dalla
disposizione della Convenzione in esame afferisca al concetto tecnico
di residenza di cui all'art. 43 del codice civile italiano, e  dunque
nel senso rilevante ai fini del caso oggetto del  presente  giudizio,
e' desumibile dalla stessa terminologia utilizzata nell'art. 2, §  1,
Protocollo n. 4 Cedu, che si differenzia rispetto al diverso vocabolo
'domicilio' utilizzato  nell'art.  8  Cedu.  Il  termine  'domicilio'
nell'art.  8  Cedu  designa,   genericamente,   "lo   spazio   fisico
determinato in cui si svolge la vita privata e familiare" (Corte edu,
Giacomelli c. Italia, 2 novembre 2006, § 76), pertanto la  scelta  di
utilizzare il differente termine  'residenza'  non  puo'  che  essere
indicativa della volonta' di fare riferimento al concetto tecnico che
in ciascuno Stato firmatario della Convenzione da' rilievo  giuridico
al luogo in cui la persona stabilisce la propria dimora abituale. 
    Conferma di cio' si ricava, inoltre, dall'analisi del testo della
Convenzione nella versione  in  lingua  inglese,  in  cui  emerge  la
medesima distinzione tra il termine 'home'  dell'art.  8  Cedu  e  il
vocabolo 'residence' utilizzato, invece, nell'art. 2  del  Protocollo
n. 4 della Convenzione. 
    Peraltro, l'art. 4, comma 1 bis, d.lgs. 142/2015, nell'introdurre
la  restrizione  al  diritto  dei  richiedenti  asilo  di   stabilire
liberamente la residenza, non rispetta neppure la  riserva  di  legge
rinforzata prevista dall'art. 2, § 1, Protocollo n. 4 Cedu. 
    Il diniego del diritto di stabilire liberamente la residenza  sul
territorio dello Stato nei confronti dei soli titolari  del  permesso
di soggiorno per  richiesta  asilo  e'  inoltre  dettato  da  ragioni
discriminatorie,  risolvendosi  dunque,  altresi',  nella  violazione
dell'art. 14  Cedu.  Tale  previsione  stabilisce,  infatti,  che  il
godimento dei diritti e delle liberta' riconosciute dalla Convenzione
- nella specie, dell'art. 2, §1, Protocollo n. 4 Cedu -  deve  essere
assicurato senza  discriminazione  di  alcun  tipo,  tant'e'  che  la
disposizione in esame si chiude con una espressione generale che pone
il divieto di discriminazione  sulla  base  "ogni  altra  condizione"
("other status" secondo la versione inglese). 
    La novella introdotta con  il  d.l.  n.  113/2018  introduce  una
discriminazione  circa  l'esercizio   del   diritto   di   iscrizione
all'anagrafe  (e  dunque  della  liberta'  di  fissa  liberamente  la
residenza sul territorio dello Stato)  differenziando  in  base  allo
status richiedente asilo:  possono  infatti  iscriversi  all'anagrafe
tutti gli stranieri regolarmente presenti in Italia tranne i titolari
del permesso di soggiorno per richiesta asilo. 
    Il sindacato condotto dalla Corte edu per valutare le  violazioni
del divieto distinzione sulla base  della  clausola  aperta  prevista
dall'art.  14  Cedu  si  avvicina  a  quello  compiuto  dalle   Corti
costituzionali nazionali sulla base del principio  di  ragionevolezza
pertanto, sono qui riproducibili gli argomenti gia' esposti sopra  in
relazione alla violazione dell'art. 3 Cost. (§ 8.2.) 
    Per le ragioni esposte in relazione  all'art.  14  Cedu,  ritiene
questo giudice che l'art. comma 1 bis,  d.lgs.  142/2015,  introdotto
dall'art. 13, comma 1, lett. a),  n.  2,  d.l.  113/2018  n  rispetti
infine l'art. 26 del Patto internazionale relativo ai diritti  civili
e politici che, insieme ai citati  articoli  della  Convenzione  edu,
costituisce   un   ulteriore   parametro   interposto    legittimita'
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 11. cost. 1/1948 e 23 1. n. 87/1953, 
    ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza,  rimette
alla Corte Costituzionale la questione di  legittimita'  4,  comma  1
bis, d.lgs. n. 142/2015, come introdotto dall'art. 13, comma 1, lett.
a), n. 2, d.l. n.  113/2018,  convertito  nella  legge  n.  132/2018,
perche', negando il diritto di iscrizione anagrafica  al  richiedente
asilo si pone in contrasto con gli articoli 2, 3, 10, 117,  comma  1,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 2, § 1, del Protocollo n. 4
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali nonche' in riferimento agli artt. 14 Cedu e  26
del Patto internazionale  relativo  ai  diritti  civili  e  politici.
L'art. 13, co. 1, lett. a), n. 2 d.l. n. 113/2018,  convertito  nella
legge n. 132/2018, inoltre, si  pone  in  contrasto  con  l'art.  77,
secondo  comma,  Cost.  per  difetto  dei  requisiti  dei   casi   di
straordinaria  necessita'  e  urgenza,  nonche'  del   requisito   di
omogeneita',   cosi'   come   interpretati    dalla    giurisprudenza
costituzionale. 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte Costituzionale. 
    Ordina che la presente ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
Cancelleria alle parti, al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e
sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Milano, 1° agosto 2019 
 
                         Il Giudice: Massari