N. 157 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 giugno 2019

Ordinanza del 7 giugno 2019 del Tribunale di sorveglianza di  Taranto
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di L.S. R.B.. 
 
Ordinamento penitenziario - Modifiche all'art. 4-bis, comma 1,  della
  legge n. 354 del 1975 - Inserimento di determinati reati contro  la
  pubblica amministrazione, in particolare del reato di cui  all'art.
  314, primo comma, del codice penale,  tra  i  reati  ostativi  alla
  concessione di alcuni benefici penitenziari - Mancata previsione di
  un regime transitorio che dichiari applicabile la  nuova  norma  ai
  soli fatti commessi successivamente  all'entrata  in  vigore  della
  novella. 
- Legge 9 gennaio 2019, n. 3  (Misure  per  il  contrasto  dei  reati
  contro  la  pubblica  amministrazione,  nonche'   in   materia   di
  prescrizione del reato e in materia di trasparenza  dei  partiti  e
  movimenti politici), art. 1,  comma  6,  lettera  b),  modificativo
  dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
  sull'ordinamento penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
  privative e limitative della liberta'). 
(GU n.41 del 9-10-2019 )
 
                      TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA 
                             DI TARANTO 
 
    Il Tribunale di sorveglianza Taranto, costituito dai sigg.: 
        dott.ssa Valeria Ingenito, Presidente rel.; 
        dott.ssa Carolina Manna, magistrato di sorveglianza; 
        dott.ssa Tiziana Adami, esperto; 
        dott.ssa Federica Saracino, esperto. 
    Riunito in Camera  di  consiglio  per  decidere  sull'istanza  ex
articoli 47-ter o.p. proposta nell'interesse di L. S. R. B.,  nato  a
... il ..., detenuto nella casa circondariale di  Taranto,  raggiunto
dall'ordine di carcerazione n.  61/2019  SIEP  emesso  dalla  Procura
generale presso la Corte di appello di Lecce di Taranto in  relazione
alla pena residua di anni tre, mesi dieci e giorni due di  reclusione
derivante dalla sentenza di condanna alla pena di anni sette e giorni
venticinque di reclusione emessa dalla Corte di appello di  Lecce  in
data 28 ottobre 2016, irrevocabile il 1° febbraio 2019 per i  delitti
di peculato continuato commessi sino al  25  marzo  2002  (decorrenza
pena 4 marzo 2019 - fine pena 24 dicembre 2022); 
    Sentite le argomentazioni esposte dal P. G. e dal difensore; 
    Esaminati gli atti del procedimento; 
    Sciogliendo la riserva formulata in data 29 maggio 2019; 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
    Con ordinanza del Magistrato di sorveglianza, emessa in  data  17
aprile 2019, e' stata respinta la richiesta di applicazione,  in  via
provvisoria, della detenzione domiciliare, ai  sensi  degli  articoli
147, comma 1, n. 2 del codice penale,  47-ter,  comma  1-ter,  47-ter
comma 4 O.P., depositata in data 14  marzo  2019  nell'interesse  del
condannato,  e  sono  state  dichiarate  inammissibili  le  ulteriori
istanze avanzate dalla difesa, di  applicazione  in  via  provvisoria
della detenzione domiciliare, ai sensi dell'art. 47-ter, commi  1°  e
2° o.p., per la natura ostativa del reato in espiazione, evidenziando
come non potesse essere esaminata, in sede di pronunzia  provvisoria,
l'eccezione  di   legittimita'   costituzionale   proposta,   essendo
preliminare,  ai  fini  della  valutazione  della   rilevanza   della
questione di legittimita', la decisione da  parte  del  Tribunale  di
sorveglianza della collaborazione positiva con  la  giustizia  ovvero
della collaborazione impossibile, giusta  quanto  previsto  nell'art.
58-ter o.p. o 323-bis, comma 2, del codice  penale;  valutazione  che
consente, in caso di esito positivo, di superare  la  preclusione  ex
art. 4-bis o.p.. 
    L. S. R. B. e' stato condannato,  con  sentenza  della  Corte  di
appello di Lecce del 28 ottobre 2016,  alla  pena  di  anni  sette  e
giorni  venticinque  di  reclusione  per  plurimi  delitti  peculato,
commessi in concorso con altri, negli anni  2001-2002;  il  prevenuto
non ha precedenti condanne e non ha carichi pendenti. 
    La condanna in esecuzione  e',  dunque,  relativa  a  delitti  di
peculato che, per effetto dell'art. 1,  comma  6,  lettera  B)  della
legge 9 gennaio 2019, n.  3,  in  vigore  dal  31  gennaio  2019,  e'
inserito nell'elenco dei reati compresi nel comma 1° dell'art. 4-bis,
legge  n.  354/75;  l'espiazione  concerne   fattispecie   di   reato
assolutamente ostativa alla concessione di benefici penitenziari (tra
cui la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, commi 1° e  2°,
comma 1-bis, fatta eccezione per la  detenzione  domiciliare  di  cui
all'art. 47, comma 1-ter, applicabile quando sussistano le condizioni
per il differimento della pena ai sensi dell'art. 147, comma 1, n. 2,
pure invocata dall'istante), salva la collaborazione positiva con  la
giustizia da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 58-ter o.p. e
dell'art. 323-bis del codice penale, o la ricorrenza delle ipotesi di
collaborazione «inesigibile» di cui al comma  1-bis  dell'art.  4-bis
o.p. o di collaborazione impossibile. 
    L'istanza di applicazione della detenzione domiciliare per  gravi
motivi  di  salute  si  fonda  sulla  circostanza  che  il  detenuto,
ultrasettantenne, sarebbe affetto da disturbo di  panico  e  disturbo
depressivo maggiore, da cardiopatia ipertensiva, ateromasia carotidea
e poliartrosi, da possibile diabete e insufficienza renale acuta,  da
esito di  intervento  chirurgico  di  asportazione  di  neoformazione
ipercheratonica e ulcerata al viso che e' risultato essere «carcinoma
baso cellulare multicentrico ulcerato», da spondilosi con  formazione
erniaria espulsa, condizioni sanitarie che sarebbero di tale gravita'
da  determinare  la  necessita'  di  costanti  contatti  con  presidi
sanitari o, comunque, situazione di incompatibilita' con il  carcere.
All'istanza e' allegata relazione del medico curante e documentazione
sanitaria. 
    Dalla  lettura  della  relazione  del  sanitario   del   carcere,
trasmessa in sede di pronunzia provvisoria, emergeva che il detenuto,
giunto in istituto il 4 marzo 2019, e' stato sottoposto ad analisi da
parte di psicologo  della  ASL,  che  ha  riscontrato  uno  stato  di
evidente disagio psicologico, fisiologico alla condizione di  attuale
privazione della liberta'; la  consulenza  psichiatrica  ha  rilevato
umore deflesso ma reattivo agli  stimoli  esterni;  L.  S.  e'  stato
sottoposto a consulenza cardiologica con ECG ed  ecocardiogramma,  da
cui e' emerso che e' affetto da cardiopatia  ipertensiva  in  attuale
compenso emodinamico, con programmazione  di  angiografia;  l'RX  del
rachide lombosacrale ha  evidenziato  manifestazioni  artrosiche.  La
relazione si concludeva evidenziando che le condizioni di salute  del
detenuto, non particolarmente gravi, sono tenute sotto controllo  dal
personale sanitario operante  in  istituto,  ma  non  si  esclude  la
necessita' per il futuro di avvalersi di presidi sanitari esterni. 
    In data 6 maggio 2019 e' stato disposto  il  ricovero  di  L.  S.
presso l'Ospedale SS. Annunziata di Taranto  per  un  approfondimento
diagnostico  diabetologico,  nefrologico  e  cardiologico  e,   dalla
relazione del sanitario del carcere del 27 maggio 2019, emerge che L.
S. e' stato dimesso dalla struttura ospedaliera  in  data  25  maggio
2019,  che  il  responsabile  del  reparto   di   endocrinologia   ha
relazionato nel senso che il paziente ha presentato un buon  compenso
glicemico  con  la  terapia  combinata,  ha  effettuato   valutazione
nefrologica che conferma la presenza di insufficienza renale al terzo
stadio e consulenza cardiologica, con  esito  negativo  per  ischemia
cardiaca. 
    La  direzione  sanitaria  del   carcere   di   Taranto   conclude
evidenziando che, in considerazione del buon compenso clinico, non si
ritiene che il detenuto necessiti di frequenti contatti con strutture
sanitarie esterne, anche se permane uno stato di disagio  psicologico
legato alla condizione detentiva e tono dell'umore deflesso. 
    Non vi sono le condizioni, alla  luce  di  quanto  obiettivamente
emergente dalla relazione del sanitario del  carcere,  perche'  possa
disporsi il differimento della pena per motivi di salute,  difettando
il presupposto dell'esistenza di condizioni di  infermita'  fisica  o
psichica gravi e  della  impossibilita'  di  praticare  utilmente  in
ambiente carcerario le cure necessarie in corso di  esecuzione  della
pena. 
    Come e' noto, e ribadito dalla Suprema Corte, per legittimare  il
rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermita' fisica  devono
ricorrere due autonomi presupposti dei quali il primo  e'  costituito
dalla gravita' oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo
per la vita del condannato  o  la  probabilita'  di  altre  rilevanti
conseguenze dannose (gravita' da intendersi in  modo  particolarmente
rigoroso, tenuto conto sia del principio  di  indefettibilita'  della
pena sia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di  fronte
alla legge senza distinzioni di condizioni  personali:  principi  che
implicano  appunto,  al  di  fuori  di  situazioni  eccezionali,   la
necessita' di pronta esecuzione delle pene  legittimamente  inflitte)
ed il secondo consiste nella possibilita'  di  fruire,  in  stato  di
liberta', di  cure  e  trattamenti  sostanzialmente  diversi  e  piu'
efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in  regime  di
detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in  luoghi  esterni
di cura. Nel caso in esame,  dalle  certificazioni  mediche  in  atti
emerge che L. S. non versa in condizioni  di  grave  infermita',  non
avendo i sanitari  rilevato  alterazioni  delle  principali  funzioni
vitali tali da far ritenere un pericolo attuale ed immediato  per  la
sopravvivenza dello  stesso  e  non  avendo  la  direzione  sanitaria
comunicato  che  la  detenzione  carceraria  rappresenta   condizione
ostativa per la prosecuzione  delle  terapie  di  cui  necessita.  La
relazione  sanitaria  non   segnala   un'oggettiva   gravita'   delle
condizioni di salute del detenuto non suscettibili di  adeguate  cure
in ambito penitenziario, bensi' condizioni cliniche  necessitanti  di
monitoraggio,  somministrazione  di  cure   farmacologiche   atte   a
garantire la stabilizzazione della attuale situazione e a scongiurare
l'aggravamento,  senza  pregiudizio  ulteriore  per  la  salute   del
condannato. 
    La su descritta condizione attuale di salute del condannato e  la
possibilita' che lo stesso possa ricevere  cure  mediche  in  carcere
inducono, dunque, questa AG a ritenere che non si versi  nell'ipotesi
di cui all'art. 147, n. 2 del codice penale. 
    In  una  recente  pronunzia  (sentenza  n.  99/2019)   la   Corte
costituzionale   ha   dichiarato   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26  luglio  1975,  n.  354
nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave  infermita'
psichica sopravvenuta, il Tribunale di  sorveglianza  possa  disporre
l'applicazione al condannato della detenzione  domiciliare  anche  in
deroga ai limiti di cui al comma 1 del  medesimo  art.  47-ter;  alla
luce di quanto sopra evidenziato non risulta che il L.  S.  versi  in
una condizione di grave infermita' psichica. 
    Allo stato degli atti, sono inammissibili  le  ulteriori  istanze
avanzate dalla difesa di applicazione della detenzione domiciliare ai
sensi dell'art. 47-ter, commi 01 e 1 o.p. per la natura ostativa  del
reato in espiazione. 
    Nella  istanza   si   assume   primariamente   l'inapplicabilita'
retroattiva delle norme introdotte dalla legge n. 3/2019 in relazione
a condanne per fatti  commessi  anteriormente  alla  sua  entrata  in
vigore e si propone una lettura costituzionalmente  orientata,  anche
alla luce  della  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, dovendosi  ritenere  che  tutte  le  norme  processuali  e
esecutive  che   abbiano   incidenza   afflittiva   sul   trattamento
giuridico-penale  del  singolo  devono   ritenersi   «sostanzialmente
punitive» e come tali soggette alla regola di non retroattivita'.  La
questione di legittimita' costituzionale sollevata in via subordinata
si riassume nella contestata applicabilita'  della  riforma  a  fatti
commessi precedentemente alla sua entrata in vigore,  in  assenza  di
una norma di carattere transitorio, per contrasto con gli articoli  3
e 27, comma 3 della Costituzione; si  osserva,  in  particolare,  che
l'avere   presunto   la   pericolosita'    anche    dei    condannati
ultrasettantenni per reati contro la pubblica amministrazione, appare
scelta irrazionale ed arbitraria e incompatibile con le  su  indicate
norme costituzionali. In sede di integrazione dell'istanza  e'  stata
depositata l'ordinanza con cui la Corte di appello di Lecce, in  sede
di incidente di esecuzione proposto dalla Difesa di L. S. avverso  il
presente  ordine  di  carcerazione,   ha   sollevato   eccezione   di
illegittimita' costituzionale per  rilevato  contrasto  dell'art.  6,
comma 1, lettera B) con gli articoli  3,  25  comma  2  e  177  della
Costituzione in riferimento all'art. 7  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
disponendo la sospensione del procedimento e  la  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale. 
    Preliminare, ai fini  della  valutazione  della  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa e' la
decisione da parte del Tribunale di sorveglianza della collaborazione
positiva con la giustizia ovvero della collaborazione  «inesigibile»,
giusta quanto previsto negli articoli 58-ter o.p. e 323-bis, comma  2
del codice penale;  valutazione  che  consentirebbe  di  superare  lo
sbarramento della preclusione in esame. 
    Evidenzio' la Corte costituzionale con  sentenza  n.  68  del  1°
marzo 1995 che ben diverso era «lo scenario scaturito dalle modifiche
apportate all'art. 4-bis  della  legge  n.  354  del  1975  ad  opera
dell'art. 15 del decreto-legge n. 306 del 1992»  ponendo  in  rilievo
che  «...  pur  restando  infatti  sullo   sfondo,   quale   generale
presupposto per la concessione dei benefici, la verificata assenza di
collegamenti con la  criminalita'  organizzata,  il  decreto-legge  8
giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356  ha
obliterato fino a dissolverli i parametri probatori alla cui  stregua
condurre un siffatto accertamento, per assegnare  invece  un  risalto
esclusivo ad una condotta - quella collaborativa - che si assume come
la sola idonea a dimostrare, per  facta  concludentia,  l'intervenuta
rescissione di quei collegamenti. Si passa, pertanto, da  un  sistema
fondato  su  di  un  regime  di  prova   rafforzata   per   accertare
l'inesistenza di una condizione negativa  (assenza  dei  collegamenti
con la criminalita' organizzata), ad un  modello  che  introduce  una
preclusione per certi condannati, rimuovibile soltanto attraverso una
condotta qualificata (la collaborazione). Da cio'  consegue,  quindi,
che, essendo la funzione rieducativa della pena valore insopprimibile
che permea l'intero trattamento penitenziario, in tanto e'  possibile
subordinare ad una determinata condotta  l'applicazione  di  istituti
che di quel trattamento sono parte integrante, in quanto la  condotta
che si individua come presupposto  normativo  risulti  oggettivamente
esigibile, giacche', altrimenti, residuerebbe nel sistema  null'altro
che una  preclusione  assoluta,  del  tutto  priva  di  bilanciamento
proprio sul piano dei valori costituzionali coinvolti». 
    L'art. 4-bis nella sua attuale formulazione, come modificato  nel
corso degli anni e, in ultimo, dalla  legge  9  gennaio  2019,  n.  3
(Misure   per   il   contrasto   dei   reati   contro   la   pubblica
amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del  reato  e  in
materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) prevede, per
i delitti cosiddetti di «prima fascia», tra i quali e' stato  incluso
quello di peculato ascritto a L. S. , che i benefici di cui al  comma
1 possano essere concessi nei casi in  cui  i  detenuti  e  internati
collaborino con la giustizia a  norma  dell'art.  58-ter  o  a  norma
dell'art. 323-bis , secondo comma, del codice penale oppure nei  casi
in cui siano stati acquisiti elementi tali da escludere  l'attualita'
dei collegamenti con  la  criminalita'  organizzata,  terroristica  o
eversiva, quando  la  limitata  partecipazione  al  fatto  criminoso,
accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento
dei fatti e delle responsabilita', operato con sentenza irrevocabile,
rendono  comunque  impossibile   un'utile   collaborazione   con   la
giustizia, nonche' nei  casi  in  cui,  anche  se  la  collaborazione
offerta  risulti  oggettivamente  irrilevante,  nei   confronti   dei
medesimi  detenuti  o  internati,  sia  stata  applicata  una   delle
circostanze attenuanti previste dall'art. 62, n. 6 del codice penale,
anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza
di condanna, dall'art. 114 ovvero dall'art.  116  secondo  comma  del
codice penale. 
    Il Tribunale ritiene che il condannato non abbia collaborato  con
l'autorita' giudiziaria in termini tali  da  soddisfare  i  requisiti
indicati negli art. 53-ter op e 323-bis, comma 2° del codice penale. 
    Dalla lettura della sentenza della Corte  di  appello  di  Lecce,
emessa il 28 ottobre 2016, pronunziatasi in sede di annullamento  con
rinvio disposto con sentenza dalla Corte di cassazione il  10  aprile
2013, a seguito del ricorso proposto anche da L.  S.  R.  avverso  la
sentenza della Corte di  appello  di  Lecce,  sezione  distaccata  di
Taranto del 20 luglio 2010, emerge  come  in  sede  di  legittimita',
riportando la motivazione del Tribunale, sia stato evidenziato che la
ricostruzione dei fatti nel giudizio di primo grado avesse consentito
di accertare la esistenza di  un  sodalizio  criminale  diretto  alla
consumazione di una serie indeterminata di peculati  in  danno  della
ASL di Taranto, di  falsi  in  atto  pubblico  ed  abusi  di  ufficio
nell'arco temporale 1999-2002; si legge, inoltre, che l'esistenza  di
un  accordo  avente  ad  oggetto  un  programma  criminoso  volto  ad
impossessarsi di somme di denaro di pertinenza  della  Asl  e'  stato
desunto dal fatto che il gruppo ha continuato ad operare  anche  dopo
che sugli illeciti aveva iniziato ad indagare la Guardia di  Finanza,
da un lato ponendo in essere tutta una serie di condotte volte a  far
sparire prove documentali degli illeciti o  a  creare  documenti  che
potessero fornire a posteriori una  legittimazione,  dall'altro  lato
mutando  strategia,  senza  ricorrere  piu'  all'emissione  di  false
fatture da parte della ..., bensi' utilizzando altre  societa',  gia'
esistenti o addirittura appositamente create. 
    La Corte di cassazione ha reputato infondato il ricorso di L.  S.
ed ha  annullato  con  rinvio  per  la  sopravvenuta  estinzione  per
prescrizione della gran parte dei delitti per i quali era intervenuta
condanna e per la necessita' di rideterminare la pena da parte  della
Corte di appello. 
    E' stata acquisita, per una maggiore comprensione dei  fatti  che
sono stati accertati nel corso del giudizio di cognizione,  anche  la
sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce,  sezione  distaccata
di Taranto, il 27 luglio 2010, la cui decisione nel merito  e'  stata
sostanzialmente confermata dalla Suprema  Corte  di  cassazione,  con
rinvio disposto per la sopravvenuta prescrizione di altri reati per i
quali vi era stata condanna. 
    Dalla lettura  delle  imputazioni  in  relazione  alle  quali  e'
intervenuta  condanna,  assoluzione  o  declaratoria  di  intervenuta
prescrizione nei confronti di L. S. e di altri coimputati  anche  nel
delitto  associativo  e  dalle  sentenze  in  atti  emerge   che   il
condannato, capo area Gestione risorse finanziarie della ASL Ta/1 dal
2  maggio  2001  al  24  aprile  2002  e  direttore  della   Gestione
liquidatoria delle disciolte UUSSLL della  provincia  ionica  per  lo
stesso periodo e dirigente responsabile  U.O.  Gestione  stralcio  in
epoca precedente,  ha  posto  in  essere  condotte  di  coordinamento
dell'attivita' dei correi, essendo  stato  riconosciuto  promotore  e
organizzatore, con altri, del sodalizio criminoso e  si  e'  trovato,
dunque, nelle condizioni di poter apportare al processo  celebrato  a
suo carico un contributo informativo utile  e  significativo  per  il
compiuto accertamento di tutte  le  responsabilita'  coinvolte  e  di
tutti i fatti illeciti perpetrati, senza che abbia posto  in  essere,
per  quanto  risulta   dalla   sentenza   in   atti,   attivita'   di
collaborazione. 
    La   impossibilita'   di   collaborazione,    quale    condizione
equipollente  alla  collaborazione  positivamente  prestata  ai  fini
dell'accesso  ai  benefici  penitenziari,  discende   «dall'integrale
accertamento dei fatti e delle responsabilita' operato  con  sentenza
irrevocabile»,  ovvero  dalla  «limitata  partecipazione   al   fatto
criminoso»,  ossia  da  una  situazione,  quanto  al  primo  profilo,
positivamente  accertata,  di  compiuto  disvelamento  delle  vicende
criminose,  oggetto  di  sentenza  irrevocabile,  o  da   un   minore
contributo dato dal condannato  alla  loro  realizzazione,  cosi'  da
essere   impedito   dal   riferire   informazioni   utili   ai   fini
collaborativi. Ha in proposito osservato la  Suprema  Corte  che  «la
tipizzazione normativa della nozione di collaborazione impossibile  o
inesigibile, soggetta al  principio  di  stretta  interpretazione  in
quanto disposizione che  fa  eccezione  alla  regola  generale  della
ostativita'  del  titolo   di   reato,   comporta   che   non   possa
ricomprendersi nella collaborazione  inesigibile  la  situazione  del
soggetto che versa nella impossibilita' di rendere una collaborazione
processualmente  rilevante  a  causa  di  una   condotta   volontaria
(Cassazione penale sez. I, 6 dicembre 2017, n. 11313). 
    Alla luce di quanto sopra rilevato, emerge  come  all'interessato
non possa riconoscersi l'accertamento della  collaborazione  prestata
ai sensi degli art. 58-ter o.p. o 323-bis del codice penale e non  vi
sono i presupposti per il riconoscimento della «impossibilita'» della
collaborazione per l'integrale accertamento dei  fatti,  dal  momento
che il prevenuto, nel corso del giudizio di primo  e  secondo  grado,
avrebbe  potuto  contribuire  a  chiarire  le  complesse  vicende  di
carattere amministrativo, attraverso le quali  sono  stati  consumati
plurimi delitti, che lo hanno visto protagonista ed anche artefice di
condotte volte a sviare le indagini che furono avviate dalla  Guardia
di Finanza e a perpetuare le condotte illecite; il faticoso  percorso
del processo penale, volto ad accertare il delitto  associativo  e  i
plurimi reati fine consumati, ha portato all'accertamento  di  alcuni
dei  fatti  contestati,  rispetto  ai  quali  e'   stato   necessario
dichiarare l'estinzione per  prescrizione  di  molti  dei  delitti  o
sancire l'assoluzione di alcuni imputati in relazione a talune  delle
contestazioni. 
    Cio' premesso,  e  ritenuto  che  la  eccezione  di  legittimita'
costituzionale sia dunque rilevante sia  per  la  presenza  di  norme
ostative all'applicazione delle misure alternative invocate  sia  per
la  ricorrenza,  in  astratto,  delle   condizioni   di   legge   per
l'applicazione, quanto meno,  della  detenzione  domiciliare  di  cui
all'art. 47-ter, comma 1 del codice penale, trattandosi di condannato
di eta' superiore a settanta anni, occorre verificare  la  fondatezza
della proposta eccezione. 
    In base ad una interpretazione consolidata  della  giurisprudenza
di legittimita', le norme penitenziarie sono da ritenersi processuali
e soggette al principio del tempus  regit  actum,  estranee,  quindi,
alla tutela dei principi sostanzialistici di cui agli articoli 2  del
codice penale e 25, comma 2 della Costituzione. L'art. 1,  comma  6°,
lettera b) legge n.  3/2019,  in  vigore  dal  21  gennaio  2019,  ha
novellato l'art. 4-bis della legge n. 354/75, previa inclusione tra i
reati  ostativi  alla  sospensione  dell'esecuzione  dell'ordine   di
carcerazione anche il delitto di cui  all'art.  314,  comma  1°,  del
codice penale; di conseguenza, L. S., pur dovendo ancora espiare  una
pena inferiore a quattro anni, atteso  il  rinvio  operato  dall'art.
656, comma 9, lettera A) del  codice  di  procedura  penale  all'art.
4-bis dell'Ordinamento penitenziario, come  modificato  dall'art.  1,
comma 6°, lettera b) della legge n. 3/2019, non ha visto  sospendersi
l'ordine di esecuzione della pena nei suoi confronti; l'art. 1, comma
6°, lettera b) della legge n. 3/2019 - che  ha  inserito  nell'elenco
dell'art. 4-bis Ord. Pen. anche l'art.  314,  comma  1°,  del  codice
penale non prevede alcuna norma di diritto intertemporale. 
    Prive di rilevanza, alla luce  di  quelli  che  sono  i  principi
vigenti nel nostro ordinamento giuridico, sono, dunque, ogni proposta
di  lettura  costituzionalmente   orientata   e   la   questione   di
legittimita'  che  muova  dal  presupposto  che  non  possa   trovare
applicazione retroattiva una legge che modifichi, come  e'  nel  caso
che ci occupa, la disciplina di istituti che incidano sul trattamento
penale (sospensione  dell'ordine  di  esecuzione,  applicabilita'  di
misure alternative alla detenzione):  l'inclusione  di  alcuni  reati
contro la pubblica amministrazione tra quelli ostativi cosiddetti  di
«prima  fascia»  costituisce  frutto  di  insindacabile  scelta   del
legislatore,  come  avvenuto  in  passato  in  relazione   ad   altre
fattispecie di reato. 
    La  legge  n.  3/2019  non  contiene  una  norma  transitoria,  a
differenza di precedenti modifiche, come  quella  apportata  all'art.
4-bis O.P.  gia'  con  la  legge  di  conversione  n.  203/1991,  che
circoscriveva l'applicabilita' della novella ai soli delitti commessi
dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 152/1991, o ancora, con
riguardo alle  modifiche  intervenute  per  effetto  della  legge  n.
272/2009, in cui, ai sensi dell'art. 4, il legislatore aveva previsto
una limitazione dell'applicabilita' delle nuove  disposizioni,  cosi'
manifestando di voler limitare gli effetti preclusivi della norma con
riguardo ai soli fatti commessi successivamente all'entrata in vigore
degli inasprimenti di regime. 
    La Procura generale di Taranto ha provveduto, dunque, nel caso in
esame, all'emanazione dell'ordine di carcerazione, ai sensi dell'art.
656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale e, in sede di
incidente  di  esecuzione  proposto   dalla   difesa   avverso   quel
provvedimento, la Corte di appello di Lecce  ha  confermato  l'ordine
emesso, sollevando eccezione di legittimita' costituzionale dell'art.
6, comma 2, lettera B),  legge  n.  3/2019  nella  parte  in  cui  ha
inserito i reati contro la pubblica amministrazione, e in particolare
quello di cui all'art. 314, comma 1 del  codice  penale,  tra  quelli
ostativi alla concessione di alcuni benefici  penitenziari  ai  sensi
dell'art. 4-bis op, per rilevato contrasto con gli art. 3, 25 comma 2
e 117 Costituzione in riferimento all'art. 7 Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
a causa  della  mancata  previsione  di  un  regime  transitorio  che
dichiari applicabile la norma ai soli fatti commessi  successivamente
alta sua entrata in vigore. 
    Alla  luce  del   consolidato   orientamento   giurisprudenziale,
conforme  ai  principi  del   nostro   ordinamento,   che   qualifica
«processuali» le norme esecutive e/o penitenziarie, l'assenza di  una
norma transitoria che,  pur  senza  necessariamente  prevedere,  come
avvenuto in passato, l'applicazione delle norme  di  nuovo  conio  ai
fatti commessi successivamente (potendo tale assenza essere frutto di
una precisa scelta legislativa insindacabile) individui, tuttavia, un
preciso momento temporale di efficacia del  nuovo  regime  esecutivo,
cosi' da porre tutti coloro che  siano  stati  condannati  per  fatti
commessi anteriormente e le cui posizioni debbano essere  oggetto  di
vaglio da parte del Tribunale di sorveglianza, in una  condizione  di
uguaglianza, e' foriera di disparita' di trattamento e pregiudica  il
diritto di difesa. 
    Con riferimento ai dubbi  di  costituzionalita'  prospettati,  si
ritiene rilevante, in quanto non affetta da  manifesta  infondatezza,
la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  6,  comma  1,
lettera B, legge n. 3/2019 in relazione all'art. 3 Costituzione nella
parte in cui, ampliando il novero dei reati  cosiddetti  ostativi  ai
sensi dell'art. 4-bis, comma 1 Op con l'inclusione di  quelli  contro
la pubblica amministrazione, non ha previsto un regime intertemporale
atto a scongiurare disparita' di trattamento. 
    Le garanzie dell'art. 7 della Convenzione, pure richiamato  nella
ordinanza con  cui,  in  sede  esecutiva,  nell'ambito  del  presente
procedimento,  e'   stata   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale («Nessuno puo' essere condannato per una azione o  una
omissione che, al momento in cui e' stata  commessa,  non  costituiva
reato secondo il diritto interno  o  internazionale.  Parimenti,  non
puo' essere inflitta una pena piu' grave  di  quella  applicabile  al
momento in cui il reato e' stato commesso») non riguardano  la  legge
processuale e la esecuzione della pena. Le norme che regolamentano le
modalita' di accesso alle misure alternative non possono essere poste
sullo stesso piano di quelle sostanziali,  essendo  evidente  che  la
prospettiva  di  accedere  a  misure  alternative,  proprio   perche'
dipendente da numerose  variabili  che  devono  essere  accertate  al
momento  della  esecuzione  della  pena  (condizioni  di   vita   del
condannato, esistenza di carichi pendenti,  condotta  tenuta  durante
l'indagine sociale, informazioni aggiornate delle forze  dell'ordine,
etc) non puo' essere considerato un qualcosa su cui  il  destinatario
della norma penale  possa  prestare  affidamento  e,  inoltre,  anche
l'entita' della sanzione  che  puo'  essere  inflitta  per  il  reato
commesso, primo presupposto  per  la  valutazione  di  ammissibilita'
delle  misure  alternative,  e'  rimesso  alla  discrezionalita'  del
Giudice della cognizione. Nel caso in esame, peraltro, L. S. e' stato
condannato ad una pena superiore a quattro anni, e soltanto a seguito
dell'applicazione dell'indulto e tenuto conto  del  presofferto,  nel
momento della irrevocabilita'  della  condanna  la  pena  residua  e'
risultata essere inferiore a quattro anni  di  reclusione,  cosicche'
neanche puo', nel caso specifico, affermarsi che la modifica in senso
sfavorevole della disposizione in esame abbia vanificato il legittimo
«affidamento» del condannato per  il  delitto  di  peculato  commesso
sotto la vigenza  dell'originario  art.  4-bis,  legge  n.  354/75  a
vedersi sospeso l'ordine di esecuzione della pena detentiva nel  caso
di condanna inferiore a quattro anni di reclusione  con  possibilita'
di accesso alle misure alternativa. 
    L'incidenza della modifica normativa in oggetto  sull'affidamento
da parte dell'imputato/condannato e'  stata  evidenziata  di  recente
dalla Corte di cassazione; in un obiter della sentenza n.  12541  del
14 marzo 2019, i giudici di legittimita'  hanno  affermato  che  «non
parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo
la quale, l'avere il legislatore cambiato in  itinere  le  "carte  in
tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria presenti  tratti  di
dubbia  conformita'  con  l'art.  7  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e,
quindi, con l'art. 117 della Costituzione, la' dove si traduce... nel
passaggio "a sorpresa" - e, dunque, non prevedibile - da una sentenza
patteggiata senza "assaggio di pena" ad una sanzione  con  necessaria
incarcerazione,  giusta  il  gia'  rilevato  operare  del   combinato
disposto degli articoli 656, comma 9, lettera a), codice di procedura
penale e 4-bis ord. pen.  D'altronde  in  precedenza  il  legislatore
aveva adottato disposizioni transitorie finalizzate  a  temperare  il
principio di immediata applicazione delle modifiche  all'ari.  4-bis,
comma 1°, legge 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva i reati di cui
agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale nell'art. 4-bis  cit.)
limitandone l'applicabilita' ai soli reati  commessi  successivamente
all'entrata in vigore della legge»; nell'occasione, la  questione  e'
stata dichiarata non rilevante poiche' non afferente all'impugnazione
della sentenza di applicazione della pena oggetto di quel giudizio). 
    Cio' premesso, deve osservarsi, pero', che l'introduzione di  una
normativa  che  modifichi  in  senso  sfavorevole  la  disciplina  di
istituti che incidono sul trattamento penale  e,  come  nel  caso  in
esame, sulla  liberta'  personale,  proprio  alla  luce  del  diritto
positivo e della  costante  lettura  giurisprudenziale,  conforme  ai
principi  enunciati,  secondo   cui   le   disposizioni   concernenti
l'esecuzione delle  pene  detentive  e  le  misure  alternative  alla
detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e  l'irrogazione
della pena,  ma  solo  le  modalita'  esecutive  della  stessa,  sono
considerate norme processuali e non sostanziali e soggette al  regime
tempus  regit  actum,  in  assenza  di   una   specifica   disciplina
transitoria che regolamenti il passaggio  da  una  norma  che,  entro
determinati limiti di pena, consentiva la sospensione dell'ordine  di
esecuzione e la conseguente possibilita'  di  richiedere  e  ottenere
l'ammissione a misure alternative, ad altra che  prevede  l'emissione
dell'ordine di carcerazione in ogni caso  e  le  preclusioni  di  cui
all'art.  4-bis  primo  comma  o.p.,  comporta   inevitabilmente   la
violazione del  principio  di  uguaglianza  sostanziale;  la  novella
introdotta non pone i diversi destinatari di quella nuova disciplina,
che siano stati  giudicati  per  fatti  commessi  anteriormente  alla
entrata in vigore della nuova normativa, in una condizione di parita'
e uniformita' rispetto al diritto di accesso alle misure alternative. 
    La disparita' che inevitabilmente consegue dipende da circostanze
casuali, innescando  meccanismi  procedimentali  che  incidono  sulla
liberta' personale; tale assenza determina violazione  del  principio
di uguaglianza con riguardo  al  momento  esecutivo  della  pena,  in
relazione  alla  limitazione  della   liberta'   personale   e   alla
possibilita' di accesso a misure alternative  tra  tutti  coloro  che
sono stati giudicati e ammessi alla  esecuzione  penale  esterna  per
medesimi fatti commessi prima dell'entrata in vigore della  legge  n.
3/2019 ed altri rispetto ai quali tale decisione non sia stata ancora
assunta (per ragioni diverse  e  contingenti  quali  la  collocazione
territoriale, la  velocita'  con  la  quale  e'  stato  celebrato  il
processo, la rapidita' dell'emanazione dell'ordine di  esecuzione  da
parte del pubblico ministero e quella del Tribunale  di  sorveglianza
che, per ragioni istruttorie o per altro motivo, non abbia assunto la
decisione prima della entrata in vigore della legge, e cosi' via). La
questione e' rilevante nel  presente  procedimento,  poiche'  sarebbe
bastato che la sentenza riguardante L. S. fosse emessa qualche giorno
prima, che egli fosse subito attinto dall'ordine di esecuzione e  che
il Tribunale di sorveglianza decidesse con  immediatezza  perche'  il
condannato fosse ammesso all'espiazione in misura  alternativa  prima
del 31 gennaio 2019. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 678 del codice di procedura penale,  23  legge
11 marzo 1953, n. 87, 147/1, n. 2), codice penale e 47-ter o.p., 
    Rigetta la richiesta di applicazione della detenzione domiciliare
ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, legge n. 354/75. 
    Dichiara, con riguardo alle ulteriori istanze,  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 6, lettera B della legge 9  gennaio  2019,  n.  3,
nella parte in cui, modificando l'art. 4-bis, comma 1 della legge  n.
354/1975, ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione e in
particolare quello di cui all'art. 314, comma 1 tra  quelli  ostativi
alla concessione di alcuni benefici penitenziari, senza prevedere  un
regime transitorio che dichiari applicabile la norma  ai  soli  fatti
commessi successivamente alla sua entrata  in  vigore,  per  rilevato
contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e la sospensione del presente procedimento. 
    Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata  al   sig.
Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  comunicata  al  sig.
Presidente  del  Senato  ed  al  sig.  Presidente  della  Camera  dei
deputati;  dispone,  altresi',  la   comunicazione   della   presente
ordinanza all'interessato, al suo difensore e alla  Procura  generale
presso la Corte di appello di Lecce. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. 
        Cosi' deciso in Taranto nella  Camera  di  consiglio  del  29
maggio 2019. 
 
                  Il Presidente estensore: Ingenito