N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 marzo 2019
Ordinanza del 15 marzo 2019 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Pavia contro Ministero dello sviluppo economico e altri. Amministrazione pubblica - Camere di commercio - Legge delega al Governo sul riordino delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura - Decreto legislativo di attuazione - Previsione del parere, anziche' dell'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, nell'adozione del decreto legislativo. - Legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), art. 10; decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), art. 3.(GU n.42 del 16-10-2019 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione terza ter Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 3969 del 2018, proposto da Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Pavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Travi, Elena Travi, Livia Lorenzoni, con domicilio digitale come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Livia Lorenzoni in Roma, via del Viminale n. 43; Contro Ministero dello sviluppo economico, Presidenza del Consiglio dei ministri, Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Nei confronti Camera di commercio di Mantova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Arria, Guido Francesco Romanelli, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Livia Lorenzoni in Roma, via del Viminale n. 43; Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Cremona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Ughetta Bini, Paola Ramadori, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Maria Ughetta Bini in Roma, via Marcello Prestinari n. 13; Unioncamere - Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alfonso Celotto, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilio de' Cavalieri n. 11; Unione regionale delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura della Lombardia e dott. Marco Zanini, quale commissario ad acta nominato con decreto ministeriale 16 febbraio 2018, all.to B, ai fini dell'accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, di Cremona e di Mantova, non costituiti in giudizio; Per l'annullamento: del decreto ministeriale 16 febbraio 2018 del Ministero dello sviluppo economico, recante «Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi del personale» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 del 9 marzo 2018); nonche' degli atti preparatori ivi inclusi: la proposta formulata da Unioncamere, deliberata dall'assemblea di Unioncamere il 30 maggio 2017 e trasmessa al Ministero con nota dell'8 giugno 2017; il verbale della Conferenza Stato-regioni dell'11 gennaio 2018; la deliberazione del Consiglio dei ministri 8 febbraio 2018, con la quale e' stata autorizzata l'adozione del decreto ministeriale impugnato; degli atti conseguenti - ivi comprese la nota ministeriale 1° marzo 2018, prot. 0080724, della Direzione generale per il mercato, div. III - Sistema camerale, del Ministero dello sviluppo economico, e le determinazioni adottate dal commissario ad acta in applicazione del decreto di accorpamento, in particolare delle determinazioni 1° marzo 2018, numeri 1, 2, 3 e 4; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli enti e delle amministrazioni intimate; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2019 il dott. Luca De Gennaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Fatto La Camera di commercio di Pavia con il ricorso in epigrafe ha impugnato il decreto ministeriale 16 febbraio 2018, - nonche' i relativi atti connessi - nella parte in cui, in attuazione dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 recependo la proposta avanzata da Unioncamere (delibera del 30 maggio 2017), dispone l'accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona e Mantova, individuando in Mantova, piuttosto che in Pavia, la sede del nuovo ente. Il decreto ministeriale e' identico al decreto ministeriale 8 agosto 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 settembre 2017, e sostituito dopo la pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 261/2017, depositata il 13 dicembre 2017) che ha dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 [...], nella parte in cui stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dallo stesso previsto deve essere adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, anziche' previa intesa con detta Conferenza». A seguito della detta pronuncia il Ministero sottoponeva alla Conferenza Stato-regioni un nuovo schema di decreto, analogo al precedente, ai fini del raggiungimento dell'intesa con gli enti regionali. La Conferenza, dopo un primo rinvio nella seduta del 21 dicembre 2017, esaminava il testo nella seduta dell'11 gennaio 2018: in tale occasione varie regioni formulavano obiezioni a seguito delle quali il verbale della seduta recava l'indicazione della «mancata intesa». Successivamente, appurato il mancato raggiungimento di un'intesa, il Consiglio dei ministri, nella seduta dell'8 febbraio 2018, ai sensi dell'art. 3, terzo comma del decreto legislativo n. 281/1997 autorizzava il Ministro dello sviluppo economico ad adottare il citato decreto. Avverso il citato decreto ministeriale 16 febbraio 2018 la Camera di commercio di Pavia articola le seguenti doglianze: violazione dei criteri prefissati e contraddittorieta' rispetto a essi, per difetto di motivazione e per carenza di istruttoria; violazione dell'art. 1, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 219/2016; violazione dei principi sul procedimento amministrativo (con particolare riferimento all'art. 10 della legge n. 241/1990) e sulla leale collaborazione fra amministrazioni, difetto di motivazione; violazione della delega legislativa conferita al Governo dall'art. 10 del decreto legislativo n. 124/2015; illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, per violazione dell'art. 117 della Costituzione e conseguente illegittimita' del decreto ministeriale 16 febbraio 2018; violazione dei principi in materia di intesa fra Stato e regioni. La Camera ricorrente denunzia quindi, sotto plurimi profili, la violazione delle disposizioni in tema di accorpamento e razionalizzazione delle camere di commercio, la violazione dei principi stabiliti per l'attuazione della riforma, l'elusione sostanziale dei principi in materia di intesa tra Stato e regione e, come meglio chiarito in seguito, l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge applicate. Si sono costituiti il Ministero dello sviluppo economico, la Presidenza del Consiglio dei ministri, Unioncamere, le Camere di commercio di Cremona e Mantova per resistere all'accoglimento del ricorso. All'udienza pubblica del 30 gennaio 2019 il ricorso e' stato trattenuto per la decisione. Rilievo della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 124/2015 e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219. In virtu' dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e' stata conferita delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580 e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia. Segnatamente l'art. 10, primo comma, lettera b) della legge n. 124/2015 prevede che il legislatore delegato possa procedere alla «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con riduzione del numero dalle attuali 105 a non piu' di 60 mediante accorpamento di due o piu' camere di commercio; possibilita' di mantenere la singola camera di commercio non accorpata sulla base di una soglia dimensionale minima di 75.000 imprese e unita' locali iscritte o annotate nel registro delle imprese, salvaguardando la presenza di almeno una camera di commercio in ogni regione, prevedendo la istituibilita' di una camera di commercio in ogni provincia autonoma e citta' metropolitana e, nei casi di comprovata rispondenza a indicatori di efficienza e di equilibrio economico, tenendo conto delle specificita' geo-economiche dei territori e delle circoscrizioni territoriali di confine, nonche' definizione delle condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni regionali o interregionali». L'esercizio della delega (art. 10, comma 2 cit.) doveva avvenire su proposta del Ministro dello sviluppo economico e, tra altro, «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». Il Governo, «sentita la Conferenza unificata in data 29 settembre 2016», emanava il decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, il quale all'art. 3 («Riduzione del numero delle camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazioni delle sedi e del personale»), introduceva una procedura per l'emanazione di un decreto ministeriale che avrebbe dovuto realizzare la riduzione del numero delle camere di commercio prevista nella legge di delega. In particolare era stabilito che Unioncamere (Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) dovesse trasmettere al Ministero una propria proposta di accorpamento, sulla base di criteri desunti dalla legge di delega o introdotti direttamente dal decreto legislativo, contemplando anche «un piano complessivo di razionalizzazione delle sedi delle singole camere di commercio nonche' delle Unioni regionali, con individuazione di una sola sede per ciascuna nuova camera di commercio e con razionalizzazione delle sedi secondarie e delle sedi distaccate». Sulla base della proposta di Unioncamere, il Ministero dello sviluppo economico ha da ultimo adottato il decreto ministeriale 16 febbraio 2018, a seguito dell'iter procedimentale sopra riportato; in virtu' del citato decreto e' stato disposto, tra l'altro, l'accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona e Mantova, con sede in Mantova avverso il quale la ricorrente propone l'impugnativa in epigrafe. Alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e per i motivi che si esporranno infra questo Tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (norma di delega) e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (norma delegata) ed intende pertanto sottoporli al sindacato della Corte costituzionale, per violazione del principio di leale collaborazione Stato-regioni nell'esercizio della funzione legislativa (articoli 5, 117, 120 della Costituzione). Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. La questione di costituzionalita' ha carattere rilevante in quanto, come innanzi accennato, il decreto ministeriale 16 febbraio 2018 oggetto di gravame viene adottato in diretta applicazione dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219/2016, a sua volta emanato in ragione della delega contenuta nell'art. 10 della legge n. 124/2015, disposizioni della cui legittimita' costituzionale si dubita. Ne consegue che evidentemente l'eventuale declaratoria di illegittimita' delle disposizioni legislative non solo influirebbe sulla disciplina in base alla quale giudicare la legittimita' del decreto ministeriale impugnato ma farebbe venire meno, integralmente, la base legislativa che disciplina e legittima il contestato accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona e Mantova. Peraltro la rilevanza e' ribadita dalla circostanza che uno dei motivi di doglianza proposti dalla Camera ricorrente attiene al fatto che, testualmente, «la legge di delega, nel richiedere per il decreto legislativo il mero parere della Conferenza Stato-regioni, risultava illegittima e tale illegittimita' (non trattata, per ragioni di rito, da Corte costituzionale 13 dicembre 2017, n. 261) avrebbe dovuto travolgere lo stesso decreto legislativo, con conseguente illegittimita' dei relativi provvedimenti attuativi». Di conseguenza, costituendo l'illegittimita' del decreto ministeriale impugnato l'oggetto del petitum del presente giudizio a quo, la risoluzione della questione di costituzionalita' relativa alla normativa primaria, sulla base della quale e' stato adottato il decreto ministeriale rappresenta, e' presupposto necessario per la pronuncia definitiva di questo giudice. La questione non puo' peraltro, ad avviso del Collegio, ritenersi irrilevante in base alla tesi delle parti resistenti secondo la quale il principio di leale collaborazione sarebbe stato sostanzialmente rispettato dato che il decreto ministeriale 9 marzo 2018 di riordino del sistema camerale e' stato emanato al termine di una procedura di intesa, conclusa peraltro non con un effettivo accordo ma solo con la deliberazione del Consiglio dei ministri, assunta ai sensi dell'art. 3, comma 3 del decreto legislativo n. 281/1997. Difatti, e' necessario distinguere la necessita' dell'intesa in sede di adozione del decreto ministeriale, prevista dalla normativa delegata e sul quale non vi e' censura di incostituzionalita', dall'omessa previsione legislativa dell'intesa, con riferimento all'emanazione del decreto legislativo sulla cui base e' stato poi adottato il decreto ministeriale attuativo. La legge delega ha previsto, su quest'ultimo piano, l'acquisizione del mero parere della Conferenza unificata, e il vizio di tale previsione, nella parte in cui non si e' richiesta viceversa l'intesa, non e' stato sanato ne' legislativamente, ne' di fatto, essendo pacifico che il Governo non abbia neppure ricercato l'intesa con il sistema regionale ai fini dell'adozione del decreto legislativo n. 219 del 2016. Cio' ha comportato che la proposta di accorpamento di Unioncamere, di cui il decreto ministeriale impugnato e' attuazione, sia stata formulata sulla base di criteri legislativi contenuti nel decreto legislativo n. 219 del 2016 vincolanti, e come tali sottratti all'apprezzamento sia del proponente, sia, in particolare, delle autonomie regionali, quando queste ultime sono state coinvolte ai fini dell'intesa sul solo decreto ministeriale. La partecipazione del sistema regionale all'elaborazione delle linee guida fondanti ai fini dell'accorpamento e' percio' del tutto mancata, con la conseguenza che la leale collaborazione ha potuto manifestarsi solo per la minima parte del decreto ministeriale non pregiudicata dai criteri normativi formulati dal decreto legislativo n. 219 del 2016. Sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'. La Corte costituzionale, in giudizio avviato in via principale, con sentenza 13 dicembre 2017, n. 261, ha gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, quarto comma del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219. L'illegittimita' veniva dichiarata perche' l'art. 3, quarto comma, cit. disponeva che il decreto ministeriale per il riordino delle Camere di commercio fosse emanato previa acquisizione del parere della Conferenza permanente Stato-regioni, anziche' previa intesa con la stessa Conferenza, in violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni. Veniva avanzato in tale sede anche il tema dell'illegittimita' della norma di delega (cit. art. 10, primo comma della legge n. 124/2015); tale questione veniva dichiarata inammissibile per tardivita' essendo superato il termine perentorio di sessanta giorni stabilito dall'art. 127, secondo comma della Costituzione. In assenza di termini per il giudizio incidentale di legittimita', questo Collegio, ritiene di dover riproporre la medesima questione, dichiarata inammissibile, in quanto non manifestamente infondata alla luce dell'orientamento assunto dalla giurisprudenza costituzionale (come indicato dalla stessa Corte costituzionale, con riferimento proprio all'argomento in oggetto, «i principi che consentono di dare corretta soluzione alla questione sono desumibili della sentenza n. 251 del 2016» cfr. punto 2.6.4 sentenza n. 261/2017). Ritiene dunque il Collegio che le censure di incostituzionalita' possano rivolgersi sia alle disposizioni di delega che, per illegittimita' derivata, alla legislazione delegata. La giurisprudenza costituzionale ha infatti gia' ritenuto ammissibile l'impugnazione della norma di delega, allo scopo di censurare le modalita' di attuazione della leale collaborazione tra Stato e regioni ed al fine di ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa anziche' previo parere in sede di Conferenza (Corte costituzionale, sentenza n. 251 del 2016). Ricorrono poi i presupposti oggetti per far valere il principio di leale collaborazione stante l'oggetto della riforma ordinamentale; che il riassetto generale della disciplina camere di commercio sia materia ripartita tra prerogative statali e regionali e' stato gia' chiaramente affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 261/2017, punto 12.1.1) in quanto il catalogo dei compiti svolti da questi enti e' riconducibile a competenze sia esclusive dello Stato, sia concorrenti e residuali delle regioni; in questo settore le competenze di ciascun soggetto appaiono inestricabilmente intrecciate. Risultano infatti numerosi i profili in cui la riforma statale tocca attribuzioni legislative regionali stante la competenza generale spettante alle camere di commercio e tenuto conto che le principali materie riferibili all'economia ed alle attivita' produttive (agricoltura, industria, artigianato, commercio, turismo) possono essere ascritte anche alla competenza regionale. Peraltro l'attivita' delle camere di commercio appare riconducibile alla nozione di «sviluppo economico», nozione che costituisce una espressione di sintesi che comprende e rinvia ad una pluralita' di materie attribuite ex art. 117 della Costituzione «sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, sia a quella concorrente, sia a quella residuale» (sentenza Corte costituzionale n. 165 del 2007); ne deriva che, se pure l'esistenza di esigenze di carattere unitario legittima l'avocazione allo Stato della potesta' normativa per la disciplina degli enti camerali, resta ferma la necessita' del rispetto del principio di leale collaborazione, mediante lo strumento dell'intesa (cfr. sentenze Corte costituzionale n. 251 del 2016, n. 165 del 2007, n. 214 del 2006). In tale prospettiva infatti quando il legislatore delegato intende riformare istituti ed enti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso all'intesa tra Stato e autonomie (cfr. sentenza n. 251/2016 cit. punto 3). Ne deve essere tratta la conseguenza che - posto che l'attivita' delle camere di commercio incide su molteplici competenze, alcune anche di attribuzione regionale ex art. 117 della Costituzione - la riforma legislativa doveva concretizzarsi «nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie» (cfr. sentenza n. 261/2017 cit., le cui argomentazioni nella medesima appaiono analogicamente applicabili alla questione sollevata). In ragione di cio' il modulo ordinario di espressione della leale collaborazione va identificato nell'intesa presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province «contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento» (sent. n. 261/2017 cit.). In conclusione stante la natura delle materie incise dalle disposizioni censurate, attenendo le stesse a competenze statali e regionali inestricabilmente connesse, la norma di delega (art. 10, comma 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) avrebbe dovuto prevedere - come presupposto per l'esercizio della delega - l'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, istituto «cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale e' rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 della Costituzione» i quali «finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze» (sent. n. 251/2016 cit., dove si evidenzia che «il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione e' stato correttamente individuato dalla norma nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano. Il modulo della stessa, tenuto conto delle competenze coinvolte, non puo' invece essere costituito dal parere, come stabilito dalla norma, ma va identificato nell'intesa»). L'illegittimita' della disposizione delegante (art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124) si ripercuote, in via immediata ed derivata per le stesse ragioni ora evidenziate, sulla legittimita' costituzionale della norma delegata (art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219) in forza della quale e' stato adottato il decreto ministeriale 16 febbraio 2018, oggetto del giudizio a quo. Va, quindi, dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la descritta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 per violazione del principio di leale collaborazione nella funzione legislativa di cui agli articoli 5, 117, 120 della Costituzione, poiche' prevedono che l'esercizio delegato della potesta' legislativa sia condotto all'esito di un procedimento nel quale l'interlocuzione fra Stato e regioni si realizzi (e si e' realizzata) nella forma inadeguata del parere e non gia' attraverso l'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. Cio' posto, il presente giudizio va sospeso e gli atti processuali trasmessi alla Corte costituzionale.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione terza ter): dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219, nella parte in cui prevede il parere, anziche' l'intesa, con riferimento al principio di leale collaborazione, nei termini evidenziati in parte motiva; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; sospende il giudizio in corso; dispone che a cura della Segreteria la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati: Giampiero Lo Presti, Presidente; Maria Grazia Vivarelli, consigliere; Luca De Gennaro, consigliere, estensore. Il Presidente: Lo Presti L'estensore: De Gennaro