N. 169 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2019

Ordinanza  del  13  maggio  2019  della  Corte  dei  conti   -   Sez.
giurisdizionale per  la  Regione  Abruzzo  sul  ricorso  proposto  da
Bertoia  Paolo  e  altri  contro  Ministero  della  difesa,  Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS) e Presidenza del  Consiglio
dei ministri.. 
 
Impiego pubblico - Previsione per le categorie di personale,  di  cui
  all'articolo 3 del d.lgs. n. 165 del  2001,  che  fruiscono  di  un
  meccanismo di progressione automatica degli stipendi, che gli  anni
  2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini  della  maturazione  delle
  classi  e  degli  scatti  stipendiali   previsti   dai   rispettivi
  ordinamenti - Proroga sino al 31 dicembre 2014  delle  disposizioni
  che  limitano  la  crescita  dei   trattamenti   economici,   anche
  accessori, del personale delle pubbliche amministrazioni. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 9, comma 21, secondo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011,  n.
  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),
  convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n.  111,
  art. 16, comma 1, lettera b),  come  specificato  dall'articolo  1,
  comma 1, lettera a), primo  periodo,  del  decreto  del  Presidente
  della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento  in  materia
  di proroga del blocco  della  contrattazione  e  degli  automatismi
  stipendiali per i pubblici dipendenti, a  norma  dell'articolo  16,
  commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito,
  con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). 
(GU n.43 del 23-10-2019 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo 
 
    in composizione monocratica nella persona del magistrato  Gerardo
de Marco, quale giudice unico delle pensioni ai sensi  dell'art.  151
del codice della giustizia contabile di cui al decreto legislativo 26
agosto 2016, n. 174, in esito all'udienza  pubblica  del  29  gennaio
2019,·ha pronunciato la presente ordinanza nel giudizio  iscritto  in
data 17 ottobre 2018 al n. 19934  del  Registro  di  segreteria,  sul
ricorso promosso dai signori: 
        1) Paolo Bertoia (BRTPLA54M17L424E); 
        2) Salvatore Carannante (CRNSVT53R19A535I); 
        3) Giuseppe Natalino Finanza (FNNGPP59T25A515S); 
        4) Gianni Mattucci (MTIGNN56A20F996H); 
        5) Marcello Rocchi (RCCMCL55P20E535W); 
tutti difesi dagli  avvocati  Umberto  Coronas  (CRNMRT68T21H501K)  e
Salvatore Coronas (CRNSVT49M24D969F) del Foro di Roma; 
    Contro: 
        il Ministero della difesa,  in  persona  del  Ministro  della
difesa in carica pro tempore; 
        I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale  (c.f.
n. 80078750587) rappresentato e difeso dall'avv.  Emanuela  Capannolo
(CPNMNL67E42A345R) della propria Avvocatura; 
    Nonche'  nei  confronti  della  Presidenza  del   Consiglio   dei
ministri, in persona del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  in
carica pro tempore; 
    Premesso che: 
        la  retribuzione  dei  ricorrenti  ha  subito   il   «blocco»
stabilito dall'art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; 
        nel corso del quinquennio 2011-2015 tutti i  ricorrenti  sono
cessati dal servizio e sono stati  collocati  in  ausiliaria;  alcuni
sono gia' transitati in riserva; 
        il calcolo del trattamento pensionistico  dei  ricorrenti  e'
stato quindi operato sulla base della retribuzione «bloccata»,  ossia
sulla base della retribuzione congelata all'ultima  classe  o  scatto
maturati prima dell'inizio del «blocco», ossia  anteriormente  al  1°
gennaio 2011; 
        essi chiedono a questa Corte di «accertarne e dichiararne  il
diritto ad ottenere la rideterminazione del trattamento di quiescenza
[provvisorio (inclusa l'indennita' di ausiliaria)  e/o  definitivo)],
dalla data di cessazione dal servizio o, almeno, dal 1° gennaio 2016,
da calcolare comprendendo nella  base  di  computo  anche  tutti  gli
automatismi economici spettanti per ed in  relazione  al  quinquennio
2011-2015 (inclusi quelli ex art. 24 della legge  n.  448/1998  e  ex
art. 161 della legge n. 312/1980),  e  quindi  voglia  condannare  il
Ministero  della  difesa  e  l'I.N.P.S.,  per  quanto  di  rispettiva
competenza, a rideterminare come sopra il trattamento  di  quiescenza
[provvisorio (inclusa l'indennita' d'ausiliaria) e/o definitivo)] e a
corrispondere le differenze spettanti a tale  titolo,  con  interessi
legali e rivalutazione monetaria come richiesti, previo  annullamento
di tutti gli atti ostativi e di diniego alla pretesa e  previa,  solo
se ritenuto necessario, remissione degli atti del giudizio alla Corte
costituzionale, per la  decisione  della  questione  di  legittimita'
costituzionale, per violazione degli articoli 2, 3, 36, 38, 53 e  117
della Costituzione, dell'art.  9,  comma  21,  secondo  periodo,  del
decreto-legge n. 78/2010 e successive proroghe»; 
        nel ricorso si ripercorrono diffusamente i  precedenti  della
giurisprudenza costituzionale  riguardanti  casi  similari  (sentenza
n. 154 del 4 giugno 2014; sentenza  n.  304  del  12  dicembre  2013;
sentenza n. 310 del 17 dicembre 2013 e ordinanza n. 113 del 5  maggio
2014), osservando in sintesi che «se si ritiene che l'art.  9,  comma
21, secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010 non si sia limitato
a differire l'operativita' degli incrementi stipendiali per classi  e
scatti spettanti per e in relazione al quinquennio 2011-2015,  bensi'
l'abbia esclusa, alla disposizione  non  puo'  piu'  riconoscersi  la
portata di misura di raffreddamento della dinamica retributiva che le
ha permesso di superare il vaglio di  ragionevolezza:  in  tal  caso,
essa  palesemente  viene  a  perdere  quel  «carattere   eccezionale,
transeunte,  non  arbitrario,  consentaneo  allo  scopo   prefissato,
nonche' temporalmente limitato,  dei  sacrifici  richiesti»,  che  la
giurisprudenza     costituzionale      esige      «per      escludere
l'irragionevolezza» degli  interventi  di  contenimento  della  spesa
pubblica incidenti sul trattamento economico dei dipendenti  pubblici
(cfr. Corte costituzionale, sentenza 17 dicembre 2013, n. 310)»; 
        si richiama, ancora, l'identita' di situazione con l'art.  7,
comma 3, del decreto-legge  n.  384/1992,  che  e'  stato  inteso  ed
applicato  nel  senso  che   la   corresponsione   degli   incrementi
stipendiali spettanti nel 1993 era da differire  di  un  anno,  senza
corresponsione  di  arretrati,   ma   con   salvezza   dell'ordinaria
decorrenza di maturazione dei successivi automatismi; 
        i  ricorrenti  rimarcano  altresi'  che  «per  il   personale
dirigente ed equiparato ancora in servizio, e cioe' per il  personale
«piu' giovane», il gia' pur minore  pregiudizio  derivato  dalla  qui
avversata deteriore  interpretazione  ed  applicazione  dell'art.  9,
comma 21, secondo periodo, del decreto-legge n. 78/2010 e' stato  ora
interamente rimosso, attraverso il reinquadramento economico  attuato
in applicazione dell'art. 11, comma 7,  del  decreto  legislativo  n.
94/2017 di c.d. riordino, di modo che, i «sacrifici richiesti»  dalla
disposizione di «blocco»  gravano  ormai  esclusivamente,  e  in  via
definitiva, sul solo personale cessato dal  servizio  nel  corso  del
quinquennio 2011-2015»; 
        nella   giurisprudenza   contabile,    constano    precedenti
favorevoli alla tesi dei  ricorrenti,  basati  su  un'interpretazione
costituzionalmente orientata del quadro  normativa  (cfr.  Corte  dei
conti, Sez. giur. Calabria, sentenza n. 13 del 1° febbraio 2018 e  n.
210 del 20 settembre 2018; Sez. giur. Lazio, sentenza n.  278  del  9
ottobre 2017); 
        diversamente ragionando, sarebbe ravvisabile l'illegittimita'
costituzionale, per violazione degli articoli 2, 3, 36, 38, 53 e  117
della Costituzione, dell'art.  9,  comma  21,  del  decreto-legge  n.
78/2010, nella parte in cui  stabilisce  che  «Per  le  categorie  di
personale di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165 e successive modificazioni, che fruiscono  di  un  meccanismo  di
progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011,  2012  e  2013
non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli  scatti
di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti», nonche'  dell'art.
16, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 98/2011 e dell'art.  1,
comma 1, lettera a), del decreto del Presidente  della  Repubblica  4
settembre 2013, n. 122 e dell'articolo unico, comma 256, della  legge
23 dicembre 2014,  n.  190,  nella  parte  in  cui  hanno  prorogato,
rispettivamente, al 31 dicembre  2014  ed  al  31  dicembre  2015  il
termine finale del «blocco»; 
        segnatamente, si ravvisa la violazione degli articoli 2  e  3
della   Costituzione,   per   manifesta   irragionevolezza   e    per
ingiustificata disparita' di trattamento, non avendo l'art. 9,  comma
21, secondo periodo,  del  decreto-legge  n.  78/2010  salvaguardato,
neppure a  fini  pensionistici,  la  posizione  del  personale  «piu'
anziano» e, per cio' accidentalmente  incappato  nel  «blocco»  della
operativita' degli automatismi stipendiali, bensi'  solo  quella  del
personale «piu' giovane», che, trovandosi per cio' ancora in servizio
al termine del «blocco», ha potuto beneficiare del ripristino -  ora,
come detto, divenuto integrale - del «meccanismo  di  progressione...
delle classi e degli scatti di stipendio»; 
        ad avviso dei ricorrenti, inoltre, e' facile  intendere  che,
pur a parita' di posizione maturata, ad essi e' stata  preclusa,  per
via del «blocco», la  possibilita'  di  ottenere  il  trattamento  di
quiescenza commisurato al trattamento economico  al  quale  avrebbero
avuto diritto in servizio, che invece hanno avuto ed hanno i colleghi
che quella stessa posizione hanno maturato prima dell'inizio  o  dopo
il termine del «blocco»; il che, a parita' di quantita' e di qualita'
di lavoro prestato, si traduce in un evidente pregiudizio dell'eguale
diritto a quel trattamento  e,  quindi,  in  un  vulnus  anche  degli
articoli 36 e 38 della Costituzione; 
        inoltre,  sussisterebbe  la  violazione  dell'art.  53  della
Costituzione,  in  quanto  ricorrerebbero   simultaneamente   i   tre
presupposti indicati nella sentenza della Corte costituzionale n. 223
dell'11  ottobre  2012,  integrandosi  una  fattispecie  di   tributo
anomalo; 
        ulteriore  profilo  di  illegittimita'   risiederebbe   nella
«violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, per contrasto
con il parametro interposto costituito dall'art. 1 del protocollo  n.
1 e dell'art. 1 del protocollo n. 12 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali»;
«infatti,  nel  caso,  la  misura   di   definitiva   sterilizzazione
dell'ordinaria  progressione  stipendiale  per  gli  anni  2011-2013,
reiterata per gli anni 2014-2015, cancella, in violazione dell'art. 1
del protocollo n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  il  'diritto  di
credito' scaturente dal realizzarsi della fattispecie  ordinariamente
determinante il diritto agli incrementi economici previsti»; 
        al riguardo, i ricorrenti ritengono di essere  stati  privati
del «bene» costituito dagli incrementi retributivi ai quali avrebbero
avuto ordinariamente diritto per il quinquennio dal 2011 al 2015, con
effetti proiettati anche sul trattamento di quiescenza, e  quindi  in
via completa e definitiva, e cio', fra l'altro, senza che  sia  stato
indicato e dimostrato specificamente cosa abbia  reso  necessaria  la
radicale misura assunta; l'intervento  legislativo  risulta,  a  loro
avviso,  «apportatore  di   un   carico   speciale,   esorbitante   e
sproporzionato che grava sui soli ricorrenti, il che rompe  qualunque
giusto equilibrio tra esigenze  d'interesse  generale  e  tutela  dei
diritti  fondamentali  dell'individuo   ed   evidenzia   un   profilo
discriminatorio che rileva in termini di violazione anche dell'art. 1
del protocollo n. 12 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali»;  «tanto  piu'
ora, se si considera che, dopo l'intervento di  riordino  di  cui  al
decreto legislativo  n.  94/2017,  la  misura  privativa  continua  a
produrre effetti solo ed esclusivamente a carico dei ricorrenti e  di
quanti si sono trovati e si trovano in analoga situazione»; 
    Premesso inoltre che: 
        si e' costituito il Ministero della  difesa,  osservando  che
«la pretesa rivendicata dagli odierni  ricorrenti  non  puo'  trovare
accoglimento ostandovi il chiaro disposto normativa di cui  dall'art.
9, comma 21, secondo periodo, del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.
78, il quale stabilisce che, per il personale in  regime  di  diritto
pubblico di cui all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.
165,  e  successive  modificazioni,  destinatario   di   progressione
automatica degli stipendi (e  in  tale  ambito  e'  riconducibile  la
posizione  degli  ufficiali  dirigenti  e  di  quelli  provvisti   di
trattamento economico 'dirigenziale'), gli anni 2011, 2012, 2013 (poi
anche 2014 e 2015) non sono utili ai  fini  della  maturazione  delle
classi e scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti»; 
        aggiunge il Ministero che  difetterebbe  anche  la  copertura
contributiva e che con particolare  riferimento  alla  posizione  dei
ricorrenti Bertoia, Mattucci e Rocchi l'aggancio al  trattamento  dei
colleghi  in  servizio  sarebbe  stato  comunque   operato   mediante
l'indennita' di ausiliaria; 
        infine, si richiama  la  sentenza  n.  200/2018,  intervenuta
nelle more del giudizio, con cui  la  Corte  costituzionale  ha  gia'
ritenuto   infondate   le   sollevate   questioni   di   legittimita'
costituzionale, peraltro riguardanti la  «distinta  problematica  del
blocco delle progressioni di carriera a decorrere dal 1° gennaio 2011
(blocco prorogato sino al 31 dicembre 2014)»; 
        si chiede quindi il rigetto del ricorso  con  vittoria  delle
spese di lite, da liquidarsi in euro 1.000,00 (mille/00); 
    Premesso inoltre che: 
        si e' costituito l'INPS,  eccependo  il  proprio  difetto  di
legittimazione passiva  per  le  posizioni  dei  ricorrenti  Bertoia,
Mattucci e Rocchi, i quali non  sono  amministrati  dall'Istituto  in
quanto in posizione di  ausiliaria  alla  data  di  proposizione  del
ricorso; anche per i  ricorrenti  Carannante  e  Finanza  l'INPS  non
sarebbe legittimato passivamente, siccome mero ordinatore  secondario
di spesa; 
        cio' posto, si eccepisce anche il difetto  di  giurisdizione,
vertendosi   di   questione    pregiudizialmente    riguardante    la
rideterminazione del trattamento stipendiale; 
        nel merito, si eccepisce il chiaro ed  insormontabile  tenore
della  disposizione  censurata  e  l'infondatezza   della   sollevata
questione di costituzionalita'; 
        si conclude, quindi,  gradatamente  per  la  declaratoria  di
difetto di giurisdizionale  della  Corte  dei  conti  in  favore  del
giudice del rapporto di lavoro,  per  il  difetto  di  legittimazione
passiva,  per  la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita' e per  il  rigetto  nel  merito  del  ricorso,  con
vittoria delle spese; 
    Considerato che: 
        nelle  more  del  giudizio,  la   Corte   costituzionale   ha
pronunciato la sentenza n. 200/2018 (udienza pubblica del  20  giugno
2018; decisione dell'11 ottobre 2018; deposito del 15 novembre  2018;
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  21  novembre  2018,  n.  46),
sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21,
terzo periodo, del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122; dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge  6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, come specificato dall'art.  1,  comma  1,  lettera  a),
primo  periodo,  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   4
settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del  blocco
della contrattazione e degli automatismi stipendiali per  i  pubblici
dipendenti, a norma dell'art. 16, commi 1, 2, e 3, del  decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla  legge  15
luglio 2011,  n.  111),  promosso  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale per la Liguria; 
        con  la  citata   pronuncia,   in   particolare,   la   Corte
costituzionale   ha   dichiarato   infondata    la    questione    di
costituzionalita' in  parola,  relativamente  al  terzo  periodo  del
citato art. 9, comma 21; 
        la Corte costituzionale, nel ricostruire il quadro normativa,
la ratio e la  natura  del  «blocco»  recato  dalla  disposizione  in
discussione,   ha   sostanzialmente   avallato   la   lettura    data
dall'amministrazione, ritenendo detta interpretazione  conforme  agli
invocati parametri costituzionali; 
        in particolare,  si  e'  osservato  che:  la  disciplina  del
«blocco» e' stata posta «dichiaratamente  al  fine  di  contenere  le
spese in materia di  impiego  pubblico,  come  risulta  dalla  stessa
rubrica della disposizione»; «tutto  il  pubblico  impiego  e'  stato
coinvolto  da  questa  articolata  regola  di   conformazione   della
retribuzione»; «a cio' si sono aggiunte altre misure di  contenimento
delle  spese  per  il  pubblico  impiego,  quale  il   blocco   della
contrattazione collettiva con conseguente  congelamento  dei  livelli
retributivi»; «l'ampia e complessiva manovra diretta al  contenimento
delle spese per il pubblico impiego ha quindi superato il  vaglio  di
costituzionalita', quanto al congelamento delle retribuzioni (...)  e
soltanto il regime di  sospensione  della  contrattazione  collettiva
(...) e' poi  stato  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  ma
unicamente a partire dal giorno successivo alla  pubblicazione  della
sentenza (n. 178 del 2015)»; «si e' confermato  cosi'  indirettamente
il blocco per il periodo precedente (...)»; 
        si e' chiarito che il «blocco» costituisce «una regola legale
conformativa  della  retribuzione   dei   pubblici   dipendenti   nel
quadriennio in questione,  che  integra,  temporaneamente  e  in  via
eccezionale, la disciplina, legale o  contrattuale,  del  trattamento
retributivo, per perseguire  la  finalita'  di  contenerne  il  costo
complessivo»; 
        «il contenimento della retribuzione nel quadriennio  suddetto
ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il
criterio limitativo in questione e' stata anche la  base  di  calcolo
della contribuzione previdenziale ed  e'  quella  rilevante  al  fine
della  quantificazione  del  trattamento   pensionistico,   sia   nel
generalizzato sistema contributivo, sia in  quello  residuale  ancora
retributivo»; 
        «e'  determinante  considerare  che  il  'fluire  del  tempo'
differenzia il regime pensionistico prima  e  dopo  la  scadenza  del
quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti  collocati  in
quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile  -  calcolata
vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora  residualmente  con  il
sistema  retributivo  -  debba   tener   conto   della   retribuzione
'spettante'  secondo  la  disciplina  applicabile  ratione  temporis,
mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il
parametro di riferimento e' la retribuzione spettante fino alla  data
del loro pensionamento»; 
        «una  volta  sterilizzati  ex   lege,   per   effetto   della
disposizione censurata, gli automatismi retributivi  nel  quadriennio
in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali  e'  quella
risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza  che  a
tal fine rilevi il momento del collocamento  in  quiescenza,  se  nel
corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza»; 
        «parimenti, una volta posta la regola  dell'invarianza  della
retribuzione dei pubblici  dipendenti  in  caso  di  progressione  di
carriera - senza che si dubiti della legittimita'  costituzionale  di
tale  regola  di   iniziale   immodificabilita'   in   melius   della
retribuzione,  vuoi  perche'  non  ne  dubita  la  Corte  dei   conti
rimettente, vuoi perche' questa Corte ha gia'  ritenuto  non  fondate
questioni di costituzionalita' riguardanti la retribuzione e non gia'
la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la  ricaduta  sul
piano del rapporto previdenziale e' generalizzata e non  consente  di
porre utilmente a raffronto il trattamento  pensionistico,  spettante
ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso  del  quadriennio  in
questione,  con  quello  riconosciuto  ai  dipendenti  collocati   in
quiescenza  dopo  la  scadenza  di  tale  periodo.  Cosi'  come,  con
riferimento al blocco della contrattazione collettiva, non potrebbero
esser posti in comparazione  i  trattamenti  pensionistici  liquidati
prima e dopo un incremento retributivo previsto dalla  contrattazione
collettiva, una volta cessato il periodo di sospensione»; 
        «la circostanza che, superato il quadriennio,  al  dipendente
'promosso' sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche
sul  piano  (contributivo  e)   previdenziale   e   del   trattamento
pensionistico,  si  giustifica  -  senza  che  percio'  sia  leso  il
principio di eguaglianza - per l'incidenza del 'fluire del tempo' che
costituisce sufficiente elemento idoneo  a  differenziare  situazioni
non comparabili e a rendere applicabile alle  stesse  una  disciplina
diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53  del  2017,  n.
254 del 2014)»; 
    Considerato che: 
        con successiva memoria difensiva i ricorrenti hanno insistito
nelle proprie domande; 
        si e' posto in risalto, «innanzitutto,  che  la  disposizione
oggetto della menzionata  pronuncia  della  Corte  costituzionale  e'
quella di  cui  al  terzo  periodo  del  comma  21  dell'art.  9  del
decreto-legge n. 78/2010  (blocco  delle  'progressioni  di  carriera
comunque denominate'), mentre il presente giudizio ha per oggetto  la
distinta disposizione di cui al secondo periodo del medesimo comma 21
(blocco  della  'maturazione  delle  classi   e   degli   scatti   di
stipendio')»; 
        si  evidenzia,  poi,  che  in  occasione  della  sentenza  n.
200/2018  la  Corte  era  stata   investita   della   «questione   di
legittimita'  costituzionale  del  terzo  periodo  del  comma  21  in
relazione soltanto all'art. 3 della Costituzione, mentre nel presente
giudizio si lamenta il contrasto del secondo periodo  del  comma  21,
oltre che con l'art. 3, anche con gli articoli 2, 36, 38,  53  e  117
della Carta, con quest'ultimo per violazione del parametro interposto
costituito dall'art.  1  del  protocollo  n.  1  e  dell'art.  1  del
protocollo n. 12 della Convenzione  europea  della  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali»; 
        a cio' si aggiunga, inoltre, che  il  contrasto  del  secondo
periodo del comma 21 con l'art. 3, nonche' con gli  articoli  2,  36,
38, 117 della Costituzione, viene qui dedotto anche  in  relazione  a
quanto e' stato in  seguito  disposto  dall'art.  11,  comma  7,  del
decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94 (recante  «Disposizioni  in
materia di riordino dei ruoli e delle carriere  del  personale  delle
Forze armate, ai sensi dell'art. 1, comma 5, secondo  periodo,  della
legge 31 dicembre 2012, n. 244»); la sopravvenienza  del  decreto  di
c.d. riordino, in particolare, fa venire in rilievo ulteriori profili
d'illegittimita' costituzionale del secondo periodo del comma 21, che
non hanno ancora neppure  mediatamente  formato  oggetto  d'esame  da
parte del giudice delle leggi; 
        invero, la retribuzione del solo personale ancora in servizio
dopo il termine del  blocco  e'  venuta  a  riespandersi  al  livello
superiore ordinariamente previsto, come effetto non del  «fluire  del
tempo», ma del reinquadramento  retributivo  connesso  al  «riordino»
disposto per quel personale, ma per esso e solo per esso, 
        rimuovendo interamente gli effetti del blocco  e  ad  esso  e
solo ad esso restituendo, sia pure senza  arretrati,  gli  incrementi
spettanti, ma non percepiti,  per  ed  in  relazione  al  quinquennio
2011-2015; 
        a fronte degli effetti derivati dal decreto di c.d. riordino,
non  puo'  dunque  ulteriormente  ritenersi  che  la  diversita'   di
trattamento riservata al  personale  dirigente  ed  equiparato  delle
FF.AA. trovi giustificazione nel «fluire del tempo»; 
    Dato atto che: 
        all'udienza pubblica del 29 gennaio 2019 sono comparsi l'avv.
Umberto Coronas per i ricorrenti  e  l'avv.  Emanuela  Capannolo  per
l'INPS, come da verbale;· 
        in  esito  all'udienza,  il  giudice  si  e'   riservato   di
provvedere con separata ordinanza a rimettere la sollevata  questione
di costituzionalita' della normativa in applicazione; 
    Ritenuto che: 
        le eccezioni pregiudiziali e preliminari non meritano,  prima
facie, accoglimento, parendo evidente a questo giudice che il petitum
del presente giudizio attiene alla riliquidazione della  pensione  e,
come  tale,  appartiene  alla   giurisdizione   contabile;   inoltre,
ancorche' mero ordinatore secondario di  spesa,  l'INPS  e'  comunque
legittimato passivamente, non foss'altro che per la liquidazione e il
pagamento degli arretrati e dei relativi accessori; 
        nel merito, questo giudice condivide e intende far  propri  i
dubbi di legittimita' costituzionale  sollevati  dai  ricorrenti  nel
ricorso  introduttivo  e  nella  memoria  d'udienza,   come   dinanzi
succintamente compendiati; 
        le suddette questioni di legittimita' costituzionale  paiono,
infatti, a questo giudice «non manifestamente infondate»; 
        cio',  a  maggior  ragione,  ove  si   tenga   a   mente   la
considerazione conclusiva espressa in chiusura della citata  sentenza
n.  200/2018,  secondo  cui  «spetterebbe  comunque  al  legislatore,
nell'esercizio discrezionale delle scelte di politica economica e  di
compatibilita' con l'esigenza di equilibrio della  finanza  pubblica,
prevedere eventualmente quanto richiede  il  giudice  rimettente:  la
riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti,
collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco  degli  incrementi
stipendiali,  che  nello  stesso  periodo  abbiano   conseguito   una
progressione di carriera o un passaggio a un'area superiore»; 
        non  puo'  ignorarsi,  come  efficacemente  argomentato   dai
ricorrenti,  che  l'auspicato  intervento  perequativo  e'  stato  in
effetti adottato dal legislatore per alcune categorie di militari  in
sede di «riordino» (di cui al decreto legislativo n.  94  del  2017),
cancellando gli effetti del «blocco» in  favore  di  coloro  i  quali
fossero ancora in servizio  nel  2018,  con  effetto  sostanzialmente
retroattivo (cioe'  consentendo  non  tanto  la  riattivazione  della
progressione, ma anche il recupero ex  nunc  di  quanto  perduto  per
effetto del blocco), senza pero' estendere il beneficio del  recupero
del pregresso in favore di  quanti  erano  stati  gia'  collocati  in
ausiliaria o nella riserva, alla stessa data; 
        il blocco e' cosi' divenuto un  mero  differimento  temporale
della progressione economica, per alcuni, mentre si e' sostanziato in
una decurtazione definitiva, per altri, in  ragione  di  una  precisa
scelta legislativa e non  per  effetto  del  mero  fluire  del  tempo
(fluire che, si ripete, e' stato neutralizzato ex  post  solo  per  i
militari attivi e non anche  per  quelli  in  quiescenza,  a  parita'
d'ogni altra condizione); 
        di qui l'acuirsi dei gia'  rilevanti  dubbi  di  legittimita'
costituzionale gia' affrontati con la citata sentenza n. 200/2018  in
relazione a un diverso periodo della  stessa  disposizione  di  legge
(art. 9, comma 21, terzo periodo, cit. anziche' secondo periodo) e in
riferimento a diversi parametri di costituzionalita'; 
        e' appena il caso di ricordare che la Corte dei  conti,  Sez.
giur. Lombardia, ha gia' sollevato analoga questione di  legittimita'
costituzionale con ordinanza n.  4/2019  del  18  gennaio  2019,  con
motivazioni alle quali questo giudice intende aderire, in quanto  non
manifestamente infondate; 
        si aggiunga che, nel sistema  retributivo,  non  v'e'  nessun
rapporto tra contribuzione versata e pensione liquidata; nel  sistema
contributivo, invece, detto rapporto sarebbe  comunque  preservato  a
prescindere dal recupero del periodo di «blocco»,  essendo  liquidata
la pensione solo in base ai contributi effettivamente accreditati; 
        per l'insieme delle ragioni fin qui esposte,  ritiene  questo
giudice  che  siano  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le
sollevate questioni di legittimita'  costituzionale  (per  violazione
degli articoli 2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione),  dell'art.
9, comma 21, secondo periodo, del  decreto-legge  n.  78/2010,  nella
parte in cui stabilisce che «Per le categorie  di  personale  di  cui
all'art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive
modificazioni,  che  fruiscono  di  un  meccanismo  di   progressione
automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono  utili
ai fini della maturazione delle classi e degli  scatti  di  stipendio
previsti dai rispettivi ordinamenti», nonche' dell'art. 16, comma  1,
lettera b), del decreto-legge n. 98/2011  e  dell'art.  1,  comma  1,
lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica  4  settembre
2013, n. 122  e  dell'articolo  unico,  comma  256,  della  legge  23
dicembre  2014,  n.  190,  nella  parte  in  cui   hanno   prorogato,
rispettivamente, al 31 dicembre  2014  ed  al  31  dicembre  2015  il
termine finale del «blocco»; cio' anche  in  relazione  all'art.  11,
comma  7,  del   decreto   legislativo   n.   94/2017,   recante   il
reinquadramento di una parte del personale militare in servizio,  con
sterilizzazione e recupero, soltanto nei loro confronti, del  periodo
di blocco; 
        il presente giudizio deve essere quindi doverosamente sospeso
con  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  per   le
conseguenti valutazioni, ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
        la  statuizione  sulle  spese,  unitamente  ad   ogni   altra
questione di merito, va riservata alla sentenza definitiva. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte  dei  conti,  Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Abruzzo, con pronuncia non definitiva; 
    Ravvisata la non manifesta  infondatezza,  con  riferimento  agli
articoli 2, 3, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione,  delle  questioni
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  comma  21,   secondo
periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in
materia  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122,· dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio
2011, n. 111, come specificato dall'art.  1,  comma  1,  lettera  a),
primo  periodo,  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   4
settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del  blocco
della contrattazione e degli automatismi stipendiali per  i  pubblici
dipendenti, a norma dell'art. 16, commi 1, 2, e 3, del  decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla  legge  15
luglio 2011, n. 111);  cio'  anche  in  rapporto  a  quanto  previsto
dall'art. 11, comma 7, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94,
recante «Disposizioni in  materia  di  riordino  dei  ruoli  e  delle
carriere del personale delle Forze  armate,  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244»; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Sospende il giudizio fino alle conseguenti decisioni della  Corte
costituzionale, con onere di riassunzione a carico  delle  parti  nei
termini di legge; 
    Dispone che, a cura della segreteria, la presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  nonche'  alle
parti in causa, e sia  comunicata  ai  Presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica ai sensi dell'art. 23,  ultimo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Riserva all'esito del giudizio la statuizione sulle spese. 
    Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza. 
        Cosi' deciso in L'Aquila il 29 gennaio 2019 
 
                        Il Giudice: de Marco