N. 224 SENTENZA 8 - 29 ottobre 2019

Giudizio su conflitto di attribuzione tra Enti. 
 
Energia - Ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e  gassosi  -
  Intesa per il conferimento  di  un  permesso  di  ricerca  in  area
  denominata "Masseria La Rocca" - Diniego  da  parte  della  Regione
  Basilicata  con  delibera  di  Giunta   regionale   successivamente
  annullata dal  TAR  Basilicata  -  Conferma  dell'annullamento  con
  sentenza del Consiglio di Stato -  Conflitto  di  attribuzione  tra
  enti  promosso  dalla  Regione  Basilicata  -  Denunciata   carenza
  assoluta di giurisdizione del giudice ammnistrativo in ordine  agli
  atti d'intesa o di diniego di intesa e  conseguente  lesione  delle
  competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni  nonche'  del
  principio di leale collaborazione - Inammissibilita' del conflitto. 
- Sentenza del Consiglio di Stato 20 settembre 2018, n. 5471. 
- Costituzione, artt. 103, primo comma, 117, terzo comma, 118,  primo
  comma, 120 e 134. 
(GU n.44 del 30-10-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di  attribuzione  tra  enti,  sorto  a
seguito della sentenza del Consiglio di Stato del 20 settembre  2018,
n. 5471, promosso dalla Regione Basilicata con ricorso notificato  il
19 novembre 2018, depositato in  cancelleria  il  30  novembre  2018,
iscritto al n. 5 del registro conflitti tra enti  2018  e  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale,
dell'anno 2019. 
    Visti l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' l'atto d'intervento  ad  opponendum  di  Rockhopper
Italia spa; 
    udito nell'udienza pubblica del  24  settembre  2019  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi  gli  avvocati  Anna  Carmen  Possidente  per  la   Regione
Basilicata, Roberto Leccese per Rockhopper Italia  spa  e  l'avvocato
dello Stato Sergio Fiorentino per il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Regione Basilicata, con ricorso notificato il 19  novembre
2018 e depositato in cancelleria il 30  novembre  2018  (reg.  confl.
enti n. 5 del 2018), ha promosso conflitto di attribuzione tra  enti,
nei confronti dello Stato, in relazione alla sentenza  del  Consiglio
di Stato, sezione quarta, 20 settembre 2018, n. 5471. 
    1.1.- Secondo la parte ricorrente la decisione del  Consiglio  di
Stato sarebbe stata adottata in carenza assoluta di giurisdizione del
giudice amministrativo in ordine agli atti d'intesa o di  diniego  di
intesa previsti dalla legislazione statale in  materia.  Inoltre,  vi
sarebbe stato un erroneo  sindacato  del  giudice  amministrativo  in
relazione alla mancanza di motivazione dell'atto di diniego d'intesa. 
    La  pronuncia,  pertanto,   sarebbe   lesiva   delle   competenze
costituzionali della Regione di cui agli artt. 117,  terzo  comma,  e
118,  primo  comma,  della  Costituzione,  del  principio  di   leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost., nonche'  degli  artt.  103,
primo comma, e 134 Cost. 
    2.- In punto di fatto la Regione  Basilicata  sottolinea  che  la
sentenza  oggetto  di  censura  interviene  a  seguito   dell'istanza
effettuata da Medoilgas Italia spa, Total E&P spa e Eni spa, unite in
joint  venture,  per  il  rilascio  di  un  permesso  di  ricerca  di
idrocarburi liquidi e gassosi in un'area sita nei Comuni di Potenza e
Brindisi  di  Montagna,  convenzionalmente  denominata  "Masseria  La
Rocca". Su tale istanza il Ministero  dello  sviluppo  economico  (da
qui: Mise) aveva espresso parere favorevole (con nota del 19  ottobre
2007), chiedendo alle stesse societa' di effettuare  in  associazione
la ricerca, designando una  mandataria,  successivamente  individuata
nella Medoilgas Italia (oggi Rockhopper Italia spa).  Su  indicazione
dello stesso Mise, tale societa' presentava alla  Regione  Basilicata
la documentazione necessaria per la valutazione della  compatibilita'
ambientale, su cui la determinazione dirigenziale 21 agosto 2009,  n.
1107 si  esprimeva  escludendo  la  necessita'  del  procedimento  di
valutazione d'impatto ambientale (da qui: VIA), ai sensi della  legge
della Regione Basilicata 14 dicembre 1998, n.  47  (Disciplina  della
valutazione  di  impatto   ambientale   e   norme   per   la   tutela
dell'ambiente), con l'obbligo di rispettare alcune  prescrizioni,  in
quanto le attivita' di ricerca sarebbero consistite unicamente  nello
studio e nella rielaborazione dei dati  sismici  preesistenti,  senza
alcun possibile impatto ambientale. Imminente  la  scadenza  di  tale
esclusione, i contitolari formulavano istanza di  proroga,  rigettata
dalla Regione. Successivamente, interveniva  la  deliberazione  della
Giunta regionale 2 ottobre 2012,  n.  1288,  di  mancata  intesa  sul
rilascio del permesso, in conformita' a quanto previsto dall'art.  37
della  legge  della  Regione  Basilicata  8  agosto   2012,   n.   16
(Assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio  finanziario
2012 e del  bilancio  pluriennale  per  il  triennio  2012/2014).  Le
societa'  impugnavano  il  rigetto  della  proroga   e   il   diniego
dell'intesa  e  il  Tribunale   amministrativo   regionale   per   la
Basilicata, sezione prima, con la sentenza 8 settembre 2014, n.  617,
accoglieva  il  ricorso,  statuendo  l'obbligo   della   Regione   di
pronunciarsi nuovamente. Le societa' esperivano, quindi, giudizio  di
ottemperanza e la sentenza  del  TAR  Basilicata,  sezione  prima,  7
ottobre 2015, n. 623 accertava l'obbligo del Ministero  dell'ambiente
e  della  tutela  del  territorio  e  del  mare  (da  qui   Ministero
dell'ambiente), non della Regione, di  pronunciarsi  sull'istanza  di
proroga del provvedimento di esenzione  dalla  VIA,  in  ragione  del
trasferimento di competenze ex art. 38 del decreto-legge 12 settembre
2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per  l'apertura  dei  cantieri,  la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione  del  Paese,
la   semplificazione   burocratica,    l'emergenza    del    dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 2014, n. 164.  La
stessa pronuncia, inoltre, concedeva alla Giunta regionale il termine
perentorio di trenta giorni, decorrente  dall'eventuale  accoglimento
dell'istanza di proroga del provvedimento di esenzione dalla VIA, per
pronunciarsi nel merito dell'intesa di cui all'art. 29, comma 2,  del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti  locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo  1997,  n.  59).  Anche
tale pronuncia veniva confermata  dal  Consiglio  di  Stato,  sezione
quinta, che, con sentenza  11  luglio  2016,  n.  3058,  ne  imponeva
l'ottemperanza. Il Ministero  dell'ambiente,  quindi,  concedeva  una
proroga retroattiva  di  cinque  anni,  con  provvedimento  impugnato
innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio,  che  si
dichiarava incompetente in favore del TAR Basilicata. 
    Alla  luce  di  siffatta  vicenda,  la  Regione  Basilicata,  con
deliberazione della Giunta  regionale  29  dicembre  2016,  n.  1528,
ottemperava a quanto  previsto  dalle  citate  sentenze  dei  giudici
amministrativi, negando nuovamente l'intesa.  Tale  deliberazione  e'
stata annullata dalla sentenza del TAR Basilicata, sezione prima,  26
maggio 2017, n. 387, confermata  dalla  decisione  del  Consiglio  di
Stato n. 5471 del 2018 oggetto di censura nel presente  giudizio,  in
quanto recante un «rifiuto aprioristico» di  tale  atto  di  assenso,
privo di motivazione, con un  mero  richiamo  del  dissenso  espresso
dagli enti locali. 
    2.1.- La vicenda in questione,  dunque,  si  colloca  nell'ambito
dell'iter procedimentale rivolto  all'emissione  di  un  permesso  di
ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi. 
    Vigente la precedente formulazione del Titolo V, Parte II,  della
Costituzione, l'art. 29, comma 2, lettera l), del d.lgs. n.  112  del
1998, conservava  in  capo  allo  Stato  le  funzioni  amministrative
concernenti la prospezione e  ricerca  di  idrocarburi.  In  seguito,
l'art. 3, comma l, lettera b), del  decreto  legislativo  29  ottobre
1999, n. 443 (Disposizioni correttive ed integrative  del  D.Lgs.  31
marzo 1998, n.  112,  recante  conferimento  di  funzioni  e  compiti
amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali)  ha
modificato  tale  disposizione,  attribuendo  l'esercizio  di   dette
funzioni allo Stato, d'intesa con la  Regione  interessata.  Siffatta
modifica attuava quanto affermato dalla sentenza di questa  Corte  n.
482 del 1991, secondo cui il rilascio di tutti i titoli minerari,  di
cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l'attuazione del nuovo
Piano   energetico   nazionale:   aspetti   istituzionali,   centrali
idroelettriche   ed   elettrodotti,    idrocarburi    e    geotermia,
autoproduzione  e  disposizioni  fiscali),   doveva   essere   sempre
preceduto  da  un'intesa  con  la  Regione  interessata.  In   questa
prospettiva interveniva anche l'accordo procedimentale concluso il 24
aprile 2001 in sede di Conferenza  Stato-Regioni,  tutt'ora  vigente,
finalizzato a garantire meccanismi di leale collaborazione in materia
di rilascio di titoli minerari. 
    Assume poi la ricorrente che la legge  23  agosto  2004,  n.  239
(Riordino del settore energetico, nonche' delega al  Governo  per  il
riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia) ha recato
un ampio e generale riordino del settore  energetico,  disponendo  la
«chiamata  in  sussidiarieta'»   di   gran   parte   delle   funzioni
amministrative  concernenti  l'energia.  Com'e'  noto,  asserisce  la
Regione Basilicata, tale possibilita' risulta legittima  solo  quando
e' garantita la  partecipazione  dei  livelli  di  governo  coinvolti
attraverso strumenti  di  leale  collaborazione  e  concertativi  (si
richiamano le sentenze n. 198, n. 170 e n. 114 del  2017,  n.  6  del
2004 e n.  303  del  2003),  individuati  essenzialmente  nell'intesa
«forte» in sede di  Conferenza  unificata,  nonche',  per  i  singoli
progetti, nell'intesa «forte»  tra  l'organo  statale  competente  al
rilascio del provvedimento, la Regione e gli enti locali  interessati
dal progetto (sono richiamate le sentenze n. 117 del 2013, n. 331 del
2010, n. 62 e n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). Tali
aspetti non sarebbero stati toccati dalle modifiche di  cui  all'art.
27, comma 34, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per  lo
sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia
di energia), che prevede un procedimento unico al  quale  partecipano
le sole amministrazioni  statali  e  regionali  interessate,  dovendo
essere sempre acquisita l'intesa, come precisato dall'art.  l,  comma
7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 (sul punto sono richiamate
le sentenze n. 198, n. 170 e n. 114 del 2017). 
    Dunque, se in materia energetica  l'intesa  deve  essere  «forte»
(vengono richiamate le sentenze n. 182, n. 117 e n. 39 del  2013,  n.
278 del 2010, n. 383, n. 285 e n. 242 del 2005), l'eventuale dissenso
regionale non potrebbe essere superato senza delle serie e  reiterate
trattative, con l'impiego di specifici strumenti  di  mediazione,  ai
quali possono aggiungersi  ulteriori  garanzie  della  bilateralita',
come la partecipazione  della  Regione  alle  fasi  preparatorie  del
provvedimento statale. Ne deriva l'illegittimita' di  una  disciplina
che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, contenga  la  «drastica
previsione» della decisivita' della volonta' di una sola parte  (sono
richiamate le sentenze n. 239 e n. 39 del 2013, n. 165 e  n.  33  del
2011, n. 179 del 2012, n. 121 del 2010, n. 24 del 2007 e n.  383  del
2005). 
    2.2.-  Cio'  premesso,  nel  caso  di   specie   l'intesa   forte
conseguirebbe al citato accordo del 2001 e sarebbe espressione  delle
competenze regionali in  materia  di  valorizzazione  e  governo  del
territorio, che non sarebbero negate dall'applicazione dell'art.  29,
comma 2, lettera l), del d.lgs. n. 112 del 1998. 
    La parte ricorrente, a tal proposito, precisa che la Regione, nel
procedimento volto al rilascio dell'intesa, avrebbe un ruolo di  ente
esponenziale delle comunita' territoriali e  non  di  mediatore.  Non
sarebbero corrette, pertanto, le censure dei  giudici  amministrativi
in  relazione  all'omessa  attivazione  della  procedura   volta   al
superamento del dissenso espresso dal territorio,  manifestato  dalla
Conferenza delle  autonomie  locali  e  dal  Comune  di  Brindisi  di
Montagna. In tal senso,  anzi,  essi  cadrebbero  in  contraddizione,
laddove, da una parte ascriverebbero in capo  alla  Regione  l'omesso
tentativo di superare  il  dissenso  degli  enti  locali,  dall'altra
ammetterebbero che la stessa  Regione  sia  ente  esponenziale  delle
comunita' territoriali insediate. 
    Tale contraddizione deriverebbe dal confondere i  presupposti  di
valutazione alla base dei procedimenti di VIA e dell'intesa. La  VIA,
infatti, presupporrebbe  la  valutazione  degli  aspetti  ambientali,
mentre il rilascio dell'intesa implicherebbe una scelta di  carattere
socio-economico, da  ricondursi  alla  sfera  di  indirizzo  politico
regionale. Per tale motivo, la  legge  della  Regione  Basilicata  27
gennaio 2015, n. 4 (Collegato  alla  Legge  di  stabilita'  regionale
2015) avrebbe introdotto strumenti e procedure idonee a far valere il
parere  e  le  esigenze  delle  autonomie   locali,   prevedendo   il
coinvolgimento della Conferenza delle autonomie, che nella seduta del
14 novembre 2016 ha espresso parere negativo, di cui la  Regione  non
avrebbe potuto non tener conto nel rilasciare il proprio diniego. 
    La Regione Basilicata, d'altronde, avrebbe da tempo delineato  un
programma  di  sviluppo  non  compatibile  con  altri   progetti   di
«petrolizzazione»,  come  confermato  dalla  mozione  approvata   dal
Consiglio regionale il 20 dicembre  2016,  che  impegnava  la  Giunta
regionale  a  esprimere  parere  negativo  al  permesso  di   ricerca
"Masseria La Rocca",  nonche'  a  negare  ogni  assenso  al  progetto
petrolifero in una zona limitrofa al capoluogo regionale, anche nella
finalita' di aprire un canale di confronto con il Governo. 
    Ne deriva che il provvedimento regionale di diniego sarebbe stato
sufficientemente   istruito   e   non   un   diniego   «aprioristico»
dell'intesa. 
    In tal senso non rileverebbero  le  argomentazioni  di  cui  alla
sentenza  di  questa  Corte  n.  117  del  2013,  che  ha  dichiarato
illegittimo il citato art. 37 della legge reg. Basilicata n.  16  del
2012. Ivi, infatti, si prevedeva un  diniego  generale  all'esercizio
dei permessi di ricerca, ben diverso da una mancata intesa  attinente
al singolo caso, frutto di ragionevolezza e proporzionalita', nonche'
di   un'attenta   ponderazione   dell'istanza,   tenuto   conto   del
coinvolgimento del territorio, nel rispetto  dei  principi  di  leale
collaborazione, sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    2.3.- Dunque, sostiene la Regione Basilicata  resistente,  se  il
rilascio dell'intesa regionale fosse soggetto a  processi  automatici
di formazione,  senza  margini  di  autonomia  valutativa  regionale,
sarebbe mortificata e  compromessa  la  reale  consistenza  giuridica
dell'intesa stessa e le finalita' a  cui  essa  e'  istituzionalmente
preordinata. 
    La  pronuncia  oggetto  d'impugnativa,  quindi,  avrebbe  violato
l'autonoma attivita' discrezionale  della  pubblica  amministrazione,
nel merito sottratta al  sindacato  del  giudice  amministrativo,  in
quanto afferente a scelte di opportunita' e convenienza e,  nel  caso
di specie, anche  all'indirizzo  politico  della  Regione.  Pertanto,
poiche' l'intesa costituirebbe una compensazione per il sistema delle
autonomie riguardo  alla  perdita  di  competenza  ceduta  a  livello
centrale,   la   controversia   assumerebbe    indubbiamente    "tono
costituzionale",  con  conseguente  sindacato  soltanto  in  sede  di
conflitto di attribuzione tra enti. 
    L'ammissibilita'  dell'intervento  giurisdizionale   avverso   il
diniego d'intesa regionale,  infatti,  comporterebbe  la  rinuncia  a
qualunque tipo di trattativa  volta  a  superare  il  dissenso  e  il
passaggio a una  fase  patologica,  poco  adatta  alla  tipologia  di
relazioni ordinamentali in rilievo, che  presupporrebbe  casomai  una
fase  fisiologica  di  confronto  per  il  superamento  politico  del
dissenso. Inoltre, il ricorso proposto avverso  il  diniego  d'intesa
investirebbe in un senso cosi' evidente la dinamica  delle  relazioni
costituzionali, che se l'azione fosse  stata  proposta  dal  Governo,
anziche' dalla societa' controinteressata, il ricorso  sarebbe  stato
palesemente inammissibile, poiche' il Governo non avrebbe mai  potuto
dolersi di un atto di diniego  per  il  quale  l'ordinamento  prevede
strumenti amministrativi per il suo superamento proprio in capo  allo
Stato. Sarebbe, piuttosto, l'atto unilaterale di  esercizio  di  tali
strumenti a poter essere sindacabile,  poiche'  atto  conclusivo  del
procedimento, e solo in sede di conflitto di attribuzione. 
    La sentenza oggetto di  censura,  inoltre,  avrebbe  erroneamente
ritenuto che l'atto di diniego di intesa  abbia  un'autonoma  portata
lesiva e sia pertanto impugnabile, mentre esso sarebbe un  mero  atto
endoprocedimentale. La qual cosa  non  priverebbe  le  parti  private
d'idonei rimedi giurisdizionali a  tutela  delle  proprie  situazioni
giuridiche soggettive,  posto  che  l'interlocuzione  tra  privato  e
amministrazione  nel  procedimento  volto  al  rilascio  del   titolo
minerario non coinvolgerebbe affatto la Regione, essendo  la  domanda
rivolta al Mise, potendo  semmai  gli  interessati  proporre  ricorso
avverso il silenzio dell'autorita' preposta, quando questa non attivi
i rimedi per il superamento del dissenso. Il che si evincerebbe anche
dalla citata sentenza di questa Corte n. 33 del 2011, che prevedrebbe
solo  sull'atto  del  Governo  di   superamento   del   dissenso   la
possibilita'   di   esercizio    della    funzione    di    sindacato
giurisdizionale. 
    Il ricorso, in conclusione, non sarebbe teso solo a  dolersi  del
modo con cui il Consiglio di Stato ha  giudicato  dell'esercizio  del
diniego di intesa, bensi' tenderebbe a escludere che vi possa  essere
alcuna possibile giurisdizione in merito. Non si tratterebbe, quindi,
di  un  gravame,  mirandosi  a  negare   l'an   della   giurisdizione
amministrativa in materia di diniego di intesa. 
    2.4.-  Ne  deriva  che  lo  Stato,  attraverso  la  sentenza  del
Consiglio di Stato n. 5471 del 2018,  avrebbe  leso  gli  artt.  117,
terzo comma, 118, primo comma, Cost., nonche' il principio  di  leale
collaborazione,  che  avrebbero  invece  garantito  alla  Regione  il
diritto d'intavolare con il Governo una fase  di  trattative  rivolte
anzitutto al raggiungimento  di  una  posizione  comune  o,  in  caso
negativo, all'adozione di un atto statale di superamento  unilaterale
del dissenso medesimo. I giudici amministrativi,  inoltre,  sarebbero
incorsi in errore nell'affermare che la decisione sull'intesa  spetti
alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  richiamando  poteri
sostitutivi che, nel caso di specie, non  troverebbero  applicazione,
poiche' l'obbligo sarebbe stato ottemperato dalla Regione  Basilicata
nei tempi fissati dalle sentenze di ottemperanza. 
    Un   sindacato   giurisdizionale,   in   conclusione,   mal    si
concilierebbe con  la  natura  delle  competenze,  costituzionalmente
previste e tutelate, coinvolte, mentre sarebbe  agevole  rilevare  il
tono costituzionale del conflitto, requisito di ammissibilita'  dello
stesso (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 389, n. 276  e
n. 255 del 2007). 
    3.- Con atto depositato il 27 dicembre 2018 si e'  costituito  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso
sia dichiarato inammissibile. 
    3.1.-  Argomenta   infatti   l'Avvocatura   che,   per   costante
giurisprudenza costituzionale, il conflitto di attribuzione tra  enti
contro atti giurisdizionali non e' ammissibile qualora si risolva  in
strumento improprio di censura del modo di esercizio  della  funzione
giurisdizionale, poiche' avverso gli errori in iudicando  di  diritto
sostanziale o processuale valgono gli ordinari  rimedi  propri  degli
ordinamenti  processuali  delle  diverse   giurisdizioni.   In   caso
contrario, infatti,  il  giudizio  costituzionale  sul  conflitto  si
trasformerebbe in un nuovo  grado  di  giurisdizione  avente  portata
generale, strumento atipico  di  impugnazione,  che  si  andrebbe  ad
aggiungere ai rimedi per  far  valere  eventuali  vizi  o  errori  di
giudizio gia' previsti dall'ordinamento processuale nel quale  l'atto
di giurisdizione concretamente si iscrive (ex multis,  si  richiamano
le sentenze n. 252 del 2013 e n. 2 del 2007). 
    In particolare,  le  censure  della  parte  ricorrente  sarebbero
evidentemente volte a contestare  le  modalita'  di  esercizio  della
funzione giurisdizionale da parte del Consiglio di Stato  e,  quindi,
si sarebbero dovute far valer  con  ricorso  innanzi  alla  Corte  di
Cassazione, in applicazione dell'art.  111,  ottavo  comma,  Cost.  e
dell'art.  110  del  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.   104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo). 
    4.- Con atto depositato il 31 dicembre  2018  e'  intervenuta  in
giudizio la societa'  Rockhopper  Italia  spa,  parte  appellata  nel
giudizio oggetto della sentenza impugnata, chiedendo che  il  ricorso
della Regione Basilicata  sia  dichiarato  inammissibile  e  comunque
infondato,  specificando  le  proprie   conclusioni   nella   memoria
depositata in prossimita' dell'udienza. 
    Con specifica istanza, depositata  il  giorno  11  gennaio  2019,
l'interveniente ha chiesto la fissazione  di  un'apposita  camera  di
consiglio  per  la  decisione  sull'ammissibilita'   dell'intervento,
istanza rigettata con decreto presidenziale del 21 gennaio 2019. 
    4.1.- In punto di ammissibilita'  dell'intervento  la  difesa  di
Rockhopper Italia spa sottolinea che, secondo costante giurisprudenza
costituzionale, nel giudizio per conflitto di attribuzione tra  enti,
qualora l'oggetto del conflitto sia  tale  da  coinvolgere,  in  modo
immediato e diretto situazioni soggettive di terzi il cui pregiudizio
o la cui salvaguardia dipendono  imprescindibilmente  dall'esito  del
conflitto, e' ammissibile l'intervento di soggetti che,  quali  parti
nel giudizio la cui decisione e'  oggetto  del  conflitto,  sarebbero
incisi, senza possibilita' di far valere le  loro  ragioni,  da  tale
esito (tra le tante, sono richiamate le sentenze n. 230 del 2017,  n.
195 del 2007, n. 386 del 2005, n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001). 
    L'interveniente  e'  parte  del  giudizio  la  cui  decisione  e'
all'origine  del  conflitto  in  questione  e,   soprattutto,   unico
rappresentante dell'istanza  per  il  conferimento  del  permesso  di
ricerca di idrocarburi. Dunque, Rockhopper  Italia  spa  sarebbe  per
definizione titolare di una situazione giuridica  soggettiva  il  cui
pregiudizio e  la  cui  salvaguardia  dipenderebbero  inevitabilmente
dall'esito del conflitto, con cui la Regione tenterebbe di  rimettere
in discussione le conclusioni a cui e' giunto il Consiglio  di  Stato
con la sentenza de qua. Quindi, gli effetti  del  giudizio  sarebbero
equivalenti a quelli di un ulteriore grado di giurisdizione,  finendo
inevitabilmente   per   ripercuotersi   sulla   posizione   giuridica
soggettiva della societa'. 
    4.2.-  In  fatto  la  parte   interveniente   effettua   un'ampia
ricostruzione delle vicende all'origine del contenzioso alla base del
conflitto di attribuzione innanzi alla Corte. 
    Con  particolare  riferimento  agli  eventi  piu'   recenti,   si
evidenzia che, in ottemperanza alla sentenza del  TAR  Basilicata  n.
387 del 2017 (nonche' ai sensi dell'art. l, comma 8-bis, della  legge
n. 239 del 2004), confermata dalla sentenza  impugnata,  il  Mise  ha
trasmesso gli atti relativi  al  progetto  presentato  da  Rockhopper
Italia spa alla Presidenza del Consiglio dei ministri,  ai  fini  del
superamento della mancata intesa,  trasmissione  a  cui  hanno  fatto
seguito successive riunioni con la Regione. Con deliberazione del  12
dicembre   2018   (successiva,   quindi,   alla   sentenza    oggetto
d'impugnazione), il Consiglio dei ministri ha deciso di non  superare
il dissenso  regionale  e  di  non  consentire  la  prosecuzione  del
procedimento  finalizzato  al   conferimento   del   permesso.   Tale
deliberazione e' stata impugnata dall'interveniente  innanzi  al  TAR
Lazio, presso cui pende il relativo giudizio. Nelle  more,  con  nota
del 18 febbraio 2019, il Mise ha rappresentato  a  Rockhopper  Italia
spa che, in virtu' della suddetta deliberazione, l'istanza  volta  al
rilascio del permesso non puo'  trovare  accoglimento,  comunicandole
cosi' il preavviso di rigetto. 
    Da ultimo, Rockhopper Italia spa rileva che la Regione Basilicata
ha impugnato la sentenza del Consiglio di  Stato  n.  5471  del  2018
anche dinanzi alle Sezioni unite della  Corte  di  Cassazione  per  i
medesimi   profili,   inerenti   alla   giurisdizione   del   giudice
amministrativo, dedotti dinanzi alla Corte. 
    4.3.- Cio' premesso, in via preliminare  la  parte  interveniente
eccepisce  l'inammissibilita'  del  ricorso,  in  quanto  la  Regione
Basilicata, lungi dal contestare in radice la  spettanza  del  potere
giurisdizionale  al  Consiglio  di  Stato,  si  sarebbe  limitata   a
censurare il modo in  cui  tale  giurisdizione  si  e'  concretamente
esplicata,  denunciando  un  error  in  iudicando.   La   qual   cosa
emergerebbe dalle stesse doglianze della ricorrente, lamentando  essa
che «[e'] chiaramente  evidente  l'errore  in  iudicando  in  cui  e'
incorso  il  Collegio  Giudicante  quando  attribuisce  alla  Regione
Basilicata l'omesso compito di  avviare  attivita'  di  concertazione
tese a superare il dissenso del territorio  e  con  la  finalita'  di
pervenire ad una intesa favorevole, compito proprio dello Stato!». 
    Viene poi richiamata la costante  giurisprudenza  costituzionale,
per cui gli atti giurisdizionali possono essere posti a  base  di  un
conflitto di attribuzione tra  enti,  purche'  il  conflitto  non  si
risolva in un mezzo improprio di censura del modo di esercizio  della
funzione giurisdizionale, valendo contro gli errori  in  iudicando  i
consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle  diverse
giurisdizioni (sono richiamate, tra le altre, le sentenze n.  72  del
2012, n. 150 e n. 2  del  2007,  n.  326  e  n.  276  del  2003).  Il
conflitto, infatti, non  puo'  surrettiziamente  trasformarsi  in  un
ulteriore grado di giudizio avente portata generale (si richiamano le
sentenze n. 81 del 2012, n. 27 del 1999, n. 357 del 1996, n. 175 e n.
99 del 1991, n. 285 del 1990, n. 70 del 1985, n. 183 e n. 98 del 1981
e n. 289 del 1974). 
    Nel caso di specie,  dunque,  il  ricorso  porrebbe  un  problema
d'interpretazione  della  disciplina  applicabile  per  dirimere  nel
merito la controversia, relativo alla natura dell'intesa,  proponendo
solo formalmente un conflitto di attribuzione  che,  ictu  oculi,  si
risolverebbe in un improprio mezzo di gravame dell'impugnata sentenza
del Consiglio di Stato n. 5471 del 2018. 
    4.4.- Sempre in via preliminare, la parte interveniente asserisce
altresi' l'inammissibilita'  del  ricorso  per  cessata  materia  del
contendere,  in  quanto  la  deliberazione   regionale   di   diniego
dell'intesa  sarebbe  stata  superata  nei  fatti  a  seguito   della
deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri  che  si   e'   espressa
nell'esercizio dei poteri sostitutivi per il superamento del dissenso
regionale. 
    Ai sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
infatti, nei conflitti di attribuzione tra enti deve  necessariamente
sussistere, in capo alla Regione ricorrente, sia al momento in cui e'
proposta l'azione, sia  al  momento  della  decisione,  un  interesse
attuale e concreto all'impugnazione, che consiste «in quella utilita'
diretta ed immediata che il soggetto che agisce puo' ottenere con  il
provvedimento richiesto al giudice» (e' richiamata la sentenza n. 216
del 2008). 
    Da cio'  discenderebbe  inevitabilmente  il  difetto  d'interesse
della  Regione  Basilicata,  poiche'  una   pronuncia   della   Corte
costituzionale  risulterebbe  inutiliter  data,  tenuto   conto   che
l'eventuale annullamento della sentenza impugnata non avrebbe  alcuna
rilevanza   pratico-giuridica,   essendosi   oramai    concluso    il
procedimento avviato ai sensi dell'art. 1, comma 8-bis,  della  legge
n. 239 del 2004, volto al superamento del dissenso regionale. 
    4.5.- Nel merito il ricorso risulterebbe comunque non fondato. 
    4.5.1.- Come chiarito dalla sentenza n. 117 del 2013, l'intesa e'
riconducibile al principio di leale  collaborazione,  ragionevolmente
tradotto in materia dal legislatore statale  nell'art.  1,  comma  7,
lettera n),  della  legge  n.  239  del  2004.  Atteso  il  carattere
necessario dell'intesa, il  rifiuto  aprioristico  di  tale  atto  di
assenso si porrebbe in aperto  contrasto  con  la  ratio  stessa  del
principio di leale collaborazione, che impone il rispetto,  caso  per
caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo  svolgimento
di reiterate trattative. Com'e' noto,  infatti,  nel  rispetto  della
potesta' legislativa concorrente Stato-Regioni in materia energetica,
la Regione non gode di un potere di veto sui progetti in  materia  di
idrocarburi (e' richiamata, ex multis, la sentenza di questa Corte n.
131 del 2016). 
    Nel caso di specie, invece, la  ricorrente  avrebbe  abusato  del
potere attribuitole  dalla  legge,  pretendendo  illegittimamente  di
esercitare un potere di veto sul progetto (si richiama la sentenza di
questa Corte n. 239 del 2013). Infatti, il fatto che la Regione abbia
opposto un rifiuto aprioristico e non abbia compiuto alcuna attivita'
volta  al  raggiungimento  dell'intesa  avrebbe  reso  di   per   se'
illegittima la deliberazione della Giunta regionale n. 1528 del 2016,
considerata altresi' la  mancanza,  nella  relativa  motivazione,  di
adeguate  evidenze  circa  il  necessario  previo  esperimento  delle
trattative imposte dall'indole bilaterale dell'intesa. In presenza di
una  pregressa  e  approfondita  istruttoria   tecnica   in   materia
ambientale (di cui  alla  determinazione  dirigenziale  n.  1107  del
2009), anzi, ancor piu' la Regione avrebbe  dovuto  farsi  carico  di
spiegare adeguatamente sulla base di quali dati e di quali ragioni  i
relativi risultati non fossero condivisibili (e' richiamata sul punto
TAR Lazio, sezione terza-ter, sentenza  9  marzo  2006,  n.  2996)  e
perche' potesse essere negata la realizzazione di  un  progetto  gia'
positivamente valutato nel 2009. 
    In casi analoghi, d'altronde, i giudici amministrativi  avrebbero
sancito l'illegittimita' di delibere di diniego dell'intesa  motivate
in base all'opposizione delle comunita' locali, in quanto un  diniego
fondato su tali opposizioni sarebbe comunque illogico (e'  richiamata
TAR Basilicata, sezione  prima,  sentenza  25  giugno  2015  n.  325,
confermata da Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 15  luglio
2016, n. 3151). 
    4.5.2.- Ne' potrebbe eccepirsi, come fa la difesa regionale,  che
gli atti d'intesa o  di  diniego  dell'intesa  sarebbero  sindacabili
esclusivamente nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti. 
    Ai sensi dell'art. 39 della legge n. 87  del  1953,  infatti,  il
conflitto di attribuzione risulta un rimedio esperibile se la Regione
invade con un proprio atto la sfera  di  competenza  assegnata  dalla
Costituzione allo Stato o a un'altra  Regione,  o  viceversa,  se  lo
Stato invade con un proprio atto la sfera di competenza regionale. 
    Il conflitto  di  attribuzione,  quindi,  avrebbe  semmai  potuto
essere sollevato dallo Stato, qualora  esso  avesse  ravvisato  nella
deliberazione regionale di  diniego  dell'intesa  un'invasione  della
propria  sfera  di  competenze.  Anzi,  proprio  la  violazione   del
principio di leale collaborazione e'  stata  richiamata  dal  giudice
amministrativo  quale  causa   sintomatica   d'illegittimita'   della
deliberazione regionale di diniego dell'intesa, che sarebbe  un  atto
di natura amministrativa,  in  quanto  tale  impugnabile  davanti  al
giudice amministrativo dal soggetto che ne subisca una  lesione,  nel
caso di specie la Rockhopper Italia spa. 
    Ne' sarebbe possibile limitare tale tutela alla sola possibilita'
di stimolare, per il tramite di un'azione amministrativa, gli  organi
centrali ad avocare a se' l'atto (in caso di inerzia della Regione) o
ad attivare i meccanismi di superamento  del  dissenso  (in  caso  di
diniego di intesa). Infatti, secondo  un  costante  orientamento  dei
giudici  amministrativi,   il   diniego   d'intesa   costituisce   un
provvedimento amministrativo idoneo a ledere la  posizione  giuridica
soggettiva del richiedente il permesso, che, pertanto, puo'  attivare
gli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento.  Ove  si  aderisse
alla  tesi  prospettata  dalla  Regione,  invece,  si  determinerebbe
un'evidente  lesione  del  diritto   di   difesa   costituzionalmente
garantito, perche' il privato resterebbe nell'impossibilita' di agire
avverso un atto direttamente lesivo dei propri interessi. 
    4.5.3.- In conclusione, il giudice amministrativo non si  sarebbe
affatto sostituito  all'amministrazione,  limitandosi  a  esercitare,
nell'ambito della propria giurisdizione, il controllo sul corretto  e
congruo esercizio del potere amministrativo da parte  della  Regione,
mediante   la   verifica   della   correttezza   dell'istruttoria   e
dell'adeguatezza  della  motivazione  espressa  nella   deliberazione
regionale. Inoltre, la deliberazione regionale oggetto della sentenza
impugnata e'  stata  resa  in  ottemperanza  alle  sentenze  del  TAR
Basilicata n. 617 del 2014 e n. 623 del 2015 e del Consiglio di Stato
n. 3058 del 2016 e, pertanto, anche sotto questo profilo risulterebbe
innegabile la giurisdizione  del  giudice  amministrativo,  che  puo'
conoscere di tutte le questioni relative all'ottemperanza. 
    Ne deriverebbe l'infondatezza dell'azione promossa dalla  Regione
Basilicata, mossa da finalita'  meramente  strumentali  e  dilatorie,
confermate dal fatto che la stessa ha impugnato la medesima  sentenza
dinanzi alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, ivi deducendo i
medesimi motivi inerenti alla giurisdizione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Basilicata, con  ricorso  iscritto  al  n.  5  del
registro  conflitti  tra  enti  2018,  ha   promosso   conflitto   di
attribuzione tra enti, nei confronti dello Stato, in  relazione  alla
sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, 20  settembre  2018,
n. 5471. 
    1.1.- Tale decisione ha  confermato  la  sentenza  del  Tribunale
amministrativo per la Basilicata, sezione prima, 26 maggio  2017,  n.
387, che ha annullato la  deliberazione  della  Giunta  regionale  29
dicembre 2016, n. 1528, con la quale la Regione Basilicata ha  negato
l'intesa - di cui all'art. l, comma 7, lettera  n),  della  legge  23
agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonche'  delega
al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia  di
energia) e all'art. 29, comma 2, lettera l), del decreto  legislativo
31  marzo  1998,  n.  112  (Conferimento  di   funzioni   e   compiti
amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,  n.  59)  -  per  il
rilascio di un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi  e  gassosi
in un'area sita  nei  Comuni  di  Potenza  e  Brindisi  di  Montagna,
convenzionalmente denominata "Masseria La Rocca",  su  istanza  della
societa' Rockhopper  Italia  spa.  Siffatta  deliberazione,  infatti,
recherebbe un «rifiuto aprioristico» di tale atto di  assenso,  privo
di motivazione, risolvendosi nel mero richiamo del dissenso  espresso
dagli enti locali. 
    2.- Secondo la parte ricorrente la sentenza  oggetto  di  censura
sarebbe lesiva delle competenze costituzionali della Regione  di  cui
agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, della  Costituzione,
del principio di leale collaborazione  ex  art.  120  Cost.,  nonche'
degli artt. 103, primo comma, e 134 Cost. 
    2.1.- Le attribuzioni regionali in materia,  infatti,  in  quanto
costituzionalmente previste e tutelate,  non  sarebbero  conciliabili
con un sindacato giurisdizionale, che  inciderebbe  su  una  fase  di
dialogo  politico  tra  Stato  e  Regione,  prodromico  all'eventuale
successiva  intesa,  che  solo  in  caso  di   suo   esito   negativo
consentirebbe allo Stato di adottare un atto unilaterale per superare
il dissenso regionale. Da  cio',  tra  l'altro,  deriverebbe  la  non
autonoma   lesivita'   dell'atto    di    diniego,    perche'    atto
endoprocedimentale  relativo  appunto  a  una  fase  d'interlocuzione
politica tra Stato e Regione. 
    La decisione  del  Consiglio  di  Stato,  quindi,  sarebbe  stata
adottata  in  carenza   assoluta   di   giurisdizione   del   giudice
amministrativo in ordine agli atti d'intesa  o  di  diniego  d'intesa
previsti dalla legislazione statale in materia e sarebbe in ogni caso
erroneo il sindacato del giudice  amministrativo  in  relazione  alla
mancanza di motivazione dell'atto di diniego. 
    3.-  In  via  preliminare  deve  essere  dichiarato   ammissibile
l'intervento di Rockhopper Italia spa. 
    3.1.-  Com'e'  noto,  sebbene  nel  giudizio  per  conflitto   di
attribuzione tra enti, di regola, non  sia  ammesso  l'intervento  di
soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o  a
resistervi, non puo' escludersi che l'oggetto del conflitto sia  tale
da coinvolgere, in modo immediato e diretto, situazioni soggettive di
terzi, il cui pregiudizio o la cui salvaguardia dipendono  dall'esito
dello stesso (tra le tante, sentenze n. 230 del 2017  e  n.  305  del
2011; ordinanza letta in udienza, allegata alla sentenza n.  380  del
2007). 
    Con specifico riferimento ai conflitti su  atti  giurisdizionali,
pertanto, questa Corte ha in piu'  occasioni  dichiarato  ammissibile
l'intervento di soggetti che, quali parti nel giudizio  ordinario  la
cui decisione era oggetto  del  conflitto,  sarebbero  stati  incisi,
senza possibilita' di far valere  le  loro  ragioni,  dall'esito  del
giudizio per conflitto (tra tutte, sentenza n. 195 del 2007). 
    Tali condizioni ricorrono nel caso di specie, poiche' tale  esito
incide  sul  diritto  della  parte  interveniente  fatto  valere  nel
giudizio comune, deciso  con  la  sentenza  del  Consiglio  di  Stato
all'origine del medesimo conflitto. 
    4.-  Sempre  in  via  preliminare  deve  essere  invece  respinta
l'eccezione d'inammissibilita' sollevata da Rockhopper Italia spa per
cessazione della materia del contendere, in quanto alla deliberazione
regionale di diniego  dell'intesa  avrebbe  ormai  fatto  seguito  la
deliberazione del Consiglio dei ministri 12  dicembre  2018,  che  ha
ritenuto di non superare il dissenso regionale,  venendo  cosi'  meno
l'interesse a ricorrere della Regione Basilicata. 
    4.1.-  Come  da  costante   giurisprudenza   costituzionale,   la
cessazione  della  materia  del  contendere  ricorre  quando   l'atto
impugnato risulti annullato con efficacia ex  tunc,  con  conseguente
venir  meno  delle  affermazioni  di  competenza  determinative   del
conflitto e, quindi, dell'interesse del  ricorrente  a  ottenere  una
decisione sull'appartenenza del  potere  contestato,  non  rilevando,
invece, le sopravvenienze di fatto, quale, ad  esempio,  il  semplice
esaurimento degli effetti dell'atto impugnato (ex multis, sentenze n.
183 del 2017, n. 9 del 2013, n. 328 del 2010 e n. 150 del 1981). 
    Nel caso di specie, invece, la sentenza del  Consiglio  di  Stato
oggetto d'impugnazione mantiene i suoi effetti anche  successivamente
alla citata deliberazione del Consiglio dei ministri (in  particolate
tenuto conto che la stessa e' stata oggetto d'impugnazione). Inoltre,
e soprattutto, vertendo le doglianze della Regione  ricorrente  sulla
sussistenza della giurisdizione amministrativa su atti che  sarebbero
sindacabili esclusivamente in sede di conflitto di  attribuzione  tra
enti, permane l'interesse ad accertare i  limiti  del  sindacato  del
giudice  amministrativo   e   le   conseguenti   possibili   ricadute
sull'autonomia costituzionale regionale (tra le  tante,  sentenze  n.
260 del 2016 e n. 9 del 2013). 
    5.-  Il  conflitto  di  attribuzione   promosso   dalla   Regione
Basilicata risulta comunque inammissibile. 
    5.1.-   La   Regione   Basilicata   afferma   in   primo    luogo
l'insussistenza di qualsiasi possibile giurisdizione, salvo quella di
questa Corte, in merito agli atti  di  diniego  d'intesa,  in  virtu'
della natura costituzionale delle competenze regionali in questione e
del  principio  di  leale  collaborazione.  In  altri   termini,   la
ricorrente    sembra     eccepire     una     sorta     di     natura
"politico-costituzionale" degli atti di diniego  d'intesa  (categoria
ormai piuttosto ristretta, come sottolineato,  tra  le  altre,  dalle
sentenze n. 81 del 2012 e n. 103  del  1993),  pur  senza  richiamare
esplicitamente i limiti di cui all'art. 7 del decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo amministrativo) e senza che tale  argomento  sia  stato  mai
dedotto in sede di contenzioso innanzi al giudice  amministrativo.  A
cio' si aggiunga che successivamente alla proposizione del  conflitto
e' stato esperito dalla Regione il ricorso alle Sezioni  unite  della
Corte di cassazione per difetto assoluto di giurisdizione,  ai  sensi
dell'art. 362, primo comma, del codice di procedura civile. 
    5.2.- Cio' premesso, con specifico riferimento agli atti d'intesa
relativi ai permessi di prospezione e ricerca degli idrocarburi,  gli
stessi ricadono  nella  sfera  applicativa  del  principio  di  leale
collaborazione in materie di  competenza  concorrente  Stato-Regione,
quali   la   «produzione   trasporto   e   distribuzione    nazionale
dell'energia» (da ultimo, sentenze n. 170 e n. 114 del 2017), nonche'
il «governo del territorio» (tra tutte, sentenza n. 117 del 2013). La
qual cosa e' stata tradotta a livello legislativo dall'art. 1,  comma
7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 (cosi' le sentenze n.  117
del 2018, n. 131 del 2016 e n. 117 del 2013). 
    La natura dell'intesa fa si' che l'eventuale  diniego  non  possa
mai avere carattere generale,  come  prevedeva,  invece,  l'art.  37,
comma l, della legge della Regione Basilicata 8 agosto  2012,  n.  16
(Assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio  finanziario
2012  e  del  bilancio  pluriennale  per  il   triennio   2012/2014),
dichiarato illegittimo da questa Corte con la  sentenza  n.  117  del
2013. Cio', infatti, si pone in contrasto con  la  ratio  stessa  del
principio di leale collaborazione, che esige il  rispetto,  caso  per
caso, di una procedura articolata, nonche' l'enunciazione dei  motivi
di un eventuale diniego, il quale non  puo'  risolversi  in  un  mero
rifiuto (in tal senso anche le sentenze n. 114 del 2017 e n. 142  del
2016); in assenza di tale enunciazione, infatti, sarebbe frustrata la
stessa fase di trattative tesa a superare il dissenso  regionale,  di
cui non sarebbero desumibili le ragioni. 
    L'atto  d'intesa,  quindi,  e'  il  risultato  di   un   apposito
procedimento, che trova nella legge e nei principi costituzionali  la
sua disciplina e i  suoi  limiti.  Non  a  caso,  la  stessa  Regione
ricorrente, con la legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n.
4 (Collegato alla Legge di stabilita' regionale 2015), ha previsto un
suo   specifico   procedimento   per   regolare   le   modalita'   di
coinvolgimento delle autonomie locali nel  rilascio,  o  nel  mancato
rilascio, dell'intesa. 
    Proprio  la  previsione   di   una   compiuta   regolazione   del
procedimento di stipulazione delle intese (diversamente, ad  esempio,
da quanto avviene per le intese ex art. 8 Cost., di cui alla sentenza
n. 52 del 2016), pertanto, rende il  rispetto  dei  vincoli  da  esso
posti,  ivi  incluso  l'obbligo  di  motivazione,  un  requisito   di
legittimita' e di validita', sindacabile nelle sedi appropriate. 
    Non c'e' dubbio che nella materia in questione vengano  in  gioco
competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione,  ma  cio'  non
basta, di per  se',  a  riconoscere  un  "tono  costituzionale"  alle
censure svolte  dalla  ricorrente.  La  natura  costituzionale  delle
competenze, infatti,  cosi'  come  il  potere  discrezionale  che  ne
connota i relativi atti di esercizio, non esclude  la  sindacabilita'
nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti,  quando  essi
trovano  un  limite  «nei  principi   di   natura   giuridica   posti
dall'ordinamento, tanto a livello  costituzionale  quanto  a  livello
legislativo» (sentenza n. 81 del 2012). Cio' e' ancora piu'  vero  in
casi come quello in esame, ove  sono  coinvolti  anche  interessi  di
privati,  che  potrebbero  risultare   pregiudicati   dalla   mancata
giustiziabilita' degli atti che incidono su di essi. 
    In casi del genere il giudice amministrativo non  si  sostituisce
all'amministrazione, ma si limita  a  esercitare,  nell'ambito  della
propria  giurisdizione,  il  controllo  sull'esercizio   del   potere
amministrativo da parte della Regione, che la Corte non  puo'  essere
chiamata a sindacare in sede di conflitto di attribuzione. 
    5.3.- L'inammissibilita' del  conflitto  emerge  anche  sotto  un
altro profilo, se si considera che la ricorrente piu' volte qualifica
la deliberazione della Giunta regionale n.  1528  del  2016  come  un
provvedimento di diniego sufficientemente istruito, su cui il giudice
amministrativo   avrebbe   erroneamente   esercitato    la    propria
giurisdizione di legittimita'. 
    Com'e' noto, infatti, gli  atti  giurisdizionali  possono  essere
posti alla base di un conflitto di attribuzione  tra  enti,  purche',
pero', il conflitto non si risolva in un mezzo improprio  di  censura
del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo  contro
gli errori in iudicando i consueti rimedi previsti dagli  ordinamenti
processuali delle diverse giurisdizioni e non  potendo  il  conflitto
surrettiziamente trasformarsi  in  un  ulteriore  grado  di  giudizio
avente portata generale (ex plurimis, sentenze n. 107  del  2015,  n.
252 del 2013, n. 81 e n. 72 del 2012, n. 130 del 2009, n. 195, n. 150
e n. 2 del 2007, n. 326 e n. 276 del 2003, n. 27 del 1999, n.  175  e
n. 99 del 1991, n. 285 del 1990, n. 70 del 1985, n. 183 del 1981,  n.
289 del 1974 e n. 110 del 1970). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara ammissibile l'intervento in  giudizio  di  Rockhopper
Italia spa; 
    2) dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra  enti,
sorto a  seguito  della  sentenza  del  Consiglio  di  Stato  del  20
settembre 2018, n. 5471, promosso dalla  Regione  Basilicata  con  il
ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 ottobre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA