N. 191 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 luglio 2019

Ordinanza del 2 luglio 2019 della Commissione tributaria  provinciale
di Milano sul ricorso proposto da  Tecnogras  S.r.l.  contro  Agenzia
delle entrate - Direzione provinciale II di Milano. 
 
Imposte e tasse -  Indeducibilita'  dell'imposta  municipale  propria
  (IMU) dalle imposte erariali sui redditi e  dall'imposta  regionale
  sulle attivita' produttive. 
- Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni  in  materia
  di federalismo Fiscale Municipale), art. 14,  comma  1  "nella  sua
  formulazione originaria". 
(GU n.45 del 6-11-2019 )
 
           LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO 
                           Sezione ottava 
 
    nelle persone di: 
        Renato G. Bricchetti - presidente; 
        Livia Martinelli - giudice; 
        Guido Nicolardi - giudice estensore, 
ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.   6229/2018
depositato l'11 dicembre 2018; 
    Avverso diniego rimborso IRES - altro 2012, contro: Agenzia delle
entrate - Direzione provinciale II di Milano; 
    Proposto dal ricorrente: Tecnogras S.r.l., via Achille Grandi  n.
5 - 20056 Trezzo sull'Adda (MI), difeso da: Del Torchio Fabiola,  via
Santa Sofia n. 27 - 20122 Milano; difeso da:  Vigevani  Giulio  Enea,
via Noe Enrico n. 7 - 20133 Milano. 
1. Giudizio e fattispecie concreta. 
    La S.r.l. Tecnogras, rappresentata e difesa dagli avvocati Giulio
Enea Vigevani e Fabiola Del Torchio di Milano, ha proposto ricorso  a
questa commissione, registrato al  n.  6229/18,  avverso  il  rifiuto
tacito della  Agenzia  delle  entrate  -  D.P.  II  di  Milano  -  di
rimborsare, come richiestole con istanza del 31  ottobre  2016,  IRES
per l'anno 2012. 
    La societa' ricorrente, attiva nel settore immobiliare (acquisto,
vendita,  locazione,  leasing,   costruzione,   ristrutturazione)   e
proprietaria di diverse unita' immobiliari,  aveva,  nell'anno  2012,
partecipato con altra societa' controllata al consolidato fiscale  in
qualita' di consolidante, trasferendo reddito per oltre 2.000.000  di
euro, con un'eccedenza per IRES e ritenute alla fonte di circa 50.000
euro, mentre la societa' consolidata (S.p.a. Ediltecno  Group)  aveva
esposto perdite per circa 215.000 euro. 
    L'IRES dovuta dalla ricorrente era di euro  462.686,00  al  netto
delle eccedenze, dei quali versati 108.105 in  acconto  e  342.938  a
saldo. 
    Nel medesimo anno erano stati versati euro 582.923,00 complessivi
per IMU cadente su immobili propri. Derivandone un  credito  di  euro
160.303,83, ne era stato richiesto il rimborso. 
    Sostiene la ricorrente il proprio diritto alla deduzione dell'IMU
versata, che ha dato luogo all'importo chiesto a rimborso, in  virtu'
di quanto disposto dall'art. 99  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917,  pur  considerando  che  il
legislatore, con l'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo
2011, n. 23, istitutivo dell'IMU,  ha  considerato  indeducibile,  ai
fini delle imposte dirette dovute dalle imprese,  tale  imposta,  per
poi «tornare  sui  propri  passi»  con  la  legge  n.  147  del  2013
(finanziaria 2014), stabilendone la deducibilita'. 
    La ricorrente conclude chiedendo che sia riconosciuto il  diritto
al rimborso  e  che  la  Agenzia  delle  entrate  sia  condannata  al
pagamento. 
    In via subordinata, la ricorrente ha chiesto  che  sia  sollevata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma  1,  del
decreto legislativo n.  23/2011,  nel  testo  originario  applicabile
ratione temporis, segnatamente per l'anno di  imposta  2012,  ponendo
l'attenzione sul contrasto di detta disposizione con  i  principi  di
cui agli articoli 3, 41 e 53 della Costituzione. 
2. Disposizione oggetto della questione e rilevanza della questione. 
    La  disposizione  di  cui  all'art.  14,  comma  1,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella  sua  formulazione  originaria
(«1. L'imposta  municipale  propria  e'  indeducibile  dalle  imposte
erariali  sui  redditi  e  dall'imposta  regionale  sulle   attivita'
produttive»), i) pone il divieto  di  ammettere  l'IMU  in  deduzione
dalle imposte erariali sui redditi, in deroga all'art. 99,  comma  1,
del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917
(«Le imposte sui redditi  e  quelle  per  le  quali  e'  prevista  la
rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione.  Le  altre
imposte sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento»),
ii) si applica ratione temporis  al  periodo  di  imposta  a  cui  si
riferisce la richiesta di rimborso nel caso in  esame,  iii)  la  sua
applicazione conduce inevitabilmente al rigetto della richiesta e del
ricorso poiche' inibisce il rimborso. 
    Ne deriva la rilevanza della questione di legittimita' avente  ad
oggetto tale disposizione, poiche' essa deve  necessariamente  essere
applicata nel presente giudizio e soltanto l'accertata illegittimita'
costituzionale consente di eliminare l'eccezione alla regola generale
della  deducibilita',  riconducendo  pienamente  anche   l'IMU   alla
disciplina prevista dall'art. 99, comma 1, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 917/1986. 
    In altri termini, solo l'accoglimento della presente questione di
legittimita' puo' consentire a questa  commissione  di  concedere  il
rimborso richiesto dalla ricorrente. 
3.  Parametri  costituzionali  e  non  manifesta  infondatezza  della
questione. 
    3.1. La disposizione di cui all'art. 14,  comma  1,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella  sua  formulazione  originaria
(«1. L'imposta  municipale  propria  e'  indeducibile  dalle  imposte
erariali  sui  redditi  e  dall'imposta  regionale  sulle   attivita'
produttive») contrasta con il principio di capacita' contributiva  di
cui all'art. 53 della Costituzione. 
    In base a detto principio, il presupposto di  imposta,  anche  se
individuato discrezionalmente dal legislatore, deve sempre  riferirsi
a   «indici   concretamente   rilevatori   di    ricchezza»    (Corte
costituzionale, sentenze n. 16 del 2002; n. 229 del 1999; n. 143  del
1982); il  tributo  deve  dunque  colpire  un  presupposto  economico
effettivo. In applicazione di tale principio, la  tassazione  diretta
che grava sulle societa' deve essere  commisurata  al  reddito  netto
effettivo, calcolato al netto delle spese  inerenti  alla  produzione
del reddito stesso. E dunque i  costi  e  gli  oneri  sostenuti,  ove
presentino  i  requisiti  di  inerenza,  certezza  e   di   oggettiva
determinabilita', devono necessariamente poter essere  dedotti  dalle
entrate  lorde;  proprio  cio'  che  invece  non  e'  consentito   in
applicazione della norma impugnata. 
    L'indeducibilita' totale  o  parziale,  infatti,  e'  ammissibile
soltanto con riguardo a costi che presentano elementi  di  incertezza
nell'inerenza o nella determinazione, o ancora qualora sia fondato il
pericolo che la deduzione di tali costi rischi di coprire  l'elusione
o l'evasione fiscale; e cosi', come rilevato in dottrina,  «non  puo'
mai essere, quindi, dichiarato indeducibile, neanche parzialmente, il
costo di un fattore ordinario, certo ed essenziale per la  produzione
del reddito [...], pena la sicura violazione (almeno)  del  principio
di capacita' contributiva, dovendo  sempre  sussistere  una  ragione,
ovvero un rapporto, fra novella ricchezza e prelievo impositivo». 
    Per le societa', la spesa per il pagamento dell'IMU  deve  essere
considerata un costo inerente alla produzione del reddito. 
    Tale esborso, infatti, deriva dagli  immobili  strumentali  della
societa' stessa; inoltre esso e' un costo certo,  la  cui  misura  e'
determinata d'imperio dalla legge, senza alcuno spazio  discrezionale
lasciato all'imprenditore. 
    L'art. 14, comma 1, del decreto  legislativo  n.  23/2011  -  nel
testo  applicabile  al  presente  giudizio  -   nega   in   toto   la
deducibilita' dell'IMU dalle imposte sui redditi; in questo modo,  la
base imponibile IRES non e'  depurata  da  una  spesa  sostenuta  per
produrre il reddito stesso. La base imponibile  IRES  viene  cosi'  a
comporsi di una ricchezza soltanto  virtuale,  che  corrisponde  alla
mancata deduzione di un  costo  certo  e  inerente,  qual  e'  quello
dell'imposta municipale unica. 
    Per effetto della norma impugnata, pertanto, l'IRES non  colpisce
piu'  il  reddito  netto  prodotto  dall'impresa,  ma  colpisce   una
grandezza  diversa,  cioe'  il  reddito  al   lordo   delle   imposte
indeducibili:  tale  reddito  almeno  in  parte  non  rappresenta   e
tantomeno non esprime una  forza  economica  concreta.  E  dunque  la
tassazione ai fini delle imposte dirette va a gravare su  un  reddito
d'impresa in  parte  fittizio,  in  contrasto  con  il  principio  di
capacita' contributiva. 
    3.2. La disposizione di cui all'art. 14,  comma  1,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella  sua  formulazione  originaria
contrasta con il divieto di doppia imposizione  di  cui  all'art.  53
della Costituzione. 
    A causa dell'applicazione di tale disposizione,  la  societa'  e'
costretta a pagare, di fatto, due volte  un'imposta  sulla  base  del
medesimo presupposto: la proprieta' del bene immobile, infatti, da un
lato determina  l'obbligo  di  versare  l'IMU,  dall'altro  determina
l'impossibilita' di dedurre tale costo, che dunque concorre a formare
la base imponibile sulla quale e' liquidata l'imposta sui redditi. 
    Si tratta dunque di una violazione del principio del  divieto  di
doppia   imposizione,   principio   costantemente   affermato   dalle
disposizioni legislative - da ultimo ribadito dalla legge n.  42/2009
all'art. 2, primo comma, lettera o) - ma soprattutto  estrinsecazione
del piu' alto principio costituzionale di capacita'  contributiva  di
cui all'art. 53 della Costituzione. 
    Secondo la dottrina, infatti, il divieto  di  doppia  imposizione
esprime  «un  indirizzo  vincolante  anche,  e  in  primis,  per   il
legislatore, che, se pure gode  di  un'ampia  discrezionalita'  nella
selezione dei fatti indice di capacita' contributiva, deve poi essere
coerente nel disegnare le fattispecie imponibili,  evitando  che  uno
stesso tributo colpisca piu' volte  una  medesima  manifestazione  di
ricchezza». 
    Tra l'altro, la doppia o plurima imposizione tributaria  si  pone
in contrasto con l'art. 53 della Costituzione anche perche' essa puo'
condurre all'esaurimento della  capacita'  contributiva,  o  comunque
puo' costituire un carico eccessivo  che  supera  il  limite  massimo
tollerabile per il prelievo tributario. E dunque, nel caso di specie,
la mancata deducibilita' dell'IMU conduce di fatto a un  fenomeno  di
doppia imposizione che non e' consentito dalle norme costituzionali. 
    3.3. La disposizione di cui all'art. 14,  comma  1,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella  sua  formulazione  originaria
contrasta con il principio di ragionevolezza ex articoli 3 e 53 della
Costituzione. 
    L'IRES, in base all'art. 75, comma 1, del decreto del  Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, «si  applica  sul  reddito
complessivo netto». 
    L'art. 14, comma 1, del decreto legislativo  n.  23/2011  non  si
concilia pero' con tale previsione. 
    Non puo', invero, essere considerato netto un reddito da cui  non
si possono dedurre i costi sostenuti per il  pagamento  dell'IMU.  E,
dunque, tale irragionevole scelta del legislatore non solo  viola  il
principio di capacita' contributiva, ma si pone altresi' in contrasto
con  il  piu'  generale  principio  di  ragionevolezza,  poiche'   la
disciplina normativa  che  riguarda  l'imponibile  (per  cui  non  e'
consentita  la  deducibilita'  dell'IMU)  non  e'  coerente  con   la
struttura  stessa  del  presupposto  dell'imposta   (che   e',   come
ricordato, il «reddito complessivo netto»). 
    In   materia   tributaria,   il   legislatore   gode    di    una
discrezionalita'  ampia  nel  fissare   il   presupposto   d'imposta;
tuttavia, nell'individuazione dei  singoli  elementi  che  concorrono
alla  formazione  della  base  imponibile  tale  discrezionalita'  si
restringe in modo considerevole, perche' e' tenuto a configurare  una
base  imponibile  che  sia  ragionevole  e   coerente   rispetto   al
presupposto prescelto. 
    Si tratta del resto di una declinazione del principio generale di
ragionevolezza di cui all'art. 3, comma primo, della Costituzione, in
base al quale  quando  il  legislatore  individua  una  finalita'  da
perseguire, questa deve essere poi sviluppata in modo coerente  dallo
stesso (v., per tutte,  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  89  del
1996). 
    Tornando al caso in  esame,  la  disciplina  in  base  a  cui  si
configura la  base  imponibile  dell'IRES  dovrebbe  essere  tale  da
colpire il «reddito complessivo netto». 
    Invece l'art. 14, comma 1, del  decreto  legislativo  n.  23/2011
esclude - nel testo applicabile nel presente giudizio -  o  limita  a
una percentuale fissa - nel testo come successivamente  modificato  -
la  deducibilita'  di  un  costo  qual  e'  il  pagamento   dell'IMU;
disposizioni  di  questo  tipo  derogano  rispetto   al   presupposto
d'imposta individuato  dalla  legge  e,  in  assenza  di  una  valida
giustificazione, determinano la violazione della ragionevolezza della
disciplina  del  tributo  imposta  dagli  articoli  3  e   53   della
Costituzione. 
    3.4. La disposizione di cui all'art. 14,  comma  1,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella  sua  formulazione  originaria
contrasta con il principio di uguaglianza di  cui  all'art.  3  della
Costituzione e con  la  liberta'  di  iniziativa  economica  privata,
tutelata dall'art. 41 della Costituzione. 
    La disposizione censurata si pone, inoltre, in contrasto  con  il
principio di eguaglianza formale sotto un diverso profilo. 
    La mancata deducibilita', infatti, ha un impatto sul piano  della
cd. equita' orizzontale (i soggetti che  hanno  la  stessa  capacita'
contributiva  devono  essere  tassati   in   modo   eguale)   perche'
irragionevolmente sottopone a maggiore tassazione la societa' che  si
serve di immobili strumentali di proprieta'  rispetto  a  quella  che
invece utilizza immobili strumentali che non sono di sua  proprieta':
quest'ultima puo' infatti dedurre tutti i costi e gli oneri  relativi
agli immobili, mentre la societa' che utilizza immobili di proprieta'
non  puo',  in  tutto  (per  il  2012)  o  in  parte  (per  gli  anni
successivi), dedurre l'onere tributario che grava sugli stessi. 
    A tal proposito si specifica  che  non  e'  la  natura  di  onere
tributario a giustificare tale  differenza  in  relazione  al  regime
della deducibilita'. 
    Infatti, la TASI e' deducibile dal conduttore e dal proprietario;
e si tratta di un'imposta che ha un presupposto pressoche' identico a
quello dell'IMU (il possesso o la detenzione di  immobili),  con  cui
pure condivide le regole di determinazione della base imponibile. 
    L'indeducibilita',   soprattutto    se    totale,    conduce    a
un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  tra  societa'  che,  a
parita' di reddito netto, sono state  assoggettate  nel  2012  ad  un
diverso carico fiscale soltanto per la diversa incidenza del  tributo
indeducibile: la misura dell'IRES 2012 e' dipesa,  tra  l'altro,  dal
presupposto di un diverso tributo e soltanto per quelle societa'  che
erano proprietarie di immobili strumentali; cosi', coeteris  paribus,
risultava  maggiormente   colpita   la   societa'   che   ha   dovuto
corrispondere l'IMU  e  non  invece  altri  tipi  di  spese.  E  tale
disparita' di  trattamento  non  appare  giustificata  da  differenze
qualitative apprezzabili del costo in esame rispetto alla generalita'
dei costi deducibili, cosi' ponendosi  in  contrasto  con  l'art.  3,
primo comma, della Costituzione. 
    Tale irragionevole disparita' di trattamento penalizza,  inoltre,
le societa' che  hanno  scelto  -  anche  in  tempi  risalenti  -  di
investire parte del proprio capitale o dei propri utili nell'acquisto
di immobili strumentali, cosi' rendendo migliori da un punto di vista
fiscale altre scelte di investimento degli utili e senza che  vi  sia
un motivo ragionevole. 
    Non c'e' infatti  ragione  per  gravare  le  societa'  che  hanno
investito negli immobili strumentali di un  carico  fiscale  maggiore
rispetto a quelle che hanno, invece, deciso di non dare agli utili la
medesima  destinazione  (e  possono   beneficiare,   inoltre,   della
deducibilita' delle spese  sostenute  per  l'eventuale  locazione  di
immobili funzionali). 
    La disposizione censurata, pertanto, discriminando le societa' in
ragione di scelte di investimento senza che vi sia un valido  motivo,
si pone in contrasto anche con la liberta'  di  iniziativa  economica
privata, tutelata dall'art. 41 della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 2, comma terzo, della legge 11 marzo  1953,  n.  87,
dichiara non manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma  1,  del  decreto  legislativo  14
marzo 2011, n. 23 nella sua formulazione  originaria  («1.  L'imposta
municipale propria e' indeducibile dalle imposte erariali sui redditi
e dall'imposta regionale sulle attivita' produttive») per  contrasto,
nei termini indicati in motivazione, con gli  articoli  3,  53  e  41
della Costituzione. 
    Dispone: 
        la sospensione del procedimento; 
        la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        la notificazione  della  presente  ordinanza,  a  cura  della
cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri; 
        la comunicazione della stessa al Presidente della Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica; 
        la notificazione alle parti. 
    Cosi' deciso in Milano il 14 maggio 2019. 
 
                      Il Presidente: Bricchetti 
 
                                      Il Giudice estensore: Nicolardi