N. 200 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 2019

Ordinanza del 5 aprile 2019 del Magistrato di sorveglianza  di  Lecce
sull'istanza proposta da S. A.. 
 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Permessi premio -
  Esclusione del beneficio, secondo il diritto  vivente,  in  assenza
  della collaborazione con la giustizia, per  il  condannato  per  il
  delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo n.
  286 del 1998, commesso e giudicato  prima  dell'entrata  in  vigore
  della legge n. 43 del 2015. 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Permessi premio -
  Divieto di concessione, in  assenza  della  collaborazione  con  la
  giustizia, per i condannati per il  delitto  di  cui  all'art.  12,
  commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 4-bis, comma 1. 
(GU n.46 del 13-11-2019 )
 
                  UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI LECCE 
 
    Il Magistrato di sorveglianza nel procedimento per la concessione
di permesso premio a S. A., nato a ... il ...,  residente  a  ...  in
..., detenuto presso la Casa  circondariale  di  ...  con  fine  pena
all'11 ottobre 2020. 
 
                        Considerato in fatto 
 
    In data 31  gennaio  2019,  S.  A.  depositava,  presso  la  Casa
circondariale di ..., istanza intesa ad ottenere un  permesso  premio
ex art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, pervenuta il 18 febbraio
2019 presso l'Ufficio di sorveglianza di Lecce. 
    S. e' attualmente detenuto presso la Casa circondariale  di  ...,
in  espiazione  di  provvedimento  di  cumulo  emesso  dalla  Procura
generale della Repubblica presso la Corte di appello di Lecce  il  14
giugno 2017, con  attuale  scadenza  della  pena  prevista  per  l'11
ottobre 2020. 
    Il  provvedimento   di'   unificazione   di   pene   concorrenti,
attualmente in esecuzione per S. A., comprende: 
        1) la sentenza emessa dalla Corte di appello di  Lecce  il  5
novembre 1999: condanna alla pena di anni 1 mesi 6 di reclusione  per
violazione delle norme sulla  disciplina  dell'immigrazione  e  sulla
condizione dello straniero ex art. 10, commi 1 e 3,  legge  delega  6
marzo 1998, n. 40, consumata il 7 giugno 1998, in Cellino  San  Marco
(reato ostativo ex art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi'  come
modificato dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito nella
legge 17  aprile  2015,  n.  43,  essendo  configurabile  continuita'
normativa tra l'art. 10, commi 1 e 3, legge n. 40/1998 e  l'art.  12,
commi 1 e 3, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286); 
        2) la  sentenza  emessa  dal  Tribunale  di  Brindisi  il  19
settembre 2000: condanna alla pena di anni 1 e mesi 8  di  reclusione
per violazione delle norme sulla disciplina dell'immigrazione e sulla
condizione  dello  straniero  ex  art.  12,  commi  1  e  3,  decreto
legislativo n. 286/1998, consumata il 24 settembre 1998, in Gioia del
Colle (reato ostativo ex art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi'
come modificato dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7,  convertito
nella legge 17 aprile 2015, n. 43); 
        3) la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce  del  9
ottobre 2013:  condanna  alla  pena  di  anni  5  di  reclusione  per
violazione delle norme sulla  disciplina  dell'immigrazione  e  sulla
condizione dello straniero ex art. 10, comma  3,  legge  n.  40/1998,
consumata dal 6 febbraio 2001 al 27 maggio 2001, in  Brindisi  (reato
ostativo ex  art.  4-bis,  comma  1,  ordinanza  penale,  cosi'  come
modificato dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito nella
legge 17 aprile 2015, n. 43). 
    La pena  complessivamente  inflitta  e'  di  anni  7  mesi  5  di
reclusione, ma anni 3 di reclusione sono stati oggetto di condono. 
    Il titolo esecutivo indica, quale pena  residua  da  espiare,  la
reclusione di anni 3 mesi 9 giorni 18. 
    Il  condannato  ha  un  presofferto  di  mesi  7  giorni  18   di
reclusione. Ha ottenuto 180 giorni di liberazione anticipata. 
    La decorrenza della pena e' stata fissata al 22 giugno 2017 e  la
scadenza della pena, ad oggi, e' fissata all'11 ottobre 2020. 
    Il condannato ha  espiato  al  1°  aprile  2019,  considerato  il
presofferto e i giorni di liberazione  anticipata,  anni  2  mesi  10
giorni 22 di reclusione. 
    Ove fosse stata applicabile  la  disciplina  vigente  al  momento
della commissione del  fatto  o  del  passaggio  in  giudicato  delle
sentenze inserite nel cumulo (vecchia  formulazione  dell'art.  4-bis
ordinanza penale), anche tenuto  conto  del  fatto  che  il  condono,
secondo  consolidato  orientamento   giurisprudenziale,   non   viene
considerato pena espiata (ex plurimis Cassazione, sez. I, sentenza 15
marzo 2000, n. 1967 Cc.  (dep.  4  maggio  2000)  Rv.  215920  -  01,
Presidente: La Gioia V.D., estensore: La Gioia  V.D.),  egli  avrebbe
raggiunto i limiti di pena per poter fruire del permesso premio. 
    Essendo, infatti, la pena complessiva pari ad anni 7  mesi  5  di
reclusione, ai sensi dell'art. 30-ter, comma 4, lettera b)  ordinanza
penale, il  permesso  premio  avrebbe  potuto  essere  concesso  dopo
l'espiazione di almeno un quarto della pena, ovvero dopo anni 1  mesi
10 e giorni 12 di reclusione. 
    Nel merito, S. A., in data 5 febbraio 2019, ha ottenuto il parere
favorevole del direttore della Casa circondariale di per la fruizione
di permessi premio, finalizzati a mantenere e rafforzare  i  rapporti
affettivi con la madre e con la figlia. 
    Nella  relazione  di  sintesi  del   12   settembre   2018,   con
aggiornamenti comportamentali fino al 5 febbraio 2019,  si  riferisce
che il  detenuto  ha  sempre  mantenuto  comportamento  corretto;  e'
impegnato in un positivo percorso di revisione  critica  rispetto  al
reato per  il  quale  e'  in  esecuzione  la  condanna;  ha  mostrato
interesse nei confronti  delle  proposte  offerte  nell'ambito  delle
attivita' di trattamento;  ha  partecipato  ai  corsi  di  formazione
professionale per assistente familiare. 
    Nel corso della detenzione egli  ha  mantenuto  contatti  con  la
madre e con la figlia, effettuando regolari colloqui. Il delitto  era
maturato, secondo quanto scrivono gli esperti, in un periodo di gravi
difficolta' economiche, mentre, successivamente, egli  aveva  trovato
un'attivita' di lavoro stabile fino al  momento  della  carcerazione.
Durante il periodo di detenzione ha sempre mostrato disponibilita' ai
colloqui con  gli  operatori,  assumendosi  ogni  responsabilita'  in
ordine alle azioni delittuose addebitategli. Ha dimostrato  un  forte
legame con la famiglia di origine e con le  figlie.  Viene  descritto
come soggetto  semplice,  mite,  tranquillo,  che  si  e'  posto  nei
confronti degli operatori sempre con  modalita'  serene  e  adeguate.
L'equipe ha concluso per l'utilita' dei permessi  premio,  attestando
un comportamento corretto fino al 5 febbraio 2019.  Il  detenuto  non
annovera procedimenti penali pendenti ne' altri precedenti penali. La
Questura di Brindisi, con nota informativa del 25 ottobre  2018,  non
riferisce altre negativita' oltre a quelle  legate  ai  fatti  per  i
quali sta espiando condanna. Il giudizio di pericolosita' sociale del
condannato, alla luce delle emergenze istruttorie  e,  quindi,  della
partecipazione  all'opera  rieducativa  e  della   progressione   del
trattamento,  consentirebbe  la  concessione  del  permesso   premio.
Tuttavia, poiche', con decreto-legge  n.  7/2015,  il  reato  di  cui
all'art.  12,  commi  1  e  3  del  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  (che   si   pone   in
continuita' normativa con l'art. 10, commi 1 e 3, legge n.  40/1998),
e' stato inserito nel primo comma di  cui  all'art.  4-bis  ordinanza
penale, S. si trova in espiazione di reati ostativi assoluti,  e  gli
e' precluso, ad oggi, l'accesso alle misure  alternative,  al  lavoro
all'esterno e ai permessi premio in assenza di collaborazione con  la
giustizia, ai sensi dell'art. 58-ter della stessa legge. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Si  rileva,  preliminarmente,   la   legittimazione   di   questo
Magistrato di sorveglianza ex art. 23, comma 1, legge 11 marzo  1953,
n. 87, a  sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
considerazione  della  natura  giurisdizionale  dei  procedimenti  di
concessione e diniego del permesso premio (Corte cost.,  sentenza  n.
227/1995, Vassalli). 
    Allo  scopo  di  valutare  la  rilevanza  e  la   non   manifesta
infondatezza della questione  che  si  intende  prospettare,  occorre
evidenziare quale sia l'ostacolo da rimuovere. Esso e'  rappresentato
dall'art. 4-bis, comma 1, ordinanza  penale,  cosi'  come  modificato
dalla legge n. 43/2015, che inserisce  una  presunzione  assoluta  di
pericolosita' sociale,  in  assenza  di  collaborazione,  per  taluni
autori di reato che  nell'originaria  formulazione  della  norma  non
erano  ricompresi.  Secondo  il  «diritto  vivente»,   l'art.   4-bis
ordinanza penale ha efficacia immediata in  quanto  norma  di  natura
processuale. La non  immediata  applicabilita'  della  norma  di  cui
all'art.  4-bis  ordinanza  penale  ai  reati   commessi   in   epoca
antecedente  alla  riforma  del  2015,  sarebbe  l'unico   modo   per
consentire la concessione del beneficio del permesso premio a S.  A.,
sul presupposto dell'assenza di' pericolosita' sociale dello  stesso,
gia' valutata nel merito. 
    Passando alla disamina della  questione  di  incostituzionalita',
essa si' pone sotto diversi profili. 
    La prima questione che  si  intende  porre,  appunto,  e'  quella
relativa alla incostituzionalita' dell'art.  4-bis  ordinanza  penale
avuto riguardo al  «diritto  vivente»,  che  ne  sancisce  la  natura
processuale, piu' volte ribadita  da  una  lettura  giurisprudenziale
consolidata, a seguito della decisione delle sezioni unite del 2006. 
    Infatti, le  disposizioni  concernenti  l'esecuzione  delle  pene
detentive  e  le  misure  alternative  alla   detenzione,   che   non
riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della  pena,  ma
soltanto le modalita' esecutive della stessa,  sono  considerate,  da
giurisprudenza  consolidata,   norme   penali   processuali   e   non
sostanziali  e,  pertanto,  ritenute  soggette,  in  assenza  di  una
specifica disciplina transitoria, al principio tempus regit  actum  e
non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel
tempo dall'art. 2 codice penale e dall'art.  25  Cost.  (Cass.,  sez.
unite, 30  maggio  2006,  n.  24561,  Rv.  233.976;  ed  ex  plurimis
Cassazione, sez. I, sentenza 12 novembre 2009, n. 46924 del Cc. (dep.
9 dicembre 2009 ) Rv. 245689 - 01). 
    In applicazione di tale interpretazione, con riferimento ai reati
ascritti' a S. A. consumati  e  giudicati  prima  che  l'art.  3-bis,
comma, decreto-legge n. 7/2015, convertito  con  modificazioni  nella
legge  n.  43/2015,  modificasse  l'art.  4-bis   ordinanza   penale,
inserendo l'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/98 tra i
reati ostativi  contemplati  nel  primo  comma,  il  permesso  premio
richiesto non puo' essere concesso. 
    In via gradata puo' suscitare forti dubbi di  incostituzionalita'
anche l'omessa previsione di  un  regime  di  diritto  intertemporale
nella stessa legge n. 43/2015. 
    La Corte  costituzionale,  gia'  con  la  sentenza  n.  306/1993,
sottolineava  come  la  tesi  secondo  la  quale  il   principio   di
irretroattivita' sia applicabile, oltre che per la pena,  anche  alle
disposizioni che ne regolano  l'esecuzione,  «potrebbe  meritare  una
seria riflessione». 
    Probabilmente,   avendo   riguardo   agli   effetti    dirompenti
dell'inserimento di una normativa restrittiva in corso di  esecuzione
della pena, il legislatore aveva, opportunamente, adottato,  in  piu'
occasioni, prima del 2015,  disposizioni  transitorie  finalizzate  a
temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche  via
via apportate all'art.  4-bis  ordinanza  penale,  quali  ad  esempio
quelle contenute nell'art. 4, comma 1, legge 23 dicembre 2002, n. 279
(che inseriva i reati di cui agli articoli  600,  601  e  602  codice
penale nell'art. 4-bis ordinanza penale) limitandone l'applicabilita'
ai soli reati commessi successivamente all'entrata  in  vigore  della
legge. 
    Analogo accorgimento non e' stato adottato  dal  legislatore  del
2015, come neppure in sede di  approvazione  della  legge  9  gennaio
2019, n. 3 (c.d. L. «spazza-corrotti»). 
    Al fine di focalizzare l'attenzione sulla irragionevolezza di una
modifica peggiorativa delle norme in  materia  di  esecuzione  penale
relative alle  misure  alternative  e  ai  permessi  premio  che  sia
immediatamente applicabile,  e'  utile  evidenziare  alcuni  principi
elaborati in sede di legittimita' e in alcune  sentenze  della  Corte
costituzionale. 
    E' dato acquisito in giurisprudenza di legittimita' ed in  alcune
sentenze della Corte delle leggi, ad esempio, che esiste il principio
di «non regressione nel trattamento», sicche' non sono state ritenute
revocabili le misure alternative in atto al momento  dell'entrata  in
vigore dell'art. 4-bis ordinanza penale, che le avrebbe  vietate,  in
nome  del  canone  della  ragionevolezza,  purche'  in   assenza   di
comportamenti che avessero denotato mancanza di meritevolezza  (Corte
cost., sentenza n. 306/1993). La Corte  ha,  di  fatto,  imposto  una
normativa transitoria rispetto alle esecuzioni  in  corso,  orientata
nel senso di non vanificare o comunque interrompere quei percorsi  di
trattamento che gia' avessero dato segnali di riuscita.  In  seguito,
e' stata dichiarata l'incostituzionalita'  della  norma  (art.  4-bis
ordinanza penale  cit.)  nella  parte  in  cui  avrebbe  precluso  la
prosecuzione del percorso premiale a chi ne avesse  gia'  fruito  con
esito positivo (v. Corte costituzionale, sentenza  n.  504/1995).  Il
principio e' stato esteso a tutti i casi in cui  il  detenuto  avesse
raggiunto, prima dell'entrata in vigore delle norme  restrittive,  un
livello di rieducazione adeguato al  beneficio  richiesto  (v.  Corte
costituzionale, sentenza n. 445/1997 e, specificamente in materia  di
permessi premio, Corte costituzionale, sentenza 14  aprile  1999,  n.
nella quale si legge: «cosi' come e' stato  affermato  che  non  puo'
essere  negata  l'ammissione  alla  semiliberta'  nei  confronti  dei
condannati che prima dell'entrata in vigore dell'art. 15, comma 1 del
decreto-legge  n.  306/1992   abbiano   raggiunto   un   livello   di
rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i  quali  non  sia
accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la  criminalita'
organizzata, altrettanto non puo' non ripetersi nei  confronti  degli
stessi soggetti, e nel ricorrere di  tutte  le  altre  condizioni  di
legge,  per  l'ammissione  al  beneficio  previsto  dall'art.  30-ter
ordinanza penale. Ed infatti  il  permesso  premio  pur  non  potendo
essere  ricondotto  alla  categoria  delle  misure  alternative  alla
detenzione,  e',  per  il  chiaro  dettato  della  legge,  una  parte
integrante del programma di trattamento e, secondo proposizioni  piu'
volte  ripetute  in  decisioni  di   questa   Corte,   strumento   di
rieducazione  in  quanto  consente  un'iniziale   reinserimento   del
condannato nella societa'»). 
    Nel caso al nostro esame, tuttavia, non e' possibile concedere il
permesso premio effettuando una interpretazione della norma in  senso
costituzionalmente orientato, perche',  al  momento  dell'entrata  in
vigore della modifica legislativa che inseriva l'art. 12, commi  1  e
3, decreto-legislativo n. 286/1998 tra i reati  ostativi  di  cui  al
primo comma dell'art. 4-bis ordinanza penale, l'esecuzione della pena
di S. A. non era neppure iniziata. 
    L'applicabilita' immediata a S. delle restrizioni di cui all'art.
4-bis ordinanza penale con riferimento alla  fruizione  delle  misure
alternative  e  dei  permessi  premio  puo'  avere,  dunque,  effetti
dirompenti, laddove si consideri che  la  fase  dell'esecuzione  puo'
sempre intervenire, e nel caso di' specie e' intervenuta,  per  varie
ragioni, molto tempo dopo la  irrevocabilita'  della  sentenza  e  la
commissione dei reati. 
    Nel caso che ci occupa la prima sentenza in  esecuzione  inserita
nel cumulo e' passata in giudicato il 28 aprile 2000, la  seconda  il
17 ottobre 2000, la terza il 1° ottobre 2014,  e  riportano  condanne
per reati consumati rispettivamente il 7 giugno 1998, il 24 settembre
1998, il 6 febbraio 2001. 
    Il condannato non si e' piu' reso  autore  di  reati  negli  anni
successivi, non  ha  procedimenti  penali  pendenti,  ha  avviato  un
percorso  di  reinserimento  sociale,  in   liberta',   anche   prima
dell'esecuzione della pena, sicche' il  quadro  offerto  dalle  carte
processuali  stride  vistosamente  con  la  presunzione  assoluta  di
pericolosita'  successivamente  inserita  nell'art.  4-bis  ordinanza
penale. 
    La ritenuta natura processuale della norma stride, altresi',  con
i principi espressi nella piu'  recente  giurisprudenza  della  Corte
europea per i diritti dell'uomo (v. sentenza Del Rio Prada c. Spagna,
2013) che ha riconosciuto rilevanza, con riferimento alla  violazione
dell'art.   7   della   Convenzione   EDU,   anche    al    mutamento
giurisprudenziale  in  tema  di  un   istituto   riconducibile   alla
liberazione anticipata prevista dal  nostro  ordinamento,  in  quanto
suscettibile  di  comportare  effetti  peggiorativi,   giungendo   ad
affermare che ai fini del rispetto del principio dell'affidamento del
consociato circa la prevedibilita'  della  sanzione  penale,  occorre
avere riguardo non  solo  alla  pena  irrogata,  ma  anche  alla  sua
esecuzione.  La  Grande  Camera  sembra  riconoscere  l'esigenza   di
applicare il  principio  di  irretroattivita'  anche  in  materia  di
esecuzione della pena. 
    Di recente la Suprema Corte (v. Cassazione, Sez. VI, sentenza  14
marzo 2019, n.  12541)  ha  ritenuto  non  manifestamente  infondata,
sebbene non rilevante nel caso  al  suo  vaglio,  una  prospettazione
difensiva,   avanzata   con   riferimento   alla   cosiddetta   legge
«spazza-corrotti» (legge 9 gennaio 2019, n. 3). 
    A parere della Corte di legittimita' e' evidente come «l'avere il
legislatore cambiato in itinere le «carte in tavola» senza  prevedere
alcuna norma transitoria, presenti tratti di dubbia  conformita'  con
l'art.  7  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e,  quindi,  con  l'art.  117
della Costituzione,  laddove  si  traduce,  per  il  condannato,  nel
passaggio «a sorpresa» e dunque  non  prevedibile,  da  una  sanzione
patteggiata «senza assaggio di pena» ad una sanzione  con  necessaria
incarcerazione,  giusta  il  gia'  rilevato  operare  del   combinato
disposto degli articoli 656, comma 9 lettera a) codice  di  procedura
penale e 4-bis ordinanza penale». 
    Il   caso   esaminato    dalla    Suprema    Corte,    riferitile
all'impossibilita' di sospensione dell'esecuzione della  pena  per  i
reati di recente introdotti nell'art. 4-bis  ord.  pen.,  cosi'  come
interpretato   nel   «diritto   vivente»,   fa    riferimento    alla
irragionevolezza del riconoscimento di  natura  processuale  all'art.
4-bis ordinanza penale, sebbene con riferimento all'art. 656 c.p.p. 
    Modifiche come quelle apportate all'art. 4-bis  ordinanza  penale
dalla legge «spazza-corrotti»,  come  dalla  legge  n.  43/2015,  che
preclude a S. l'accesso ai permessi premio,  decidono  i  margini  di
compressione della liberta' personale, frustrando la possibilita'  di
conoscere e calcolare, prima di agire, le conseguenze  della  propria
condotta.  Riconoscere  a  detta  norma  natura  processuale,   cosi'
precludendo l'applicazione del principio  di  irretroattivita'  della
legge penale, appare contrario al principio di ragionevolezza. 
    Quanto al secondo rilievo di incostituzionalita' che  si  intende
avanzare,  esso  riguarda  l'irragionevole  inserimento,   in   tempi
diversi, di sempre nuove fattispecie  di  reato  tra  quelle  di  cui
all'art. 4-bis ordinanza penale. 
    Se e' vero che quella di cui all'art. 4-bis ordinanza penale  non
e'  un'ipotesi  di  preclusione  assoluta  all'accesso  ai   benefici
penitenziari,  essendo  rimessa  al  condannato  la  possibilita'  di
superare il divieto attraverso una scelta collaborativa, rilevante ai
sensi  dell'art.  58-ter  ordinanza  penale,  e'   vero   anche   che
l'inserimento di reati che non hanno matrice associativa  tra  quelli
per  i  quali  le  preclusioni  sono   previste,   rende   la   norma
irragionevole. 
    Se e' vero che rispetto ad alcuni istituti  e  per  alcuni  reati
l'obiettivo prioritario e' quello di  incentivare  la  collaborazione
con la giustizia, quale  strategia  di  contrasto  alla  criminalita'
organizzata attraverso la rescissione definitiva dei  legami  con  le
associazioni di appartenenza,  appare  priva  di  ragionevolezza  una
disposizione che assimili condotte delittuose cosi' diverse tra loro,
precludendo  ad  una  categoria  cosi'  ampia  e   diversificata   di
condannati  il  diritto  di  ricevere  un  trattamento  penitenziario
rivolto alla risocializzazione, senza che  sia  data  al  giudice  la
possibilita' di verificare  in  concreto  la  permanenza  o  meno  di
condizioni di pericolosita' sociali  tali  da  giustificare  percorsi
penitenziari non aperti alla realta' esterna. 
    Se e' vero che per gli appartenenti alle consorterie  mafiose  la
collaborazione con la giustizia e' certamente indice  di  rescissione
del legame con  gli  altri  appartenenti  al  sodalizio,  ovvero  una
manifestazione inequivocabile del definitivo distacco  dal  sodalizio
in cui gravitavano, il che corrobora la strategia di  contrasto  alla
criminalita' organizzata, non altrettanto puo' dirsi con  riferimento
alla collaborazione se richiesta per reati non associativi. 
    Se e' vero che la collaborazione puo' essere  indice  di  «sicuro
ravvedimento», cosi' come affermato dalla Corte costituzionale con la
sentenza  del  5  luglio  2001,  n.  273,  decidendo  in  materia  di
liberazione condizionale, non tutte  le  misure  alternative  possono
essere  concesse  solo  sul  presupposto  del  «sicuro  ravvedimento»
richiesto dall'art. 176 codice penale Peraltro, solo con  riferimento
ai reati associativi il «sicuro ravvedimento»  passa  inevitabilmente
attraverso la  collaborazione  con  la  giustizia,  quale  indice  di
interruzione dei rapporti con il circuito del crimine organizzato. 
    Per alcune tipologie  di  reati,  dunque,  la  collaborazione  e'
l'unico strumento per verificare che il detenuto abbia intrapreso  un
autentico percorso rieducativo; per altre tipologie di reati, invece,
il percorso rieducativo puo' essere testato attraverso una  serie  di
indici piu' ampi. Non avendo, infatti, il  condannato  stretto  alcun
vincolo,  alcuna  affectio  societatis  scelerum,   che   rappresenta
elemento caratterizzante la consumazione del reato  di  cui  all'art.
416-bis  codice  penale,  il  recupero  sociale  non   deve   passare
attraverso una rescissione drastica di alcun vincolo. 
    La pericolosita' sociale non puo', pertanto, essere  presunta  in
modo assoluto in assenza di collaborazione con la giustizia per reati
che non rispondono a  quelle  esigenze  social-preventive  che  hanno
portato all'introduzione dell'art. 4-bis ordinanza penale. 
    Le considerazioni esposte impongono di dichiarare rilevante e non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi'  come  interpretato
nel «diritto vivente», con riferimento agli articoli 25, comma 2, 117
Cost. e  7  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in  cui  esclude
che il condannato per il delitto di cui all'art. 12,  commi  1  e  3,
decreto  legislativo  n.  286/1998,  commesso   e   giudicato   prima
dell'entrata in vigore della legge n. 43/2015, non possa  fruire  del
beneficio  dei  permessi   premio   in   assenza   della   prova   di
collaborazione con  la  giustizia;  di  dichiarare  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
in riferimento agli articoli 3, comma 1, 27,  commi  1  e  3,  Cost.,
dell'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, nella parte in cui impone
il divieto di fruire dei permessi premio ai condannati per il delitto
di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n.  286/1998  in
assenza di collaborazione con la giustizia. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge n. 87/1953, dichiara: 
        rilevante e non manifestamente  infondata,  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis,  comma  1,  ordinanza
penale,  cosi'  come  interpretato   nel   «diritto   vivente»,   con
riferimento  agli  articoli  25,  comma  2,  117  Cost.  e  7   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, nella parte in cui esclude che  il  condannato
per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3,  decreto  legislativo
n. 286/1998, commesso e giudicato prima dell'entrata in vigore  della
legge n. 43/2015, non possa fruire del beneficio dei permessi  premio
in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; 
        rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma 1,
27, commi 1 e 3, Cost., dell'art. 4-bis, comma  1,  ordinanza  penale
nella parte in cui impone il divieto di fruire dei permessi premio ai
condannati per il delitto di cui all'art. 12, commi 1  e  3,  decreto
legislativo  n.  286/1998  in  assenza  di  collaborazione   con   la
giustizia. 
    Sospende il presente provvedimento. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di  cui  all'art.  23,
ultimo comma, legge n. 87/1953  e  dispone  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
 
        Lecce, 5 aprile 2019 
 
               Il Magistrato di sorveglianza: Casciaro