N. 200 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 aprile 2019
Ordinanza del 5 aprile 2019 del Magistrato di sorveglianza di Lecce sull'istanza proposta da S. A.. Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Permessi premio - Esclusione del beneficio, secondo il diritto vivente, in assenza della collaborazione con la giustizia, per il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998, commesso e giudicato prima dell'entrata in vigore della legge n. 43 del 2015. Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Permessi premio - Divieto di concessione, in assenza della collaborazione con la giustizia, per i condannati per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 4-bis, comma 1.(GU n.46 del 13-11-2019 )
UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI LECCE Il Magistrato di sorveglianza nel procedimento per la concessione di permesso premio a S. A., nato a ... il ..., residente a ... in ..., detenuto presso la Casa circondariale di ... con fine pena all'11 ottobre 2020. Considerato in fatto In data 31 gennaio 2019, S. A. depositava, presso la Casa circondariale di ..., istanza intesa ad ottenere un permesso premio ex art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, pervenuta il 18 febbraio 2019 presso l'Ufficio di sorveglianza di Lecce. S. e' attualmente detenuto presso la Casa circondariale di ..., in espiazione di provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Lecce il 14 giugno 2017, con attuale scadenza della pena prevista per l'11 ottobre 2020. Il provvedimento di' unificazione di pene concorrenti, attualmente in esecuzione per S. A., comprende: 1) la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 5 novembre 1999: condanna alla pena di anni 1 mesi 6 di reclusione per violazione delle norme sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione dello straniero ex art. 10, commi 1 e 3, legge delega 6 marzo 1998, n. 40, consumata il 7 giugno 1998, in Cellino San Marco (reato ostativo ex art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi' come modificato dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito nella legge 17 aprile 2015, n. 43, essendo configurabile continuita' normativa tra l'art. 10, commi 1 e 3, legge n. 40/1998 e l'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286); 2) la sentenza emessa dal Tribunale di Brindisi il 19 settembre 2000: condanna alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione per violazione delle norme sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione dello straniero ex art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998, consumata il 24 settembre 1998, in Gioia del Colle (reato ostativo ex art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi' come modificato dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito nella legge 17 aprile 2015, n. 43); 3) la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce del 9 ottobre 2013: condanna alla pena di anni 5 di reclusione per violazione delle norme sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione dello straniero ex art. 10, comma 3, legge n. 40/1998, consumata dal 6 febbraio 2001 al 27 maggio 2001, in Brindisi (reato ostativo ex art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi' come modificato dal decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito nella legge 17 aprile 2015, n. 43). La pena complessivamente inflitta e' di anni 7 mesi 5 di reclusione, ma anni 3 di reclusione sono stati oggetto di condono. Il titolo esecutivo indica, quale pena residua da espiare, la reclusione di anni 3 mesi 9 giorni 18. Il condannato ha un presofferto di mesi 7 giorni 18 di reclusione. Ha ottenuto 180 giorni di liberazione anticipata. La decorrenza della pena e' stata fissata al 22 giugno 2017 e la scadenza della pena, ad oggi, e' fissata all'11 ottobre 2020. Il condannato ha espiato al 1° aprile 2019, considerato il presofferto e i giorni di liberazione anticipata, anni 2 mesi 10 giorni 22 di reclusione. Ove fosse stata applicabile la disciplina vigente al momento della commissione del fatto o del passaggio in giudicato delle sentenze inserite nel cumulo (vecchia formulazione dell'art. 4-bis ordinanza penale), anche tenuto conto del fatto che il condono, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, non viene considerato pena espiata (ex plurimis Cassazione, sez. I, sentenza 15 marzo 2000, n. 1967 Cc. (dep. 4 maggio 2000) Rv. 215920 - 01, Presidente: La Gioia V.D., estensore: La Gioia V.D.), egli avrebbe raggiunto i limiti di pena per poter fruire del permesso premio. Essendo, infatti, la pena complessiva pari ad anni 7 mesi 5 di reclusione, ai sensi dell'art. 30-ter, comma 4, lettera b) ordinanza penale, il permesso premio avrebbe potuto essere concesso dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena, ovvero dopo anni 1 mesi 10 e giorni 12 di reclusione. Nel merito, S. A., in data 5 febbraio 2019, ha ottenuto il parere favorevole del direttore della Casa circondariale di per la fruizione di permessi premio, finalizzati a mantenere e rafforzare i rapporti affettivi con la madre e con la figlia. Nella relazione di sintesi del 12 settembre 2018, con aggiornamenti comportamentali fino al 5 febbraio 2019, si riferisce che il detenuto ha sempre mantenuto comportamento corretto; e' impegnato in un positivo percorso di revisione critica rispetto al reato per il quale e' in esecuzione la condanna; ha mostrato interesse nei confronti delle proposte offerte nell'ambito delle attivita' di trattamento; ha partecipato ai corsi di formazione professionale per assistente familiare. Nel corso della detenzione egli ha mantenuto contatti con la madre e con la figlia, effettuando regolari colloqui. Il delitto era maturato, secondo quanto scrivono gli esperti, in un periodo di gravi difficolta' economiche, mentre, successivamente, egli aveva trovato un'attivita' di lavoro stabile fino al momento della carcerazione. Durante il periodo di detenzione ha sempre mostrato disponibilita' ai colloqui con gli operatori, assumendosi ogni responsabilita' in ordine alle azioni delittuose addebitategli. Ha dimostrato un forte legame con la famiglia di origine e con le figlie. Viene descritto come soggetto semplice, mite, tranquillo, che si e' posto nei confronti degli operatori sempre con modalita' serene e adeguate. L'equipe ha concluso per l'utilita' dei permessi premio, attestando un comportamento corretto fino al 5 febbraio 2019. Il detenuto non annovera procedimenti penali pendenti ne' altri precedenti penali. La Questura di Brindisi, con nota informativa del 25 ottobre 2018, non riferisce altre negativita' oltre a quelle legate ai fatti per i quali sta espiando condanna. Il giudizio di pericolosita' sociale del condannato, alla luce delle emergenze istruttorie e, quindi, della partecipazione all'opera rieducativa e della progressione del trattamento, consentirebbe la concessione del permesso premio. Tuttavia, poiche', con decreto-legge n. 7/2015, il reato di cui all'art. 12, commi 1 e 3 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione (che si pone in continuita' normativa con l'art. 10, commi 1 e 3, legge n. 40/1998), e' stato inserito nel primo comma di cui all'art. 4-bis ordinanza penale, S. si trova in espiazione di reati ostativi assoluti, e gli e' precluso, ad oggi, l'accesso alle misure alternative, al lavoro all'esterno e ai permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, ai sensi dell'art. 58-ter della stessa legge. Considerato in diritto Si rileva, preliminarmente, la legittimazione di questo Magistrato di sorveglianza ex art. 23, comma 1, legge 11 marzo 1953, n. 87, a sollevare questione di legittimita' costituzionale, in considerazione della natura giurisdizionale dei procedimenti di concessione e diniego del permesso premio (Corte cost., sentenza n. 227/1995, Vassalli). Allo scopo di valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione che si intende prospettare, occorre evidenziare quale sia l'ostacolo da rimuovere. Esso e' rappresentato dall'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi' come modificato dalla legge n. 43/2015, che inserisce una presunzione assoluta di pericolosita' sociale, in assenza di collaborazione, per taluni autori di reato che nell'originaria formulazione della norma non erano ricompresi. Secondo il «diritto vivente», l'art. 4-bis ordinanza penale ha efficacia immediata in quanto norma di natura processuale. La non immediata applicabilita' della norma di cui all'art. 4-bis ordinanza penale ai reati commessi in epoca antecedente alla riforma del 2015, sarebbe l'unico modo per consentire la concessione del beneficio del permesso premio a S. A., sul presupposto dell'assenza di' pericolosita' sociale dello stesso, gia' valutata nel merito. Passando alla disamina della questione di incostituzionalita', essa si' pone sotto diversi profili. La prima questione che si intende porre, appunto, e' quella relativa alla incostituzionalita' dell'art. 4-bis ordinanza penale avuto riguardo al «diritto vivente», che ne sancisce la natura processuale, piu' volte ribadita da una lettura giurisprudenziale consolidata, a seguito della decisione delle sezioni unite del 2006. Infatti, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, che non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalita' esecutive della stessa, sono considerate, da giurisprudenza consolidata, norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette, in assenza di una specifica disciplina transitoria, al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 codice penale e dall'art. 25 Cost. (Cass., sez. unite, 30 maggio 2006, n. 24561, Rv. 233.976; ed ex plurimis Cassazione, sez. I, sentenza 12 novembre 2009, n. 46924 del Cc. (dep. 9 dicembre 2009 ) Rv. 245689 - 01). In applicazione di tale interpretazione, con riferimento ai reati ascritti' a S. A. consumati e giudicati prima che l'art. 3-bis, comma, decreto-legge n. 7/2015, convertito con modificazioni nella legge n. 43/2015, modificasse l'art. 4-bis ordinanza penale, inserendo l'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/98 tra i reati ostativi contemplati nel primo comma, il permesso premio richiesto non puo' essere concesso. In via gradata puo' suscitare forti dubbi di incostituzionalita' anche l'omessa previsione di un regime di diritto intertemporale nella stessa legge n. 43/2015. La Corte costituzionale, gia' con la sentenza n. 306/1993, sottolineava come la tesi secondo la quale il principio di irretroattivita' sia applicabile, oltre che per la pena, anche alle disposizioni che ne regolano l'esecuzione, «potrebbe meritare una seria riflessione». Probabilmente, avendo riguardo agli effetti dirompenti dell'inserimento di una normativa restrittiva in corso di esecuzione della pena, il legislatore aveva, opportunamente, adottato, in piu' occasioni, prima del 2015, disposizioni transitorie finalizzate a temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche via via apportate all'art. 4-bis ordinanza penale, quali ad esempio quelle contenute nell'art. 4, comma 1, legge 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva i reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 codice penale nell'art. 4-bis ordinanza penale) limitandone l'applicabilita' ai soli reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge. Analogo accorgimento non e' stato adottato dal legislatore del 2015, come neppure in sede di approvazione della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. L. «spazza-corrotti»). Al fine di focalizzare l'attenzione sulla irragionevolezza di una modifica peggiorativa delle norme in materia di esecuzione penale relative alle misure alternative e ai permessi premio che sia immediatamente applicabile, e' utile evidenziare alcuni principi elaborati in sede di legittimita' e in alcune sentenze della Corte costituzionale. E' dato acquisito in giurisprudenza di legittimita' ed in alcune sentenze della Corte delle leggi, ad esempio, che esiste il principio di «non regressione nel trattamento», sicche' non sono state ritenute revocabili le misure alternative in atto al momento dell'entrata in vigore dell'art. 4-bis ordinanza penale, che le avrebbe vietate, in nome del canone della ragionevolezza, purche' in assenza di comportamenti che avessero denotato mancanza di meritevolezza (Corte cost., sentenza n. 306/1993). La Corte ha, di fatto, imposto una normativa transitoria rispetto alle esecuzioni in corso, orientata nel senso di non vanificare o comunque interrompere quei percorsi di trattamento che gia' avessero dato segnali di riuscita. In seguito, e' stata dichiarata l'incostituzionalita' della norma (art. 4-bis ordinanza penale cit.) nella parte in cui avrebbe precluso la prosecuzione del percorso premiale a chi ne avesse gia' fruito con esito positivo (v. Corte costituzionale, sentenza n. 504/1995). Il principio e' stato esteso a tutti i casi in cui il detenuto avesse raggiunto, prima dell'entrata in vigore delle norme restrittive, un livello di rieducazione adeguato al beneficio richiesto (v. Corte costituzionale, sentenza n. 445/1997 e, specificamente in materia di permessi premio, Corte costituzionale, sentenza 14 aprile 1999, n. nella quale si legge: «cosi' come e' stato affermato che non puo' essere negata l'ammissione alla semiliberta' nei confronti dei condannati che prima dell'entrata in vigore dell'art. 15, comma 1 del decreto-legge n. 306/1992 abbiano raggiunto un livello di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, altrettanto non puo' non ripetersi nei confronti degli stessi soggetti, e nel ricorrere di tutte le altre condizioni di legge, per l'ammissione al beneficio previsto dall'art. 30-ter ordinanza penale. Ed infatti il permesso premio pur non potendo essere ricondotto alla categoria delle misure alternative alla detenzione, e', per il chiaro dettato della legge, una parte integrante del programma di trattamento e, secondo proposizioni piu' volte ripetute in decisioni di questa Corte, strumento di rieducazione in quanto consente un'iniziale reinserimento del condannato nella societa'»). Nel caso al nostro esame, tuttavia, non e' possibile concedere il permesso premio effettuando una interpretazione della norma in senso costituzionalmente orientato, perche', al momento dell'entrata in vigore della modifica legislativa che inseriva l'art. 12, commi 1 e 3, decreto-legislativo n. 286/1998 tra i reati ostativi di cui al primo comma dell'art. 4-bis ordinanza penale, l'esecuzione della pena di S. A. non era neppure iniziata. L'applicabilita' immediata a S. delle restrizioni di cui all'art. 4-bis ordinanza penale con riferimento alla fruizione delle misure alternative e dei permessi premio puo' avere, dunque, effetti dirompenti, laddove si consideri che la fase dell'esecuzione puo' sempre intervenire, e nel caso di' specie e' intervenuta, per varie ragioni, molto tempo dopo la irrevocabilita' della sentenza e la commissione dei reati. Nel caso che ci occupa la prima sentenza in esecuzione inserita nel cumulo e' passata in giudicato il 28 aprile 2000, la seconda il 17 ottobre 2000, la terza il 1° ottobre 2014, e riportano condanne per reati consumati rispettivamente il 7 giugno 1998, il 24 settembre 1998, il 6 febbraio 2001. Il condannato non si e' piu' reso autore di reati negli anni successivi, non ha procedimenti penali pendenti, ha avviato un percorso di reinserimento sociale, in liberta', anche prima dell'esecuzione della pena, sicche' il quadro offerto dalle carte processuali stride vistosamente con la presunzione assoluta di pericolosita' successivamente inserita nell'art. 4-bis ordinanza penale. La ritenuta natura processuale della norma stride, altresi', con i principi espressi nella piu' recente giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo (v. sentenza Del Rio Prada c. Spagna, 2013) che ha riconosciuto rilevanza, con riferimento alla violazione dell'art. 7 della Convenzione EDU, anche al mutamento giurisprudenziale in tema di un istituto riconducibile alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento, in quanto suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo ad affermare che ai fini del rispetto del principio dell'affidamento del consociato circa la prevedibilita' della sanzione penale, occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione. La Grande Camera sembra riconoscere l'esigenza di applicare il principio di irretroattivita' anche in materia di esecuzione della pena. Di recente la Suprema Corte (v. Cassazione, Sez. VI, sentenza 14 marzo 2019, n. 12541) ha ritenuto non manifestamente infondata, sebbene non rilevante nel caso al suo vaglio, una prospettazione difensiva, avanzata con riferimento alla cosiddetta legge «spazza-corrotti» (legge 9 gennaio 2019, n. 3). A parere della Corte di legittimita' e' evidente come «l'avere il legislatore cambiato in itinere le «carte in tavola» senza prevedere alcuna norma transitoria, presenti tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione, laddove si traduce, per il condannato, nel passaggio «a sorpresa» e dunque non prevedibile, da una sanzione patteggiata «senza assaggio di pena» ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il gia' rilevato operare del combinato disposto degli articoli 656, comma 9 lettera a) codice di procedura penale e 4-bis ordinanza penale». Il caso esaminato dalla Suprema Corte, riferitile all'impossibilita' di sospensione dell'esecuzione della pena per i reati di recente introdotti nell'art. 4-bis ord. pen., cosi' come interpretato nel «diritto vivente», fa riferimento alla irragionevolezza del riconoscimento di natura processuale all'art. 4-bis ordinanza penale, sebbene con riferimento all'art. 656 c.p.p. Modifiche come quelle apportate all'art. 4-bis ordinanza penale dalla legge «spazza-corrotti», come dalla legge n. 43/2015, che preclude a S. l'accesso ai permessi premio, decidono i margini di compressione della liberta' personale, frustrando la possibilita' di conoscere e calcolare, prima di agire, le conseguenze della propria condotta. Riconoscere a detta norma natura processuale, cosi' precludendo l'applicazione del principio di irretroattivita' della legge penale, appare contrario al principio di ragionevolezza. Quanto al secondo rilievo di incostituzionalita' che si intende avanzare, esso riguarda l'irragionevole inserimento, in tempi diversi, di sempre nuove fattispecie di reato tra quelle di cui all'art. 4-bis ordinanza penale. Se e' vero che quella di cui all'art. 4-bis ordinanza penale non e' un'ipotesi di preclusione assoluta all'accesso ai benefici penitenziari, essendo rimessa al condannato la possibilita' di superare il divieto attraverso una scelta collaborativa, rilevante ai sensi dell'art. 58-ter ordinanza penale, e' vero anche che l'inserimento di reati che non hanno matrice associativa tra quelli per i quali le preclusioni sono previste, rende la norma irragionevole. Se e' vero che rispetto ad alcuni istituti e per alcuni reati l'obiettivo prioritario e' quello di incentivare la collaborazione con la giustizia, quale strategia di contrasto alla criminalita' organizzata attraverso la rescissione definitiva dei legami con le associazioni di appartenenza, appare priva di ragionevolezza una disposizione che assimili condotte delittuose cosi' diverse tra loro, precludendo ad una categoria cosi' ampia e diversificata di condannati il diritto di ricevere un trattamento penitenziario rivolto alla risocializzazione, senza che sia data al giudice la possibilita' di verificare in concreto la permanenza o meno di condizioni di pericolosita' sociali tali da giustificare percorsi penitenziari non aperti alla realta' esterna. Se e' vero che per gli appartenenti alle consorterie mafiose la collaborazione con la giustizia e' certamente indice di rescissione del legame con gli altri appartenenti al sodalizio, ovvero una manifestazione inequivocabile del definitivo distacco dal sodalizio in cui gravitavano, il che corrobora la strategia di contrasto alla criminalita' organizzata, non altrettanto puo' dirsi con riferimento alla collaborazione se richiesta per reati non associativi. Se e' vero che la collaborazione puo' essere indice di «sicuro ravvedimento», cosi' come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza del 5 luglio 2001, n. 273, decidendo in materia di liberazione condizionale, non tutte le misure alternative possono essere concesse solo sul presupposto del «sicuro ravvedimento» richiesto dall'art. 176 codice penale Peraltro, solo con riferimento ai reati associativi il «sicuro ravvedimento» passa inevitabilmente attraverso la collaborazione con la giustizia, quale indice di interruzione dei rapporti con il circuito del crimine organizzato. Per alcune tipologie di reati, dunque, la collaborazione e' l'unico strumento per verificare che il detenuto abbia intrapreso un autentico percorso rieducativo; per altre tipologie di reati, invece, il percorso rieducativo puo' essere testato attraverso una serie di indici piu' ampi. Non avendo, infatti, il condannato stretto alcun vincolo, alcuna affectio societatis scelerum, che rappresenta elemento caratterizzante la consumazione del reato di cui all'art. 416-bis codice penale, il recupero sociale non deve passare attraverso una rescissione drastica di alcun vincolo. La pericolosita' sociale non puo', pertanto, essere presunta in modo assoluto in assenza di collaborazione con la giustizia per reati che non rispondono a quelle esigenze social-preventive che hanno portato all'introduzione dell'art. 4-bis ordinanza penale. Le considerazioni esposte impongono di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi' come interpretato nel «diritto vivente», con riferimento agli articoli 25, comma 2, 117 Cost. e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui esclude che il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998, commesso e giudicato prima dell'entrata in vigore della legge n. 43/2015, non possa fruire del beneficio dei permessi premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; di dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma 1, 27, commi 1 e 3, Cost., dell'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, nella parte in cui impone il divieto di fruire dei permessi premio ai condannati per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998 in assenza di collaborazione con la giustizia.
P.Q.M. Visto l'art. 23 legge n. 87/1953, dichiara: rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale, cosi' come interpretato nel «diritto vivente», con riferimento agli articoli 25, comma 2, 117 Cost. e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui esclude che il condannato per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998, commesso e giudicato prima dell'entrata in vigore della legge n. 43/2015, non possa fruire del beneficio dei permessi premio in assenza della prova di collaborazione con la giustizia; rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, comma 1, 27, commi 1 e 3, Cost., dell'art. 4-bis, comma 1, ordinanza penale nella parte in cui impone il divieto di fruire dei permessi premio ai condannati per il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998 in assenza di collaborazione con la giustizia. Sospende il presente provvedimento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953 e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Lecce, 5 aprile 2019 Il Magistrato di sorveglianza: Casciaro