N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 2019

Ordinanza  del  21  giugno  2019  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento penale a carico di F. A.. 
 
Reati e pene - Delitto  di  sottrazione  e  trattenimento  di  minore
  all'estero  -  Sospensione  della  responsabilita'  genitoriale   a
  seguito di condanna per tali fatti commessi dal genitore  in  danno
  del figlio minore  -  Applicazione  automatica  e  per  un  periodo
  predeterminato della pena accessoria. 
- Codice penale, artt. 34 e 574-bis. 
(GU n.48 del 27-11-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        sesta sezione penale 
 
    composta da: 
        Giorgio Fidelbo - Presidente; 
        Andrea Tronci; 
        Angelo Costanzo - relatore; 
        Massimo Ricciarelli; 
        Riccardo Amoroso; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto  da  F.
A. nata il ... avverso la sentenza del  6  aprile  2018  della  Corte
d'appello di Firenze; 
    Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Angelo Costanzo; 
    Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; 
    Udito il difensore dell'imputata,  avv.  Cecilia  Turco,  che  ha
insistito per l'accoglimento del ricorso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con sentenza del 30  aprile  2016  il  Tribunale  di  Grosseto
condannava A. F. alla pena di due anni e un mese di  reclusione,  per
avere eluso, in piu' occasioni, il provvedimento  del  Tribunale  dei
minorenni di Firenze in ordine all'affidamento  condiviso  dei  figli
minori E. e D. N. (art. 81, comma 2, e 388, comma 2, cod. pen.) e per
avere sottratto i medesimi figli minori al padre, R.  N.,  portandoli
in Austria contro la volonta' di quest'ultimo, al quale veniva  cosi'
impedito l'esercizio della  potesta'  genitoriale  (art.  81  cpv.  e
574-bis cod. pen.); l'imputata, assolta da altri  due  reati,  veniva
condannata anche al risarcimento dei  danni  in  favore  della  parte
civile e nei suoi confronti era applicata la  pena  accessoria  della
sospensione dall'esercizio della responsabilita' genitoriale. 
    La Corte di appello di  Firenze,  con  la  sentenza  in  epigrafe
indicata,  ha  rigettato   l'impugnazione   proposta   dall'imputata,
confermando la sua responsabilita' per i  reati  ritenuti  dal  primo
giudice e, in accoglimento dell'appello del  pubblico  ministero,  ha
rideterminando la  pena  in  complessivi  due  anni  e  sei  mesi  di
reclusione, operando gli aumenti  sia  sul  reato  piu'  grave  (art.
574-bis cod. pen.) che sulla continuazione; inoltre, ha  parzialmente
accolto l'appello della parte civile ponendo a  carico  della  F.  la
somma di euro 5.000,00 a titolo di provvisionale. 
    2.  L'avv.  Cecilia  Turco,  nell'interesse   dell'imputata,   ha
proposto ricorso  per  Cassazione,  deducendo  i  motivi  di  seguito
indicati. 
    2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione degli  artt.  178,
lettera c), 420-bis, comma 2,  e  169  cod.  proc.  pen.  perche'  le
notifiche al difensore di ufficio del decreto di citazione diretta  a
giudizio, pur formalmente regolari,  si  sono  rivelate  inidonee  al
raggiungimento  dello  scopo;  l'assenza  dell'imputata  alla   prima
udienza del dibattimento non e' stata dovuta a una opzione volontaria
ma alla sua incolpevole ignoranza del decreto di citazione a giudizio
comunicatole dal difensore di ufficio, anche perche' le indicazioni e
l'invito previsti dall'art. 169 cod. proc.  pen.  non  contengono  le
garanzie previste dall'art. 6 CEDU. 
    Su questa base viene  riproposta  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, gia' ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di
appello, concernente l'art. 420-bis, comma 2, cod. proc.  pen.  nella
parte  in  cui,  affermando  che  la  dichiarazione  di  assenza  sia
pronunciata  quando  «risulti  con  certezza»  la   «conoscenza   del
procedimento», esaurisce la conoscenza del processo nella  conoscenza
del procedimento. Evidenzia la rilevanza della questione perche'  dal
suo accoglimento deriverebbe la rimessione in  termini  dell'imputata
con conseguente possibilita' di accedere ai  riti  alternativi  o  di
indicare testimoni. 
    2.2. Con il secondo motivo, si censura  l'ordinanza  con  cui  il
Tribunale di Grosseto ha  respinto  la  richiesta  di  remissione  in
termini ex art.  420-bis  cod.  proc.  pen.,  sul  presupposto  della
mancata prova della non conoscenza del processo. 
    2.3.  Con  il  terzo  motivo  si  deduce  l'erronea  applicazione
dell'art. 574-bis cod. pen., per non avere  considerato  il  consenso
dei figli minorenni al trasferimento in Austria,  rilevante  ai  fini
della sussistenza del reato; si sostiene, inoltre,  che  il  consenso
dei due  minorenni  avrebbe  giustificato  anche  l'esclusione  della
sussistenza  del  reato  di  cui  all'art.  388  cod.  pen.,   avendo
l'imputata eluso  il  provvedimento  del  giudice  civile  in  quanto
ritenuto in contrasto con l'interesse dei minori. 
    2.4.   Con   il   quarto   motivo   di   ricorso,    si    deduce
contraddittorieta'  della  motivazione  mediante   travisamento   per
omissione (da parte di entrambi i giudici  di  merito)  in  relazione
agli artt. 574-bis, 388, 54 e 59 cod. pen., per  avere  disconosciuto
la scriminante dello stato di necessita', anche solo putativo, con il
trascurare le testimonianze che mostrano come il rifiuto dei figli di
incontrare il padre precedette e non segui' il loro trasferimento  in
Austria,   i   documenti,   prodotti   dall'imputata,   relativi   ai
provvedimenti giurisdizionali austriaci (ritenuti privi di  efficacia
nel nostro ordinamento e inidonei  nell'escludere  la  vigenza  degli
obblighi nascenti da decreti adottati dal giudice)  e  la  consulenza
tecnica  di  ufficio  svolta  nel  procedimento  di  modifica   della
regolazione dei rapporti con i figli ex artt. 337-bis e ss. cod. civ.
instaurato davanti al Tribunale di Grosseto. 
    2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione degli  artt.  570,
581 e 593 cod. proc. pen. per non  aver  ritenuto  l'inammissibilita'
dell'appello  del  pubblico  ministero,  in  cui  si   e'   sostenuta
l'incongruita' della pena senza chiarire perche'  quella  determinata
dal tribunale dovesse considerarsi inadeguata. 
    2.6. Con  il  sesto  motivo  di  ricorso,  si  deduce  violazione
dell'art. 133 cod.  pen.  per  avere  innalzato  la  pena-base  senza
adeguata motivazione. 
    2.7. Con il settimo  motivo  di  ricorso,  si  deduce  violazione
dell'art. 62-bis cod. pen. per  avere  disconosciuto  le  circostanze
attenuanti generiche pur non avendo mai l'imputata negato alla  parte
civile le informazioni relative alla localita'  in  cui  i  figli  si
erano trasferiti e la possibilita' di contattarli. 
    2.8. Con l'ottavo motivo di ricorso, si deduce omessa motivazione
nell'applicazione dell'art. 34 cod.  pen.,  assumendo  che  la  norma
esclude un automatismo fra il diniego della sospensione  condizionale
della pena e la sospensione dall'esercizio della potesta' genitoriale
e  perche'  e'  stato  trascurato  di  considerare  l'interesse   del
minorenne, tanto piu' che nel caso in esame le sentenze  del  giudice
civile hanno statuito l'affido condiviso  del  minorenne.  Su  questa
base, nel caso di rigetto del motivo di ricorso, viene  richiesto  di
sollevare questione di costituzionalita' dell'art. 34, comma 2,  cod.
pen. e degli artt. 388 e 574-bis cod.  pen.  per  contrasto  con  gli
artt. 2, 3, 10, 27, 30 e 117 Cost.  in  relazione  all'art.  3  della
convenzione di New York del 20 novembre 1989 e  all'art.  24  par.  2
Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione   europea,   dovendosi
considerare la legittimita' della norma non solo dall'angolazione  di
chi subisce la pena accessoria, ma anche da quella di coloro (i figli
minorenni) su cui  si  irradiano  le  conseguenze  delle  restrizioni
imposte al condannato. 
    3. Nella memoria depositata dal difensore di R. N. si chiede  che
il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il primo e il secondo di ricorso, che possono essere esaminati
preliminarmente e trattati unitariamente, sono infondati. 
    Nella sentenza impugnata si precisa (p.  4).  che  l'imputata  ha
ricevuto personalmente la  raccomandata  con  avviso  di  ricevimento
inviatale, come previsto dall'art. 169;  comma  1,  cod.  proc.  pen.
(«notificazioni    all'imputato    all'estero»),    per    informarla
dell'esistenza di un procedimento nei suoi confronti,  dell'autorita'
procedente, del titolo, della data  e  del  luogo  del  reato  e  con
l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel  territorio  italiano.
Poiche' la F. non ha, nel termine di  trenta  giorni  previsto  dalla
norma, dichiarato o eletto domicilio,  le  notificazioni  sono  state
eseguite presso il difensore. 
    L'art. 169 cod. proc. pen. dispiega i suoi effetti per  tutto  il
processo, dal momento che la sua ratio e il contenuto del  suo  testo
non  comportano  che  la  sua  portata  sia  circoscritta  alla  fase
procedimentale. 
    Nella fattispecie l'imputata,  dopo  essersi  disinteressata  del
procedimento penale in corso, ha nominato un difensore di fiducia che
ha partecipato al processo e ha proposto appello contro  la  sentenza
del tribunale. 
    Correttamente  la  Corte  di  appello  ha  considerato   che   la
volontaria  rinuncia  dell'imputata   a   presenziare   al   processo
costituisce una sua libera scelta difensiva (Corte cost., n. 301  del
1994)  e  ha  osservato  che  il  successivo  mancato  attivarsi   e'
manifestazione di disinteresse,  che  ha  correttamente  condotto  ad
applicare l'art. 420-bis cod. proc. pen., dichiarandone  l'assenza  e
nominandole un difensore di ufficio, senza che questo violi l'art.  6
CEDU,  poiche'  la  mancata  previsione  della   notifica   personale
all'imputato dell'atto introduttivo del  giudizio  penale  non  rende
dubbia la costituzionalita' dell'art. 420-bis, comma  2,  cod.  proc.
pen.; infatti, la norma comunque richiede che  risulti  con  certezza
che  -  come  e'  avvenuto  nella  fattispecie  -  l'imputato  sia  a
conoscenza del procedimento. Ne' dalla giurisprudenza della Corte EDU
discende  l'obbligo  della  notifica  personale  della   vocatio   in
iudicium,  ma  soltanto  la   necessita'   che   gli   Stati   membri
predispongano  regole  alla  cui  stregua  stabilire  che   l'assenza
dell'imputato  al  processo  possa  ritenersi  espressione   di   una
consapevole rinuncia a parteciparvi, per cui  l'individuazione  degli
strumenti attraverso cui consentire al giudice  tale  verifica  resta
affidata alla discrezionalita' del  legislatore,  comportando  scelte
che investono la disciplina degli istituti processuali (Corte  cost.,
n. 31 del 2017). 
    Su  queste  basi,  condivisibilmente,  la  Corte  di  appello  ha
ritenuto manifestamente infondata  la  questione  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen. posta  con
il primo motivo di ricorso e ha coerentemente osservato che mancano i
presupposti per una rimessione in termini ex art. 420-bis,  comma  4,
cod. proc. pen., perche' l'imputata non ha provato che la sua assenza
sia  stata  dovuta  a  una  incolpevole  mancata   conoscenza   della
celebrazione del processo. 
    2. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. 
    Il contenuto dei dati normativi non permette di assumere  che  la
sussistenza dei reati ascritti ex artt. 388 e 574-bis cod.  pen.  sia
esclusa dalla presenza  di  un  consenso  dei  figli  minorenni  alla
condotta addebitata all'imputata. 
    Nel caso di mancata esecuzione di un  provvedimento  del  giudice
civile, concernente l'affidamento di  un  figlio  minore,  il  motivo
plausibile  e  giustificato  che  puo'  costituire  valida  causa  di
esclusione  della  colpevolezza,  e'  solo  quello  che,  pur   senza
configurare  l'esimente  dello  stato   di   necessita',   e'   stato
determinato dalla volonta' di esercitare il diritto-dovere di  tutela
dell'interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute,
non  ancora  devolute  al  giudice  per  l'eventuale   modifica   del
provvedimento di affidamento, ma integranti i  presupposti  di  fatto
per ottenerla (Sez. 6, n. 7611 dell'11 dicembre 2014, dep. 2015,  Rv.
262494; Sez. 6, n. 27613 del 19 giugno 2006, Rv. 235130; Sez.  6,  n.
17691 del 9 gennaio 2004, Rv. 228490). 
    3. Il  quarto  motivo  di  ricorso  e'  anch'esso  manifestamente
infondato. 
    La Corte di appello ha considerato  i  documenti  prodotti  dalla
difesa della ricorrente, rilevando che questi provano al piu' che «la
F., in  totale  spregio  di  quanto  disposto  dal  Tribunale  per  i
minorenni di Firenze» ha adito l'autorita' giudiziaria  straniera,  i
cui  provvedimenti  non  valgono   a   escludere   la   vigenza   dei
provvedimenti adottati dal giudice italiano, peraltro disattesi dalla
F.  prima  ancora  che  si   pronunciasse   l'autorita'   giudiziaria
austriaca. Ha rimarcato che non e' stato contestato quanto dichiarato
da R. N. circa le  condotte  con  cui  l'imputata  ostacolo'  i  suoi
rapporti con i figli, mentre non e' provato che questi abbiano voluto
interrompere i rapporti con il padre, cosi' mancando ogni base per la
configurabilita' della scriminate putativa  richiamata  nell'atto  di
appello. 
    4. Il quinto, il sesto e il settimo  motivo  di  ricorso  possono
essere trattati congiuntamente e sono manifestamente infondati. 
    La Corte ha disconosciuto le circostanze attenuanti generiche non
ravvisando elementi di valutazione favorevoli e rimarcando, per altro
verso,  la  «intensita'   del   dolo   che   ha   sorretto   l'azione
dell'imputata, preordinata nel suo disegno criminoso, perdurante  nel
tempo»,   cosi'   adeguatamente   chiarendo   la   sua    valutazione
discrezionale circa l'adeguamento della pena concreta  alla  gravita'
effettiva del reato e alla personalita' del reo (Sez. 6, n. 41365 del
28 ottobre 2010, Rv. 248737; Sez. 1, n. 46954 del  4  novembre  2004,
Rv. 230591). 
    Per le stesse ragioni la  Corte  ha  rigettato  la  richiesta  di
riduzione della pena e, correlativamente, ha accolto la richiesta  di
aumento della pena avanzata dal pubblico ministero. 
    Ha determinato,  comunque,  in  misura  contenuta  (due  anni  di
reclusione nell'arco edittale che va da uno a quattro) la pena-base e
in proporzione a questa gli aumenti  per  i  quattro  reati-satellite
(complessivi sei mesi). 
    5. Sulla base delle conclusioni raggiunte in relazione agli altri
motivi di ricorso, le questioni poste con l'ottavo motivo di  ricorso
risultano rilevanti  perche'  l'art.  574-bis,  comma  3,  cod.  pen.
prevede che, nel caso in cui il delitto sia  stato  commesso  «da  un
genitore in danno del figlio minore»  sia  automatica  l'applicazione
della  «sospensione  dalla  responsabilita'  genitoriale»  e,  sempre
automaticamente, l'art. 34, comma 2, cod. pen.  determina  la  misura
della sospensione «per un periodo di tempo pari al doppio della  pena
inflitta»  nel  caso   di   «delitti   commessi   con   abuso   della
responsabilita' genitoriale». 
    Pertanto,  il  presente  giudizio  non   puo'   essere   definito
indipendentemente dalla  soluzione  della  questione  concernente  la
legittimita' costituzionale dell'applicazione automatica  della  pena
accessoria  costituita  dalla   sospensione   della   responsabilita'
genitoriale prevista dalla normativa vigente e  della  determinazione
automatica della sua misura. 
    Infatti, se la questione che viene  sollevata  dovesse  risultare
non fondata, l'ottavo motivo del ricorso in esame andrebbe respinto e
la pena accessoria verrebbe determinata nella specie e  nella  misura
indicata dalla legge. 
    6.  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  deve   anzitutto
considerarsi che non compete al giudice remittente  stabilire  se  la
questione sia fondata o infondata, ma unicamente verificare  se  essa
sia o meno manifestamente infondata, limitandosi ad  una  valutazione
sommaria, per rilevare se esista un dubbio di  costituzionalita'  che
la renda non meramente plausibile, ma seria e meritevole di vaglio da
parte dell'organo giurisdizionale al quale compete il giudizio  sulla
costituzionalita' delle leggi. 
    Posto questo, risulta non manifestamente infondata - in relazione
agli artt. 2, 3, 27, comma 3, 30, 31, Cost. nonche' all'art. 10 Cost.
in relazione alla Convenzione di New York sui diritti  del  fanciullo
del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge
27 maggio 1991, n. 176 - la questione  relativa  alla  conformita'  a
Costituzione degli artt. 34 e 574-bis cod. pen., nella parte  in  cui
impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla  norma  penale
da ultimo citata, commessi dal genitore in danno del  figlio  minore,
consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla  legge
la sospensione dall'esercizio della responsabilita' genitoriale. 
    Analoga  questione  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
574-bis  cod.  pen.  nella  parte  in  cui   prevede   l'applicazione
automatica  della  pena  accessoria,  e'  gia'  stata  prospettata  e
ritenuta inammissibile da questa Corte (Sez. 6, n. 17679 del 31 marzo
2016, Rv. 267315), per difetto di  rilevanza  in  quanto,  risultando
sospesa anche la pena accessoria, vi era  una  carenza  di  interesse
(condizioni che non ricorrono nella presente fattispecie). 
    6.1. La questione in esame va valutata non solo  dall'angolazione
di chi subisce la pena accessoria ma anche da  quella  di  coloro  (i
figli minorenni) su cui si irradiano le conseguenze delle restrizioni
imposte al condannato. Vale considerare che tali conseguenze  non  si
producono semplicemente de facto - come puo' avvenire  per  qualsiasi
provvedimento giudiziario - ma de jure, perche' la applicazione della
sospensione della responsabilita' genitoriale incide, per sua natura,
immediatamente sulla sfera giuridica dei figli del condannato. 
    Dagli artt. 2 Cost.  (che  riconoscendo  e  tutelando  i  diritti
fondamentali dell'individuo,  costituisce  fondamento  anche  per  la
tutela dei diritti dei minorenni) 3, 29 e 30 Cost., nonche' dall'art.
8 della Convenzione sui diritti del fanciullo (che impegna gli  Stati
parti di essa  a  rispettare  il  diritto  dei  minori  alla  propria
identita',  compresi  la  nazionalita',   il   nome,   le   relazioni
familiari), e' desumibile  il  principio  secondo  cui  in  tutte  le
decisioni relative  ai  minorenni  deve  considerarsi  il  preminente
interesse degli stessi. 
    Inoltre, nella Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei
fanciulli, adottata a Strasburgo il 25  gennaio  1996  (ratificata  e
resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77),  e'  riconosciuto  il
diritto  dei  fanciulli  di  essere  rappresentati  e  ascoltati  nei
procedimenti che toccano i loro interessi giuridicamente tutelati. 
    Su   queste   basi,   i   provvedimenti   che   incidono    sulla
responsabilita'  genitoriale  possono  giustificarsi  solo   se   non
contrastano l'esigenza di tutelare i minorenni. 
    I  provvedimenti  di  sospensione  o  decadenza  dalla   potesta'
genitoriale ex artt. 330 e 333 cod. civ., sono adottati all'esito  di
una adeguata analisi della situazione che ne vagli l'opportunita'  in
relazione alla fattispecie concreta e sono dall'art.  38  disp.  att.
cod. civ. (come modificato dalla legge  10  dicembre  2012,  n.  219)
ordinariamente attribuiti alla competenza di  giudici  specializzati:
«la  competenza  appartiene  in  via  generale  al  tribunale  per  i
minorenni, ma, quando  sia  in  corso  un  giudizio  di  separazione,
divorzio o un giudizio ai sensi dell'art. 316 cod. civ.  -  anche  in
pendenza dei termini per  le  impugnazioni  e  nelle  altre  fasi  di
quiescenza, fino al passaggio  in  giudicato  -  e  le  azioni  siano
proposte successivamente e richieste con un unico  atto  introduttivo
dalle parti, in deroga a tale attribuzione,  spetta  al  giudice  del
conflitto familiare», ovvero al Tribunale ordinario e Corte d'appello
(Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 1349 del 26  gennaio  2015,  Rv.  633988;
Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 2833 del 12 febbraio 2015, Rv. 634420). 
    Pertanto, puo' dubitarsi della ragionevolezza  dell'automaticita'
della  applicazione   della   pena   accessoria   della   sospensione
dell'esercizio della potesta' genitoriale prevista dalle norme penali
in oggetto, se si considera che cio' impedisce al giudice di valutare
la  corrispondenza   tra   la   sospensione   della   responsabilita'
genitoriale e i diritti e gli interessi dei minorenni, cosi'  negando
la possibilita' di effettuare un diverso bilanciamento tra i  diritti
di quest'ultimi e le esigenze punitive dello Stato verso i genitori. 
    La Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  31  del  2012,  ha
giudicato costituzionalmente illegittimo l'art. 569 cod. pen.,  nella
parte in cui stabilisce che,  alla  condanna  pronunciata  contro  il
genitore per il delitto di alterazione di  stato  previsto  dall'art.
567, comma 2, cod. pen. consegua  automaticamente  la  perdita  della
responsabilita'  genitoriale,  perche'   preclude   al   giudice   la
possibilita' di valutare l'interesse del minorenne nel caso concreto.
Ha ravvisato un contrasto con l'art. 3 Cost.,  perche'  l'automatismo
non  consente  di  effettuare  alcun  bilanciamento  degli  interessi
rilevanti nella situazione: quello dello  Stato  all'esercizio  della
potesta' punitiva e quello dei minorenni  a  crescere  nella  propria
famiglia, mantenendo  un  rapporto  equilibrato  e  continuativo  con
entrambi  i  genitori,  da  loro  ricevendo  educazione  e  cura.  Ha
rimarcato che  sia  nell'ordinamento  internazionale  che  in  quello
interno,  e'  principio  acquisito  che  in   ogni   atto,   comunque
riguardante  un  minorenne,  deve  considerarsi  il  suo   preminente
interesse morale e materiale, il che contrasta con  ogni  automatismo
che precluda al giudice di valutare e bilanciare  nel  caso  concreto
tale interesse per la necessita' di applicare  una  pena  accessoria.
Soprattutto, ha  evidenziato  che  la  violazione  del  principio  di
ragionevolezza  connessa   all'automatismo   previsto   dalla   norma
censurata, emerge anche alla luce dei caratteri propri del delitto di
cui all'art. 567, comma 2,  cod.  pen.  che,  diversamente  da  altre
fattispecie criminose,  non  comporta  una  presunzione  assoluta  di
pregiudizio per gli interessi morali e materiali del  minorenne,  per
cui e' ragionevole che il giudice debba potere valutare, in relazione
al caso concreto, la inidoneita'  del  genitore  all'esercizio  della
responsabilita' genitoriale. 
    6.2. Analogo ordine  di  considerazioni  puo'  valere  anche  per
l'automatica applicazione della  pena  accessoria  della  sospensione
della potesta' genitoriale prevista dall'art. 574-bis, comma 3,  cod.
pen. perche', escludendosi  qualsiasi  valutazione  discrezionale  da
parte del giudice in ordine  all'interesse  del  minorenne  nel  caso
concreto e, quindi, la possibilita'  del  bilanciamento  dei  diversi
interessi implicati nel processo puo'  compromettere  la  tutela  del
diritti inviolabili dei fanciulli, quale sarebbe quello  di  crescere
con i genitori e di essere educati da questi, salvo che cio' comporti
un grave pregiudizio. 
    Questo esito appare in contrasto con gli artt. 2, 30 e 31 Cost. e
con l'art. 3, comma 1, della Convenzione sui  diritti  del  fanciullo
(stipulata New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa  esecutiva
in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176) per il quale «in tutte le
decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle  istituzioni
pubbliche o private  di  assistenza  sociale,  dei  tribunali,  delle
autorita'  ammnistrative  o  degli  organi  legislativi,  l'interesse
superiore del fanciullo deve essere una  considerazione  preminente».
In linea con questo principio la Convenzione  europea  sull'esercizio
dei  diritti  dei  fanciulli  (adottata  dal  Consiglio  d'Europa   a
Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con  legge
20  marzo  2003,  n.  77)  disciplina  il  processo  decisionale  nei
procedimenti  riguardanti  un  minorenne,  detta  le  modalita'   cui
l'autorita'  giudiziaria  deve  conformarsi  «prima  di  giungere   a
qualunque   decisione»,   stabilendo   che   essa   deve    acquisire
«informazioni  sufficienti  al  fine  di   prendere   una   decisione
nell'interesse superiore del minore». 
    Allo stesso  modo,  anche  nell'ordinamento  interno  l'interesse
morale e materiale del minore ha assunto valore  preminente  dopo  la
riforma attuata con legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto
di famiglia), e dopo la riforma dell'adozione realizzata con la legge
4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina  dell'adozione  e  dell'affidamento
dei minori), come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149,  alle
quali sono seguite diverse leggi speciali che hanno introdotto  forme
di tutela sempre piu' incisiva dei diritti del minorenne. 
    Questo insieme di dati normativi - posteriore al codice penale  e
aderente ai principi veicolati dalle norme costituzionali  richiamate
(oltre che, nella sua componente di origine internazionale, rilevante
in relazione  all'art.  10  Cost.)  -  suscita  la  questione  se  il
legislatore penale, nel perseguire le sue finalita' possa (stabilendo
una pena accessoria automatica nell'an  e  nel  quantum)  accantonare
ogni forma  di  bilanciamento  con  un  interesse  costituzionalmente
rilevante quale quello (superiore) del  minorenne,  considerando  che
(come nel caso deciso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 31
del 2012 prima ricordata) il delitto ex art. 574-bis  cod.  pen.  non
comporta una presunzione assoluta di pregiudizio  per  gli  interessi
morali e materiali del minorenne,  per  cui  e'  ragionevole  che  il
giudice debba potere valutare, in  relazione  al  caso  concreto,  la
inidoneita'  del   genitore   all'esercizio   della   responsabilita'
genitoriale. 
    7.  Le  pene  accessorie  hanno  una  funzione   orientata   alla
prevenzione speciale che risulta compatibile con l'art. 27, comma  3,
Cost., a condizione che esse non  siano  sproporzionate  per  eccesso
rispetto al concreto disvalore del fatto di reato  (Corte  cost.,  n.
222 del 2018) o, comunque, non scollegate da tale disvalore. 
    Pertanto,  l'applicazione  automatica  di  una  pena   accessoria
contrasta con il menzionato art. 27 Cost. -  per  il  quale  le  pene
devono tendere alla rieducazione del condannato - nei casi in cui  il
delitto ex art. 574-bis cod. pen. sia stato motivato dalla  finalita'
di  preservare  il  figlio  da  pregiudizi  che  potrebbero  essergli
arrecati  dall'altro  genitore;  infatti,  in  tale   situazione   il
condannato non potrebbe ricavare una rieducazione  dalla  sospensione
della sua potesta' genitoriale. 
    7.1. Gia' in altri casi la Corte  costituzionale  ha  corretto  o
eliminato automatismi sanzionatori in considerazione  della  funzione
rieducativa  della  pena.  Con  la  sentenza  n.  186  del  1995,  ha
dichiarato costituzionalmente illegittima  la  previsione,  contenuta
nell'art. 54, comma 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, della automatica
revoca della liberazione anticipata in caso di condanna  per  delitto
non colposo commesso successivamente alla concessione  del  benefico,
perche' eclissa la funzione di stimolo a collaborare nel  trattamento
rieducativo insita nell'istituto. Con le sentenze n. 504 del  1995  e
n. 445 del 1997, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo  l'art.
4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui  non
prevede che il  beneficio  della  semiliberta'  possa  concedersi  ai
condannati  che  (prima  della  vigenza  dell'art.   15,   comma   1,
decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito,  con  modificazioni,
nella legge 7 agosto 1992, n.  356)  abbiano  raggiunto  un  adeguato
grado di rieducazione e per i quali non siano accertati  collegamenti
attuali con la criminalita' organizzata - perche' lede  il  principio
di uguaglianza e, al contempo, frustra la funzione rieducativa  della
pena  se  il  condannato  e'  inserito  in  un  valido  programma  di
rieducazione  -  e  nella  parte  in  cui   prevede   che   ulteriori
permessi-premio siano negati ai condannati per i delitti indicati nel
primo periodo del comma 1 dello stesso articolo, i quali, non  avendo
collaborato  con  l'autorita'  giudiziaria,  non  si  trovino   nelle
condizioni per l'applicazione dell'art. 58-ter della legge n. 354 del
1975, anche se hanno precedentemente fruito di permessi-premio e  non
siano accertati collegamenti attuali con la criminalita' organizzata,
perche' il permesso-premio e' strumento essenziale  per  rieducazione
del condannato. 
    In altri casi la  Corte  costituzionale  ha  caducato  norme  che
prevedevano automatiche applicazioni  di  pene  accessorie,  come  la
decadenza dalla potesta' genitoriale (sentenze n. 7 del 2013 e n.  31
del 2012) o la revoca della patente di  guida  (sentenza  n.  22  del
2018), valorizzando i  principi  di  adeguatezza  e  proporzionalita'
della pena ai fatti  di  reato,  della  loro  individualizzazione  in
rapporto alla personalita' del  reo,  della  loro  funzionalizzazione
anche a finalita' rieducative, oltre  che  di  prevenzione  speciale.
Nella medesima direzione si muove la giurisprudenza della Corte  EDU,
che ha piu' volte dichiarato contrarie alla CEDU sanzioni  accessorie
o   comunque   misure   limitative   di   diritti   che    discendono
automaticamente  da  una  condanna   penale,   senza   una   verifica
giurisdizionale nel caso concreto sull'effettiva necessita'  di  tali
sanzioni o misure. 
    La sentenza della Corte costituzionale n.  134  del  2012  -  pur
affermando che «l'addizione normativa richiesta dai giudici a  quibus
eccede i poteri di intervento della Corte,  perche'  comporta  scelte
affidate alla discrezionalita' del legislatore» - ha  sollecitato  il
legislatore a riformare il sistema delle pene accessorie per renderlo
pienamente compatibile  con  i  principi  della  Costituzione  e,  in
particolare, con l'art. 27, comma 3, Cost. 
    Da ultimo, la sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale
ha ribadito che  la  durata  fissa  delle  pene  accessorie  previste
dall'art. 216, ultimo comma, regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267
(Disciplina  del  fallimento,  del  concordato  preventivo  e   della
liquidazione  coatta  amministrativa)  «non  appare,  in   linea   di
principio, compatibile con i principi costituzionali  in  materia  di
pena, e segnatamente con i principi di proporzionalita' e  necessaria
individualizzazione del trattamento sanzionatorio, osservando che, la
discrezionalita' del legislatore incontra  il  proprio  limite  nella
manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, limite che viene
superato   quando   le   pene   inflitte   risultino   manifestamente
sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto come  reato.
Infatti, in questo caso sono violati congiuntamente gli artt. 3 e  27
Cost., perche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto  (e
non percepita come tale dal condannato) si  risolve  in  un  ostacolo
alla sua funzione rieducativa (ex multis, Corte cost. numeri 236  del
2016, 68 del  2012  e  341  del  1994),  mentre,  ordinariamente,  il
legislatore stabilisce che la pena va commisurata tra un minimo e  un
massimo  per  proporzionarla  alla  concreta  gravita'   del   fatto,
valutando, in particolare, le circostanze indicate negli artt. 133  e
133-bis cod. pen., e personalizzarla nel rispetto dell'art. 27, comma
1, Cost. (Corte cost. numeri 67  del  1963,  104  del  1968,  50  del
1980)». 
    La Corte costituzionale dopo avere  sottolineato  che  la  delega
rilasciata al Governo con la legge 23 giugno 2017, n.  103  (art.  5,
comma 85, lett. u) -  delega  non  esercitata  -  di  procedere  alla
«revisione del sistema delle pene accessorie improntata al  principio
della  rimozione  degli  ostacoli  al   reinserimento   sociale   del
condannato», conteneva tra i  criteri  quello  di  escludere  che  la
durata della pena accessoria fosse superiore alla durata  della  pena
principale», ha rivisitato il principio seguito nella sentenza n. 134
del 2012, tenendo conto  anche  dell'evoluzione  in  atto  nella  sua
stessa giurisprudenza in materia  di  sindacato  sulla  misura  delle
pene, e ha ricordato che la sentenza n.  236  del  2016  della  Corte
costituzionale ha  stabilito  che,  quando  una  sanzione  si  rivela
manifestamente irragionevole, un intervento  correttivo  della  Corte
costituzionale  e'  possibile  se   essa   puo'   essere   sostituita
ancorandosi a «precisi punti di  riferimento,  gia'  rinvenibili  nel
sistema  legislativo»,  anche  se  il  sistema  non  offre   un'unica
soluzione costituzionalmente vincolata  in  grado  di  sostituirsi  a
quella dichiarata illegittima senza provocare vuoti di  tutela  degli
interessi toccati dalla norma oggetto della pronuncia (ferma restando
la  possibilita'  che   il   legislatore   intervenga   introducendo,
nell'ambito della propria discrezionalita', altra  soluzione  purche'
compatibile con i principi costituzionali). 
    7.2.  Anche  la  previsione  di  una  durata  fissa  della   pena
accessoria  presenta  profili  di  dubbia  costituzionalita'  perche'
contrasta con il principio di  proporzionalita'  della  pena  -  come
riaffermato dalla sentenza n. 236 del 2016 della Corte costituzionale
- e con il principio di necessaria  individualizzazione  della  pene,
che esige che le sanzioni siano  adeguate  ai  casi  concreti  e  non
rigide,  a   meno   che   la   rigidita'   risulti   «ragionevolmente
proporzionata   rispetto   all'intera    gamma    di    comportamenti
riconducibili allo specifico tipo di reato» (Corte cost., n.  50  del
1980). 
    Ne' pare trascurabile che nel  caso  in  esame  la  automaticita'
nell'an  e  nel  quantum  della  sospensione  della   responsabilita'
genitoriale incide su un diritto che, sebbene non possieda il  valore
preminente  assegnato  all'interesse  del   minorenne,   costituisce,
comunque, un diritto costituzionalmente riconosciuto (art. 30,  comma
1, Cost.), ordinariamente  comprimibile  o  elidibile  solo  mediante
specifiche  procedure.   Pertanto,   l'esigenza   di   una   adeguata
calibrazione della applicazione e della durata di una pena accessoria
produttiva di un tale esito richiede il rispetto del limite della non
irragionevolezza della scelta legislativa in conformita' agli artt. 3
e  27  Cost.  secondo  la   costante   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, ultimamente ribadita dalla sua sentenza n. 222/2018. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  in  relazione
agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30, 31, Cost. nonche'  all'art.  10
Cost. in relazione alla Convenzione  di  New  York  sui  diritti  del
fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata a resa esecutiva in Italia
con legge  27  maggio  1991,  n.  176,  la  questione  relativa  alla
conformita' a Costituzione degli artt. 34 e 574-bis cod. pen.,  nella
parte in cui impongono che alla condanna per i fatti  previsti  dalla
norma penale da ultimo citata commessi  dal  genitore  in  danno  del
figlio   minore   consegua   automaticamente   e   per   un   periodo
predeterminato  dalla  legge  la  sospensione  dall'esercizio   della
responsabilita' genitoriale; 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero
nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri,  e  che  sia  anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
        Cosi' deciso il 22 gennaio 2019 
 
                       Il Presidente: Fidelbo 
 
 
                                   Il consigliere estensore: Costanzo