N. 210 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 luglio 2019
Ordinanza del 31 luglio 2019 del Tribunale di sorveglianza di Potenza nel procedimento di sorveglianza nei confronti di D.G. M.P.. Ordinamento penitenziario - Modifiche all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 - Inserimento di determinati reati contro la pubblica amministrazione tra i reati ostativi alla concessione di alcuni benefici penitenziari - Applicabilita' ai delitti di cui agli artt. 317 e 319 del codice penale commessi anteriormente all'entrata in vigore della novella. - Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), art. 1, comma 6, lettera b), modificativo dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), in relazione agli artt. 317 e 319 del codice penale.(GU n.48 del 27-11-2019 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA di Potenza L'anno 2019 il giorno 19 del mese di giugno il Tribunale di sorveglianza, riunito in camera di consiglio nelle persone dei componenti: 1) dott.ssa Paola Stella, Presidente; 2) dott.ssa Michela Tiziana Petrocelli, magistrato; 3) dott. Guglielmo Scoscia, esperto; 4) dott.ssa Viviana Festa, esperto, per deliberare sul reclamo ex art. 30-bis O.P. proposto da D.G. M.P., nato a /// il ///, ristretto presso la casa circondariale di ///, avverso il decreto n. 299/2019 emesso il 20 febbraio 2019 dal magistrato di sorveglianza di Potenza di declaratoria della inammissibilita' della istanza di permesso premio ex art. 30-ter O.P., a scioglimento della riserva di cui al verbale di udienza; Sentiti il difensore ed il P.G. che hanno concluso come da verbale; Ha pronunciato la seguente ordinanza. D.G. M.P., sopra generalizzato, e' ristretto in espiazione della condanna alla pena di anni otto di reclusione inflitta con sentenza emessa dalla Corte di appello di Potenza in data 30 settembre 2016 irrevocabile l'8 agosto 2017 con pena residua di anni sette, mesi otto e giorni ventiquattro di reclusione (come da ordine di esecuzione pena n. SIEP 168/2017, emesso in data 9 agosto 2017 dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Salerno) in relazione ai reati di cui agli articoli 81, comma 2 c.p.; 317 c.p.; art. 317 c.p.; articoli 110-81, comma 2; 319 c.p., con decorrenza pena dal 9 agosto 2017 e fine pena al 17 dicembre 2024. Il magistrato di sorveglianza di Potenza, con decreto n. 299/2019 emesso il 20 febbraio 2019 e depositato il 21 febbraio 2019 ha dichiarato inammissibile l'istanza di permesso premio ex art. 30-ter O.P. avanzata dal predetto D.G. rilevando che tra i reati in espiazione figuravano i reati di cui agli articoli 317 e 319 c.p., i quali rientravano nella previsione di cui all'art. 4-bis, comma 1 O.P. Riteneva il magistrato che l'istanza fosse inammissibile non ricorrendo le condizioni dell'accertata inesistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata unita alla collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter O.P. ovvero a norma dell'art. 323-bis c.p., e cio' in quanto il richiedente non aveva dedotto la sussistenza della predetta collaborazione. Trattandosi, quindi, di delitto interamente ostativo ed in difetto della detta collaborazione, il richiedente avrebbe dovuto espiare per intero la relativa condanna. Il decreto di rigetto, depositato in data 21 febbraio 2019, era notificato al detenuto in data 23 febbraio 2019 alle ore 14,05. La casa circondariale di /// trasmetteva la dichiarazione del detenuto resa il giorno 24 febbraio 2019 alle ore 10,45 con la quale il predetto proponeva reclamo avverso il decreto di inammissibilita' allegando i motivi a sostegno. Dichiarazione pervenuta all'Ufficio di sorveglianza il 26 febbraio 2019 ed al Tribunale il successivo 27 febbraio 2019. Il reclamo appare tempestivamente proposto ai sensi dell'art. 30-bis O.P. dovendo aversi riguardo alla data ed ora della dichiarazione di impugnazione con allegato scritto contenente la enunciazione dei motivi (24 febbraio 2019, ore 10,45) e non alla data di ricezione della impugnazione conseguente alla trasmissione della impugnazione da parte della casa circondariale. Nel reclamo scritto trasmesso in uno alla dichiarazione di impugnazione, il detenuto esponeva: 1) che la richiesta era ammissibile alla luce della normativa vigente all'epoca in cui l'istanza era stata formulata e non era imputabile al detenuto il ritardo nella adozione del provvedimento; 2) che era stata operata una illegittima applicazione retroattiva delle disposizioni restrittive introdotte dalla legge cosiddetta anticorruzione; 3) che il provvedimento impugnato e' stato adottato in violazione dell'art. 25, comma 2 della Costituzione in quanto non considera che per consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale (sentenze n. 349 del 1993 e n. 504 del 1995) permesso premio rientra tra le misure sostanziali che incidono sulla quantita' e quantita' pena e percio' stesso modificano il grado di privazione della liberta' personale imposto al soggetto sicche' le relative disposizioni restrittive, avendo incidenza di natura sostanziale, rientrano nel regime di irretroattivita' sancito dall'art. 25, comma 2 O.P.; 4) che il provvedimento impugnato e' illegittimo perche' non tiene conto dell'orientamento della Corte costituzionale relativo all'art. 4-bis O.P. secondo cui le disposizioni restrittive sopravvenute non si applicano nei confronti dei condannati che prima della entrata in vigore della disciplina piu' rigorosa abbiano raggiunto una grado di rieducazione proporzionato al beneficio richiesto; 5) che il reclamante, all'epoca della entrata in vigore della legge piu' restrittiva aveva gia' realizzato tutte le condizioni per l'accesso al permesso premio avendo raggiunto un grado di rieducazione adeguato al godimento di tale beneficio; 6) la disciplina sopravvenuta era stata erroneamente applicata anche sotto altro profilo in quanto, non solo non sussisteva alcun collegamento del richiedente con la criminalita' organizzata ma lo stesso versava nella condizione della cosiddetta collaborazione inesigibile in considerazione dell'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilita' operato con la sentenza di condanna. Tale situazione non era stata dedotta al momento della presentazione della istanza in quanto l'allora formulazione dell'art. 4-bis O.P. non comprendeva tra i reati di cui al comma 1 quelli di cui agli articoli 317 e 319 c.p. Chiedeva quindi il D.G. annullarsi il provvedimento impugnato. Il 13 giugno 2019 la difesa del D.G. depositava memoria difensiva nella quale erano svolte argomentazioni in ordine alla inapplicabilita' retroattiva della nuova disciplina di cui alla legge 9 gennaio 2019, n. 3; richiamava il principio costituzionale della non regressione trattamentale al fine di negare l'applicazione in via retroattiva della normativa sopravvenuta ed insisteva per l'accoglimento del reclamo; in via subordinata, essendo la relativa questione rilevante e non manifestamente infondata, sollevava questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge n. 3/2019 nella parte in cui modificando l'art. 4-bis O.P., comma 1 della legge n. 354/1975, si applicava anche in relazione ai delitti di cui agli articoli 318, 319, 319-quater e 321 c.p., commessi anteriormente alla entrata in vigore della legge medesima per contrasto con gli articoli 3, 25, comma 2; 27, comma 3; 117 Cost., art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. In data 15 giugno 2019 perveniva memoria a firma del detenuto nella quale svolgeva argomentazioni a sostegno della ricorrenza della condizione di «collaborazione impossibile e/o inesigibile» nella quale lo stesso versava e chiedeva al tribunale di accertare la impossibilita' e/o inesigibilita' della collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter O.P. Dalla posizione giuridica in atti si evince che il detenuto e' ristretto in espiazione di condanna inflitta in relazione agli articoli 81, comma 2 c.p.; 317 c.p.; art. 317 c.p.; articoli 110-81, comma 2 e 319 c.p., con sentenza della Corte di appello di Potenza del 30 settembre 2016 irrevocabile in data 8 agosto 2017. Come noto, l'art. 4-bis, comma 1 O.P. e' stato sostituito dall'art. 1, comma 6, della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonche' in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici) entrata in vigore il 31 gennaio 2019. La sostituzione e' avvenuta nel senso che al predetto articolo sono state apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole: «collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter della presente legge» sono inserite le seguenti: «o a norma dell'art. 323-bis, secondo comma, del codice penale»; b) dopo le parole: «mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli» sono inserite le seguenti: «314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis,». L'istanza di concessione del permesso premio ex art. 30-ter O.P. e' stata avanzata dal D.G. con richiesta datata 8 gennaio 2019 pervenuta all'Ufficio di sorveglianza in data 17 gennaio 2019 ovvero in epoca anteriore alla entrata in vigore delle disposizioni sopra indicate le quali risultano maggiormente restrittive quanto alla concessione di benefici penitenziari rispetto alla normativa vigente all'epoca della proposizione della domanda. Il magistrato di sorveglianza, nel dichiarare inammissibile l'istanza, ha ritenuto che la sopraggiunta normativa, in quanto vigente al momento dell'adozione della pronuncia, fosse applicabile al caso in esame evidentemente in applicazione del principio tempus regit acutm stante la natura di normativa di natura processuale e non sostanziale e non essendo stata dedotta alcuna delle ipotesi di collaborazione previste nella norma siccome modificata. Dalla disamina del testo dell'art. 4-bis O.P. nella versione conseguente alla sostituzione effettuata dall'art. 1, comma 6, legge n. 3/2019, si evince che, fatta eccezione per la liberazione anticipata, le ipotesi delittuose inserite nella previsione dell'art. 4-bis, comma 1 O.P. integrano altrettante fattispecie assolutamente ostative alla concessione dei benefici penitenziari, tra i quali il permesso premio, salva la collaborazione positiva del condannato ai sensi dell'art. 58-ter O.P. e 323-bis c.p. ovvero, in mancanza di detta collaborazione, nei casi di ricorrenza della cosiddetta collaborazione inesigibile di cui al comma 1-bis dell'art. 4-bis O.P. e sempre sul presupposto dell'accertata assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata. Reputa questo Tribunale di dover sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge n. 3/2019 non potendo allo stato ritenersi che la soluzione della questione possa discendere da una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di riferimento. Non sembra, infatti, superabile, in difetto di apposito intervento della Corte costituzionale, l'orientamento giurisprudenziale prevalente in ordine alla natura processuale delle norme regolanti l'esecuzione penale e quindi anche delle norme concernenti l'ambito di concedibilita' dei benefici penitenziari. Principio affermato nel senso che le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalita' esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e, pertanto (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo (Cassazione penale sez. I, 5 febbraio 2013, n. 11580; Cassazione penale sez. I, 11 novembre 2009, n. 46649; Cassazione penale sezioni unite, 30 maggio 2006, n. 24561; sez. I n. 3789 del 22 settembre 1994; sez. I n. 3834 del 23 settembre 1994; sez. 1, n. 5976 del 30 novembre 1998, De Fazio, sez. 1, n. 6356 del 15 dicembre 1998, Galluccio, sez. 1, n. 999 dell'11 febbraio 2000). In alcuni casi le leggi intervenute nella soggetta materia contenevano disposizioni transitorie. Cosi' il decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203, che inseri' per primo l'art. 4-bis nell'ordinamento penitenziario, introdusse anche altri limiti per determinati benefici penitenziari. Ebbene, questa legge non contiene disposizioni transitorie in ordine all'art. 4-bis, mentre ha disposizioni transitorie per quanto riguarda il lavoro all'esterno (art. 21 O.P.), i permessi premio (art. 30-ter O.P.) e l'ammissione alla semiliberta' (art. 50 O.P.). Per queste misure il legislatore del 1991 ha innalzato la soglia di espiazione della pena che i condannati per i delitti di cui al 4-bis devono superare per poter accedere ai benefici: la relativa disposizione transitoria (art. 4) stabilisce che le nuove norme si applicano solo per i condannati per delitti commessi dopo l'entrata in vigore del decreto-legge. Parimenti la legge 23 dicembre 2002, n. 279, che ha modificato in senso restrittivo il comma 1, dell'art. 4-bis (art. 1), ha una norma transitoria (art. 4) per la quale le modifiche apportate con l'art. 1 «non si applicano nei confronti delle persone detenute per i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 c.p. ovvero per delitti posti in essere per finalita' di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico, commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge». Il fatto che, invece, la citata legge n. 3/2019 non contenga alcuna disposizione transitoria analoga a quelle precedenti induce a ritenere che le innovazioni introdotte con essa, lungi dall'applicarsi solo ai delitti commessi o alle condanne divenute esecutive dopo la entrata in vigore della legge stessa, soggiacciano invece al generale principio del tempus regit actum. Deve tuttavia darsi atto che la Suprema corte di cassazione, con la sentenza Cass. sez. 6 del 14 marzo 2019, n. 12541, si e' distaccata dal predetto orientamento consolidato propendendo invece per altro approccio di tipo sostanzialistico quale quello adottato dalla giurisprudenza della corte CEDU in materia penale. Nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema corte, il giudice per le indagini preliminari in sede di emissione di sentenza di patteggiamento in relazione ai reati di cui agli articoli 110, 319 e 321 c.p. e articoli 319, 319-ter e 321 c.p. aveva ordinato all'imputato di pagare una data somma a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 322-quater c.p. Avverso detto provvedimento era stato proposto ricorso per cassazione chiedendosi l'annullamento dello stesso con limitato riferimento alla disposta condanna al pagamento della riparazione pecuniaria per violazione di legge penale e processuale. La difesa nell'esporre i motivi, aveva sollecitato la Corte, ritenendone la competenza a conoscere della fase esecutiva del procedimento, a sollevare la questione di legittimita' costituzionale della legge 9 gennaio 2019, n. 3, art. 6, comma 1, lettera b), nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli «ostativi» alla concessione di alcuni benefici penitenziari, ai sensi della legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, per rilevato contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., art. 25 Cost., comma 2, art. 27 Cost., comma 3, e art. 117 Cost., art. 7 CEDU, nella parte in cui non prevede un regime intertemporale. A sostegno della deduzione, la difesa rilevava, sotto un primo aspetto, come avendo riguardo al combinato disposto dell'art. 656 c.p.p., comma 9, lettera a), e legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, in relazione ai delitti di cui agli articoli 319, 319-ter e 321 c.p. contestati al proprio assistito, in quanto inseriti nel novero dei reati di cui allo stesso art. 4-bis in virtu' della novella con legge 9 gennaio 2019, n. 3, non sia piu' possibile sospendere l'ordine di esecuzione ai fini della richiesta di misure alternative alla detenzione in stato di liberta'. In assenza di una disposizione transitoria regolativa dei limiti temporali di applicazione della nuova disciplina, con il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, l'emissione dell'ordine di carcerazione sara' pertanto «obbligata», con una modifica peggiorativa del trattamento penitenziario. Modifica peggiorativa «a sorpresa» atteso che, al momento in cui avanzava la richiesta ex articoli 444 e 445 c.p.p., l'imputato poteva ragionevolmente confidare che la sanzione sarebbe rimasta nei limiti di operativita' delle misure alternative e dunque «senza assaggio di pena». Evidenzia, pertanto, come tale modifica in itinere delle «regole del gioco», in quanto del tutto imponderabile all'atto dell'opzione in rito, si ponga in evidente contrasto con l'art. 7 CEDU, come interpretato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo in situazioni analoghe, rilevante ai fini dell'art. 117 Cost., la' dove viola il principio dell'affidamento quanto alla prevedibilita' delle conseguenze sanzionatorie (vedi per tutte Grande camera 21 dicembre 2013, Del Rio Prada contro Spagna). La pronuncia Cassazione penale sez. VI, 14 marzo 2019 (udienza 14 marzo 2019, depositata il 20 marzo 2019), n. 12541, nell'esaminare la sollecitazione del ricorrente a sollevare l'incidente di costituzionalita' sotto un duplice profilo e cioe' in relazione, da un lato, all'omessa previsione di un regime di diritto intertemporale da parte della legge n. 3/2019 e, dall'altro lato, all'inserimento dei reati contro la pubblica amministrazione fra i «reati ostativi» contemplati dall'art. 4-bis O.P., affermava che la questione di incostituzionalita' concernente l'assenza di un regime di diritto intertemporale, per quanto non fosse manifestamente infondata, risultava nondimeno non rilevante nella specie ... Assume la Suprema corte che «Puo' convenirsi con il ricorrente che l'omessa previsione di una disciplina transitoria circa l'applicabilita' della disposizione (come novellata) possa suscitare fondati dubbi di incostituzionalita' in relazione ai riverberi processuali sull'ordine di esecuzione, in quanto non piu' suscettibile di sospensione in forza della previsione dell'art. 656 c.p.p., comma 9. Va difatti considerato come, secondo disposto dell'art. 656, comma 9, lettera a), la sospensione dell'ordine di esecuzione della sentenza di condanna ad una pena detentiva non superiore a quattro anni (giusta anche la declaratoria d'incostituzionalita' con sentenza della Corte costituzionale 2 marzo 2018, n. 41) per il termine di trenta giorni al fine di consentire al condannato in stato di liberta' di avanzare istanza di concessione di una delle misure alternative previste dalla legge n. 354 del 1975, sospensione prevista dal comma 5 dello stesso articolo, non possa essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui al citato art. 4-bis. Orbene, avuto riguardo al "diritto vivente", quale si connota alla luce del diritto positivo e della lettura giurisprudenziale fino ad ora consolidata a seguito della decisione delle sezioni unite del 2006, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena, ma soltanto le modalita' esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette, in assenza di una specifica disciplina transitoria, al principio tempus regit aetum e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 c.p. e dall'art. 25 Cost. (sezioni unite, n. 24561 del 30 maggio 2006, P.M. in proc. A., Rv. 233976; sez. 1, n. 46649 dell'11 novembre 2009, Nazar, Rv. 245511; sez. 1, n. 11580 del 5 febbraio 2013, Schirato, Rv. 255310). In applicazione di tale interpretazione, con riferimento ai reati ascritti al ricorrente, non sarebbe piu' possibile disporre la sospensione dell'esecuzione ai sensi del combinato disposto dell'art. 656 c.p.p., comma 9, in base all'art. 4-bis O.P. (come novellato nel gennaio 2019). 6.2. D'altra parte, non e' revocabile in dubbio che, nella piu' recente giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo, ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena abbiano assunto una connotazione "antiformalista" e "sostanzialista", privilegiandosi alla qualificazione formale data dall'ordinamento (all'"etichetta" assegnata), la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonche' alle modalita' di esecuzione della sanzione o della misura imposta. Significativa in tale senso e' la pronuncia resa nel caso Del Rio Prada contro Spagna (del 21 ottobre 2013), la' dove la Grande camera della Corte EDU, nel ravvisare una violazione dell'art. 7 della Convenzione, ha riconosciuto rilevanza anche al mutamento giurisprudenziale in tema di un istituto riportabile alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento in quanto suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo dunque ad affermare che, ai fini del rispetto del "principio dell'affidamento" del consociato circa la "prevedibilita' della sanzione penale", occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione (sebbene, in quel caso, l'istituto avesse diretto riverbero sulla durata della pena da scontare). 6.3. Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo, non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le "carte in tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 CEDU e, quindi, con l'art. 117 Cost., la' dove si traduce, per il F., nel passaggio, "a sorpresa" e dunque non prevedibile, da una sanzione patteggiata "senza assaggio di pena" ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il gia' rilevato operare del combinato disposto dell'art. 656 c.p.p., comma 9, lettera a), e art. 4-bis O.P. D'altronde, in precedenza, il legislatore aveva adottato disposizioni transitorie finalizzate a temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche all'art. 4-bis O.P., quali quelle contenute nel decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, art. 4, e nella legge 23 dicembre 2002, n. 279, art. 4, comma 1 (che inseriva i reati di cui agli articoli 600, 601 e 602 c.p. nell'art. 4-bis cit.), limitandone l'applicabilita' ai soli reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge.». La Suprema corte riteneva di non sollevare la questione di incostituzionalita' prospettata in quanto la stessa afferiva non alla sentenza di patteggiamento oggetto del ricorso, ma all'esecuzione della pena applicata con la stessa sentenza, dunque ad uno snodo processuale diverso nonche' logicamente e temporalmente successivo, di talche' ai fini della decisione della Corte non rilevava, potendo se del caso essere riproposta in sede di incidente di esecuzione. Tanto premesso, deve affermarsi che la questione dell'applicabilita' della modifica apportata all'art. 4-bis, comma 1 O.P. dall'art. 1, comma 6, lettera b) O.P. anche alla esecuzione di pena detentiva irrogata con sentenza di condanna per fatti commessi anteriormente alla modifica introdotta dal citato art. 1, comma 6, lettera b) e' indubbiamente dotata di rilevanza nel caso in disamina avendo il D.G. chiesto l'accesso ad un beneficio penitenziario quale il permesso ex art. 30-ter O.P.) ed essendo lo stesso ristretto in espiazione di condanna intervenuta prima del 31 gennaio 2019 per reati (articoli 317-319 c.p.) i quali, in ragione della modifica di cui si e' detto, sono divenuti, in epoca successiva alla domanda di concessione del beneficio, integralmente ostativi in assenza di collaborazione o in assenza di collaborazione che sia accertata come inesigibile o impossibile. Va poi considerato che le risultanze istruttorie acquisite in atti (vedi relazioni della casa circondariale di /// del 17 giugno 2019 e dell'8 aprile 2019) consentirebbero nel merito di addivenire ad una pronuncia di concessione del beneficio avuto riguardo alla regolare condotta intramuraria, all'ammissione al lavoro all'esterno ex art. 21 O.P. svolto nella forma del volontariato nell'ambito della consulenza giuridica prestata in prevalenza a favore di utenti stranieri con uscita tutte le mattine dal lunedi' al venerdi' dalle 9,00 alle 12,00 a decorrere dal settembre 2018 per recarsi presso la Caritas di /// (programma ex art. 21 O.P. approvato dal magistrato di sorveglianza in data 29 agosto 2018). Emerge dalle relazioni in atti che il confronto con i responsabili del servizio ha consentito di accertare l'adesione corretta e costante del detenuto a quanto previsto nel programma di trattamento. Tale impegno e' mantenuto con estrema dedizione e senso di responsabilita'. L'attivita' di volontariato viene svolta nell'ambito di un'azione riparatrice di risarcimento. Il soggetto mantiene una condotta regolare esente da rilievi disciplinari; si segnala un atteggiamento di disponibilita' nel dare aiuto e sostegno ai compagni di stanza in difficolta'. Va poi sostenuta altresi' la non manifesta infondatezza della questione in relazione ai profili di seguito esposti. 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge 9 gennaio 2019, n. 3, per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 117 della Cost., 7 della CEDU in riferimento alla violazione del principio della irretroattivita' della legge penale. - In base all'art. 7, paragrafo 1 CEDU nessun puo' essere condannato per un'azione o una omissione che al momento in cui e' stata commessa non costituiva reato secondo il diritto interno o interazionale, ne' puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso. Si impone con evidenza il richiamo ai principi stabiliti dagli articoli 25, comma 2 della Costituzione, e 2 c.p. posto che da tali norme discende il principio che nessuna conseguenza sfavorevole puo' derivare al soggetto da una legge successiva alla commissione del fatto reato, in tanto consistendo il cosiddetto principio di irretroattivita'. La Corte CEDU, adottando un atteggiamento di tipo sostanzialistico, ha riconosciuto che istituti, pur formalmente non classificati come penali e collocati nella normativa penitenziaria, non possono essere considerati alla stregua di mere modalita' di esecuzione della pena e quindi sottratti al principio di irretroattivita' qualora essi finiscano per incidere sulla pena in termini di sostanziale modificazione quantitativa o qualitativa della pena stessa. Deve ritenersi che questo sia il caso non solo delle misure alternative alla detenzione bensi' anche quello dei permessi premio. Anche tale secondo istituto non attiene ad una mera modalita' di esecuzione della pena e l'avere introdotto la modifica dell'art. 4-bis, comma 1 O.P. nel senso di escludere l'accesso a siffatto beneficio in presenza di condanna per una tipologia di delitti individuati come interamente ostativi ma che tali non erano in base alla normativa previgente viene ad incidere sulla qualita' essenziale della pena stessa rispetto alla quale la funzione rieducativa viene assicurata anche tramite il beneficio ex art. 30-ter O.P. Una eventuale modifica normativa sopravvenuta che, come quella in esame, operi in senso di restringere i presupposti di accesso ai permessi premio viene a modificare la natura stessa della sanzione penale applicata escludendo, ora per allora, che pene relative a determinati reato possano consentire l'accesso ad esperienze in esternato nella forma del beneficio premiale. In tal modo si incide in senso deteriore ed in senso sostanziale sulla esecuzione della pena e, quindi, sul grado di liberta' del detenuto. Nella pronuncia Corte costituzionale 28 luglio 1993 (udienza 24 giugno 1993, depositata il 28 luglio 1993), n. 349, e' presente un passaggio motivazionale di rilevanza ai fini che interessano, laddove si definiscono «misure di natura sostanziale che incidono sulla qualita' e quantita' della pena» quelle «che comportano un sia pur temporaneo distacco, totale o parziale, dal carcere (cosiddette misure extramurali), e si precisa che le misure che ammettono a forme di espiazione della pena fuori dal carcere (previste, per lo piu', al capo VI del titolo I dell'ordinamento penitenziario, «Misure alternative alla detenzione»: affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semiliberta', liberazione anticipata, licenze; ma anche l'assegnazione al lavoro esterno o i permessi premio previsti al capo III) «incidono sostanzialmente sull'esecuzione della pena e, quindi, sul grado di liberta' personale del detenuto». D'altronde, con la sentenza 30 dicembre 1997, n. 445, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 3 e 27 Cost., l'art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella parte in cui non prevede che il beneficio della semiliberta' possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, in quanto, posto che, alla luce del principio della progressivita' trattamentale piu' volte affermato dalla Corte, soltanto postulando la piena coerenza della scelta normativa di espungere dal panorama delle opportunita' rieducative istituti di fondamentale risalto, quale certamente e' la semiliberta', anche nei confronti di soggetti che (come nella specie) gia' si trovavano da tempo in fase di espiazione all'atto della entrata in vigore della nuova e piu' rigorosa disciplina introdotta dal decreto-legge n. 306 del 1992, potrebbe ritenersi non compromesso il principio di uguaglianza e, al tempo stesso, non frustrata la funzione rieducativa della pena, e' proprio quella coerenza a risultare gravemente incrinata nelle ipotesi in cui il condannato avesse gia' maturato a quell'epoca positive esperienze, al punto da essere iscritto in un programma di trattamento fortemente caratterizzato da adesioni comportamentali, in se' sintomatiche di un percorso rieducativo difficilmente regredibile. La Corte costituzionale si e' espressa sul terreno della inibizione all'applicazione immediata delle disposizioni peggiorative nei confronti di coloro che in regime di restrizione avessero gia' raggiunto, al momento della vigenza delle disposizioni peggiorative, uno stadio del percorso rieducativo da ritenersi adeguato al godimento del beneficio (sentenze n. 504 del 1995, n. 445 del 1997, n. 137 del 1999, n. 257 del 2006). Nel caso concreto in cui e' intervenuta declaratoria di inammissibilita' della domanda di permesso premio in relazione a condannato ristretto in espiazione di pena inflitta per i delitti divenuti ostativi a seguito della sopravvenuta normativa ma che tali non erano al momento della domanda, deve ritenersi che la modifica operata dall'art. 1, comma 6, lettera b), che ha per effetto quello di denegare il permesso premio tranne che non ricorra la collaborazione ex art. 323-bis, secondo comma del codice penale o l'accertamento della collaborazione impossibile (e ferma restando sempre l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata), abbia determinato un sostanziale aumento del grado di compressione della liberta' personale sicche' la violazione costituzionale deve ravvisarsi nella mancanza di una disposizione di natura transitoria che in aderenza ai principi di cui agli articoli 25, comma 2, 117 Cost. e 7 CEDU, faccia decorrere l'efficacia delle disposizioni peggiorative introdotte dalla data di entrata in vigore della legge n. 3/2019 con previsione, quindi, di non applicazione delle modifiche sfavorevoli alle pene relative a fatti commessi anteriormente a tale entrata in vigore. Va tenuto presente che se e' vero che in taluni casi il legislatore ha espressamente introdotto una norma transitoria per circoscrivere l'applicabilita' della normativa limitativa della concessione dei benefici penitenziari per alcuni delitti ai condannati per delitti commessi dopo l'entrata in vigore della normativa (art. 4, legge n. 203/1991 di conversione del decreto-legge n. 152/1991), e' anche vero che laddove tale norma sia mancata e' intervenuta la Corte costituzionale affermando il cosiddetto principio di non regressione del trattamento per fatto incolpevole cosi' dichiarando la illegittimita' costituzionale delle norme sopravvenute nella parte in cui non prevedono che i benefici in esse indicati potevano essere concessi nei confronti dei condannati che avessero gia' raggiunto sulla base della normativa previgente un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti (Corte costituzionale n. 79/2007; n. 257/2006; n. 137/1999; n. 445/1997). 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge 9 gennaio 2019, n. 3, per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 117 della Costituzione, 7 della CEDU in riferimento alla violazione del principio di affidamento. - Il sopraggiungere della normativa di cui all'art. 1, comma 6 della legge n. 3/2019, ha operato una lesione del cosiddetto principio di affidamento il quale discende dal principio di irretroattivita' in materia penale che si trae dagli articoli 25, comma 2, 117 Cost. e 7 CEDU. Lede tale principio ogni modifica che successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna renda piu' severo il trattamento sanzionatorio aggravando la pena stabilita dal giudice in relazione alla condotta accertata. Il legittimo affidamento non puo' che avere ad oggetto l'an, la tipologia della sanzione, la dimensione quantitativa della sanzione che verra' irrogata e quindi la sua «afflittivita'» nella accezione sopra detta. Varie le pronunce della Corte di Strasburgo espressione del cosiddetto principio di affidamento le quali hanno censurato le disposizioni degli ordinamenti interni introduttive di applicazione retroattiva di pene intese in senso sostanziale piu' severe ed hanno affermato il principio che la prevedibilita' cui si riferisce l'art. 7 CEDU non riguarda solo il settore della sanzione ma anche quello della sua esecuzione. In tal senso sentenza Gurguchiani contro Spagna che ha affermato la illegittimita' della espulsione prevista obbligatoriamente in sostituzione della pena detentiva da una normativa successiva alla commissione del delitto laddove la legge vigente al momento del fatto stabiliva quella sostituzione come meramente eventuale ad opera del giudice; la sentenza M. contro Germania (ricorso n. 19359/04) che ha censurato l'applicazione retroattiva del nuovo e piu' duro regime di durata della custodia di sicurezza, misura personale che in base ad una legge introdotta successivamente alla commissione del fatto non era piu' limitata nel massimo a dieci anni; la sentenza Del Rio Prada contro Spagna che ha ritenuto parte integrante del diritto penale materiale un istituto affine alla liberazione anticipata prevista nel nostro ordinamento. Analogamente, anche pronunce nazionali hanno ritenuto lesive del cosiddetto principio dell'affidamento le ipotesi in cui gli effetti sfavorevoli previsti da un disposizione normativa conseguano non ad una condotta dell'imputato/condannato bensi' siano imputabili a fattori esterni, aleatori, del tutto sottratti alla sua sfera di controllo (sezioni unite 12 luglio 2007, n. 27614) venendo ad escludere per tali motivi la modifica retroattiva in pejus di misure cautelari (sezioni unite, sentenza 14 luglio 2011, n. 29719) ed evidenziando che in ordine alle norme processuali, occorre adottare un approccio sostanziale valutandosi in concreto l'effettivo impatto sui diritti fondamentali ed in primis sulla liberta' personale. La sopraggiunta limitazione all'accesso ai benefici penitenziari e tra questi i permessi premio non rappresenta modifica incidente sulle mere modalita' esecutive della pena detentiva ma viene ad operare una vera e propria trasformazione della tipologia di pena eseguibile determinando un inasprimento della sanzione stessa. Le disposizioni della legge n. 3/2019 che hanno introdotto un trattamento sanzionatorio piu' severo per i delitti contro la pubblica amministrazione senza introdurre un regime intertemporale hanno generato un mutamento imprevedibile ed indipendente dalla sfera di controllo del soggetto tale da modificare in senso sostanziale il quadro giuridico normativo che il soggetto aveva di fronte a se' al momento in cui si e' determinato alla consumazione del reato con piena consapevolezza della relative conseguenze, cosi' da poterne adeguatamente soppesare i benefici e svantaggi. In definitiva, la intervenuta modifica ha «sorpreso» il soggetto con una sanzione non prevedibile al momento della commissione del fatto. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge 9 gennaio 2019, n. 3, per contrasto con gli articoli 3 e 27, commi 2 e 3 Cost., in relazione alla violazione del principio di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena. - La mancata previsione, nella sopraggiunta normativa di una disposizione di natura transitoria che limiti l'efficacia delle disposizioni piu' restrittive alla esecuzione delle condanne per fatti reato commessi dopo la sua entrata in vigore, lede il principio di ragionevolezza e della finalita' rieducativa della pena di cui agli articoli 3 e 27, commi 2 e 3 Cost. La disciplina piu' severa, incidendo sulla esecuzione di condanne per fatti commessi prima della sua entrata in vigore, crea una irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti che, giudicati colpevoli dei medesimi reati, abbiano vista decisa la propria istanza di accesso al beneficio penitenziario prima della entrata in vigore della legge n. 3/2019 e quelli che, per mera casualita' o comunque per fattori del tutto avulsi dalla propria volonta', l'abbiano vista decidere in epoca posteriore a tale momento. Ne deriva l'irragionevole esito per cui si generano trattamenti diversi del tutto sganciati dal grado di meritevolezza e di adesione al percorso rieducativo dei condannati per i medesimi delitti. La carenza di disposizioni transitorie incide in senso sfavorevole sui relativi percorsi di risocializzazione senza alcuna correlazione con un giudizio aderente alla personalita' dei detenuti e sul grado di rieducazione da essi raggiunto e finisce per porsi in contraddizione con la «logica della progressione trattamentale penitenziaria che, notoriamente, deve caratterizzare l'espiazione della pena detentiva in rapporto al finalismo di cui all'art. 27 Cost. (sentenza Corte costituzionale n. 149/2018 che richiama le sentenze n. 255 del 2006, n. 257 del 2006, n. 445 del 1997 e n. 504 del 1995). Il carattere automatico della preclusione all'accesso ai benefici penitenziari o, piu' correttamente, la possibilita' di accesso solo in caso di collaborazione o di accertata collaborazione impossibile senza alcuna distinzione di ordine temporale quanto alla sfera di applicazione della nuova normativa finisce con il determinare l'operativita' della disciplina restrittiva a danno di condannati che avevano maturato un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto gia' in epoca antecedente alla entrata in vigore della legge n. 3/2019 con l'effetto di impedire al giudice qualsiasi valutazione individuale sul concreto percorso di rieducazione compiuto dal condannato durante l'esecuzione della pena stessa e cio', soltanto in ragione del titolo di reato che supporta la condanna. Tale automatismo e la connessa impossibilita' per il giudice di procedere a valutazioni individualizzate contrasta pero' con il ruolo che deve essere riconosciuto, nella fase di esecuzione della pena, alla sua finalita' di rieducazione del condannato; come chiarito da Corte costituzionale n. 149/2018 si tratta di finalita' ineliminabile (sentenza n. 189 del 2010), che deve essere sempre garantita anche nei confronti di autori di delitti gravissimi, condannati alla massima pena prevista nel nostro ordinamento, ovvero all'ergastolo (sentenza n. 274 del 1983). In questo senso e' orientata la costante giurisprudenza della Corte, che ha tra l'altro indicato come criterio «costituzionalmente vincolante» quello che esclude «rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzata e caso per caso» nella materia dei benefici penitenziari (sentenza n. 436 del 1999), in particolare laddove l'automatismo sia connesso a presunzioni iuris et de iure di maggiore pericolosita' legate al titolo del reato commesso (sentenza n. 90 del 2017), giacche', ove non fosse consentito il ricorso a criteri individualizzanti, «l'opzione repressiva finirebbe per relegare nell'ombra il profilo rieducativo» (sentenza n. 257 del 2006), instaurando di conseguenza un automatismo «sicuramente in contrasto con i principi di proporzionalita' ed individualizzazione della pena» (sentenza n. 255 del 2006; in senso conforme, sentenze n. 189 del 2010, n. 78 del 2007, n. 445 del 1997, n. 504 del 1995). L'applicazione retroattiva della disciplina restrittiva confligge quindi con i citati parametri costituzionali perche' viene ad incidere in modo irragionevole sul percorso rieducativo senza che tale lesione sia collegabile ad un comportamento colpevole del condannato. Il Tribunale di sorveglianza, pertanto, premessa la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui, modificando l'art. 4-bis, comma 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, si applica anche in relazione ai delitti di cui agli articoli 317 c.p. e 319 c.p. commessi anteriormente alla entrata in vigore della medesima legge per contrasto con gli articoli 3, 25, comma 2, 27 commi 2 e 3, 117 Cost. e art. 7 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950. Ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, deve dichiararsi la sospensione del presente procedimento con immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, lettera b) della legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui, modificando l'art. 4-bis, comma 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354, si applica anche in relazione ai delitti di cui agli articoli 317 c.p. e 319 c.p. commessi anteriormente alla entrata in vigore della medesima legge, per contrasto con gli articoli 3, 25, comma 2; 27, commi 2 e 3; 117 Cost. e art. 7 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950. Dispone la sospensione del presente procedimento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953 e quindi per la notifica della presente ordinanza all'interessato, al suo difensore, al Procuratore generale presso la Corte di appello di Potenza, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso, in Potenza il 19 giugno 2019. Il Presidente: Stella Il magistrato estensore: Petrocelli