N. 211 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 agosto 2019

Ordinanza del 26 agosto 2019 della Corte dei conti -  Sez.  regionale
di controllo per la Calabria nel procedimento di  controllo  relativo
al Comune di Reggio Calabria. 
 
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Enti  locali   -   Piano   di
  riequilibrio finanziario pluriennale - Facolta' per gli enti locali
  che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione dei rispettivi
  piani di riequilibrio, ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge
  n. 208 del 2015, entro la data del 14 febbraio  2019,  di  deposito
  della sentenza della  Corte  costituzionale  n.  18  del  2019,  di
  riproporre il piano per adeguarlo alla normativa  vigente,  secondo
  la procedura prevista dai commi 888 e  889  dell'articolo  1  della
  legge n. 205 del 2017 - Possibilita' di  esercitare  tale  facolta'
  anche in caso  di  piano  non  ancora  approvato  dalla  competente
  sezione  regionale  della  Corte  dei  conti   ovvero   inciso   da
  provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  Corte
  costituzionale  adottati  dalla  sezione  regionale  competente   -
  Sostituzione della tabella, di cui  al  comma  5-bis  dell'articolo
  243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, riguardante la  durata  massima
  del piano di riequilibrio finanziario pluriennale. 
- Decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34  (Misure  urgenti  di  crescita
  economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di  crisi),
  convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019,  n.  58,
  art. 38, commi 2-bis e 2-ter, in combinato disposto con l'art.  38,
  comma 1-terdecies, del medesimo decreto-legge. 
(GU n.48 del 27-11-2019 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione regionale di controllo per la Calabria 
 
    Composta dai magistrati: 
        dott. Vincenzo Lo Presti, Presidente-relatore; 
        dott. Francesco Antonio Musolino, consigliere; 
        dott.ssa Stefania Anna Dorigo, referendario; 
ha emesso la seguente ordinanza n. 108/2019 nel giudizio per  l'esame
del Piano di riequilibrio finanziario del Comune di  Reggio  Calabria
(RC),  approvato,  ai  sensi   dell'art.   38,   comma   2-bis,   del
decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (convertito in  legge  28  giugno
2019, n. 58), con deliberazione di consiglio comunale n.  37  del  30
luglio 2019, pervenuta alla Sezione  di  controllo  della  Corte  dei
conti per la Calabria in data 7 agosto 2019 e, ivi,  protocollata  al
n. 0005475- 07/08/2019 - SC_CAL ˗ T81-A; 
    Visto l'art. 100, comma 2, della Costituzione; 
    Visto il regio decreto 12  luglio  1934,  n.  1214  e  successive
modificazioni; 
    Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni; 
    Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131,  recante  disposizioni  per
l'adeguamento   dell'ordinamento   della   Repubblica   alla    legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; 
    Visto  il  regolamento  n.  14/2000  per  l'organizzazione  delle
funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle sezioni
riunite della Corte dei conti in data 16  giugno  2000  e  successive
modifiche; 
    Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  recante  il
testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali; 
    Visto l'art. 6, comma 2,  del  decreto  legislativo  6  settembre
2011, n. 149; 
    Visto il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con la
legge 7 dicembre 2012, n. 213; 
    Considerato  che  il  Comune  di  Reggio   Calabria   (RC),   con
deliberazione della commissione straordinaria dell'8  febbraio  2013,
n. 17, ha fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario di
cui all'art. 243-bis del T.U.E.L.; con successiva deliberazione della
commissione straordinaria del 15 luglio 2013, n. 142, si  e'  avvalso
della facolta' di rimodulazione del Piano  di  riequilibrio  concessa
dall'art. 1, comma 15,  del  decreto-legge  8  aprile  2013,  n.  35,
recante: «Disposizioni urgenti per il pagamento  dei  debiti  scaduti
della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli
enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi  degli
enti locali»; 
    Considerato che, con deliberazione  n.  11/2014,  la  Sezione  di
controllo della Corte dei conti per la Calabria ha stabilito  di  non
approvare il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune
di Reggio Calabria; 
    Considerato che le sezioni riunite, in speciale  composizione  ex
art. 243-quater, comma 5, del T.U.E.L., con sentenza  n.  26/2014/EL,
hanno accolto il ricorso del Comune di  Reggio  Calabria  avverso  la
citata deliberazione n. 11/2014 della Sezione  di  controllo  per  la
Calabria; 
    Vista la deliberazione n.  89/2015  della  Sezione  di  controllo
della Corte dei conti per la Calabria, con cui e' stato sottoposto  a
monitoraggio il Piano di riequilibrio del predetto Comune,  ai  sensi
dell'art. 243-quater, comma 3, del T.U.E.L.; 
    Considerato che l'ente, con deliberazione di  consiglio  comunale
n. 19 del 29 marzo 2016, ha deciso di  avvalersi  della  facolta'  di
rimodulazione  del  Piano  di  riequilibrio   finanziario,   prevista
dall'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208  (Legge
di stabilita' 2016), come  modificato  dall'art.  15,  comma  1,  del
decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2016, n. 160; 
    Vista la deliberazione di consiglio comunale n. 42 del 29  giugno
2016  con  cui  il  Comune  di  Reggio  Calabria  ha   approvato   la
rimodulazione  del  Piano  di  riequilibrio  finanziario   ai   sensi
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; 
    Vista la deliberazione della Sezione di controllo della Corte dei
conti per la Calabria n. 69/2016, depositata l'8 settembre 2016,  con
cui sono stati richiesti chiarimenti e integrazioni istruttorie, e la
nota del 28 ottobre 2016, protocollo n. 16845, con cui l'ente ha dato
riscontro alla suddetta delibera; 
    Considerato che, con deliberazione n.  120/2016,  la  Sezione  di
controllo della Corte dei conti per la Calabria ha stabilito  di  non
approvare tale ultima  rimodulazione  del  piano,  ritenendo  che  la
delibera comunale fosse fondata su una erronea interpretazione  della
normativa, pro tempore vigente, che consentiva modifiche al piano  di
riequilibrio pluriennale -  ammettendo  il  ripiano  trentennale  del
debito  -  relativamente  al  solo   maggior   disavanzo   risultante
dall'operazione di riaccertamento straordinario dei residui  ex  art.
3, comma 16, del decreto legislativo n. 118/2011; 
    Considerato che il Comune di Reggio Calabria, in data 21  gennaio
2017,  ha  proposto  ricorso  alle  sezioni  riunite,   in   speciale
composizione ex art. 243-quater, comma 5, del  T.U.E.L.,  avverso  la
deliberazione n. 120/2016 della Sezione di controllo della Corte  dei
conti per la Calabria; 
    Considerato che, con sentenza n. 13/2017/EL, le  sezioni  riunite
in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5,  del  T.U.E.L.,
hanno respinto il suddetto ricorso, confermando la  citata  decisione
n. 120/2016 della Sezione di controllo della Corte dei conti  per  la
Calabria; 
    Vista la deliberazione di consiglio comunale n. 23 del 29  maggio
2017 con cui il Comune di Reggio  Calabria  ha  approvato  una  nuova
rimodulazione  del  Piano  di  riequilibrio  finanziario,  ai   sensi
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  quale
novellato dall'art. 1, comma 434, della legge 11  dicembre  2016,  n.
232; 
    Vista la deliberazione n. 86/2017, con la  quale  la  Sezione  di
controllo della Corte dei conti per la Calabria  ha  approvato  detta
ultima rimodulazione di cui alla deliberazione C.C. n. 23/2017; 
    Vista la sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019,  con
la  quale  e'  stata  dichiarata  la  illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  quale
novellato dall'art. 1, comma 434 della legge  11  dicembre  2016,  n.
232; 
    Vista la deliberazione n. 31/2019, con la  quale  la  Sezione  di
controllo della  Corte  dei  conti  per  la  Calabria  ha  dichiarato
l'inefficacia della predetta rimodulazione del Piano di  riequilibrio
finanziario, effettuata ai sensi dell'art. 1, comma 714, della  legge
28 dicembre 2015, n. 208, quale  novellato  dall'art.  1,  comma  434
della legge 11 dicembre 2016, n. 232; 
    Vista la deliberazione di Consiglio comunale n. 37 del 30  luglio
2019 con cui il Comune di Reggio  Calabria  ha  approvato  una  nuova
rimodulazione  del  Piano  di  riequilibrio  finanziario   ai   sensi
dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34,
convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58; 
    Vista l'ordinanza n. 14/2019, con la quale  il  Presidente  della
Sezione ha convocato l'odierna camera di consiglio; 
    Udito il relatore, Presidente di Sezione Vincenzo Lo Presti; 
 
                                Fatto 
 
    Il Comune di Reggio Calabria, con deliberazione della commissione
straordinaria dell'8  febbraio  2013,  n.  17,  faceva  ricorso  alla
procedura di riequilibrio finanziario di  cui  all'art.  243-bis  del
T.U.E.L.; con successiva deliberazione n. 142 del 2013 la commissione
straordinaria  integrava  e  rimodulava,  per  alcuni   aspetti,   la
precedente deliberazione n. 17/2013. 
    La Sezione di controllo della Corte dei conti  per  la  Calabria,
con  deliberazione  n.  11/2014,  non  approvava   detto   Piano   di
riequilibrio finanziario pluriennale (d'ora innanzi anche PRFP); tale
pronuncia veniva impugnata dal Comune dinanzi alle  sezioni  riunite,
in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5,  del  T.U.E.L.;
con sentenza n. 26/ 2014/EL il ricorso presentato veniva accolto, con
conseguente approvazione del PRFP. 
    Successivamente, il Comune presentava una prima rimodulazione del
proprio piano, ai sensi  dell'art.  1,  comma  714,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, approvata con delibera C.C. n.  42  del  2016;
con delibera n. 120 del 2016, la Sezione di controllo per la  Regione
Calabria riteneva di non  approvare  tale  modifica  del  PRFP;  tale
pronuncia veniva impugnata dal Comune dinanzi alle  sezioni  riunite,
in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5,  del  T.U.E.L.;
con sentenza n. 13/2017/EL, il ricorso  presentato  veniva  respinto,
con conseguente conferma della decisione impugnata. 
    Il  Comune  di  Reggio  Calabria,   quindi,   avvalendosi   della
riscrittura - in vigore dal 1 gennaio 2017 - dell'art. 1, comma  714,
legge n. 208/2015 ad opera dell'art. 1, comma 434 della legge n. 232/
2016  (cosiddetta  legge  di  stabilita'  2017),  con  delibera   del
consiglio comunale n. 23 del 29 maggio 2017 (trasmessa  alla  sezione
di controllo con nota acquisita al protocollo n. 0004088 del 1 giugno
2017)  presentava  una   ulteriore   rimodulazione   del   piano   di
riequilibrio che prevedeva: 
        1) il ripiano  della  quota  di  disavanzo  risultante  dalla
revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera
E) T.U.E.L., nel termine non piu' decennale  (pari  alla  durata  del
PRFP) ma trentennale, come previsto dalla facolta' di cui all'art. 1,
comma 714, legge n. 208/2015 in vigore dall'1 gennaio 2017;  piu'  in
dettaglio, tale quota  di  disavanzo  (pari  a  87.246.368,09  al  31
dicembre 2014 che, in virtu' delle quote gia' ripianate, ammontava  a
€ 65.062.759,89 al 31 dicembre 2016)  sarebbe  stata  rimborsata  non
piu' attraverso quote decennali di € 11.091.804,10  ciascuna,  ma  in
rate trentennali di € 2.538.485,47 ciascuna; 
        2)  il  rimborso  nell'arco  di   trenta   annualita'   delle
anticipazioni di liquidita'  fruite  ai  sensi  dell'art.  243-ter  e
243-quinquies del T.U.E.L. 
    Con delibera n. 86/2017, la Sezione di controllo della Corte  dei
conti per la Calabria «approvava» la predetta rimodulazione (rectius:
ne prendeva atto, stanti i principi espressi, in merito  all'art.  1,
comma 714, legge n. 208/2015,  dalla  deliberazione  n.  13/  SEZAUT/
2016/ QMIG). 
    Con sentenza n. 18/2019, depositata in data 14 febbraio 2019,  la
Corte costituzionale dichiarava l'illegittimita' dell'art.  1,  comma
714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, come sostituito  dall'art.
1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. 
    In conseguenza, con delibera n. 31/2019, la Sezione di  controllo
della Corte dei conti per la Calabria osservava che: 
        la riscrittura  del  PRFP  del  Comune  di  Reggio  Calabria,
approvata con deliberazione del C.C. n. 23/2017,  era  conforme  alla
normativa all'epoca  vigente  (art.  1,  comma  434  della  legge  n.
232/2016, in vigore dal  1  gennaio  2017,  che  aveva  integralmente
riscritto art. 1, comma 714, della legge n. 208/2015); 
        tuttavia,   detta   ultima   norma   era   stata   dichiarata
incostituzionale   con   la   sentenza   n.   18/2019   della   Corte
costituzionale; 
        pertanto, facendo applicazione dei principi  in  ordine  agli
effetti  della  dichiarazione   d'illegittimita'   costituzionale   e
considerando che  il  piano  di  riequilibrio,  ancora  in  corso  di
svolgimento, non poteva essere ritenuto un «rapporto  esaurito»,  era
evidente che, con la citata  pronuncia  di  incostituzionalita',  era
venuto meno il presupposto normativa che aveva consentito il recupero
trentennale del disavanzo risultante  dalla  revisione  straordinaria
dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera E) T.U.E.L.; 
        quindi, la citata delibera del consiglio comunale n.  23  del
29 maggio 2017 (con la quale, come gia' detto, il Comune, avvalendosi
della riscrittura - in vigore dal 1 gennaio 2017 - dell'art. 1, comma
714, legge n. 208/2015 ad opera dell'art. 1, comma 434,  della  legge
n. 232/2016 (cosiddetta legge di stabilita' 2017), aveva disposto: 1)
il ripiano  della  quota  di  disavanzo  risultante  dalla  revisione
straordinaria dei residui  ex  art.  243-bis,  comma  8,  lettera  E)
T.U.E.L. nel  termine  non  piu'  decennale  (pari  alla  durata  del
«piano») ma trentennale, come previsto dalla facolta' di cui all'art.
1, comma 714, legge n. 208/2015 in vigore dall'1 gennaio  2017;  piu'
in dettaglio, tale quota di disavanzo (pari a € 87.246.368,09  al  31
dicembre 2014 che, in virtu' delle quote gia' ripianate, ammontava  a
€ 65.062.759,89 al 31 dicembre 2016)  sarebbe  stata  rimborsata  non
piu' attraverso quote decennali di € 11.091.804,10  ciascuna,  ma  in
rate trentennali di € 2.538.485,47 ciascuna; 2) il rimborso nell'arco
di trenta annualita' delle  anticipazioni  di  liquidita'  fruite  ai
sensi dell'art. 243-ter e 243-quinquies del T.U.E.L.]  era  divenuta,
priva  di  supporto  normativo  e,  conseguentemente,  doveva  essere
dichiarata inefficace; 
        in conseguenza, doveva, invece, ritenersi vigente,  nei  suoi
effetti, il precedente PRFP,  adottato  con  la  deliberazione  della
commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, come integrata
dalla deliberazione della commissione  straordinaria  del  15  luglio
2013, n. 142 [in particolare, come gia' detto,  questa  versione  del
piano,  «approvata»  dalla  sentenza  delle  SS.RR.  n.   26/2014/EL,
prevedeva che il Comune di Reggio Calabria recuperasse  il  disavanzo
incluso nel PRFP entro  l'esercizio  2022,  che  segnava  il  termine
finale di durata del piano medesimo; infatti, nella pianificazione di
cui alle delibere della commissione straordinaria numeri 17 e 142 del
2013, era previsto che il disavanzo incluso nel PRFP, derivante dalla
revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera
E) T.U.E.L., venisse ripianato in quote decennali di €  11.091.804,10
ciascuna; a partire, invece, dall'esercizio 2017, la  «rimodulazione»
di cui  alla  deliberazione  C.C.  n.  23/2017  aveva  consentito  il
recupero annuale di quote di importo pari a € 2.538.485,47]. 
    Cio' premesso, questa Sezione  precisava  anche  quali  dovessero
essere le modalita' di ripiano del  disavanzo  non  recuperato  negli
esercizi 2017 e 2018; in tali esercizi, infatti, l'ente,  avvalendosi
della facolta' prevista  dall'art.  1,  comma  714,  della  legge  n.
208/2015, come modificato dall'art. 1,  comma  434,  della  legge  n.
232/2016, aveva spesato in bilancio una  rata  annuale  di  disavanzo
piu' «leggera»,  rispetto  alle  precedenti,  di  €  8.553.318,63  (€
11.091.804,10  -  €  2.538.485,47);  al  riguardo,   questa   Sezione
affermava che,  nella  fattispecie,  il  Comune  di  Reggio  Calabria
avrebbe dovuto recuperare le quote del disavanzo non recuperato negli
esercizi 2017 e 2018, entro i termini e  con  le modalita'  stabilite
dall'art. 188, comma 1, T.U.E.L.; la citata delibera n. 31/2019,  che
aveva affermato l'obbligo del Comune di Reggio Calabria  di  adeguare
il  Piano  di  riequilibrio  ai   principi   espressi   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 18/2018, non veniva  impugnata  dal
Comune di Reggio Calabria  divenendo  cosi'  definitiva.  Quindi,  la
Sezione  delle  autonomie  di  questa  Corte,  con  deliberazione  n.
8/2019/QMIG (pronunciandosi in ordine all'individuazione  di  criteri
di orientamento per la verifica da parte delle sezioni  regionali  di
controllo della corretta attuazione degli  effetti  conseguenti  alla
sentenza della Corte costituzionale n.  18  del  14  febbraio  2019),
stabiliva che « ... i piani di riequilibrio  finanziario  pluriennali
di cui all'art. 243-bis del TUEL  formulati  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 714, legge n.  208/2015,  norma  dichiarata  illegittima  dalla
Corte costituzionale  con  sentenza  n.  18  del  14  febbraio  2019,
approvati dalla  competente  sezione  regionale  di  controllo,  sono
intangibili relativamente alle sole quote di disavanzo riferite  alle
annualita' il cui ciclo di bilancio si sia chiuso con  l'approvazione
del  rendiconto.  Il  disavanzo   residuo   deve   essere   ripianato
considerando il piano originario  dell'ente,  approvato  prima  della
rimodulazione conseguente all'entrata in vigore  dell'art.  1,  comma
714, della legge n. 208/2015....»; in tal modo, veniva  ulteriormente
confermata  la  vigenza  del   piano   di   riequilibrio   decennale,
originariamente  approvato  dal  Comune  di   Reggio   Calabria   con
deliberazione della commissione straordinaria dell'8  febbraio  2013,
n. 17 (integrato, per alcuni aspetti, dalla successiva  deliberazione
n. 142 del 2013 sempre della commissione straordinaria). 
    Successivamente, con l'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30
aprile 2019, n. 34 (convertito con modificazioni in legge  28  giugno
2019, n. 58), veniva stabilito che  «...Gli  enti  locali  che  hanno
proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di  riequilibrio
ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge  28  dicembre  2015,  n.
208, entro la data del 14 febbraio 2019 di  deposito  della  sentenza
della Corte costituzionale n.  18  del  2019,  anche  se  non  ancora
approvato dalla competente sezione regionale della  Corte  dei  conti
ovvero inciso da provvedimenti conformativi  alla  predetta  sentenza
della sezione regionale competente, possono riproporre il  piano  per
adeguarlo alla normativa vigente secondo la  procedura  dell'art.  1,
commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205...». 
    Quindi, con delibera n. 25  del  12  luglio  2019  (acquisita  al
protocollo Corte dei conti n. 5134 del 18 luglio 2019), il  consiglio
comunale del Comune di Reggio Calabria comunicava, a questa  Sezione,
l'intenzione di avvalersi della facolta' di rimodulazione  del  PRFP,
ex art. 38,  comma  2-bis,  del  decreto-legge  n.  34/2019,  e,  con
successiva deliberazione di consiglio comunale n. 37  del  30  luglio
2019, approvava, quindi, una nuova  «riproposizione»  del  precedente
Piano di riequilibrio finanziario decennale, ai sensi della norma  in
questione. 
    Detto ultimo piano «riproposto» veniva trasmesso in data 7 agosto
(cfr.  documento  acquisito  al  protocollo  Corte   dei   conti   n.
0005475-07/08/2019 - SC_CAL - T81) alla Sezione Regione  della  Corte
dei conti per la Calabria, per  il  giudizio  di  approvazione  o  di
diniego di cui all'art. 38, comma 2-quater, decreto-legge n.  34  del
2019. 
    Cio'  premesso,  si  osserva  che,  a  seguito  di  detta  ultima
riscrittura, e' stata modificata solo la durata del PRFP e,  infatti,
il nuovo piano di riequilibrio  non  presenta  alcuna  variazione  in
punto di: 
        1. pianificazione di risanamento: le proiezioni di entrata  e
di  spesa  dell'ente,  necessarie  a  conseguire   il   riequilibrio,
rimangono  quelle  di  cui  al  PRFP  attualmente  efficace   (quello
approvato con deliberazione della  commissione  straordinaria  n.  17
dell'8 febbraio 2013 ed integrato, parzialmente, con  delibera  della
commissione straordinaria n. 142 del 15 luglio 2013) e si sviluppano,
pertanto, in un orizzonte decennale, che copre il periodo  2013-2022;
parimenti  decennale  e'  l'orizzonte  in  cui  operano  gli  accordi
stipulati con alcuni  creditori  del  Comune  per  la  riduzione  dei
«debiti commerciali»; 
        2.  quantificazione  del  disavanzo:  non   vengono   inclusi
ulteriori disavanzi  nel  frattempo  emersi  e/o  maturati,  giacche'
l'art. 38, comma 2-ter, del decreto-legge n. 34/2019 consente solo di
«ricalcolare» un disavanzo gia' incluso nel PRFP, fermo restando  che
ulteriori disavanzi devono seguire il regime di ripiano loro  proprio
(es.  art.  188  T.U.E.L.,  decreto  ministeriale  2  aprile   2015);
pertanto: 
          il «...disavanzo  gia'  oggetto  del  piano  modificato...»
(cfr. art. 38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34 del 2019), che era in
origine pari a € 124.144.849,41 (cfr.  quantificazione  di  cui  alla
deliberazione C.C. n. 17/2013), al 31 dicembre 2018 ammonta, al netto
delle somme gia' recuperate, a € 49.802.285,65; 
          b) gli «...altri disavanzi...» a cui  si  riferisce  l'art.
38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34/2019, sarebbero costituiti,  per
come dichiarato dall'ente,  dal  solo  «maggior  disavanzo»,  il  cui
recupero (n. 30 quote annuali di  €  4.777.943,58  ciascuna)  non  e'
stato mai incluso dall'ente nel PRFP (facolta' invece consentita  dal
testo originario dell'art.  1,  commi  714  e  715,  della  legge  n.
208/2015: cfr., in punto  applicativo,  Sezione  delle  autonomie  n.
4/2015/INPR, n. 32/2015/INPR, n. 13/2016/QMIG). 
    Sussistono, tuttavia, per il Comune di Reggio Calabria, ulteriori
passivita' che seguono piani di rateizzazione paralleli al  PRFP,  ma
non sono inclusi in esso e, precisamente: 
        i debiti verso il Ministero dell'interno (fondo di  rotazione
ex  art.  243-ter  T.U.E.L.,  percepito  per   €   45.682.648,16,   e
anticipazione  ex  art.  243-quinquies  T.U.E.L.,  percepita  per   €
20.000.000,00); 
        i debiti verso la Cassa depositi e prestiti (anticipazioni di
liquidita' percepite ex decreto-legge n. 35/2013 per un totale  di  €
185.287.196, 87 e ex decreto-legge n. 78/2015 per € 7.867.986,60); 
        inoltre, l'ente - a seguito  della  delibera  istruttoria  n.
33/2019 di questa Sezione (volta ad  accertare,  tra  l'altro,  anche
l'effettiva consistenza del debito dello stesso nei  confronti  della
Regione Calabria, per fornitura idropotabile) - ha stipulato un piano
di  rientro  ventennale  del  debito  nei  confronti  della   Regione
Calabria, per fornitura idropotabile fruita fra il 1981  e  il  2004;
tale ultimo debito ammonta, nel complesso, a  €  64.974.388,27  (cfr.
nota dell'ente n. 130061 del 31 luglio 2019, acquisita al  protocollo
Corte dei conti n. 5333 del 2 agosto 2019), da ripianare in rate,  di
tenore variabile, nel periodo compreso fra il giugno 2020 e il giugno
2039; in particolare, detto ulteriore piano di rateizzazione  sposta,
negli anni successivi al 2024, il maggior onere annuale del  rimborso
del  debito  e,  infatti,  prevede  rate  di  importo   pari   ad   €
1.000.000,00, per gli anni 2020 e 2021, una rata di  €  1.100.000,00,
per il 2022, una rata di € 1.200.000,00, per il 2023, una rata  di  €
1.500.000,00, per il 2024, e, dal 2025 al 2039, rate  costanti  di  €
3.944.959,22; alla data di chiusura dell'esercizio 2018, tali  ultime
consistenti passivita' non erano  state  ricondotte  nelle  scritture
contabili. 
    Cio' posto, come gia' detto, la riscrittura del PRFP, di cui alla
deliberazione C.C. n. 37/2019, presenta come unica variatio, rispetto
al piano di  riequilibrio  decennale  originariamente  approvato  dal
Comune  di  Reggio  Calabria  (con  deliberazione  della  commissione
straordinaria  dell'8  febbraio  2013,   n.   17,   integrata   dalla
deliberazione della commissione straordinaria n. 142  del  2013)  una
dilazione temporale del recupero dello stesso disavanzo  incluso  nel
piano medesimo in un termine doppio (ventennale  anziche'  decennale)
rispetto a quello originario. 
    Piu' in dettaglio, il PRFP riproposto prevede  che  il  disavanzo
gia' oggetto della procedura di riequilibrio  (che,  al  31  dicembre
2018,  al  netto  dei  ripiani  gia'  effettuati,  ammontava   ad   €
49.802.285,65) venga recuperato, a partire dal 2019,  in  quattordici
quote annue di € 3.557.306,12; tenuto conto delle sei annualita'  del
piano gia' decorse, il disavanzo originariamente  incluso  nel  piano
medesimo (pari a € 124.144.849,41 secondo la quantificazione  di  cui
alla deliberazione C.C. n. 17/2013) verrebbe ripianato in complessivi
venti anni; cio', in quanto gli impegni  del  titolo  I  della  spesa
dell'ultimo rendiconto approvato  dall'ente  (ossia  quello  relativo
all'esercizio 2018, approvato con deliberazione C.C.  n.  18  del  24
maggio 2019) sono  pari  nel  complesso  a  €  154.615.032,62,  e  il
rapporto fra il «...disavanzo gia' oggetto del piano modificato  ...»
(cfr. art. 38, comma  2-ter,  decreto-legge  n.  34/2019)  e  «...gli
impegni di cui al titolo I dell'ultimo rendiconto approvato...» (cfr.
art. 243-bis, comma 5-bis,  decreto  legislativo  n.  267/2000,  come
modificato dall'art. 1, comma 888, legge  n.  205  del  2017,  a  cui
l'art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34/2019 fa rinvio) e' pari a
80,29% (124.144.849,41 / 154.615.032,62 = 80,29%); pertanto, in  base
all'art. 1-terdecies del decreto-legge n. 34/2019 (che ha  sostituito
la tabella di cui  al  comma  5-bis  dell'art.  243-bis  del  decreto
legislativo n. 267/2000, gia'  introdotta  dall'art.  1,  comma  888,
legge n.  205  del  2017)  il  Comune  di  Reggio  Calabria,  la  cui
popolazione e' largamente superiore  a  n.  60.000  abitanti,  si  e'
avvalso della facolta' di prolungare la durata temporale del  proprio
PRFP a venti anni. 
 
                               Diritto 
 
    Preliminarmente, si osserva che,  come  affermato  dalla  recente
sentenza n. 18/2019 delle SS.RR. in speciale composizione  di  questa
Corte, il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale presenta  una
duplice natura, ricognitiva e programmatica. Sotto il primo  profilo,
presuppone una corretta rappresentazione delle poste contabili e,  in
particolare, della  massa  passiva  da  ripianare  e,  per  l'aspetto
programmatico,  si  sostanzia  in  un   giudizio   valutativo   circa
l'idoneita'  delle  misure  previste   rispetto   all'obiettivo   del
risanamento dell'ente, mediante riequilibrio  strutturale  dei  conti
(cfr.  ex  multis,  sezioni  riunite  n.  15/2019/EL;  Sezione  delle
autonomie, deliberazione 26 aprile 2018, n. 5/SEZAUT/2018/INPR). 
    La Corte costituzionale  inoltre,  con  la  recente  sentenza  n.
18/2019, ha inquadrato le verifiche della Corte dei conti in  materia
di PRFP nella categoria del controllo di legittimità-regolarita',  in
ragione dei caratteri di neutralita'  e  indipendenza  del  controllo
della Corte dei  conti  sui  bilanci  degli  enti  locali,  che  sono
strumentali al rispetto degli «...obblighi che lo  Stato  ha  assunto
nei  confronti  dell'Unione  europea  in  ordine  alle  politiche  di
bilancio...» (cfr. anche sentenza n. 39/2014); inoltre, con  sentenza
n. 228/2017  (richiamata  dalla  citata  pronuncia  n.  18/2019),  il
Giudice delle leggi ha precisato che i controlli del titolo VIII  del
T.U.E.L. sono controlli di legittimità-regolarita' e che appartengono
a tale «...categoria: a) la determinazione di misure  correttive  per
gli enti in predissesto (art. 243-bis, comma 6, lettera a, del TUEL);
b) l'approvazione o  il  diniego  del  piano  di  riequilibrio  (art.
243-quater, comma 3, del TUEL); c) gli accertamenti propedeutici alla
dichiarazione di dissesto (art. 243-quater, comma 7,  del  TUEL).  Si
tratta di funzioni (...) in cui l'attivita'  della  Corte  dei  conti
risulta rigorosamente ancorata  a  parametri  legali,  tanto  che  la
stessa  attivita'  di  controllo  e'   sottoponibile   al   sindacato
giurisdizionale delle sezioni riunite in  speciale  composizione,  in
conformita' ai principi contenuti nella sentenza n. 39  del  2014  di
questa  Corte...»;  pertanto,  la  circostanza  che  trattasi  di  un
controllo  ancorato  a  parametri  normativi  esclude,  in  se',  che
l'azione della magistratura contabile possa  essere  suscettibile  di
comprimere gli  spazi  di  autonomia  finanziaria  costituzionalmente
riconosciuti agli enti locali. 
    Come puntualmente  evidenziato  dalla  Sezione  delle  autonomie,
nella deliberazione n. 4/2015/INPR «...nel piano di  riequilibrio  la
congruenza delle  previsioni  rispetto  allo  scopo  di  ripristinare
l'equilibrio  strutturale  del  bilancio,  dipende  da  numerose   ed
articolate misure dirette ad aumentare le risorse e  a  diminuire  le
uscite. Misure che si bilanciano nel percorso di riequilibrio  e  che
non possono essere arbitrariamente rimodulate»; in ragione  di  cio',
le modifiche dei piani di  riequilibrio  sono  possibili  solo  entro
limiti molto ristretti e tassativi e solo ove espressamente  concesso
dal legislatore con disciplina tipica (cfr., sul punto, deliberazioni
a      32/SEZAUT/2015/INPR,      n.      13/SEZAUT/2016/QMIG,      n.
9/SEZAUT/2017/QMIG), giacche' la pianificazione  di  riequilibrio  e'
retta dal generale principio di intangibilita',  «...in  ragione  del
quale si ritengono preclusi adattamenti del percorso  di  risanamento
in  fase  di  attuazione...»  (cfr.  Sezione   delle   autonomie   n.
5/2018/INPR). 
    Cio' posto, questa Sezione e' oggi tenuta, ai sensi dell'art. 38,
comma 2-quater, del decreto-legge n. 34 del 2019 (secondo cui  «...Le
rimodulazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter non sospendono le  azioni
esecutive e, considerata la situazione di eccezionale  urgenza,  sono
oggetto  di  approvazione  o  di  diniego  della  competente  sezione
regionale della Corte dei conti entro venti  giorni  dalla  ricezione
dell'atto deliberativo del  consiglio  comunale...»)  a  valutare  la
modifica,  da  ultimo  intervenuta,   del   piano   di   riequilibrio
pluriennale del  Comune  di  Reggio  Calabria,  effettuata  ai  sensi
dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile  2019, n.  34,
convertito  in  legge  28  giugno  2019,  n.  58;  tale  disposizione
stabilisce, infatti, che «...Gli enti locali che  hanno  proposto  la
rimodulazione o riformulazione del piano  di  riequilibrio  ai  sensi
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  entro
la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza  della  Corte
costituzionale n. 18 del 2019, anche se non  ancora  approvato  dalla
competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero  inciso  da
provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  sezione
regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo  alla
normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e  889,
della legge 27 dicembre 2017, n. 205....»; avvalendosi di tale norma,
il Comune di Reggio Calabria, poiche' il suo  piano  di  riequilibrio
(in precedenza, rimodulato, con delibera C.C.  n.  23  del  2017,  ai
sensi del citato art. 1, comma 714, legge n. 208 del 2015) era  stato
successivamente,  «...inciso  da  provvedimenti   conformativi   alla
predetta sentenza ...  (ndr:  la  sentenza  n.  18/2019  della  Corte
costituzionale)...  della  sezione  regionale   competente...»,   con
deliberazione di consiglio comunale n. 37  del  30  luglio  2019,  ha
approvato la «...riproposizione..» del proprio piano di riequilibrio,
oggetto  del  presente  giudizio;  nella   fattispecie,   la   citata
deliberazione   di   questa   sezione   n.   31/2019   e'   uno   dei
«...provvedimenti conformativi...», alla sentenza  n.  18/2019  della
Corte costituzionale, che, viene sostanzialmente privato  di  effetti
dall'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34,
convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, onde consentire,  all'ente
il cui piano di riequilibrio  e'  stato  appunto  «...inciso...»,  da
detta deliberazione  n.  31/2019,  di  «...riproporre  il  piano  per
adeguarlo alla normativa vigente secondo la  procedura  dell'art.  1,
commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205....». 
    Premesso quanto sopra, prima  di  esaminare,  nel  merito,  detto
ultimo Piano di riequilibrio finanziario appare necessario  sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 2-bis  e
ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito in legge  28
giugno  2019,  n.  58,  anche  in  combinato  disposto   con   l'art.
1-terdecies del predetto decreto, sostitutivo della tabella di cui al
comma 5-bis dell'art. 243-bis del  decreto  legislativo  n.  267/2000
(Testo unico enti locali, T.U.E.L). 
    Infatti, come meglio  si  dira'  in  prosieguo,  a  giudizio  del
collegio, appare non manifestamente infondata la  sussistenza  di  un
contrasto: 
        1. dell'art. 38, commi 2-bis e 2-ter, in  combinato  disposto
con il comma 1-terdecies dell'art. 38 medesimo, del decreto-legge  n.
34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58  del  2019),
con i parametri stabiliti dagli articoli 81, 97,  primo  comma,  117,
primo comma, per violazione del parametro  interposto  del  preambolo
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e  dell'art.
3 del Trattato consolidato  dell'Unione  europea,  nonche'  dell'art.
119, sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto  con  gli
articoli 1, 2 e  3  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  tali
disposizioni consentono al Comune di Reggio Calabria di ripianare  il
disavanzo  oggetto  del  PRFP  in  un  termine  ventennale   anziche'
decennale; infatti, le norme della cui costituzionalita'  si  dubita,
consentono che uno squilibrio finanziario, di origine  risalente  nel
tempo, venga ripianto in un tempo doppio rispetto a quello - gia' non
breve, in quanto decennale - originariamente prospettato dal PRFP, in
assenza di qualsivoglia giustificazione se non  quella  riconducibile
alla insostenibilita'  del  progetto  di  risanamento  e  ad  evitare
conseguenze come quella del dissesto finanziario: cio' contrasta  con
il principio dell'equilibrio di  bilancio,  sacrificato  in  nome  di
esigenze  che  appaiono  non  costituzionalmente  degne  di   tutela;
infatti, tale situazione comporta  un  evidente  ribaltamento,  sulle
generazioni future,  di  debiti  risalenti  nel  tempo,  oltre  alla,
altrettanto evidente, conseguenza che risorse di bilancio  «liberate»
(in virtu' dell'alleggerimento della quota annuale  di  disavanzo  da
recuperare), lungi dall'essere destinate al  risanamento  finanziario
dell'ente, possano essere impiegate per espandere  la  spesa  futura,
con rischio di creazione di ulteriori disavanzi che saranno a  carico
delle generazioni future; 
        2. dell'art. 38, comma 2-bis, del  decreto-legge  n.  34  del
2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del  2019),  con  i
parametri stabiliti dagli articoli articoli 3,  102,  comma  1,  100,
103, e 113 della Costituzione, nonche' agli articoli 24 e  111  della
Costituzione, in quanto tale disposizione, consentendo ad ogni Comune
«...inciso  da  provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza
...(ndr: la n. 18/2019 della  Corte  costituzionale)...della  sezione
regionale competente...» di «...riproporre...» il PRFP, da' luogo  ad
una deroga ingiustificata, per  quanto  si  dira'  in  seguito,  alla
intangibilita' del decisum della Sezione di controllo della Corte dei
conti; 
        3. dell'art. 38, comma 2-bis, del  decreto-legge  n.  34  del
2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019)  con  gli
articoli 3, 24, 111 e 117, comma primo, della Costituzione,  rispetto
al parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche'  dell'art.
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali; infatti, la facolta' di revisione  del
PRFP,  inserita  peraltro  in  un  quadro  di  costante  instabilita'
legislativa  della  disciplina  concernente  la   fattispecie   delle
procedure straordinarie di riequilibrio, determina una situazione  di
incertezza del diritto, in  grado  di  compromettere  la  tutela  del
patrimonio dei creditori e delle loro ragioni di credito; 
        4. dell'art. 38, comma 2-bis,  del  decreto-legge  30  aprile
2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in  combinato
disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, comma 1, poiche' appare in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione ed adottato dal Governo  al
di fuori dei «...casi straordinari di  necessita'  e  urgenza...»  in
violazione dell'art. 77 della Costituzione. 
    Al  riguardo,  preliminarmente,   si   ritiene   sussistente   la
legittimazione della Sezione di controllo della Corte dei  conti  per
la Calabria a sollevare la  questione  di  costituzionalita'  in  via
incidentale, nell'ambito dei controlli  sul  piano  di  riequilibrio,
secondo i principi, recentemente affermati dalla Corte costituzionale
(cfr.  sentenze  numeri  18/2019  e  105/2019);  infatti,  sia  nella
sentenza n. 18/2019 che nella sentenza n. 105/2019, cui per  economia
espositiva  si  fa  espresso  rinvio,  il  giudice  delle  leggi   ha
chiaramente affermato la legittimazione della  Sezione  di  controllo
della Corte dei conti a sollevare la questione  di  costituzionalita'
in  via  incidentale,  nell'ambito  dell'attivita'  istituzionale  di
controllo  dei  piani  di  riequilibrio,  in  ipotesi  analoghe  alla
fattispecie oggetto del presente giudizio (in cui, proprio come nelle
ipotesi esaminate dalla Corte costituzionale nelle sentenze da ultimo
citate, questa Sezione deve valutare la rimodulazione di un piano  di
riequilibrio, a seguito di una modifica normativa intervenuta durante
la vigenza del  piano  di  riequilibrio  medesimo);  in  particolare,
infatti, nella  sentenza  n.  18/2019,  la  Corte  costituzionale  ha
affermato che  «...al  problema  pregiudiziale  della  legittimazione
della  Sezione  di  controllo  della  Corte  dei  conti  a  sollevare
questioni di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art.  1  della
legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.  1  (Norme  sui  giudizi  di
legittimita' costituzionale e  sulle  garanzie  d'indipendenza  della
Corte costituzionale), e dell'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale), deve darsi risposta affermativa, in coerenza  con  i
criteri individuati da questa  Corte  e  in  particolare  con  quelli
contenuti nella sentenza n.  226  del  1976,  che  ha  individuato  i
requisiti necessari e sufficienti affinche'  le  questioni  sollevate
dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimita'
sugli atti - cui il  controllo  in  considerazione  ...  (n.d.r.:  il
riferimento  e'  al  controllo  sui  piani  di  riequilibrio)..,   va
assimilato - possano considerarsi promanare da un «giudice» nel corso
di un «giudizio» (art. 1 della legge costituzionale n. 1  del  1948).
Detti criteri sono  stati  di  recente  ribaditi  a  proposito  degli
incidenti di costituzionalita' sollevati nell'ambito dei  giudizi  di
parificazione dinanzi alla Corte dei conti (sentenze n. 196 del  2018
e n. 188 del 2015)...». 
    Inoltre, nella  fattispecie,  si  ritiene  anche  sussistente  il
requisito   della   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale qui di  seguito  prospettata  in  quanto  il  presente
giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della stessa. 
    Sul punto, occorre osservare che, come  gia'  detto,  l'art.  38,
comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34,  convertito  in
legge 28 giugno 2019, n. 58, interviene nel procedimento di controllo
del piano di riequilibrio consentendo agli enti locali «...che  hanno
proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di  riequilibrio
ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge  28  dicembre  2015,  n.
208, entro la data del 14 febbraio 2019 di  deposito  della  sentenza
della Corte costituzionale n.  18  del  2019,  anche  se  non  ancora
approvato dalla competente Sezione regionale della  Corte  dei  conti
ovvero inciso da provvedimenti conformativi  alla  predetta  sentenza
della sezione regionale competente...» di «...riproporre il piano per
adeguarlo alla normativa vigente secondo la  procedura  dell'art.  1,
commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205....». 
    La «normativa vigente» a cui rinvia il predetto  art.  38,  comma
2-bis  (nonche'  il  successivo  comma  2-ter,  secondo  cui   «...La
riproposizione di cui al comma  2-bis  deve  contenere  il  ricalcolo
complessivo del disavanzo gia'  oggetto  del  piano  modificato,  nel
rispetto della  disciplina  vigente,  ferma  restando  la  disciplina
prevista per  gli  altri  disavanzi...»)  e',  poi,  sostanzialmente,
quella di cui all'art. 243-bis, comma 5-bis, T.U.E.L. 
    Infatti,  la  disposizione,  da  ultimo  citata,  introduce   una
«formula aritmetica» volta a dare applicazione al portato del comma 5
del citato art. 243-bis T.U.E.L., come introdotto, a decorrere dal 1°
gennaio 2018, dall'art. 1, comma 888, lettera a), legge  27  dicembre
2017, n. 205; il predetto comma 5 specifica,  in  senso  generale  ed
astratto,  che  la  durata  del  piano  di  riequilibrio  finanziario
pluriennale e' compresa fra i quattro e i venti anni. 
    Secondo il  primo  inciso  del  comma  5-bis  -  pure  introdotto
dall'art. 1, comma 888, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 - «...La
durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale,  di
cui al primo periodo del comma  5,  e'  determinata  sulla  base  del
rapporto tra le passivita' da ripianare nel  medesimo  e  l'ammontare
degli impegni di cui al titolo I della spesa del rendiconto dell'anno
precedente a quello di deliberazione del ricorso  alla  procedura  di
riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato, secondo la  seguente
tabella...»: 
 
                                    
                          19C00335_Tab1.pdf 
 
    Detta  tabella  e'  stata  sostituita,  dal   comma   1-terdecies
dell'art. 38 del decreto-legge 30  aprile  2019,  n.  34,  nel  testo
convertito con legge 28 giugno 2019, n. 58, nei seguenti termini: 
 
                          19C00335_Tab2.pdf 
 
    Nella fattispecie, quindi, avvalendosi dell'art. 38, comma 2-bis,
del decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34,  convertito  in  legge  28
giugno 2019, n. 58, ed in virtu' del rapporto passivita'/impegni  del
titolo I delineato dalla tabella di  cui  al  comma  5-bis  dell'art.
243-bis T.U.E.L. (come sostituita dall'art.  1-terdecies  del  citato
decreto-legge n. 34  del  2019)  il  Comune  di  Reggio  Calabria  ha
modificato  il  Piano  di  riequilibrio  decennale,   precedentemente
approvato, prolungandone appunto la durata a venti anni. 
    Come si e' detto in precedenza, la pianificazione di risanamento,
contenuta nel piano medesimo, continua pero' ad essere incentrata  su
proiezioni di entrata e di spesa, di durata  decennale,  dal  momento
che l'art. 38, ai commi 2-bis e 2-ter, non impone, ne' consente,  una
revisione di  tale  pianificazione  nel  suo  complesso;  altrettanto
decennale (conformemente, del resto, alla previsione di cui  all'art.
1, comma 889, della legge n. 205/2017, ove e' contenuta  la  dizione:
«...Fermi restando i tempi di pagamento dei creditori...», richiamata
pure dal predetto art. 38, comma  2-bis,  decreto-legge  n.  34/2019)
risulta il piano di smaltimento dei debiti commerciali, per i  quali,
in particolare,  alcuni  «grandi  creditori»  del  Comune  di  Reggio
Calabria,  sulla  base  della  durata  originaria  del  piano,  hanno
concesso «riduzioni e sconti» all'ente (cfr. pag.  30  del  documento
approvato con deliberazione C.S. n. 17 del 2013  -  allegato  A);  il
complesso di disposizioni in esame, quindi, prevedendo la  variazione
non dell'intero percorso di risanamento ma della  sola  «spalmatura»,
nel tempo, del disavanzo originario (...quello, per  intenderci,  del
PRFP approvato con deliberazione della commissione  straordinaria  n.
17 dell'8  febbraio  2013...)  rende  praticamente  impossibile  alla
sezione   di   controllo   la   verifica   della   congruita'   della
pianificazione  nonche'  del   futuro   rispetto   degli   «obiettivi
intermedi» e di quelli «finali» di cui all'art. 243-quater, comma  6,
T.U.E.L. 
    E'  vero,  infatti,  che  il  cosiddetto  ritmo  di  rientro  del
disavanzo costituisce il primo e principale fattore  da  prendere  in
considerazione nella valutazione del raggiungimento  degli  obiettivi
intermedi, come piu' volte gia'  evidenziato  da  questa  Sezione  in
altre  occasioni   (cfr.   deliberazione   n.   31/2019/PRSP   e   n.
106/2019/PRSP; in termini anche SRC Campania, n.  240/2017/PRSP);  e'
altrettanto  vero,  pero',  che  la  procedura   «straordinaria»   di
riequilibrio finanziario pluriennale differisce da quella «ordinaria»
non solo per la durata massima del periodo di riequilibrio, ma  anche
perche', nel riequilibrio pluriennale,  la  pianificazione,  espressa
nella deliberazione di salvaguardia degli equilibri di  bilancio,  si
riflette in maniera contestuale sui documenti  di  bilancio  (con  la
variazione dei bilanci  di  previsione  annuale  e  pluriennale);  il
ricorso al piano di riequilibrio non si esaurisce, quindi, in un mero
piano di estinzione rateizzata dei  debiti,  in  un  esteso  arco  di
tempo, ma deve prevedere anche l'adozione di misure  strutturali  che
evitino  il  riformarsi  dei  debiti  medesimi;  tali  misure  devono
incidere maggiormente nei primi  anni  previsti  dal  piano  per  poi
stabilizzarsi negli anni successivi;  si  deve  cioe'  dimostrare  di
poter   garantire,    anche    in    prospettiva,    un    equilibrio
economico-finanziario veritiero  e  durevole  nel  tempo  (cfr.,  sul
punto, Sezione delle autonomie n. 5/2018/INPR). 
    Cio'   premesso,   appare   di   estrema   evidenza    che    una
pianificazione-programmazione decennale confligge frontalmente con un
recupero  del  disavanzo  ventennale,  e  impedisce   sostanzialmente
(nell'ambito della funzione  di  «monitoraggio»  della  procedura  di
riequilibrio che l'ordinamento intesta alla Corte dei conti  ex  art.
243-quater T.U.E.L., commi 3 e 6) la verifica della congruita'  della
«riproposizione» del PRFP (che e' oggetto principale del giudizio  di
approvazione o di diniego a cui la Sezione e' chiamata, ex  art.  38,
comma 2-quater, decreto-legge  n.  34  del  2019),  nonche',  per  il
futuro, dell'eventuale  «grave  e  reiterato  inadempimento»  di  cui
all'art. 243-quater comma 7, T.U.E.L;  proprio  tale  discrasia  (tra
pianificazione-programmazione  decennale  e  recupero  del  disavanzo
ventennale),  quindi,  preclude  sostanzialmente  alla   Sezione   la
funzione verifica di legalita' finanziaria finalizzata  ad  attestare
la correttezza del percorso di risanamento. 
    Cio'  detto,  si   osserva   che,   nella   fattispecie,   appare
indispensabile   fare   applicazione   delle   norme,    della    cui
costituzionalita' si dubita, al fine di emettere il giudizio  di  cui
all'art.  38,  comma  2-quater,  decreto-legge  n.  34/2019,  ove  e'
previsto che: «....Le rimodulazioni di cui ai  commi  2-bis  e  2-ter
(...) sono oggetto di approvazione  o  di  diniego  della  competente
Sezione regionale della Corte dei  conti....»  nonche'  (in  caso  di
approvazione  della  riscrittura  del  PRFP)  ulteriori  giudizi  sul
raggiungimento degli «obiettivi intermedi»; cio', rende  evidente  la
rilevanza della  questione  di  legittimita'  costituzionale  qui  di
seguito prospettata. 
    Peraltro, come e' noto, un giudice non puo' «ius dicere» in  base
a norme della cui costituzionalita' dubita: ove infatti ritenga  «non
manifestamente infondata» la questione di legittimita' costituzionale
sorta (articoli 23  e  24  della  legge  n.  87/1953),  e'  tenuto  a
rimettere alla Corte costituzionale la delibazione delle disposizioni
rilevanti nel proprio giudizio. 
    Inoltre, nell'ambito dei compiti e delle valutazioni che la legge
e la Costituzione affidano al giudice a  quo  (Corte  costituzionale,
sentenze n. 221/2015, n.  262/2015,  n.  45/2016,  n.  95/  2016,  n.
240/2016), questa Sezione ritiene altresi' che non sia possibile dare
alle disposizioni «rilevanti»  nel  caso  concreto  una  applicazione
conforme alla Costituzione, stante il chiaro tenore  letterale  delle
stesse, che non lascia margini interpretativi. 
    Si osserva, infine, che le argomentazioni di cui sopra sono  gia'
state spese dalla Sezione di controllo per la Regione Campania (...ed
accolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  18/2019...)  in
una fattispecie analoga  (cfr.  l'ordinanza  n.  19/2018,  della  SRC
Campania,  con  la  quale  e'  stata   sollevata   «...questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 714,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208, recante: «Disposizioni per la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2016)», come sostituito  dall'art.  1,  comma  434,  della  legge  11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il  triennio  2017-2019),
in  riferimento  agli  articoli   81   e   97   della   Costituzione,
autonomamente e in combinato disposto con gli articoli 1, 2, 3  e  41
della  Costituzione,  e  agli  articoli  24  e  117,   primo   comma,
della Costituzione,  in  relazione  agli  articoli  6  e   13   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  nonche'
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con la stessa legge n.
848 del 1955...»); la Corte costituzionale, in  tale  occasione,  ha,
evidentemente, condiviso il ragionamento del  remittente  (che  aveva
evidenziato come «....ove la norma fosse  applicata....  la  verifica
dell'eventuale   «grave   e    reiterato    inadempimento»    sarebbe
pregiudicata, e anzi impossibile, per la  scomparsa  dei  criteri  di
riferimento  contenuti  nel  piano  di  riequilibrio.  Sarebbe  cosi'
preclusa la funzione di vigilanza-ingerenza non solo per gli  effetti
ricadenti sull'esercizio  in  corso  ma  anche  per  gli  esercizi  a
venire...»)  affermando  che  «..Alla  luce  di  quanto  precede,  le
motivazioni addotte dal rimettente -  in  uno  con  quelle  afferenti
all'impossibilita'   di    dare    della    disposizione    censurata
un'interpretazione     conforme     a     Costituzione,      preclusa
dall'incontrovertibile dato testuale - risultano sufficienti, congrue
e coerenti nel dimostrare il  rapporto  di  pregiudizialita'  tra  le
questioni proposte e la decisione da assumere al termine del semestre
di riferimento...». 
    Anche sotto questo ulteriore profilo, appare  di  tutta  evidenza
come,  anche  nella  presente  fattispecie,  in  base  alle  predette
considerazioni,  debba  ritenersi  sussistente  il  requisito   della
rilevanza della questione di legittimita' costituzionale prospettata. 
    Inoltre,  altrettanto  evidente  appare  la  sussistenza,   nella
fattispecie, del requisito della  non  manifesta  infondatezza  della
predetta questione di legittimita' costituzionale, nei  termini,  qui
di seguito, prospettati. 
    Infatti, appare non manifestamente infondata la sussistenza di un
contrasto: 
        1. delle disposizioni di cui all'art. 38, commi 2-bis e  ter,
del decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34,  convertito  in  legge  28
giugno 2019, n. 58, in combinato disposto con l'art. 1-terdecies  del
predetto decreto, sostitutivo della tabella di  cui  al  comma  5-bis
dell'art. 243-bis del decreto legislativo n.  267/2000  (Testo  unico
enti locali, T.U.E.L.), con i parametri stabiliti dagli  articoli  81
della Costituzione, 97, primo comma, della Costituzione,  117,  primo
comma, della Costituzione per violazione del parametro interposto del
preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  e
dell'art. 3 del  Trattato  consolidato  dell'Unione  europea  nonche'
dell'art. 119, sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto
con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui tali
disposizioni consentono al Comune di Reggio  Calabria  di  prolungare
fino a  venti  anni  la  durata  del  proprio  PRFP,  precedentemente
approvato per una durata decennale; 
        2. dell'art. 38, comma 2-bis,  del  decreto-legge  30  aprile
2019, n. 34, convertito in  legge  28  giugno  2019,  n.  58,  con  i
parametri stabiliti dagli articoli 3, 102 comma 1, 100,  103,  e  113
della  Costituzione  nonche'  dagli   articoli   24   e   111   della
Costituzione; nella parte in  cui  tale  disposizione  consente  agli
«...enti locali che hanno proposto la rimodulazione o  riformulazione
del piano di riequilibrio ai sensi  dell'art.  1,  comma  714,  della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di
deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019...»
anche se  «...inciso  da  provvedimenti  conformativi  alla  predetta
sentenza della sezione  regionale  competente...»  di  riproporre  il
piano di riequilibrio per adeguarlo  alla  «...normativa  vigente...»
(in tal modo,  eliminando,  iure  autoritatis,  sostanzialmente,  gli
effetti delle pronunce delle sezioni di  controllo  della  Corte  dei
conti, competenti per territorio, che avevano doverosamente affermato
l'obbligo dei comuni di conformare il piano di riequilibrio in essere
ai principi sanciti dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.
18/2019);  peraltro,  nella  fattispecie,   la   predetta   pronuncia
conformativa della Sezione di controllo per la Regione  Calabria  (n.
31/2019) e' divenuta definitiva per mancata impugnazione della stessa
da parte del Comune di Reggio Calabria; 
        3. dell'art. 38, comma 2-bis,  del  decreto-legge  30  aprile
2019, n. 34, convertito in legge 28  giugno  2019,  n.  58,  con  gli
articoli 3, 24, 111 e 117, comma primo, della Costituzione,  rispetto
al parametro interposto dell'art. 1, protocollo 1, nonche'  dell'art.
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui,  introducendo  una
ennesima fattispecie di riscrittura del piano  di  riequilibrio,  per
comuni gia' beneficiari di facolta'  di rimodulazione/riformulazione,
lede la certezza del diritto e la  salvaguardia  delle  esigenze  dei
terzi amministrati e dei soggetti creditori; 
        4. dell'art. 38, comma 2-bis,  del  decreto-legge  30  aprile
2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in  combinato
disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, comma 1, poiche' appare in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione ed adottato dal Governo  al
di fuori dei «...casi straordinari di  necessita'  e  urgenza...»  in
violazione dell'art. 77 della Costituzione. 
    Qui di seguito, verranno dettagliatamente esposte le  motivazioni
per cui la normativa, della cui costituzionalita' si  dubita,  appare
in contrasto con la Costituzione e, in particolare: 
1) L'art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies del  decreto-legge  n.
34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n.  58  del  2019)
appare in contrasto con gli articoli 81 e 97, comma 1, 117, comma  1,
119, comma 6, in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e  3  della
Costituzione. 
    E'  noto  che,  dopo  la  riforma  intervenuta   con   la   legge
costituzionale n.  1  del  2012,  la  Corte  costituzionale  ha  dato
ricorrentemente forza al precetto dell'equilibrio di  bilancio  (gia'
declinato quale  «...equilibrio  tendenziale...»:  cfr.  ex  plurimis
sentenza n.  213/2008),  trasformandolo  in  una  «clausola  generale
............. in  grado  di  operare  pure  in   assenza   di   norme
interposte...» (Corte costituzionale, sentenza n. 192/2012). 
    E' stato in  particolare  affermato  che:  «...nel  sindacato  di
costituzionalita' copertura finanziaria ed equilibrio  integrano  una
clausola generale in grado  di  operare  pure  in  assenza  di  norme
interposte  quando  l'antinomia  [con  le   disposizioni   impugnate]
coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti "la  forza
espansiva dell'art. 81, quarto [oggi terzo]  comma,  Cost.,  presidio
degli equilibri di finanza pubblica,  si  sostanzia  in  una  vera  e
propria clausola generale in grado di  colpire  tutti  gli  enunciati
normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e
contabile" (sentenza n.  192  del  2012)...»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 184/ 2016). 
    Il giudice delle leggi ha fornito  inoltre  numerose  indicazioni
tese ad evitare che il  legislatore  svuoti  di  significativita'  il
precetto di cui all'art. 81 della Costituzione:  infatti,  anche  una
discrezionalita' politica  molto  ampia  deve  essere  esercitata  in
coerenza con i valori fondamentali della Carta  costituzionale  (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 52 del 2016, nonche',  in  termini,
n. 6 del 2019). 
    Infatti, il  precetto  dell'equilibrio  costituisce  la  naturale
prosecuzione ed evoluzione dell'obbligo di copertura finanziaria gia'
previsto dalla formulazione dell'art. 81, comma 3, della Costituzione
anteriormente alle modifiche di cui alla legge  costituzionale  n.  1
del 2012. 
    La Corte costituzionale ha precisato che «...copertura  economica
delle spese ed equilibrio del bilancio sono due  facce  della  stessa
medaglia, dal momento che l'equilibrio presuppone che ogni intervento
programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti
risorse...» (Corte costituzionale, sentenza n. 274/ 2017, punto 4  in
diritto); si tratta di un equilibrio che non  puo'  che  operare  sul
complesso dell'intero bilancio -  ossia  sulla  totalita'  delle  sue
componenti (voci di entrata e di spesa) - giacche' la conseguenza  di
mancate   coperture   si   riverbererebbe,   in    senso    negativo,
sull'attuazione  di  tutte  le  politiche  pubbliche   aventi   costi
specifici, ivi comprese quelle relative alla promozione  dei  diritti
sociali; rispettare l'equilibrio di  bilancio  significa  quindi,  in
ultima  analisi,  supportare  con  risorse  effettive  le   politiche
pubbliche democraticamente determinate; questo  significa  anche,  in
parallelo, realizzare le condizioni  affinche'  la  Repubblica  possa
rimuovere «...gli  ostacoli  di  ordine  economico  e  sociale,  che,
limitando  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei  cittadini,
impediscono il pieno sviluppo  della  persona  umana...»,  garantendo
l'uguaglianza sostanziale  dei  cittadini  art.  3,  comma  2,  della
Costituzione cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 10/2016 e n.
70/2015). 
    Sul piano temporale, l'equilibrio di bilancio e' stato  declinato
dalla Corte  costituzionale  in  senso  dinamico  o  tendenziale:  la
copertura della spesa deve essere nel tempo non  solo  «...previa...»
ma anche «...costante...» (Corte costituzionale  n.  247  del  2017);
cio' impone «...all'amministrazione un impegno  non  circoscritto  al
solo momento dell'approvazione del bilancio, ma  esteso  a  tutte  le
situazioni  in  cui  tale  equilibrio  venga  a  mancare  per  eventi
sopravvenuti o  per  difetto  genetico  conseguente  all'impostazione
della stessa legge di bilancio...» (Corte costituzionale n.  250  del
2013); di fatto, quindi, i soggetti, investiti di cariche  pubbliche,
hanno il preciso dovere di portare in equilibrio il bilancio, in sede
previsionale, e di mantenerlo (o riportarlo) in equilibrio,  in  fase
consuntiva, rammentando sempre che il profilo della  «...salvaguardia
di bilancio...» costituisce uno strumento di verifica  e  misurazione
della responsabilita' dei soggetti titolari di cariche  elettive:  la
violazione   dell'equilibrio,   infatti,   attiva   un   sistema   di
responsabilita' giuridiche e politiche, attraverso cui  il  principio
della legittimazione democratica delle istituzioni si rende effettivo
(art. 97 della Costituzione). 
    Come evidenziato dal  giudice  delle  leggi,  nella  sentenza  n.
228/2017, la disciplina di salvaguardia si pone come  «...strumentale
all'effettivita' di adempimenti primari del  mandato  elettorale  [e]
indissolubilmente  legat[a]   alla   cura   dei   sottesi   interessi
finanziari.  [Tale  disciplina]  si  ricollega  [...]  a  un'esigenza
sistemica unitaria  dell'ordinamento,  secondo  cui  sia  la  mancata
approvazione  dei  bilanci,  sia  l'incuria   del   loro   squilibrio
strutturale interrompono - in virtu' di una presunzione assoluta - il
legame  fiduciario  che  caratterizza  il  mandato  elettorale  e  la
rappresentanza democratica degli eletti...». 
    Infine, sebbene  l'orizzonte  temporale  della  salvaguardia  del
bilancio copra di fatto un orizzonte triennale  (articoli  162,  188,
193  e  194  T.U.E.L.),  il  principio  dell'equilibrio  dinamico   o
tendenziale    elaborato    dalla    giurisprudenza    costituzionale
(nell'imporre un processo continuo di verifica  e  adeguamento  delle
coperture finanziarie e degli  obiettivi  di  bilancio,  al  fine  di
tenere «la bilancia dei  conti»  in  equilibrio  durante  le  diverse
congiunture che caratterizzano l'economia nazionale e quella  locale)
corrisponde a  un  principio  di  trasparenza  collegato  all'equita'
intergenerazionale; infatti, un bilancio in equilibrio, nel  breve  e
nel lungo termine, garantisce quella «conservazione di  risorse»  che
porta, poi, alla sostenibilita' economica,  nel  lungo  termine,  dei
diritti sociali (gli stessi riconosciuti e tutelati dall'art. 2 della
Costituzione) e garantisce che le generazioni future godano  di  tali
diritti in misura almeno pari a quelli attualmente  riconosciuti:  in
altre parole,  un  dovere  costituzionalmente  previsto  attualmente,
ossia il dovere di tenere i «conti» in equilibrio statico e dinamico,
garantisce il principio di solidarieta' espresso  dall'art.  2  della
Costituzione  in  una  dimensione  presente  e  futura,  secondo  una
aspirazione solidaristica e prudenziale che deve  caratterizzare,  in
modo  naturale  e   inevitabile,   ogni   ordinamento   giuridico   e
costituzionale: non puo' non ritenersi che ogni  ordinamento,  e,  in
definitiva, ogni Costituzione, che ambisca a durare nel tempo,  debba
farsi carico di tutelare quanti in un futuro, piu' o meno lontano, si
troveranno  a  comporre  la  societa'  di  cui  quella   Costituzione
continuera' ad essere norma fondante. 
    Del  resto,  l'art.  81  della  Costituzione   non   e'   l'unica
disposizione  della  Carta  costituzionale  da  cui  si  ricava   una
attenzione e una salvaguardia dell'equita' intergenerazionale. 
    Infatti, l'art. 117, primo comma  della  Costituzione,  richiede,
come ben noto, che il legislatore italiano garantisca il rispetto dei
vincoli derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dalle  normative
dell'Unione europea; queste ultime  tutelano  espressamente  la  «...
solidarieta' intergenerazionale...»: il  preambolo  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione sancisce,  in  particolare,  che  il
godimento di tali diritti «...fa sorgere responsabilita' e doveri nei
confronti degli  altri  come  pure  della  comunita'  umana  e  delle
generazioni future...»; in modo non dissimile, anche l'art.  3  della
versione consolidata del trattato sull'Unione europea prevede che  la
stessa «...combatte  l'esclusione  sociale  e  le  discriminazioni  e
promuove la giustizia e la protezione sociali, la parita' tra donne e
uomini, la solidarieta' tra le generazioni e la  tutela  dei  diritti
del minore...». 
    Ancora, l'art.  97  della  Costituzione,  nel  suo  primo  comma,
afferma  che  «...Le  pubbliche  amministrazioni,  in  coerenza   con
l'ordinamento  dell'Unione  europea,  assicurano   l'equilibrio   dei
bilanci e la sostenibilita' del debito  pubblico...»:  sostenibilita'
del debito significa, tra l'altro, che vi deve essere una  necessaria
corrispondenza  tra  quanti  traggono  beneficio   dall'indebitamento
pubblico e quanti dovranno poi ripagarlo,  come  del  resto  conferma
l'art. 119 della Costituzione, secondo cui - in  un  quadro  armonico
che collega  e  «chiude»  il  cerchio  dei  principi  espressi  dagli
articoli  81  e  97  della   Costituzione   -   l'eventuale   ricorso
all'indebitamento volto  a  finanziare  spese  di  investimento  puo'
avvenire  «...solo  con  la  contestuale  definizione  di  piani   di
ammortamento e a condizione  che  per  il  complesso  degli  enti  di
ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio...». 
    Tutto  cio'  premesso,  si  ritiene  che  il  combinato  disposto
dell'art. 38, comma 2-bis e 2-ter e 1-terdecies, del decreto-legge n.
34 del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58  del  2019),
nella parte  in  cui  consente  ai  comuni,  gia'  interessati  dalla
disposizione di cui all'art. 1, comma 714,  legge  n.  208  del  2015
(come modificato dalla legge n. 232 del  2016,  art.  1,  comma  434,
norma  dichiarata  incostituzionale  con  sentenza  n.  18/2019)   di
riproporre il proprio PRFP, gia' approvato per una durata  decennale,
estendendolo in un orizzonte ultradecennale - e,  nel  caso  concreto
sottoposto al giudice a quo, ventennale - sia in  frontale  contrasto
con il principio dell'equilibrio  di  bilancio  che  trova  copertura
costituzionale,  nelle  declinazioni  supra  evidenziate  (equilibrio
dinamico e intergenerazionale), negli articoli 81, 97  comma  1,  117
comma 1, 119, comma 6, anche in combinato disposto con  gli  articoli
1, 2 e 3 della Costituzione. 
    Come  gia'  accennato,   le   norme,   della   cui   legittimita'
costituzionale si dubita, consentono che uno squilibrio,  di  origine
risalente nel tempo, venga ripianato in un tempo  doppio  rispetto  a
quello - gia'  non  breve,  in  quanto  decennale  -  originariamente
prospettato, in assenza di qualsivoglia giustificazione se non quella
riconducibile alla insostenibilita' del progetto di risanamento; cio'
comporta il ribaltamento su generazioni future  di  debiti  risalenti
nel  tempo,  oltre   alla   liberazione   di   risorse   (in   virtu'
dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo  da  recuperare)
che,  lungi  dall'essere   destinate   al   risanamento   finanziario
dell'ente, possono essere impiegate per espandere la spesa futura. 
    Appare doveroso premettere che, secondo la recente sentenza n. 18
del 2019 della Corte costituzionale, «...i  precetti  espressi  negli
articoli 81 e 97, primo comma, della Costituzione hanno  i  caratteri
di principi  generali,  nondimeno  essi  sono  anche  inverati  dalle
specifiche disposizioni normative che disciplinano - a  regime  -  la
gestione dei disavanzi degli enti territoriali: l'art.  9,  comma  2,
della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni  per  l'attuazione
del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'art.  81,  sesto
comma, della Costituzione); l'art. 42 del decreto legislativo n.  118
del 2011; l'art.  188  del  decreto  legislativo  n.  267  del  2000;
l'allegato 1, numero 8), del decreto legislativo n. 118 del 2011. 
    La  prima  disposizione,  contenuta  in  una   cosiddetta   legge
rinforzata,  prevede  che  "[q]ualora,  in  sede  di  rendiconto   di
gestione, un ente [...] registri un valore  negativo  del  saldo,  il
predetto ente adotta misure di  correzione  tali  da  assicurarne  il
recupero entro il triennio successivo, in quote costanti". 
    La seconda stabilisce, ai commi 12 e  13,  che  "12.  L'eventuale
disavanzo   di   amministrazione   accertato    [...]    a    seguito
dell'approvazione del rendiconto, al netto del debito  autorizzato  e
non contratto di cui all'art. 40, comma  1,  e'  applicato  al  primo
esercizio del bilancio  di  previsione  dell'esercizio  in  corso  di
gestione.  La  mancata  variazione  di  bilancio  che,  in  corso  di
gestione, applica il disavanzo al bilancio e' equiparata a tutti  gli
effetti alla mancata approvazione  del  rendiconto  di  gestione.  Il
disavanzo  di  amministrazione  puo'  anche  essere  ripianato  negli
esercizi considerati nel bilancio di previsione,  in  ogni  caso  non
oltre  la  durata  della   legislatura   regionale,   contestualmente
all'adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di
rientro dal disavanzo nel quale  siano  individuati  i  provvedimenti
necessari a ripristinare il pareggio. [...] 13. La  deliberazione  di
cui al comma 12 contiene l'impegno formale di evitare  la  formazione
di ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed e' allegata al bilancio di
previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante". 
    L'art. 188 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prescrive  che
"[l]'eventuale disavanzo di amministrazione [...]  e'  immediatamente
applicato all'esercizio in corso  di  gestione  contestualmente  alla
delibera di approvazione del rendiconto. La  mancata  adozione  della
delibera che applica il disavanzo al bilancio in corso di gestione e'
equiparata  a  tutti  gli  effetti  alla  mancata  approvazione   del
rendiconto di gestione. Il disavanzo di  amministrazione  puo'  anche
essere ripianato negli esercizi successivi considerati  nel  bilancio
di previsione, in ogni caso non oltre la durata  della  consiliatura,
contestualmente all'adozione di una  delibera  consiliare  avente  ad
oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati
i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio". 
    Infine, l'allegato 1, numero 8), del decreto legislativo  n.  118
del 2011, di carattere complementare rispetto alle norme  precedenti,
statuisce che "[l]a congruita'  delle  entrate  e  delle  spese  deve
essere  valutata  in  relazione  agli  obiettivi  programmati,   agli
andamenti  storici  ed  al  riflesso  nel   periodo   degli   impegni
pluriennali che  sono  coerentemente  rappresentati  nel  sistema  di
bilancio nelle fasi di previsione e  programmazione,  di  gestione  e
rendicontazione". 
    E' evidente che l'ordinamento finanziario-contabile  prevede,  in
via gradata:  a)  l'immediata  copertura  del  deficit  entro  l'anno
successivo  al  suo  formarsi;  b)  il  rientro  entro  il   triennio
successivo (in chiaro collegamento con la  programmazione  triennale)
all'esercizio in cui il disavanzo viene alla luce; c) il  rientro  in
un tempo comunque anteriore alla scadenza del mandato elettorale  nel
corso del quale tale disavanzo si e' verificato. 
    In sostanza, la fattispecie legale di base stabilisce che: a)  al
deficit si deve  porre  rimedio  subito  per  evitare  che  eventuali
squilibri strutturali finiscano per  sommarsi  nel  tempo  producendo
l'inevitabile  dissesto;  b)  la  sua  rimozione  non  puo'  comunque
superare il tempo  della  programmazione  triennale  e  quello  della
scadenza del mandato elettorale, affinche' gli amministratori possano
presentarsi  in  modo  trasparente  al  giudizio  dell'elettorato  al
termine del loro mandato, senza lasciare "eredita'"  finanziariamente
onerose e indefinite ai loro successori e ai futuri amministrati;  c)
l'istruttoria  relativa  alle  ipotesi  di  risanamento  deve  essere
congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico. 
    Nell'ambito di tale tessuto normativo  inerente  alla  disciplina
dei disavanzi sono state apportate le seguenti deroghe: a) l'art.  3,
comma 16, del decreto  legislativo  n.  118  del  2011  prevede  che:
"[n]elle   more   dell'emanazione   del   decreto   [del    Ministero
dell'economia  e  delle  finanze,  di  concerto  con   il   Ministero
dell'interno], l'eventuale maggiore disavanzo di  amministrazione  al
1° gennaio 2015, determinato  dal  riaccertamento  straordinario  dei
residui [...] e dal primo accantonamento al fondo crediti  di  dubbia
esigibilita' e' ripianato in non piu' di 30 esercizi a quote costanti
l'anno"; b) l'art. 243-bis  (Procedura  di  riequilibrio  finanziario
pluriennale) del testo unico enti locali, nel testo  precedente  alle
modifiche apportate dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2018  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2018-2020) stabilisce che: "1. I comuni e
le province per i quali [...] sussistano  squilibri  strutturali  del
bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario [...]  possono
ricorrere,   con   deliberazione   consiliare   alla   procedura   di
riequilibrio finanziario pluriennale. [...] 5. Il consiglio dell'ente
locale  [...]  delibera  un   piano   di   riequilibrio   finanziario
pluriennale della durata massima di dieci anni,  compreso  quello  in
corso,   corredato    del    parere    dell'organo    di    revisione
economico-finanziario". Nella versione  attualmente  in  vigore,  che
peraltro non e' rilevante nel  giudizio  a  quo,  stabilisce  che  il
"piano di riequilibrio finanziario pluriennale  [puo'  avere]  durata
compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso"...». 
    I giudici di Palazzo della consulta  hanno,  quindi,  evidenziato
come l'ordinamento imponga la regola generale del ripiano  «in  tempi
brevi» del disavanzo: infatti, il regime dei  piani  di  riequilibrio
pluriennale gia' costituisce  una  deroga  al  precetto  generale,  e
proprio  per  tale  motivo  e'  uno  strumento   «straordinario»   di
risanamento; le deroghe, tuttavia, non possono essere  «eccentriche»:
non possono essere tali, cioe', da produrre  «...effetti  perturbanti
la sana gestione finanziaria e contabile...»  (sentenza  n.  192  del
2012, sentenza n. 184 del 2016); nel caso di specie, si  ritiene  che
le disposizioni, della cui costituzionalita'  si  dubita,  provochino
questi  «...effetti  perturbanti...»,  apportando   una   deroga   al
principio dell'equilibrio di bilancio non sorretta  dalla  necessita'
di tutelare altri principi di pari dignita' costituzionale  (rectius:
di dignita' costituzionale). 
    La convinzione  di  questo  giudice  si  basa  su  piu'  elementi
concordanti. 
    In primo luogo, ci si trova di fronte a piani di riequilibrio che
non nascono con orizzonte temporale di pianificazione gia' lungo,  ma
che  mutano  in  corsa  la  loro  natura,   facendo   si'   che   una
pianificazione di risanamento  «...di  media  durata...»  (decennale)
venga utilizzata, in modo forzoso,  per  un  recupero  di  una  massa
passiva  su  un   orizzonte   temporale   «...di   lunga   durata...»
(ventennale); questa forzatura e' imposta dall'art. 38, commi 2-bis e
2-ter, dal momento che la riscrittura del PRFP e' di  fatto  limitata
al «...ricalcolo complessivo del disavanzo  gia'  oggetto  del  piano
modificato...» (art. 38, comma 2-ter) ma tiene, pero', fermi i  tempi
di pagamento dei creditori (quindi: gia' concordati con  i  creditori
in base all'originario orizzonte,  nella  fattispecie  decennale,  di
durata del PRFP); infatti, in virtu' del richiamo all'art.  1,  comma
889, legge n. 205/2017, effettuato dall'art. 38,  comma  2-bis,  tali
tempi (...che anche l'art. 1,  comma  714,  legge  n.  208  del  2015
«...manteneva fermi...»...) non possono che essere quelli decennali o
intra-decennali di durata «...originaria...» del piano  (ossia  della
durata, non intaccata dalla modifica introdotta  dall'art.  1,  comma
888, legge n. 205/2017, che, come detto, incidendo sull'art. 243-bis,
comma 5, T.U.E.L., ha esteso il teorico orizzonte temporale dei piani
di riequilibrio in un arco compreso fra quattro e venti annualita'). 
    Questa forzatura e' tanto piu' grave ove  si  pensi  che  non  e'
dovuta  a  fattori  eccezionali  o  al  perseguimento  di   finalita'
compatibili con la tutela del precetto dell'equilibrio di bilancio  -
precetto che, come detto, impone che ogni intervento programmato  sia
sorretto  dalla   individuazione   delle   pertinenti   risorse   per
fronteggiarlo (Corte costituzionale, sentenza n. 274/2017)  -  ma  di
fatto  all'unica  esigenza  di  consentire  ad   enti,   in   affanno
finanziario, di poter dilazionare nel  tempo  disavanzi  storicamente
accumulati; infatti, e' di tutta evidenza che, ad  essere  proiettato
nel tempo futuro, e' solo un disavanzo pregresso, non avendo dato  la
norma di cui all'art. 38, comma 2-ter del  decreto-legge  n.  34  del
2019, la facolta' di «rivisitare in toto» il contenuto del PRFP,  con
l'inserimento di nuovi disavanzi nel frattempo  emersi  o  accumulati
durante il percorso di risanamento (ex art. 38, comma  2-ter:  «...La
riproposizione di cui al comma  2-bis  deve  contenere  il  ricalcolo
complessivo del disavanzo gia'  oggetto  del  piano  modificato,  nel
rispetto della  disciplina  vigente,  ferma  restando  la  disciplina
prevista per gli altri disavanzi...»); prova ne e' che, con una sorta
di  fictio  iuris,  il  comma,   da   ultimo   citato,   calcola   la
sostenibilita'  del  PRFP  andando  a  ritroso   nel   tempo,   ossia
utilizzando, come base di calcolo, le passivita'  incluse  nel  piano
originario decennale, al chiaro scopo di consentirne  la  «spalmatura
pro futuro» (una volta calcolato il loro rapporto con gli impegni del
titolo I). 
    In  particolare,  quindi,  il  legislatore,   nella   fattispecie
normativa   della   cui   costituzionalita'   si    dubita,    impone
irrazionalmente di calcolare la sostenibilita' del PRFP  prendendo  a
riferimento  dati  del  tutto  disomogenei;  infatti,  il   combinato
disposto dell'art. 38, comma 2-ter, decreto-legge n. 34  del  2019  e
dell'art. 38, comma 1-terdecies, del medesimo decreto-legge impone un
improbabile raffronto tra un dato del passato (il disavanzo da  PRFP,
che, nel caso del Comune di Reggio Calabria, e' stato  accertato  nel
2012) e un dato del presente (gli impegni del titolo  I  della  spesa
dell'ultimo rendiconto approvato,  nel  caso  del  Comune  di  Reggio
Calabria quello  al  31  dicembre  2018);  cio',  al  solo  scopo  di
«allungare»  (nel  caso  di  Reggio  Calabria  di   ben   quattordici
annualita') il ripiano di un deficit che, pur originato nel  passato,
non e' piu' lo stesso del PRFP un  tempo  approvato  (in  virtu'  dei
recuperi nel frattempo intervenuti). 
    Ancora, spia evidente del meccanismo solo dilatorio  e  orientato
all'unica finalita' di prolungare la durata del piano di riequilibrio
per  ridurre  la  quota  annuale  di  rimborso  del  disavanzo   (per
consentire ad uno sparuto drappello di  comuni  di  avere  una  forte
agevolazione - si potrebbe dire una «boccata di ossigeno finanziario»
- onde evitare il dissesto) e' anche la  modifica  del  «rapporto  di
sostenibilita'» individuato dalla  tabella  di  cui  al  comma  5-bis
dell'art.  243-bis  T.U.E.L.,  come  sostituita  dall'art.  38  comma
1-terdecies; questa tabella, nel testo introdotto dall'art. 1,  comma
888, legge n. 205 del 2017 (vigente dall'1 gennaio 2018 al 29  giugno
2019) prevedeva un rapporto fra passivita' e  impegni  del  titolo  I
molto meno orientato a consentire spalmature future del debito,  come
risulta, all'evidenza, dal confronto di seguito riportato: 
 
                          19C00335_Tab3.pdf 
 
    Come si puo' osservare, la modifica di  cui  all'art.  38,  comma
1-terdecies  ha  nettamente   favorito   i   comuni   di   dimensioni
medio-gradi,  «calibrando»,  solo  per  questi  ultimi,  il  rapporto
«passivita' da PRFP/impegni del titolo I» in modo da favorire  regimi
di ripiano ventennali;  infatti,  un  Comune  come  Reggio  Calabria,
anteriormente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 34 del 2019,
avrebbe potuto - ove vi fossero stati gli estremi per  l'applicazione
della regola tracciata dall'art. 243-bis, comma 5-bis, T.U.E.L.  come
integrato dal piu' volte citato art. 1, comma  888  -  presentare  un
PRFP di durata, al massimo, quindicennale. 
    Neppure  puo'  sostenersi  che  le   modifiche   introdotte   dal
decreto-legge n. 34 del 2019 siano tese a  ricondurre  ad  unita'  la
disciplina dei piani di riequilibrio, consentendo a tutti i comuni di
stabilire la durata dei loro piani di risanamento in modo  oggettivo,
ossia secondo un criterio di sostenibilita' univoco e omogeneo. 
    Infatti, se la logica che muove il legislatore deve essere quella
di individuare, in modo oggettivo, un parametro di sostenibilita' del
PRFP,  non  si  comprendono  le  ragioni  per  cui   un   Comune   di
medio-piccole  dimensione  (inferiore  alla  soglia  di   n.   60.000
abitanti) dovrebbe poter fruire di un piano di riequilibrio  di  piu'
corta durata (e quindi affrontare un indebitamento «meno  agevolato»)
solo in  virtu'  della  sua  classe  demografica  (la  quale  non  ha
evidentemente alcuna incidenza concreta sulla  sostenibilita'  di  un
percorso di risanamento), che raramente gli consentirebbe di accedere
ad un piano di riequilibrio a lungo termine  (occorrerebbe,  infatti,
un rapporto fra passivita' e impegni del titolo I superiore al 100%). 
    Se,  invece,  il  legislatore  fosse  stato  mosso  dalla   reale
necessita' di una «recondutio ad unitatem» della disciplina dei  PRFP
sotto il profilo della durata, avrebbe consentito di fruire del (piu'
favorevole) rapporto passivita'/impegni del  titolo  I  di  cui  alla
tabella introdotta dall'art. 38, comma 1-terdecies, decreto-legge  n.
34 del 2019 a tutti i comuni, consentendo l'adattamento dei piani non
solo  a  quelli   «...che   hanno   proposto   la   rimodulazione   o
riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1,  comma
714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  entro  la  data  del  14
febbraio 2019 di deposito della sentenza della  Corte  costituzionale
n. 18 del 2019,  anche  se  non  ancora  approvato  dalla  competente
sezione  regionale  della  Corte   dei   conti   ovvero   inciso   da
provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  sezione
regionale competente..."; invece, come gia' detto, la  disciplina  di
cui all'art. 38, comma 1-terdecies, e' destinata ad operare solo  nei
confronti di pochi enti  locali  e  di  quelli  che  approveranno  il
proprio PRFP dopo l'entrata in vigore del decreto-legge  n.  34/2019,
convertito con modificazioni in legge n. 58 del 2019 (quindi dopo  il
30 giugno 2019). 
    E' evidente, quindi, che il nuovo rapporto «...passivita'/impegni
del titolo I...», di cui all'art. 38,  comma  l-terdecies,  e'  cosi'
palesemente teso a consentire ampliamenti dell'orizzonte temporale di
restituzione del debitum solo ad alcuni comuni, da apparire in  netto
contrasto con i principi di  eguaglianza  e  ragionevolezza,  sanciti
dall'art. 3 della Costituzione. 
    In   conclusione,   ritiene   questa    Sezione    che    l'unica
giustificazione all'intervento normativo, della cui costituzionalita'
si dubita, sia quella di  consentire  ad  alcuni  comuni  di  evitare
conseguenze come il dissesto; questa  esigenza  non  puo'  pero',  in
alcun   modo,   consentire   deroghe   ai    fondamentali    principi
dell'equilibrio di bilancio e della equita' intergenerazionale. 
    Infatti, in primis, il dissesto  e'  uno  strumento  legittimo  e
normativamente previsto dal sistema, con una funzione sua propria  ed
essenziale, non realizzabile col PRFP; in caso di sua attivazione  il
riequilibrio interviene in un tempo piu' breve (cinque anni, ai sensi
dell'art. 265, comma 1, T.U.E.L.),  mentre  si  provvede  al  ripiano
tramite una gestione  separata,  facendo  leva,  da  un  lato,  sulla
riduzione concorsuale e consensuale delle  passivita'  nei  confronti
dei  creditori  (articoli  256-258  T.U.E.L.)  e,  dall'altro,  sulla
valorizzazione della massa attiva (art. 255 T.U.E.L.). 
    Dunque, esso costituisce uno  strumento  di  cui  il  legislatore
prevede la necessaria attivazione quando le vicende del singolo  ente
(l'accertata incapacita' di adottare tempestivamente un PRFP  congruo
e la gravita' dello  squilibrio)  rendono  necessario  addivenire  al
risanamento  sacrificando  -   parzialmente   -   il   principio   di
universalita' di bilancio; infatti, come evidenziato dalla Sezione di
controllo della Corte dei conti  per  la  Regione  Campania  in  caso
analogo, «...Solo in questo l'ordinamento "preferisce"  la  procedura
di "predissesto", ai sensi dell'art. 243-bis TUEL e ss., al  dissesto
ai  sensi  degli  art.  244  e  ss.  TUEL,  in  quanto  la  procedura
pluriennale consente  il  riequilibrio  «consolidato»  delle  finanze
dell'ente, senza il rischio di occultamento di scompensi in  gestioni
separate di bilancio...» (cfr. deliberazione n. 19/2018/PRSP). 
    Consentire  una  dilatazione  non   giustificata   dell'orizzonte
temporale  del  ripiano  per  non  far  incorrere  alcuni  comuni  in
procedure   di   dissesto,   che   l'ordinamento   legittimamente   e
funzionalmente ha  espressamente  previsto,  significherebbe  rendere
l'equilibrio di bilancio e il precetto dell'equilibrio un mero flatus
vocis, volto  a  porre  rimedio  a  forme  episodiche  di  disavanzo,
connesse ad inefficienze di gestioni concrete (Corte  costituzionale,
sentenza n. 6/2017), e non, invece, ad  esigenze  del  sistema  della
finanza pubblica allargata. 
    Inoltre, l'evitare il dissesto «a  tutti  i  costi»  non  produce
effetti favorevoli ai consociati dell'ente locale; infatti, la  lunga
durata di una procedura di riequilibrio non porta benefici in termini
fiscali (le aliquote o tariffe dei tributi, nella  procedura  di  cui
all'art.  243-bis  T.U.E.L.,  sono  fissate  nella   misura   massima
consentita,  cosi'  come  nella  procedura  di  dissesto);   inoltre,
consentire il raddoppio dei termini del PRFP€  spostando  il  ripiano
del disavanzo accumulato in pregresso su un  lungo  arco  ventennale,
significa: 
        1.  non  responsabilizzare  i  rappresentanti  eletti   dalla
comunita' dei consociati dell'ente locale; 
        2. spostare, sulle generazioni future, il  peso  di  gestioni
finanziarie passate che, nel caso del Comune di Reggio Calabria, sono
anche connotate dall'accumulo progressivo  di  ulteriori  passivita':
sia dato citare, in proposito, i debiti contratti verso il  Ministero
dell'interno (€ 45.682.648,16, per fondo di rotazione ex art. 243-ter
T.U.E.L. ed € 20.000.000,00, per anticipazione ex art.  243-quinquies
T.U.E.L.), verso la Cassa depositi e prestiti ( € 185.287.196,87, per
anticipazioni di liquidita' percepite ex decreto-legge n. 35/2013, ed
€ 7.867.986,60, percepiti ex decreto-legge n.  78/2015  e  successive
modificazioni ed  integrazioni),  nonche'  quelli  verso  la  Regione
Calabria per la fornitura del servizio idropotabile, riconosciuti per
€ 64.974.388,27 (cfr. nota del Comune di Reggio  Calabria  n.  130061
del 31 luglio 2019, acquisita al protocollo Corte dei conti  n.  5333
del 2 agosto 2019) e, come gia' detto, mai ricondotti a bilancio  pur
essendo di rilevantissimo importo. 
    In  merito  al  primo  aspetto  (non   responsabilizzazione   dei
rappresenti eletti dalla comunita' dei consociati dell'ente  locale),
si ribadisce che il PRFP del Comune di Reggio Calabria nasce con  una
durata decennale; questo arco decennale, pur non  breve  rispetto  al
ciclo di bilancio (che e' come detto triennale), consente  ancora  la
separazione e l'imputazione dei disavanzi,  alla  base  del  piano  o
maturati in corso dello stesso, ai  responsabili:  addirittura,  tali
soggetti potrebbero - in linea teorica -  essere  rappresentanti  del
governo dell'ente per tutta la durata del  percorso  di  risanamento,
considerato che il mandato elettorale del  sindaco  e  del  consiglio
comunale e' di durata  quinquennale  (art.  51  T.U.E.L.)  e  che  e'
possibile, per tutti i comuni, un secondo mandato del sindaco  e  dei
consiglieri;  sul  punto,   la   stessa   Corte   costituzionale   ha
recentemente  «suggerito»  un  nesso  stringente  tra   la   corretta
presentazione (e, del pari, redazione)  dei  bilanci  pubblici  e  il
rapporto tra cittadini-elettori ed  eletti;  ad  avviso  del  giudice
delle  leggi,  infatti,  e'  evidente  come  la  durata  del  mandato
elettorale  non  sia  determinata   dal   legislatore   «...in   modo
arbitrario,  bensi'  bilanciando  le  esigenze  di   una   tempestiva
accountability nei confronti degli elettori e degli  altri  portatori
di interessi e quelle inerenti alla  rideterminazione  o  costruzione
degli  equilibri  dei  bilanci  di  previsione   dei   due   esercizi
successivi...» (sentenza n. 49 del 2018). 
    Al contrario, uno scenario di riequilibrio ventennale  mina  alla
radice uno degli aspetti piu' pregnanti della  legalita'  finanziaria
nei  Paesi  -   come   l'Italia   -   fondati   su   una   democrazia
rappresentativa,  ossia   la   funzionalizzazione   delle   procedure
finanziarie al vincolo  di  mandato  degli  amministratori  verso  la
comunita' che rappresentano; come recentemente affermato dalla  Corte
costituzionale,  «...  [i]l   carattere   funzionale   del   bilancio
preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non
a caso, l'ordinamento  collega  il  venir  meno  del  consenso  della
rappresentanza democratica, [risiede essenzialmente  nell'assicurare]
ai membri della  collettivita'  la  cognizione  delle  modalita'  [di
impiego delle risorse e i risultati conseguiti da chi e' titolare del
mandato elettorale]...» (sentenza n. 184 del  2016);  ed  ancora,  e'
stato affermato il principio per cui una  eccessiva  dilatazione  del
tempo di recupero del  disavanzo  non  consente  agli  amministratori
eletti o eligendi  «...di  presentarsi  al  giudizio  degli  elettori
separando  i  risultati  direttamente  raggiunti  dalle   conseguenze
imputabili  alle  gestioni  pregresse.   Lo   stesso   principio   di
rendicontazione, presupposto fondamentale  del  circuito  democratico
rappresentativo,  ne  risulta   quindi   gravemente   compromesso...»
(sentenza n. 18 del 2019). 
    In merito al  secondo  aspetto  (spostamento,  sulle  generazioni
future, del peso di gestioni finanziarie  passate),  si  osserva  che
esso costituisce  una  evidente  lesione  delle  esigenze  di  tutela
dell'equita'  intergenerazionale;  in  proposito,  senza  pretesa  di
addentrarsi,  in  questa  sede,   in   dissertazioni   sul   concetto
sociologico o biologico di «generazione», appare evidente che un arco
temporale di venti anni costituisce un periodo di tempo  molto  lungo
nel ciclo di bilancio e comporta,  ictu  oculi,  la  traslazione  del
debito pregresso da una generazione all'altra. 
    A tal proposito, appare  necessario  ricordare  quanto  affermato
dalla Corte costituzionale: «...Ferma  restando  la  discrezionalita'
del legislatore nello scegliere i criteri e le  modalita'  per  porre
riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quelle afferenti ai
disavanzi   sommersi,   non   puo'   non   essere   sottolineata   la
problematicita' di soluzioni normative...  le  quali  prescrivono  il
riassorbimento  dei   disavanzi   in   archi   temporali   lunghi   e
differenziati,  ben  oltre  il  ciclo  di  bilancio  ordinario,   con
possibili   ricadute   negative   anche   in   termini   di   equita'
intergenerazionale» (sentenza n. 6 del 2017  e,  in  senso  conforme,
sentenza n. 107 del 2016); oltre a cio', il giudice delle leggi,  con
la sentenza n.  18/2019  (emessa  in  una  fattispecie  analoga  alla
presente e relativa al giudizio di legittimita' una norma - l'art. 1,
comma 714, legge n. 208/2015 - che aveva il solo scopo di  consentire
modifiche dei piani di riequilibrio lungamente dilatando nel tempo il
recupero di un disavanzo pregresso) ha ribadito che «...La tendenza a
perpetuare  il  deficit  strutturale  nel   tempo,   attraverso   uno
stillicidio normativo di rinvii, finisce  per  paralizzare  qualsiasi
ragionevole  progetto  di  risanamento,  in  tal  modo  entrando   in
collisione sia con il principio  di  equita'  intragenerazionale  che
intergenerazionale. 
    Quanto al primo, e' stata gia' sottolineata da  questa  Corte  la
pericolosita' dell'impatto macroeconomico di misure  che  determinano
uno squilibrio nei  conti  della  finanza  pubblica  allargata  e  la
conseguente necessita' di manovre finanziarie restrittive che possono
gravare  piu'  pesantemente  sulle  fasce  deboli  della  popolazione
(sentenza n. 10 del 2015). Cio' senza contare che  il  succedersi  di
norme che diluiscono nel tempo  obbligazioni  passive  e  risanamento
sospingono  inevitabilmente  le  scelte  degli  amministratori  verso
politiche di «corto respiro», del tutto subordinate alle  contingenti
disponibilita' di cassa. 
    L'equita' intergenerazionale comporta, altresi', la necessita' di
non gravare in modo sproporzionato  sulle  opportunita'  di  crescita
delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per  un
equilibrato sviluppo. E' evidente che, nel caso della norma in esame,
l'indebitamento e il deficit strutturale  operano  simbioticamente  a
favore  di  un  pernicioso  allargamento  della  spesa  corrente.  E,
d'altronde, la regola aurea contenuta  nell'art.  119,  sesto  comma,
della  Costituzione  dimostra  come  l'indebitamento   debba   essere
finalizzato e riservato  unicamente  agli  investimenti  in  modo  da
determinare un tendenziale equilibrio  tra  la  dimensione  dei  suoi
costi  e   i   benefici   recati   nel   tempo   alle   collettivita'
amministrate...». 
    Quanto  detto,  rende  evidente,  a  parere  della  Sezione,   il
contrasto della normativa, della cui costituzionalita' si dubita, con
gli articoli 81 e 97, comma  1,  117,  comma  1,  119,  comma  6,  in
combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione. 
2) L'art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34 del  2019  (convertito
con modificazioni in legge n. 58 del 2019) appare  in  contrasto  con
gli articoli 3, 70, 100, 102, comma 1, 103,  113  della  Costituzione
nonche' degli articoli 24 e 111 della Costituzione. 
    La Sezione ritiene che l'art. 38, comma 2-bis, del  decreto-legge
n. 34 del 2019 (convertito con modificazioni in  legge  n.  58/2019),
nella parte in cui consente agli «...enti locali che  hanno  proposto
la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai  sensi
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  entro
la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza  della  Corte
costituzionale n. 18 del 2019...»  di  «...riproporre..»  il  proprio
PRFP,  anche  se  «...  inciso  da  provvedimenti  conformativi  alla
predetta sentenza della  sezione  regionale  competente...»,  sia  in
contrasto con il  principio  di  ragionevolezza  e  di  certezza  del
diritto, riconducibile all'art. 3  della  Costituzione,  nonche'  con
quello di separazione dei poteri, cui e' improntato l'intero impianto
costituzionale (e che  si  puo'  ravvisare  nella  lettura  congiunta
dell'art. 70 della Costituzione, che  dispone  come  «...la  funzione
legislativa  e'  esercitata  collettivamente  dalle  due  Camere...»,
dell'art. 102, comma  1,  che  riserva  la  funzione  giurisdizionale
all'ordine  giudiziario,  nonche'  nell'art.  104,  comma  1,   della
Costituzione, che definisce la magistratura  «...ordine  autonomo  ed
indipendente  da  ogni  altro  potere...»);  inoltre,   il   precetto
normativo in esame confligge anche con  l'effettivita'  della  tutela
giurisdizionale  (art.  24  della  Costituzione)  e  del   «...giusto
processo...» (art. 111 della Costituzione), che  e'  inscindibilmente
connesso con tale effettivita', in quanto consente ad alcuni comuni -
e, nel caso concreto, consente al Comune  di  Reggio  Calabria  -  di
sottrarsi ad una pronuncia della magistratura contabile, che sancisce
l'obbligo dello stesso Comune di conformare il piano di  riequilibrio
in essere  ai  principi  della  sentenza  n.  18/  2019  della  Corte
costituzionale. 
    Per  di  piu',  nel  caso  del  Comune  di  Reggio  Calabria,  la
deliberazione n. 31 del 2019, con cui questa Sezione ha affermato  la
riviviscenza - dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 18 del
2019 - del PRFP (di durata decennale), adottato con la  deliberazione
della commissione straordinaria di Reggio  Calabria  dell'8  febbraio
2013, n. 17 (come integrata e rimodulata  dalla  deliberazione  della
commissione straordinaria del 15 luglio 2013, n. 142)  non  e'  stata
mai impugnata dal Comune nelle  sedi  competenti  (ossia  le  sezioni
riunite di questa Corte in speciale composizione, unico  giudice  che
ha potere di cognizione in materia,  nei  termini  fissati  dall'art.
243-quater, comma 5, T.U.E.L.), assumendo cosi'  il  carattere  della
definitivita'. 
    Al  riguardo,  si  osserva  che  le  delibere  delle  sezioni  di
controllo non impugnate (o quelle confermate, mediante  la  reiezione
del ricorso proposto avverso le  stesse)  assumono  un  carattere  di
definitivita'  ed  incontrovertibilita'  dell'accertamento,  in  esse
contenuto, che appare del tutto sovrapponibile a quello del passaggio
in giudicato di qualunque provvedimento giurisdizionale;  sul  punto,
basti   ricordare   quanto   recentemente   affermato   dalla   Corte
costituzionale nella recente sentenza n 18/2019,  ossia  che:  «...La
forma  della  sentenza  (articolata  in  motivazione  in  diritto   e
dispositivo) con cui si configurano le delibere  di  controllo  sulla
legittimita' dei bilanci e delle gestioni finanziarie  a  rischio  di
dissesto - e la sottoposizione di tali  delibere  alla  giurisdizione
esclusiva delle sezioni riunite della Corte  dei  conti  in  speciale
composizione   -   determinano   un'integrazione    della    finzione
giurisdizionale e di quella di controllo, geneticamente riconducibile
al dettato costituzionale (articoli 100 e 103 della Costituzione)  in
materia  di  contabilita'  pubblica,  ove  sono  custoditi  interessi
costituzionalmente rilevanti, sia adespoti  (e  quindi  di  difficile
giustiziabilita'), sia inerenti alle specifiche situazioni soggettive
la cui tutela e' affidata, ratione  materiae,  alla  giurisdizione  a
istanza di parte della magistratura contabile (articoli 11, comma  6,
lettere a) ed e), e 172 e seguenti del decreto legislativo 26  agosto
2016, n. 174, recante: «Codice di giustizia  contabile,  adottato  ai
sensi dell'art. 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124»)...». 
    Peraltro, la predetta sentenza n. 18 del 2019  ha  osservato  che
tale assunto e' condiviso dalla  Corte  di  cassazione,  secondo  cui
l'art. 243-quater, comma 5, del testo unico enti  locali  (introdotto
dall'art. 3, comma 1, lettera r), del decreto-legge n. 174 del  2012)
«assegna alle  sezioni  riunite  della  stessa  Corte  dei  conti  la
giurisdizione esclusiva in tema d'impugnazione avverso la delibera di
approvazione o di diniego del piano,  nelle  forme  del  giudizio  ad
istanza di parte, espressamente richiamando a  tal  proposito  l'art.
103, secondo comma,  della  Costituzione,  con  un'ulteriore  analoga
previsione di giurisdizione esclusiva anche  sui  ricorsi  avverso  i
provvedimenti  di  ammissione  al  Fondo  di  rotazione  di  cui   al
precedente art. 243-ter; da tali disposizioni chiaramente  si  evince
l'intento  del  legislatore  di  collegare  strettamente,  in  questa
materia, la funzione di controllo della  Corte  dei  conti  a  quella
giurisdizionale ad essa attribuita dal citato art. 103, terzo  comma,
della Costituzione» (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 13
marzo 2014, n. 5805). 
    Sempre, con la sentenza n. 18/2019, la  Corte  costituzionale  ha
precisato che il controllo  di  legittimità-regolarita'  sui  bilanci
presenta - rispetto al controllo sugli atti - un ulteriore  carattere
che lo avvicina ancor piu' al sindacato giurisdizionale. 
    Infatti, mentre le pronunce di controllo  di  legittimita'  sugli
atti possono essere in qualche modo disattese dal Governo, ricorrendo
alla registrazione con riserva, e dagli stessi  giudici  delle  altre
magistrature  l'accertamento,  effettuato  in   sede   di   controllo
finanziario, «...fa stato...» nei confronti delle  parti,  una  volta
decorsi i termini di  impugnazione  del  provvedimento  davanti  alla
Corte dei conti, sezioni riunite in  speciale  composizione  («...che
costituisce l'unica sede in  cui  possono  essere  fatti  valere  gli
interessi dell'amministrazione sottoposta al controllo e degli  altri
soggetti che si ritengano direttamente incisi dalla  pronuncia  della
sezione regionale  di  controllo...»  (sempre  Corte  costituzionale,
sentenza n. 18 del 2019). 
    Dunque, in aggiunta ai caratteri che furono ritenuti  sufficienti
dalla sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  226  del  1976  per
sollevare  l'incidente  di   costituzionalita'   nell'esercizio   del
controllo  di  legittimita'  sugli  atti  di  Governo,  il  controllo
finanziario, e' munito di una definitivita' che non e' reversibile se
non a opera della stessa magistratura dalla  quale  il  provvedimento
promana. 
    Quanto detto rende palese, ad avviso del  Collegio,  un  evidente
conflitto tra la norma, della cui costituzionalita' si dubita,  e  la
pronuncia emessa dall'organo giudiziario (la  competente  sezione  di
controllo  della  Corte  dei  conti),   le   cui   prerogative   sono
costituzionalmente definite e presidiate anche  per  il  tramite  del
principio di intangibilita' della res iudicata. 
    La pronuncia della sezione regionale di controllo  non  impugnata
(o quella impugnata, ma confermata, dopo il  giudizio  delle  sezioni
riunite),  assume  carattere  di  «...giuridica  stabilita'...»   con
effetti analoghi a quelli di un  decisum  giudiziale  poiche'  «...le
deliberazioni che  concludono  il  procedimento  stesso  non  possono
qualificarsi atti amministrativi, pur non essendo "sentenze" in senso
stretto. Trattasi  infatti  di  atti  atipici  promananti  da  organo
appartenente all'ordine giudiziario, in posizione di  indipendenza  e
terzieta'...» (SS.RR. n. 15/2017/EL) e che «...intervengono all'esito
di  un'apposita  fase  di  contraddittorio  penetrante  e   pregnante
instaurato con  le  amministrazioni  territoriali  in  seguito   alla
contestazione  di  specifici  parametri  normativi...»   (SS.RR.   n.
19/2017/EL). 
    In  conclusione,  quindi,  sembra  possibile  affermare  che   le
decisioni delle sezioni regionali di controllo,  essendo  pronunce  a
carattere  decisorio,  emesse  in   base   a   parametri   normativi,
configuranti «giudizi» di  «legittimità-regolarita'»  (cfr.  sentenze
Corte costituzionale n. 228/2017, n. 40/2014, n.  60/2013),  ove  non
impugnate  o  non  riformate  da  una  sentenza  di  merito,   vedono
stabilizzare il contenuto dei loro accertamenti nonche'  gli  effetti
di legge ad essi connessi. 
    Cio' premesso, si osserva anche  che,  all'esigenza  generale  di
attuazione delle pronunce  giurisdizionali  -  attuazione  che  nella
dottrina generale del processo si definisce «esecuzione» -  non  puo'
mai derogarsi, qualunque sia la posizione ed il rango del soggetto  e
dell'organo nei cui confronti il comando  contenuto  nella  pronuncia
del giudice si dirige: si tratta di un principio che e' insito  nella
concezione stessa dello stato di diritto  e  che  appare  tanto  piu'
imprescindibile allorche', come nel caso di specie, tali pronunce non
afferiscono a diritti disponibili delle parti, ma  hanno  ad  oggetto
interessi pubblici. 
    Appare quindi sussistente, nella fattispecie, la  violazione,  da
parte della normativa della  cui  costituzionalita'  si  dubita,  del
principio di ragionevolezza e di certezza del  diritto  riconducibile
all'art. 3 della Costituzione, e di quello di separazione dei poteri,
cui e' improntato l'intero impianto costituzionale. 
    Infatti,  la  norma  della  cui  costituzionalita'   si   dubita,
presuppone, all'evidenza, l'emissione  di  una  pronuncia  giudiziale
della Sezione di controllo competente (che abbia affermato  l'obbligo
dell'ente di  conformare  il  piano  di  riequilibrio  in  essere  ai
principi   sanciti   dalla   sentenza   n.   18/2019   della    Corte
costituzionale) e,  quindi,  ne  vanifica  gli  effetti  al  fine  di
consentire,  all'ente,  destinatario  della  stessa   pronuncia,   la
riformulazione del piano di riequilibrio; peraltro, si ribadisce che,
nella fattispecie, il Comune di Reggio Calabria non ha impugnato, nei
termini, detta decisione, rendendola cosi' definitiva. 
    Al riguardo, non possono non richiamarsi  i  chiari  insegnamenti
contenuti nella sentenza n. 282/2005 della Corte  costituzionale  ove
viene affermato che «...al legislatore e' precluso  intervenire,  con
norme aventi portata retroattiva,  "per  annullare  gli  effetti  del
giudicato" (sentenza n. 525 del 2000): se vi fosse  un'incidenza  sul
giudicato, la legge di interpretazione autentica non si limiterebbe a
muovere, come ad essa e' consentito, sul piano delle fonti normative,
attraverso la precisazione della regola e del  modello  di  decisione
cui l'esercizio  della  potesta'  di  giudicare  deve  attenersi,  ma
lederebbe i principi relativi ai rapporti tra  potere  legislativo  e
potere  giurisdizionale  e  le  disposizioni  relative  alla   tutela
giurisdizionale  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi   (cfr.
sentenze n. 374 del 2000 e n. 15 del 1995)....»;  nella  fattispecie,
appare evidente che la norma, della cui costituzionalita' si  dubita,
interviene retroattivamente su una situazione definita con  pronuncia
definitiva della  Sezione  di  controllo  ledendo  «....  i  principi
relativi   ai   rapporti   tra   potere    legislativo    e    potere
giurisdizionale...», modificando l'assetto degli  interessi  regolati
definitivamente  (per  mancata  impugnazione   nei   termini)   dalla
pronuncia stessa e ledendo, altresi', gli interessi dei creditori del
Comune (che, avendo stipulato accordi per  la  riscossione  dei  loro
crediti con il Comune medesimo, avevano fatto affidamento su un piano
di riequilibrio di durata decennale e sulla  circostanza,  certamente
valutata ai fini della solvibilita' dell'ente, che il bilancio  dello
stesso  sarebbe  stato  stabilmente  riequilibrato  in   un   termine
decennale). 
    La norma della cui costituzionalita' si dubita,  appare,  quindi,
espressamente  diretta  ad  incidere   immediatamente   su   pronunce
giudiziali anche definitive (le pronunce delle sezioni  regionali  di
controllo competenti) rimuovendo, in tal modo,  dall'ordinamento,  il
giudizio  definitivo  dell'autorita'  giudiziaria  ed  ogni  relativo
effetto e incide, quindi, pesantemente, in tal modo, sul principio di
ragionevolezza e di certezza del diritto,  riconducibile  all'art.  3
della Costituzione, sui rapporti  tra  potere  legislativo  e  potere
giudiziario fissati  dalla  Carta  costituzionale,  sull'effettivita'
della tutela demandata alla Corte dei conti e delle sue  pronunce  in
sede  di  controllo  e  giurisdizionale   (art.   100,   103,   della
Costituzione) e, infine, sul legittimo affidamento dei creditori  del
Comune sulla durata decennale del piano di riequilibrio. 
    Tale incidenza sulle pronunce giurisdizionali divenute definitive
non trova, peraltro, superiori giustificazioni (ossia  necessita'  di
tutela di pari valori costituzionali); si  ha  infatti  presente  che
l'ordinamento   nazionale   «...conosce    ipotesi    di    flessione
dell'intangibilita' del giudicato, che la legge prevede nei  casi  in
cui sul valore costituzionale ad esso intrinseco si debbano  ritenere
prevalenti opposti valori, ugualmente di dignita' costituzionale,  ai
quali  il  legislatore  intende  assicurare  un  primato...»   (Corte
costituzionale sentenza n. 210 del 2013; in termini, sentenza  n.  25
del  2019);  nel  caso  di  specie,  pero',  per  quanto  esposto  in
precedenza, tali ragioni non sussistono: infatti, non puo'  ritenersi
che evitare lo stato di dissesto  finanziario  -  o,  peggio  ancora,
consentire che alcuni enti possano godere di un «alleggerimento»  del
proprio  percorso  di  risanamento,  cosi'  da  poter  utilizzare  le
«risorse liberate» non per un doveroso riequilibrio del  bilancio  ma
per ampliare la propria capacita' di  spesa  in  condizioni  di  gia'
conclamato squilibrio strutturale - costituisca un  valore  degno  di
tutela costituzionale. 
3) l'art. 38 comma 2-bis del decreto-legge n. 34/2019 (convertito con
modificazioni in legge  n.  58/2019)  appare  in  contrasto  con  gli
articoli 3, 24, art. 111 della Costituzione e dell'art. 117, comma  1
della Costituzione, per violazione del parametro interposto dell'art.
1, protocollo 1, nonche' art. 6  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    In proposito, si osserva che gli ultimi anni sono stati connotati
da una produzione legislativa di continue concessioni di facolta'  di
rimodulazione/riformulazione dei piani di riequilibrio (art. 1, comma
15, del decreto-legge n. 35/2013 convertito nella legge  n.  64/2013;
art. 1, commi 714 e 715, della legge n. 208/2015; art. 1, commi 434 e
435, della legge n. 232/2016; da ultimo, gli art. 1, commi 848,  849,
888 e 889, della legge n. 205/2017), facolta' di cui quella  concessa
dall'art. 38, comma 2-bis, decreto-legge n. 34/2019 e' solo  la  piu'
recente, in termini temporali. 
    Questa continua riscrittura e integrazione della  normativa,  sui
piani di riequilibrio pluriennali, rende, a giudizio  della  Sezione,
difficile se non  impossibile  la  verifica  dello  stato  di  salute
finanziaria dell'ente, con conseguente pregiudizio delle ragioni  dei
consociati - a cui deve essere assicurata la  piena  trasparenza  dei
conti, essendo il bilancio, come  piu'  volte  ribadito  dal  giudice
delle leggi, un  «...bene  pubblico...»  (cfr.  Corte  costituzionale
sentenza n.  184  del  2016  e,  in  termini  analoghi,  sentenze  n.
228/2017, n. 247/2017 e n. 49/2018) - e dei creditori dell'ente,  che
possono subire i negativi  effetti  di  questa  incertezza  giuridica
quando agiscono in sede esecutiva. 
    E' evidente, infatti, che le continue riscritture della normativa
dei piani di riequilibrio  certamente  non  favoriscono  i  controlli
della   magistratura   contabile,   impegnata   in    attivita'    di
«monitoraggio» di piani in cui  si  intersecano  elevati  profili  di
complessita' che rendono di  difficile  individuazione  i  cosiddetti
obiettivi intermedi. 
    Nel caso del Comune di Reggio Calabria, sia  dato  ricordare  per
esempio che il PRFP: 
        e' stato adottato  anteriormente  alla  vigenza  del  decreto
legislativo n. 118 del 2011; 
        non  e'   stato   mai   coordinato   con   la   «contabilita'
armonizzata»,  di  modo  tale   che   il   ripiano   del   cosiddetto
«extradeficit» (peraltro di  incerta  quantificazione  in  quanto  e'
stato ricalcolato dal Comune applicando norme attualmente  sottoposte
al vaglio di  costituzionalita'   (1)  da'  luogo  ad  un  «piano  di
rientro» del deficit ulteriore rispetto  a  quello  di  cui  all'art.
243-bis T.U.E.L.; 
        e' stato piu' volte oggetto di modifiche  (con  deliberazione
della commissione straordinaria n. 142 del  2013,  con  deliberazione
del consiglio comunale  n.  42  del  2016  e  con  deliberazione  del
consiglio comunale n. 23 del 2017)  e  la  necessita'  di  valutare i
contenuti  di  tali  continue  riscritture,  oltre  alla  preclusione
normativa di cui all'art. 1, comma 2-quater, decreto-legge 25  luglio
2018, n. 91, secondo cui «...Nelle  more  della  complessiva  riforma
delle procedure di risanamento  contemplate  dal  titolo  VIII  della
parte seconda del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, qualora
sia stato presentato o approvato, alla data del 30 novembre 2018,  un
piano di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'art. 243-bis
del medesimo  testo  unico,  rimodulato  o  riformulato  ai  sensi...
dell'art. 1, comma 714, della legge 28  dicembre  2015,  n.  208,  la
verifica di cui al comma 7 dell'art. 243-quater  del  predetto  testo
unico  di  cui  al  decreto  legislativo  n.   267   del   2000   sul
raggiungimento degli  obiettivi  intermedi  e'  effettuata  all'esito
dell'approvazione del rendiconto dell'esercizio 2018...») ha impedito
alla Sezione di effettuare un congruo «monitoraggio» del PRFP,  fermo
all'esercizio 2014 (cfr. deliberazione SRC Calabria n. 89/2015). 
    In tale contesto, appare chiaro che la pronuncia che  la  Sezione
dovra' emettere, sul merito del PRFP riproposto, ex  art.  38,  comma
2-quater, decreto-legge n. 34/2019, e sul «rispetto  degli  obiettivi
intermedi» negli esercizi 2015, 2016, 2017 e  2018,  soffrira'  delle
incertezze derivanti  dalle  continue  modifiche  normative  e  dalla
continua variazione dell'obiettivo dato  dal  ritmo  di  ripiano  del
deficit originariamente incluso nel piano; la  Sezione,  qualora  gli
obiettivi  intermedi  risultino  gravemente   violati   nel   periodo
2015-2018, potra' trovarsi di fronte alla necessita': 
        di avviare l'ipotesi tipizzata di dissesto  di  cui  all'art.
243-quater, comma 7, T.U.E.L.; 
        ovvero  di  non  tenere  conto  delle  eventuali   violazioni
finanziarie accertate, nella  prospettiva  che  la  «spalmatura»  del
disavanzo di cui al PRFP in un arco ventennale (ove l'art. 38,  commi
2-bis e 2-ter, in combinato con il comma 1-terdecies fossero ritenuti
costituzionalmente legittimi) potrebbe ridare una  (seppur  precaria)
boccata di ossigeno finanziario all'ente. 
    Tale situazione di  incertezza  giuridica,  da  ultimo  aggravata
dall'art. 38, comma 2-bis, della  cui  costituzionalita'  si  dubita,
pregiudica evidentemente la trasparenza del percorso di risanamento e
puo'  pregiudicare  i  diritti  dei  creditori  dell'ente,  sotto  un
triplice profilo: 
        1) nel loro legittimo affidamento sulla certezza e  celerita'
della procedura  di  riequilibrio,  che  «...non  puo'  rivelarsi  un
artificioso escamotage...», con il quale si evita la dichiarazione di
dissesto, protraendo indebitamente una situazione  nella  quale  gia'
sussistono i presupposti richiesti dal legislatore per procedere alla
dichiarazione  prevista  dall'art.  244  del  Tuel   (Sezione   delle
autonomie, deliberazione n. 16/SEZAUT/2012/INPR), che puo' comportare
«...stravolgimenti  del  percorso   di   risanamento   in   fase   di
attuazione...» (in tal senso  Corte  dei  conti,  Sezione  autonomie,
deliberazione n. 5/SF2AUT/ 2018); 
        2) nel soddisfacimento effettivo delle legittime pretese  dei
creditori,  che  viene  esposto  ad   un   sacrificio   temporalmente
indeterminato, a causa del  continuo  dubbio  e  dell'incertezza  sul
regime di riequilibrio applicabile (dissesto o piano di  riequilibrio
rimodulato) e dall'allungamento dei tempi  di  valutazione  da  parte
della Corte dei conti della fattispecie concreta; 
        3) nell'aumento del rischio  di  insolvenza,  per  un  numero
crescente di creditori del Comune; infatti, la dilatazione  temporale
dei tempi del PRFP (che per Reggio Calabria passa da  dieci  a  venti
anni)  comporta,  evidentemente,  un  possibile   ampliamento   della
capacita' annuale di spesa (dovuta al ridursi della  quota  annua  di
recupero  del  disavanzo  incluso  nel  PRFP);  cio',  in   un   ente
strutturalmente deficitario, aumenta  la  possibilita'  di  contrarre
debito e, quindi, aumenta il rischio che, in caso di  insolvenza,  un
maggior numero di creditori resti insoddisfatto, con buona  pace  del
fatto che l'ente debitore,  in  quanto  soggetto  pubblico,  dovrebbe
offrire una maggiore affidabilita' rispetto ad un soggetto privato. 
    Inoltre,  anche  il  comune  cittadino   puo'   risentire   delle
inefficienze di un percorso di risanamento continuamente incerto:  ne
risente,  in  primis,  il  suo  diritto  alla  trasparenza  contabile
poiche', come gia' ricordato, il bilancio «...e' un  "bene  pubblico"
nel senso che e' funzionale a sintetizzare e rendere certe le  scelte
dell'ente territoriale, sia in ordine all'acquisizione delle entrate,
sia alla individuazione degli interventi  attuativi  delle  politiche
pubbliche, onere inderogabile per chi e' chiamato ad amministrare una
determinata  collettivita'  ed  a  sottoporsi  al   giudizio   finale
afferente al  confronto  tra  il  programmato  ed  il  realizzato...»
(sentenza n. 184 del 2016 della Corte costituzionale  e,  in  termini
analoghi, sentenze  n.  228/2017,  n.  247/2017  e  n.  49/2018);  e'
evidente che il piano di riequilibrio pluriennale e' inscindibilmente
collegato alla trasparenza di bilancio, giacche' deve coordinarsi con
le manovre di bilancio preventive e consuntive; non si vede  come  un
percorso di risanamento continuamente turbato da modifiche normative,
e in cui alla magistratura contabile e' stata -  per  i  motivi  gia'
elencati - resa difficile se non impossibile una  costante  attivita'
di monitoraggio, possa fornire  ai  cittadini  quella  accountability
necessaria a compiere scelte elettorali ponderate. 
    In definitiva, quindi, ammettere la possibilita' di  un  continuo
ed illimitato procrastinarsi di tentativi di riequilibrio,  lasciando
una evidente incertezza sui tempi e sull'idoneita'  delle  misure  di
volta in volta ideate per il risanamento, finisce  per  compromettere
irreversibilmente la trasparenza di un bene di rango  costituzionale,
quale il bilancio, nonche'  per  ledere  o  mettere  in  pericolo,  a
cascata, una  serie  di  ulteriori  interessi  parimenti  tutelati  a
livello costituzionale, come il diritto dei creditori di conoscere  i
tempi  di  soddisfazione  del  proprio  credito  al  fine  di   poter
programmare le loro attivita' economiche (tali  soggetti  infatti,  a
causa  delle  continue  riformulazioni/rimodulazioni  dei  piani   di
riequilibrio e del conseguente procrastinarsi dei tempi di pagamento,
possono subire un pregiudizio evidentemente irreparabile essendo,  da
un lato, obbligati al pagamento tempestivo  dei  tributi,  in  favore
dell'ente, e, dall'altro limitati nel riscuotere i propri crediti del
confronti del medesimo ente) e il diritto dei cittadini residenti  ad
essere trasparentemente informati sui documenti  di  bilancio  e  sul
percorso di risanamento. 
    Per tutto quanto detto, si ritiene che l'art.  38,  comma  2-bis,
sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione,  su  cui  si  fonda
l'esigenza di un diritto  «certo»  (alla  base  dell'uguaglianza  fra
cittadini: cfr. Corte costituzionale, sentenza n.  78  del  2012)  e,
inoltre,  depotenzi,  in  maniera  non  conforme  alla  Costituzione,
l'azione  della  magistratura  contabile  e  l'efficacia  delle   sue
pronunce (anche se divenute definitive per mancata  impugnazione  nei
termini),  a  scapito  di  una  tutela  effettiva  (art.   24   della
Costituzione)  e  ragionevole  nei  suoi  tempi   (art.   111   della
Costituzione) dei soggetti terzi (creditori  e  cittadini);  oltre  a
cio', si ritiene che tale disposizione  contrasti  anche  con  l'art.
117,  comma  1  della  Costituzione,  per  violazione  del  parametro
interposto  dell'art.  1,  protocollo  1,  nonche'   art.   6   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  poiche'  l'indeterminatezza  dei   tempi   di
conclusione delle procedure di risanamento finanziario confligge  con
l'art. 1 del protocollo 1 (diritto al rispetto della proprieta',  tra
cui rientra anche la tutela dei diritti  di  credito),  e  l'art.  6,
paragrafo 1 (diritto ad un giusto processo, nel caso di contenziosi -
sia in fase di cognizione che di esecuzione - azionati dai  creditori
per la tutela dei loro diritti nei confronti dell'ente debitore). 
4) L'art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies, appare  in  contrasto
con gli articoli 3 e 77 della Costituzione. 
    Infatti, l'art. 38, comma 2-bis, 2-ter e  1-terdecies,  e'  stato
introdotto solo in sede di conversione del decreto- legge n.  34/2019
che originariamente (nel testo pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale
del 30 aprile 2019) era finalizzato a predisporre una serie di misure
di «crescita economica» del Paese ovvero finalizzate alla risoluzione
di specifiche crisi (tra le quali, ab origine,  non  era  contemplata
quella degli «enti locali  che  hanno  proposto  la  rimodulazione  o
riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1,  comma
714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  entro  la  data  del  14
febbraio 2019 di deposito della sentenza della  Corte  costituzionale
n. 18 del 2019,  anche  se  non  ancora  approvato  dalla  competente
sezione  regionale  della  Corte   dei   conti   ovvero   inciso   da
provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  sezione
regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo  alla
normativa vigente secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e  889,
della legge 27 dicembre 2017, n. 205. 
    Cio' premesso, si osserva che, in particolare, l'art.  38,  comma
2-bis  consente  ad  una  platea  molto  ristretta   di   comuni   di
«riproporre» il proprio piano di riequilibri,  la  citata  platea  si
restringe ulteriormente ove si considerino i soli comuni «incisi»  da
provvedimenti  della  Corte  dei  conti  conformativi  rispetto  alla
sentenza Corte costituzionale n. 18/  2019:  per  quanto  consta,  si
tratta di soli due enti nel panorama nazionale (ossia  il  Comune  di
Pagani,  su  cui  e'  intervenuta  la  deliberazione  della   Sezione
regionale di controllo per la Campania n. 46/ 2019/ PRSP, e il Comune
di Reggio Calabria, interessato  dalla  deliberazione  della  sezione
regionale di controllo per la Calabria n. 31/ 2019/ PRSP). 
    La disposizione, quindi, sembra avere una portata  «ad  personam»
(...anzi,  piu'  precisamente....si   passi   il   termine....,   «ad
comunem»...);      pertanto,      appare      qualificabile      come
«norma-provvedimento», in quanto incide su un  numero  determinato  e
molto  limitato  di  destinatari  e  finisce  per  l'avere  contenuto
particolare e concreto; cio' sembra francamente travalicare i  limiti
propri della funzione legislativa, che deve essere sempre  connotata,
per definizione, dai caratteri della generalita' ed astrattezza. 
    Al   riguardo,   si   osserva   che,   secondo   la   consolidata
giurisprudenza del giudice delle leggi, non sussiste  un  divieto  di
adozione di leggi  a  contenuto  particolare  e  concreto,  ossia  di
leggi-provvedimento (sentenza n. 347 del 1995). 
    Tuttavia,  queste  leggi  sono  ammissibili  entro   limiti   sia
specifici, qual e' quello del rispetto della funzione giurisdizionale
in ordine alla decisione delle cause in corso, sia generali, e  cioe'
del principio della ragionevolezza e non arbitrarieta'  (sentenze  n.
492 del 1995, n. 346 del 1991, n. 143 del 1989); la conformita'  alla
Costituzione di questo tipo di leggi deve, quindi, essere valutata in
relazione al loro specifico contenuto. 
    Infatti,  in  considerazione  del  pericolo  di   disparita'   di
trattamento insito in previsioni di tipo  particolare  o  derogatorio
(sentenze n. 185 del 1998, n. 153 del 1997),  la  legge-provvedimento
e',  conseguentemente,  soggetta  ad   uno   scrutinio   stretto   di
costituzionalita' (sentenze n. 429 del 2002, n. 364 del 1999,  numeri
153  e  2  del  1997),  essenzialmente  sotto  i  profili  della  non
arbitrarieta'  e  della  non  irragionevolezza   della   scelta   del
legislatore; inoltre,  un  tale  sindacato  deve  essere  tanto  piu'
rigoroso quanto piu' marcata sia la natura provvedimentale  dell'atto
legislativo sottoposto a controllo (sentenza n. 153 del 1997). 
    Cio' posto, appare utile rammentare che, con sentenza n. 267  del
2007,  la  Corte  costituzionale  ha   giudicato   irragionevole   ed
arbitraria, e come tale contrastante con l'art. 3 della Costituzione,
una disposizione finalizzata ad eludere un  giudicato  amministrativo
in materia di dismissione di beni  immobiliari  introdotta,  dopo  la
pubblicazione della sentenza del giudice amministrativo, nella  legge
di conversione di un decreto-legge finalizzato ad  introdurre  misure
di contrasto all'evasione fiscale, nonche' disposizioni  in  tema  di
riscossione  delle  imposte,  perequazione  delle  basi   imponibili,
previdenza e sanita'; in questo caso,  i  giudici  di  Palazzo  della
consulta  hanno,  infatti,   ritenuto   che   la   tempistica   della
legge-provvedimento e la considerazione  che  il  decreto-legge,  nel
quale  la  norma  e'  stata  inserita,  concerneva  materia  diversa,
evidenziassero un chiaro intento  elusivo  del  decisum  del  giudice
amministrativo. 
    Cio' premesso, si osserva come la fattispecie, oggi in esame,  in
nulla sembra differire dal caso affrontato dalla Corte costituzionale
con la sentenza, da ultimo, citata; infatti, l'art. 38, comma 2-bis e
1-terdecies, era assente,  nel  corpo  originario  del  decreto-legge
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2019), ed e' stato
introdotto nella sola legge di conversione n. 58 del 28 giugno  2019,
proprio dopo che era stata depositata la deliberazione della  Sezione
delle autonomie n. 8/2019/QMIG (pubblicata il 7 maggio 2019) che,  in
sostanza,  confermava  i  contenuti  delle  decisioni  delle  sezioni
territoriali della Corte dei  conti  (ossia  la  deliberazione  della
Sezione regionale di  controllo  per  la  Campania  n.  46/2019/PRSP,
relativa al Comune  di  Pagani,  e  la  deliberazione  della  Sezione
regionale di controllo per la Calabria n. 31/2019/PRSP,  relativa  al
Comune di Reggio Calabria) che  avevano  «...inciso...»  i  PRFP  dei
predetti comuni. 
    Quindi, nella fattispecie, la tempistica  del  legislatore,  come
pure la considerazione che il decreto-legge, nel quale  la  norma  e'
stata inserita, intendeva disciplinare «la crescita economica» ovvero
«specifiche situazioni di crisi» (tra le quali, ab  origine  non  era
contemplata, come gia' detto, quella degli «...enti locali che  hanno
proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di  riequilibrio
ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge  28  dicembre  2015,  n.
208, entro la data del 14 febbraio 2019 di  deposito  della  sentenza
della Corte costituzionale n.  18  del  2019,  anche  se  non  ancora
approvato dalla competente sezione regionale della  Corte  dei  conti
ovvero inciso da provvedimenti conformativi  alla  predetta  sentenza
della sezione regionale competente...») appaiono spia evidente  della
possibile violazione dell'art.  3  della  Costituzione,  anche  sotto
questo ulteriore profilo; sul punto, la Corte costituzionale ha, piu'
volte, affermato (ex multis sentenze n.  171/2007,  128/2008  nonche'
22/2012, 34/2013, 32/2014) che il  legislatore  non  puo'  profittare
della conversione in legge per disciplinare questioni  non  omogenee,
rispetto al contenuto del decreto stesso. 
    Inoltre, come gia'  detto,  appare  evidente  come  il  complesso
normativo, della cui costituzionalita' si dubita, abbia espressamente
inteso paralizzare gli effetti di pronunce delle sezioni di controllo
della Corte dei conti (che hanno  doverosamente  affermato  l'obbligo
dei comuni interessati di conformare  il  piano  di  riequilibrio  in
essere a quanto stabilito dalla sentenza della  Corte  costituzionale
n. 18/2019) al fine di consentire, ai comuni medesimi, di evitare la,
altrettanto  doverosa,  dichiarazione   di   dissesto   mediante   la
«...spalmatura...» del disavanzo,  originariamente  accertato  in  un
piano di durata decennale, in un termine che, come nella fattispecie,
puo'  avere  anche  durata  ventennale;  detto  complesso  normativo,
rimuove, sostanzialmente, iure autoritatis gli  effetti  di  pronunce
definitive della Corte dei conti  (...  il  che  appare  di  per  se'
manifestamente irragionevole, come  esposto  in  precedenza...)  per,
poi,  attribuire,  «favore  principis»,  solo   ad   alcuni   comuni,
«...incisi...»  dalle  pronunce  in   questione,   la   facolta'   di
ripresentare  un  nuovo  piano  di  riequilibrio  di  durata  financo
ventennale  (come  nella  fattispecie),  per  evitare  la   probabile
dichiarazione di dissesto, con buona pace dei  diritti  delle  future
generazioni. 
    In ultimo, da quanto sopra esposto, sembra che, nella fattispecie
normativa della cui costituzionalita' si dubita,  il  Governo,  abbia
utilizzato lo strumento del decreto-legge, al  di  fuori  dei  limiti
previsti dall'art. 77 della Costituzione che consente  il  ricorso  a
tale  strumento  solo  in  «...casi  straordinari  di  necessita'   e
urgenza...». 
    Al riguardo, si osserva che la Corte costituzionale,  occupandosi
della questione della «necessita' e urgenza» dei decreti-legge, nella
sentenza n. 171 del  2007,  ha  affermato  che  «...Negli  Stati  che
s'ispirano  al  principio  della  separazione  dei  poteri  e   della
soggezione della giurisdizione  e  dell'amministrazione  alla  legge,
l'adozione delle norme primarie spetta agli organi  o  all'organo  il
cui potere deriva direttamente  dal  popolo.  A  questi  principi  si
conforma la nostra Costituzione laddove stabilisce che  «la  funzione
legislativa e' esercitata collettivamente  dalle  due  Camere»  (art.
70). In determinate situazioni o per particolari  materie,  attesi  i
tempi tecnici che il normale svolgimento della  funzione  legislativa
comporta, o in considerazione della complessita' della disciplina  di
alcuni   settori,   l'intervento   del   legislatore   puo'   essere,
rispettivamente, posticipato  oppure  attuato  attraverso  l'istituto
della  delega  al  Governo,  caratterizzata  da  limiti  oggettivi  e
temporali e dalla prescrizione di conformita' a  principi  e  criteri
direttivi indicati nella legge di  delegazione.  Lasciando  da  parte
tale ultima ipotesi, che qui  non  interessa,  e'  significativo  che
l'art. 77 della Costituzione, al  primo  comma,  stabilisca  che  «il
Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che
abbiano valore di legge ordinaria». Tenuto conto del tenore dell'art.
70 della Costituzione, la norma suddetta potrebbe apparire  superflua
se non le si attribuisse il fine di sottolineare che le  disposizioni
dei commi successivi - nel prevedere  e  regolare  l'ipotesi  che  il
Governo, in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, sotto la sua
responsabilita', adotti provvedimenti provvisori con forza di  legge,
che perdono efficacia se  non  convertiti  in  legge  entro  sessanta
giorni  -  hanno  carattere   derogatorio   rispetto   all'essenziale
attribuzione al Parlamento della funzione di porre le norme  primarie
nell'ambito delle competenze dello Stato centrale...». E' sulla  base
di siffatti presupposti che questa Corte, con giurisprudenza costante
dal 1995 (sentenza n. 29 del 1995), ha affermato che l'esistenza  dei
requisiti della straordinarieta' del caso di necessita'  e  d'urgenza
puo' essere oggetto  di  scrutinio  di  costituzionalita'.  La  Corte
tuttavia, nell'affermare l'esistenza del suindicato proprio  compito,
e' stata ed e' consapevole che il suo esercizio non sostituisce e non
si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del
Parlamento in sede di conversione - in cui le  valutazioni  politiche
potrebbero essere prevalenti - ma deve svolgersi su un piano diverso,
con la funzione di preservare l'assetto delle fonti normative e,  con
esso, il rispetto dei valori a tutela  dei  quali  detto  compito  e'
predisposto. L'espressione usata dalla Costituzione  per  indicare  i
presupposti alla cui ricorrenza e' subordinato il potere del  Governo
di emanare norme  primarie  ancorche'  provvisorie  -  ossia  i  casi
straordinari di necessita' ed urgenza - se da un  lato,  come  si  e'
detto, evidenzia il carattere singolare di detto potere rispetto alla
disciplina delle fonti di una  Repubblica  parlamentare,  dall'altro,
pero', comporta l'inevitabile conseguenza di dare  alla  disposizione
un largo margine di elasticita'.  Infatti,  la  straordinarieta'  del
caso, tale da imporre  la  necessita'  di  dettare  con  urgenza  una
disciplina in proposito, puo' essere  dovuta  ad  una  pluralita'  di
situazioni (eventi naturali,  comportamenti  umani  e  anche  atti  e
provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle  quali  non  sono
configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi....». 
    In tale circostanza, la Corte costituzionale,  ha  aggiunto  che,
come precisato nella sentenza n. 29/1995 difetto  dei  requisiti  del
«caso straordinario di necessita' e d'urgenza», una volta intervenuta
la conversione, si traduce in un vizio in procedendo  della  relativa
legge. Il suddetto principio e' stato ribadito con la sentenza n. 341
del 2003, mentre con altre la Corte ha  ritenuto  di  prescindere  da
tale questione  perche'  era  da  escludere  l'evidente  carenza  dei
suindicati presupposti (sentenze n. 196 del 2004 e n. 178 del  2004).
Diverso  orientamento  e'  stato  invece  adottato,  senza  specifica
motivazione sul punto, con le sentenze n. 330 del 1996,  n.  419  del
2000 e n. 29 del  2002  e,  sotto  un  particolare  profilo,  con  la
sentenza n. 360 del 1996...». 
    Nel dirimere la questione, la Corte costituzionale, nel  ribadire
il principio affermato dalla citata sentenza n. 29/1995 (secondo  cui
« ...il difetto dei requisiti del "caso straordinario di necessita' e
d'urgenza", una volta intervenuta la conversione, si  traduce  in  un
vizio in procedendo della relativa legge...»  ha  motivato:  «....Se,
anzitutto, nella disciplina costituzionale che regola l'emanazione di
norme primarie (leggi e atti aventi  efficacia  di  legge)  viene  in
primo piano il rapporto tra gli organi - sicche'  potrebbe  ritenersi
che, una volta intervenuto l'avallo del Parlamento con la conversione
del decreto, non restino margini per ulteriori  controlli  -  non  si
puo' trascurare di rilevare  che  la  suddetta  disciplina  e'  anche
funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza  la  configurazione
del sistema costituzionale nel suo complesso. Affermare che la  legge
di conversione sana in ogni caso i vizi del  decreto  significherebbe
attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare
il riparto costituzionale  delle  competenze  del  Parlamento  e  del
Governo quanto alla produzione delle fonti primarie. Inoltre,  se  si
ha riguardo al fatto che in una Repubblica parlamentare, quale quella
italiana, il Governo deve godere della  fiducia  delle  Camere  e  si
considera  che  il  decreto-legge  comporta   una   sua   particolare
assunzione di responsabilita', si deve concludere che le disposizioni
della legge di conversione in quanto tali - nei limiti, cioe', in cui
non incidano  in  modo  sostanziale  sul  contenuto  normativa  delle
disposizioni del decreto, come nel caso in esame - non possono essere
valutate,  sotto  il  profilo  della   legittimita'   costituzionale,
autonomamente da quelle  del  decreto  stesso.  Infatti,  l'immediata
efficacia di questo, che lo rende  idoneo  a  produrre  modificazioni
anche   irreversibili    sia    della    realta'    materiale,    sia
dell'ordinamento, mentre rende evidente la ragione dell'inciso  della
norma costituzionale che attribuisce al  Governo  la  responsabilita'
dell'emanazione del decreto, condiziona nel contempo l'attivita'  del
Parlamento in sede di conversione in modo particolare  rispetto  alla
ordinaria attivita' legislativa. Il Parlamento si trova a compiere le
proprie valutazioni e a deliberare con  riguardo  ad  una  situazione
modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale  titolare
del  potere  esecutivo,  non  spetta  emanare   disposizioni   aventi
efficacia di legge. Del resto, a conferma di cio', si puo' notare che
la  legge  di  conversione  e'  caratterizzata   nel   suo   percorso
parlamentare da una situazione tutta particolare,  al  punto  che  la
presentazione del decreto per la conversione comporta che  le  Camere
vengano convocate ancorche' sciolte (art. 77,  secondo  comma,  della
Costituzione), e il suo percorso  di  formazione  ha  una  disciplina
diversa da quella che regola l'iter dei disegni di legge proposti dal
Governo (art. 96-bis del regolamento della Camera e art. 78, comma 4,
di quello del Senato)...». 
    Cio' premesso, si osserva che, nella  fattispecie,  il  preambolo
del decreto-legge in questione e' stato cosi' testualmente  formulato
«...Considerata la straordinaria necessita' ed urgenza  di  stabilire
misure  per  la  crescita   economica;   Considerata,   inoltre,   la
straordinaria necessita'  ed  urgenza  di  prevedere  misure  per  la
risoluzione   di   specifiche   situazioni   di    crisi...»;    tale
decreto-legge, quindi, era finalizzato a  predisporre  una  serie  di
misure finalizzate alla «crescita economica» del  Paese  ovvero  alla
risoluzione di specifiche crisi (tra le quali, ab  origine,  non  era
contemplata  quella  degli  «enti  locali  che  hanno   proposto   la
rimodulazione o riformulazione del piano  di  riequilibrio  ai  sensi
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  entro
la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza  della  Corte
costituzionale n. 18 del 2019, anche se non  ancora  approvato  dalla
competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero  inciso  da
provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  sezione
regionale competente...»); solo in  sede  di  conversione,  e'  stato
inserito il citato art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies, la  cui
«necessita' ed urgenza» non era stata, quindi,  ritenuta  sussistente
all'atto  della  pubblicazione  del  decreto-legge   medesimo   nella
Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2019; non si  comprende  francamente
quale  possa  essere  la  ragione   di   «necessita'   ed   urgenza»,
sopraggiunta dopo la  data  di  pubblicazione  del  decreto-legge  in
questione; infatti la sentenza della Corte costituzionale n.  18/2019
(che ha determinato l'espunzione dal sistema dell'art. 1, comma  714,
legge 208 del 2015 quale sostituito  dall'art.  1,  comma  434  della
legge n. 232 del 2016 - era stata gia' pubblicata in 14 febbraio 2019
e «la urgente necessita' di un intervento  legislativo  straordinario
del  Governo»  non  sembra   possa   essere   giustificata   da   una
interpretazione del giudice contabile (ossia quella, contenuta  nella
deliberazione  della  Sezione   delle   autonomie   n.   8/2019/QMIG,
depositata il 7 maggio 2019)  che  aveva  sostanzialmente  confermato
quanto, in precedenza affermato,  dalle  citate  deliberazioni  delle
sezioni regionali di controllo per la Campania e per la Calabria (che
avevano ritenuto sussistente l'obbligo dei Comuni di Pagani e  Reggio
Calabria di conformare il loro  piano  di  riequilibrio  ai  principi
stabiliti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del 2019). 
    Appare, infatti, in contrasto con i  principi  costituzionali  in
precedenza esposti, l'aver considerato come «necessaria  e  urgente»,
l'esigenza di paralizzare gli effetti di  pronunce  anche  definitive
(in quanto non impugnate) della Corte dei  conti  (come  la  delibera
della Sezione regionale di controllo per la Campania n. 46/2019/PRSP,
sul Comune di Pagani, quella della Sezione regionale di controllo per
la Calabria n: 31/2019/PRSP, sul Comune di Reggio Calabria) e  quella
della  Sezione  delle  autonomie  di  questa  Corte  n.   8/2019/QMIG
(confermativa, sostanzialmente delle prime due) al fine di consentire
agli enti (che, a dette pronunce, non hanno  inteso  conformarsi)  di
ripresentare  un  nuovo  piano  di  riequilibrio  di  durata  financo
ventennale (come nella fattispecie), con buona pace dei diritti delle
future generazioni. 
    Da cio' deriva che, nella fattispecie, secondo i chiari  principi
affermati dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n.
171/ 2007, l'art. 38, commi 2-bis, 2-ter e 1-terdecies  ,  appare  in
contrasto con l'art.  77  della  Costituzione  in  quanto  privo  dei
requisiti «...di necessita' e urgenza...» e  poiche'  «...il  difetto
dei requisiti del "caso straordinario di necessita' e d'urgenza", una
volta  intervenuta  la  conversione,  si  traduce  in  un  vizio   in
procedendo della relativa legge...». 

(1) Con deliberazione n. 30/2019, la  Sezione  di  controllo  per  la
    Regione Calabria ha evidenziato che, con ordinanza n.  5/2019/EL,
    le sezioni riunite di questa Corte avevano sollevato questione di
    legittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   comma   6,   del
    decreto-legge  19   giugno   2015,   n.   78,   convertito,   con
    modificazioni,  dalla  legge  6  agosto  2015,   n.   125,   come
    interpretato autenticamente dall'art. 1, comma 814,  della  legge
    27 dicembre 2017, n. 205 in relazione agli  articoli  3,  81  97,
    primo  comma,  119,  sesto  comma,  e  136  della   Costituzione,
    adombrando la necessita' di tenere  distinti  gli  accantonamenti
    del FAL e del FCDE per  evitare  espansioni  della  capacita'  di
    spesa  degli  enti  locali  ed  affermando  che   la   norma   di
    interpretazione autentica di cui alla  legge  n.  205/2017  rende
    ancor piu' evidente l'espansione della  capacita'  di  spesa,  in
    violazione dei predetti precetti costituzionali, consentendo  tra
    l'altro di utilizzare  il  FAL  per  il  ripiano  del  cosiddetto
    disavanzo  tecnico  di  cui  all'art.  3,   comma   13,   decreto
    legislativo n. 118/2011; per tale ragione,  considerando  che  la
    riquantificazione del cosiddetto extradeficit e' stata effettuata
    dal Comune di Reggio Calabria applicando, tra l'altro, l'art.  1,
    comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, il  giudizio  in
    ordine alla correttezza della operazione e' stato sospeso,  dalla
    Sezione, fino alla pronuncia della Corte costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte  dei  conti,  Sezione  regionale  di  controllo  per  la
Calabria, solleva nei termini di cui  in  motivazione,  questione  di
legittimita' costituzionale: 
        1. dell'art. 38, comma 2-bis e 2-ter,  del  decreto-legge  30
aprile 2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno  2019,  n.  58,  in
combinato disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, nella  parte  in
cui tale complesso di disposizioni consente di rimodulare/riformulare
il piano di riequilibrio decennale, precedentemente approvato, in  un
termine ultra decennale, poiche' appare in contrasto con i  parametri
stabiliti dagli articoli 81  della  Costituzione,  97,  primo  comma,
della  Costituzione,  117,  primo  comma  della   Costituzione,   per
violazione del parametro interposto del  preambolo  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 3  del  trattato
consolidato dell'Unione europea, nonche' dell'art. 119, sesto  comma,
della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli 1, 2  e  3
della Costituzione; 
        2. dell'art. 38, comma 2-bis,  del  decreto-legge  30  aprile
2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58,  nella  parte
in  cui  consente  agli  «...enti  locali  che  hanno   proposto   la
rimodulazione o riformulazione del piano  di  riequilibrio  ai  sensi
dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n.  208,  entro
la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  18  del  2019...»,  anche  se  «...   inciso   da
provvedimenti  conformativi  alla  predetta  sentenza  della  sezione
regionale  competente...»  di  poter  «...riproporre  il  piano   per
adeguarlo alla normativa vigente»,  poiche',  consentendo  l'elusione
del decisum di pronunce della magistratura contabile (anche  divenute
definitive) appare in  contrasto  con  i  parametri  stabiliti  dagli
articoli 3, 102 comma 1, 100, 103, e 113 della  Costituzione  nonche'
degli articoli 24 e 111 della Costituzione; 
      3. dell'art. 38, comma 2-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019,
n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, nella parte in cui,
consentendo una ennesima fattispecie  di  riscrittura  del  piano  di
riequilibrio,  per   comuni   gia'   beneficiari   di   facolta'   di
rimodulazione/riformulazione, lede  la  certezza  del  diritto  e  la
salvaguardia delle esigenze dei terzi  amministrati  e  dei  soggetti
creditori, poiche' appare in contrasto con gli articoli 3, 24, 111  e
117,  comma  primo,  della  Costituzione,   rispetto   al   parametro
interposto dell'art.  1  protocollo  1,  nonche'  dell'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali; 
        4. dell'art. 38, comma 2-bis,  del  decreto-legge  30  aprile
2019, n. 34, convertito in legge 28 giugno 2019, n. 58, in  combinato
disposto con l'art. 38, comma 1-terdecies, comma 1, poiche' appare in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione ed adottato dal Governo  al
di fuori dei «...casi straordinari di  necessita'  e  urgenza...»  in
violazione dell'art. 77 della Costituzione. 
    Sospende il giudizio in corso, relativo alla  approvazione  o  al
diniego, ai sensi dell'art. 38, comma 2-quater, decreto-legge  n.  34
del 2019 (convertito con modificazioni in legge n. 58 del  2019)  del
piano di riequilibrio riproposto dal Comune di  Reggio  Calabria  con
deliberazione C.C. n. 37 del 2019, in attesa  della  pronunzia  della
Corte costituzionale sulle questioni prospettate. 
    Ordina che, a cura  della  segreteria  della  Sezione,  ai  sensi
dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  la
presente ordinanza sia: 
        notificata: 
          al Presidente del Consiglio dei ministri; 
          al Presidente del  consiglio  comunale  e  al  sindaco  pro
tempore al Comune di Reggio Calabria (RC); 
        comunicata al Presidente del Senato  della  Repubblica  e  al
Presidente della Camera dei deputati. 
    Ordina, altresi' alla segreteria della  Sezione,  di  trasmettere
gli  atti,  unitamente  alle  prove  delle  notificazioni   e   delle
comunicazioni sopra indicate, alla Corte costituzionale. 
 
    Cosi' deliberato, in Catanzaro, nella  Camera  di  consiglio  del
giorno 26 agosto 2019. 
 
                 Il Presidente estensore: Lo Presti