N. 212 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 2019

Ordinanza del 23 settembre 2019 della Corte di cassazione sul ricorso
proposto da Saint Gobain Distribuzione S.r.l. a  socio  unico  contro
Agenzia delle entrate. 
 
Imposte e tasse - Imposta di registro - Applicazione  dell'imposta  -
  Interpretazione degli atti - Applicazione dell'imposta  secondo  la
  intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla
  registrazione, anche se non vi corrisponda il  titolo  o  la  forma
  apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo,
  prescindendo  da  quelli  extra-testuali  e  dagli  atti  ad   esso
  collegati. 
- Decreto del Presidente della Repubblica del 26 aprile 1986, n.  131
  (Approvazione  del  Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti
  l'imposta di registro), art. 20, come modificato dall'art. 1, comma
  87, lettera a), nn. 1) e 2), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e
  dall'art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 
(GU n.48 del 27-11-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                      Sezione tributaria civile 
 
    Composta dagli illustrissimi signori magistrati: 
        dott. Oronzo De Masi - Presidente; 
        dott. Giacomo Maria Stalla - relatore consigliere; 
        dott.ssa Milena Balsamo - consigliere; 
        dott.ssa Rita Russo - consiglere; 
        dott.ssa Paola D'Ovidio - Consigliere; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
n. 12717/2014 proposto da: Saint Gobain Distribuzione S.r.l. a  socio
unico in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in Roma via Due Macelli n. 66, presso lo studio dell'avv.
Antonio Tomassini, che lo rappresenta e difende  unitamente  all'avv.
Stefano Modenesi giusta delega a margine, ricorrente; 
    Contro  Agenzia  delle  entrate  in  persona  del  direttore  pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma via Dei Portoghesi n.  12,
presso l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  lo  rappresenta  e
difende, controricorrente; 
    Avverso la sentenza  n.  142/2013  della  Commissione  tributaria
regionale di Milano, depositata il 19 novembre 2013; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
2 luglio 2019 dal consigliere dott. Giacomo Maria Stalla; 
    Udito il pubblico ministero in persona del sostituto  procuratore
generale dott. Tommaso Basile che ha  concluso  per  il  rigetto  del
ricorso; 
    Udito per il  ricorrente  l'avv.  Di  Dio  che  si  riporta  agli
scritti; 
    Udito per il controricorrente l'avv. Palasciano  che  si  riporta
agli scritti; 
 
                            Rilevato che 
 
    1.1 La Saint Gobain Distribuzione S.r.l. con socio unico  propone
quattro motivi  di  ricorso  per  la  cassazione  della  sentenza  n.
142/43/13  del  19  novembre  2013,  con  la  quale  la   Commissione
tributaria  regionale  della  Lombardia,  a  conferma   della   prima
decisione, ha ritenuto legittimo l'avviso di liquidazione per imposta
proporzionale di registro notificatole dall'Agenzia delle entrate  in
esito a riqualificazione giuridica ex art. 20, decreto del  Presidene
della Repubblica n. 131/1986, in  termini  di  cessione  di  azienda,
della seguente operazione: 
        15 settembre 2008, costituzione della Di Trani S.r.l. a socio
unico da parte della Di Trani S.r.l. (ora Saint Gobain  Distribuzione
S.r.l.); 
        28 novembre 2008,  delibera  di  aumento  di  capitale  della
neocostituita Di Trani  S.r.l.,  da  liberarsi  con  conferimento  in
natura di tre rami di azienda; 
        28 novembre 2008,  conferimento  in  essa  del  proprio  ramo
d'azienda da parte  di  Di  Trani  S.r.l.  (gia'  socio  unico  della
conferitaria, poi divenuta Sagedi Real Estate  S.r.l.),  di  Annatore
Real Estate S.r.l. (gia' Intern Make S.r.l.) e di Gediva Real  Estate
S.r.l. (gia' Studio S.r.l.); 
        29 dicembre 2008, cessione alla  Saint  Gobain  Distribuzione
S.r.l. a s.u. delle quote di partecipazione cosi' acquisite nella  Di
Trani S.r.l. da parte delle conferenti Sagedi, Annatore e Gediva. 
    La commissione tributaria regionale, in particolare, ha  rilevato
che: 
        la riqualificazione ex  art.  20  citato  era  legittima  dal
momento che, per quanto articolata mediante plurimi  atti  negoziali,
l'operazione in esame doveva ritenersi  sostanzialmente  unitaria,  e
con oggetto la cessione dei  rami  aziendali  a  favore  della  Saint
Gobain in veste di cessionaria finale delle quote; 
        non erano nella specie applicabili le  tutele  procedimentali
di cui all'art. 37-bis, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
600/1973, relativo alle sole imposte dirette; 
        nel  caso  di  specie,  la  riqualificazione   poteva   anche
prescindere dalla contestazione  di  abuso  del  diritto,  posto  che
l'amministrazione finanziaria si era limitata  alla  riqualificazione
giuridica degli atti sottoposti a  registrazione  assoggettandoli  ad
aliquota proporzionale sulla base della stessa base  imponibile  (non
rettificata) indicata dalle  parti,  perche'  desumibile  dagli  atti
stessi. 
    Resiste con controricorso l'Agenzia delle entrate. 
    La societa' ricorrente ha depositato memoria 25 giugno  2019  con
la quale invoca lo jus superveniens costituito sia dall'art. 1, comma
87, legge n. 205/2017 (legge di  bilancio  2018),  sia  dall'art.  1,
comma 1084, legge  n.  145/2018  (legge  di  bilancio  2019);  allega
inoltre la risposta ad interpello n. 196 del 18 giugno 2019,  con  la
quale la stessa  Agenzia  delle  entrate,  in  fattispecie  similare,
sarebbe orientata ad escludere la rilevanza ex art. 20,  decreto  del
Presidente  della  Repubblica   n.   131/1986   (nella   formulazione
risultante dal  suddetto  jus  superveniens)  di  atti  collegati  ed
elementi extratestuali. 
    1.2 Con il primo motivo di ricorso la societa' lamenta - ex  art.
360, comma 1, n. 3 del codice di  procedura  civile  -  violazione  e
falsa  applicazione  dell'art.  20,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 131/1986, dal momento che  questa  norma  consentirebbe
all'amministrazione  finanziaria  di  riqualificare  il   solo   atto
presentato alla registrazione, non anche gli atti a  questo  esterni,
ed asseritamente collegati (imposta  d'atto);  inoltre  l'ordinamento
tributario escluderebbe espressamente (art. 176, comma 3, decreto del
Presidente della Repubblica n. 917/1986) che operazioni quali  quella
in esame possano concretare abuso del diritto perche' finalizzate  al
mero risparmio fiscale. 
    Con il secondo motivo  di  ricorso  si  deduce  violazione  della
stessa norma sotto il profilo  che,  nella  specie,  si  trattava  di
operazione rispondente a reali esigenze di riorganizzazione aziendale
attraverso atti che si mantenevano soggettivamente, oggettivamente  e
finalisticamente distinti ed autonomi; inoltre,  la  riqualificazione
ex art. 20 muoveva testualmente dalla considerazione dei soli effetti
"giuridici" dell'atto, non anche di quelli "economici", invece  presi
in esame dall'amministrazione finanziaria nell'avviso opposto. 
    Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso si deduce  violazione
di legge con riguardo al principio del contraddittorio ex articoli  6
e 12, legge n. 212/2000, 24, legge n.  4/1929,  37-bis,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 600/1973 ed  al  principio  dell'onere
della prova ex  art.  2697  del  codice  civile.  Per  non  avere  la
commissione   tributaria   regionale   rilevato   che   l'avviso   di
liquidazione in oggetto non era stato preceduto dalla  elevazione  di
un verbale di constatazione della  condotta  abusiva;  ne',  ad  ogni
modo,  dall'instaurazione  di  un   contraddittorio   preventivo   in
attuazione  di  un   principio   che   doveva   ritenersi   immanente
nell'ordinamento tributario, anche in conformita' alla giurisprudenza
CGUE in materia. Neppure, infine, l'amministrazione finanziaria aveva
osservato le garanzie procedimentali di cui all'art. 37-bis, commi  4
e 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973. 
    2. Il dato normativo di partenza, quello sul quale si e' poggiato
l'avviso di liquidazione opposto, e' costituito dal  previgente  art.
20, decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (Testo  unico
imposta di registro): «Interpretazione degli atti.  1.  L'imposta  e'
applicata secondo la intrinseca natura e gli, effetti giuridici degli
atti presentati alla registrazione, anche se non  vi  corrisponda  il
titolo o la forma apparente». 
    La gia' citata legge di bilancio  previsionale  per  l'anno  2018
(art. 1, comma 87, lettera a), legge n. 205/2017) e'  intervenuta  su
questa norma, la quale trova oggi una piu' circoscritta  definizione:
«L'imposta e' applicata secondo la intrinseca natura  e  gli  effetti
giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche  se  non  vi
corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi
desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e
dagli atti ad esso collegati, salvo quanto  disposto  dagli  articoli
successivi». 
    Fermo restando il principio basilare di prevalenza della sostanza
sulla   forma,   l'intervento    legislativo    in    questione    ha
significativamente ristretto l'oggetto dell'interpretazione negoziale
al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto
da  quest'ultimo  desumibili;  non   rilevano   quindi   piu',   come
espressamente indicato dal legislatore, gli  elementi  evincibili  da
atti eventualmente ad esso collegati, cosi' come quelli riferibili ad
indici esterni o fonti extratestuali. 
    Quanto all'efficacia temporale di quest'ultima  disposizione  (se
applicabile solo per il futuro, ovvero  anche  agli  atti  registrati
prima della sua entrata in vigore ed ancora in corso di  accertamento
o sub judice), questa Corte di legittimita' ha  maturato,  nel  corso
del 2018, un monolitico orientamento in questo  senso:  «in  tema  di
imposta di registro, l'art. 1, comma 87, lettera a)  della  legge  n.
205 del 2017, modificativo dell'art. 20 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 131 del 1986, con effetto dal  1°  gennaio  2018,
non ha natura interpretativa,  ma  innovativa,  in  quanto  introduce
limiti   all'attivita'   di   riqualificazione   della    fattispecie
precedentemente non previsti: ne deriva che tale disposizione non  ha
efficacia retroattiva e, pertanto, gli  atti  antecedenti  alla  data
della  entrata  in  vigore  della   stessa   continuano   ad   essere
assoggettati all'imposta secondo la disciplina contemplata dal  detto
art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131  del  1986
nella previgente formulazione» (Cass. n. 2007/2018; cosi'  Cass.  nn.
4407/2018, 5748/2018, 7637/2018, 8619/2018, 13610/2018 ed altre). 
    Non e' pero' utile qui  soffermarsi  sugli  argomenti  addotti  a
sostegno di questo indirizzo,  dal  momento  che  il  legislatore  e'
nuovamente intervenuto con la, pure gia' citata,  legge  di  bilancio
previsionale per l'anno 2019, stabilendo (art. 1, comma  1084,  legge
n. 145/2018) che: «L'art. 1, comma 87,  lettera  a)  della  legge  27
dicembre  2017,  n.  205,   costituisce   interpretazione   autentica
dell'art. 20,  comma  1  del  testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131». 
    Si tratta di disposizione con la quale il legislatore ha palesato
la volonta'  di  attribuire  portata  retroattiva  alla  formulazione
dell'art. 20 risultante dalla legge di bilancio 2018,  quale  effetto
normalmente riconducibile alla norma di interpretazione autentica  ed
alla sua  natura  prettamente  dichiarativa  di  un  significato  fin
dall'inizio contenuto nella norma interpretata. 
    Ebbene, si ritiene che la nuova  e  piu'  ristretta  formulazione
dell'art. 20 decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  131/1986,
cosi' risultante, ponga una rilevante e non manifestamente  infondata
questione di legittimita' costituzionale. 
    3. In punto rilevanza, non e' possibile decidere la  controversia
senza fare applicazione - appunto retroattiva - della norma in esame. 
    Norma che, come detto, l'amministrazione finanziaria ha  posto  a
fondamento esclusivo  di  un  avviso  di  liquidazione  (per  imposta
proporzionale di registro, in luogo  di  quella  autoliquidata  dalla
societa'   in   misura   fissa)   che,   proprio   all'esito    della
riqualificazione  giuridica  di  un  complesso  di   atti   negoziali
collegati  ed  asseritamente  costituente   un'operazione   unitaria,
individua in quest'ultima la  sostanza  di  una  cessione  aziendale,
sebbene indirettamente realizzata attraverso il  previo  conferimento
di rami aziendali in una societa' costituita ad  hoc  e  la  cessione
alla odierna ricorrente delle, cosi' liberate,  quote  sociali  della
conferitaria. 
    E' vero  che  la  ricorrente,  aldila'  della  stretta  questione
interpretativa dell'art. 20 citato, oppone anche  profili  diversi  e
potenzialmente assorbenti,  perche'  per  altra  ragione  invalidanti
l'avviso di liquidazione opposto. 
    Questi profili - dedotti nei motivi di ricorso diversi dal  primo
- non sembrano pero' condivisibili: 
        non  quello  concernente  l'esclusione,  nella   specie,   di
qualsivoglia collegamento negoziale, dal momento che  il  giudice  di
merito, con valutazione argomentata e qui non sindacabile, ha  invece
positivamente riscontrato,  nell'ambito  di  un  tipico  accertamento
fattuale di sua competenza (qual e' quello  in  questione:  Cass.  n.
22216/2018  ed  altre),  il  requisito  del  collegamento  negoziale,
assumendo come dato imprescindibile di  causa  proprio  l'unitarieta'
dell'operazione realizzata e l'univocita' del suo scopo finale (tanto
piu' corroborate, egli ha ritenuto, dal coordinamento imprenditoriale
delle varie societa' coinvolte e  dalla  strettissima  contestualita'
temporale del tutto); 
        non quello con cui si assume la mancata previa elevazione  di
processo verbale di  constatazione  e  la  mancata  osservanza  della
procedura di tutela prevista dall'art. 37-bis decreto del  Presidente
della  Repubblica  n.  600/1973   (allora   vigente)   in   caso   di
contestazione di condotte fiscalmente abusive, dal momento che,  come
meglio si avra' modo di dire (4.3), l'art. 20, decreto del Presidente
della Repubblica n. 131/1986 ha a che vedere con la  riqualificazione
giuridica dell'atto da registrare, e  non  con  la  contestazione  di
condotte abusive od elusive, sicche':  «(...)  i  motivi  di  ricorso
incidentale sono infondati, in quanto si basano sull'assunto per  cui
la commissione avrebbe dovuto rilevare la  mancata  applicazione,  da
parte  della   amministrazione   finanziaria,   delle   garanzie   di
contraddittorio endoprocedimentale di cui all'art. 37-bis del decreto
del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (oggi art.  10-bis  della
legge n. 212 del 2000); assunto che e' errato essendosi, nel caso  di
specie, fatta applicazione, da parte  del  fisco,  dell'art.  20  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del  1986,  che  detta
una regola interpretativa e non antielusiva, il cui  impiego  non  e'
condizionato  al  rispetto  delle  suddette   garanzie»   (Cass.   n.
13610/2018; cosi' Cass. nn. 313/2018, 6758-6759/2017 e molte  altre);
il che al  contempo  rende  del  tutto  ininfluente,  ai  fini  della
decisione, tanto che l'operazione qui dedotta potesse non  presentare
alcun connotato abusivo o distorsivo rispondendo piuttosto, come pure
sostenuto dalla  societa',  a  "reali  esigenze  di  riorganizzazione
aziendale", quanto che  il  conferimento  di  azienda  seguito  dalla
cessione delle quote non sia, a certe condizioni, considerato abusivo
ai fini delle imposte sul reddito (art. 176, comma 3, TUIR); 
        e  neppure  quello  relativo   al   mancato   contraddittorio
preventivo  in  sede  amministrativa,  non  in  applicazione  di  una
specifica   previsione   legislativa   (insussistente),   ma    quale
espressione di un principio generale ed  immanente  nell'ordinamento;
dal momento che qui  si  discute  di  imposta  "non  armonizzata"  di
registro, e che l'orientamento di legittimita' sul punto si e'  ormai
saldamente attestato, a superamento  di  un  diverso  indirizzo,  nel
senso che: «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto
a verifiche fiscali, l'amministrazione finanziaria e' gravata  di  un
obbligo  generale  di  contraddittorio  endoprocedimentale,  la   cui
violazione comporta l'invalidita' dell'atto purche'  il  contribuente
abbia assolto all'onere di  enunciare  in  concreto  le  ragioni  che
avrebbe  potuto  far  valere  e  non  abbia  proposto  un'opposizione
meramente pretestuosa, esclusivamente per  i  tributi  "armonizzati",
mentre, per quelli  "non  armonizzati",  non  e'  rinvenibile,  nella
legislazione nazionale, un  analogo  generalizzato  vincolo,  sicche'
esso sussiste solo per  le  ipotesi  in  cui  risulti  specificamente
sancito» (Cass. SSUU n. 24823/2015, ed innumerevoli altre). 
    4.1 In punto non manifesta infondatezza,  sussistono  consistenti
dubbi di incompatibilita' del "nuovo" art. 20 con  quanto  prescritto
dagli articoli 53 e 3 della Costituzione. 
    Nella disciplina dell'imposta di registro - ma il  discorso  puo'
riferirsi alla fiscalita' nella sua interezza, e  nei  suoi  risvolti
tanto nazionali quanto sovranazionali - quello  di  prevalenza  della
sostanza  sulla  forma  e'   principio   imprescindibile   ed   anche
storicamente radicato. 
    Esso trova la propria origine, nell'ordinamento postunitario, con
l'art. 7, legge n. 585/1862, secondo  cui:  «la  tassa  e'  applicata
secondo l'intrinseca natura degli atti e non secondo  la  loro  forma
apparente»; disposizione poi trasfusa nell'art. 8, R.D. n. 3269/1923,
in base al quale:  «le  tasse  sono  applicate  secondo  l'intrinseca
natura e gli effetti degli atti dei trasferimenti, se  anche  non  vi
corrisponda il titolo o la forma apparente». L'art.  19  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 634/1972, poi  recepito  dall'art.
20 del vigente TUR, ha tenuto ferma  questa  impostazione  di  fondo,
introducendo  -  a  sintesi  di  un  acceso  dibattito  dottrinale  -
l'attribuzione "giuridici", riferita agli effetti dell'atto che vanno
considerati nell'opera di riqualificazione. 
    Si tratta di principio che e'  stato  costantemente  valorizzato,
nell'interpretazione della norma in esame,  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' secondo la quale - all'esatto contrario di  quanto  oggi
portato dall'attuale formulazione dell'art. 20  -  la  qualificazione
dell'atto  secondo  parametri  di  tipo   sostanzialistico,   e   non
nominalistico o di apparenza, comporta la  necessaria  considerazione
anche di elementi  esterni  all'atto  e,  in  particolare,  anche  di
elementi  desumibili  da  atti  eventualmente  collegati  con  quello
presentato alla registrazione. 
    Unica  voce  dissonante  in  un  panorama  giurisprudenziale   di
legittimita' vastissimo e del tutto consolidato sul  punto  specifico
(da Cass. nn. 10743/2013, 6405/2014, 25001/2015,  fino  a  Cass.  nn.
2050/2017, 4404/2018, 5748/2018, 5755/2018, 14999/2018,  881/2019  ed
innumerevoli altre) e' costituita da Cass. n. 2054/2017 la quale, pur
affermando  che  l'amministrazione  finanziaria  non  e'   tenuta   a
conformarsi alla qualificazione  giuridica  attribuita  al  contratto
dalle  parti,  ha  poi  stabilito  che  essa  non  puo'  operare   la
riqualificazione del medesimo - ex art. 20 - travalicando «lo  schema
negoziale tipico in cui l'atto risulta inquadrabile, salva la  prova,
da parte  sua,  sia  del  disegno  elusivo  sia  delle  modalita'  di
manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici».  Tanto
che, in assenza  di  prova  di  intento  elusivo  e  strumentale,  la
cessione dell'intera partecipazione societaria  non  potrebbe  essere
riqualificata in  termini  di  cessione  aziendale.  E  tuttavia,  la
posizione cosi' isolatamente espressa  -  per  quanto  rispondente  a
posizioni sostenute con forza  dalla  dottrina  ed  anche  da  alcune
pronunce di merito - non ha avuto seguito,  risultando  infatti  poco
dopo  esaminata  da  Cass.  n.   11873/2017   la   quale,   prendendo
espressamente posizione sulla  suddetta  pronuncia,  ha  ritenuto  di
doverla infine disattendere confermando  e  recuperando  il  suddetto
orientamento. 
    Orientamento  i  cui  i   passaggi   essenziali   possono   cosi'
ricapitolarsi: 
        la  natura  di  "imposta  d'atto"  propria  dell'imposta   di
registro  (e  confermata  dall'art.  1  TUR,  secondo  cui  l'oggetto
dell'imposta e' costituito appunto dall'atto soggetto a registrazione
e da quello che sia volontariamente presentato per la  registrazione)
non osta alla valorizzazione complessiva di  elementi  interpretativi
esterni  e  di  collegamento  negoziale;  dal  momento  che   l'"atto
presentato alla registrazione" non  si  identifica  con  il  sostrato
materiale o cartaceo che lo contiene  e  veicola  ("atto-documento"),
bensi' con l'insieme delle previsioni  negoziali  preordinate,  anche
mediante collegamento e convergenza finalistica, al perseguimento  di
una  programmata  regolazione  unitaria   degli   effetti   giuridici
derivanti  dai  vari  negozi  collegati  ("atto-negozio");  indiretta
conferma di cio' si ha anche in tutte quelle previsioni, che potremmo
definire  satelliti  dell'art.  20  decreto  del   Presidente   della
Repubblica n. 131/1986,  che  stabiliscono  (indipendentemente  dalla
formulazione  e,  talvolta,  persino  dall'esistenza  stessa  di   un
sostrato documentale  o  cartaceo)  la  registrazione  dei  contratti
verbali  (art.  3);  l'autonoma  e  plurima  registrazione  di   piu'
disposizioni negoziali tra loro indipendenti, ancorche' contenute  in
un unico atto complesso (art. 21);  l'imponibilita'  di  disposizioni
negoziali puramente enunciate (art. 22); 
        il  recupero  di  elementi  negoziali  esterni  e   collegati
all'atto  presentato  alla  registrazione  risponde  all'esigenza  di
evidenziare, appunto in attuazione della regola per cui  la  sostanza
vince sulla forma,  la  causa  reale  di  tale  atto,  assunta  quale
criterio  ispiratore  di  un'attivita'  (quella   di   qualificazione
negoziale volta all'emersione della materia imponibile) che, per  sua
natura, non puo' essere lasciata alla  discrezionalita'  delle  parti
contribuenti ne' a quello che  le  parti  abbiano  dichiarato  (sulla
"indisponibilita' della qualificazione contrattuale ai fini fiscali":
Cass. n. 2009/2018); tanto che, a riprova, analoga  esigenza  non  si
pone  con  riguardo  alla  registrazione  di  atti  di   natura   non
dispositiva e negoziale ma decisionale, come una sentenza o  un  lodo
arbitrale, in ordine ai quali occorre invece fare stretto riferimento
al solo contenuto ed ai soli effetti  che  emergano  dalla  pronuncia
stessa, "senza possibilita' di utilizzare elementi ad essa  estranei,
ne' di ricercare contenuti diversi da quelli su cui si sia formato il
giudicato" (Cass. n. 15918/2011); 
        un simile processo di riqualificazione e' reso  possibile,  e
normale,  dal  richiamo  a  scopo   qualificatorio   degli   istituti
civilistici generali, gia' da tempo enucleati dalla dottrina e  dalla
giurisprudenza, della "causa concreta" del contratto (focalizzata fin
da Cass. n. 10490/2006) e del  "collegamento  negoziale",  definibile
nella risultante di un elemento oggettivo  di  connessione  e  di  un
elemento soggettivo di perseguimento di un "fine ulteriore"  rispetto
a quello raggiungibile dai singoli negozi  isolatamente  considerati;
cosi' da dar vita ad un "meccanismo  attraverso  il  quale  le  parti
perseguono un risultato economico complesso,  che  viene  realizzato,
non attraverso un autonomo  e  nuovo  contratto,  ma  attraverso  una
pluralita' coordinata di contratti, quali conservano una  loro  causa
autonoma,  anche  se  ciascuno   e'   concepito,   funzionalmente   e
teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicche' le  vicende
che investono un contratto possono ripercuotersi sull'altro. Cio' che
vuol dire che, pur conservando una loro  causa  autonoma,  i  diversi
contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad
un unico regolamento dei reciproci interessi" (tra  le  molte,  Cass.
nn.  11914/2010,  7255/2013,  19161/2014,   20726/2014,   10722/2017,
22216/2018 citati); 
        la circostanza che la qualificazione dell'atto debba avvenire
secondo gli effetti "giuridici" del medesimo, e che sempre in ragione
di tali effetti "giuridici"  sia  in  pratica  applicata  la  tariffa
d'imposta, non preclude che si attribuisca rilevanza, visto anche  il
sostrato   prettamente   economico   del   principio   di   capacita'
contributiva, a quello scopo  economico  unitario  ed  ultimo  infine
raggiunto dalle  parti  proprio  attraverso  la  combinazione  ed  il
coordinamento degli effetti giuridici dei singoli atti;  che  proprio
in questo si realizza la causa concreta (o "reale" che dir si voglia)
dell'atto e si disvela la sua "intrinseca natura". 
    Ora, il convincimento  per  cui  il  criterio  di  qualificazione
sostanziale dell'atto presentato alla registrazione non confligge con
la  considerazione  dell'eventuale  collegamento  negoziale  (il  cui
accertamento,   anzi,   sollecita)   ha   prodotto   una    casistica
giurisprudenziale   estremamente    diffusa    ed    eterogenea    di
qualificazione giuridica ex art. 20, secondo  cui,  solo  per  citare
qualche esempio piu' ricorrente: 
        e' vendita il  conferimento  di  aziende  o  immobili,  anche
gravati da mutui ipotecari  accollati  dalla  societa'  conferitaria,
collegato  alla  successiva  cessione  a   terzi   delle   quote   di
quest'ultima:  tra  le  altre,  Cass.  nn.   12909/2018,   5748/2018,
4590/2018,  6758/2017,  ha  rilevato  Cass.  n.  13610/2018  che  «il
conferimento societario di un'azienda e la  successiva  cessione  dal
conferente  a  terzi  delle  quote  della  societa'   devono   essere
qualificati  come  cessione  di  azienda  se   il   fisco   riconosca
nell'operazione complessiva, in base alle circostanze  obiettive  del
caso concreto, la causa unitaria della cessione aziendale»; 
        e' vendita la fattispecie di collegamento negoziale tra mutuo
ipotecario e conferimento alla societa' dell'immobile  su  cui  grava
l'ipoteca: Cass. n. 4589/2018; Cass. ord. n. 7637/2018; 
        e' cessione di azienda la vendita separata, ma collegata,  di
tanti beni singolarmente considerati, ma funzionalmente  suscettibili
di destinazione ed  organizzazione  produttiva  unitaria:  Cass.  nn.
15175/2016,  1955/2015,  17965/2013,  nonche'  Cass.  n.  31069/2017,
secondo cui: «la  nozione  di  cessione  d'azienda  assunta  ai  fini
dell'imposta  di  registro  induce  a  riaffermare   la   centralita'
dell'elemento funzionale,  ossia  del  legame  fra  singolo  elemento
aziendale ed impresa, che conferisce l'attributo aziendale a ciascuno
degli elementi che la compone, e che non viene  meno  nelle  cessioni
"scomposte" di beni aziendali, con formula cosiddetta "spezzatino"  o
"a gradini"»; ha osservato Cass. ord. n. 21767/2017 che:  «in  ambito
tributario, a fini della determinazione dell'imposta applicabile,  la
qualificazione di un negozio  come  cessione  d'azienda  postula  una
valutazione   complessiva   dell'operazione   economica   realizzata,
assumendo rilievo preminente  la  causa  reale  di  essa,  alla  luce
dell'obiettivo economico perseguito e dell'interesse delle parti alle
prestazioni»; 
        e' vendita di area edificabile la cessione di un terreno  con
entrostante fabbricato vetusto, collegata alla successiva  richiesta,
da parte dell'acquirente, di concessione edilizia per la  demolizione
e la ricostruzione: Cass. n. 24799/2014, Cass. n.  12062/2016,  Cass.
n. 313/2018; 
        l'imposta agevolata sostitutiva di quelle di registro,  bollo
ed ipotecaria sulle operazioni di credito a medio-lungo termine (art.
15, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  601/1973)  non  si
applica, non solo quando il contratto di finanziamento  contenga  una
clausola che renda discrezionale il recesso unilaterale  della  banca
prima dei diciotto mesi, ma anche quando tale clausola sia  contenuta
in un contratto di conto corrente con apertura di credito al quale il
contratto di finanziamento risulti collegato: Cass. n. 7254/2016 e n.
6505/2018. 
    4.2 Gli odierni  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  di  una
disposizione che vieti la qualificazione giuridica dell'atto  (anche)
in ragione di atti collegati trovano radice, giustificazione e logica
conseguenzialita' proprio nell'orientamento di legittimita' che si e'
sinteticamente riassunto. 
    Si tratta infatti di indirizzo interpretativo che, da un lato, ha
escluso  qualsiasi  menomazione  ed  incidenza,  ex  art.  41   della
Costituzione, sulla  libera  iniziativa  economica  e  sull'autonomia
negoziale delle parti, posto che la ri-qualificazione  del  contratto
per intrinseco ed in forza di collegamento negoziale lascia  comunque
intatta la validita' e  l'efficacia  del  contratto  stesso  e  dello
schema negoziale  liberamente  prescelto  dalle  parti,  risolvendosi
unicamente  nell'applicazione  della   disciplina   impositiva   piu'
appropriata  al  caso  e  secondo  un  criterio  di  tassativita'   e
predeterminazione impositiva che resta  aderente  all'art.  23  della
Costituzione; e che, dall'altro, ha paventato che proprio una opposta
lettura dell'art. 20 (cioe' nel senso poi  adottato  dal  legislatore
del 2018)  si  sarebbe  posta  in  disaccordo  con  l'art.  53  della
Costituzione    (cosicche'    l'interpretazione    dominante    nella
giurisprudenza di legittimita' risultava, per cosi'  dire,  non  solo
consentita,   ma   addirittura   imposta   dal   criterio    generale
dell'interpretazione costituzionalmente conforme). 
    Si e' in proposito osservato che quella di registro - da tempo  -
non e' piu' (se non in minima parte) una semplice tassa con  funzione
corrispettiva  del  servizio  di  registrazione,   conservazione   ed
attribuzione di data certa all'atto presentato, per assumere invece i
connotati della vera e propria imposta che trova nell'atto stesso  il
presupposto rivelatore di una determinata "forza  economica"  e,  per
tale via, un tipico indice di capacita' contributiva: tra  le  altre,
Cass. nn. 2713/2002,  14150/2013  e,  piu'  recentemente,  Cass.  nn.
362/2019 e 1962/2019. 
    Il  netto  superamento  della   funzione   primigenia   di   mera
remunerazione di un servizio  pubblico,  a  favore  di  un  ruolo  di
imposizione  (con  metodo  tariffario  e  per  famiglie  di   effetti
negoziali) della ricchezza espressa dall'atto, iscrive a pieno titolo
l'imposta di registro nell'ambito dei principi impositivi di  matrice
costituzionale e, segnatamente, nella previsione di cui  all'art.  53
della Costituzione. 
    E, d'altra parte, non si  discute  del  fatto  che  la  pregnante
esigenza di attuazione del principio di  capacita'  contributiva  sia
sottesa anche all'art. 20 pur nella sua attuale ridotta portata;  non
essendoci dubbio alcuno che anche l'attuale formulazione della  norma
imponga, proprio  al  fine  di  far  emergere  l'effettiva  ricchezza
imponibile, di non fermarsi al "nomen" attribuito al contratto  dalle
parti,  per  accedere  invece  al  contenuto  reale  ed  alla  natura
sottostante dell'atto. 
    Sennonche', una volta ribadita questa esigenza,  non  appare  poi
del tutto lineare ne' coerente - proprio sul piano  costituzionale  -
che l'opera di emersione si debba per forza arrestare  alla  disamina
del solo atto  presentato,  esclusa  ogni  considerazione  di  quegli
(eventuali)  elementi  meta-testuali  e  di  collegamento   negoziale
attraverso i quali puo' invece aversi (ed in certi casi, soltanto  si
ha) piena contezza e ricostruzione  della  forza  economica  e  della
capacita' contributiva espresse dall'operazione. 
    E' vero che (Corte costituzionale n.  156/2001,  sull'Irap):  «e'
costante nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione  secondo
la quale rientra nella discrezionalita' del legislatore, con il  solo
limite della non arbitrarieta', la determinazione dei  singoli  fatti
espressivi della capacita'  contributiva  che,  quale  idoneita'  del
soggetto  all'obbligazione  di  imposta,  puo'  essere   desunta   da
qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente  dal
reddito individuale: sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143
del 1995, n. 159 del 1985)»; e, inoltre, che (Corte costituzionale n.
249/2017 in tema di revisione catastale) «la capacita'  contributiva,
desumibile dal presupposto economico al quale l'imposta e' collegata,
puo' essere ricavata, in linea  di  principio,  da  qualsiasi  indice
rivelatore   di   ricchezza,   secondo   valutazioni   riservate   al
legislatore,  salvo  il  controllo  di  costituzionalita',  sotto  il
profilo  della  palese  arbitrarieta'  e  manifesta  irragionevolezza
(sentenza n. 162 del 2008)». 
    E tuttavia, nel caso  di  specie  il  dubbio  verte  proprio  sul
corretto  esercizio  della  discrezionalita'  legislativa   e   sulla
corretta applicazione del principio per cui le scelte del legislatore
tributario  non  devono  risultare  irragionevoli  o  ingiustificate;
doveroso essendo il controllo sull'uso ragionevole, o  meno,  che  il
legislatore abbia fatto dei  suoi  poteri  discrezionali  in  materia
tributaria,  al  fine  di  verificare  «la  coerenza  interna   della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico (...)» (Corte
costituzionale nn. 111/1997 citato, 223/2012, 116/2013, riprese anche
da 10/2015). 
    La' dove, tornando  all'art.  20,  l'esenzione  del  collegamento
negoziale dall'opera di qualificazione  giuridica  dell'atto  produce
l'effetto  pratico   di   sottrarre   ad   imposizione   una   tipica
manifestazione di capacita' contributiva. Ne' sembrano  individuabili
altri principi di rango costituzionale, o anche  soltanto  preminenti
esigenze di sistema, idonei a giustificare  e  rendere  razionale  la
"disapplicazione" nel caso  di  specie  del  principio  di  capacita'
contributiva. 
    Il che rileva tanto nelle ipotesi - che  sono  poi  quelle  prese
perlopiu' in esame dalla casistica giurisprudenziale - nelle quali il
collegamento negoziale implichi un  maggior  carico  fiscale  per  il
contribuente (e dunque un maggior gettito per l'erario), quanto nelle
situazioni in cui (come pure e' concepibile) dalla considerazione del
collegamento negoziale  possa  invece  scaturire  una  qualificazione
giuridica dell'atto comportante una minore imposizione. 
    Si e' poi  affermato  (Corte  costituzionale  n.  155/2001)  che,
perche' sussista capacita' contributiva, e' necessario e  sufficiente
«che vi sia un collegamento tra  prestazione  imposta  e  presupposti
economici presi in considerazione, in termini di forza e  consistenza
economica dei contribuenti», e non puo' negarsi che  il  collegamento
impositivo cosi'  instaurato  possa  (debba)  scaturire  anche  dalla
considerazione del collegamento negoziale in  sede  di  registrazione
dell'atto. 
    Il fatto che tutti siano tenuti a concorrere alle spese pubbliche
"in ragione" della loro capacita' contributiva fa si'  che  la  forza
economica  espressa  dall'atto  (la  cui  considerazione  in  termini
sostanziali e di effettivita' e', come detto, indubitabilmente insita
anche nell'attuale formulazione dell'art. 20) costituisca,  al  tempo
stesso, fondamento e limite dell'imposizione, di cui definisce sia la
legittimazione solidaristica sia la misura esigibile. 
    Oltre che sul piano della  effettivita'  dell'imposizione,  tutto
cio' provoca ripercussioni anche sul principio  di  uguaglianza,  dal
momento che a pari manifestazioni di forza  economica  (e  quindi  di
capacita' contributiva)  non  possono  corrispondere  imposizioni  di
diversa entita': a seconda, per esempio, che  si  tassi  la  cessione
unitaria di azienda ovvero i vari atti  di  dismissione  dei  singoli
cespiti strumentali che la compongono;  ovvero  ancora,  per  restare
alla fattispecie, che si tassi l'acquisizione dell'azienda a  seconda
che ad essa si pervenga attraverso una cessione  diretta  invece  che
mediante l'articolazione di  un  conferimento  societario  e  di  una
successiva cessione di quote. 
    Altrimenti detto, le manifestazioni di forza economica (e  quindi
di capacita' contributiva) non sembrano razionalmente differenziabili
a seconda che le parti abbiano stabilito  di  realizzare  il  proprio
assetto di interessi con un solo atto negoziale,  piuttosto  che  con
piu'  atti  collegati.  Diversamente  ragionando,   si   verrebbe   a
determinare una disparita' di imposizione  (tra  contribuenti  di  un
solo atto e contribuenti  di  piu'  atti  collegati)  in  conseguenza
dell'adozione di un criterio di qualificazione giuridica  inidoneo  -
perche', a ben vedere, ancora labiale, estrinseco e  condizionato  da
un'opzione di tecnica negoziale - a  dare  contezza  della  ricchezza
imponibile insita nell'operazione. 
    Non sembra dunque che il collegamento negoziale possa  -  di  per
se' - rappresentare un  indice  di  diversificazione  di  fattispecie
legittimante un trattamento non omogeneo delle due situazioni prese a
comparazione. 
    4.3 Occorre dar conto dell'obiezione  secondo  cui  l'ordinamento
consente  oggi  espressamente  all'amministrazione   finanziaria   di
contestare  il  collegamento  negoziale   quando   quest'ultimo   sia
sintomatico di abuso, con cio' mostrando di attribuire rilevanza alla
fattispecie solo allo scopo della repressione dell'elusione  fiscale,
non anche di semplice qualificazione giuridica dell'atto. 
    Il riferimento e' all'art. 10-bis, legge n. 212/2000,  introdotto
dal decreto legislativo n. 128/2015,  il  quale  -  come  e'  noto  -
contiene la disciplina generale dell'abuso  e  dell'elusione  fiscale
concernente ogni tributo. 
    L'obiezione (a parte il fatto che si basa su una disposizione  di
legge non applicabile alla presente fattispecie, perche' sopravvenuta
all'avviso di liquidazione opposto) non e' dirimente. 
    Va detto che sul punto specifico - ed a  differenza  del  diverso
aspetto del collegamento negoziale - l'orientamento  di  legittimita'
e' stato, all'analisi diacronica, effettivamente oscillante. 
    Questa Corte ha in una prima fase affermato che anche  l'art.  20
TUR dovrebbe trovare applicazione alla luce  del  principio  generale
antielusivo, fungendo anzi - nell'ambito  dell'imposta  di  registro,
ipotecaria e catastale - quale vera e propria "norma  antiabuso";  e'
per questo che - si e' osservato - «gli stessi concetti  privatistici
sull'autonomia  negoziale  regrediscono  a  semplici  elementi  della
fattispecie tributaria» e, inoltre, che «l'autonomia  contrattuale  e
la rilevanza degli  effetti  giuridici  dei  singoli  negozi  restano
necessariamente  circoscritti  alla  regolamentazione  formale  degli
interessi delle parti, perche' altrimenti finirebbero per  sovvertire
i detti criteri impositivi» (tra  le  molte:  Cass.  nn.  11457/2005,
10273/2007, 13580/2007, 17965/2013, 5877/2014). 
    E  tuttavia,  l'indirizzo  piu'  recente   -   anche   successivo
all'introduzione dell'art. 10-bis -  ha  definitivamente  abbandonato
questo approccio, concludendo nell'opposto senso  della  indifferenza
dell'art. 20 all'abuso del diritto ed alla elusione fiscale. 
    Sono infatti ormai ricorrenti le affermazioni di segno fermamente
contrario, secondo le quali  il  fatto  che  la  norma  in  questione
attribuisca preminente  rilievo  alla  "intrinseca  natura"  ed  agli
"effetti giuridici" dell'atto, rispetto al suo "titolo" ed  alla  sua
"forma apparente", non presuppone  necessariamente  che  l'operazione
oggetto di riqualificazione abbia carattere  elusivo,  men  che  meno
evasivo  o  fraudolento  (tra  le  altre:   Cass.   nn.   18454/2016,
25487/2015, 24594/2015, ord.); con la conseguenza, tra il resto,  che
«non grava sull'amministrazione  l'onere  di  provare  i  presupposti
dell'abuso  del  diritto,  atteso  che  i  termini  giuridici   della
questione sono gia' tutti desumibili dal criterio ermeneutico di  cui
all'art. 20» (Cass. n. 3481/2014). 
    Ben si comprende, allora, come l'art. 20 - depurato da  qualsiasi
requisito di non genuinita' dell'atto - neppure abbia a che fare «con
l'istituto della  simulazione,  atteso  che  la  riqualificazione  in
parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel  negozio
o quel dato collegamento negoziale, e cio' perche' quello  che  conta
sono gli effetti oggettivamente prodottisi» (Cass. ord. n.  5748/2018
citato). 
    Aggiunge quest'ultima pronuncia che:  «In  tema  di  imposta  del
registro, l'art. 20 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
131 del 1986 (nella formulazione anteriore  alla  legge  n.  205  del
2017), non e' norma predisposta al recupero di imposte "eluse", dando
rilievo, in sede di qualificazione  giuridica  degli  atti  negoziali
presentati a registrazione,  non  gia'  all'"abuso"  in  relazione  a
determinate operazioni economiche, che non rileva a fini  impositivi,
bensi' all'effetto giuridico  finale  oggettivamente  prodotto  dagli
atti registrati, il cui contenuto economico e'  indice  di  capacita'
contributiva, con la  conseguenza  che  non  e'  richiesta  la  prova
dell'esistenza di valide ragioni economiche dell'operazione». 
    Si tratta di affermazione in linea con Cass. n. 6758/2017 citato,
secondo  cui:  «in  tema  di  imposta  di  registro,   l'applicazione
dell'art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica n.  131  del
1986, che detta una regola interpretativa e non antielusiva,  non  e'
soggetta   al   contraddittorio   endoprocedimentale   previsto   per
l'utilizzazione  delle  disposizioni  antielusive  (art.  37-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del  1973,  oggi  art.
10-bis  della  legge   n.   212   del   2000),   traducendosi   nella
qualificazione  oggettiva  degli  atti  secondo  la  causa   concreta
dell'operazione negoziale complessiva, a  prescindere  dall'eventuale
disegno o  intento  elusivo  delle  parti,  sicche'  il  conferimento
societario di un'azienda e la successiva cessione  dal  conferente  a
terzi delle quote  della  societa'  devono  essere  qualificati  come
cessione di azienda se il fisco riconosca nell'operazione complessiva
- in base alle circostanze obiettive del caso  concreto  -  la  causa
unitaria della cessione aziendale, senza la necessita' di  dimostrare
un disegno elusivo del contribuente». 
    Concludendo sul punto, l'espressa  inclusione  nell'art.  10-bis,
comma  2,  lettera  a),  legge  n.  212/2000  della  fattispecie   di
collegamento negoziale  (invece  mancante  nella  struttura  testuale
dell'art. 20): 
        consente all'amministrazione finanziaria, nell'esercizio  dei
poteri estesi di accertamento dell'imposta  di  registro  conferitile
dall'art. 53-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986
e previa l'osservanza delle  tutele  procedimentali  contenute  nella
legge, di disconoscere gli effetti degli  atti  collegati  in  quanto
elusivi e, come tali, privi di sostanza economica  diversa  dal  mero
risparmio d'imposta  (altrimenti  legittimo  ai  sensi  del  comma  4
dell'art. 10-bis in parola); 
        non  esclude   che   il   collegamento   negoziale   continui
purtuttavia a rilevare, ex art.  20,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 131/1986, anche al di  fuori  del  contesto  elusivo  e
sanzionatorio, e dunque anche quando esso emerga sul piano  obiettivo
della  mera  qualificazione  giuridica  e  come   opzione   negoziale
effettivamente rispondente  ad  esigenze  pratiche  sostanziali,  nel
senso di non deviate ne'  strumentali  ne'  unicamente  orientate  al
risparmio d'imposta. 
    5. In definitiva, si ravvisano tutti i presupposti per  demandare
al giudice delle leggi il vaglio di legittimita',  in  rapporto  agli
articoli 53  e  3  della  Costituzione,  dell'art.  20,  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  131/1986,  nei  termini  di  cui  in
dispositivo. 
    Da quanto si e' finora osservato, risulta  evidente  come  questa
estrema soluzione non possa  evitarsi  attraverso  un'interpretazione
costituzionalmente conforme della norma censurata, visto che questa: 
        per lettera, ratio e contesto di emanazione, e' assolutamente
inequivoca ed  invalicabile  nel  prescrivere  l'estromissione  degli
elementi  extratestuali  e  degli  atti   collegati   dall'opera   di
qualificazione negoziale; 
        l'ipotetica interpretazione conforme (come gia' costantemente
adottata da questa Corte di legittimita')  dovrebbe  alternativamente
identificarsi proprio con quella cosi' espulsa dall'ordinamento. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte, 
        visti gli articoli 134 della  Costituzione  e  23,  legge  n.
87/1953; 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale, in rapporto  agli  articoli
53 e 3 della Costituzione, dell'art. 20, decreto del Presidente della
Repubblica n. 131/1986, come risultante  dagli  interventi  apportati
dall'art. 1, comma 87, legge n. 205/2017 (legge di bilancio  2018)  e
dall'art. 1, comma 1084, legge n. 145/2018 (legge di bilancio  2019),
nella parte in cui dispone che, nell'applicare l'imposta di  registro
secondo la  intrinseca  natura  e  gli  effetti  giuridici  dell'atto
presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il  titolo
o  la  forma  apparente,  si  debbano  prendere   in   considerazione
unicamente gli elementi desumibili dall'atto stesso, «prescindendo da
quelli extratestuali e dagli atti ad  esso  collegati,  salvo  quanto
disposto dagli articoli successivi»; 
        dispone la sospensione del presente giudizio; 
        ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza
sia notificata alle parti del giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; ordina, altresi',  che  l'ordinanza  venga  comunicata  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
 
          Cosi' deciso nella camera di consiglio della quinta sezione
civile in data 2 luglio 2019. 
 
                       Il Presidente: De Masi