N. 213 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 2019

Ordinanza  del  17  ottobre  2019  della  Corte  dei  conti  -   Sez.
giurisdizionale per il Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto  da
Zuballi Umberto contro Istituto nazionale  della  previdenza  sociale
(INPS). 
 
Pensioni - Legge di bilancio  2019  -  Rivalutazione  automatica  dei
  trattamenti pensionistici per il periodo 2019-2021 - Meccanismo  di
  rivalutazione  -  Intervento  di  riduzione   della   rivalutazione
  automatica delle pensioni di elevato importo. 
Pensioni - Legge di bilancio 2019 - Trattamenti pensionistici diretti
  a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti,  delle  gestioni
  speciali  dei  lavoratori  autonomi,   delle   forme   sostitutive,
  esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale obbligatoria e
  della Gestione separata di cui  all'articolo  2,  comma  26,  della
  legge 8  agosto  1995,  n.  335,  i  cui  importi  complessivamente
  considerati superano 100.000 euro lordi su base annua -  Intervento
  di  decurtazione  percentuale,  per  la  durata  di  cinque   anni,
  dell'ammontare lordo annuo. 
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello  Stato
  per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio
  2019-2021), art. 1, comma 260 e commi da 261 a 268. 
(GU n.48 del 27-11-2019 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
        Sezione giurisdizionale per il Friuli-Venezia Giulia 
 
    Il giudice unico delle pensioni cons. Giulia  De  Franciscis,  ha
emesso la seguente ordinanza, sul ricorso in  materia  pensionistica,
iscritto al n. 14147 del registro di segreteria e depositato in  data
19 aprile 2019, promosso da Zuballi Umberto, nato a Varese l'8  marzo
1947, rappresentato e difeso dagli  avvocati  prof.  Massimo  Luciani
(pec: massimoluciani@ordineavvocatiroma.org), prof. Marco  Marpillero
(pec:  marco.marpilleroavvocatiudine.it),  Piermassimo   Chirulli   e
Patrizio Ivo D'Andrea,  con  i  quali  e'  elettivamente  domiciliato
presso lo studio del prof. Marco Marpillero  in  Trieste,  via  Marco
Tullio Cicerone, n. 4; 
    Contro Inps, gestione ex INPDAP - sede di Trieste in persona  del
legale  rappresentante   p.t.,   elettivamente   domiciliato   presso
l'ufficio legale della Direzione provinciale Inps di Trieste, in  via
S. Anastasio, n. 5. 
    Visto l'atto introduttivo del giudizio. 
    Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale. 
    Uditi, nella pubblica  udienza  del  18  settembre  2019,  l'avv.
Massimo  Luciani  per  il  ricorrente,  e   l'avv.   Luca   Iero   in
rappresentanza dell'Inps. 
1. Oggetto del giudizio. 
    Con la  presente  impugnativa,  il  dott.  Zuballi  -  magistrato
amministrativo cessato dal servizio a decorrere dal 9  marzo  2017  -
chiede venga accertato il suo diritto alla  integrale  corresponsione
del trattamento pensionistico senza l'applicazione -  da  un  lato  -
della riduzione per un triennio della rivalutazione automatica  dello
stesso, di cui all'art. 34, comma 1, della  legge  n.  448/1998  e  -
dall'altro  -  della  decurtazione  percentuale  per  un  quinquennio
dell'ammontare della pensione, introdotte con la  legge  30  dicembre
2018, n. 145 recante «Bilancio di previsione dello Stato  per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per  il  triennio  2019-2021»
[art. 1, commi da 260 a 268]. A tale domanda e'  connessa  quella  di
condanna dell'Inps  al  versamento  delle  somme  medio  tempore  non
erogate e/o alla restituzione di quelle gia' recuperate, con vittoria
di spese, onorari ed accessori di legge. 
    Si riportano le norme censurate per una migliore rappresentazione
delle questioni poste dal ricorrente. 
    «260. Per il periodo 2019-2021 la  rivalutazione  automatica  dei
trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito  dall'art.
34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: 
        a) per i trattamenti pensionistici  complessivamente  pari  o
inferiori a tre volte il trattamento minimo Inps,  nella  misura  del
cento per cento; 
        b) per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori
a tre volte il trattamento minimo Inps e con riferimento  all'importo
complessivo dei trattamenti medesimi: 
          1)  nella  misura  del  97  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente pari o inferiori a  quattro  volte  il
trattamento minimo Inps. Per le pensioni di importo superiore  a  tre
volte il predetto  trattamento  minimo  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base di quanto previsto dalla lettera a), l'aumento di  rivalutazione
e'  comunque  attribuito  fino  a  concorrenza  del  predetto  limite
maggiorato. Per le pensioni di importo superiore a quattro  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          2)  nella  misura  del  77  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  Inps  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo Inps. Per  le  pensioni  di  importo  superiore  a
cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dal   presente   numero,   l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza dal  predetto
limite maggiorato; 
          3)  nella  misura  del  52  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo Inps e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo Inps. Per le pensioni di importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dal presente numero, l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
          4)  nella  misura  del  47  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a sei volte  il  trattamento
minimo Inps e pari o inferiori a otto  volte  il  trattamento  minimo
Inps. Per le pensioni di importo superiore a otto volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          5)  nella  misura  del  45  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a otto volte il  trattamento
minimo Inps e pari o inferiori a nove  volte  il  trattamento  minimo
Inps. Per le pensioni di importo superiore a nove volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dal  presente  numero,  l'aumento  di   rivalutazione   e'   comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
          6)  nella  misura  del  40  per  cento  per  i  trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a nove volte il  trattamento
minimo Inps. 
    261. A decorrere dalla data di entrata in vigore  della  presente
legge e per la durata di cinque  anni,  i  trattamenti  pensionistici
diretti a carico del  Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti,  delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle  forme  sostitutive,
esclusive ed esonerative dell'assicurazione generale  obbligatoria  e
della Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della  legge
8 agosto 1995, n. 335, i  cui  importi  complessivamente  considerati
superino  100.000  euro  lordi  su  base  annua,  sono   ridotti   di
un'aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte  eccedente
il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per  la
parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000  euro,  pari  al  30  per
cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000  euro,  pari
al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro  fino  a  500.000
euro e pari al 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro. 
    262.  Gli  importi  di  cui  al  comma  261  sono  soggetti  alla
rivalutazione   automatica   secondo    il    meccanismo    stabilito
dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. 
    263. La riduzione di cui al comma 261 si applica  in  proporzione
agli  importi  dei  trattamenti  pensionistici,  ferma  restando   la
clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui  al
comma 261 non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate
con il sistema contributivo. 
    264. Gli organi costituzionali  e  di  rilevanza  costituzionale,
nell'ambito della loro autonomia, si adeguano  alle  disposizioni  di
cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della
presente legge. 
    265. Presso l'Inps e gli  altri  enti  previdenziali  interessati
sono  istituiti  appositi  fondi  denominati  «Fondo  risparmio   sui
trattamenti pensionistici di importo elevato» in cui  confluiscono  i
risparmi derivati dai commi da 261 a  263.  Le  somme  ivi  confluite
restano accantonate. 
    266. Nel Fondo  di  cui  al  comma  265  affluiscono  le  risorse
rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261  a  263,  accertate
sulla base del procedimento di cui  all'articolo  14  della  legge  7
agosto 1990, n. 241. 
    267. Per effetto  dell'applicazione  dei  commi  da  261  a  263,
l'importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non  puo'
comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua. 
    268. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni di cui  ai
commi da  261  a  263  le  pensioni  di  invalidita',  i  trattamenti
pensionistici di invalidita' di cui alla legge  12  giugno  1984,  n.
222, i trattamenti  pensionistici  riconosciuti  ai  superstiti  e  i
trattamenti riconosciuti a favore  delle  vittime  del  dovere  o  di
azioni terroristiche, di cui alla legge 13 agosto  1980,  n.  466,  e
alla legge 3 agosto 2004, n. 206.» 
    Osserva  il  ricorrente  di  essere  direttamente  inciso   dalle
indicate misure disposte dal legislatore, poiche' il suo  trattamento
di quiescenza e' stato liquidato con il sistema c.d. misto, ovverosia
in parte secondo il metodo di calcolo retributivo, in  parte  secondo
quello contributivo: rileva all'uopo che, in base all'art.  1,  comma
263 della citata legge, sono  escluse  dall'intervento  riduttivo  le
pensioni «interamente liquidate con il sistema contributivo». 
    Nel merito evidenzia come  le  stesse  si  presentino  gravemente
lesive della sua posizione giuridica,  risultando  egli  assoggettato
sia alla riduzione dell'importo della pensione in godimento che  alla
consistente contrazione dell'indicizzazione della stessa. 
    Cio' premesso parte attrice ritiene che le norme  de  quibus  non
rispettino,  sotto   plurimi   qualificanti   profili,   i   principi
costituzionali declinati negli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 81, 97,
104 e 117 della Costituzione, nell'interpretazione  che  di  essi  ha
dato nel tempo il Giudice delle leggi, in relazione  agli  interventi
normativi nel settore previdenziale.  In  proposito  nell'impugnativa
sono  sviluppati  ampi   argomenti   e   articolati   richiami   alla
giurisprudenza  costituzionale,  dei  quali  si  fornisce   sintetica
esposizione nei termini che seguono. 
    1.A.1. Con riguardo alla decurtazione  della  pensione  (art.  1,
commi  da  261  a   268,   legge   n.   145/2018)   le   censure   di
incostituzionalita' investono: 
        la  durata  quinquennale  del  prelievo,  che   si   sostiene
rappresenti una forzatura della dimensione di temporaneita' entro cui
la Corte costituzionale ha ammesso interventi  legislativi  similari.
Cio', in particolare, avendo riguardo alla  successione  ravvicinata,
negli anni,  di  ulteriori  omologhe  misure  riduttive:  si  osserva
altresi' sul punto che,  in  considerazione  dell'eta'  dei  soggetti
incisi, l'effetto di  penalizzazione  risulta  vieppiu'  amplificato,
potendosi tradurre in una perdita definitiva. Si rileva, infine,  che
la lesivita' delle  norme  in  discussione  va  anche  apprezzata  in
rapporto alle crescenti esigenze di cura ed assistenza che di  regola
si accompagnano al  collocamento  in  quiescenza  in  eta'  avanzata,
nonche' alla funzione solidaristica intra-familiare spesso svolta dai
trattamenti pensionistici degli anziani. 
    Il carattere selettivo dello stesso che, per un  verso,  colpisce
solo una parte della platea dei pensionati con  trattamenti  elevati,
in funzione del meccanismo  di  calcolo  della  pensione,  escludendo
altresi' le pensioni ai superstiti; e, per l'altro, non  interessa  i
percettori di redditi di omologo livello. Con cio' determinandosi  un
duplice effetto discriminatorio, che rende la disciplina in esame non
rispettosa del canone  della  ragionevolezza.  Ulteriore  fattore  di
criticita' in tal senso e' ravvisato nell'inclusione, tra i  soggetti
colpiti dalla misura, dei  percettori  di  pensioni  a  carico  della
gestione separata dell'Inps, pur se questi trattamenti sono liquidati
integralmente secondo il metodo di calcolo contributivo: non  risulta
- si  sottolinea  -  alcuna  giustificazione  di  questa  scelta  del
legislatore che appare, dunque, in  contraddizione  con  il  generale
criterio di  selezione  dallo  stesso  indicato.  Nei  termini  sopra
descritti parte attrice reputa l'intervento irragionevole, inadeguato
e non proporzionato a carico di una singola categoria di  pensionati,
laddove in  funzione  del  parametro  reddituale  si  sarebbe  dovuto
predisporre una misura di fiscalita' generale. 
    La sottrazione, in concreto, delle risorse ottenute alla gestione
previdenziale. Si sottolinea  come  dagli  atti  parlamentari  emerga
chiaramente che esse  sono  computate  tout  court  tra  le  entrate,
funzionali alla copertura delle  spese  approvate  con  la  legge  di
bilancio. Sul punto si  rileva  che  -  da  un  lato  -  la  prevista
costituzione di un Fondo in cui tali risorse confluiscono non  e'  in
se' significativa di una  destinazione  vincolata,  che  non  risulta
connotata  in  termini  sostanziali  in  nessuna  previsione;   e   -
dall'altro - detto eventuale accantonamento e'  comunque  esposto  ad
acquisizione al bilancio dello Stato, per  l'ordinaria  permeabilita'
della gestione finanziaria dell'Inps. Da ultimo si nota che l'assenza
di un vincolo di scopo specifico, fa confluire di fatto le risorse in
discussione nell'unitario bilancio dell'Istituto,  con  il  quale  si
assolvono  le  plurime  e  differenziate   funzioni   dello   stesso,
risultando cosi' inconfigurabile, anche sotto  tale  angolo  visuale,
qualsivoglia specifica finalita' di solidarieta' intra-previdenziale,
legata a condizioni di crisi  del  sistema.  Cio'  a  differenza  del
contributo previsto dall'art. 1, comma 486, della legge n.  147/2013,
che  recava   un'espressa   finalizzazione   al   finanziamento   dei
trattamenti in favore dei soggetti c.d. «esodati». 
    La  natura  «sostanzialmente»   tributaria   del   prelievo.   Si
sottolinea,  in  proposito,  come  la   durata   della   misura,   la
destinazione a copertura delle pubbliche spese, il carattere coattivo
e la parametrazione alla capacita' contributiva dei  soggetti  incisi
portino a ritenere  che  esso  si  risolva  in  un  tributo,  la  cui
settorialita'  si  traduce  in  una  violazione  del   principio   di
universalita' dell'imposizione tributaria sancito  dall'art.  53.  Si
osserva inoltre,  sul  punto,  che  anche  ove  il  contributo  fosse
inquadrabile nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui
all'art. 23 della Costituzione, egualmente i connotati  descritti  lo
renderebbero illegittimo, discostandosi lo  stesso  marcatamente  dai
requisiti di ammissibilita'  di  quelle  prestazioni,  che  la  Corte
costituzionale ha ripetutamente indicato nelle proprie decisioni. Sul
tema si rileva, infine, l'intrinseca contraddittorieta' delle  misure
complessivamente adottate in ambito previdenziale, laddove si  impone
ad una categoria  ristretta  di  pensionati  un  significativo  onere
finanziario aggiuntivo e, contestualmente, si prevede  l'introduzione
di  soluzioni  che  anticipano  il  collocamento  in  quiescenza   di
cittadini attivi: sicche' a fronte  di  un  risparmio  di  spesa  non
particolarmente incidente  sui  saldi  di  bilancio  si  genera,  per
contro, nuova ingente spesa che appesantisce gravemente  l'equilibrio
del sistema pensionistico. 
    La violazione  del  principio  dell'affidamento.  Si  osserva  al
riguardo che il contributo all'esame determina una  modificazione  in
pejus  di  rapporti  di   durata   sorti   anteriormente   alla   sua
introduzione,  presentando  cosi'   un   effetto   retroattivo   c.d.
improprio, la cui legittimita' deve essere  vagliata  in  termini  di
bilanciamento con altri  valori  costituzionali:  in  particolare  si
richiamano il  principio  di  ragionevolezza,  che  non  consente  di
introdurre  ingiustificate  disparita'  di  trattamento;  la   tutela
dell'affidamento  sorto  nei   soggetti   incisi,   quale   principio
espressione della coerenza e certezza dell'ordinamento. Gli  elementi
caratterizzanti  le  norme  contestate  si   reputano   significativi
dell'illegittima   frustrazione   dell'affidamento   dei   pensionati
colpiti, poiche' non ricorrono  esigenze  inderogabili  o  condizioni
eccezionali, il vulnus economico e' cospicuo e duraturo nel tempo, la
platea dei destinatari e' ingiustificatamente circoscritta. 
    La  violazione  dei  principi  di  imparzialita'  della  pubblica
amministrazione e di indipendenza della magistratura. Si richiama  in
proposito la giurisprudenza costituzionale, in cui e' valorizzata  la
funzione di salvaguardia di tali principi  assolta  dalle  norme  che
regolano la retribuzione dei pubblici dipendenti  e  dei  magistrati,
assumendone  l'omologa  incidenza  in  ordine   al   trattamento   di
quiescenza ed evidenziando come vi siano riscontri in tal senso anche
nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. 
    La violazione dell'art. 81 della Costituzione, in relazione  alla
durata quinquennale del contributo censurato,  che  ne  protende  gli
effetti   al   di   la'   dell'orizzonte   temporale   dell'ordinaria
programmazione pluriennale del bilancio, che e' fissato in  tre  anni
(art. 21, comma 1, legge n. 196/2009). Tale disallineamento giuridico
e  finanziario  viene  considerato  in  se'  irragionevole,   poiche'
disancorato dal quadro delle previsioni attendibili  sugli  andamenti
della finanza pubblica: circostanza che si reputa comprovata dai dati
riportati negli atti delle Commissioni  bilancio  delle  Camere,  che
afferiscono tutti al triennio di efficacia del bilancio  pluriennale,
mentre solo dalla relazione tecnica risultano dati previsionali  fino
al 2023, in merito ai quali peraltro vengono avanzati  rilievi  sulla
certezza dei risultati attesi. 
    Violazione  dell'art.  117,  comma  1  della  Costituzione,   con
riferimento alla violazione degli articoli 21 e  25  della  Carta  di
Nizza; degli articoli 10 e 157 del TFUE (Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea); dell'art. 15 del Pilastro europeo  dei  diritti
sociali; della direttiva 2000/78/CE. Sostiene  il  ricorrente  che  i
fattori di criticita' rilevati nella disciplina in discussione non si
presentano rispettosi dei principi comunitari di non  discriminazione
per ragioni di patrimonio e/o eta',  di  parita'  di  trattamento  ed
integrazione socio/economica degli anziani,  nonche'  di  adeguatezza
dei trattamenti retributivi,  con  riferimento  all'inclusione  negli
stessi di tutti i vantaggi attuali e futuri. 
    1.A.2. In relazione all'intervento di contrazione del  meccanismo
di  rivalutazione  delle  pensioni  (art.  1,  comma  260,  legge  n.
145/2018), si formulano le seguenti doglianze. 
    Premesso che la disciplina  della  perequazione  dei  trattamenti
pensionistici e' espressione dei principi di cui agli articoli  36  e
38 della Costituzione, in quanto ne  preserva  nel  tempo  il  potere
d'acquisto e, quindi, il livello di sufficienza retributiva - osserva
parte attrice che la norma in  esame  non  presenta  i  requisiti  di
legittimita' costituzionale, declinati dal Giudice delle leggi  nelle
plurime pronunce che hanno scrutinato gli interventi del  legislatore
in questa materia. 
    In particolare, si sottolinea come la stessa si ponga in linea di
immediata  continuita'  con  le  previsioni  precedenti,  che   hanno
contratto l'indicizzazione delle pensioni fino al 31  dicembre  2018,
determinando il sostanziale  consolidamento  della  penalizzazione  a
carico dei trattamenti di maggior importo. Cio' si ritiene, in  primo
luogo,  confliggente  con  il  connotato  di  temporaneita'  di  tali
limitazioni, reiteratamente  richiamato  dalla  Corte  costituzionale
quale parametro di bilanciamento tra i sacrifici imposti ai  soggetti
incisi e le esigenze di contenimento della spesa pubblica. Si ricorda
sul punto che ogni misura che determina perdita di potere  d'acquisto
produce effetti definitivi, pur se  disposta  per  periodi  limitati,
poiche' le  successive  rivalutazioni  sono  effettuate  sull'importo
intaccato dal  precedente  blocco.  Con  riguardo,  poi,  ai  profili
finanziari si evidenzia che - per quanto in  precedenza  osservato  -
non si  rinvengono  alla  base  dell'attuale  intervento  legislativo
condizioni  eccezionali  di  crisi  del   sistema   previdenziale   o
straordinarie esigenze di bilancio: per converso - si  nota  -  negli
atti parlamentari viene  rilevato  che  non  risultano  accuratamente
verificate le stime di  risparmio  asseritamente  ad  esso  connesse,
essendo stati attinti come parametri  di  calcolo  quelli  utilizzati
nella precedente misura, adottata con la legge n. 147/2013  (art.  1,
comma 483). 
    In ragione delle argomentazioni suesposte, il ricorrente  chiede,
pertanto, l'accoglimento del proposto gravame,  «previa  ove  occorra
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi  da  260  a  268,  della  legge  30
dicembre 2018, n. 145». 
    Con memoria depositata in data 22 agosto 2019, si  e'  costituito
in  giudizio   l'Inps,   contestando   funditus   le   eccezioni   di
costituzionalita' sollevate dal ricorrente in ordine  alla  normativa
dedotta in  controversia,  della  quale  ha  confermato  la  puntuale
applicazione nei suoi confronti. Cio' sulla base degli argomenti  che
si  procede  ad  illustrare  sinteticamente,   secondo   uno   schema
espositivo omologo a quello utilizzato per le tesi di parte attrice. 
    1.B.1. Norme che dispongono la decurtazione della pensione  (art.
1, commi da 261 a 268, legge n. 145/2018). 
    L'istituto previdenziale  osserva  che  la  disciplina  in  esame
rispetta   il   parametro   della   temporaneita'    del    prelievo,
rappresentando il  quinquennio  un  periodo  comunque  specificamente
circoscritto, pur se  piu'  lungo  di  quello  stabilito  nell'ultimo
intervento precedente. Sul punto pone in  rilievo  come  non  vi  sia
alcuna continuita' tra le diverse misure adottate dal legislatore nel
corso degli anni,  ne'  omogeneita'  di  contenuti:  sicche'  non  e'
sostenibile alcun effetto di consolidamento nel tempo  dell'incisione
delle pensioni piu' elevate. Evidenzia, in particolare,  che  nessuna
riduzione e' stata disposta dal 2007 al 2011 e  nel  recente  biennio
2017/2018. Nei descritti termini  non  reputa  rilevante  il  profilo
dell'eta' dei soggetti  interessati,  atteso  che  si  tratta  di  un
elemento  fattuale,  peraltro  legato  alle  scelte  individuali   di
ciascuno in ordine alla permanenza in servizio. 
    Per quel che concerne  il  carattere  selettivo  del  contributo,
parte   resistente   sostiene   la    coerenza    e    ragionevolezza
dell'esclusione delle categorie di pensionati amministrate dagli enti
di previdenza obbligatori  (decreto  legislativo  n.  504/1994  e  n.
103/1996), nonche' dei titolari di trattamenti ai superstiti.  Quanto
alla prima, si evidenzia che la Corte costituzionale, con sentenza n.
7/2017,  ha  riconosciuto   precipuo   rilievo   alla   conformazione
dell'assetto organizzativo e  finanziario  degli  enti  previdenziali
privatizzati  secondo  il  principio  mutualistico,   affermando   la
necessita' di preservare l'equilibrio della gestione e del vincolo di
destinazione tra contributi e prestazioni: con la  conseguenza  -  si
osserva - che il legislatore deve  astenersi  in  linea  generale  da
interventi normativi che possano  incrinare  tali  requisiti.  Quanto
alla seconda, si sottolinea  la  peculiarita'  del  regime  giuridico
delle pensioni ai superstiti che sono determinate in  misura  ridotta
ab initio, rispetto al trattamento del dante causa, nonche'  soggette
ad ulteriori possibili decurtazioni  in  caso  di  cumulo  con  altri
redditi dei beneficiari. 
    Sotto  altro  profilo  l'Istituto  previdenziale  respinge  anche
l'assunto attoreo circa il carattere discriminatorio del  contributo,
rispetto ai cittadini percettori di redditi omologhi non da pensione,
rilevando che tale connotazione e' stata reiteratamente esclusa dalla
Corte Costituzionale in relazione a disposizioni dello stesso  tenore
di  quella  contestata,  valorizzandone  la  funzione   solidaristica
interna al sistema previdenziale e l'attitudine delle  pensioni  piu'
elevate a sostenere tali temporanei sacrifici. 
    Egualmente  si  reputa  insussistente  la  dedotta  irragionevole
discriminazione dei soggetti incisi, in relazione  ai  percettori  di
trattamenti pensionistici liquidati interamente secondo il meccanismo
contributivo, osservando che per costoro la pensione e'  strettamente
determinata in funzione dei contributi versati nel corso  della  vita
lavorativa,  sicche'  risulterebbe  «superflua  e  perfino  ingiusta»
l'imposizione di un prelievo aggiuntivo.  In  tal  senso  si  ritiene
altresi' congruente la  soggezione  al  contributo  dei  titolari  di
trattamenti liquidati con il sistema di calcolo c.d.  misto,  poiche'
essi beneficiano  di  una  terza  quota  di  pensione,  afferente  ai
contributi versati dopo il 31 dicembre 2011, che puo' determinare  un
importo complessivo superiore a quello ottenibile con  il  meccanismo
interamente contributivo (e' il caso del ricorrente). 
    Con riguardo all'asserita sottrazione  al  sistema  previdenziale
delle somme acquisite per effetto della disciplina contestata, l'Inps
afferma l'inconsistenza della censura,  vista  l'espressa  previsione
normativa dell'accantonamento di  tali  risorse  in  Fondi  istituiti
presso le gestioni previdenziali e del ricorso alla  procedura  della
conferenza di servizi  per  le  decisioni  sulla  destinazione  delle
stesse. 
    Ad avviso di parte resistente non si presenta  fondata  anche  la
doglianza in ordine all'irragionevolezza  del  contributo  sul  piano
quantitativo. Osserva, in particolare, che non solo la soglia  minima
di intervento e' piu' elevata rispetto alle misure recate dalla legge
n. 147/2013, bensi'  sono  stati  introdotti  un  maggior  numero  di
scaglioni reddituali (5  invece  di  3)  ed  e'  stata  prevista  una
clausola di salvaguardia, secondo la quale «l'importo complessivo dei
trattamenti pensionistici diretti non puo' comunque essere  inferiore
a 100.000,00 euro lordi su base annua». Nei descritti termini  reputa
l'attuale normativa  piu'  equilibrata  di  quella  precedente,  gia'
favorevolmente scrutinata dalla Corte costituzionale, con la sentenza
n. 173/2016. 
    L'Istituto previdenziale respinge,  altresi',  la  configurazione
del prelievo all'esame come un tributo, ritenendo  insussistenti  due
dei tre elementi caratterizzanti le fattispecie tributarie, ovverosia
la  definitivita'  della  decurtazione  patrimoniale  a  carico   dei
soggetti  passivi  e  la  destinazione  delle  risorse  acquisite  al
finanziamento  delle  pubbliche  spese.  Osserva  in  proposito   che
depongono  in  tal  senso  la  durata  quinquennale  del  prelievo  e
l'accantonamento  dei  risparmi  conseguiti  in  Fondi  previdenziali
dedicati. Nei descritti termini non reputa si  configuri  nemmeno  la
dedotta violazione dell'art. 23 della  Costituzione,  trattandosi  di
prestazioni patrimoniali imposte per un  arco  temporale  limitato  e
finalizzate ad alimentare un  circuito  di  solidarieta'  interna  al
sistema previdenziale. 
    Sotto altro profilo l'Inps ritiene inconsistente  la  censura  di
contraddittorieta'   dell'intervento   legislativo   rispetto    alle
ulteriori  misure  del  reddito  di  cittadinanza  e  della   riforma
pensionistica c.d. quota cento, adottate con la legge di bilancio. In
particolare, non reputa conferente ne' ammissibile il  raffronto  tra
queste diverse fattispecie, atteso che non sussiste alcuna  relazione
tra  le   stesse   e,   comunque,   non   e'   possibile   giudicarne
comparativamente nel  merito  i  rispettivi  contenuti  e  finalita'.
D'altro canto, sul piano finanziario, sottolinea che l'apporto recato
dal prelievo in discussione, pari a circa 416  milioni  di  euro  nel
quinquennio,   risulta   di   rilievo,   ferma   restando   la    non
confrontabilita' con gli oneri connessi  agli  altri  due  interventi
legislativi. 
    Le osservazioni richiamate portano parte resistente a  respingere
anche l'eccezione d'incostituzionalita' con riferimento  all'asserita
lesione  del  principio  di  affidamento,  osservando  come  si   sia
consolidato  nella   giurisprudenza   costituzionale   un   indirizzo
ermeneutico per  il  quale  siffatta  tipologia  di  contributi  sono
ammessi purche' non arbitrari e non lesivi in maniera eccessiva delle
legittime aspettative  del  cittadino  inciso,  nonche'  sorretti  da
finalita' di solidarieta' previdenziale. Requisiti che si ritiene  di
aver dimostrato sussistano senz'altro nel caso in esame. 
    Egualmente non  fondato  si  reputa  l'argomento  concernente  la
lesione dei principi di imparzialita' della pubblica  amministrazione
e indipendenza della magistratura. Sul punto si rileva, per un verso,
che l'intervento non concerne i trattamenti retributivi, sicche'  non
e' dato ravvisare alcuna violazione dell'art. 97 della  Costituzione,
ne' si ritiene sostenibile a tal fine un'equiparazione delle pensioni
alle retribuzioni;  e,  per  l'altro,  che  la  platea  dei  soggetti
interessati dal contributo comprende  anche  pensionati  del  settore
privato, circostanza  che  suffraga  l'insussistenza  del  denunciato
vizio.  D'altro  canto  -  si  osserva  -  la  portata  generale  del
contributo, non circoscritto a soggetti pubblici,  porta  a  superare
anche l'ipotizzata lesione  delle  prerogative  costituzionali  della
magistratura, non determinandosi alcuna compromissione della garanzia
di una retribuzione adeguata all'importanza della  funzione  da  essa
svolta nell'ordinamento. 
    L'Istituto  previdenziale  respinge,  infine,  anche  le  censure
concernenti la violazione dell'art. 81  della  Costituzione  e  delle
norme comunitarie che, sotto diversi profili, sanciscono  il  divieto
di discriminazione tra le persone in ragione dell'eta'. Con  riguardo
alla  prima,  giudica  non  conferente  il  parametro  costituzionale
evocato  ne'  adeguatamente  esplicitata   la   ratio   dell'allegata
violazione, non ritenendo comunque idonea  ad  integrarla  in  alcuna
forma il solo elemento della durata quinquennale del prelievo di  che
trattasi. Quanto ai  principi  comunitari  di  tutela  degli  anziani
reputa,  in  termini  generali,  che  gli   stessi   non   implichino
l'esclusione  di  interventi  normativi  che  modifichino  in   senso
riduttivo i trattamenti pensionistici, che la Corte costituzionale ha
infatti ripetutamente ammesso; e, con specifico riguardo  alle  norme
in discussione, che  non  appare  configurabile  alcuna  lesione  del
diritto delle persone anziane «ad una vita dignitosa e  indipendente»
o di quello a  partecipare  alla  vita  sociale  e  culturale,  vista
l'incidenza su pensioni di significativo importo. 
    1.B.2. L'intervento di  contrazione  del  meccanismo  perequativo
delle pensioni (art. 1, comma 260, legge n. 145/2018). 
    In  ordine  a  questa  misura  l'Istituto  previdenziale  ritiene
infondate le eccezioni di costituzionalita' sollevate dal ricorrente,
ponendo in rilievo come la norma attuale abbia introdotto  un  numero
piu' elevato di aliquote in relazione ai diversi scaglioni reddituali
ed abbia disposto percentuali di perequazione  in  larga  parte  piu'
favorevoli rispetto all'omologa disciplina vigente nel pregresso arco
temporale 2014/2018. Nei descritti termini reputa siano rispettati  i
fondamentali    canoni    di    proporzionalita'    ed    adeguatezza
dell'intervento   riduttivo,   come    declinati    nei    molteplici
pronunciamenti   resi   in   materia   dalla   Corte   costituzionale
richiamando, in particolare, le statuizioni contenute nelle  sentenze
n. 70/2015 e n. 250/2017. 
    Sulla base delle ragioni esposte  l'Inps  conclude  chiedendo  la
reiezione di tutte le eccezioni di costituzionalita'  prospettate  da
parte attrice e, nel merito, il rigetto del  ricorso,  con  integrale
rifusione delle spese. 
    Chiamata la causa nella pubblica udienza del 18  settembre  2019,
all'esito di articolata discussione delle parti,  il  giudice  si  e'
riservato la decisione, con lettura del dispositivo, alla  successiva
udienza del 16 ottobre 2019. 
2. I dubbi di costituzionalita' in ordine alla normativa  dedotta  in
controversia,  la  rilevanza  della  questione,  l'impossibilita'  di
un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    L'esposizione della res controversa evidenzia come  la  decisione
sulla domanda del  ricorrente  sia  indefettibilmente  connessa  alla
valutazione delle disposizioni recate nell'art. 1,  commi  da  260  a
268, della legge n. 145/2018, in quanto egli risulta rientrare - come
emerge dagli atti di causa - nel novero  dei  soggetti  dalle  stesse
incisi. Il trattamento pensionistico di cui e' titolare, di ammontare
complessivamente superiore a  nove  volte  il  minimo  Inps,  risulta
interessato - infatti - sia  dalla  contrazione  della  rivalutazione
automatica per il triennio 2019/2021 (comma 260);  sia  dal  prelievo
sull'importo annuale lordo, previsto per il quinquennio 2019/2023.  A
sostegno della  domanda  giudiziale  sono  poste  articolate  censure
d'illegittimita' costituzionale di tali  previsioni,  per  violazione
degli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 42, 53, 81,  97,  104  e  117  della
Costituzione. 
    Ritiene anche questo giudice  che  il  positivo  scrutinio  della
normativa contestata, per  effetto  del  quale  il  ricorso  dovrebbe
essere rigettato, sia legato necessariamente al vaglio di  congruenza
della medesima con i parametri di legittimita' enucleati dalla  Corte
costituzionale attraverso le numerose pronunce che, nel  corso  degli
anni, hanno esaminato gli interventi legislativi di compressione  dei
diritti  patrimoniali  acquisiti  dai   percettori   di   trattamenti
pensionistici, nonche' di revisione/rimodulazione del  meccanismo  di
perequazione automatica dei medesimi, stabilito dall'art.  34,  comma
1, legge n. 448/1998. Sul punto giova osservare come il Giudice delle
leggi - con riferimento ad entrambe le materie  -  abbia  stabilmente
affermato che la discrezionalita' del  legislatore  nell'adozione  di
misure che incidono sui diritti previdenziali non preclude l'esigenza
di verificare, in relazione a ciascun  intervento,  il  rispetto  dei
fondamentali principi di ragionevolezza, adeguatezza ed affidamento. 
    In tal senso, con riguardo al prelievo, da ultimo nella  sentenza
n. 173/2016, si afferma che «In linea di principio, il contributo  di
solidarieta' sulle  pensioni  puo'  ritenersi  misura  consentita  al
legislatore ove la stessa non  ecceda  i  limiti  entro  i  quali  e'
necessariamente  costretta  in  forza  del  combinato   operare   dei
principi, appunto, di ragionevolezza, di affidamento e  della  tutela
previdenziale (articoli 3 e 38 della Costituzione), il  cui  rispetto
e' oggetto di  uno  scrutinio  «stretto»  di  costituzionalita',  che
impone un grado di ragionevolezza complessiva  ben  piu'  elevato  di
quello che, di norma, e' affidato alla  mancanza  di  arbitrarieta'.»
Con  riferimento  alla  perequazione,  in  termini  omologhi,   nella
sentenza n. 250/2017 si sottolinea che «la discrezionalita' spettante
al legislatore nella scelta dei meccanismi diretti ad assicurare  nel
tempo l'adeguatezza dei trattamenti pensionistici trova pur sempre un
limite nel «criterio di ragionevolezza».  Quest'ultimo,  «cosi'  come
delineato dalla giurisprudenza citata [della Corte costituzionale] in
relazione ai principi contenuti negli articoli 36, primo comma, e 38,
secondo comma, della Costituzione,  circoscrive  la  discrezionalita'
del legislatore e vincola le sue  scelte  all'adozione  di  soluzioni
coerenti con i parametri costituzionali» (sentenza n. 70  del  2015).
Ne consegue che la sussistenza della discrezionalita' legislativa ...
non esclude la necessita' di verificare nel merito le scelte di volta
in volta operate ..., quale che sia il contesto giuridico e di  fatto
nel quale esse si inseriscono, contesto del quale questa  Corte,  nel
compiere tale verifica, non potra', ovviamente, non tenere conto». 
    Orbene l'odierno giudicante dubita che i predetti principi  siano
rispettati dalle norme all'esame sotto molteplici profili, sui  quali
si soffermera' in prosieguo di trattazione e, d'altro  canto,  atteso
il chiaro ed  inequivoco  contenuto  dispositivo  delle  stesse,  non
reputa    sia    possibile     accedere     ad     un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle medesime. Pertanto,  la  soluzione
della  controversia  dedotta  nel  presente  giudizio   si   presenta
subordinata,  pregiudizialmente,  al  superamento  del  sospetto   di
incostituzionalita' delle previsioni di cui all'art. 1, commi da  260
a 268, della legge n. 145/2018, per  le  preminenti  ragioni  che  di
seguito saranno esposte. 
3. Le questioni di costituzionalita'. 
    A. Il prelievo sulle pensioni di importo piu'  elevato  (art.  1,
commi da 261 a 268, della legge n. 145/2018). 
    A.1. Violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. 
    Il contributo introdotto dalla legge di bilancio 2019, ad  avviso
di questo giudice, non si  inscrive  nel  perimetro  tracciato  dalla
sentenza della Corte costituzionale n.  173/2016,  con  la  quale  e'
stata positivamente scrutinata l'omologa misura, disposta con  l'art.
1, comma 486, della n. 147/2013 (legge di stabilita' 2014), in  primo
luogo con riguardo alla natura giuridica ad esso ascrivibile. 
    In detta pronuncia si e' affermato che quel prelievo non  potesse
configurarsi come un tributo «non essendo acquisito allo  Stato,  ne'
destinato alla fiscalita' generale, ed essendo, invece, prelevato, in
via diretta, dall'Inps dagli altri enti  previdenziali  coinvolti,  i
quali - anziche' versarlo all'Erario  in  qualita'  di  sostituti  di
imposta - lo trattengono  all'interno  delle  proprie  gestioni,  con
specifiche finalita'  solidaristiche  endo-previdenziali,  anche  per
quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti «esodati». 
    In questi termini lo si e'  giudicato  affine  all'intervento  in
precedenza realizzato con l'art. 37 della legge 23 dicembre 1999,  n.
488 (Legge finanziaria 2000), che la Consulta  medesima  non  ritenne
confliggente con gli articoli 3 e 53  della  Costituzione  in  quanto
volto a realizzare «un circuito di solidarieta'  interno  al  sistema
previdenziale» (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure  contraria  agli
articoli 2, 36 e 38 della Costituzione (ordinanza n. 160 del  2007)».
Sulla base di queste premesse si e' pertanto riconosciuto ad esso  la
natura  di  «prelievo  inquadrabile  nel  genus   delle   prestazioni
patrimoniali  imposte  per  legge,   di   cui   all'art.   23   della
Costituzione,  avente  la  finalita'  di   contribuire   agli   oneri
finanziari del sistema  previdenziale  (sentenza  n.  178  del  2000;
ordinanza n. 22 del 2003).» 
    Le norme attuali presentano caratteri significativamente diversi. 
    In primis non risulta enunciata alcuna  destinazione  «vincolata»
delle risorse, attinte con l'intervento in discussione,  a  finalita'
solidaristiche endo-previdenziali. 
    All'uopo non si reputano sufficienti, ne' significativi  in  se',
la  previsione  dell'accantonamento  in  fondi  tematici  presso  gli
istituti previdenziali coinvolti e il richiamo allo  strumento  della
conferenza di  servizi  per  l'accertamento  del  quantum  conseguito
(commi 265 e 266). Si tratta, invero, di disposizioni che si limitano
piuttosto all'indicazione formale di soluzioni tecniche di  gestione,
che nulla esprimono, tuttavia, in termini  di  contenuto  sostanziale
qualificante della misura sotto il profilo  teleologico.  La  lettura
offerta  si  ritiene  trovi  riscontro  nella  carenza  di  ulteriori
elementi indicativi  di  una  siffatta  finalizzazione,  in  presenza
invece di qualificati dati giuridici e finanziari di segno contrario. 
    Preliminarmente giova osservare come sul punto non possano trarsi
attendibili  spunti  ermeneutici  dalla  relazione  di  presentazione
dell'originaria proposta normativa di intervento sulle pensioni  piu'
elevate, poiche'  prospettava  un'ipotesi  regolatoria  completamente
diversa, nel contenuto e nella ratio  ispiratrice,  che  poi  non  ha
trovato riscontro nelle disposizioni successivamente introdotte. 
    Cio' premesso, deve rilevarsi che -  nel  documento  redatto  dai
Servizi  studi  e  bilancio  di  Camera  e  Senato,   contenente   la
descrizione ed il commento delle modifiche al  disegno  di  legge  di
bilancio, approvate in sede  di  esame  al  Senato  -  tra  le  quali
rientrano le versioni definitive delle norme in discussione,  nessuna
notazione espressa viene compiuta in  merito  alla  destinazione  dei
risparmi conseguiti, essendo unicamente richiamato il  dato  testuale
secondo cui gli stessi  confluiscono  presso  i  Fondi  appositamente
costituiti  dall'Inps  e  dagli  altri  istituti  interessati  e  ivi
«restano accantonati». Ed anzi vengono  palesate  delle  perplessita'
sulla previsione della conferenza di servizi  per  la  determinazione
delle somme da  destinare  ad  essi,  segnalando  «l'opportunita'  di
chiarire in modo piu' puntuale le modalita'  di  funzionamento  dello
strumento della conferenza di servizi in relazione  alla  fattispecie
in esame»: un elemento, questo, che suffraga  il  carattere  alquanto
generico e non vincolante, quanto a destinazione delle  risorse,  che
deriverebbe dall'imputazione ai Fondi, anche in  relazione  al  fatto
che tale  accantonamento  e'  comunque  esposto  ad  acquisizione  al
bilancio dello Stato, per l'ordinaria  permeabilita'  della  gestione
finanziaria dell'Inps. Non  secondaria  appare,  inoltre,  la  stessa
denominazione attribuita (provvisoriamente) alle norme in questione -
«Riduzioni transitorie della misura dei trattamenti pensionistici  di
importo elevato» - atteso che, obiettivamente, non  indica  in  alcun
modo  specifiche  finalita'  solidaristiche  endo-previdenziali,  ne'
tantomeno evoca l'emergere attuale di situazioni di  piu'  accentuata
criticita' finanziaria del sistema pensionistico.  (cfr.  Dossier  23
dicembre 2018 - Legge di bilancio 2019 - Le modifiche  approvate  dal
Senato della Repubblica -  Il  maxiemendamento  del  Governo  1.9000,
pagg.  192  e  ss.  -  le  disposizioni  recano  la  numerazione  non
definitiva, commi da 142-ter a 142-decies). 
    Anche in altro documento  parlamentare  di  analisi  dei  profili
finanziari  delle  surriferite  previsioni  non  e'  presente  alcuna
osservazione in ordine alla destinazione delle somme  conseguite  con
le misure de quibus, ma sono solo riportati  i  risparmi  attesi,  al
lordo ed al netto delle minori  entrate  tributarie.  Unico  elemento
distintivo e' il cambio di denominazione del prelievo, indicato  come
«contributo di solidarieta'»  (cfr.  Camera  dei  deputati,  Servizio
bilancio dello Stato - Dossier, Legge di bilancio  2019  -  Modifiche
approvate dal Senato - dicembre 2018, pagg. 75 e ss.). 
    Una denominazione che, peraltro, non permane nel testo definitivo
della legge di bilancio, approvato dal Parlamento, ove il  contributo
e' inserito tout court nella  Parte  I  Sezione  I,  recante  «Misure
quantitative  per  la  realizzazione  degli  obiettivi  programmati»,
insieme indistintamente a tutti gli altri interventi rientranti nella
manovra finanziaria deliberata: con cio' risultandone  suffragata  la
connotazione finanziariamente «neutra». 
    Sul punto si presenta, poi,  di  precipuo  rilievo  il  documento
delle Camere, redatto nel  gennaio  2019  dopo  l'approvazione  della
legge di  bilancio  (legge  n.  145/2018)  e  del  disegno  di  legge
collegato in materia fiscale (decreto-legge n.  119/2018,  conv.  con
legge n. 138/2018), in cui sono  analizzati  la  composizione  e  gli
effetti sui saldi di  finanza  pubblica  della  manovra  di  bilancio
2019/2021. Ivi  e'  riportata  -  in  apposito  quadro  aggiornato  -
l'indicazione del definitivo livello delle spese previste: tra queste
figurano sia la rimodulazione della perequazione che la riduzione dei
trattamenti   pensionistici   di   maggior   importo,   semplicemente
menzionate come interventi di  riduzione  della  spesa  (come  «minor
adeguamento delle pensioni di importo piu' elevato» e «riduzione  dei
trattamenti    pensionistici    piu'    elevati»,    senza     alcuna
caratterizzazione teleologica)  e,  in  tali  termini,  rappresentate
nella pertinente tabella  illustrativa  dell'impatto  finanziario  di
ciascuna misura (qui  indicate  come  «raffreddamento  indicizzazione
pensioni» e «contributo pensioni di importo piu' elevato»). 
    Ed ancora, specularmente, nella ulteriore tabella rappresentativa
degli interventi previsti dalla manovra di bilancio  e  dei  relativi
mezzi di copertura, le misure a carico delle  pensioni  piu'  elevate
sono comprese tra questi  ultimi  (in  valore  cumulato):  risultando
configurate, dunque, come ordinari  strumenti  di  finanziamento  dei
livelli di spesa approvati  (cfr.  Servizio  bilancio  del  Senato  e
Servizio bilancio dello Stato della Camera, Dossier - gennaio 2019  -
Manovra di bilancio 2019-2021 - Effetti sui saldi e conto  risorse  e
impieghi). 
    Le notazioni che precedono si legano  in  modo  significativo  al
carattere complessivamente «espansivo» della manovra di bilancio  per
il 2019 (e per il triennio fino  al  2021)  per  quanto  riguarda  il
comparto previdenziale, nel  quale  e'  introdotta  una  riforma  dei
requisiti di accesso alla pensione, che  determina  un  significativo
ampliamento della platea degli  aventi  diritto  al  collocamento  in
quiescenza  rispetto  alle  scadenze  generali  fissate  dalla  legge
«Fornero». 
    Non si e' in presenza, dunque, di norme inserite in  un  contesto
finanziario del sistema  pensionistico  che  appaia  considerato  dal
legislatore straordinariamente emergenziale e  cui  debba,  pertanto,
farsi fronte attraverso uno  strumento  «straordinario»  di  ausilio,
bensi'  di  previsioni  volte  ad  individuare  mezzi  di   copertura
aggiuntivi delle spese pubbliche mediante imposizione,  tuttavia,  di
un prelievo «selettivo» a carico di alcune categorie di pensionati. 
    Ed invero depone in tal senso anche la  previsione  della  durata
quinquennale della riduzione imposta che, obiettivamente,  indica  la
prospettiva di un piu' marcato consolidamento nel tempo degli effetti
di decurtazione delle pensioni piu' elevate: in una logica normativa,
quindi, che non si presenta di «gestione  dell'emergenza»  bensi'  di
tendenziale revisione in  pejus  definitiva  di  tali  trattamenti  e
rende, dunque, non solo significativamente piu' incisiva  la  lesione
dei diritti patrimoniali  dei  destinatari;  ma  anche  piu'  marcato
l'effetto discriminatorio  rispetto  ai  non  incisi,  a  parita'  di
condizioni reddituali. 
    In questi termini si reputa molto  significativa  la  protrazione
del prelievo oltre l'arco temporale di sviluppo della  programmazione
pluriennale di bilancio, che appare confermare la  natura  di  misura
non  conseguente  a  situazioni   emergenziali,   ma   al   contrario
giustificato, genericamente, da esigenze di fiscalita' generale. 
    D'altro  canto,  e'  indubitabile  che  il  dato   temporale   di
interventi come  quella  all'esame  assume  una  specifica  rilevanza
rispetto alla posizione di coloro che le  subiscono,  sia  sul  piano
soggettivo che oggettivo. 
    Sotto il primo profilo,  perche'  costoro  hanno  un'eta'  spesso
alquanto  avanzata  e,   quindi,   cinque   anni   possono   talvolta
rappresentare anche l'intero periodo  di  fruizione  del  trattamento
pensionistico, assumendo cosi' la decurtazione carattere definitivo. 
    Con riguardo al secondo, perche' questo contributo si inscrive in
una sequenza, pur non continuativa, di interventi  variamente  affini
realizzati nell'arco di oltre dieci anni, in conseguenza dei quali le
pensioni piu' elevate hanno subito reiterate decurtazioni. Se  lo  si
pone in relazione anche soltanto con  l'ultimo  precedente,  disposto
per il triennio 2014/2016,  si  puo'  riscontrare  come  un  soggetto
collocato in quiescenza nel  2014  si  trovi  a  percepire  -  in  un
decennio - la pensione intera, spettantegli secondo  le  disposizioni
previdenziali su cui ha fatto affidamento, unicamente  per  due  anni
(2017 e 2018). In questi termini si delinea il notevole impatto della
disciplina all'esame, che smentisce le affermazioni dell'Inps secondo
cui cinque anni sono poco piu' del triennio  previsto  in  precedenti
previsioni   similari   e,   comunque,   costituiscono   un   periodo
«circoscritto». Appare necessario, infatti, che la valutazione  della
dimensione di «temporaneita'» delle misure si coniughi con  l'analisi
diacronica delle scelte del legislatore in questo ambito, al fine  di
preservare l'effettivita' dei criteri secondo i quali le stesse  sono
state sinora di volta in volta ritenute costituzionalmente legittime. 
    Alla luce delle osservazioni rassegnate, ritiene pertanto  questo
giudice che l'intervento  di  riduzione  delle  pensioni  di  importo
elevato di cui all'art. 1,  commi  da  261  a  268,  della  legge  n.
145/2018, presenti natura sostanzialmente tributaria atteso  che,  in
concreto: determina  una  decurtazione  patrimoniale  arbitrariamente
duratura del trattamento pensionistico, con acquisizione al  bilancio
statale del relativo  gettito  e  costituisce  un  prelievo  coattivo
correlato ad uno specifico  indice  di  capacita'  contributiva,  che
esprime l'idoneita' del soggetto passivo all'obbligazione tributaria.
Nei descritti termini esso si presenta confliggente con i principi di
cui agli art.  3  e  53  della  Costituzione,  gravando  soltanto  su
specifiche categorie di pensionati e non su tutti  i  cittadini:  con
cio' risultando ingiustificatamente discriminatorio e non  rispettoso
dei canoni fondamentali di uguaglianza a  parita'  di  reddito  e  di
universalita' dell'imposizione. 
    L'irragionevolezza  della  deroga   ai   predetti   principi   si
estrinseca,   riprendendo   le   parole   utilizzate   della    Corte
costituzionale nella sentenza n. 116/2013, «avendo riguardo,  quindi,
non tanto  alla  disparita'  di  trattamento  fra  dipendenti  o  fra
dipendenti e pensionati o fra pensionati  e  lavoratori  autonomi  od
imprenditori, quanto piuttosto a quella fra cittadini. Va infatti, al
riguardo,  precisato  che  i  redditi   derivanti   dai   trattamenti
pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura  diversa
e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai
fini dell'osservanza dell'art. 53 della Costituzione,  il  quale  non
consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi  da
lavoro. 
    Nel  caso  in  esame  la  rilevata  insussistenza  di  condizioni
finanziarie   di   eccezionalita',   cui   ancorare   una   specifica
destinazione solidaristica endo-previdenziale del prelievo  disposto,
a protrazione per un arco temporale rilevante e la  devoluzione  alla
copertura della  spesa  pubblica  rendono  irragionevole  il  diverso
trattamento imposto ai pensionati incisi rispetto ai contribuenti  in
generale, laddove il legislatore avrebbe dovuto intervenire,  invece,
<mediante   un    «universale»    intervento    impositivo>    (Corte
costituzionale  sent.  n.  223/2012),  avvalendosi   degli   ordinari
strumenti  di  modulazione  del  carico  fiscale   atteso   che   «la
Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme,  con
criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie
di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile  raccordo
con la capacita' contributiva, in un quadro di  sistema  informato  a
criteri  di  progressivita',  come   svolgimento   ulteriore,   nello
specifico campo tributario, del principio di  eguaglianza,  collegato
al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di
fatto alla liberta' ed eguaglianza dei  cittadini-persone  umane,  in
spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (articoli 2 e 3
della Costituzione)» [Corte costituzionale sentenza n. 341 del 2000]. 
    In definitiva si reputa che la disciplina in discussione presenti
profili di criticita' omologhi a quelli rilevati  dal  Giudice  delle
leggi  nella  citata  sentenza  n.  116/2013,  con   riferimento   al
contributo imposto con l'art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge  n.
98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  111  del
2011, (come modificato dall'art. 24, comma 31-bis, del  decreto-legge
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  214
del 2011), in particolare dovendosi richiamare l'affermazione secondo
cui l'intervento  selettivo  a  carico  dei  pensionati  integra  una
violazione particolarmente  grave  del  principio  di  ragionevolezza
poiche' - stante la natura di retribuzione differita del  trattamento
pensionistico - «il maggior prelievo  tributario  rispetto  ad  altre
categorie risulta con piu' evidenza discriminatorio, venendo  esso  a
gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati  a
prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno  esaurito  la
loro vita lavorativa, rispetto ai quali non  risulta  piu'  possibile
neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro». 
    A.2. Violazione degli articoli 3, 23, 36 e 38 della Costituzione. 
    Anche ritenendo il prelievo de quo non di  natura  tributaria,  i
dubbi di costituzionalita' di tale misura impositiva, non  verrebbero
meno. 
    Si e' riportato in precedenza che  la  Corte  costituzionale,  in
occasione dello scrutinio dei contributo posto  sulle  pensioni  piu'
elevate con  l'art.  1,  comma  486,  della  legge  n.  147/2013,  ha
riconosciuto ad esso la natura di  prestazione  patrimoniale  imposta
per legge, in  conformita'  al  modello  di  cui  all'art.  23  della
Costituzione,   procedendo   poi   a   vagliarne   la    legittimita'
costituzionale  in  relazione  ai  principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' (cfr. sent. cit. n. 173/2016). 
    Orbene, ritiene questo Giudice, che anche seguendo tale  percorso
ermeneutico, la  disciplina  in  esame  non  possa  essere  giudicata
positivamente, proprio alla  luce  dei  requisiti  di  ammissibilita'
declinati  nella  predetta  pronuncia.  In  particolare,  ivi  si  e'
affermato che un  contributo  di  solidarieta'  sulle  pensioni  puo'
essere consentito, purche' non ecceda i limiti posti  «dal  combinato
operare dei principi, appunto, di ragionevolezza,  di  affidamento  e
della tutela previdenziale (articoli 3 e 38 della  Costituzione),  il
cui   rispetto   e'   oggetto   di   uno   scrutinio   «stretto»   di
costituzionalita', che impone un grado di ragionevolezza  complessiva
ben piu' elevato di quello che, di norma, e' affidato  alla  mancanza
di arbitrarieta'». E, conformemente a tale  paradigma  valutativo  di
«stretta costituzionalita'», si perviene ad indicare le condizioni in
presenza delle quali risultano adeguatamente bilanciati «la  garanzia
del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica con altri  valori
costituzionalmente  rilevanti».  Condizioni,  che  la   Corte   cosi'
determina: «In definitiva il contributo di solidarieta', per superare
lo scrutinio «stretto» di costituzionalita', e palesarsi dunque  come
misura  improntata  effettivamente  alla  solidarieta'  previdenziale
(artt. 2 e 38 della  Costituzione),  deve:  operare  all'interno  del
complessivo sistema della  previdenza;  essere  imposto  dalla  crisi
contingente e grave del predetto  sistema;  incidere  sulle  pensioni
piu' elevate (in rapporto alle  pensioni  minime);  presentarsi  come
prelievo sostenibile; rispettare il  principio  di  proporzionalita';
essere comunque utilizzato come misura una tantum». 
    Le osservazioni svolte in precedenza portano a  rilevare  che  le
disposizioni  della  legge  n.  145/2018  disattendono  i  principali
elementi qualificanti il modello indicato nei  chiari  termini  sopra
riportati dalla Consulta, nel quale si richiede la compresenza  delle
succitate condizioni. 
    Non e' dato  rinvenire  nell'odierno  contesto  normativo  alcuna
condizione di eccezionalita'  e/o  di  specifica  crisi  del  sistema
previdenziale, cui si debba far fronte con il contributo de quo,  che
viceversa  si  presenta  inserito  in   una   manovra   di   bilancio
complessivamente espansiva proprio  nel  settore  previdenziale.  Non
viene in rilievo, dunque, quella logica  di  «solidarieta'  forte»  e
«mutualita'  intergenerazionale»  posta  a  fondamento  del  positivo
giudizio di ragionevolezza sull'intervento selettivo del legislatore,
pur compressivo del principio di affidamento dei soggetti incisi,  in
ordine alla conservazione  del  trattamento  pensionistico  maturato.
D'altro canto, si presenta non affermabile - come si e' gia'  esposto
- una sicura destinazione intra-previdenziale dei risparmi attesi, in
presenza al contrario di significativi indicatori della  destinazione
di tali risorse all'ordinaria copertura delle  spese  previste  nella
legge di bilancio. 
    Sotto  altro  angolo   visuale   la   previsione   della   durata
quinquennale  del  contributo,  disposto  altresi'   in   ravvicinata
sequenza  con  il  precedente  (solo  un  biennio  di   «intervallo»,
2017/2018)  e  comunque  in  linea  di  continuita'  con  altri  piu'
risalenti, indica obiettivamente la ripetitivita'  della  scelta  del
legislatore, che si connota quindi non quale prelievo  una  tantum  -
come  richiede  la  giurisprudenza  costituzionale  -   bensi'   come
soluzione  volta   ad   assicurare   un   ordinario   meccanismo   di
alimentazione del sistema previdenziale (ovvero, come si  dubita  nel
caso di specie, della stessa finanza generale). 
    Il prelievo all'esame, dunque, in quanto carente dei caratteri di
legittimazioni enucleati  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  non
realizza  un  adeguato  e  ragionevole   bilanciamento   dei   valori
costituzionali   coinvolti,   e   si   atteggia   quale    arbitraria
compressione, in danno di specifiche  categorie  di  pensionati,  del
principio di affidamento nella certezza delle  situazioni  giuridiche
acquisite.  Risultano,  cosi',  violate  le  garanzie  costituzionali
sancite negli articoli 3, 23, 36  e  38,  atteso  che  il  sacrificio
imposto ad una ristretta cerchia di  soggetti  si  palesa  del  tutto
ingiustificato e discriminatorio, impropriamente  sostitutivo  di  un
intervento di fiscalita' generale nei confronti di tutti i cittadini.
Attesa la necessaria compresenza di tutte le condizioni stabile dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  173/2016,  non  risultano
sufficienti  -  in  senso  contrario  -   l'ammontare   elevato   dei
trattamenti incisi e l'articolazione del contributo  secondo  diverse
aliquote. 
    Nella sentenza n. 173/2016 si affermava - va sottolineato  -  che
le condizioni di legittimita' costituzionale ivi indicate  «appaiono,
sia pur al limite, rispettate nel caso dell'intervento legislativo in
esame»: nell'attuale  normativa,  reputa  questo  giudice,  che  quel
limite sia stato obiettivamente valicato. 
    B. L'intervento di' revisione  del  meccanismo  di  rivalutazione
delle pensioni (art. 1, comma 260, legge n. 145/2018). 
    Violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. 
    Con la norma in esame il legislatore  e'  intervenuto  nuovamente
sul sistema di c.d.  indicizzazione  delle  pensioni,  rideterminando
parzialmente i limiti di perequazione gia'  introdotti  dall'art.  1,
comma 483, della legge n. 147/2013 (legge di stabilita' 2014), per il
triennio 2014-2016, e successivamente estesi anche  al  2017  e  2018
dall'art. 1, comma 286, della  legge  n.  208/2015.  In  particolare,
l'attuale  regolazione  riconosce  la  perequazione  sulla  base   di
aliquote  decrescenti,  relative  ai  trattamenti  pensionistici   di
importo complessivo fino  a  9  volte  il  trattamento  minimo  Inps,
laddove  la   disciplina   previgente   considerava   i   trattamenti
pensionistici con importo complessivo fino a 6 volte  il  trattamento
minimo. 
    L'intervento  costituisce  l'ulteriore  atto  di   una   sequenza
ininterrotta di  provvedimenti  che,  secondo  modalita'  diverse  ma
rispondenti ad una omologa ratio ispiratrice, hanno  sistematicamente
compresso  (e  talora  del  tutto  escluso)   la   perequazione   dei
trattamenti pensionistici di  maggior  importo  a  partire  dall'anno
2012: la situazione determinata con la legge di bilancio 2019 porta a
consolidare detta contrazione per un decennio (2012/2021). 
    Nel Dossier parlamentare  del  dicembre  2018  e'  ripercorso  in
dettaglio il «cammino» della legislazione  in  materia:  dalla  norma
fondante costituita dall'art. 34, comma 1, della legge  n.  448/1998,
alla prima distribuzione del meccanismo secondo  «fasce»  reddituali,
introdotta con l'art. 69, comma  1,  della  legge  n.  388/2000;  dal
«blocco» biennale previsto per il 2012/2013 nella c.d. legge  Fornero
(art. 24, comma 25, del decreto-legge  n.  201/2011,  abrogativo  del
precedente art. 18, comma  3,  del  decreto-legge  n.  98/2011),  poi
caducato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 70/2015, e  in
seguito riproposto  con  il  decreto-legge  n.  65/2015  (confermando
sostanzialmente il blocco biennale  sui  trattamenti  superiori  a  6
volte il minimo Inps) fino alla rimodulazione prevista con il  citato
art. 1, comma 483 della legge n.  147/2013  (protratta,  come  detto,
anche per il 2017/2018). 
    Il descritto quadro normativo offre plastica evidenza - ad avviso
di questo giudice - dell'assoluta assenza di soluzione di continuita'
tra gli  interventi  di  revisione/rimodulazione/blocco  del  sistema
perequativo  a  carico  dei  trattamenti  pensionistici  di  maggiore
importo a partire dal 2012. 
    Orbene la giurisprudenza costituzionale ha  nel  tempo  enucleato
una serie  di  parametri  di  legittimita'  di  siffatti  interventi,
partendo   dalla   qualificazione   giuridica   dell'istituto   della
perequazione    e    dalla    identificazione     delle     finalita'
costituzionalmente rilevanti alla cui attuazione risulta preordinata.
In particolare, si e' affermato  che:  «Dall'analisi  dell'evoluzione
normativa  in  subiecta  materia,  si  evince  che  la   perequazione
automatica dei trattamenti pensionistici e' uno strumento  di  natura
tecnica, volto a garantire nel tempo  il  rispetto  del  criterio  di
adeguatezza di cui all'art. 38, secondo  comma,  della  Costituzione.
Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio  di
sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 della Costituzione,
principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte,  ai
trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione  differita  (fra
le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del  2013).  Per
le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita'  e  per  la  sua
strumentalita'  rispetto   all'attuazione   dei   suddetti   principi
costituzionali,  la  tecnica  della  perequazione  si  impone,  senza
predefinirne   le   modalita',   sulle   scelte   discrezionali   del
legislatore, cui spetta intervenire per determinare  in  concreto  il
quantum di tutela di volta in volta necessario.  Un  tale  intervento
deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui  agli  articoli  36,
primo comma,  e  38,  secondo  comma,  della  Costituzione,  principi
strettamente interconnessi, proprio in ragione  delle  finalita'  che
perseguono.  La  ragionevolezza  di  tali   finalita'   consente   di
predisporre e perseguire  un  progetto  di  eguaglianza  sostanziale,
conforme al dettato dell'art. 3, secondo  comma,  della  Costituzione
cosi' da evitare disparita' di trattamento in danno  dei  destinatari
dei trattamenti pensionistici.» (cfr.  sent.  cit.  n.  70/2015).  Le
affermazioni richiamate pongono in rilievo come anche lo scrutinio di
ragionevolezza delle misure di contenimento dell'indicizzazione delle
pensioni  si  esprima  sul  piano  del   bilanciamento   tra   valori
costituzionali, nel rispetto della ratio  secondo  cui  i  canoni  di
proporzionalita' e adeguatezza delle retribuzioni  e  delle  pensioni
«non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo,
«ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in  relazione
ai mutamenti del potere d'acquisto  della  moneta»,  senza  che  cio'
comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello  delle
pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore
una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche  graduale,  dei
termini suddetti» (sempre sent. cit. n. 70/2015 e giurisprudenza  ivi
citata). 
    Un ulteriore profilo «strutturale» di rilievo della  perequazione
e' poi rappresentato dall'effetto «definitivo» che consegue  ad  ogni
intervento di blocco o di riduzione dell'adeguamento delle  pensioni:
la relativa  perdita  del  potere  d'acquisto  non  e'  infatti  piu'
recuperabile, poiche' le successive rivalutazioni  vengono  calcolate
non sul valore reale originario,  ma  sull'ultimo  importo  nominale,
eroso dal mancato adeguamento. 
    Nei descritti termini - anche con riguardo a tale istituto  -  il
Giudice delle leggi ha valorizzato, in sede di scrutinio delle scelte
del legislatore, la sussistenza di obiettive e specifiche esigenze di
finanza pubblica, al  fine  di  giudicare  ragionevole,  o  meno,  la
prevalenza di queste sui diritti dei soggetti incisi, nel quadro  dei
principi di cui agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. 
    Su tale aspetto si e' soffermata, da ultimo, anche la sentenza n.
250/2017, che ha riconosciuto la  legittimita'  costituzionale  della
riduzione della perequazione introdotta con l'art.  24,  commi  25  e
25-bis, del decreto-legge n. 201/2011 (convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 214/2011) - come sostituito (il comma 25)  e  inserito
(il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2)  del  comma  1
dell'art.  1  del   decreto-legge   n.   65/2015   (convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 109/2015),  osservando  come  le  norme
esaminate  fossero  correlate  a  puntuali  ragioni   giustificative,
debitamente evidenziate nei documenti bilancio. 
    In tal senso ha sottolineato che: «Nel valutare la compatibilita'
delle misure di adeguamento delle pensioni con i vincoli posti  dalla
finanza pubblica, questa Corte ha sostenuto  che  manovre  correttive
attuate dal Parlamento ben possono escludere da tale  adeguamento  le
pensioni «di importo piu' elevato» (ordinanza n. 256 del  2001).  Nel
replicare, in piu' occasioni,  una  tale  scelta,  che  privilegia  i
trattamenti pensionistici di modesto importo, il legislatore soddisfa
un canone di non irragionevolezza che trova  riscontro  nei  maggiori
margini di resistenza delle pensioni di importo  piu'  alto  rispetto
agli effetti dell'inflazione.» 
    Alla luce delle indicazioni  ermeneutico-applicative  rese  nella
giurisprudenza   costituzionale   sin   qui   richiamata,   l'attuale
intervento sulla perequazione presenta - ad avviso di questo  giudice
- due significativi  profili  di  criticita'.  In  primo  luogo,  non
risulta sorretto da specifiche esigenze di contenimento  della  spesa
pubblica, ma - come visto dai documenti citati  in  precedenza  -  e'
compreso tout court tra i mezzi di copertura  delle  spese  approvate
con la  manovra  di  bilancio.  In  cio'  risultando  particolarmente
generico ed incongruente il vincolo teleologico che dovrebbe  fondare
l'ammissibilita' di un bilanciamento  dei  valori  costituzionali  di
proporzionalita' e adeguatezza in senso «sfavorevole»  ai  percettori
dei trattamenti pensionistici piu' elevati. 
    D'altro canto, si connota quale misura di  forte  stabilizzazione
di tale sfavorevole bilanciamento, portando a dieci anni  consecutivi
il minor adeguamento del potere  d'acquisto  delle  pensioni  colpite
(dal 2012 al 2021): un arco temporale -  difficilmente  riconducibile
nell'alveo della nozione di transitorieta' -  rispetto  al  quale  il
c.d.   effetto   di   trascinamento   e   la   definitivita'    della
mancata/limitata perequazione esplica  effetti  obiettivamente  molto
significativi, che appaiono idonei a minare in misura apprezzabile  i
margini di resistenza di tali trattamenti. In proposito non si reputa
secondaria  l'ulteriore  circostanza  che  in  sei  dei  dieci   anni
considerati (dal 2014  al  2016  e  dal  2019  al  2021)  i  medesimi
pensionati siano anche sottoposti alla riduzione  dell'importo  annuo
del trattamento ad essi intestato, determinandosi - per  il  concorso
delle due misure - un impatto penalizzante ancor piu' incisivo. 
    Nei  termini  sopra  descritti  si  dubita   della   legittimita'
costituzionale della norma all'esame - per violazione degli  articoli
3, 36 e 38 della Costituzione - sotto il profilo  del  carattere  non
transitorio dell'intervento di graduazione del meccanismo perequativo
e della carenza di adeguate e motivate ragioni di  finanza  pubblica,
sottostanti alla sua introduzione. La ritenuta insussistenza di  tali
elementi qualificanti rende la disciplina introdotta dal  legislatore
non   ragionevole,   perche'   non   rispettosa   dei    canoni    di
proporzionalita' ed adeguatezza delle pensioni, posti a  salvaguardia
della  diacronica  evoluzione  delle  stesse  rispetto  (pur  se  non
necessariamente in misura corrispondente) al variare delle  dinamiche
retributive: ne' tale deficit genetico e funzionale appare  colmabile
e/o compensabile dal solo  dato  della  progressivita'  della  minore
indicizzazione,  risultando  anch'esso  «minato»  in   radice   dalla
mancanza delle ulteriori indefettibili condizioni di  ammissibilita'.
Si richiama  all'uopo  l'affermazione,  contenuta  nella  piu'  volte
citata sentenza n. 70/2015,  secondo  cui  «la  sospensione  a  tempo
indeterminato  del  meccanismo  perequativo,  ovvero   la   frequente
reiterazione di misure tese a paralizzarlo «esporrebbero  il  sistema
ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di  ragionevolezza
e proporzionalita'», poiche'  risulterebbe  incrinata  la  principale
finalita' di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella
che  prevede  una  difesa  modulare  del  potere   d'acquisto   delle
pensioni». 
    Tutto  cio'  premesso,  non  potendo  -  per  le  ragioni   sopra
illustrate essere definito indipendentemente dalla risoluzione  delle
prospettate questioni di costituzionalita', il presente giudizio deve
essere sospeso, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Friuli-Venezia
Giulia, in composizione monocratica di Giudice unico delle pensioni: 
        1) visto l'art. 23, comma 2, della legge 11  marzo  1953,  n.
87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimita' costituzionale: 
          dell'art. 1, comma 260, della legge 30  dicembre  2018,  n.
145  recante  «Bilancio  di  previsione  dello   Stato   per   l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio  2019-2021»,
per contrasto con gli articoli 3, 36  e  38  della  Costituzione,  in
relazione  all'intervento  di  riduzione  per   un   triennio   della
rivalutazione automatica delle pensioni di elevato importo; 
          dell'art. 1, commi da 261 a 268, della  legge  30  dicembre
2018, n. 145 recante «Bilancio di previsione dello Stato  per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio  2019-2021»,
per contrasto con gli articoli 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione,
in  relazione  all'intervento  di  decurtazione  percentuale  per  un
quinquennio dell'ammontare lordo annuo dei medesimi trattamenti; 
        2) sospende, per l'effetto, il presente giudizio. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza alle parti costituite ed al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti dei due rami del
Parlamento. 
    Dispone l'immediata trasmissione, a cura della cancelleria, della
presente  ordinanza  e   degli   atti   del   giudizio   alla   Corte
costituzionale,  unitamente  alla   prova   delle   notificazioni   e
comunicazioni prescritte. 
 
        Cosi' deciso, in Trieste, nella camera di  consiglio  del  16
ottobre 2019. 
 
                      Il Giudice: De Franciscis