N. 245 SENTENZA 22 ottobre - 29 novembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento e procedure concorsuali - Procedure di composizione  della
  crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile  -  Proposta
  di accordo di  ristrutturazione  dei  debiti  e  relativo  piano  -
  Divieto di falcidia dei debiti  inerenti  all'IVA  -  Irragionevole
  diversita' di disciplina rispetto al concordato preventivo  e  agli
  accordi di ristrutturazione di cui  all'art.  182-bis  della  legge
  fallimentare - Illegittimita' costituzionale parziale. 
- Legge 27 gennaio 2012, n. 3, art. 7, comma 1, terzo periodo. 
- Costituzione, artt. 3 e 97. 
(GU n.49 del 4-12-2019 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,
terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012,  n.  3  (Disposizioni  in
materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi
da sovraindebitamento), promosso dal Tribunale ordinario di Udine, in
composizione monocratica, nel procedimento a carico  di  D.  K.,  con
ordinanza del 14  maggio  2018,  iscritta  al  n.  171  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione di D. K.; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  22  ottobre  2019  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    udito l'avvocato Pierpaolo Curri per D. K. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 14 maggio 2018 (reg. ord. n.  171
del  2018),  il  Tribunale  ordinario  di  Udine,   in   composizione
monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  97  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,
comma  1,  terzo  periodo,  della  legge  27  gennaio  2012,   n.   3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle crisi da sovraindebitamento),  limitatamente  alle
parole «all'imposta sul valore aggiunto». 
    2.- Il rimettente premette  che  il  giudizio  principale  ha  ad
oggetto un ricorso volto ad ottenere  l'ammissione  e  la  successiva
omologazione  di  un  accordo  di   composizione   della   crisi   da
sovraindebitamento, proposto ai sensi dell'art.  6,  comma  1,  primo
periodo, della legge n.  3  del  2012.  L'incidente  di  legittimita'
costituzionale, in particolare, interviene nella fase di  valutazione
dell'ammissibilita' del ricorso, prevista dall'art. 10 della legge n.
3 del 2012, nel corso della quale occorre verificare la presenza  dei
requisiti pregiudiziali previsti dagli artt. 7, 8 e  9  della  stessa
legge. 
    3.- Con riguardo ai presupposti soggettivi del relativo  ricorso,
il rimettente chiarisce che il ricorrente  non  e'  assoggettabile  a
procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge n. 3 del
2012. In particolare, si sottolinea nell'ordinanza che il  ricorrente
non esercita  attivita'  d'impresa  commerciale  e  che  il  relativo
sovraindebitamento  deriva   principalmente   dalla   condizione   di
responsabile solidale (art. 38 del codice civile) per le obbligazioni
contratte da una associazione sportiva (nel  cui  nome  ha  agito  in
passato e di cui e' stato legale rappresentante),  a  sua  volta  non
soggetta a  procedure  concorsuali  diverse  da  quelle  disciplinate
dalla legge n. 3 del 2012, perche' comunque estranea ai requisiti  di
cui all'art. 1, comma secondo, del regio decreto 16 maggio  1942,  n.
267  (Disciplina   del   fallimento,   del   concordato   preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa; da ora in avanti: legge fallimentare). 
    4.- In ordine agli ulteriori presupposti legittimanti il  ricorso
oggetto del giudizio principale, il giudice a quo evidenzia che :  a)
il ricorrente e' soggetto sovraindebitato, non avendo la possibilita'
di adempiere regolarmente le proprie  obbligazioni  alla  luce  della
complessiva situazione che lo riguarda, considerati i debiti scaduti,
i  beni  patrimoniali  suscettibili  di  liquidazione  e   i   flussi
finanziari positivi prospettabili, con cadenza annua, nel quinquennio
a venire, coincidente con il periodo  di  tempo  compreso  nel  piano
proposto ai creditori; b) che il piano prevede il pagamento integrale
dei creditori prededucibili e in quota parte dei crediti concorsuali,
tutti  collocati  al  chirografo,  compresi  i  privilegiati,  attesa
l'incapienza totale dei beni gravati; c) che al ricorso sono allegati
tutti i documenti prescritti dall'art. 9, comma 2, della legge  n.  3
del 2012 e che il ricorrente non ha mai fatto ricorso  in  precedenza
alle procedure previste da detta legge,  ne'  risulta  aver  compiuto
atti in frode ai creditori  nel  quinquennio  pregresso;  d)  che  il
professionista designato per svolgere le  funzioni  di  organismo  di
composizione della crisi, ai sensi dell'art. 15, comma 9, della legge
n. 3 del 2012, ha  attestato  la  fattibilita'  del  piano  elaborato
nonche' la veridicita' dei dati contenuti nel ricorso e nei documenti
allegati, avuto riguardo, in particolare, al profilo della incapienza
dei beni sui quali i creditori privilegiati potrebbero far valere  la
loro collocazione preferenziale in caso di liquidazione forzata, beni
caratterizzati da un valore di  molto  inferiore  alla  misura  della
soddisfazione  che  potrebbe  risultare  garantita   dalla   relativa
liquidazione. 
    5.- Cio' precisato, il rimettente rimarca che  tra  le  poste  di
credito privilegiate, oggetto della falcidia proposta  dal  debitore,
figura anche l'obbligo di pagare all'erario somme a titolo di imposta
sul valore aggiunto (d'ora in poi:  IVA),  garantite  dal  privilegio
generale mobiliare di  cui all'art.  2752,  terzo  comma,  cod.  civ.
Previsione del piano, questa, che,  tuttavia,  sarebbe  in  immediato
conflitto con quanto imposto dalla norma censurata, secondo la quale,
avuto  riguardo  a  siffatta  pretesa  tributaria,  il  piano   «puo'
prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento». 
    6.- Il giudice a quo evidenzia che nel ricorso si  sollecita,  in
prima battuta,  la  non  applicazione  della  disposizione  censurata
perche' assertivamente non conforme con quanto prevede, in materia di
IVA, l'ordinamento dell'Unione  europea;  in  subordine,  sempre  nel
ricorso,  se  ne  rimarca l'illegittimita'  costituzionale,  per   la
ritenuta violazione dell'art. 3 Cost. 
    7.- Quanto al  primo  profilo,  il  rimettente  non  trascura  di
valutare criticamente alcune  pronunce,  rese  da  altri  giudici  di
merito, attraverso le quali si e' ritenuto  di  poter  accedere  alla
soluzione della non applicazione o comunque  di  dover  procedere  ad
un'interpretazione conforme  della  norma  censurata  alla  luce  dei
principi  dettati,  nella  materia  in   oggetto,   dalla   normativa
dell'Unione europea,  come  interpretata  dalla  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea, sentenza 7 aprile 2016, in causa causa C-546/14,
Degano Trasporti sas; decisione, questa, assunta in esito  al  rinvio
pregiudiziale disposto dallo stesso Tribunale rimettente con riguardo
all'analoga  tematica  della  falcidiabilita'  dell'IVA   nell'affine
procedura di concordato preventivo. 
    7.1.- Segnala il giudice a quo che dette pronunce  muovono  dalla
condivisa  riconducibilita'  della  disciplina  dell'IVA  all'interno
della sfera  di  competenza  dell'Unione.  Ruotano,  in  particolare,
intorno  al  ruolo  da  ascrivere  all'art.   273   della   Direttiva
2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa  al  sistema
comune d'imposta sul valore aggiunto (da  ora  in  avanti:  direttiva
IVA); disposizione, questa, in forza del quale, secondo  la  costante
interpretazione che di tale norma ha  offerto  la  CGUE,  ogni  Stato
membro e' obbligato ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e  ad
evitarne le evasioni, nel  rispetto  della  parita'  di  trattamento,
beneficiando tuttavia di una certa  liberta'  circa  l'individuazione
dei mezzi a sua disposizione, ma sempre senza mettere in  discussione
l'obbligo  di  garantire  una  riscossione  effettiva  delle  risorse
proprie dell'Unione europea. 
    In questa cornice, sottolinea il rimettente, nella giurisprudenza
della CGUE, normative interne che portavano ad una rinuncia  generale
e  indiscriminata  alla  riscossione  dell'IVA  sono  state  ritenute
contrarie all'obbligo degli Stati membri  di  garantire  il  prelievo
integrale dell'imposta in esame nel proprio  territorio,  nonche'  la
riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione europea;  per
altro verso, senza smentire il precedente  assunto,  proprio  con  la
citata sentenza Degano Trasporti sas, e' stato ritenuto che  non  da'
luogo ad una rinuncia  generale  e  indiscriminata  alla  riscossione
dell'IVA, la  possibilita',  garantita  da  una  norma  interna  agli
imprenditori commerciali in  stato  di  insolvenza,  di  pagare  solo
parzialmente il debito IVA, qualora cio' avvenga nel  quadro  di  una
procedura seria, rigorosa e garantita, quale  quella  del  concordato
preventivo di cui agli artt. 160 e seguenti della legge fallimentare,
che consenta di  riscontrare  il  maggior  vantaggio  della  relativa
proposta rispetto alla alternativa liquidatoria del patrimonio  posto
a garanzia delle obbligazioni da soddisfare. 
    7.2.- Pur muovendo da tali argomentazioni, ritiene il  rimettente
che l'ostacolo offerto dal tenore letterale  dell'art.  7,  comma  1,
terzo periodo, della legge n. 3 del 2012 non  possa  essere  superato
attraverso la non applicazione della norma interna, perche'  ritenuto
conflitto con la disciplina comunitaria o,  in  alternativa,  per  il
tramite della interpretazione della stessa conforme alle  indicazioni
di principio provenienti dagli orientamenti dettati, nella materia in
oggetto, dalla CGUE. 
    7.2.1.- Sotto il primo versante, ad avviso  del  rimettente,  per
procedersi alla non applicazione di una norma interna in forza di una
norma  contenuta  in  una   direttiva,   occorre   che   questa   sia
caratterizzata  da  un  contenuto  precettivo   chiaro,   preciso   e
incondizionato. Tanto sarebbe da escludere con riguardo all'art.  273
della direttiva IVA, cosi' come interpretato  dalla  sentenza  Degano
Trasporti sas: ad avviso del rimettente, infatti, il portato di  tale
statuizione, se legittima pagamenti parziali dell'IVA all'interno  di
determinati meccanismi procedurali,  non  esprime,  al  contempo,  un
precetto chiaro, preciso ed incondizionato  che  imponga  agli  Stati
membri di consentire, a parita' di condizioni, la  falcidia  dell'IVA
ad  un  debitore  insolvente.  Cio'  in  quanto  rimane,  in  via  di
principio,  libera  l'individuazione  dei  modi  attraverso  i  quali
perseguire l'obiettivo della effettiva  riscossione  del  dovuto  per
tale risorsa. 
    7.2.2.-   Per   altro   verso,   ad   avviso   del    rimettente,
l'interpretazione conforme al diritto  dell'Unione  sarebbe  impedita
dal  tenore  letterale  della  disposizione  censurata,   la   quale,
escludendo «[i]n ogni caso» la  falcidia  dell'IVA,  rende  ardua  la
possibilita' di accedere a siffatta soluzione interpretativa. 
    7.3.- Il rimettente perviene  a  valutazioni  di  segno  positivo
quanto al denunziato contrasto tra la  norma  censurata  e  l'art.  3
Cost. 
    7.3.1.- Quanto alla rilevanza della questione, il giudice  a  quo
rimarca che la prevista falcidiabilita' dell'IVA costituisce  l'unico
profilo ostativo alla ammissibilita' della proposta. 
    7.3.2.- In punto di non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
evidenzia che la previsione portata allo scrutinio  di  questa  Corte
riproduce un principio identico a  quello  vigente,  all'epoca  della
introduzione  della  norma  censurata,  nell'affine   procedura   del
concordato preventivo (art.  182-ter,  comma  primo,  periodo  primo,
ultima parte, della legge fallimentare). 
    In sostanza, all'epoca della introduzione della norma  censurata,
i soggetti legittimati ad avvalersi delle  procedure  previste  dalla
legge n. 3 del 2012, alla stessa  stregua  delle  imprese  fallibili,
potevano proporre, ai creditori,  in  alternativa  alla  liquidazione
complessiva  del  relativo  patrimonio,  un  pagamento  parziale  dei
crediti privilegiati, purche' nei  limiti  della  capienza  dei  beni
gravati. Il credito privilegiato per IVA (assieme ad altre specifiche
poste  di  credito  di  matrice  tributaria,  estranee  al  perimetro
delimitato dall'oggetto  del  giudizio  principale)  faceva  tuttavia
eccezione a tale regola generale: andava infatti  soddisfatto  sempre
per intero, essendo al piu' consentita  una  dilazione  dei  relativi
tempi di adempimento. Il tutto secondo  un  assetto  complessivo  che
questa stessa Corte (e' citata la sentenza n.  225  del  2014)  aveva
ritenuto  conforme  a  Costituzione  (anche  se   esclusivamente   in
relazione al versante della  disciplina  dettata  per  il  concordato
preventivo dalla legge fallimentare). 
    7.3.3.- Il quadro interpretativo e normativo di  riferimento,  si
sottolinea nell'ordinanza di rimessione, e' mutato all'indomani della
piu' volte citata sentenza  della  CGUE,  all'esito  della  questione
pregiudiziale sollevata dallo stesso tribunale di Udine. 
    In forza dell'interpretazione del  diritto  unionale  offerta  da
tale sentenza, le sezioni unite della Corte di  cassazione  (sentenza
27 dicembre 2016, n. 26988, e sentenza 13 gennaio 2017, n. 760) hanno
mutato  il  precedente  orientamento  interpretativo  proprio   della
giurisprudenza  di  legittimita',  ritenendo  possibile  la  falcidia
dell'IVA,  anche  se  limitatamente  ai  soli  concordati  preventivi
proposti senza avvalersi della disciplina dettata  dall'art.  182-ter
della legge fallimentare per la "transazione fiscale". 
    Successivamente,  sempre  sulla   scia   tracciata   dal   quadro
interpretativo emerso dalla citata sentenza Degano Trasporti sas,  e'
intervenuto il legislatore nazionale, procedendo ad  una  riscrittura
dell'art. 182-ter della legge fallimentare  tramite  l'art. 1,  comma
81, della legge 11 dicembre 2016,  n.  232  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019). 
    In virtu' di  siffatta  novella  la  disciplina  di  riferimento,
attualmente dettata dalla legge fallimentare, impone al debitore, che
intenda proporre un concordato preventivo (o che miri alla stipula di
un  accordo  di  ristrutturazione)  e  che  debba  soddisfare   anche
obbligazioni  tributarie,  di   avvalersi   dello   strumento   della
transazione fiscale disciplinata dal citato art 182-ter  della  legge
fallimentare. Disposizione quest'ultima che, per quanto rimarcato dal
giudice a quo, consente ora il pagamento parziale  dei  tributi,  dei
contributi previdenziali e dei relativi accessori, senza  distinzioni
di sorta; e cio' sempre che la soddisfazione offerta a  tali  crediti
privilegiati non sia inferiore  a  quella  realizzabile,  in  ragione
della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione
e purche' vengano rispettate  le  altre  prescrizioni  procedimentali
previste dal detto art. 182-ter della legge fallimentare. 
    7.4.- Il tribunale rimettente osserva che una  evoluzione  simile
non  si  e'  invece  manifestata  nel  settore  delle  procedure   di
composizione  delle  crisi   da   sovraindebitamento,   giacche'   la
disposizione dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, della  legge  n.  3
del 2012, a suo tempo quasi identica sul piano letterale  rispetto  a
quella dell'art. 182-ter, comma  primo,  ultima  parte,  della  legge
fallimentare (vigente all'epoca  dell'introduzione  della  disciplina
sul sovraindebitamento), e'  rimasta  immutata  malgrado  il  diverso
tenore assunto dalla norma che ebbe ad ispirarne il contenuto. 
    8.- Tale assetto normativo, ad avviso del giudice a quo  pone  in
dubbio la tenuta costituzionale della disposizione censurata 
    8.1.- In primo luogo, perche' in asserito contrasto con l'art.  3
Cost. 
    Il rimettente sottolinea che la regola della falcidiabilita'  dei
crediti privilegiati, purche'  pagati  in  misura  corrispondente  al
valore ricavabile in via di esecuzione forzata dai beni destinati per
legge alla loro soddisfazione, e' ormai comune in tutte le  procedure
concorsuali che consentano una soluzione negoziata  di  un'insolvenza
qualsiasi, prescindendo dai profili di soggettivo accesso  all'uno  o
all'altra  procedura:  coloro  che  hanno  a  disposizione  solo   le
procedure concorsuali negoziate previste dalla legge n. 3  del  2012,
tuttavia, sono tenuti a pagare sempre e per intero quella particolare
categoria di crediti privilegiati rappresentata dal credito IVA;  per
contro, gli imprenditori soggetti a fallimento possono invece gestire
il medesimo credito con falcidia (nei limiti indicati),  al  pari  di
tutti gli altri crediti muniti di causa di prelazione. 
    8.1.1.- Una tale soluzione non sarebbe compatibile con  l'art.  3
Cost., che esige dalla legge uguaglianza di trattamento nei confronti
di tutti i soggetti (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi  in
generale) che si trovino nelle medesime  condizioni.  Condizioni  che
nella fattispecie consistono in uno stato di crisi economica,  comune
a tutti i debitori posti in rassegna, coinvolgente  anche  un  debito
per IVA. 
    Ne' rileva al fine il fatto che i soggetti che  possono  accedere
solo a quanto stabilito dalla legge n. 3  del  2012 hanno  in  genere
dimensioni economiche meno rilevanti (e dunque un impatto della  loro
insolvenza sull'economia generale inferiore, compresa la probabilita'
di sussistenza di crediti IVA) rispetto a coloro cui  e'  applicabile
la legge fallimentare: in tal caso, infatti, sarebbe  piu'  razionale
un trattamento di maggior favore per i debitori  «non  commerciali  e
piccoli», e non invece deteriore come nei fatti accade. 
    8.1.2.- La disciplina contestata, inoltre, conclama,  secondo  il
rimettente, una discriminazione su base  censitaria  fra  gli  stessi
imprenditori  commerciali,   favorendo   quelli   assoggettabili   al
fallimento, i quali possono prospettare  ai  creditori  il  pagamento
parziale di ogni pretesa garantita  da  prelazione,  compresa  quella
legata all'IVA. Ad  avviso  del  tribunale  di  Udine,  tuttavia,  la
dimensione dell'impresa commerciale  in  tal  caso  non  pare  essere
criterio discretivo sufficiente, anche perche' essa e'  mutevole  nel
tempo si' che un soggetto, nel corso della sua  attivita'  economica,
potrebbe  o  meno  essere  soggetto  alle  disposizioni   della legge
fallimentare a seconda di mere contingenze. 
    Parimenti sarebbe a dirsi  per  gli  imprenditori  agricoli,  che
possono trattare con l'erario per farsi approvare  una  falcidia  del
credito IVA nell'ambito di un accordo di  ristrutturazione  ex  artt.
182-bis e 182-ter della legge fallimentare, ma non  possono  ottenere
lo  stesso  risultato  laddove  intendano  accedere  all'accordo   di
ristrutturazione dei debiti previsto dalla legge n.  3  del  2012.  E
cio' a prescindere  dalle  dimensioni  della  relativa  attivita'  di
impresa, sicche' lo stesso soggetto paradossalmente puo' godere o  no
dei vantaggi correlati alla falcidiabilita' dell'IVA a seconda  dello
strumento (pur omologo) che egli stesso scelga di impiegare. 
    8.1.3.- Del resto, sottolinea il rimettente, alla stessa  stregua
del concordato preventivo, l'accordo disciplinato dalla  legge  n.  3
del 2012, e' una procedura concorsuale avente un base negoziale:  non
diversamente   dalla   affine   procedura   prevista   dalla    legge
fallimentare,  anche  quella  oggetto  del  giudizio  principale   e'
sottoposta  al  controllo  giurisdizionale  e  risulta  filtrata   da
valutazioni   espresse   da   esperti    indipendenti,    ritualmente
contestabili dagli interessati. 
    Nelle procedure negoziate per la gestione del sovraindebitamento,
dunque, sono rinvenibili le  medesime  connotazioni  procedurali  che
hanno indotto  la  CGUE,  nella  sentenza  Degano  Trasporti  sas,  a
ritenere che il pagamento parziale di un credito IVA in tal caso  non
contrasta con  l'ordinamento  dell'Unione  europea;  il  che  vale  a
rendere ancora piu' evidente la diseguaglianza prospettata a sostegno
della addotta violazione dell'art. 3 Cost. 
    8.2.- Sotto altro profilo, la norma in esame sarebbe in contrasto
anche con l'art. 97 Cost., secondo il quale la legge deve organizzare
i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento. 
    E' ben vero che questa Corte, con la sentenza n. 225 del 2014, ha
gia'  dichiarato   insussistente   il   contrasto   fra   la   regola
dell'infalcidiabilita' dell'IVA (all'epoca in  vigore  per  tutte  le
procedure concorsuali negoziate) e tale parametro costituzionale.  Ad
avviso del tribunale  rimettente,  tuttavia,  in  quell'occasione  il
presupposto fondante del  giudizio  speso  dalla  Corte  era  offerto
dall'idea in forza  della  quale  l'obbligo  di  pagamento  integrale
dell'IVA,  inteso  in  maniera   assoluta   e   inderogabile,   fosse
conseguenza della ritenuta indisponibilita'  del  tributo  in  quanto
risorsa propria dell'Unione europea. 
    8.2.1.- Tale considerazione non sarebbe piu' attuale ora  che  la
CGUE ha  meglio  definito  l'ambito  degli  obblighi  imposti,  nella
materia de qua, agli  Stati  membri,  ritenendo  compatibile  con  la
disciplina dell'Unione la legge fallimentare  italiana  anche  quando
prevede un pagamento parziale dell'IVA, se inserita nel quadro di  un
piano controllato e controllabile che dimostri  come  tale  soluzione
porti un beneficio non inferiore a quello che si otterrebbe all'esito
di una liquidazione forzata dei beni del debitore. 
    8.2.2.- Cio', ad avviso del rimettente, dovrebbe portare  ad  una
rivalutazione delle considerazioni esposte a sostegno della  suddetta
sentenza della Corte costituzionale, n. 225 del 2014. 
    La disposizione oggetto di censura, quando rende  necessariamente
inammissibile la proposta di accordo che  non  preveda  il  pagamento
integrale dell'IVA, priva la pubblica amministrazione del  potere  di
valutare autonomamente ed in concreto se la proposta (al di la' delle
attestazioni di corredo e del primo vaglio giudiziale) e' davvero  in
grado  di  soddisfare  tale  credito  erariale  in  misura   pari   o
addirittura  superiore  al   ricavato   ottenibile   nell'alternativa
liquidatoria. Non le  consente,  dunque,  di  determinarsi  nel  caso
concreto al voto favorevole o contrario (con facolta'  di  successiva
opposizione e reclamo)  a  seconda  delle  prospettive  di  effettivo
recupero del dovuto, mettendo in crisi  il  principio  costituzionale
del  buon  andamento,  perche'  preclude   in   radice   criteri   di
economicita' e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto. 
    8.3.- Considerazioni, queste, che ad avviso  del  giudice  a  quo
portano nuovamente al centro del discorso la  prospettata  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    Il  rimettente  dubita  anche  della  razionalita'  del   diverso
trattamento cui la norma censurata sottopone, da un lato, la pubblica
amministrazione che  gestisce  il  credito  IVA  e,  dall'altro,  gli
ulteriori creditori privilegiati. Questi ultimi, infatti,  mantengono
la piena possibilita' di valutare liberamente se prestare assenso  ad
un piano che, pur  tramite  la  falcidia  del  relativo  diritto,  in
ipotesi ne consenta  una  realizzazione  effettiva  e  non  inferiore
rispetto   all'alternativa    liquidatoria;    per    altro    verso,
l'amministrazione finanziaria, invece, e' espropriata di tale potere,
anche in caso di manifesta convenienza. 
    9.-  Ne',  ad  avviso  del  rimettente,  sono  infine   possibili
interpretazioni della norma che possano ovviare ai  vizi  denunziati,
considerati il tenore letterale della stessa e la sua ratio. 
    Preclusa,   dunque,    anche    la    via    dell'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata, se ne  imporrebbe
in coerenza la declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale,  con
conseguente ablazione del riferimento all'IVA tra le poste di credito
non suscettibili di falcidia. 
    10.-  Nel  giudizio  e'  intervenuta  la  parte  privata  K.  D.,
ribadendo la fondatezza delle argomentazioni spese dal rimettente nel
ritenere rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
illegittimita' costituzionale dell'art 7,  comma  1,  terzo  periodo,
della legge  n.  3  del  2012,  laddove  esclude  la  falcidiabilita'
dell'IVA in caso di accordo proposto ai sensi del  medesimo  art.  7,
comma 1. 
    In data 9 ottobre 2019 la parte privata ha quindi depositato  una
memoria integrativa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza depositata il 14 maggio 2018 (reg. ord. n.  171
del  2018),  il  Tribunale  ordinario  di  Udine,   in   composizione
monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  97  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  7,
comma  1,  terzo  periodo, della  legge  27  gennaio   2012,   n.   3
(Disposizioni in  materia  di  usura  e  di  estorsione,  nonche'  di
composizione delle crisi da sovra-indebitamento), limitatamente  alle
parole «all'imposta sul valore aggiunto». 
    2.- Giova premettere che il giudizio principale ha ad oggetto  un
ricorso volto ad ottenere l'ammissione e la  successiva  omologazione
di un accordo di  composizione  della  crisi  da  sovraindebitamento,
proposto ai sensi dell'art. 6, comma 1, primo periodo, della legge n.
3  del  2012.  L'incidente   di   legittimita'   costituzionale,   in
particolare, interviene nella fase di valutazione dell'ammissibilita'
del ricorso, prevista dall'art. 10 della legge n.  3  del  2012,  nel
corso della  quale  occorre  verificare  la  presenza  dei  requisiti
previsti dagli artt. 7, 8 e 9  della  stessa  legge,  ostativi  della
successiva fase di omologazione della proposta. 
    2.1.- Cosi' come evidenziato dal tribunale rimettente,  il  piano
proposto ai creditori prevede  la  soddisfazione  solo  parziale  dei
crediti concorsuali, tutti indistintamente collocati  al  chirografo,
compresi quelli privilegiati, attesa l'incapienza dei beni sui  quali
dovrebbe gravare la  relativa  prelazione,  tale  da  non  consentire
prospettive liquidatorie di maggior favore. 
    Tra le poste di credito privilegiate - che il  piano  propone  di
soddisfare solo parzialmente  -  figura  anche  l'obbligo  di  pagare
all'erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto (da  ora  in
poi:  IVA),  garantite  dal  privilegio  generale  mobiliare  di  cui
all'art. 2752,  terzo  comma,  del  codice  civile.  Ed  e'  siffatta
previsione  del  piano  che  provoca  il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale sollevato  dal  Tribunale  di  Udine:  essa  si  pone,
infatti, in immediato contrasto con la regola  dettata  dall'art.  7,
comma 1, terzo periodo, della legge  n.  3  del  2012,  pregiudicando
l'ammissibilita' del ricorso. 
    2.2.- In forza del citato articolo 7, comma 1, infatti, il  piano
nel quale si  sostanzia  l'accordo  di  ristrutturazione  dei  debiti
proposto ai creditori puo' prevedere una soddisfazione non  integrale
dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca «allorche'  ne  sia
assicurato  il  pagamento  in   misura   non   inferiore   a   quella
realizzabile,  in  ragione  della  collocazione   preferenziale   sul
ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato
attribuibile ai beni o ai diritti  sui  quali  insiste  la  causa  di
prelazione, come attestato  dagli  organismi  di  composizione  della
crisi». Il medesimo comma 1 del citato articolo 7, al terzo  periodo,
precisa tuttavia  che  «[i]n  ogni  caso,  con  riguardo  ai  tributi
costituenti risorse  proprie  dell'unione  europea,  all'imposta  sul
valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano puo'
prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento». 
    A differenza delle altre ragioni di credito tributarie, in genere
soggette a possibile falcidia alla stessa stregua delle  altre  poste
di credito privilegiate, l'adempimento legato all'IVA (oltre che  dei
tributi  che  costituiscono  risorse  proprie  dell'Unione  e   delle
ritenute non versate dal sostituto  d'imposta),  puo'  dunque  essere
oggetto solo di dilazione, mai di parziale decurtazione. 
    3.- Di qui la ritenuta non manifesta infondatezza delle questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1,  primo  periodo,
della legge n. 3 del 2012. 
    3.1.- Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata,  nella
parte in cui nega al  debitore  sovraindebitato  la  possibilita'  di
prospettare   il   pagamento   parziale   dell'IVA,   a    pena    di
inammissibilita' del relativo ricorso, viola l'art.  3  Cost.,  sotto
diversi profili. 
    Per un verso, perche' a fronte di situazioni omogenee  tra  loro,
discrimina i debitori soggetti alla  procedura  prevista  dal  citato
art. 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012, trattati diversamente  da
quelli legittimati a proporre il concordato preventivo,  rispetto  ai
quali la  falcidia  del  credito  IVA  e'  consentita  dal  combinato
disposto di cui agli artt. 160 e 182-ter del regio decreto  16  marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa; da ora in avanti: legge fallimentare). 
    Per altro  verso,  la  norma  censurata  discrimina  la  pubblica
amministrazione  (da  ora  in  poi:  PA)  chiamata  all'esazione  del
relativo tributo, rispetto agli altri creditori muniti di prelazione,
giacche', a differenza di questi ultimi, non consente alla stessa,  a
monte,  la  possibilita'  di  aderire  alla  proposta  del  debitore,
ottimizzando le prospettive di soddisfazione del relativo  credito  a
fronte di un patrimonio di riferimento che, in caso di  liquidazione,
non garantisce un grado di adempimento  maggiore  rispetto  a  quello
proposto dal relativo piano. 
    3.2.- La disposizione censurata sarebbe inoltre in contrasto  con
l'art. 97 Cost.,  perche'  l'inammissibilita'  del  ricorso  che  non
preveda  il  pagamento  integrale  dell'IVA  priva  l'amministrazione
finanziaria del potere di valutare, in concreto, la  proposta  quanto
al grado di soddisfazione del credito IVA che la stessa garantisce in
alternativa alla prospettiva liquidatoria, precludendole di informare
la relativa azione a criteri di economicita' e massimizzazione  delle
risorse, in contrasto con il principio del buon andamento sancito dal
parametro evocato. 
    4.- Lo scrutinio delle questioni prospettate dal rimettente rende
imprescindibile una  preliminare  descrizione  del  quadro  normativo
all'interno del quale si colloca la  norma  sottoposta  all'esame  di
questa  Corte.  Cio'  avuto  riguardo   non   solo   all'insieme   di
disposizioni contenute nella  legge  n.  3  del  2012,  ma  anche  in
riferimento alla disciplina del concordato preventivo prevista  dalla
legge fallimentare. 
    Sotto quest'ultimo versante, in particolare, assumono un  rilievo
fondamentale le vicende giuridiche che hanno  interessato  nel  tempo
l'istituto della "transazione  fiscale"  previsto  dall'art.  182-ter
della  legge  fallimentare.  Disposizione,  quest'ultima,  che  nella
specie, per un verso funge,  in  relazione  al  tema  della  falcidia
dell'IVA, quale tertium comparationis della disparita' di trattamento
denunziata ai sensi dell'art. 3 Cost.; e che,  per  altro  verso,  ha
ispirato il  contenuto  della  norma  indubbiata,  che  ne  replicava
sostanzialmente i contenuti vigenti all'epoca di  introduzione  della
stessa. 
    5.- La legge n. 3 del 2012, radicalmente innovata gia' nel  corso
dello stesso anno di introduzione dall'art. 18 del  decreto-legge  18
ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per  la  crescita  del
Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre  2012,
n. 221, ha messo a disposizione dei soggetti non fallibili, in  crisi
perche'  gravemente  indebitati  o  gia'  insolventi,  strumenti  che
consentano  in  via  preventiva  una  composizione  della  crisi   da
indebitamento o, in  alternativa,  una  liquidazione,  organizzata  e
complessiva, del relativo patrimonio. Il tutto in termini di evidente
alternativita' rispetto alla disciplina comune del codice  civile  ed
alle  regole  dell'esecuzione  individuale  dettate  dal  codice   di
procedura  civile,  attraverso  le  quali,  in  precedenza,  venivano
esclusivamente regolati i profili di responsabilita' patrimoniale del
debitore non fallibile, titolare o no di attivita' di impresa. 
    5.1.- Si tratta, all'evidenza, di  strumenti  di  chiara  matrice
concorsuale, strutturati,  in  esito  alle  modifiche  apportate  dal
citato d.l. n. 179 del 2012,  in  chiave  concordataria  o  meramente
liquidatoria ed  in  termini  sostanzialmente  analoghi  agli  affini
istituti   contenuti   nella    legge    fallimentare.    Disciplina,
quest'ultima,    rispetto    alla    quale    la    normativa     sul
sovraindebitamento,  nel  suo  attuale  tenore  normativo,   mantiene
autonomia  sistematica,  pur  replicandone  la  filosofia  di  fondo,
individuata  nella  esigenza  di  garantire  anche  ai  soggetti  non
fallibili, connotati  da  gravi  situazioni  debitorie,  l'accesso  a
misure di carattere esdebitatorio, alternative  alla  liquidazione  o
conseguenziali alla  stessa,  tali  da  consentire  loro  di  potersi
ricollocare utilmente all'interno del sistema  economico  e  sociale,
senza il peso  delle  pregresse  esposizioni,  pur  a  fronte  di  un
adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato; e  cio'  alla
stessa  stregua  di   quanto   riconosciuto   dall'ordinamento   agli
imprenditori assoggettabili a fallimento. 
    5.2.- La disciplina  del  sovraindebitamento  appare  chiaramente
dominata dalla posizione di  favore  riconosciuta  al  debitore,  che
resta l'unico legittimato ad  attivare  le  procedure  in  questione,
fatta salva l'ipotesi della conversione di  una  delle  procedure  di
composizione preventiva in  liquidazione,  giusta  l'art.  14-quater,
comma 1, della  legge  in  esame.  Impostazione,  questa,  del  resto
coerente  con  l'obiettivo  di  compensare  le  distonie  di  sistema
venutesi  a  creare,  nel  raffronto  comparativo  con   i   debitori
legittimati ad accedere alle procedure concorsuali disciplinate dalla
legge  fallimentare,  all'indomani  della  riforma  di  tale   ultima
disciplina, avviata dal decreto legislativo  9  gennaio  2006,  n.  5
(Riforma organica della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a
norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80). 
    Per  quel  che  qui  immediatamente  interessa,  tra  le  novita'
all'epoca apportate all'impianto originario della legge fallimentare,
assumono un rilievo decisivo l'implementazione dei rimedi  preventivi
di  carattere  prevalentemente  non   liquidatorio   e   natura   non
necessariamente  concorsuale;  ancora,  l'avvenuta  introduzione,  in
luogo della riabilitazione, del procedimento di  esdebitazione  (art.
142 e seguenti della  legge  fallimentare),  tale  da  consentire  al
fallito di ottenere la liberazione dai debiti residui all'esito della
relativa procedura. Elementi di novita', questi, che se, da un  lato,
hanno permesso di riconsiderare la fallibilita' in termini di vera  e
propria opportunita', dall'altro hanno marcato la differenza  con  il
debitore non  assoggettabile  a  fallimento,  all'epoca  privo  della
possibilita' di godere di uno strumento di esdebitazione  similare  a
quello ora previsto dalla legge fallimentare, oltre che di  avvalersi
di strumenti concordati di  definizione  anticipata  della  crisi  da
indebitamento. 
    Di qui l'esigenza di introdurre nel sistema procedure  che,  alla
stessa stregua di analoghe esperienze sovranazionali, in  alternativa
alla esecuzione individuale ed in  deroga  al  principio  secondo  il
quale delle obbligazioni si risponde con  i  propri  beni  attuali  e
futuri, attraverso forme concorsuali di soddisfacimento dei creditori
destinate a garantire la par condicio (art. 2741 cod. civ.),  fossero
in grado di permettere al debitore civile di conseguire il  beneficio
dell'esdebitazione. 
    6.- La legge n. 3 del 2012, nel suo attuale assetto, prevede  due
procedure alternative alla liquidazione  complessiva  del  patrimonio
del debitore (art.  14-ter  e  seguenti),  segnatamente  identificate
nell'accordo di composizione dei debiti con i creditori e  nel  piano
del consumatore, entrambe previste dall'art. 6, comma 1. 
    6.1.-   Sotto   il   versante   dei   requisiti   soggettivi   di
legittimazione, la relativa disciplina risulta destinata ad una ampia
e variegata categoria di soggetti interessati,  tutti  legati  da  un
comune  denominatore,  vale  a  dire  la  non  assoggettabilita'   al
fallimento o ad altra  procedura  concorsuale  prevista  dalla  legge
fallimentare. 
    Gli strumenti previsti  dalla  legge  in  oggetto  sono,  dunque,
destinati ad operare sia in favore dell'impresa  commerciale  la  cui
attivita'  si  attesta  sotto  le   soglie   di   fallibilita';   sia
dell'imprenditore agricolo, cui si riferisce espressamente l'art.  7,
comma 2-bis, della  stessa  legge;  sia  dei  titolari  di  attivita'
professionale; nonche',  in  termini  generali  e  di  chiusura,  dei
debitori che contraggono obbligazioni prescindendo da  una  attivita'
di impresa o professionale (definiti  "consumatori",  nel  delimitato
perimetro  di  riferibilita'  della  relativa  disciplina,  ai  sensi
dell'art. 6, comma 2, lettera b). 
    6.2.- Dal punto di vista oggettivo, i rimedi previsti dalla legge
n. 3 del 2012, quale che sia la connotazione tipologica del  debitore
che intende avvalersene,  presuppongono  la  medesima  situazione  di
sovraindebitamento, descritta dall'art. 6, comma  2,  della  medesima
legge n. 3 del 2012 in  termini  di  «perdurante  squilibrio  tra  le
obbligazioni assunte e  il  patrimonio  prontamente  liquidabile  per
farvi fronte, che determina la rilevante difficolta' di adempiere  le
proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacita' di  adempierle
regolarmente». Definizione, questa, che  con  gli  aggiustamenti  del
caso (determinati dalla presenza, tra i debitori coinvolti, anche  di
soggetti estranei ad attivita' di impresa) non si distanzia da quelle
(di  crisi  e  insolvenza)  che  legittimano,  per  gli  imprenditori
commerciali, l'accesso  alle  procedure  concorsuali  previste  dalla
legge fallimentare. 
    6.3.- Le caratteristiche soggettive del  debitore  recuperano  un
rilievo dirimente con riguardo ai profili  di  accesso  alle  diverse
procedure previste dalla legge n. 3 del 2012. 
    Mentre  il  debitore   imprenditore   (anche   agricolo)   e   il
professionista   possono   attivare   esclusivamente   l'accordo   di
ristrutturazione e la liquidazione totale dei beni, il consumatore e'
legittimato ad attivare anche un piano avente il  contenuto  previsto
dall'art. 8 della citata legge n. 3 del  2012,  che  prescinde  dalla
deliberazione favorevole dei creditori. 
    7.- Il rimettente giudica dell'ammissibilita' di un ricorso volto
alla  omologazione  di  un  accordo  di  composizione  della   crisi.
L'oggetto del giudizio  principale  delimita,  dunque,  lo  scrutinio
della disciplina di riferimento alle connotazioni proprie di siffatta
procedura. 
    7.1.- L'accordo con i creditori  e'  strutturato  ribadendo,  nei
suoi  tratti  essenziali,  la  struttura  del  concordato  preventivo
previsto dalla legge fallimentare. 
    L'iniziativa sottesa al piano, alla stessa stregua di  quanto  e'
previsto per la domanda di concordato preventivo,  non  ha  contenuti
necessariamente  predeterminati  dal  legislatore  (art.  8)  ed   e'
compatibile con la  divisione  dei  creditori  in  piu'  classi,  cui
accordare trattamenti differenziati (art. 7, comma 1). 
    Sempre in ragione di un evidente parallelismo con  la  disciplina
del  concordato  preventivo   dettata   nella   legge   fallimentare,
l'intervento giurisdizionale si scompone in una  preventiva  fase  di
ammissibilita' della proposta,  cui  segue  quella  di  omologazione,
sempre che il piano proposto dal debitore sia stato  approvato  dalla
maggioranza qualificata dei creditori,  pari  al  60  per  cento  dei
crediti ammessi al voto. Approvata dalla maggioranza dei creditori  e
omologata dal giudice,  anche  la  proposta  resa  dal  debitore  non
fallibile vincola tutti i creditori, compresi quelli  dissenzienti  e
preclude  la  possibilita'  di  aggredire  i  beni  del  debitore  ai
creditori titolari di crediti posteriori alla data in  cui  e'  stata
effettuata la pubblicita' del decreto di ammissione (art.  12,  comma
3). 
    7.2.- Da quanto sopra  evidenziato,  emerge  con  chiarezza  come
entrambe le procedure abbiano una base  negoziale  (giacche'  passano
imprescindibilmente da una deliberazione di  assenso,  anche  tacito,
dei creditori) che non le pone, tuttavia, al di fuori dell'area delle
procedure concorsuali:  risultano,  infatti,  pervase  dal  principio
della parita' di trattamento dei creditori concorsuali; prevedono  il
blocco delle iniziative esecutive individuali in danno del patrimonio
del proponente (ex art. 168, comma 1, della legge fallimentare e art.
10, comma 2, lettera c, della legge n. 3 del  2012);  impongono,  sin
dall'ammissione e sino all'omologazione, un  parziale  spossessamento
della  capacita'  di  disporre  dei  beni  (art.  167   della   legge
fallimentare e art. 10, comma 3-bis, della  legge  n.  3  del  2012),
nonche' la cristallizzazione degli accessori (ex artt. 55, cosi  come
richiamato dall'art. 169, comma 1,  della  legge  fallimentare  e  9,
comma 3-quater, della legge n.  3  del  2012);  infine  le  procedure
suddette risultano sottoposte alla verifica giurisdizionale, in  sede
di ammissione e di successiva omologa, dalla quale ultima promana  la
vincolativita' della decisione  per  tutti  creditori,  anche  quelli
contrari alla approvazione. 
    Sia l'accordo proposto dal debitore non fallibile sia la proposta
di concordato, inoltre, si muovono  lungo  le  direttrici  comuni  ad
entrambi della fattibilita' (intesa come  effettiva  possibilita'  di
realizzare  il  programma  predisposto  dal  debitore  per   giungere
all'adempimento  prospettato)  e  della  convenienza  della  proposta
rispetto alla possibile  alternativa  liquidatoria;  convenienza  che
diviene regola di giudizio imprescindibile  e  non  solo  momento  di
valutazione rimesso  alla  scelta  ponderata  della  maggioranza  dei
creditori, allorquando vi sia una contestazione specifica da parte di
un creditore dissenziente in sede di omologa o laddove  sia  previsto
il pagamento in percentuale di crediti muniti di prelazione. 
    Soprattutto,  pur  nella  loro  autonomia  di  sistema,  le   due
procedure in questione sono  caratterizzate  da  una  identica  ratio
finalistica:  limitare  il   ricorso   a   procedure   esclusivamente
demolitorie,  garantendo,  in  via  anticipata,  ai   creditori   una
soddisfazione  anche  solo  parziale  governata  dalla  par  condicio
nonche', al contempo, al debitore di godere della esdebitazione senza
attendere il corso della liquidazione. 
    8.- In  questa  complessiva  cornice  di  riferimento  assume  un
rilievo  essenziale,  nell'ottica  che  immediatamente  interessa  lo
scrutinio di legittimita' sollecitato dal rimettente, il  tema  della
falcidia dei crediti privilegiati. 
    8.1.- In entrambe le procedure viene lasciata  al  proponente  la
piu' ampia liberta' nel  predisporre  il  contenuto  della  proposta,
compresa la parziale soddisfazione dei crediti favoriti da prelazione
e, tra questi, anche di quelli tributari. 
    L'accordo di composizione, al  pari  del  concordato  preventivo,
prevede infatti la possibile falcidiabilita' dei crediti privilegiati
in deroga al principio dettato dall'art.  2741  cod.  civ.,  giacche'
l'art. 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012 riproduce, in parte qua,
il contenuto dell'art. 160, comma 2, della legge fallimentare. 
    In  particolare,  il  pagamento  parziale  dei  crediti   risulta
condizionato al positivo riscontro del  favor  che  la  proposta  del
debitore deve accordare  alla  soluzione  di  definizione  preventiva
della  crisi  rispetto   alla   alternativa   liquidatoria,   secondo
indicazioni valutative che il  legislatore  rimette  all'attestazione
resa da un terzo, il quale, al  di  la'  del  profilo  relativo  alla
relativa nomina, deve comunque svolgere la propria attivita' in  modo
indipendente. Mentre nel concordato preventivo (art.  160,  comma  2,
della legge fallimentare) siffatta attivita' viene  demandata  ad  un
professionista terzo che rivesta i  requisiti  di  cui  all'art.  67,
comma 3, lettera d), della stessa legge, nella procedura di  accordo,
qui considerata, il medesimo ruolo,  ai  sensi  del  secondo  periodo
dell'art. 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012, viene  svolto  dagli
organismi di composizione della crisi di cui al successivo art. 15. 
    8.2.- Le due procedure si disallineano, invece, in  relazione  al
trattamento dei debiti  tributari,  pur  se  entrambe,  in  linea  di
principio, consentono la falcidia anche di queste poste di credito. 
    8.2.1.- Nel concordato preventivo, la disciplina  di  riferimento
e' attualmente dettata, in forza delle modifiche apportate  dall'art.
1, comma 81, legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019), dall'art. 182-ter della legge  fallimentare  (la
cui rubrica e' oggi denominata «Trattamento dei crediti  tributari  e
contributivi» e non piu' «Transazione fiscale»). 
    Prendendo le distanze dal  precedente  assetto  normativo,  cosi'
come interpretato dalla giurisprudenza di  legittimita'  (sul  punto,
Corte di cassazione, sezioni unite, 27 dicembre 2016, n. 26988  e  13
gennaio 2017, n. 760, che hanno mutato l'orientamento espresso  dalla
Corte di cassazione, sezione prima, 4 novembre 2011, n.  22931  e  n.
22932), la  legge  fallimentare  nel  suo  vigente  tenore  legittima
domande di  concordato  preventivo  che  prevedano  la  falcidia  dei
crediti tributari esclusivamente se proposte attraverso il meccanismo
procedurale  definito   dal   citato   art.   182-ter   della   legge
fallimentare. In questa cornice, le proposte  di  concordato  possono
prevedere «il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi  e
dei relativi accessori amministrati dalle  agenzie  fiscali,  nonche'
dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza
e assistenza obbligatorie e dei relativi  accessori»,  senza  imporre
deroghe di  sorta  quanto  alle  tipologie  delle  poste  di  credito
falcidiabili. Infine, come  nel  passato,  l'ammissibilita'  di  tali
proposte  risulta  condizionata  alla  previsione  di  un  grado   di
soddisfazione del credito  falcidiato  «in  misura  non  inferiore  a
quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul
ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato
attribuibile ai beni o ai diritti sui  quali  sussiste  la  causa  di
prelazione», nonche' al rispetto del rango di riferimento, laddove il
relativo credito sia assistito da privilegio. 
    8.2.2.- Anche la normativa dettata per l'accordo di  composizione
della  crisi  del  debitore  non  fallibile   prevede   la   generale
falcidiabilita' dei crediti tributari, privilegiati  e  chirografari,
ma, a differenza della legge fallimentare, la esclude in  riferimento
al regime dell'IVA (oltre che per gli altri crediti  descritti  dalla
disposizione censurata). 
    8.3.-   Ferma   dunque   la   regola   comune   della    generale
falcidiabilita' delle pretese tributarie, anche se  privilegiate,  le
due discipline trovano un tratto di differenziazione,  per  quel  che
immediatamente interessa, proprio nel regime previsto per l'IVA. 
    8.4.- Per meglio comprendere il tenore di tale  differenziazione,
tuttavia,  occorre  soffermarsi  sull'evoluzione  che  nel  tempo  ha
assunto l'art. 182-ter della  legge  fallimentare,  alla  luce  della
stratificazione normativa che ne ha riguardato il  disposto,  nonche'
delle letture interpretative che di tale  previsione  normativa  sono
state offerte nel tempo dalla giurisprudenza, anche di questa  Corte,
proprio con riferimento al  tema  della  deroga  al  principio  della
generale falcidiabilita' delle pretese tributarie  all'interno  della
procedura di concordato preventivo. 
    8.4.1.- La disposizione  di  cui  all'art.  182-ter  della  legge
fallimentare e' stata inserita all'interno della  legge  fallimentare
in forza di quanto previsto dall'art. 146, comma 1, del d.lgs.  n.  5
del 2006. E' stata poi novellata piu' volte: in primo luogo dall'art.
32, comma 5, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008,  n.  185
(Misure urgenti per il sostegno a  famiglie,  lavoro,  occupazione  e
impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico
nazionale), convertito con modificazioni nella legge 28 gennaio 2009,
n.  2;  successivamente  dall'art.  29,  comma  2,  lettera  a),  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito con modifiche nella  legge  30  luglio  2010  n.  122;  da
ultimo, per quanto gia' evidenziato, dall'art.  1,  comma  81,  della
legge n. 232 del 2016, tramite il quale si e'  pervenuti  all'attuale
versione, evocata dal rimettente quale  tertium  comparationis  della
denunziata violazione dell'art. 3 Cost. 
    8.4.2.- Nella sua originaria versione,  la  falcidia  dei  debiti
tributari  prevista  dalla  transazione  fiscale  vedeva  un   limite
espresso nelle sole risorse proprie dell'Unione europea, senza  alcun
specifico   riferimento   all'IVA.   Cio'   malgrado,   secondo    la
giurisprudenza  di  legittimita',  qualunque  concordato  preventivo,
anche quello modulato  avvalendosi  della  transazione  fiscale,  non
poteva comunque prevedere la falcidia dell'IVA; cio' sull'assunto che
si trattasse di un tributo costituente  risorsa  propria  dell'Unione
europea  (sul  punto,  le  gia'  citate  sentenze  della   Corte   di
cassazione, sezione prima, n. 22931 e n. 22932 del 2011). 
    La novella apportata dal d.l. n. 185 del 2008 risolse ogni dubbio
sotto questo  versante,  introducendo  espressamente  il  divieto  di
falcidia dell'IVA. 
    Come chiarito dai relativi lavori  preparatori,  tale  previsione
venne  giustificata  della  necessita'  di  non  contravvenire   alla
normativa comunitaria che vieta «allo Stato membro  di  disporre  una
rinuncia  generale,  indiscriminata  e  preventiva  al   diritto   di
procedere ad accertamento  e  verifica»  (Camera  dei  Deputati,  XVI
Legislatura, Relazione illustrativa al disegno  di  legge  n.  1972),
secondo  i  principi  contenuti  nella  direttiva   2006/112/CE   del
Consiglio 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta  sul
valore aggiunto (da ora in avanti: direttiva IVA). 
    Con la novella del  2010,  inoltre,  il  divieto  della  falcidia
previsto per l'IVA e per i tributi  costituenti  risorse  dell'Unione
europea e' stato esteso alle ritenute fiscali. 
    8.4.3.-  Da  tale  excursus  normativo  emerge,  dunque,  che  la
disciplina prevista per il concordato preventivo, quanto alle deroghe
inerenti al principio generale della falcidiabilita' dei  crediti  di
matrice tributaria, recava, alla data  di  introduzione  della  norma
censurata, intervenuta  con  il  d.l.  n.  179  del  2012,  contenuti
sostanzialmente identici  a  quelli  che  ancora  oggi  connotano  il
portato dell'art. 7, comma 1 della legge n. 3 del 2012.  Sia  per  il
concordato preventivo, sia per l'accordo  proposto  ai  creditori  in
forza della legge n. 3 del 2012, la falcidia  dei  crediti  tributari
era dunque consentita con l'esclusione di quanto dovuto per IVA,  per
altri  tributi  costituenti  risorse  dell'Unione  europea,  per   il
versamento delle ritenute fiscali. 
    Una tale coincidenza di contenuti trovava ragion  d'essere  nella
chiave  tipicamente  concordataria  assunta  dai  rimedi   preventivi
offerti dalla disciplina dettata dalla legge n. 3 del 2012  in  esito
alla riforma apportata dal citato d.l. n. 179 del 2012 (Senato  della
Repubblica, XVI Legislatura, Relazione  illustrativa  al  disegno  di
legge n. 3533); muoveva a conferma, inoltre, della comune  ratio  che
fondava le due discipline in parte qua, legata alla  natura  dell'IVA
quale risorsa dell'Unione europea,  in  quanto  tale  intangibile  in
ordine alla sua integrale  riscossione  da  parte  di  ciascun  Stato
membro. 
    8.5.- Siffatto assetto normativo e' stato ritenuto conforme  alla
Costituzione da questa Corte (sentenza n. 225 del 2014 e ordinanza n.
232 del 2015). 
    Sollecitata al sindacato  di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 160 e 182-ter della legge fallimentare, nel  contenuto  vigente
all'epoca,  in  riferimento  all'asserita  violazione  dei   medesimi
parametri evocati dall'ordinanza in esame, in ragione del divieto  di
falcidia dell'IVA che tali disposizioni comportavano, questa Corte ha
ritenuto non fondate le relative questioni muovendo,  per  l'appunto,
dalla «natura dell'IVA come imposta la cui disciplina  e'  fortemente
armonizzata  a  livello  comunitario  in  quanto  "risorsa   propria"
dell'Unione europea», tale da giustificare «i vincoli  derivanti  per
gli Stati membri nell'accertamento e nella  riscossione  dell'imposta
in esame» (sentenza n 225 del 2014). 
    Nelle citate decisioni di questa Corte e' stato dato fondamentale
rilievo alla giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea in relazione ai limiti imposti al legislatore nazionale dalla
normativa unionale di riferimento e, in particolare,  alla  direttiva
IVA.  Si  e'  cosi'  rimarcata   l'indisponibilita   della   relativa
disciplina da parte degli stati membri e  dunque  «l'incompatibilita'
con la disciplina comunitaria dell'IVA» di normative interne  dirette
a prevedere la «rinuncia generale e  indiscriminata  all'accertamento
delle operazioni imponibili effettuate nel  corso  di  una  serie  di
periodi imposta» (citata sentenza n. 225 del 2014). 
    Di  qui  la  scelta  di  negare  la  fondatezza  sia  all'addotta
violazione dell'art. 97 Cost.,  perche'  «la  previsione  legislativa
della  sola  modalita'  dilatoria  in  riferimento  alla  transazione
fiscale avente ad oggetto il credito IVA deve essere intesa  come  il
limite massimo di espansione della procedura transattiva  compatibile
con  il  principio  di  indisponibilita'  del  tributo»;   sia   alle
denunziate  discriminazioni  di  trattamento  tra  le  categorie   di
creditori ammessi a partecipare al concordato preventivo, in presenza
di  una  «disciplina  eccezionale  attributiva  di  un   "trattamento
peculiare e inderogabile"» quale quella prevista per l'IVA,  tale  da
deprivare di rilievo anche la questione  prospettata  in  riferimento
all'art. 3 Cost. (cosi', la medesima sentenza n. 225 del 2014). 
    8.6.- Rispetto a siffatto consolidato quadro  interpretativo,  ha
assunto una valenza decisiva la  decisione  della  CGUE,  sentenza  7
aprile 2016, in causa C-546/14, Degano Trasporti sas,  resa  peraltro
in esito ad un rinvio pregiudiziale sollevato  dallo  stesso  odierno
tribunale rimettente. 
    Nell'occasione, il Tribunale ordinario  di  Udine  si  trovava  a
delibare  sull'ammissibilita'  della  proposta   di   un   concordato
preventivo  che,  per  quanto  proposto  senza  transazione  fiscale,
prevedeva comunque la falcidia dei crediti  tributari  e  tra  questi
dell'IVA, sul presupposto della convenienza della  proposta  rispetto
alla alternativa liquidatoria. Ritenendo  coerente  una  lettura  del
dato normativo interno con i termini di tale proposta,  il  tribunale
interrogo' la Corte di Lussemburgo in ordine alla  compatibilita'  di
una siffatta normativa  con  l'art.  4,  paragrafo  3,  del  Trattato
sull'unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato
in vigore il 1° novembre 1993 (da ora in poi: TUE), nonche' gli artt.
2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA, dai quali emerge  che
gli  Stati  membri  hanno  l'obbligo  di  adottare  tutte  le  misure
legislative e amministrative atte a garantire il  prelievo  integrale
dell'IVA nel loro territorio. 
    La CGUE, dopo aver ricordato che, nell'ambito del sistema  comune
dell'IVA, gli Stati membri beneficiano  di  una  certa  autonomia  di
intervento, ha altresi' ribadito che  «[t]ale  liberta'  e'  tuttavia
limitata dall'obbligo di garantire una  riscossione  effettiva  delle
risorse proprie dell'Unione e da  quello  di  non  creare  differenze
significative nel modo di  trattare  i  contribuenti,  e  questo  sia
all'interno di uno degli Stati membri che nell'insieme dei medesimi». 
    Muovendo  da  tale  indicazione  di  principio,   la   Corte   di
Lussemburgo ha quindi ritenuto  che  «l'ammissione  di  un  pagamento
parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore in  stato  di
insolvenza, nell'ambito di una  procedura  di  concordato  preventivo
come prevista  dalla  normativa  nazionale  di  cui  al  procedimento
principale, non debba ritenersi  contraria  all'obbligo  degli  Stati
membri  di  garantire  il  prelievo  integrale  dell'IVA   nel   loro
territorio nonche' la riscossione  effettiva  delle  risorse  proprie
dell'Unione». 
    Con  la  decisione  in  oggetto,  la  CGUE,  in  particolare,  ha
attribuito rilievo alle connotazioni della procedura nel corso  della
quale viene vagliata tale  proposta  di  parziale  soddisfazione  del
credito IVA, rimarcando che il concordato preventivo e'  soggetto  «a
presupposti di applicazione rigorosi, allo scopo di offrire  garanzie
per  quanto  concerne,  in  particolare,  il  recupero  dei   crediti
privilegiati e pertanto dei crediti IVA. In tal senso, anzitutto,  la
procedura di concordato preventivo  comporta  che  l'imprenditore  in
stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio  per  saldare  i
propri debiti. Se tale patrimonio non  e'  sufficiente  a  rimborsare
tutti i crediti, il pagamento parziale  di  un  credito  privilegiato
puo' essere ammesso solo se un esperto indipendente attesta che  tale
credito  non  riceverebbe  un  trattamento  migliore  nel   caso   di
fallimento del debitore. La procedura di concordato preventivo appare
quindi tale da consentire di accertare che, a causa  dello  stato  di
insolvenza dell'imprenditore, lo Stato membro interessato  non  possa
recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore» (paragrafi 23 e
24). Per altro verso, la decisione in questione mette in evidenza che
la proposta di concordato preventivo e' soggetta al voto di  tutti  i
creditori ai quali il debitore non proponga  un  pagamento  integrale
del loro credito e «che deve essere approvata da tanti creditori  che
rappresentino la maggioranza del totale  dei  crediti  dei  creditori
ammessi al voto» (paragrafo 8):  nell'assunto  argomentativo  seguito
dalla Corte di Lussemburgo, la relativa procedura offre, dunque, allo
Stato membro  interessato  «la  possibilita'  di  votare  contro  una
proposta  di  pagamento  parziale  di  un  credito  IVA  qualora,  in
particolare,   non   concordi   con   le   conclusioni   dell'esperto
indipendente»  (paragrafo  26);  laddove,  poi,  la  proposta   venga
omologata  con  il  voto  contrario  dell'amministrazione,   consente
comunque allo Stato membro interessato di  contestare  ulteriormente,
mediante opposizione, un concordato che preveda un pagamento parziale
di un credito IVA, favorendo il controllo giudiziale sul punto. 
    La CGUE ha quindi concluso  ritenendo  che  «l'ammissione  di  un
pagamento parziale di un credito IVA, da parte di un imprenditore  in
stato di insolvenza,  nell'ambito  di  una  procedura  di  concordato
preventivo  [...]   non   costituisce   una   rinuncia   generale   e
indiscriminata  alla   riscossione   dell'IVA,   non   e'   contraria
all'obbligo degli Stati membri di  garantire  il  prelievo  integrale
dell'IVA nel loro territorio, nonche' la riscossione effettiva  delle
risorse proprie dell'Unione» (paragrafo 28). 
    8.6.1.-  Conclusione,  questa,  ribadita  anche  nelle   relative
argomentazioni  della  successiva  decisione,  Corte   di   Giustizia
dell'Unione europea, 17 marzo 2017, in causa C-493/15, Agenzia  delle
entrate  contro  Marco  Identi,  resa   in   esito   alla   questione
pregiudiziale sollevata dalla Corte di  cassazione,  sezione  quarta,
con  ordinanza  del  1°  luglio  2015,  n.   13542,   relativa   alla
compatibilita' con il diritto dell'Unione europea delle norme dettate
dalla  legge  fallimentare  (artt.  142  e  seguenti)  in   tema   di
esdebitazione, nella parte  in  cui  consentono  la  liberazione  del
fallito anche con riferimento alla parziale soddisfazione del  debito
IVA. 
    8.7.- Tali decisioni della Corte di Lussemburgo hanno determinato
un  radicale  cambio  di  tendenza  quanto  al  quadro  normativo   e
interpretativo di riferimento sul tema della falcidia del credito IVA
all'interno della procedura di concordato preventivo. 
    In particolare, hanno costituito la ragione fondante dell'attuale
tenore  dell'art.  182-ter  della  legge  fallimentare,  cosi'   come
modificato dall'art. 1, comma 81, della legge n.  232  del  2016,  in
forza del quale, con riguardo alle procedure promosse dal 1°  gennaio
2017 (data di vigenza della novella apportata dalla legge n. 232  del
2016), le domande di concordato preventivo non  trovano  piu'  limiti
quanto al tipo di tributi possibile oggetto  di  falcidia:  l'odierna
previsione legislativa di riferimento  (l'art.  182-ter  della  legge
fallimentare,  per  l'appunto),  l'unica  che   attualmente   risulta
chiamata a regolare proposte  di  concordato  destinate  ad  incidere
sulle  prospettive  di  soddisfazione  del  credito  tributario,  non
riproduce piu' le originarie deroghe. 
    8.8.- Giova infine segnalare che, con il decreto  legislativo  12
gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi di impresa e  dell'insolvenza
in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155; da ora in  avanti:
CCII), il legislatore ha da ultimo operato una revisione  complessiva
della disciplina relativa  alle  procedure  concorsuali,  all'interno
della quale risulta anche  ridisegnata  la  normativa  relativa  alle
crisi da sovraindebitamento, attualmente disciplinata dalla legge  n.
3 del 2012. 
    Sono diverse le novita' offerte dal CCII,  comunque  estranee  al
giudizio  principale  (e  dunque  anche  all'odierno   incidente   di
illegittimita'  costituzionale),  perche'  operative  solo   per   le
procedure instaurate dopo il 15 agosto 2020 (artt. 389,  comma  1,  e
390, commi 1 e 2, del citato d.lgs. n. 14 del 2019). 
    Tra queste, per quel che qui direttamente interessa, va rimarcato
che le nuove disposizioni sul sovraindebitamento contenute nel  CCII,
sia con  riferimento  al  concordato  minore  (ovverosia  il  vecchio
accordo di composizione, ora disciplinato dagli artt. 74  e  seguenti
del  citato  decreto),   sia   in   relazione   alla   procedura   di
"ristrutturazione dei debiti del consumatore" (l'originario piano del
consumatore, oggi regolato dagli artt. da 67 a  73),  prevedono,  una
volta entrata in vigore, il possibile pagamento parziale dei  crediti
privilegiati e tra questi  anche  di  quelli  tributari,  senza  piu'
riprodurre il divieto di falcidia, attualmente previsto  dalla  norma
censurata. Cio' sempre che la proposta  sia  maggiormente  favorevole
rispetto alla prospettiva liquidatoria, in  termini  non  diversi  da
quanto previsto dall'attuale  disciplina  del  concordato  preventivo
relativamente alla falcidia dei crediti privilegiati (attualmente  ai
sensi degli artt. 160 e 182-ter della legge  fallimentare,  destinati
ad essere sostituiti dagli artt. 85 e 88 del CCII). 
    9.-  Venendo  allo  scrutinio  delle  censure   prospettate   dal
rimettente, giova in primo luogo evidenziare che  tale  disamina  non
risulta   nel   caso   impedita   da   pregiudiziali    profili    di
inammissibilita'. 
    9.1.- Le argomentazioni spese dal rimettente  sulle  connotazioni
del giudizio principale, destinate ad incidere sulla rilevanza  della
questione, sono da ritenersi compiute e plausibili. 
    In particolare, il  rimettente  si  e'  soffermato  adeguatamente
sulle  condizioni  di  ammissibilita'  del  ricorso,  ricavabili  dal
complessivo tenore degli artt. 7, 8 e 9 della legge n.  3  del  2012,
approfondendo in particolare i  termini  afferenti  le  precondizioni
previste dal comma 2 dell'art. 7, negandone la ricorrenza. In  questa
ottica, il giudice a quo rimarca con puntualita' il rilievo  ostativo
che deriva dall'applicabilita' della disposizione censurata  rispetto
all'ulteriore corso della procedura posta al suo giudizio. 
    9.2.-  Sempre  preliminarmente,  va  altresi'  rimarcato  che  il
rimettente  ha  provveduto   ad   un   pregiudiziale   scrutinio   di
compatibilita'  della   disposizione   censurata   con   il   diritto
dell'Unione europea e, in particolare, con l'art. 273 della direttiva
IVA; cio' in adesione alla giurisprudenza di questa Corte,  in  forza
della quale il giudizio sulla compatibilita'  della  norma  censurata
con il diritto dell'Unione europea  costituisce  un  prius  logico  e
giuridico rispetto al sindacato di legittimita' costituzionale in via
incidentale, poiche' ne mette in discussione la stessa applicabilita'
nel giudizio principale, cosi'  da  incidere  sulla  rilevanza  della
questione (ex multis, da ultimo, ordinanza n. 47 del 2017). 
    9.2.1.-  Nell'ordinanza,  dopo  un  puntuale  confronto  con  gli
orientamenti maturati nella  giurisprudenza  interna  successivamente
alle sentenze Degano Trasporti sas e  Agenzia  delle  entrate  contro
Marco Identi della Corte di Lussemburgo, si esclude che dall'art. 273
della direttiva  IVA,  cosi'  come  interpretata  dalla  CGUE,  possa
emergere  un  principio  chiaro  e  incondizionato,  suscettibile  di
applicazione diretta, che si ponga  in  immediata  antinomia  con  la
norma censurata tale da portare alla non applicazione della stessa. 
    9.2.2.- Le motivazioni spese dal rimettente in parte qua non solo
non  possono  ritenersi   implausibili,   ma   rivelano   anche   una
condivisibile ricostruzione del dato normativo di riferimento. 
    Con la sentenza Degano Trasporti sas, la Corte di Lussemburgo non
ha affermato l'incompatibilita' con il diritto dell'Unione in  ambito
IVA dell'allora vigente art. 182-ter della legge fallimentare,  nella
parte in cui imponeva il divieto di falcidia dell'IVA; piuttosto,  ha
ritenuto la compatibililita' con tale  diritto  di  una  disposizione
interna (l'art. 160, comma 2, della  legge  fallimentare),  che  tale
falcidia finiva per consentire (nella lettura che  ebbe  a  darne  il
giudice che sollevo' la questione pregiudiziale). 
    Il quadro normativo offerto dalla disciplina dell'Unione  europea
in tema di IVA conseguente alle letture che ne hanno dato le sentenze
soprarichiamate non mette,  peraltro,  in  discussione  il  principio
fondamentale  che  si  ricava  in  parte  qua  dalla  direttiva  IVA,
ovverosia l'esigenza di perseguire  l'obiettivo  di  una  riscossione
effettiva   e   integrale   dell'IVA;   ne',   ancora,   intacca   la
discrezionalita' lasciata  agli  stati  membri  nell'individuare  gli
strumenti piu' funzionali al fine in oggetto. 
    Da tali decisioni, piuttosto, emerge che non  sono  incompatibili
con l'esigenza di garantire una riscossione effettiva dell'IVA  norme
interne che, al verificarsi di determinati  presupposti  procedurali,
consentano una parziale riscossione del dovuto,  cosi'  da  garantire
una  maggiore  soddisfazione  degli  interessi  dell'Unione   europea
rispetto alla alternativa liquidatoria. 
    Tanto porta a ritenere compatibile  con  il  diritto  dell'Unione
l'attuale disposizione dettata in materia di  concordato  preventivo,
come ora formulata in esito alla novella apportata  nel  2016,  senza
che cio' determini, al contempo, l'incompatibilita' della scelta,  di
segno opposto, assunta dal legislatore nazionale nella  procedura  di
sovraindebitamento: quest'ultima, infatti,  ben  potrebbe  costituire
una delle vie attraverso il quale lo Stato membro intende  perseguire
l'obiettivo della piena riscossione del tributo imposto  dal  diritto
dell'Unione europea. 
    9.3.- Il giudice a quo ha anche escluso di poter accedere ad  una
interpretazione orientata del  dato  censurato  conforme  al  diritto
dell'Unione, in ragione della chiara ed univoca lettera dell'art.  7,
comma  1,  terzo  periodo,  della  legge  n.  3  del  2012,  che  non
permetterebbe una simile lettura. 
    9.3.1.- Anche questa valutazione deve ritenersi condivisibile nel
merito. 
    Sul piano letterale, l'uso della locuzione  «in  ogni  caso»  non
consente all'interprete alcun margine di manovra, precludendo la  via
dell'interpretazione conforme della disposizione interna ai  principi
e  agli  obiettivi  espressi  nella  direttiva  di  riferimento,  non
praticabile senza stravolgerne  il  significato  letterale.  Cio'  in
linea, del resto, con la giurisprudenza della CGUE,  in  forza  della
quale «l'obbligo per il giudice  nazionale  di  fare  riferimento  al
contenuto di una direttiva nell'interpretazione  e  nell'applicazione
delle norme pertinenti del diritto  nazionale  trova  un  limite  nei
principi  generali  del  diritto  e  non  puo'  servire   a   fondare
un'interpretazione contra legem  del  diritto  nazionale»  (Corte  di
Giustizia dell'Unione europea, 24 gennaio 2012,  Grande  Sezione,  in
causa C-282/10, Maribel Dominguez). 
    9.4.-  Non  diversamente,  il  tenore   letterale   della   norma
censurata, nel suo radicale rigore, preclude a monte, la possibilita'
sia  di  accedere  a  soluzioni   interpretative   costituzionalmente
orientate; sia a letture alternative del complessivo quadro normativo
di  riferimento  che,  in  una  ottica  di  sistema,  consentano   di
estendere,   alle   procedure   di   definizione    preventiva    del
sovraindebitamento  del  debitore   non   fallibile,   la   specifica
disciplina attualmente prevista per il concordato preventivo. 
    10.- Nel merito, le questioni sollevate dal  Tribunale  ordinario
di Udine devono ritenersi fondate in riferimento all'art. 3 Cost. 
    10.1.- Si e' piu' volte ribadito il parallelismo  che  corre  tra
l'accordo di composizione  della  crisi  da  indebitamento,  previsto
dalla normativa censurata e  il  concordato  preventivo  disciplinato
dalla legge fallimentare. 
    Il primo riproduce i tratti sostanziali della seconda  procedura,
ma soprattutto ne ribadisce la filosofia di fondo. Pur  a  fronte  di
una chiara  disomogeneita'  di  interessi,  quanto  ai  soggetti  che
possono  accedervi,  in  entrambe  le  procedure   viene   consentita
l'esdebitazione di chi e' gravemente  indebitato,  evitando  l'azione
liquidatoria, frazionata o complessiva,  del  relativo  patrimonio  e
favorendo, al contempo, una  immediata  ricollocazione  del  debitore
all'interno del circuito economico e sociale,  senza  il  peso  delle
esposizioni pregresse. 
    11.- In questo quadro di chiara  assonanza,  assumono  importanza
primaria le previsioni che attengono al regime previsto per i crediti
privilegiati e tra questi, per quelli di matrice tributaria. 
    La  regola  che  domina  le  due  procedure   e'   quella   della
falcidiabilita'  di  tali   poste   creditorie:   la   pretesa   alla
soddisfazione integrale del credito munito di  prelazione,  anche  di
natura tributaria, puo' recedere sull'altare della minor  convenienza
della   alternativa   liquidatoria   del   relativo   patrimonio   di
riferimento. 
    Infatti, gli artt. 160, comma 2, e 182-ter, comma 1, della  legge
fallimentare, per un verso, e l'art. 7, comma 1, della legge n. 3 del
2012, per altro verso, riproducono pedissequamente lo stesso  schema:
si deroga al principio di cui all'art. 2741 cod. civ. e si  determina
il conseguenziale  sacrificio  della  posizione  del  creditore  solo
perche',  nel  realizzare  la  finalita'  esdebitatoria,  viene  dato
comunque  rilievo  imprescindibile  alle  prospettive  di   effettiva
soddisfazione del credito munito di  prelazione,  che  devono  essere
maggiori   rispetto   a   quella   potenzialmente   derivante   dalla
liquidazione dei beni coperti dalla prelazione. 
    Il tutto all'interno di  percorsi  procedurali  comunque  rimessi
alla scelta deliberativa e  decisiva  dei  creditori,  subordinati  a
valutazioni estimative di assoluta serieta'  quanto  alla  incapienza
dei beni da liquidare a garanzia del dovuto;  soggetti  al  controllo
giurisdizionale, utile a verificare la fattibilita' della proposta  e
a definire anche i possibili  conflitti  concernenti  la  convenienza
della stessa. 
    11.1.- La falcidia delle posizioni garantite da  prelazione,  del
resto,  costituisce  un  passaggio  essenziale  sul  versante   della
funzionalita'   delle   procedure   preventive   che   mirano    alla
esdebitazione:  il  pagamento  integrale  dei  crediti  privilegiati,
compresi  quelli  tributari,  finirebbe  infatti  per  vanificare  il
vantaggio legato alla definizione preventiva della crisi  per  quelle
situazioni che, come ordinariamente accade, non  risultano  garantite
da una capienza patrimoniale che consenta un  integrale  ripianamento
delle esposizioni favorite dalla prelazione. 
    Di  qui  il  rilievo  che  occorre  ascrivere,  in  tali   ambiti
procedurali,  alla  regola  afferente  alla  falcidia   dei   crediti
privilegiati. 
    11.2.- Trasferendo le precedenti  argomentazioni  allo  specifico
settore delle pretese tributarie, non puo' non  rimarcarsi,  inoltre,
che, in questo  ambito,  la  possibilita'  di  operare  la  falcidia,
compensata  dalla  maggiore  soddisfazione  garantita  rispetto  alla
alternativa liquidatoria, costituisce diretta espressione dei  canoni
di economicita' ed efficienza ai quali  deve  conformarsi,  ai  sensi
dell'art. 97 Cost., l'azione di esazione della PA. 
    La  possibilita'  di  prospettare  un  pagamento  anche  parziale
dell'obbligazione tributaria,  pur  se  assistita  da  prelazione,  a
fronte  della  grave  situazione  debitoria   del   proponente,   non
adeguatamente  supportata  da  un  patrimonio  tale   da   assicurare
l'effettivita'  della  riscossione  anche  coattiva  della   relativa
pretesa, garantisce il male minore, sia per il privato debitore,  sia
per  l'amministrazione  finanziaria:  il   primo,   attraverso   tale
decurtazione, puo' evitare azioni liquidatorie  complessive,  se  del
caso anche protraendo  l'attivita'  economica  sino  a  quel  momento
svolta, acquisendo anche il diritto alla  esdebitazione;  la  seconda
realizza il miglior risultato possibile alla  luce  della  condizioni
patrimoniali e finanziarie del contribuente, evitando di far ricadere
sulla comunita' l'onere delle conseguenze  finanziarie  correlate  ad
una escussione fortemente  posta  in  dubbio  quanto  alle  effettive
possibilita' di recuperare il  credito  in  termini  piu'  favorevoli
rispetto al quantum proposto dal debitore. 
    12.-  Rispetto  alla   generale   falcidiabilita'   dei   crediti
privilegiati e tra questi anche dei crediti di natura tributaria,  il
trattamento dell'IVA, per quel che qui direttamente  interessa,  crea
un immediato ed ingiustificato disallineamento tra  le  procedure  in
discorso, come rimarcato dal giudice rimettente. 
    12.1.- Vale ribadire, peraltro, che in origine le disposizioni di
riferimento coincidevano. Anzi, proprio il parallelismo  tra  le  due
procedure era stata la ragione fondante della disposizione censurata:
ricostruite in  chiave  concordataria,  le  procedure  preventive  di
definizione della crisi e dell'insolvenza  del  debitore  civile  non
potevano che riprodurre il divieto di falcidia dell'IVA, alla  stessa
stregua dell'allora  vigente  ed  identica  norma  dettata  dall'art.
182-ter,  comma  1,  della  legge  fallimentare,  per  il  concordato
preventivo. 
    Diversamente  si  sarebbe   creata   una   irrazionale   distonia
comportante una illegittimita' costituzionale opposta  a  quella  qui
denunciata. 
    12.2.- La ratio della deroga, rispetto alla regola generale della
falcidiabilita' delle poste di credito privilegiate, contenuta  nella
disposizione censurata, puo' dunque essere ricostruita solo guardando
alla norma che ne ha  ispirato  il  contenuto:  anche  per  la  norma
censurata, dunque, assumono valenza dirimente gli effetti  attribuiti
alla  qualificazione  dell'IVA  come  risorsa   propria   dell'Unione
europea. 
    Secondo una prima impostazione, asseverata anche da questa  Corte
(con la citata sentenza n. 225  del  2014)  in  relazione  al  tenore
originario dell'art. 182-ter della legge fallimentare, il legislatore
interno, tenuto al prelievo integrale di  detta  risorsa  tributaria,
non avrebbe potuto introdurre disposizioni destinate ad  incidere  su
tale obiettivo. 
    La falcidiabilita', dunque, doveva  ritenersi  consentita,  nelle
procedure concorsuali con finalita' esdebitatorie,  in  via  generale
per tutti i tributi di esclusiva rilevanza interna; cio' non  valeva,
invece, per i tributi costituenti risorse dell'Unione (come  previsto
nell'originaria   formulazione   dell'art.   182-ter   della    legge
fallimentare),   e   tra   questi,   per   l'IVA   (come    precisato
successivamente con la novella apportata dal d.l. n. 185  del  2008),
rispetto alla quale era consentita la  sola  dilazione  del  relativo
adempimento, per scelta  imposta  da  obblighi  sovrannazionali,  non
derogabili dal legislatore italiano. 
    Il tutto alla luce di una interpretazione del diritto dell'Unione
europea in forza  della  quale  anche  la  falcidia  concorsuale  del
credito IVA altro non  avrebbe  rappresentato  se  non  una  indebita
rinuncia integrale al prelievo di  una  risorsa  propria  dell'Unione
europea, cosi' da replicare i vizi che, sotto tale  profilo,  avevano
portato l'Italia a patire il giudizio  di  incompatibilita'  rispetto
alle indicazioni  derivanti  dal  diritto  dell'Unione  europea,  con
riferimento ad altre disposizioni di legge sempre incidenti  sull'IVA
(valga, a tal fine, il riferimento a Corte di  Giustizia  dell'Unione
europea,  17  luglio  2008,  in  causa  C-132/06,  Commissione  della
comunita' europea contro Repubblica  italiana,  relativa  al  condono
"tombale" previsto dalla legge  27  dicembre  2002,  n.  289  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato», resa a ridosso della modifica normativa  apportata  nel
2008 all'art. 182-ter della legge fallimentare) 
    12.3.- Con la citata sentenza Degano Trasporti sas, la  Corte  di
Lussemburgo ha mutato,  pero',  tale  presupposto  interpretativo  di
riferimento, ritenendo compatibile una  norma  interna  (l'art.  160,
comma 2, della legge  fallimentare)  che,  inserita  in  un  percorso
sottoposto  al  sindacato  giurisdizionale,  consenta  un   pagamento
parziale del credito IVA qualora  sia  accertato  giudizialmente  che
tale soddisfazione garantisca comunque una  acquisizione  di  risorse
maggiore rispetto alla alternativa liquidatoria  e  venga  consentito
all'amministrazione interessata di esprimere  parere  contrario  alla
proposta del  debitore  oltre  che  di  opporsi  giudizialmente  alla
stessa, contestandone la convenienza. 
    12.4.- Tale decisione, come gia' evidenziato,  ha  costituito  la
ratio ispiratrice della novella apportata dalla legge n. 232 del 2016
alla disciplina del trattamento dell'IVA nel  concordato  preventivo,
in  forza  della  quale  oggi  la   falcidiabilita'   delle   pretese
tributarie, anche garantite da  prelazione,  non  vede  piu'  deroghe
espresse. 
    Per altro verso, assume rilievo anche  in  relazione  all'odierno
scrutinio di legittimita' costituzionale, perche', a  posteriori,  ha
tolto ragionevolezza alla scelta  adottata  dal  legislatore  con  la
norma censurata nel  definire  l'IVA  intangibile  all'interno  delle
procedure alternative alla liquidazione prevista dalla legge n. 3 del
2012. 
    13.-  La  differenza  di  disciplina  che  oggi  caratterizza  il
concordato preventivo e l'accordo di  composizione  dei  crediti  del
debitore civile non fallibile  da'  luogo  ad  una  ingiustificata  e
irragionevole disparita' di trattamento tale da concretare  l'addotta
violazione dell'art. 3 Cost. 
    In particolare, le modifiche da ultimo citate, innovando solo  in
relazione  alla   disciplina   del   concordato   preventivo,   hanno
determinato quella discrasia di sistema che in origine il legislatore
aveva inteso evitare ricostruendo il contenuto  della  norma  dettata
per il sovraindebitamento  del  debitore  non  fallibile  in  termini
sostanzialmente  riproduttivi  della  disciplina  all'epoca   vigente
dettata dall'art. 182-ter della legge fallimentare. 
    13.1.- Disparita', questa, che tocca in primo  luogo  i  debitori
interessati dalle procedure in questione, giacche'  non  v'e'  motivo
per  trattare  diversamente,  sotto  questo   profilo,   i   debitori
legittimati ad avvalersi della procedura di concordato preventivo  in
quanto  assoggettabili  a  fallimento:  la  ragione  di   fondo   che
giustifica la falcidia dell'IVA, al pari di quella di tutte le  altre
poste di credito privilegiate e tributarie, non puo' porsi in termini
differenziati per tutte  le  categorie  di  debitori  legittimati  ad
avvalersi di  una  procedura  concorsuale  esdebitatoria.  E  cio'  a
prescindere dal tipo di attivita' esercitata, imprenditoriale  o  no,
nonche' dalle dimensioni di tale attivita' ed all'incidenza economica
che ad esse si correla, trattandosi di elementi indifferenti rispetto
all'obiettivo perseguito  dalle  relative  procedure  di  definizione
della crisi. 
    Semmai, sotto quest'ultimo versante, l'ordinamento dovrebbe  dare
il giusto rilievo al fatto che l'intera normativa dettata in tema  di
sovraindebitamento  e'  stata  costruita  in  termini  di   beneficio
riconosciuto a tale vasta categoria di debitori,  che  non  raramente
maturano la relativa esposizione in  una  posizione  di  debolezza  o
comunque di asimmetria negoziale con i titolari delle relative  poste
creditorie. 
    13.2.- Del resto, la differenza di trattamento  sottolineata  dal
rimettente, trova conferma inequivoca nella  normativa  prevista  per
gli imprenditori agricoli gravemente indebitati. 
    Questi ultimi, in ragione di quanto previsto dall'art. 23,  comma
43, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti  per
la stabilizzazione finanziaria), convertito con  modificazioni  nella
legge 15 luglio 2011, n. 111, sono  legittimati  ad  avvalersi  degli
accordi di ristrutturazione dei  debiti  previsti  dall'art.  182-bis
della legge fallimentare, ai quali  risulta  estesa  l'applicabilita'
del successivo art. 182-ter della legge fallimentare, con conseguente
possibile falcidiabilita' dei debiti tributari, compresa l'IVA. 
    Al contempo gli stessi soggetti possono attivare anche  l'accordo
di composizione della crisi oggetto della odierna  censura  (art.  7,
comma 2-bis, della legge n. 3 del 2012), rispetto al quale, tuttavia,
la norma censurata impone il divieto di falcidia dell'IVA. 
    A fronte  dunque  di  una  situazione  oggettiva  sostanzialmente
simile (perche' il sovraindebitamento non  si  distanzia  in  termini
decisivi dai concetti  di  crisi  e  insolvenza  che  legittimano  lo
strumento di cui all'art.  182-bis  della  legge  fallimentare),  gli
stessi soggetti possono o no avvalersi della falcidia IVA  a  seconda
della procedura che scelgono di attivare. 
    13.3.- Piuttosto, la ragionevole sostenibilita' della  differenza
di trattamento in questione va misurata guardando alla ratio  sottesa
al divieto di falcidia dell'IVA; ratio,  come  piu'  volte  ribadito,
ascritta alla ritenuta indisponibilita' del relativo gettito da parte
del legislatore interno, siccome assertivamente imposta  dal  diritto
dell'Unione europea. 
    Siffatto assunto di  partenza,  tuttavia,  e'  stato  decisamente
posto in discussione dalla  piu'  volte  richiamata  sentenza  Degano
Trasporti sas con considerazioni che, seppur rivolte alla  disciplina
del concordato preventivo (nel suo assetto antecedente  alla  riforma
apportata  dalla  legge  n.  232  del  2016),  possono  trasporsi  in
direzione della norma censurata, considerate le piu' volte  rimarcate
affinita' che connotano le due procedure di  riferimento:  una  volta
chiarito che la normativa euro unitaria non impone sempre e  comunque
l'integrale  riscossione  della  risorsa,   anche   nell'accordo   di
composizione della crisi previsto dalla legge n.  3  del  2012  perde
coerenza quel giudizio di intangibilita'  del  credito  IVA  che,  in
origine, ha rappresentato la ratio  del  divieto  di  falcidia  della
relativa pretesa tributaria. 
    Di qui l'attuale  ingiustificata  dissonanza  di  disciplina  che
sussiste, in parte qua, tra le due procedure,  non  essendovi  motivi
che,  secondo  il  canore  della   ragionevolezza,   legittimino   il
trattamento differenziato cui risultano assoggettati i  debitori  non
fallibili rispetto  a  quelli  che  possono  accedere  al  concordato
preventivo. 
    13.4.- L'attuale assetto normativo, inoltre, crea  diseguaglianze
ingiustificate a caduta anche con riferimento agli  stessi  creditori
che partecipano all'accordo di composizione della crisi del  debitore
non fallibile. 
    Se per un verso - come evidenziato anche da questa Corte  con  la
sentenza  n.  225  del  2014   -   prima   di   tale   assetto,   era
l'indisponibilita' dell'IVA, determinata dalla  riconducibilita'  del
tributo alle risorse proprie  dell'Unione  europea,  che  finiva  per
porre questa imposta in  una  posizione  di  assoluta  intangibilita'
rispetto a tutte le altre voci di  credito  privilegiate  (le  quali,
anche se di rango poziore, finivano per risultare posposte a siffatta
pretesa tributaria); per altro verso, oggi, a seguito del  richiamato
orientamento della CGUE, tale situazione di preferenza  non  ha  piu'
ragion d'essere. 
    13.5.- Ne'  pare  che  la  violazione  dell'art.  3  Cost.  possa
ritenersi esclusa muovendo dall'assunto in forza del quale la  regola
della falcidiabilita'  dell'IVA,  ora  ricavabile  dall'art.  182-ter
della legge fallimentare, costituirebbe  un  beneficio  accordato  ai
debitori    fallibili    in    deroga    al    principio     generale
dell'indisponibilita' della obbligazione tributaria. Cio' al fine  di
richiamare,  in  ragione   di   tale   condizione   presupposta,   la
giurisprudenza di questa Corte in forza della  quale  un  trattamento
diverso  di  situazioni  analoghe  non  e'  di  per  se'  illegittimo
allorquando  quello  piu'  favorevole,  evocato  quale   momento   di
comparazione nell'ottica della denunziata disparita  di  trattamento,
assuma i caratteri della  eccezionalita'  (ex  plurimis,  da  ultimo,
sentenze n. 177 e n. 153 del 2017 e n. 111 del 2016). 
    13.5.1.- Tale assunto non e' condivisibile. 
    Non convince  l'affermazione  di  principio  che  assegna  natura
eccezionale alla regola della falcidiabilita'  dell'IVA,  attualmente
prevista dall'art. 182-ter della legge fallimentare, anche in sede di
concordato  preventivo  (sul  punto,  le  sentenze  della  Corte   di
cassazione, sezioni unite, n. 760 del 2017 e n. 26988 del 2016). 
    A ben vedere tale ultima disposizione non  prevede  letteralmente
la possibilita' di procedere ad una soddisfazione parziale  dell'IVA;
piuttosto, non replica piu' l'originale divieto di falcidia previsto,
tra  gli  altri,  per  tale  tributo,  in  un  quadro   di   generale
falcidiabilita' dei crediti tributari, chirografari e privilegiati. 
    L'art. 182-ter della legge fallimentare non  detta,  dunque,  una
specifica regola che possa, in  via  di  eccezione,  derogare  ad  un
principio generale. Costituisce, per contro, diretta  espressione  di
una indicazione generale, altro non rappresentando  che  una  diretta
declinazione, in relazione  alle  pretese  tributarie,  della  regola
della falcidiabilita' dei crediti  privilegiati,  prevista  dall'art.
160, comma 2, della stessa legge in tema  di  concordato  preventivo.
Principio, quest'ultimo, che, come  gia'  rimarcato,  deve  ritenersi
espressione tipica delle procedure concorsuali,  maggiori  o  minori,
con finalita' esdebitatoria, tanto da risultare replicato  anche  per
gli  strumenti  di  definizione  anticipata   delle   situazioni   di
sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3 del 2012. 
    14.- Di qui la fondatezza della questione  posta  in  riferimento
all'art. 3 Cost. Resta assorbita  la  censura  riferita  all'art.  97
Cost. 
    15.-  L'accoglimento  della   questione   porta,   in   coerenza,
all'ablazione delle parole  «all'imposta  sul  valore  aggiunto»  dal
terzo periodo del comma 1 dell'art. 7 della legge n. 3 del 2012. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  7,  comma  1,
terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012,  n.  3  (Disposizioni  in
materia di usura e di estorsione, nonche' di composizione delle crisi
da sovraindebitamento), limitatamente alle parole:  «all'imposta  sul
valore aggiunto». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA