N. 219 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 2019

Ordinanza  del  16  luglio  2019  del  Tribunale   di   Treviso   nel
procedimento civile promosso da S. G. contro P. M.. 
 
Sanzioni amministrative -  Famiglia  -  Controversie  insorte  tra  i
  genitori in ordine all'esercizio della responsabilita'  genitoriale
  o delle modalita' di affidamento - Gravi inadempienze  o  atti  che
  comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il  corretto
  svolgimento delle modalita' di affidamento -  Possibilita'  per  il
  giudice  di  modificare  i  provvedimenti  in   vigore   e,   anche
  congiuntamente, di condannare il genitore inadempiente al pagamento
  di una sanzione amministrativa pecuniaria. 
- Codice di procedura civile, art. 709-ter, comma secondo, numero 4). 
(GU n.50 del 11-12-2019 )
 
                        TRIBUNALE DI TREVISO 
                        Sezione prima civile 
 
    Nella persona dei seguenti magistrati: 
      dott.ssa Maria Teresa Cusumano, Presidente; 
      dott. Alberto Barbazza, giudice relatore; 
      dott.ssa Carlotta Brusegan, giudice; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento  R.G.  n.
462/2016 per  la  cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio
promossa da S. G., rappresentata e difesa dall'avv. Marco Pescarollo,
per mandato a margine  del  ricorso  introduttivo,  ed  elettivamente
domiciliata presso lo studio dello stesso in Treviso; - ricorrente; 
    Contro P. M., rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Manuel, per
mandato in  calce  alla  comparsa  di  costituzione  e  risposta,  ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dello  stesso  in  Treviso
(TV) - resistente; 
    e con l'intervento del Pubblico Ministero, interveniente ex lege; 
    Sentita la relazione del Giudice relatore; 
    Visti gli articoli 2, 3, 25, cometa secondo, e 117, comma  primo,
della Costituzione; 
    Visto l'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo; 
    Visto  l'art.  709-ter,  comma  secondo,  n.  4)  del  codice  di
procedura civile; 
    Il  Collegio  ritiene  di  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice  di
procedura civile nella parte in cui stabilisce che «in caso di  gravi
inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio  al  minore
od   ostacolino   il    corretto    svolgimento    delle    modalita'
dell'affidamento»,  il   Giudice   puo'   «condannare   il   genitore
inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa  pecuniaria,
da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000  euro  a  favore  della
Cassa delle ammende». 
    - Appare al Collegio rimettente, per i motivi che si andranno  ad
analizzare, che la sanzione  di  cui  alla  citata  disposizione  del
codice di  procedura  civile  debba  considerarsi,  alla  luce  della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,  di  natura
sostanzialmente penale. 
    - In particolare, poiche'  la  ricorrente  conclude  chiedendo  a
carico del resistente l'applicazione della sanzione ex art.  709-ter,
comma secondo n. 4) del codice  di  procedura  civile  e  poiche'  il
resistente, nel caso di specie, e' gia' stato condannato ex art.  570
del codice penale con sentenza passata in giudicato  per  i  medesimi
fatti per  i  quali  viene  chiesta  l'applicazione  di  tale  misura
afflittiva,  ritiene  il  Collegio  che  la  sanzione  violi,   nella
fattispecie all'esame del Tribunale rimettente, il principio  del  ne
bis in idem di cui all'art. 4 del Protocollo n.  7  alla  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo  (norma  che  costituisce,  nel  nostro
ordinamento, parametro interposto di legittimita'  costituzionale  ex
art. 117, comma primo, Cost.). 
    - Inoltre, ritiene il Collegio che tale  sanzione  contrasti  con
l'art. 25, comma secondo, Cost. nella parte in cui punisce gli  «atti
che  comunque  arrechino  pregiudizio  al   minore»,   essendo   tale
formulazione  lesiva  del  principio  di  tassativita'/determinatezza
della legge penale. 
    - Infine, ritiene il Collegio che l'art. 709-ter,  comma  secondo
n. 4) del codice di procedura civile contrasti con  l'art.  3,  comma
primo, della Costituzione nella parte in cui fissa il limite  massimo
dell'importo  della  sanzione  ivi  prevista  nella  somma  di   euro
5.000,00, integrando tale disposizione un'irragionevole disparita' di
trattamento sanzionatorio rispetto al precetto penale di cui all'art.
570 codice penale, il quale punisce  le  medesime  condotte  con  una
multa non superiore, nel massimo, ad euro 1.032,00. 
1. La questione e' rilevante per i seguenti motivi. 
    Con ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio
depositato in data 22 febbraio 2016, G. S. esponeva di aver contratto
matrimonio con M. P.  in  data  8  marzo  1997,  unione  dalla  quale
nasceva, l'8 agosto 1997, la figlia M. 
    Evidenziava la ricorrente che,  con  sentenza  n.  1910/2012,  il
Tribunale di Treviso -  Sezione  Civile  pronunciava  la  separazione
personale dei coniugi e affidava M.  in  via  esclusiva  alla  madre,
ponendo  in  capo  al  resistente   l'obbligo   di   contribuire   al
mantenimento della moglie  mediante  la  corresponsione  dell'assegno
mensile di euro 150,00 e al mantenimento  della  figlia  mediante  la
corresponsione dell'assegno mensile di  euro  400,00,  oltre  al  50%
delle spese straordinarie. 
    Il padre, tuttavia, rimaneva  inadempiente  tanto  dal  punto  di
vista morale quanto dal punto di vista materiale agli obblighi  posti
a suo carico dalla sentenza di  separazione.  Per  tale  ragione,  la
ricorrente, in aggiunta  alla  domanda  principale  di  pronuncia  di
cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio  e  alle  domande
inerenti  alle  questioni  economiche  fra  le  parti,  domandava  la
condanna del resistente al pagamento di una  sanzione  pecuniaria  in
favore della Cassa delle ammende ex art. 709-ter, comma  secondo,  n.
4) del codice di procedura civile. 
    All'udienza  del  22  novembre  2018,  le  parti  precisavano  le
conclusioni e il Giudice concedeva, su concorde istanza delle stesse,
i termini ex art. 190 del codice di procedura civile per il  deposito
di  comparse  conclusionali  e  repliche,  trattenendo  la  causa  in
decisione. 
    In allegato al  foglio  di  precisazione  delle  conclusioni,  la
ricorrente depositava copia della sentenza n. 651/2017, depositata in
data 30 maggio 2017, in forza della quale il Tribunale di  Treviso  -
Sezione Penale accertava la responsabilita' penale del resistente  ex
art. 570 codice penale per aver omesso di versare  il  contributo  al
mantenimento della figlia  nella  misura  di  cui  alla  sentenza  di
separazione. 
    Nonostante il passaggio in giudicato della sentenza  di  condanna
(circostanza pacifica in  quanto  mai  contestata  dalle  parti),  la
ricorrente insisteva nelle proprie  conclusioni,  per  l'accoglimento
della domanda ex art. 709-ter, comma secondo, n.  4)  del  codice  di
procedura civile in virtu'  dell'inadempimento  del  ricorrente  agli
obblighi  di  mantenimento  di  cui  alla  sentenza  di   separazione
(lamentando, nello specifico, il mancato  versamento  del  contributo
«dall'agosto  2013  in  poi»,  cfr.  foglio  di  precisazione   delle
conclusioni). 
    Il  resistente,  nella  comparsa   conclusionale,   si   opponeva
all'accoglimento della domanda ex art. 709-ter, comma secondo, n.  4)
del codice di procedura civile  sottolineando  che,  a  fronte  della
denuncia della ricorrente,  il  Tribunale  di  Treviso  si  era  gia'
pronunciato sui medesimi fatti con la sentenza n. 651/2017. 
    La domanda svolta dalla ricorrente appare al Collegio fondata  in
fatto e in diritto e pertanto dovrebbe trovare accoglimento. 
    1.1 Infatti, per quanto riguarda il profilo fattuale, deve essere
in primo luogo rilevato che il resistente non ha  mai  specificamente
contestato di non aver adempiuto ai propri obblighi di  contribuzione
nei confronti della figlia M. Tale circostanza puo'  conseguentemente
considerarsi pacifica fra le parti e, pertanto,  posta  a  fondamento
della decisione ex art. 115, comma primo,  del  codice  di  procedura
civile. 
    A  fronte  dell'allegazione  dell'inadempimento  del  resistente,
peraltro, sarebbe stato onere dello stesso, secondo  l'assetto  ormai
consolidato raggiunto dalla giurisprudenza di  legittimita',  fornire
la cosiddetta «prova liberatoria»  di  aver  correttamente  adempiuto
agli obblighi di mantenimento, ma tale prova non e' stata fornita. 
    Infine, l'accertamento contenuto nella sentenza penale passata in
giudicato,  quand'anche  non  avente  forza  vincolante  poiche'  non
rientrante nelle ipotesi di cui all'art. 651 del codice di  procedura
penale, puo' comunque essere valutato nel procedimento all'esame  del
Collegio quale argomento di prova,  ben  potendo  il  Giudice  civile
utilizzare gli elementi di prova acquisiti  gia'  in  sede  penale  e
ripercorrere il  medesimo  iter  argomentativo  seguito  dal  Giudice
penale. 
    In  sintesi,  non  sussiste  dubbio   alcuno   circa   l'avvenuto
inadempimento,  da   parte   del   resistente,   agli   obblighi   di
contribuzione economica in favore della figlia M. posti a suo  carico
dalla sentenza di separazione. 
    1.2 Per  quanto  riguarda  l'applicabilita',  in  diritto,  della
disposizione in esame al caso concreto, ritiene il  Collegio  che  il
mancato adempimento agli obblighi di mantenimento del figlio ex  art.
147 del codice civile integri la fattispecie di cui all'art. 709-ter,
comma secondo, del codice di procedura  civile  nella  parte  in  cui
sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore». 
    Tale conclusione e' corroborata da almeno tre argomenti  fondati,
rispettivamente, sul tenore letterale della disposizione, sullo scopo
della stessa e sulla volonta' del legislatore. 
    1.2.1 Per quanto riguarda, in primo luogo, il dato letterale,  la
formula «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore» appare di
ampiezza tale da ricomprendere una vasta categoria di fattispecie fra
le quali si ritiene debba necessariamente essere ricompreso anche  un
pregiudizio obiettivamente riscontrabile e determinabile quale quello
derivante dalla mancata contribuzione economica in favore del minore. 
    In conformita' con tale impostazione, anche parte della  dottrina
ha convenuto che «l'art.  709-ter  del  codice  di  procedura  civile
abbraccia  un  ampio  catalogo  di  comportamenti,  che  vanno  dalla
compressione del diritto  del  minore  alla  bigenitorialita'  (Trib.
Bari, 29 aprile 2010) e alla strumentale denuncia di gravi carenze  e
condotte penalmente rilevanti per neutralizzare la figura  dell'altro
genitore (Trib. min. Bologna, 22  luglio  2010),  dalla  collocazione
presso l'uno o l'altro genitore all'obbligo  di  tenere  con  se'  la
prole, dalla violazione delle disposizioni in  tema  di  mantenimento
alle controversie originate dalla richiesta da parte di  un  genitore
e/o coniuge della modifica dei  provvedimenti  della  separazione  di
carattere patrimoniale o concernenti i figli» (cfr.  G.  Finocchiaro,
Commento all'art. 709-ter del codice di procedura civile, in  Aa.Vv.,
Codice di procedura civile ipertestuale, a cura di L.P. Comoglio e R.
Vaccarella, Torino, 2008, p. 2795). 
    1.2.2  Quanto  al  criterio  teleologico-sistematico,  merita  di
essere sottolineato che l'assegno di mantenimento,  nei  procedimenti
di famiglia, viene  disposto  in  favore  del  genitore  che  risulta
affidatario del figlio minorenne o del genitore il quale provvede, in
misura prevalente, al mantenimento diretto del figlio maggiorenne  ma
non  economicamente  autosufficiente  in  osservanza  del  dovere  di
assistenza materiale nei confronti del figlio  di  cui  al  combinato
disposto degli articoli  30  della  Costituzione  e  147  del  codice
civile. 
    L'inadempimento  degli  obblighi  di  mantenimento  sottrae  alla
disponibilita' del figlio quelle  risorse  economiche  che  la  legge
impone siano destinate al soddisfacimento dei bisogni  dello  stesso,
con riferimento ai quali il genitore affidatario o  che  provvede  in
via prevalente al mantenimento diretto del figlio (qualora questi sia
maggiorenne ma non economicamente autosufficiente) potra' provvedere,
in caso  di  mancato  versamento  dell'assegno  da  parte  dell'altro
genitore, in misura obiettivamente inferiore. 
    Risulta pertanto  coerente  e  condivisibile  l'orientamento  del
Tribunale di Modena  quando  afferma  che  «la  norma  (...)  inoltre
sanziona gli atti che comunque arrechino  pregiudizio  al  minore  od
ostacolino il corretto svolgimento delle modalita'  dell'affidamento,
e  in  tale  ottica  vanno  comprese  anche  le  violazioni  d'ordine
economico,  atteso  che  la  sufficienza  di  risorse  economiche  e'
condizione  indispensabile   di   esplicazione   e   sviluppo   della
personalita' del minore e, al tempo stesso, condizione indispensabile
di  indipendenza  del  genitore  collocatario  nell'esercizio   delle
proprie facolta' genitoriali nell'interesse del minore stesso»  (cfr.
Trib. Modena, ord. 29 gennaio 2007 in Fam. e dir., 2007, 823). 
    1.2.3 Per quanto concerne l'esame della ratio legis, meritano  di
essere nuovamente condivise le motivazioni del Tribunale  di  Modena,
secondo il quale «in una materia cosi' delicata, se effettivamente il
legislatore avesse voluto escludere la  sanzionabilita'  di  condotte
pregiudizievoli delle condizioni economico-patrimoniali  del  minore,
lo avrebbe espressamente  disposto  con  una  formulazione  letterale
precisa e ben  diversa  da  quella  adottata,  che  e'  lessicalmente
riferibile ad ogni grave violazione ed ad ogni modalita' di  condotta
che sia di pregiudizio al minore; in altri  termini,  il  legislatore
non  avrebbe  tipizzato  l'illecito  come   fattispecie   causalmente
orientata, come invece ha fatto». 
    Tale argomento, d'altronde, trova  conferma  diretta  nei  lavori
preparatori  della  legge  8  febbraio  2006,  n.  54,  la  quale  ha
introdotto l'art. 709-ter nel codice di procedura civile. 
    Durante la seduta della Camera dei Deputati del 10 marzo 2005, e'
stato infatti affermato che «Sono  siate  individuate  per  la  prima
volta nel panorama normativa delle sanzioni  di  tipo  economico  nei
confronti del genitore inadempiente e a favore del figlio, oltre  che
del  coniuge  eventualmente  beneficiario  dell'assegno  consentendo,
cosi, una protezione molto maggiore e piu'  consolidata  ai  casi  di
inadempienza della relativa discussione». 
    Il Collegio e' a conoscenza  dell'esistenza  di  un  orientamento
contrario, in seno alla giurisprudenza di merito, secondo il quale le
sanzioni di cui  all'art.  709-ter,  comma  secondo,  del  codice  di
procedura civile non potrebbero trovare applicazione con  riferimento
all'inadempimento degli obblighi di mantenimento  nell'ambito  di  un
procedimento di separazione o di divorzio. 
    In tali termini, e' stato sostenuto che la natura di strumenti di
coercizione indiretta dei  provvedimenti  di  cui  all'art.  709-ter,
comma secondo, del codice di procedura civile ne preclude l'utilizzo,
nell'ambito di  tali  procedimenti,  relativamente  all'inadempimento
degli obblighi di natura economica dovendo il Giudice fare  uso,  con
riguardo a tali  fattispecie,  degli  ordinari  strumenti  coercitivi
predisposti dall'ordinamento al fine di garantire il  soddisfacimento
delle obbligazioni pecuniarie (cfr.,  in  tal  senso,  Trib.  Termini
Imerese, ord. 12 luglio 2006 in Foro it., 2006, I, col. 3243). 
    Tali considerazioni non risultano  decisive  per  due  ordini  di
ragioni. 
    In primo luogo, l'interpretazione enunciata risulta  estranea  al
tenore letterale dell'art. 709-ter,  comma  secondo,  del  codice  di
procedura civile, il quale non contiene  indici  normativi  idonei  a
sostenere l'esistenza di  tale  !imitazione  del  proprio  ambito  di
applicazione la cui ampiezza, peraltro, e' gia' stata evidenziata dal
Collegio. 
    In secondo luogo, l'interpretazione della disposizione  in  esame
fornita dal Tribunale  siciliano  nel  2006  risulta  contraria  alle
finalita' perseguite dal legislatore della riforma, ricavabili  tanto
dai   lavori   preparatori   della    stessa,    quanto    dall'esame
teleologico-sistematico della disposizione.  la  quale  sanziona  gli
«atti che comunque arrechino pregiudizio  al  minore»  a  prescindere
dalla natura dell'inadempimento che origina tali pregiudizi. 
    1.3  La  questione  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
709-ter, comma secondo, n. 4)  del  codice  di  procedura  civile  e'
pertanto  rilevante  poiche',  per  le  ragioni  fin  qui  enunciate,
sussistono i presupposti  in  fatto  e  le  ragioni  in  diritto  per
l'applicazione della citata disposizione alla  fattispecie  all'esame
del Collegio rimettente. 
2. La questione appare non manifestamente infondata per  le  seguenti
ragioni. 
    Rispetto  alle  dedotte  censure  di   incostituzionalita'   deve
preliminarmente  essere  analizzata  la   questione   relativa   alla
qualificazione della sanzione di cui all'art. 709-ter, comma secondo,
n. 4) del codice di procedura civile. 
    La giurisprudenza della  Corte  EDU,  con  riguardo  alla  natura
giuridica delle  sanzioni  previste  dagli  ordinamenti  degli  stati
membri, ha storicamente optato  per  una  nozione  «sostanzialistica»
della stessa, rimarcando la necessita' di non fermarsi  all'etichetta
formale che il singolo Stato  attribuisce  a  una  propria  sanzione,
dovendo la natura  della  stessa,  invece,  essere  indagata  secondo
indici di natura sostanziale. 
    Tramite tale procedimento di indagine, la Corte EDU e' giunta  ad
elaborare una vera  e  propria  nozione  sostanziale  della  «materia
penale»,  nozione  autonoma  e  talvolta  in  contrasto  con   quella
sviluppatasi  negli  ordinamenti  interni  degli  stati  aderenti,  e
vincolante nei confronti degli stessi  in  considerazione  del  ruolo
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella gerarchia delle
fonti del diritto. 
    Dal riconoscimento della natura  sostanzialmente  penale  di  una
sanzione discende, quale corollario  logico,  l'applicabilita'  delle
disposizioni della Convenzione stabilite per la materia  penale,  fra
le quali, come si dira', l'art. 4 del Protocollo n. 7. 
    L'approccio   «sostanzialista»    della    Corte    ha    trovato
riconoscimento espresso, per la prima volta, con la celebre  sentenza
Engel e altri c. Paesi Bassi del 1976, nella quale la  Corte  EDU  ha
delineato tre criteri fondamentali di indagine in merito alla  natura
giuridica di una sanzione: 
      a) la qualificazione giuridica interna  dell'illecito  e  della
sanzione; 
      b) la natura dell'illecito; 
      c) la natura e gravita' della sanzione. 
    2.1 Con riguardo al primo criterio, la Corte EDU ha ribadito  che
la qualificazione giuridica interna dell'illecito  e  della  relativa
sanzione non puo' che essere il punto di partenza  dell'indagine,  la
quale pero'  deve  anche  e  principalmente  essere  svolta  mediante
l'utilizzo di parametri di carattere sostanziale. 
    La collocazione dell'art.  709-ter,  comma  secondo,  n.  4)  del
codice di procedura civile all'interno del codice di  rito  civile  e
l'espressa  qualificazione  della  sanzione  quale  «amministrativa»,
pertanto, sono indici del tutto  inidonei  ad  escluderne  la  natura
penale, dovendo l'indagine focalizzarsi sugli  ulteriori  criteri  di
cui alla giurisprudenza della Corte. 
    2.2 Con riferimento alla natura dell'illecito, la  Corte  EDU  ha
successivamente avuto modo di precisare che tale criterio puo' essere
indagato attraverso i distinti profili della  significativita'  della
trasgressione e della struttura dell'illecito (cfr. Ezeh e Connors c.
Regno Unito, 2003). 
    2.2.1   Per   quanto   concerne   la    significativita'    della
trasgressione,  la  condotta  sanzionata  dall'art.  709-ter,   comma
secondo, n. 4) del codice  di  procedura  civile  (consistente  nella
commissione di «atti che comunque arrechino pregiudizio  al  minore»,
fra i quali, per le  ragioni  precedentemente  esposte,  deve  essere
ricompreso l'inadempimento agli obblighi stabiliti  ex  articoli  147
del codice civile e 30 Cost.)  appare  equiparatile,  sul  piano  del
disvalore, a una norma penale, in quanto sanziona delle condotte gia'
punite ex art. 570 del codice penale. 
    La significativita' e la gravita' dei  fatti  previsti  dall'art.
709-ter, comma  secondo,  n.  4)  del  codice  di  procedura  civile,
infatti, sono gia' state ritenute dal legislatore meritevoli  di  una
sanzione penale  (art.  570  del  codice  penale);  pertanto,  l'art.
709-ter, comma  secondo,  n.  4)  del  codice  di  procedura  civile,
tipizzando i medesimi fatti, avvalora il  soddisfacimento,  da  parte
della norma in esame,  del  criterio  Engel  analizzato  al  presente
paragrafo. 
    2.2.2 L'illecito di cui  all'art.  709-ter,  comma  secondo,  del
codice di procedura civile e' peraltro assimilabile, sotto il profilo
strutturale, all'illecito penale. 
    L'art. 709-ter, comma secondo, del  codice  di  procedura  civile
contempla, infatti, una  fattispecie  tipica,  la  commissione  della
quale e' sanzionata nelle forme previste ai numeri da  1  a  4  della
citata disposizione; inoltre, la sanzione  ritenuta  «amministrativa»
di cui al n.  4)  prevede  una  cornice  edittale  assimilabile,  per
struttura, alle cornici stabilite dai precetti penali che  sanzionano
fatti penalmente rilevanti con le pene della multa o dell'ammenda. 
    2.3 Il terzo criterio  di  cui  alla  giurisprudenza  Engel  deve
essere  affrontato  sotto  i  distinti  profili  della  natura  della
sanzione e della gravita' della stessa. 
    2.3.1  Con  riguardo  alla  gravita'  della   sanzione,   vengono
specificamente  in  rilievo  il  parametro  obiettivo  della  cornice
edittale della sanzione  nonche'  il  livello  di  stigma  che  viene
tendenzialmente associato  alla  sanzione  emessa  (cfr.  Matyjec  c.
Polonia, 30 maggio 2006; Garyfallou Aebe c. Grecia, 1997). 
    Entrambi gli indici, applicati alla norma del codice di procedura
civile in esame,  inducono  a  ritenerne  la  natura  sostanzialmente
penale. 
    Con riguardo al primo profilo, l'importo massimo della  sanzione,
pari a 5.000 euro, e' non solo di gran  lunga  superiore  all'importo
massimo di numerose multe e ammende del codice penale ma altresi'  e'
superiore, nello specifico, all'importo massimo della multa  prevista
per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di
cui all'art. 570 del codice penale (pari a soli 1.032 euro). 
    Quanto al livello di stigma che deriva dalla sanzione, si ritiene
che lo stesso sia assimilabile a quello derivante dalla  condanna  ex
art.  570  del  codice  penale  (e,  pertanto,  sia  per  definizione
equiparatile allo stigma sociale che consegue dalla condanna  per  la
commissione di un fatto previsto dalla legge come reato)  poiche'  le
due norme puniscono il medesimo fatto. 
    2.3.2 Il parametro della  natura  della  sanzione,  infine,  deve
essere ulteriormente distinto nelle componenti della pertinenza della
sanzione ad un fatto costituente reato, della procedura sanzionatoria
e dello scopo della sanzione inflitta (cfr. Malige c. Francia,  1998;
Ozturk c. Repubblica federale tedesca, 1984; Lutz c. Germania, 1987). 
    2.3.2.1 La pertinenza della  sanzione  ad  un  fatto  costituente
reato appare evidente poiche' la norma sanziona uno  dei  fatti  gia'
previsti e puniti dal codice penale all'art. 570. 
    2.3.2.2 Quanto alla procedura mediante la quale la sanzione viene
applicata, la Corte EDU ha sostenuto che un  indice  ulteriore  della
natura penale di una sanzione debba essere ravvisato nel fatto che la
stessa viene irrogata da un'autorita'  di  natura  giurisdizionale  a
seguito di un procedimento  instaurato  nel  contraddittorio  fra  le
parti. 
    La sanzione ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del  codice  di
procedura civile soddisfa senz'altro tali  criteri  in  quanto  viene
irrogata   nell'ambito   di   un   procedimento   giurisdizionale   a
contraddittorio pieno. 
    2.3.2.3 Per  quanto  riguarda,  infine,  lo  scopo  della  misura
sanzionatoria, si ritiene che  lo  stesso  debba  essere  individuato
nelle medesime finalita' di natura retributiva, special-preventiva  e
general-preventiva che giustificano il reato di cui all'art. 570  del
codice penale, consistenti, in particolare, nella necessita': 
      di punire colui il quale ha posto in essere fatti connotati  da
un evidente disvalore di natura penale; 
      di dissuadere il reo dalla perpetrazione di ulteriori  condotte
dannose nei confronti del minore; 
      di dissuadere la generalita' dei consociati dal porre in essere
tali condotte. 
    Risultano peraltro estranee, all'ambito di applicazione dell'art.
709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile, le  finalita'
risarcitorie tipiche degli illeciti civili poiche' le sanzioni di cui
alla menzionata disposizione possono essere applicate,  dal  giudice,
anche in assenza della prova  dell'esistenza  di  un  danno  ingiusto
risarcibile. 
    2.4 In definitiva, per quanto detto ai punti  precedenti,  l'art.
709-ter,  comma  secondo,  n.  4)  del  codice  di  procedura  civile
sanziona,  nell'ambito  di  un  procedimento  giurisdizionale,  fatti
connotati da un disvalore  di  natura  penale  con  una  sanzione  di
importo  e  natura  equiparabili  a  quelli  delle  sanzioni   penali
perseguendo finalita' proprie delle norme penalistiche. 
    Dal raffronto della disposizione in esame con i cosiddetti  Engel
criteria, deve  pertanto  concludersi  per  la  natura  penale  della
sanzione formalmente amministrativa di cui  all'art.  709-ter,  comma
secondo, n. 4) del codice di procedura civile. 
3. Non manifestamente infondata, dunque, e' la  censura  relativa  al
contrasto della norma  in  esame  con  l'art.  4,  comma  primo,  del
Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. 
    Ai sensi del quale «Nessuno potra' essere perseguito o condannato
penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato  per  un'infrazione
per cui e' gia' stato  scagionato  o  condannato  a  seguito  di  una
sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura  penale  di
tale Stato». 
    Per  orientamento  consolidato  della  Corte  costituzionale,  la
Convenzione Europa dei Diritti  dell'Uomo  costituisce  un  parametro
interposto di legittimita' costituzionale della legge ordinaria. 
    L'art. 117,  comma  primo,  della  Legge  Fondamentale,  infatti,
condiziona l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle
Regioni  al  rispetto  della  Costituzione,  dei  vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. 
    La Corte costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349 del  2007,
nel  sottolineare  le  peculiarita'  della  Convenzione  Europea  dei
Diritti   dell'Uomo   rispetto   alle   altre   fonti   di    diritto
internazionale, ha espressamente  sancito  la  collocazione  di  tale
fonte internazionale pattizia nel  nostro  sistema  delle  fonti  del
diritto quale parametro interposto di legittimita' costituzionale. 
    Secondo la ricostruzione della Corte, l'art.  117,  comma  primo,
Cost.  non  fornisce  alle  disposizioni  della   Convenzione   rango
costituzionale, ma rende tali norme resistenti  nei  confronti  della
legge ordinaria, da un lato, e allo  stesso  tempo  attrae  le  norme
della CEDU nella sfera  di  competenza  della  Corte  costituzionale,
dall'altro, nel senso  che  l'eventuale  incompatibilita'  tra  norme
interne di rango primario e norme della Convenzione si presenta  come
una questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art.
117, comma primo, Cost. 
    Il Collegio ritiene che la regola del ne bis in idem risulterebbe
nel  caso  di  specie  violata   dall'applicazione   della   condanna
pecuniaria ex art. 709-ter., comma  secondo,  n.  4)  del  codice  di
procedura civile poiche' il resistente e' gia' stato condannato, peri
medesimi fatti per i quali la ricorrente domanda l'applicazione della
sanzione di cui alla citata  norma  del  codice  di  rito,  ai  sensi
dell'art. 570 del codice penale. 
    Come e' stato in precedenza esposto,  infatti,  il  Tribunale  di
Treviso - Sezione Penale, con la sentenza n. 651/2017,  accertava  la
responsabilita' penale del resistente ex art. 570 del  codice  penale
per aver omesso di versare il contributo al mantenimento della figlia
nella misura di cui al provvedimento di  separazione,  e  la  domanda
della  ricorrente   riguarda   gli   inadempimenti   del   resistente
«dall'agosto  2013  in  poi»  (cfr.  foglio  di  precisazione   delle
conclusioni),  abbracciando,  pertanto,   condotte   per   le   quali
quest'ultimo e' gia' stato punito in sede penale con sentenza passata
in giudicato. 
3.1   La   norma   non   puo'   essere   interpretata   in    maniera
costituzionalmente conforme per i seguenti motivi. 
    In primo luogo, deve essere ribadita  l'applicabilita'  dell'art.
709-ter, comma secondo, del codice procedura civile all'inadempimento
degli  obblighi  di  contribuzione   economica,   alla   luce   delle
argomentazioni in  diritto  esposte  al  precedente  paragrafo  n.  1
nonche'  in  considerazione  della   gravita'   degli   inadempimenti
perpetuati dal resistente,  da  ritenersi  implicita  nella  condanna
dello stesso ex art. 570 del codice penale (se, infatti,  il  Giudice
penale avesse ritenuto gli inadempimenti del resistente inoffensivi o
quantomeno di particolare tenuita', avrebbe evidentemente assolto  il
resistente perche' il fatto non sussiste o per  particolare  tenuita'
del fatto). 
    Pertanto,  l'art.  709-ter,  comma  secondo,  n.  4)  del  codice
procedura  civile  deve  essere  necessariamente  applicato  ai  caso
concreto, pena la violazione del principio di corrispondenza  fra  il
chiesto e il pronunciato di cui all'art.  112  del  codice  procedura
civile. 
    In secondo luogo, il Collegio ritiene che sia precluso al giudice
del merito spingersi  fino  a  ritenere  inapplicabile,  al  caso  di
specie,  la  norma  in  esame  in  considerazione  della  sua  natura
sostanzialmente  penale  e,  conseguentemente,  del  vulnus  arrecato
all'art.  117,  comma  primo,   della   Costituzione   poiche'   tale
interpretazione sarebbe necessariamente contra legem. 
    L'art.  709-ter,  comma  secondo,  del  codice  procedura  civile
subordina l'irrogazione della sanzione di cui al n. 4) esclusivamente
al riscontro dei presupposti indicati dalla norma, sicche' non vi  e'
alcun appiglio normativa  (ne'  giurisprudenziale,  non  rinvenendosi
pronunce che abbiano  specificamente  analizzato  la  questione)  per
disapplicare  la  sanzione,  nell'esercizio   di   un'interpretazione
costituzionalmente   conforme,    sulla    base    delle    suesposte
considerazioni in merito alla  natura  sostanzialmente  penale  della
stessa. Secondo  una  risalente  ma  autorevole  dottrina,  la  Corte
costituzionale puo'  «ritenere  infondata  la  questione  perche'  la
disposizione impugnata ha un altro significato da quello attribuitole
dal ricorrente o dal giudice a quo, ossia perche' dalla  formulazione
legislativa  deve  trarsi  una  norma  diversa  e  costituzionalmente
legittima» (cfr. V. Crisafulli, «Questioni in tema di interpretazione
della  Corte  costituzionale  nei  rapporti   con   l'interpretazione
giudiziaria», ivi, 1956, 929 ss.). 
    Nella medesima prospettiva, il Giudice delle Leggi ha di  recente
richiamato il  principio  in  base  al  quale  «di  una  disposizione
legislativa non si pronuncia l'illegittimita'  costituzionale  quando
se  ne  potrebbe  dare   un'interpretazione   in   violazione   della
Costituzione, ma  quando  non  se  ne  puo'  dare  un'interpretazione
conforme a Costituzione» (Corte costituzionale n. 153/2015). 
    Nel  caso  di  specie,  e  con  riferimento   alla   censura   di
costituzionalita' esaminata al presente paragrafo,  e'  opinione  del
Collegio rimettente che l'art. 709-ter,  comma  secondo,  n.  4)  del
codice procedura civile non possa essere interpretato in maniera tale
da sanare il vulnus al principio del ne bis in idem:  la  fattispecie
concreta integra una violazione grave e reiterata degli  obblighi  di
mantenimento e la norma, come si e' detto, non  offre  alcuno  spunto
per consentire al giudice del merito la disapplicazione della  stessa
qualora sia intervenuta pronuncia di condanna ex art. 570 del  codice
penale per i medesimi fatti. 
    Si renderebbe necessaria, pertanto, ad avviso del  Collegio,  una
pronuncia della Corte che renda compatibile l'applicazione  dell'art.
709-ter, comma secondo, n. 4)  del  codice  procedura  civile  con  i
principi sopra indicati qualora il soggetto nei confronti  del  quale
l'applicazione  della  sanzione  viene  domandata  sia   gia'   stato
condannato, per i medesimi fatti, ex art. 570 del codice penale. 
4.   Non   manifestamente   infondata,   alla   luce   della   natura
sostanzialmente penale della sanzione in esame,  risulta  la  censura
relativa all'art. 25, comma secondo, della Costituzione. 
    Ai sensi del quale «Nessuno puo' essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». 
    Il principio di tassativita'/determinatezza  della  legge  penale
impone al legislatore di  determinare  con  sufficiente  chiarezza  e
precisione l'ambito di applicazione delle fattispecie di reato, si da
consentire al cittadino di conoscere  con  un  sufficiente  grado  di
precisione quali sono i comportamenti vietati e le relative  sanzioni
e garantire allo stesso di non essere vittima  di  abusi  del  potere
giudiziario nell'interpretazione del precetto normativo. 
    Pur non essendo espressamente contemplato dalla Costituzione,  il
principio di tassativita'/determinatezza  trova  pacifico  fondamento
costituzionale nel  precetto  di  cui  all'art.  25,  comma  secondo:
l'onere posto in capo al legislatore di  individuare  la  fattispecie
criminale  in  modo  preciso  e  puntuale  costituisce,  infatti,  un
corollario del principio di legalita' della legge  penale  (cfr.,  ex
multis, Corte costituzionale, n. 96/1981). 
    Il Collegio ritiene che l'art. 709-ter, comma secondo, del codice
procedura civile, nella parte in cui punisce gli «atti  che  comunque
arrechino pregiudizio al minore», violi  l'art.  25,  comma  secondo,
Cost., in quanto la norma utilizzata fa riferimento ad un bacino  non
sufficientemente delimitato  di  fattispecie  e  l'individuazione  in
concreto delle stesse viene rimessa esclusivamente  alla  valutazione
dei giudice. 
    4.1 L'espressione  normativa  appare,  innanzitutto,  lesiva  del
principio di cui all'art. 25, comma  secondo  della  Costituzione  in
quanto costituita da elementi vaghi e indeterminati. 
    Com'e' noto, la dottrina distingue, nell'alveo degli elementi che
partecipano alla  composizione  della  fattispecie  penale,  fra  tre
distinte categorie. 
    In  primo  luogo,  si  hanno  elementi  rigidi,  ossia   elementi
descrittivi di tipo naturalistico o giuridico che richiamano  realta'
obiettivamente  individuate   oppure   ulteriori   norme   giuridiche
facilmente individuabili e determinate nel contenuto. L'utilizzo,  da
parte del legislatore, di elementi rigidi e' del tutto  coerente  con
il principio di  tassativita'/determinatezza  poiche'  tali  elementi
sono  inidonei  a  determinare  quell'eccessivo   ampliamento   della
discrezionalita'  del  giudice   nell'interpretazione   del   dettato
normativa lesivo dell'art. 25, comma secondo, Cost. 
    Maggiormente problematici si  presentano  i  cosiddetti  elementi
elastici, intendendo  per  tali  quegli  elementi  non  astrattamente
tipizzabili dal legislatore che esprimono una realta' quantitativa  o
temporale comunque circoscritta (ad esempio, la gravita' del danno ex
art. 133 del codice penale) o che richiamano parametri  metagiuridici
quali regole sociali, etiche, scientifiche o di costume. 
    Tali elementi sono compatibili con il principio di  cui  all'art.
25, comma secondo, Cost. purche' e nella misura  in  cui  il  giudice
possa comunque dedurre, dalla lettura complessiva della  fattispecie,
il significato degli stessi in misura sufficientemente circoscritta. 
    Infine, si registrano elementi vaghi o indeterminati e, in quanto
tali,  del  tutto  inidonei  a  fondare  un  parametro   univoco   di
valutazione:  per  tale  ragione,  con  riferimento  a   quest'ultima
tipologia    di    elementi    il    vulnus    al    principio     di
determinatezza/tassativita' non puo' essere sanato. 
    A parere del Collegio rimettente, la locuzione «atti che comunque
arrechino  pregiudizio  al  minore»  rientra  nella  categoria  degli
elementi vaghi o indeterminati. 
    L'espressione «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore»
costituisce, in primo luogo, una fattispecie  causalmente  orientata,
cioe' a  forma  libera,  punendo  la  stessa  tutti  gli  «atti»  che
determinino  l'insorgere  dell'evento  punito  dal  reato,  ossia  il
«pregiudizio» al minore. 
    La  nozione  di  «pregiudizio»,  peraltro,   e'   intrinsecamente
ambigua, non specificando la norma ne' la tipologia di  «pregiudizio»
cui la stessa fa riferimento (e, in particolare, se si tratti  di  un
pregiudizio alla sfera personale, alla  sfera  patrimoniale  o  a  un
tertium genus di interessi non  sussumibili  in  alcuna  fra  le  due
categorie menzionate) ne' il livello di  intensita'  del  pregiudizio
necessario ai fini dell'integrazione dell'illecito ivi descritto. 
    L'individuazione di cio' che  costituisce  «pregiudizio»  per  il
minore,   viene   lasciata   all'arbitrio   del   Giudice,   la   cui
determinazione risulta  fatalmente  e  inevitabilmente  soggettiva  e
connotata da  ampi  margini  di  discrezionalita'  in  considerazione
dell'eccessiva apertura del dettato normativo. 
    La formula «atti che comunque arrechino pregiudizio  al  minore»,
invero, concretizza il rischio  che  il  Giudice  adito  finisca  per
travalicare  cio'  che  appartiene  alla  sfera  del   giuridicamente
rilevante, sovrapponendo se' e le proprie valutazioni  a  scelte  che
costituiscono    l'ordinario    esercizio    della    responsabilita'
genitoriale, punendo (con una sanzione, come si e' visto,  fortemente
afflittiva) il genitore non per un atto  connotato  da  un  disvalore
penalistico,  ma  per  una  qualsiasi  scelta  che   venga   ritenuta
inopportuna o non sufficientemente opportuna (e, quindi,  lato  sensu
pregiudizievole). 
    4.2 E' noto, al Collegio rimettente che,  secondo  l'insegnamento
della  Corte,  «per  verificare  il   rispetto   del   principio   di
tassativita' o di determinatezza della norma penale occorre non  gia'
valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo  dell'illecito,
bensi'  collegarlo  con  gli   altri   elementi   costitutivi   della
fattispecie e con la disciplina  in  cui  questa  s'inserisce»  (cfr.
Corte costituzionale, sent. n. 282/2010). 
    Anche ammesso, tuttavia, che la formula in esame non debba essere
ricondotta alla categoria degli elementi vaghi o indeterminati (e, in
quanto tali, ex se incompatibili con il principio  di  tassativita'),
ma a  quella  degli  elementi  elastici  (per  i  quali  il  rispetto
dell'art. 25, comma secondo, Cost. deve essere vagliato in concreto e
con riguardo alla fattispecie complessiva), deve  essere  evidenziato
come l'art. 709-ter del codice procedura civile, non solo  non  aiuti
l'interprete  nella  ricostruzione  del  significato  da   attribuire
all'espressione «atti che comunque arrechino pregiudizio al  minore»,
ma renda altresi' tale compito ancora piu' difficoltoso. 
    Il comma primo della citata disposizione, infatti, fa riferimento
a due fattispecie distinte,  ossia  le  controversie  insorte  fra  i
genitori in ordine all'esercizio della potesta' genitoriale  o  delle
modalita' di affidamento, fissando per esse la competenza del giudice
del procedimento in corso. 
    Il comma secondo, al contrario, abbraccia ulteriori tipologie  di
controversie,  fra  cui  quelle  riguardanti  l'inadempimento   degli
obblighi di  contribuzione  economica  (rientrando  tale  fattispecie
nella nozione di «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore»,
come spiegato al par. 1 della presente ordinanza, e non nella nozione
di  «gravi  inadempienze»,  essendo  queste   ultime   funzionalmente
connesse ai «provvedimenti opportuni» adottati dal giudice di cui  al
periodo immediatamente precedente). 
    Per tali ragioni appare  al  Collegio  rimettente  che  il  comma
secondo della disposizione  in  esame  debba  essere  necessariamente
interpretato come norma a se' stante, slegata da  quella  di  cui  al
comma primo. 
    Il significato e la portata degli «atti  che  comunque  arrechino
pregiudizio al minore», di conseguenza, non possono essere  rinvenuti
nell'ambito delle controversie sull'esercizio  della  responsabilita'
genitoriale  o  delle  modalita'  di  affidamento,   trattandosi   di
fattispecie distinte:  l'ambito  applicativo  del  comma  secondo  si
appalesa piu' ampio ancorche'  subordinato  alla  sussistenza  di  un
«pregiudizio» (nozione quest'ultima assente, al contrario,  al  comma
primo della medesima disposizione). 
    4.3 La nozione di «pregiudizio» non puo' essere  individuata  con
sufficiente  precisione  nemmeno  volgendo  lo  sguardo  ai   sistema
civilistico nel complesso. 
    La sanzione sostanzialmente  penale,  di  cui  all'art.  709-ter,
comma secondo, n. 4) del codice  di  procedura  civile,  puo'  essere
infatti applicata pur in assenza della  prova  dell'esistenza  di  un
danno ingiusto risarcibile. Pertanto, la nozione di «pregiudizio» non
puo' coincidere  con  quella  di  cui  al  combinato  disposto  degli
articoli 2043 e 2059 del codice  civile,  apparendo  la  stessa  piu'
ampia  e  indipendente  rispetto  alla  sussistenza   di   un   danno
patrimoniale o non patrimoniale da fatto illecito. 
    4.4 Il deficit di determinatezza  della  norma  in  esame  appare
evidente, infine, dal confronto con l'art. 570 del codice penale,  il
quale punisce, come si e' visto, talune fra le  condotte  contemplate
dall'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura  civile  e,
pertanto, risulta particolarmente idoneo ad assumere la  funzione  di
tertium comparationis. 
    La citata norma del codice penale, infatti, punisce  la  condotta
di colui il quale, abbandonando il  domicilio  domestico  o  comunque
serbando una  condotta  contraria  all'ordine  o  alla  morale  della
famiglia, si  sottrae  agli  obblighi  di  assistenza  inerenti  alla
responsabilita'  genitoriale.  Tale  norma,  contrariamente  all'art.
709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile, individua con
sufficiente grado di  specificazione  tanto  l'alveo  delle  condotte
punibili  (pur  tramite  l'utilizzo  della   formula   aperta   della
contrarieta' all'ordine o alla morale della  famiglia,  riconducibile
alla categoria  sopra  descritta  degli  elementi  elastici),  quanto
l'evento del  reato,  il  quale  coincide  con  la  sottrazione  agli
obblighi di assistenza. 
    L'art. 709-ter, comma secondo del codice di procedura civile,  di
contro, non individua ne' le condotte  che  integrano  la  norma  (le
quali, per  quanto  dimostrato  in  precedenza,  non  possono  essere
ritenute coincidenti con quelle di cui ai comma primo della  medesima
disposizione), ne' circoscrive la nozione dell'evento del  reato  con
sufficiente grado di precisione e determinatezza. 
    4.5 Dall'esame della fattispecie e della sanzione sostanzialmente
penale di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4)  del  codice  di
procedura civile, in definitiva, emergono chiaramente  l'imprecisione
e l'indeterminatezza della norma, l'impossibilita' di  attribuire  ad
essa  un  contenuto  oggettivo,  coerente  e  razionale  e   pertanto
l'assoluta arbitrarieta' della sua concreta applicazione (cfr.  Corte
costituzionale,   sent.   n.   96/1981),   rimettendo   tale    norma
l'individuazione della nozione  di  «pregiudizio»  e  delle  condotte
punibili in concreto  alla  pura  discrezionalita'  del  giudice,  in
assenza  di  qualsivoglia  indice  normativo  che  possa   quantomeno
delimitare  l'ambito  delle  condotte  punibili  in  relazione   alla
gravita' delle stesse. 
4.6   La   norma   non   puo'   essere   interpretata   in    maniera
costituzionalmente conforme per i seguenti motivi. 
    Con   riferimento   alla   censura   relativa   al   deficit   di
tassativita'/determinatezza, il Collegio ritiene che l'impossibilita'
di esercitare un'interpretazione costituzionalmente conforme sussista
in re ipsa in  considerazione  della  tipologia  di  vulnus  arrecato
dall'art. 709-ter, comma secondo,  n.  4)  del  codice  di  procedura
civile al precetto costituzionale di cui all'art. 25,  comma  secondo
della Costituzione. 
    Al  fine  di  interpretare  la  norma   di   legge   in   maniera
costituzionalmente conforme, infatti, il Giudice dovrebbe  essere  in
grado di rinvenire, dall'analisi della disposizione ed  eventualmente
mediante l'utilizzo di un'interpretazione di tipo sistematico, indici
normativi idonei a  delimitarne  sufficientemente  il  contenuto,  in
conformita' di quanto richiesto  dall'art.  art.  25,  comma  secondo
della Legge Fondamentale. 
    Tuttavia, per le ragioni fin qui esposte, l'art.  709-ter,  comma
secondo, n. 4) del codice di procedura civile,  nella  parte  in  cui
sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore»,  si
dimostra impreciso, indeterminato e inidoneo a fornire all'interprete
indici  sufficienti  per  garantirne   un'interpretazione   coerente,
razionale e non arbitraria in termini assoluti. 
    Pertanto,  risulta  conseguentemente   impossibile   interpretare
l'art. 709-ter, somma secondo, n. 4) del codice di procedura  civile,
nella  parte  in  cui  sanziona  gli  «atti  che  comunque  arrechino
pregiudizio  al   minore»,   in   maniera   conforme   al   principio
costituzionale di tassativita'/determinatezza, di  cui  all'art.  25,
comma secondo, Cost. 
    Sarebbe dunque auspicabile un  intervento  della  Corte  volto  a
rimuovere la lesione del principio di tassativita'/determinatezza,  o
a precisare il contenuto della disposizione cosi da renderla conforme
all'art. 25, comma secondo, Cost. 
5. Non manifestamente infondata, infine, risulta la censura  relativa
all'art. 3, comma primo, della Costituzione. 
    Ai sensi del quale «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale
e sono eguali davanti alla legge,  senza  distinzione  di  sesso,  di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di  condizioni
personali e sociali». 
    La sanzione di cui all'art. 709-ter, comma  secondo,  n.  4)  del
codice di procedura civile, infatti, letta in combinato disposto  con
l'art.  570  del  codice   penale   (norma   assunta   come   tertium
comparationis ai fini della presente doglianza), integra il  fenomeno
della  cosiddetta  «ingiustificata  discriminazione   sanzionatoria»,
consistente  nella  previsione  di   un   trattamento   sanzionatorio
notevolmente   diverso   per   fattispecie   analoghe   o    comunque
assimilabili. 
    Le disposizioni citate del codice di rito  civile  e  del  codice
penale,  infatti,  puniscano  la   medesima   condotta,   consistente
nell'inadempimento  degli  obblighi  di  mantenimento,  con  sanzioni
pecuniarie i cui importi massimi sono fissati, rispettivamente, nella
somma di euro 5.000,00  e  di  euro  1.032,00,  con  cio'  integrando
un'irragionevole disparita' di trattamento fra il soggetto punito per
tale condotta nell'ambito di un giudizio ex art. 709-ter  del  codice
di procedura civile e il soggetto che risponda per i  medesimi  fatti
in sede penale. 
    Il contrasto fra la norma censurata  e  l'art.  3,  comma  primo,
Cost. risulta evidente dal confronto fra gli importi massimi  di  cui
alle due sanzioni citate, essendo quello  previsto  dal  precetto  ex
art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del  codice  di  procedura  civile
circa cinque volte superiore rispetto a quello di  cui  all'art.  570
del codice penale, con cio' integrando  il  requisito  dell'«evidente
violazione del canone della ragionevolezza» di frequente  richiamato,
con riferimento a  fattispecie  simili,  nella  giurisprudenza  della
Corte costituzionale (cfr. sentenze nn. 325/2005, 22/2007). 
    La tipologia di sindacato prospettata dal Collegio rimettente non
e' infatti estranea alle pronunce del Giudice delle Leggi. 
    Ad esempio, e' stato ritenuto lesivo dell'art.  3,  comma  primo,
Cost. il delitto di «rifiuto del  servizio  militare  per  motivi  di
coscienza», di cui all'art. 8,  comma  secondo,  legge  n.  772/1972,
nella parte in cui prevedeva  una  pena  irragionevolmente  superiore
rispetto  alla  pena  prevista  per  il  delitto  di  «mancanza  alla
chiamata», di cui all'art. 151 del Codice Penale  Militare  di  Pace,
sulla base della riconosciuta identita' del bene  giuridico  tutelato
dalle due sanzioni (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 409/1989). 
    Parimenti, e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo  il
reato di «diffusione di pubblicazioni di propaganda elettorale  prive
del nome del committente responsabile» durante  le  elezioni  per  la
carica di Sindaco,  di  cui  all'art.  29,  comma  quinto,  legge  n.
81/1993, in quanto caratterizzato  da  un  trattamento  sanzionatorio
arbitrariamente piu' severo rispetto a quello previsto  ex  art.  15,
comma secondo, legge n. 515/1993 per la medesima condotta nell'ambito
delle  elezioni  politiche  (cfr.  Corte  costituzionale,  sent.   n.
287/2001). 
    La prospettata diversita',  nella  disciplina  sanzionatoria,  in
riferimento  a  condotte  sostanzialmente  identiche  effettuata  dai
precetti di cui agli articoli  709-ter,  comma  secondo,  n.  4)  del
codice di procedura civile e 570 del codice penale  appare  priva  di
giustificazioni  e,  in  quanto  tale,  lesiva   del   principio   di
uguaglianza-ragionevolezza, di cui all'art.  3,  comma  primo,  della
Legge Fondamentale. 
5.1   La   norma   non   puo'   essere   interpretata   in    maniera
costituzionalmente conforme per i seguenti motivi. 
    Di fronte a una cornice edittale normativamente  prevista,  quale
e' quella di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di
procedura  civile,  il  Giudice   dovra'   necessariamente   graduare
l'importo della sanzione  irrogata  in  concreto  in  relazione  alla
gravita' della condotta, applicando importi  tendenti  al  massimo  a
fronte di condotte reputate gravi e tendenti al minimo in relazione a
violazioni di entita' minore. 
    Il vulnus arrecato  all'art.  3,  comma  primo,  Cost.  non  puo'
pertanto essere sanato dal Giudice del merito per via interpretativa,
rendendo necessario un intervento della Corte costituzionale volto ad
incidere sulla  cornice  edittale  della  sanzione  di  cui  all'art.
709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile cosi  da
renderla conforme al principio di uguaglianza-ragionevolezza. 
6. Conclusioni. 
    Sulla base  di  tutte  le  esposte  argomentazioni,  il  Collegio
ritiene che la decisione sulla domanda di condanna ex  art.  709-ter,
comma secondo, n. 4) del codice di procedura  civile  proposta  dalla
ricorrente  nel   presente   giudizio   non   possa   essere   decisa
indipendentemente dalla risoluzione delle  prospettate  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 e 137 Cost.; 
    Visto l'art. 1 legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1; 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87: 
      dichiara   rilevante   nel   presente   procedimento   e    non
manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'  dell'art.
709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di  procedura  civile  nella
parte in cui stabilisce che «in caso di gravi inadempienze o di  atti
che  comunque  arrechino  pregiudizio  al  minore  od  ostacolino  il
corretto svolgimento delle modalita'  dell'affidamento»,  il  Giudice
puo'  «condannare  il  genitore  inadempiente  al  pagamento  di  una
sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo  di  75  euro  a  un
massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende»,  ritenendo
le suddette disposizioni in violazione  dell'art.  117,  comma  primo
della Costituzione nei termini di cui in motivazione; 
      dichiara   rilevante   nel   presente   procedimento   e    non
manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'  dell'art.
709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di  procedura  civile  nella
parte in cui sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al
minore»,  ritenendo  tale  espressione  lesiva  dell'art.  25,  comma
secondo della Costituzione nei termini di cui in motivazione; 
      dichiara   rilevante   nel   presente   procedimento   e    non
manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'  dell'art.
709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di  procedura  civile  nella
parte in cui stabilisce il limite massimo dell'importo della sanzione
ivi  prevista  nella  somma  di   euro   5.000,00,   ritenendo   tale
disposizione lesiva dell'art. 3, comma primo della  Costituzione  nei
termini di cui in motivazione; 
      dichiara la sospensione del giudizio; 
      ordina che il presente provvedimento, a cura della Cancelleria,
sia notificato a  G.  S.,  a  M.  P.,  al  Pubblico  Ministero  e  al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicato   al
Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati; 
      ordina  che,  all'esito  delle   indicate   notificazioni,   il
provvedimento sia trasmesso  alla  Corte  costituzionale  insieme  al
fascicolo processuale ed alla prova delle avvenute regolari  predette
notificazioni e comunicazioni. 
    Si da' atto che alla  redazione  del  presente  provvedimento  ha
contribuito il dott. Stefano Romoli, tirocinante ex art. 73, d.l.  n.
69/2013. 
      Cosi' deciso nella camera di consiglio del 30 aprile 2019. 
 
                       Il Presidente: Cusumano 
 
 
                                            Il Giudice est.: Barbazza