N. 219 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 2019
Ordinanza del 16 luglio 2019 del Tribunale di Treviso nel procedimento civile promosso da S. G. contro P. M.. Sanzioni amministrative - Famiglia - Controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della responsabilita' genitoriale o delle modalita' di affidamento - Gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalita' di affidamento - Possibilita' per il giudice di modificare i provvedimenti in vigore e, anche congiuntamente, di condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria. - Codice di procedura civile, art. 709-ter, comma secondo, numero 4).(GU n.50 del 11-12-2019 )
TRIBUNALE DI TREVISO Sezione prima civile Nella persona dei seguenti magistrati: dott.ssa Maria Teresa Cusumano, Presidente; dott. Alberto Barbazza, giudice relatore; dott.ssa Carlotta Brusegan, giudice; ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento R.G. n. 462/2016 per la cessazione degli effetti civili del matrimonio promossa da S. G., rappresentata e difesa dall'avv. Marco Pescarollo, per mandato a margine del ricorso introduttivo, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Treviso; - ricorrente; Contro P. M., rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Manuel, per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso in Treviso (TV) - resistente; e con l'intervento del Pubblico Ministero, interveniente ex lege; Sentita la relazione del Giudice relatore; Visti gli articoli 2, 3, 25, cometa secondo, e 117, comma primo, della Costituzione; Visto l'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; Visto l'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile; Il Collegio ritiene di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile nella parte in cui stabilisce che «in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalita' dell'affidamento», il Giudice puo' «condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende». - Appare al Collegio rimettente, per i motivi che si andranno ad analizzare, che la sanzione di cui alla citata disposizione del codice di procedura civile debba considerarsi, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, di natura sostanzialmente penale. - In particolare, poiche' la ricorrente conclude chiedendo a carico del resistente l'applicazione della sanzione ex art. 709-ter, comma secondo n. 4) del codice di procedura civile e poiche' il resistente, nel caso di specie, e' gia' stato condannato ex art. 570 del codice penale con sentenza passata in giudicato per i medesimi fatti per i quali viene chiesta l'applicazione di tale misura afflittiva, ritiene il Collegio che la sanzione violi, nella fattispecie all'esame del Tribunale rimettente, il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (norma che costituisce, nel nostro ordinamento, parametro interposto di legittimita' costituzionale ex art. 117, comma primo, Cost.). - Inoltre, ritiene il Collegio che tale sanzione contrasti con l'art. 25, comma secondo, Cost. nella parte in cui punisce gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», essendo tale formulazione lesiva del principio di tassativita'/determinatezza della legge penale. - Infine, ritiene il Collegio che l'art. 709-ter, comma secondo n. 4) del codice di procedura civile contrasti con l'art. 3, comma primo, della Costituzione nella parte in cui fissa il limite massimo dell'importo della sanzione ivi prevista nella somma di euro 5.000,00, integrando tale disposizione un'irragionevole disparita' di trattamento sanzionatorio rispetto al precetto penale di cui all'art. 570 codice penale, il quale punisce le medesime condotte con una multa non superiore, nel massimo, ad euro 1.032,00. 1. La questione e' rilevante per i seguenti motivi. Con ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio depositato in data 22 febbraio 2016, G. S. esponeva di aver contratto matrimonio con M. P. in data 8 marzo 1997, unione dalla quale nasceva, l'8 agosto 1997, la figlia M. Evidenziava la ricorrente che, con sentenza n. 1910/2012, il Tribunale di Treviso - Sezione Civile pronunciava la separazione personale dei coniugi e affidava M. in via esclusiva alla madre, ponendo in capo al resistente l'obbligo di contribuire al mantenimento della moglie mediante la corresponsione dell'assegno mensile di euro 150,00 e al mantenimento della figlia mediante la corresponsione dell'assegno mensile di euro 400,00, oltre al 50% delle spese straordinarie. Il padre, tuttavia, rimaneva inadempiente tanto dal punto di vista morale quanto dal punto di vista materiale agli obblighi posti a suo carico dalla sentenza di separazione. Per tale ragione, la ricorrente, in aggiunta alla domanda principale di pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio e alle domande inerenti alle questioni economiche fra le parti, domandava la condanna del resistente al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile. All'udienza del 22 novembre 2018, le parti precisavano le conclusioni e il Giudice concedeva, su concorde istanza delle stesse, i termini ex art. 190 del codice di procedura civile per il deposito di comparse conclusionali e repliche, trattenendo la causa in decisione. In allegato al foglio di precisazione delle conclusioni, la ricorrente depositava copia della sentenza n. 651/2017, depositata in data 30 maggio 2017, in forza della quale il Tribunale di Treviso - Sezione Penale accertava la responsabilita' penale del resistente ex art. 570 codice penale per aver omesso di versare il contributo al mantenimento della figlia nella misura di cui alla sentenza di separazione. Nonostante il passaggio in giudicato della sentenza di condanna (circostanza pacifica in quanto mai contestata dalle parti), la ricorrente insisteva nelle proprie conclusioni, per l'accoglimento della domanda ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile in virtu' dell'inadempimento del ricorrente agli obblighi di mantenimento di cui alla sentenza di separazione (lamentando, nello specifico, il mancato versamento del contributo «dall'agosto 2013 in poi», cfr. foglio di precisazione delle conclusioni). Il resistente, nella comparsa conclusionale, si opponeva all'accoglimento della domanda ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile sottolineando che, a fronte della denuncia della ricorrente, il Tribunale di Treviso si era gia' pronunciato sui medesimi fatti con la sentenza n. 651/2017. La domanda svolta dalla ricorrente appare al Collegio fondata in fatto e in diritto e pertanto dovrebbe trovare accoglimento. 1.1 Infatti, per quanto riguarda il profilo fattuale, deve essere in primo luogo rilevato che il resistente non ha mai specificamente contestato di non aver adempiuto ai propri obblighi di contribuzione nei confronti della figlia M. Tale circostanza puo' conseguentemente considerarsi pacifica fra le parti e, pertanto, posta a fondamento della decisione ex art. 115, comma primo, del codice di procedura civile. A fronte dell'allegazione dell'inadempimento del resistente, peraltro, sarebbe stato onere dello stesso, secondo l'assetto ormai consolidato raggiunto dalla giurisprudenza di legittimita', fornire la cosiddetta «prova liberatoria» di aver correttamente adempiuto agli obblighi di mantenimento, ma tale prova non e' stata fornita. Infine, l'accertamento contenuto nella sentenza penale passata in giudicato, quand'anche non avente forza vincolante poiche' non rientrante nelle ipotesi di cui all'art. 651 del codice di procedura penale, puo' comunque essere valutato nel procedimento all'esame del Collegio quale argomento di prova, ben potendo il Giudice civile utilizzare gli elementi di prova acquisiti gia' in sede penale e ripercorrere il medesimo iter argomentativo seguito dal Giudice penale. In sintesi, non sussiste dubbio alcuno circa l'avvenuto inadempimento, da parte del resistente, agli obblighi di contribuzione economica in favore della figlia M. posti a suo carico dalla sentenza di separazione. 1.2 Per quanto riguarda l'applicabilita', in diritto, della disposizione in esame al caso concreto, ritiene il Collegio che il mancato adempimento agli obblighi di mantenimento del figlio ex art. 147 del codice civile integri la fattispecie di cui all'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile nella parte in cui sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore». Tale conclusione e' corroborata da almeno tre argomenti fondati, rispettivamente, sul tenore letterale della disposizione, sullo scopo della stessa e sulla volonta' del legislatore. 1.2.1 Per quanto riguarda, in primo luogo, il dato letterale, la formula «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore» appare di ampiezza tale da ricomprendere una vasta categoria di fattispecie fra le quali si ritiene debba necessariamente essere ricompreso anche un pregiudizio obiettivamente riscontrabile e determinabile quale quello derivante dalla mancata contribuzione economica in favore del minore. In conformita' con tale impostazione, anche parte della dottrina ha convenuto che «l'art. 709-ter del codice di procedura civile abbraccia un ampio catalogo di comportamenti, che vanno dalla compressione del diritto del minore alla bigenitorialita' (Trib. Bari, 29 aprile 2010) e alla strumentale denuncia di gravi carenze e condotte penalmente rilevanti per neutralizzare la figura dell'altro genitore (Trib. min. Bologna, 22 luglio 2010), dalla collocazione presso l'uno o l'altro genitore all'obbligo di tenere con se' la prole, dalla violazione delle disposizioni in tema di mantenimento alle controversie originate dalla richiesta da parte di un genitore e/o coniuge della modifica dei provvedimenti della separazione di carattere patrimoniale o concernenti i figli» (cfr. G. Finocchiaro, Commento all'art. 709-ter del codice di procedura civile, in Aa.Vv., Codice di procedura civile ipertestuale, a cura di L.P. Comoglio e R. Vaccarella, Torino, 2008, p. 2795). 1.2.2 Quanto al criterio teleologico-sistematico, merita di essere sottolineato che l'assegno di mantenimento, nei procedimenti di famiglia, viene disposto in favore del genitore che risulta affidatario del figlio minorenne o del genitore il quale provvede, in misura prevalente, al mantenimento diretto del figlio maggiorenne ma non economicamente autosufficiente in osservanza del dovere di assistenza materiale nei confronti del figlio di cui al combinato disposto degli articoli 30 della Costituzione e 147 del codice civile. L'inadempimento degli obblighi di mantenimento sottrae alla disponibilita' del figlio quelle risorse economiche che la legge impone siano destinate al soddisfacimento dei bisogni dello stesso, con riferimento ai quali il genitore affidatario o che provvede in via prevalente al mantenimento diretto del figlio (qualora questi sia maggiorenne ma non economicamente autosufficiente) potra' provvedere, in caso di mancato versamento dell'assegno da parte dell'altro genitore, in misura obiettivamente inferiore. Risulta pertanto coerente e condivisibile l'orientamento del Tribunale di Modena quando afferma che «la norma (...) inoltre sanziona gli atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalita' dell'affidamento, e in tale ottica vanno comprese anche le violazioni d'ordine economico, atteso che la sufficienza di risorse economiche e' condizione indispensabile di esplicazione e sviluppo della personalita' del minore e, al tempo stesso, condizione indispensabile di indipendenza del genitore collocatario nell'esercizio delle proprie facolta' genitoriali nell'interesse del minore stesso» (cfr. Trib. Modena, ord. 29 gennaio 2007 in Fam. e dir., 2007, 823). 1.2.3 Per quanto concerne l'esame della ratio legis, meritano di essere nuovamente condivise le motivazioni del Tribunale di Modena, secondo il quale «in una materia cosi' delicata, se effettivamente il legislatore avesse voluto escludere la sanzionabilita' di condotte pregiudizievoli delle condizioni economico-patrimoniali del minore, lo avrebbe espressamente disposto con una formulazione letterale precisa e ben diversa da quella adottata, che e' lessicalmente riferibile ad ogni grave violazione ed ad ogni modalita' di condotta che sia di pregiudizio al minore; in altri termini, il legislatore non avrebbe tipizzato l'illecito come fattispecie causalmente orientata, come invece ha fatto». Tale argomento, d'altronde, trova conferma diretta nei lavori preparatori della legge 8 febbraio 2006, n. 54, la quale ha introdotto l'art. 709-ter nel codice di procedura civile. Durante la seduta della Camera dei Deputati del 10 marzo 2005, e' stato infatti affermato che «Sono siate individuate per la prima volta nel panorama normativa delle sanzioni di tipo economico nei confronti del genitore inadempiente e a favore del figlio, oltre che del coniuge eventualmente beneficiario dell'assegno consentendo, cosi, una protezione molto maggiore e piu' consolidata ai casi di inadempienza della relativa discussione». Il Collegio e' a conoscenza dell'esistenza di un orientamento contrario, in seno alla giurisprudenza di merito, secondo il quale le sanzioni di cui all'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile non potrebbero trovare applicazione con riferimento all'inadempimento degli obblighi di mantenimento nell'ambito di un procedimento di separazione o di divorzio. In tali termini, e' stato sostenuto che la natura di strumenti di coercizione indiretta dei provvedimenti di cui all'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile ne preclude l'utilizzo, nell'ambito di tali procedimenti, relativamente all'inadempimento degli obblighi di natura economica dovendo il Giudice fare uso, con riguardo a tali fattispecie, degli ordinari strumenti coercitivi predisposti dall'ordinamento al fine di garantire il soddisfacimento delle obbligazioni pecuniarie (cfr., in tal senso, Trib. Termini Imerese, ord. 12 luglio 2006 in Foro it., 2006, I, col. 3243). Tali considerazioni non risultano decisive per due ordini di ragioni. In primo luogo, l'interpretazione enunciata risulta estranea al tenore letterale dell'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile, il quale non contiene indici normativi idonei a sostenere l'esistenza di tale !imitazione del proprio ambito di applicazione la cui ampiezza, peraltro, e' gia' stata evidenziata dal Collegio. In secondo luogo, l'interpretazione della disposizione in esame fornita dal Tribunale siciliano nel 2006 risulta contraria alle finalita' perseguite dal legislatore della riforma, ricavabili tanto dai lavori preparatori della stessa, quanto dall'esame teleologico-sistematico della disposizione. la quale sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore» a prescindere dalla natura dell'inadempimento che origina tali pregiudizi. 1.3 La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile e' pertanto rilevante poiche', per le ragioni fin qui enunciate, sussistono i presupposti in fatto e le ragioni in diritto per l'applicazione della citata disposizione alla fattispecie all'esame del Collegio rimettente. 2. La questione appare non manifestamente infondata per le seguenti ragioni. Rispetto alle dedotte censure di incostituzionalita' deve preliminarmente essere analizzata la questione relativa alla qualificazione della sanzione di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile. La giurisprudenza della Corte EDU, con riguardo alla natura giuridica delle sanzioni previste dagli ordinamenti degli stati membri, ha storicamente optato per una nozione «sostanzialistica» della stessa, rimarcando la necessita' di non fermarsi all'etichetta formale che il singolo Stato attribuisce a una propria sanzione, dovendo la natura della stessa, invece, essere indagata secondo indici di natura sostanziale. Tramite tale procedimento di indagine, la Corte EDU e' giunta ad elaborare una vera e propria nozione sostanziale della «materia penale», nozione autonoma e talvolta in contrasto con quella sviluppatasi negli ordinamenti interni degli stati aderenti, e vincolante nei confronti degli stessi in considerazione del ruolo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nella gerarchia delle fonti del diritto. Dal riconoscimento della natura sostanzialmente penale di una sanzione discende, quale corollario logico, l'applicabilita' delle disposizioni della Convenzione stabilite per la materia penale, fra le quali, come si dira', l'art. 4 del Protocollo n. 7. L'approccio «sostanzialista» della Corte ha trovato riconoscimento espresso, per la prima volta, con la celebre sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi del 1976, nella quale la Corte EDU ha delineato tre criteri fondamentali di indagine in merito alla natura giuridica di una sanzione: a) la qualificazione giuridica interna dell'illecito e della sanzione; b) la natura dell'illecito; c) la natura e gravita' della sanzione. 2.1 Con riguardo al primo criterio, la Corte EDU ha ribadito che la qualificazione giuridica interna dell'illecito e della relativa sanzione non puo' che essere il punto di partenza dell'indagine, la quale pero' deve anche e principalmente essere svolta mediante l'utilizzo di parametri di carattere sostanziale. La collocazione dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile all'interno del codice di rito civile e l'espressa qualificazione della sanzione quale «amministrativa», pertanto, sono indici del tutto inidonei ad escluderne la natura penale, dovendo l'indagine focalizzarsi sugli ulteriori criteri di cui alla giurisprudenza della Corte. 2.2 Con riferimento alla natura dell'illecito, la Corte EDU ha successivamente avuto modo di precisare che tale criterio puo' essere indagato attraverso i distinti profili della significativita' della trasgressione e della struttura dell'illecito (cfr. Ezeh e Connors c. Regno Unito, 2003). 2.2.1 Per quanto concerne la significativita' della trasgressione, la condotta sanzionata dall'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile (consistente nella commissione di «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», fra i quali, per le ragioni precedentemente esposte, deve essere ricompreso l'inadempimento agli obblighi stabiliti ex articoli 147 del codice civile e 30 Cost.) appare equiparatile, sul piano del disvalore, a una norma penale, in quanto sanziona delle condotte gia' punite ex art. 570 del codice penale. La significativita' e la gravita' dei fatti previsti dall'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, infatti, sono gia' state ritenute dal legislatore meritevoli di una sanzione penale (art. 570 del codice penale); pertanto, l'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, tipizzando i medesimi fatti, avvalora il soddisfacimento, da parte della norma in esame, del criterio Engel analizzato al presente paragrafo. 2.2.2 L'illecito di cui all'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile e' peraltro assimilabile, sotto il profilo strutturale, all'illecito penale. L'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile contempla, infatti, una fattispecie tipica, la commissione della quale e' sanzionata nelle forme previste ai numeri da 1 a 4 della citata disposizione; inoltre, la sanzione ritenuta «amministrativa» di cui al n. 4) prevede una cornice edittale assimilabile, per struttura, alle cornici stabilite dai precetti penali che sanzionano fatti penalmente rilevanti con le pene della multa o dell'ammenda. 2.3 Il terzo criterio di cui alla giurisprudenza Engel deve essere affrontato sotto i distinti profili della natura della sanzione e della gravita' della stessa. 2.3.1 Con riguardo alla gravita' della sanzione, vengono specificamente in rilievo il parametro obiettivo della cornice edittale della sanzione nonche' il livello di stigma che viene tendenzialmente associato alla sanzione emessa (cfr. Matyjec c. Polonia, 30 maggio 2006; Garyfallou Aebe c. Grecia, 1997). Entrambi gli indici, applicati alla norma del codice di procedura civile in esame, inducono a ritenerne la natura sostanzialmente penale. Con riguardo al primo profilo, l'importo massimo della sanzione, pari a 5.000 euro, e' non solo di gran lunga superiore all'importo massimo di numerose multe e ammende del codice penale ma altresi' e' superiore, nello specifico, all'importo massimo della multa prevista per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all'art. 570 del codice penale (pari a soli 1.032 euro). Quanto al livello di stigma che deriva dalla sanzione, si ritiene che lo stesso sia assimilabile a quello derivante dalla condanna ex art. 570 del codice penale (e, pertanto, sia per definizione equiparatile allo stigma sociale che consegue dalla condanna per la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato) poiche' le due norme puniscono il medesimo fatto. 2.3.2 Il parametro della natura della sanzione, infine, deve essere ulteriormente distinto nelle componenti della pertinenza della sanzione ad un fatto costituente reato, della procedura sanzionatoria e dello scopo della sanzione inflitta (cfr. Malige c. Francia, 1998; Ozturk c. Repubblica federale tedesca, 1984; Lutz c. Germania, 1987). 2.3.2.1 La pertinenza della sanzione ad un fatto costituente reato appare evidente poiche' la norma sanziona uno dei fatti gia' previsti e puniti dal codice penale all'art. 570. 2.3.2.2 Quanto alla procedura mediante la quale la sanzione viene applicata, la Corte EDU ha sostenuto che un indice ulteriore della natura penale di una sanzione debba essere ravvisato nel fatto che la stessa viene irrogata da un'autorita' di natura giurisdizionale a seguito di un procedimento instaurato nel contraddittorio fra le parti. La sanzione ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile soddisfa senz'altro tali criteri in quanto viene irrogata nell'ambito di un procedimento giurisdizionale a contraddittorio pieno. 2.3.2.3 Per quanto riguarda, infine, lo scopo della misura sanzionatoria, si ritiene che lo stesso debba essere individuato nelle medesime finalita' di natura retributiva, special-preventiva e general-preventiva che giustificano il reato di cui all'art. 570 del codice penale, consistenti, in particolare, nella necessita': di punire colui il quale ha posto in essere fatti connotati da un evidente disvalore di natura penale; di dissuadere il reo dalla perpetrazione di ulteriori condotte dannose nei confronti del minore; di dissuadere la generalita' dei consociati dal porre in essere tali condotte. Risultano peraltro estranee, all'ambito di applicazione dell'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile, le finalita' risarcitorie tipiche degli illeciti civili poiche' le sanzioni di cui alla menzionata disposizione possono essere applicate, dal giudice, anche in assenza della prova dell'esistenza di un danno ingiusto risarcibile. 2.4 In definitiva, per quanto detto ai punti precedenti, l'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile sanziona, nell'ambito di un procedimento giurisdizionale, fatti connotati da un disvalore di natura penale con una sanzione di importo e natura equiparabili a quelli delle sanzioni penali perseguendo finalita' proprie delle norme penalistiche. Dal raffronto della disposizione in esame con i cosiddetti Engel criteria, deve pertanto concludersi per la natura penale della sanzione formalmente amministrativa di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile. 3. Non manifestamente infondata, dunque, e' la censura relativa al contrasto della norma in esame con l'art. 4, comma primo, del Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Ai sensi del quale «Nessuno potra' essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un'infrazione per cui e' gia' stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato». Per orientamento consolidato della Corte costituzionale, la Convenzione Europa dei Diritti dell'Uomo costituisce un parametro interposto di legittimita' costituzionale della legge ordinaria. L'art. 117, comma primo, della Legge Fondamentale, infatti, condiziona l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. La Corte costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, nel sottolineare le peculiarita' della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo rispetto alle altre fonti di diritto internazionale, ha espressamente sancito la collocazione di tale fonte internazionale pattizia nel nostro sistema delle fonti del diritto quale parametro interposto di legittimita' costituzionale. Secondo la ricostruzione della Corte, l'art. 117, comma primo, Cost. non fornisce alle disposizioni della Convenzione rango costituzionale, ma rende tali norme resistenti nei confronti della legge ordinaria, da un lato, e allo stesso tempo attrae le norme della CEDU nella sfera di competenza della Corte costituzionale, dall'altro, nel senso che l'eventuale incompatibilita' tra norme interne di rango primario e norme della Convenzione si presenta come una questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, comma primo, Cost. Il Collegio ritiene che la regola del ne bis in idem risulterebbe nel caso di specie violata dall'applicazione della condanna pecuniaria ex art. 709-ter., comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile poiche' il resistente e' gia' stato condannato, peri medesimi fatti per i quali la ricorrente domanda l'applicazione della sanzione di cui alla citata norma del codice di rito, ai sensi dell'art. 570 del codice penale. Come e' stato in precedenza esposto, infatti, il Tribunale di Treviso - Sezione Penale, con la sentenza n. 651/2017, accertava la responsabilita' penale del resistente ex art. 570 del codice penale per aver omesso di versare il contributo al mantenimento della figlia nella misura di cui al provvedimento di separazione, e la domanda della ricorrente riguarda gli inadempimenti del resistente «dall'agosto 2013 in poi» (cfr. foglio di precisazione delle conclusioni), abbracciando, pertanto, condotte per le quali quest'ultimo e' gia' stato punito in sede penale con sentenza passata in giudicato. 3.1 La norma non puo' essere interpretata in maniera costituzionalmente conforme per i seguenti motivi. In primo luogo, deve essere ribadita l'applicabilita' dell'art. 709-ter, comma secondo, del codice procedura civile all'inadempimento degli obblighi di contribuzione economica, alla luce delle argomentazioni in diritto esposte al precedente paragrafo n. 1 nonche' in considerazione della gravita' degli inadempimenti perpetuati dal resistente, da ritenersi implicita nella condanna dello stesso ex art. 570 del codice penale (se, infatti, il Giudice penale avesse ritenuto gli inadempimenti del resistente inoffensivi o quantomeno di particolare tenuita', avrebbe evidentemente assolto il resistente perche' il fatto non sussiste o per particolare tenuita' del fatto). Pertanto, l'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice procedura civile deve essere necessariamente applicato ai caso concreto, pena la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all'art. 112 del codice procedura civile. In secondo luogo, il Collegio ritiene che sia precluso al giudice del merito spingersi fino a ritenere inapplicabile, al caso di specie, la norma in esame in considerazione della sua natura sostanzialmente penale e, conseguentemente, del vulnus arrecato all'art. 117, comma primo, della Costituzione poiche' tale interpretazione sarebbe necessariamente contra legem. L'art. 709-ter, comma secondo, del codice procedura civile subordina l'irrogazione della sanzione di cui al n. 4) esclusivamente al riscontro dei presupposti indicati dalla norma, sicche' non vi e' alcun appiglio normativa (ne' giurisprudenziale, non rinvenendosi pronunce che abbiano specificamente analizzato la questione) per disapplicare la sanzione, nell'esercizio di un'interpretazione costituzionalmente conforme, sulla base delle suesposte considerazioni in merito alla natura sostanzialmente penale della stessa. Secondo una risalente ma autorevole dottrina, la Corte costituzionale puo' «ritenere infondata la questione perche' la disposizione impugnata ha un altro significato da quello attribuitole dal ricorrente o dal giudice a quo, ossia perche' dalla formulazione legislativa deve trarsi una norma diversa e costituzionalmente legittima» (cfr. V. Crisafulli, «Questioni in tema di interpretazione della Corte costituzionale nei rapporti con l'interpretazione giudiziaria», ivi, 1956, 929 ss.). Nella medesima prospettiva, il Giudice delle Leggi ha di recente richiamato il principio in base al quale «di una disposizione legislativa non si pronuncia l'illegittimita' costituzionale quando se ne potrebbe dare un'interpretazione in violazione della Costituzione, ma quando non se ne puo' dare un'interpretazione conforme a Costituzione» (Corte costituzionale n. 153/2015). Nel caso di specie, e con riferimento alla censura di costituzionalita' esaminata al presente paragrafo, e' opinione del Collegio rimettente che l'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice procedura civile non possa essere interpretato in maniera tale da sanare il vulnus al principio del ne bis in idem: la fattispecie concreta integra una violazione grave e reiterata degli obblighi di mantenimento e la norma, come si e' detto, non offre alcuno spunto per consentire al giudice del merito la disapplicazione della stessa qualora sia intervenuta pronuncia di condanna ex art. 570 del codice penale per i medesimi fatti. Si renderebbe necessaria, pertanto, ad avviso del Collegio, una pronuncia della Corte che renda compatibile l'applicazione dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice procedura civile con i principi sopra indicati qualora il soggetto nei confronti del quale l'applicazione della sanzione viene domandata sia gia' stato condannato, per i medesimi fatti, ex art. 570 del codice penale. 4. Non manifestamente infondata, alla luce della natura sostanzialmente penale della sanzione in esame, risulta la censura relativa all'art. 25, comma secondo, della Costituzione. Ai sensi del quale «Nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Il principio di tassativita'/determinatezza della legge penale impone al legislatore di determinare con sufficiente chiarezza e precisione l'ambito di applicazione delle fattispecie di reato, si da consentire al cittadino di conoscere con un sufficiente grado di precisione quali sono i comportamenti vietati e le relative sanzioni e garantire allo stesso di non essere vittima di abusi del potere giudiziario nell'interpretazione del precetto normativo. Pur non essendo espressamente contemplato dalla Costituzione, il principio di tassativita'/determinatezza trova pacifico fondamento costituzionale nel precetto di cui all'art. 25, comma secondo: l'onere posto in capo al legislatore di individuare la fattispecie criminale in modo preciso e puntuale costituisce, infatti, un corollario del principio di legalita' della legge penale (cfr., ex multis, Corte costituzionale, n. 96/1981). Il Collegio ritiene che l'art. 709-ter, comma secondo, del codice procedura civile, nella parte in cui punisce gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», violi l'art. 25, comma secondo, Cost., in quanto la norma utilizzata fa riferimento ad un bacino non sufficientemente delimitato di fattispecie e l'individuazione in concreto delle stesse viene rimessa esclusivamente alla valutazione dei giudice. 4.1 L'espressione normativa appare, innanzitutto, lesiva del principio di cui all'art. 25, comma secondo della Costituzione in quanto costituita da elementi vaghi e indeterminati. Com'e' noto, la dottrina distingue, nell'alveo degli elementi che partecipano alla composizione della fattispecie penale, fra tre distinte categorie. In primo luogo, si hanno elementi rigidi, ossia elementi descrittivi di tipo naturalistico o giuridico che richiamano realta' obiettivamente individuate oppure ulteriori norme giuridiche facilmente individuabili e determinate nel contenuto. L'utilizzo, da parte del legislatore, di elementi rigidi e' del tutto coerente con il principio di tassativita'/determinatezza poiche' tali elementi sono inidonei a determinare quell'eccessivo ampliamento della discrezionalita' del giudice nell'interpretazione del dettato normativa lesivo dell'art. 25, comma secondo, Cost. Maggiormente problematici si presentano i cosiddetti elementi elastici, intendendo per tali quegli elementi non astrattamente tipizzabili dal legislatore che esprimono una realta' quantitativa o temporale comunque circoscritta (ad esempio, la gravita' del danno ex art. 133 del codice penale) o che richiamano parametri metagiuridici quali regole sociali, etiche, scientifiche o di costume. Tali elementi sono compatibili con il principio di cui all'art. 25, comma secondo, Cost. purche' e nella misura in cui il giudice possa comunque dedurre, dalla lettura complessiva della fattispecie, il significato degli stessi in misura sufficientemente circoscritta. Infine, si registrano elementi vaghi o indeterminati e, in quanto tali, del tutto inidonei a fondare un parametro univoco di valutazione: per tale ragione, con riferimento a quest'ultima tipologia di elementi il vulnus al principio di determinatezza/tassativita' non puo' essere sanato. A parere del Collegio rimettente, la locuzione «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore» rientra nella categoria degli elementi vaghi o indeterminati. L'espressione «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore» costituisce, in primo luogo, una fattispecie causalmente orientata, cioe' a forma libera, punendo la stessa tutti gli «atti» che determinino l'insorgere dell'evento punito dal reato, ossia il «pregiudizio» al minore. La nozione di «pregiudizio», peraltro, e' intrinsecamente ambigua, non specificando la norma ne' la tipologia di «pregiudizio» cui la stessa fa riferimento (e, in particolare, se si tratti di un pregiudizio alla sfera personale, alla sfera patrimoniale o a un tertium genus di interessi non sussumibili in alcuna fra le due categorie menzionate) ne' il livello di intensita' del pregiudizio necessario ai fini dell'integrazione dell'illecito ivi descritto. L'individuazione di cio' che costituisce «pregiudizio» per il minore, viene lasciata all'arbitrio del Giudice, la cui determinazione risulta fatalmente e inevitabilmente soggettiva e connotata da ampi margini di discrezionalita' in considerazione dell'eccessiva apertura del dettato normativo. La formula «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», invero, concretizza il rischio che il Giudice adito finisca per travalicare cio' che appartiene alla sfera del giuridicamente rilevante, sovrapponendo se' e le proprie valutazioni a scelte che costituiscono l'ordinario esercizio della responsabilita' genitoriale, punendo (con una sanzione, come si e' visto, fortemente afflittiva) il genitore non per un atto connotato da un disvalore penalistico, ma per una qualsiasi scelta che venga ritenuta inopportuna o non sufficientemente opportuna (e, quindi, lato sensu pregiudizievole). 4.2 E' noto, al Collegio rimettente che, secondo l'insegnamento della Corte, «per verificare il rispetto del principio di tassativita' o di determinatezza della norma penale occorre non gia' valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell'illecito, bensi' collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s'inserisce» (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 282/2010). Anche ammesso, tuttavia, che la formula in esame non debba essere ricondotta alla categoria degli elementi vaghi o indeterminati (e, in quanto tali, ex se incompatibili con il principio di tassativita'), ma a quella degli elementi elastici (per i quali il rispetto dell'art. 25, comma secondo, Cost. deve essere vagliato in concreto e con riguardo alla fattispecie complessiva), deve essere evidenziato come l'art. 709-ter del codice procedura civile, non solo non aiuti l'interprete nella ricostruzione del significato da attribuire all'espressione «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», ma renda altresi' tale compito ancora piu' difficoltoso. Il comma primo della citata disposizione, infatti, fa riferimento a due fattispecie distinte, ossia le controversie insorte fra i genitori in ordine all'esercizio della potesta' genitoriale o delle modalita' di affidamento, fissando per esse la competenza del giudice del procedimento in corso. Il comma secondo, al contrario, abbraccia ulteriori tipologie di controversie, fra cui quelle riguardanti l'inadempimento degli obblighi di contribuzione economica (rientrando tale fattispecie nella nozione di «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», come spiegato al par. 1 della presente ordinanza, e non nella nozione di «gravi inadempienze», essendo queste ultime funzionalmente connesse ai «provvedimenti opportuni» adottati dal giudice di cui al periodo immediatamente precedente). Per tali ragioni appare al Collegio rimettente che il comma secondo della disposizione in esame debba essere necessariamente interpretato come norma a se' stante, slegata da quella di cui al comma primo. Il significato e la portata degli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», di conseguenza, non possono essere rinvenuti nell'ambito delle controversie sull'esercizio della responsabilita' genitoriale o delle modalita' di affidamento, trattandosi di fattispecie distinte: l'ambito applicativo del comma secondo si appalesa piu' ampio ancorche' subordinato alla sussistenza di un «pregiudizio» (nozione quest'ultima assente, al contrario, al comma primo della medesima disposizione). 4.3 La nozione di «pregiudizio» non puo' essere individuata con sufficiente precisione nemmeno volgendo lo sguardo ai sistema civilistico nel complesso. La sanzione sostanzialmente penale, di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, puo' essere infatti applicata pur in assenza della prova dell'esistenza di un danno ingiusto risarcibile. Pertanto, la nozione di «pregiudizio» non puo' coincidere con quella di cui al combinato disposto degli articoli 2043 e 2059 del codice civile, apparendo la stessa piu' ampia e indipendente rispetto alla sussistenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale da fatto illecito. 4.4 Il deficit di determinatezza della norma in esame appare evidente, infine, dal confronto con l'art. 570 del codice penale, il quale punisce, come si e' visto, talune fra le condotte contemplate dall'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile e, pertanto, risulta particolarmente idoneo ad assumere la funzione di tertium comparationis. La citata norma del codice penale, infatti, punisce la condotta di colui il quale, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale della famiglia, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilita' genitoriale. Tale norma, contrariamente all'art. 709-ter, comma secondo, del codice di procedura civile, individua con sufficiente grado di specificazione tanto l'alveo delle condotte punibili (pur tramite l'utilizzo della formula aperta della contrarieta' all'ordine o alla morale della famiglia, riconducibile alla categoria sopra descritta degli elementi elastici), quanto l'evento del reato, il quale coincide con la sottrazione agli obblighi di assistenza. L'art. 709-ter, comma secondo del codice di procedura civile, di contro, non individua ne' le condotte che integrano la norma (le quali, per quanto dimostrato in precedenza, non possono essere ritenute coincidenti con quelle di cui ai comma primo della medesima disposizione), ne' circoscrive la nozione dell'evento del reato con sufficiente grado di precisione e determinatezza. 4.5 Dall'esame della fattispecie e della sanzione sostanzialmente penale di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, in definitiva, emergono chiaramente l'imprecisione e l'indeterminatezza della norma, l'impossibilita' di attribuire ad essa un contenuto oggettivo, coerente e razionale e pertanto l'assoluta arbitrarieta' della sua concreta applicazione (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 96/1981), rimettendo tale norma l'individuazione della nozione di «pregiudizio» e delle condotte punibili in concreto alla pura discrezionalita' del giudice, in assenza di qualsivoglia indice normativo che possa quantomeno delimitare l'ambito delle condotte punibili in relazione alla gravita' delle stesse. 4.6 La norma non puo' essere interpretata in maniera costituzionalmente conforme per i seguenti motivi. Con riferimento alla censura relativa al deficit di tassativita'/determinatezza, il Collegio ritiene che l'impossibilita' di esercitare un'interpretazione costituzionalmente conforme sussista in re ipsa in considerazione della tipologia di vulnus arrecato dall'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile al precetto costituzionale di cui all'art. 25, comma secondo della Costituzione. Al fine di interpretare la norma di legge in maniera costituzionalmente conforme, infatti, il Giudice dovrebbe essere in grado di rinvenire, dall'analisi della disposizione ed eventualmente mediante l'utilizzo di un'interpretazione di tipo sistematico, indici normativi idonei a delimitarne sufficientemente il contenuto, in conformita' di quanto richiesto dall'art. art. 25, comma secondo della Legge Fondamentale. Tuttavia, per le ragioni fin qui esposte, l'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, nella parte in cui sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», si dimostra impreciso, indeterminato e inidoneo a fornire all'interprete indici sufficienti per garantirne un'interpretazione coerente, razionale e non arbitraria in termini assoluti. Pertanto, risulta conseguentemente impossibile interpretare l'art. 709-ter, somma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, nella parte in cui sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», in maniera conforme al principio costituzionale di tassativita'/determinatezza, di cui all'art. 25, comma secondo, Cost. Sarebbe dunque auspicabile un intervento della Corte volto a rimuovere la lesione del principio di tassativita'/determinatezza, o a precisare il contenuto della disposizione cosi da renderla conforme all'art. 25, comma secondo, Cost. 5. Non manifestamente infondata, infine, risulta la censura relativa all'art. 3, comma primo, della Costituzione. Ai sensi del quale «Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». La sanzione di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, infatti, letta in combinato disposto con l'art. 570 del codice penale (norma assunta come tertium comparationis ai fini della presente doglianza), integra il fenomeno della cosiddetta «ingiustificata discriminazione sanzionatoria», consistente nella previsione di un trattamento sanzionatorio notevolmente diverso per fattispecie analoghe o comunque assimilabili. Le disposizioni citate del codice di rito civile e del codice penale, infatti, puniscano la medesima condotta, consistente nell'inadempimento degli obblighi di mantenimento, con sanzioni pecuniarie i cui importi massimi sono fissati, rispettivamente, nella somma di euro 5.000,00 e di euro 1.032,00, con cio' integrando un'irragionevole disparita' di trattamento fra il soggetto punito per tale condotta nell'ambito di un giudizio ex art. 709-ter del codice di procedura civile e il soggetto che risponda per i medesimi fatti in sede penale. Il contrasto fra la norma censurata e l'art. 3, comma primo, Cost. risulta evidente dal confronto fra gli importi massimi di cui alle due sanzioni citate, essendo quello previsto dal precetto ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile circa cinque volte superiore rispetto a quello di cui all'art. 570 del codice penale, con cio' integrando il requisito dell'«evidente violazione del canone della ragionevolezza» di frequente richiamato, con riferimento a fattispecie simili, nella giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. sentenze nn. 325/2005, 22/2007). La tipologia di sindacato prospettata dal Collegio rimettente non e' infatti estranea alle pronunce del Giudice delle Leggi. Ad esempio, e' stato ritenuto lesivo dell'art. 3, comma primo, Cost. il delitto di «rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza», di cui all'art. 8, comma secondo, legge n. 772/1972, nella parte in cui prevedeva una pena irragionevolmente superiore rispetto alla pena prevista per il delitto di «mancanza alla chiamata», di cui all'art. 151 del Codice Penale Militare di Pace, sulla base della riconosciuta identita' del bene giuridico tutelato dalle due sanzioni (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 409/1989). Parimenti, e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il reato di «diffusione di pubblicazioni di propaganda elettorale prive del nome del committente responsabile» durante le elezioni per la carica di Sindaco, di cui all'art. 29, comma quinto, legge n. 81/1993, in quanto caratterizzato da un trattamento sanzionatorio arbitrariamente piu' severo rispetto a quello previsto ex art. 15, comma secondo, legge n. 515/1993 per la medesima condotta nell'ambito delle elezioni politiche (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 287/2001). La prospettata diversita', nella disciplina sanzionatoria, in riferimento a condotte sostanzialmente identiche effettuata dai precetti di cui agli articoli 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile e 570 del codice penale appare priva di giustificazioni e, in quanto tale, lesiva del principio di uguaglianza-ragionevolezza, di cui all'art. 3, comma primo, della Legge Fondamentale. 5.1 La norma non puo' essere interpretata in maniera costituzionalmente conforme per i seguenti motivi. Di fronte a una cornice edittale normativamente prevista, quale e' quella di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile, il Giudice dovra' necessariamente graduare l'importo della sanzione irrogata in concreto in relazione alla gravita' della condotta, applicando importi tendenti al massimo a fronte di condotte reputate gravi e tendenti al minimo in relazione a violazioni di entita' minore. Il vulnus arrecato all'art. 3, comma primo, Cost. non puo' pertanto essere sanato dal Giudice del merito per via interpretativa, rendendo necessario un intervento della Corte costituzionale volto ad incidere sulla cornice edittale della sanzione di cui all'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile cosi da renderla conforme al principio di uguaglianza-ragionevolezza. 6. Conclusioni. Sulla base di tutte le esposte argomentazioni, il Collegio ritiene che la decisione sulla domanda di condanna ex art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile proposta dalla ricorrente nel presente giudizio non possa essere decisa indipendentemente dalla risoluzione delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 e 137 Cost.; Visto l'art. 1 legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1; Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87: dichiara rilevante nel presente procedimento e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile nella parte in cui stabilisce che «in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalita' dell'affidamento», il Giudice puo' «condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende», ritenendo le suddette disposizioni in violazione dell'art. 117, comma primo della Costituzione nei termini di cui in motivazione; dichiara rilevante nel presente procedimento e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile nella parte in cui sanziona gli «atti che comunque arrechino pregiudizio al minore», ritenendo tale espressione lesiva dell'art. 25, comma secondo della Costituzione nei termini di cui in motivazione; dichiara rilevante nel presente procedimento e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 709-ter, comma secondo, n. 4) del codice di procedura civile nella parte in cui stabilisce il limite massimo dell'importo della sanzione ivi prevista nella somma di euro 5.000,00, ritenendo tale disposizione lesiva dell'art. 3, comma primo della Costituzione nei termini di cui in motivazione; dichiara la sospensione del giudizio; ordina che il presente provvedimento, a cura della Cancelleria, sia notificato a G. S., a M. P., al Pubblico Ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicato al Presidente del Senato e al Presidente della Camera dei Deputati; ordina che, all'esito delle indicate notificazioni, il provvedimento sia trasmesso alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale ed alla prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. Si da' atto che alla redazione del presente provvedimento ha contribuito il dott. Stefano Romoli, tirocinante ex art. 73, d.l. n. 69/2013. Cosi' deciso nella camera di consiglio del 30 aprile 2019. Il Presidente: Cusumano Il Giudice est.: Barbazza