N. 221 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 2019
Ordinanza del 20 settembre 2019 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Sez. staccata di Brescia sul ricorso proposto da Terra Moretti S.p.A. e Societa' Agricola Bellavista S.S. contro Comune di Adro e Provincia di Brescia. Espropriazione per pubblica utilita' - Norme della Regione Lombardia - Piano dei servizi - Durata quinquennale dei vincoli preordinati all'espropriazione per la realizzazione di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi, decorrenti dall'entrata in vigore del piano stesso - Decadenza dei vincoli qualora, entro tale termine, l'intervento cui sono preordinati non sia inserito, a cura dell'ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle opere pubbliche. - Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), art. 9, comma 12.(GU n.50 del 11-12-2019 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 441 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da Terra Moretti S.p.A. e Societa' Agricola Bellavista S.S., entrambe in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Francesco Fontana e Italo Luigi Ferrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Francesco Fontana in Brescia, via Armando Diaz n. 28; contro il Comune di Adro, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, viale della Stazione n. 37; nei confronti della Provincia di Brescia, non costituita in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale relativa alla previsione dell'art. 9, comma 12, della legge regionale della Regione Lombardia n. 12/2005: della deliberazione del Consiglio comunale 15 febbraio 2018, n. 11, pubblicata in data 23 febbraio 2018, recante «Approvazione progetto definitivo/esecutivo e dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera di realizzazione nuova strada di collegamento tra la via Cattaneo e via per Torbiato nel Comune di Adro - CUP F86G13000000007»; della deliberazione di Giunta comunale 8 agosto 2017, n. 106, recante l'approvazione dello studio di fattibilita' del medesimo progetto; della deliberazione del Consiglio comunale 24 febbraio 2018, n. 17, di approvazione del progetto definitivo/esecutivo e di dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera suddetta; quanto al primo ricorso per motivi aggiunti: della deliberazione della Giunta comunale n. 94 del 26 luglio 2018, mai formalmente comunicata ai ricorrenti, di approvazione della modifica di progetto esecutivo della nuova strada di collegamento tra via Cattaneo e via Torbiato del Comune di Adro; quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti: del decreto di esproprio n. 2/2018 relativo alle «aree coinvolte dal progetto per la realizzazione della nuova strada di collegamento tra via Cattaneo e via per Torbiato nel Comune di Adro»; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Adro; Vista la sentenza non definitiva di questo Tribunale n. 736 del 7 agosto 2019; Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 1. Le societa' ricorrenti hanno impugnato l'atto recante la dichiarazione di pubblica utilita' e i successivi provvedimenti adottati nell'ambito del procedimento espropriativo preordinato alla realizzazione della nuova strada di collegamento tra la via Cattaneo e la via per Torbiato nel Comune di Adro, la cui localizzazione e' stata in parte prevista sulla proprieta' della societa' Terra Moretti, destinata dalla societa' Bellavista alla coltivazione dell'uva per la produzione di vino con denominazione «Franciacorta DOCG». Piu' precisamente, con il ricorso introduttivo, le societa' ricorrenti hanno censurato la legittimita' della dichiarazione di pubblica utilita', mentre con il primo ricorso per motivi aggiunti hanno impugnato la successiva deliberazione di approvazione di alcune modifiche progettuali e con il secondo il decreto di esproprio. Al fine di ottenere l'annullamento di detti provvedimenti, le ricorrenti hanno formulato una pluralita' di censure, con le quali sono stati dedotti vizi procedurali (censure 1, 4 e 5 del ricorso introduttivo, 1, 2 e 3 del primo ricorso per motivi aggiunti e 2 del secondo ricorso per motivi aggiunti), oltre che la violazione dei principi posti a tutela del suolo agricolo e l'eccesso di potere connesso alla scelta di realizzare un'opera che, separata dalla piu' ampia opera di cui era originariamente parte (la circonvallazione dell'abitato), avrebbe una pubblica utilita' limitata, recessiva rispetto alla conservazione della pregiata coltura in atto, nonche' l'illegittimita' costituzionale della norma in ragione della quale e' stata ravvisata, nel 2018, la conformita' urbanistica dell'opera prevista nel PGT del 2012. 2. Con sentenza non definitiva n. 736/2019, questo Tribunale ha ritenuto che le doglianze suddette fossero in parte inammissibili e in parte infondate, con la sola esclusione della censura n. 2 del ricorso introduttivo, riproposta anche nel primo ricorso per motivi aggiunti (e, in termini di invalidita' derivata, anche nel secondo ricorso per motivi aggiunti), avente ad oggetto l'efficacia del presupposto essenziale del procedimento espropriativo, rappresentato dal vincolo preordinato all'esproprio: efficacia disciplinata dall'art. 9, comma 12, della legge regionale n. 12/2005, sospettato di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 42, comma 2 e 117, comma 3 della Costituzione. 3. Ad avviso del Collegio sussistono i presupposti per sollevare la questione avanti alla Corte costituzionale. 3.1. Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. Come noto, l'art. 23 della legge n. 87 del 1953 prevede che il giudice debba sospendere il giudizio in corso e trasmettere gli atti alla Corte costituzionale quando il giudizio non possa essere risolto indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. Tale condizione risulta ricorrere nella fattispecie, posto che, respinte tutte le altre censure, ricorso revoca in dubbio la legittimita' costituzionale della disposizione applicata nella fattispecie al fine di sostenere la efficacia del vincolo preordinato all'esproprio sulla scorta del quale e' stata dichiarata la pubblica utilita' dell'opera in questione, cosi' adottando il provvedimento che ha degradato il diritto di proprieta' rendendolo aggredibile con la procedura espropriativa. Se il dubbio sollevato da parte ricorrente fosse fondato, dunque, il vincolo espropriativo dovrebbe essere ritenuto decaduto, al momento dell'adozione della dichiarazione di pubblica utilita', che, per cio' stesso, dovrebbe essere dichiarata illegittima, perche' priva del presupposto fondante l'esercizio del potere ablatorio (cfr la lettera a) dell'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001, la quale afferma che il decreto di esproprio puo' essere emanato qualora «l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale o in un atto di natura ed efficacia equivalente e sul bene da espropriare sia stato apposto in vincolo preordinato all'esproprio»). Infatti, nel caso in esame, il vincolo preordinato all'esproprio e' divenuto efficace nel momento in cui ha acquistato efficacia il PGT del Comune di Adro approvato nel 2012 e cioe' il giorno 21 novembre 2012. Il primo comma dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001 prevede espressamente che «Un bene e' sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilita'». I successivi commi stabiliscono che «2. Il vincolo preordinato all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, puo' essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera. 3. Se non e' tempestivamente dichiarata la pubblica utilita' dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall'art. 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 4. Il vincolo preordinato all'esproprio, dopo la sua decadenza, puo' essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard». In base alla disposizione ora citata il vincolo sarebbe, dunque, venuto meno il 21 novembre 2017, mentre la dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera e' intervenuta solo il 15 febbraio 2018. Secondo la tesi del Comune, pero', la sussistenza della necessaria conformita' urbanistica dell'opera rispetto allo strumento urbanistico sarebbe garantita, nella fattispecie, come espressamente attestato nella deliberazione del Consiglio comunale che ha approvato il progetto e dichiarato la pubblica utilita', dalla vigenza dell'art. 9, comma 12, della legge regionale n. 12/2005, il quale recita: «I vincoli preordinati all'espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi hanno la durata di cinque anni, decorrenti dall'entrata in vigore del piano stesso. Detti vincoli decadono qualora, entro tale termine, l'intervento cui sono preordinati non sia inserito, a cura dell'ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle opere pubbliche e relativo aggiornamento, ovvero non sia stato approvato lo strumento attuativo che ne preveda la realizzazione.». Poiche', nella fattispecie, il piano triennale delle opere pubbliche 2017-2019 e' stato approvato, prevedendo la realizzazione anche del collegamento tra le vie Cattaneo e per Torbiato, in data 6 aprile 2017 (con deliberazione del consiglio comunale n. 12 del 2017) e, dunque, prima della scadenza del quinquennio di efficacia del vincolo espropriativo, quest'ultimo e' stato dichiaratamente assunto quale presupposto della procedura espropriativa avversata: circostanza, questa, rilevante ai fini dell'ammissibilita' sia della doglianza stessa, che della questione di legittimita' costituzionale. Infatti, e' pur vero che, lo stesso giorno in cui e' stata dichiarata la pubblica utilita', e' stata anche adottata (con la deliberazione precedente, recante il numero 10 del 2018) una variante urbanistica, poi approvata solo con deliberazione del consiglio comunale n. 23 del 12 maggio 2018, con cui il Comune di Adro ha preso atto della «conferma» dell'efficacia del vincolo preordinato all'esproprio in ragione dell'inclusione dell'opera nel Programma triennale delle opere pubbliche. Tale deliberazione ha un duplice contenuto: da un lato reitera i vincoli preordinati all'esproprio relativi ad alcune opere pubbliche per cui erano decaduti, dall'altro, per una pluralita' di opere pubbliche, tra cui il collegamento tra le vie Cattaneo e per Torbiato in parola, da' atto dell'inserimento delle stesse nel Programma triennale delle opere pubbliche e del conseguente effetto «confermativo» dell'efficacia del vincolo, derivante dall'art. 9, comma 12, della legge regionale n. 12/2005. In tale seconda parte, il provvedimento risulta essere del tutto atipico (dal momento che l'effetto della norma richiamata e' automatico) e, dunque, al piu', sostanzialmente ricognitivo. L'assenza di contenuto dispositivo, innovativo dell'ordinamento, congiuntamente con la considerazione del fatto che la statuizione contenuta in tale atipica variante urbanistica e' divenuta efficace ben dopo la dichiarazione di pubblica utilita', rende, contrariamente a quanto sostenuto dal comune, irrilevante la sua mancata impugnazione. Non appare, infatti, revocabile in dubbio il fatto che, nella fattispecie, la dichiarazione di pubblica utilita' sia intervenuta sulla base di un vincolo preordinato all'esproprio divenuto efficace piu' di cinque anni prima dell'approvazione del progetto, la cui efficacia risulta prorogata automaticamente per effetto dell'inclusione dell'opera nel Programma delle opere pubbliche triennale, a prescindere da ogni motivazione circa l'interesse pubblico alla reiterazione, da ogni garanzia partecipativa per il proprietario e dalla corresponsione di un adeguato indennizzo (cosi' come, invece, previsto dall'art. 39 del testo unico del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001), cosi come puntualmente rappresentato nella stessa dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera. A nulla rileva che di tale effetto si sia preso atto in un provvedimento successivo alla dichiarazione di pubblica utilita' stessa, privo di capacita' innovativa circa l'efficacia del vincolo, il quale, per cio' stesso, risulterebbe inevitabilmente ed automaticamente travolto dall'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma che ne rappresenta il presupposto. Considerato, dunque, che, data la sua formulazione, la disposizione non risulta suscettibile di un'interpretazione costituzionalmente orientata, rispettosa dei precetti costituzionali, cosi' come enunciati nel ricordato art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001, il Collegio ravvisa la necessita', ai fini della risoluzione della controversia, di accertare se nell'approvare l'art. 9 della legge regionale della Lombardia n. 12/2005, la regione abbia violato i principi fondamentali della materia espropriativa e, dunque, non solo l'art. 42 della Costituzione, ma anche l'art. 1 del Primo protocollo della CEDU, nonche' i limiti della potesta' legislativa regionale di cui all'art. 117 della Costituzione. Solo l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale consentirebbe, infatti, al Collegio di annullare i provvedimenti impugnati. 3.2. Sulla non manifesta infondatezza della questione. Ritiene il Collegio che l'art. 9, comma 12, della legge regionale lombarda n. 12/2005 violi gli artt. 117 e 42 della Costituzione, per le ragioni che si andranno ad esplicitare. Con sentenza n. 575 del 1989, la Corte costituzionale, pur rigettando la questione di legittimita' costituzionale sollevata in relazione alla violazione dell'art. 42 della Costituzione, affermo' che l'indeterminatezza temporale del vincolo espropriativo (da non confondersi con il ben diverso vincolo conformativo) desse luogo a una situazione di incompatibilita' con la garanzia della proprieta' privata e, di fatto, a un'espropriazione di valore, con conseguente necessita' della previsione di un indennizzo. Piu' precisamente, il giudice delle leggi, ha affermato che «e' propria della potesta' pianificatoria la possibilita' di rinnovare illimitatamente nel tempo i vincoli su beni individuati, purche', come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche. Tale possibilita', tuttavia, darebbe luogo ad un sistema non conforme ai principi affermati nella richiamata sentenza n. 55 del 1968, qualora il vincolo venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione di indennizzo. Come si evince dalla stessa sentenza e come e' stato ribadito piu' di recente (sent. n. 82 del 1982), i due requisiti della temporaneita' e della indennizzabilita' sono difatti tra loro alternativi, per cui l'indeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potesta' di reiterarli indefinitamente nel tempo anche se con diversa destinazione o con altri mezzi, e' costituzionalmente legittima a condizione che l'esercizio di detta potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprieta' secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968.». Sulla scorta di tale pronuncia, il legislatore, nel modificare l'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, stabili' la durata quinquennale del vincolo preordinato all'esproprio, subordinandone la reiterazione alla rappresentazione di una debita motivazione fondata sulla presenza di un elemento di novita' che la giustificasse. A seguito del dubbio di costituzionalita' anche in relazione a tale disposizione (sollevato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza n. 20/1996), con sentenza n. 179 del 20 maggio 1999, il giudice delle leggi dichiaro' l'incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) «nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilita' senza la previsione di indennizzo». In altri termini, si legge ancora nella sentenza «una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non puo' essere dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio dell'attivita' preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi) dalla previsione di un indennizzo». Tempestivamente il legislatore del 2001 fece propri tali principi e introdusse, nel testo unico delle espropriazioni approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001: a) la previsione della durata quinquennale del vincolo preordinato all'esproprio; b) la possibilita' della reiterazione del vincolo seguendo un procedimento che prevede la garanzia partecipativa per i proprietari interessati e si conclude con un provvedimento motivato che deve tenere conto, in particolar modo, delle esigenze di soddisfacimento degli standard; c) l'obbligo della corresponsione, nel caso di reiterazione, di un indennizzo, ancorche', come chiarito con sentenza dell'Adunanza plenaria n. 7/2007, per la legittimita' della reiterazione non sia necessaria la puntuale definizione dell'indennizzo da parte dell'Amministrazione, subordinata alla prova, da parte del proprietario inciso, dell'effettivo danno subito e alla sua esatta quantificazione. Venendo alla previsione regionale sospetta di incostituzionalita', il legislatore lombardo ha, a parere del Collegio, derogato al principio fondamentale affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 179/1999, secondo cui, alla scadenza del termine di efficacia quinquennale del vincolo preordinato all'esproprio esso decade a meno che non ricorra una delle seguenti condizioni: A. il vincolo sia reiterato seguendo l'apposito procedimento a tal fine previsto dalla legge, con le conseguenti garanzie in termini di partecipazione al procedimento e di indennizzo del danno conseguente; B. la sua decadenza sia preclusa dall'intervenire, prima della scadenza, dell'espropriazione ovvero del «serio inizio dell'attivita' preordinata all'espropriazione». Tale condizione e' stata ravvisata dalla stessa sentenza in parola nell'approvazione di un piano attuativo e poi dal legislatore del testo unico del 2001 nell'approvazione del provvedimento che dichiara la pubblica utilita' dell'opera e, quindi, di un provvedimento che comunque garantisce la partecipazione in chiave collaborativa al proprietario/espropriando e che rappresenta il primo atto di un procedimento (quello espropriativo) puntualmente cadenzato, che delimita nel tempo l'esercizio del potere espropriativo, prevedendo che, in difetto di un piu' breve termine espressamente previsto, il decreto d'esproprio debba intervenire entro cinque anni decorrenti dal giorno in cui e' divenuto efficace il provvedimento dichiarativo della pubblica utilita'. Da tutto il quadro sin qui delineato emerge chiaramente come, nel corso del tempo, sia stato chiarito che l'esercizio del potere ablatorio puo' essere ritenuto conforme all'art. 42 della Costituzione (e oggi anche all'art. 1 del Primo protocollo allegato alla CEDU, dal momento che si e' chiarito come il rispetto della norma pattizia, quale e' la Carta europea dei diritti dell'uomo, pone dei precisi limiti alla potesta' legislativa dello Stato e a maggior ragione delle regioni, la cui violazione genera questioni di legittimita' costituzionale attratte nella competenza della Corte costituzionale - cfr. le sentenze numeri 348 e 349 del 2007) se e in quanto risulti limitato nel tempo e compensato dalla corresponsione di un equo indennizzo. Il legislatore regionale lombardo, quindi, risulta, a parere del Collegio, aver disatteso i limiti imposti alla propria competenza legislativa, violando l'art. 117 della Costituzione, per aver, nell'esercizio di una competenza legislativa concorrente, eluso i principi fondamentali della materia, desumibili anche dall'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU e affermati dal legislatore statale nel testo unico delle espropriazioni, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale che li ha estrapolati dall'art. 42 della Costituzione. Piu' precisamente, la Regione Lombardia ha violato i limiti posti dall'art. 117 della Costituzione, perche', esorbitando dalla propria competenza concorrente in materia, ha introdotto una nuova ipotesi in cui il vincolo preordinato all'esproprio si consolida, che per le ragioni che si andranno a meglio evidenziare, non puo' rappresentare un «serio inizio della procedura espropriativa», condizione ritenuta essenziale dalla Corte costituzionale e la cui ricorrenza e' stata individuata dal legislatore nazionale solo nell'intervento del primo atto della procedura espropriativa intesa in senso stretto, quale e' stata qualificata la dichiarazione di pubblica utilita'. Il Collegio ritiene, dunque, che la Regione Lombardia abbia travalicato i limiti della propria competenza legislativa, disciplinando una nuova ipotesi di «attuazione» del vincolo espropriativo, in violazione dell'art. 117 della Costituzione che, riserva al legislatore nazionale l'individuazione degli atti la cui adozione equivale al serio avvio della procedura espropriativa, che la Corte costituzionale ha indicato come condizione necessaria per ritenere rispettato il principio della temporaneita' del potere espropriativo esercitabile su determinati beni. L'esercizio di questo potere pare, dunque, porsi, nella fattispecie in esame, in contrasto con l'art. 42 della Costituzione, da una corretta interpretazione del quale discende, come gia' anticipato, che il potere espropriativo puo' essere esercitato solo nei limiti in cui cio' sia previsto dalla legge e, come evidenziato nella sentenza della Corte costituzionale n. 575/1989 gia' ricordata, a condizione che l'assoggettamento al potere espropriativo sia limitato nel tempo ovvero che, a fronte di una indeterminatezza temporale del vincolo, il proprietario sia indennizzato per la perdita, in via di fatto, della proprieta'. Ne discende che il vincolo preordinato all'esproprio, imposto mediante un apposito procedimento che garantisca la partecipazione dell'interessato, deve avere durata determinata nel tempo e nell'arco del periodo di efficacia deve intervenire la dichiarazione di pubblica utilita', la quale, a sua volta, e' pronunciata a conclusione di un procedimento che garantisce la partecipazione e deve essere attuata, con l'intervento del decreto di esproprio, entro il termine all'uopo fissato dall'Amministrazione e comunque non superiore ai cinque anni. Nell'ipotesi di cui al comma 12 dell'art. 9 della legge regionale lombarda n. 12/2005, invece, il potere ablatorio finisce per essere esercitabile a tempo indeterminato, in ragione di un provvedimento, l'approvazione del Piano triennale delle opere pubbliche che preveda la realizzazione anche di quella oggetto del vincolo in scadenza, la cui adozione non garantisce la partecipazione procedimentale degli interessati e che puo' essere rinnovato all'infinito senza bisogno ne' di motivazione, ne' di indennizzo. L'art. 21 del codice degli appalti, infatti, disciplina l'approvazione del piano triennale delle opere pubbliche senza particolari formalita' che garantiscano la partecipazione al procedimento dei soggetti interessati dalla realizzazione delle opere in esso inserite, anche in considerazione della sua funzione prettamente programmatica, strettamente connessa alla programmazione finanziaria e di bilancio e alla sua natura organizzativa dell'attivita' dell'ente, individuando le opere da eseguirsi con priorita'. Tant'e' che anche a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale 16 gennaio 2018, n. 14, recante il regolamento relativo alle procedure e schemi tipo per la redazione e la pubblicazione del piano triennale dei lavori pubblici, pur essendo ribadita la necessita' della pubblicazione del piano, la garanzia partecipativa risulta essere minima, dal momento che l'art. 5 prevede che l'amministrazione «possa» consentire la presentazione delle osservazioni entro trenta giorni dalla pubblicazione, facendo ricorso a un subprocedimento che la norma definisce come «consultazioni», che, quindi, e' eventuale, rimesso alla scelta dell'ente e puo' concludersi senza che sul comune gravi un preciso onere motivazionale, nel caso in cui le prospettazioni del privato vengano disattese. Inoltre, nessuna disposizione normativa limita la possibilita' di riproporre, negli aggiornamenti annuali, il mantenimento delle previsioni di realizzazione della stessa opera, che, dunque, potrebbe essere procrastinata all'infinito, di fatto svuotando completamente di contenuto il diritto di proprieta' e, cosi', espropriando il suo titolare, cui e' preclusa ogni utilizzazione che non sia quella per la coltivazione agricola, pur in assenza di alcun indennizzo. In questo modo si finisce per eludere sia il principio della temporaneita' del potere espropriativo, sia quello dell'indennizzabilita' in caso di un potere che si consolidi nel tempo pur non essendo intervenuta l'espropriazione, espressamente indicati come alternativi dal giudice delle leggi nelle sentenze gia' piu' volte ricordate. L'inserimento nel piano triennale delle opere pubbliche, infatti: se da un lato non puo' essere qualificato come un serio inizio della procedura espropriativa, in quanto non offre alcuna garanzia circa il fatto che l'opera sia effettivamente realizzata, non comportando alcun impegno di spesa e non essendo previsto alcun termine di efficacia entro cui i lavori debbono essere conclusi; dall'altro, viola anche il fondamentale presupposto, introdotto dal legislatore in recepimento del principio individuato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 179/1999 e trasfuso nel primo comma dell'art. 39 del testo unico del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001, secondo cui «nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo e' dovuta al proprietario una indennita', commisurata all'entita' del danno effettivamente prodotto.». 4. In conclusione questo Tribunale ritiene che l'art. 9, comma 12, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005 sia costituzionalmente illegittimo laddove ricollega all'inserimento dell'opera pubblica nella programmazione triennale prevista dalla normativa in materia di lavori pubblici, l'effetto preclusivo della decadenza del vincolo preordinato all'esproprio. 5. Cio' premesso, questo Tribunale solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 12, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005, nella parte in cui, in violazione dei limiti alla propria competenza legislativa concorrente definiti dall'art. 117 Cost. e comunque dei principi fondamentali relativi ai limiti del potere espropriativo discendenti dall'art. 42 Cost., attribuisce all'inserimento della previsione della realizzazione di un'opera pubblica nella programmazione triennale di cui all'art. 21 del decreto legislativo n. 50/2016 l'effetto preclusivo della decadenza del vincolo quinquennale preordinato all'esproprio per la sua esecuzione, secondo i profili e per le ragioni sopra indicate, con sospensione del giudizio fino alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della decisione della Corte costituzionale sulle questioni indicate, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 ed 80 del c.p.a. e art. 295 c.p.c. Riserva al definitivo la decisione nel merito e sulle spese.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 12, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005, per violazione degli artt. 42 e 117 della Costituzione, dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Rinvia ogni statuizione sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale ai sensi degli artt. 79 ed 80 del c.p.a. Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Brescia nella Camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019 con l'intervento dei magistrati: Mara Bertagnolli, Presidente FF, Estensore; Alessio Falferi, consigliere; Elena Garbari, referendario. Il Presidente, estensore: Bertagnolli