N. 270 SENTENZA 6 novembre - 13 dicembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero  -  Espulsione  amministrativa  dell'imputato  straniero  -
  Avvenuta esecuzione prima dell'emissione di  decreto  di  citazione
  diretta  a  giudizio  -  Potere  del  giudice  di  rilevare,  anche
  d'ufficio, che l'espulsione e' stata eseguita prima  dell'emissione
  del provvedimento che dispone il giudizio e che ricorrono tutte  le
  condizioni per pronunciare sentenza di  non  luogo  a  procedere  -
  Omessa previsione  -  Violazione  dei  principi  di  eguaglianza  e
  ragionevolezza - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,  art.  13,  comma
  3-quater.   
- Costituzione, artt. 3, 24, 101 e 111.   
(GU n.51 del 18-12-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Aldo CAROSI; 
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma
3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla  condizione  dello  straniero),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di J.D.  G.  V.
con ordinanza del 29 ottobre 2018, iscritta al  n.  48  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9  ottobre  2019  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 ottobre 2018 (r. o.  n.  48  del  2019),
depositata in  pari  data,  il  Tribunale  ordinario  di  Firenze  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero) in riferimento  agli  artt.
3, 24, 101 e 111 della Costituzione. 
    La disposizione censurata prevede che «[n]ei  casi  previsti  dai
commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova  dell'avvenuta
espulsione, se non  e'  ancora  stato  emesso  il  provvedimento  che
dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere». 
    Il rimettente  dubita  della  legittimita'  costituzionale  della
norma nella parte in cui -  applicandosi  anche  alle  ipotesi  (come
quella al suo esame) in cui, pur a fronte  di  una  gia'  intervenuta
espulsione mediante accompagnamento alla  frontiera  da  parte  degli
organi di polizia, il pubblico ministero abbia emesso il  decreto  di
citazione diretta a giudizio  -  «non  prevede  che  il  giudice  del
dibattimento, acquisita la prova dell'avvenuta  espulsione,  pronunci
sentenza di non doversi procedere nel caso in  cui  l'espulsione  sia
avvenuta prima dell'emissione del  decreto  di  citazione  diretta  a
giudizio da parte del pubblico ministero». 
    Premette il giudice  che,  in  seguito  a  decreto  di  citazione
diretta a giudizio ai sensi dell'art. 550  del  codice  di  procedura
penale, egli e' chiamato a giudicare nel procedimento a carico di  un
cittadino straniero, imputato del reato  previsto  dall'art.  624-bis
del  codice  penale  rubricato  «Furto  in  abitazione  e  furto  con
strappo». 
    In particolare, il Tribunale rimettente espone che, a seguito  di
verifiche fatte prima dell'apertura del dibattimento e a  seguito  di
sollecitazione della difesa dell'imputato, era emerso che  l'imputato
era stato espulso dal territorio nazionale in forza del provvedimento
del 23 ottobre 2017 del Prefetto di Milano, provvedimento  portato  a
esecuzione il giorno dopo con accompagnamento  dello  straniero  alla
frontiera aerea e successivo imbarco su  un  volo  per  il  paese  di
origine. Riferisce, ancora, il rimettente che  «in  data  30  gennaio
2018 era emesso dal pubblico ministero  il  decreto  di  citazione  a
giudizio,   poi   notificato   all'imputato   presso   il   difensore
domiciliatario». 
    Quindi, l'esecuzione dell'espulsione era avvenuta prima -  e  non
gia' dopo - dell'emissione del provvedimento che dispone il giudizio. 
    Quanto all'incidenza della disposizione sul  procedimento  penale
pendente,  il  giudice  a  quo  ricorda  che  la  giurisprudenza   di
legittimita', con orientamento consolidato, ha affermato  che  l'art.
13, comma 3-quater, del d.lgs n.  286  del  1998  trova  applicazione
anche  nell'ipotesi  di  citazione  diretta  in  giudizio  ai   sensi
dell'art. 550 cod. proc. pen., e sottolinea che in tal  senso  si  e'
espressa anche questa Corte con l'ordinanza n. 143 del 2006. 
    Il Tribunale rimettente, richiamando in particolare  tale  ultima
pronuncia, evidenzia che l'istituto contemplato dall'art.  13,  comma
3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998 costituisce «una  condizione  di
procedibilita'  atipica,  che  trova  la  sua  ratio  nel   diminuito
interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal
proprio territorio, in un'ottica similare - anche se non identica - a
quella sottesa alle previsioni degli artt. 9  e  10  cod.  pen.,  non
disgiunta, peraltro, da esigenze deflattive del carico penale». 
    Pero', secondo la giurisprudenza di  legittimita',  la  pronuncia
della sentenza di non luogo a procedere a seguito di espulsione dello
straniero dal territorio dello Stato non e' consentita una volta  che
sia  stato  emesso  il  decreto  che  dispone  il  giudizio  o  altro
provvedimento equipollente. 
    Con riferimento a questa fattispecie, che e' quella al suo esame,
il rimettente prospetta la violazione dell'art.  3  Cost.  ravvisando
un'irrazionale  disparita'  di  trattamento  sia  nei  rapporti   fra
imputati - perche'  da'  luogo  a  un  «diverso  trattamento  tra  il
soggetto che, in ragione del corretto operato del pubblico ministero,
benefici della non procedibilita' ed il soggetto che  nelle  medesime
condizioni si veda viceversa tratto irrimediabilmente a giudizio  per
effetto di un'erronea valutazione del suo contraddittore processuale»
- sia tra i procedimenti in cui e' prevista l'udienza preliminare e i
procedimenti a citazione diretta a giudizio, perche' solo «nei  primi
l'imputato beneficia nel corso dell'udienza preliminare di un  vaglio
giurisdizionale con riguardo alla  sussistenza  della  condizione  di
procedibilita' e puo' tramite il  proprio  difensore  difendersi  sul
punto». 
    Il rimettente, poi, in ordine alla prospettata  violazione  degli
artt. 24 e 111  Cost.,  osserva  che  nei  procedimenti  a  citazione
diretta, in cui  la  prima  udienza  dibattimentale  viene  celebrata
successivamente all'emissione del decreto di  citazione  a  giudizio,
l'applicazione della disciplina prevista dalla disposizione censurata
preclude all'imputato di eccepire l'insussistenza della condizione di
procedibilita', con violazione del principio  del  contraddittorio  e
della parita' di condizioni tra le parti processuali. 
    Inoltre, sarebbe violato anche l'art. 101 Cost., nella misura  in
cui la regola posta dall'art. 13, comma 3-quater, del d.lgs.  n.  286
del 1998 «comporta che l'atto di una parte  processuale  (l'emissione
del decreto di citazione diretta a giudizio  da  parte  del  pubblico
ministero), per quanto realizzato in violazione della normativa,  sia
vincolante per il giudice». 
    In  punto  di  rilevanza,  il  giudice  a   quo,   premesso   che
l'espulsione dell'imputato risulta  comprovata,  osserva  che  se  le
questioni sollevate fossero accolte, il giudizio potrebbe concludersi
con  la  pronuncia  di  una  sentenza  di  non  luogo  a   procedere;
diversamente,  il  giudizio  dovrebbe  proseguire  secondo   le   vie
ordinarie con l'apertura del dibattimento. 
    Infine, il rimettente afferma che la possibilita' di addivenire a
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  e'  preclusa   dal
tenore letterale della norma. 
    2.- Con atto del 30 aprile 2019,  depositato  in  pari  data,  e'
intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  siano
dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate. 
    In punto di ammissibilita', la difesa dello Stato afferma che  il
giudice rimettente avrebbe operato una ricostruzione  incompleta  del
quadro normativo  in  cui  e'  inserita  la  disposizione  censurata,
trascurando che, secondo quanto da essa stabilito, la sentenza di non
luogo a procedere puo' essere pronunciata solo nei «casi previsti dai
commi 3, 3-bis e 3-ter», i  quali  fanno  riferimento  all'espulsione
amministrativa con nulla osta dell'autorita' giudiziaria. 
    Nel merito, l'Avvocatura generale osserva che le  questioni  sono
state prospettate indicando come motivi di incostituzionalita' quelle
che sono, in realta',  le  conseguenze  di  un  errore  compiuto  dal
pubblico ministero nell'applicazione  della  norma.  Dunque,  non  si
tratterebbe di difetti intrinseci della stessa. 
    Ne discende che nessuna disparita'  di  trattamento  puo'  essere
ravvisata, ne' nel rapporto tra imputato e PM, ne' nel  rapporto  tra
imputati. Allo stesso modo va esclusa la violazione  del  diritto  di
difesa e del diritto al contraddittorio. 
    Al riguardo, la difesa statale richiama l'ordinanza  n.  142  del
2006 di questa Corte, che -  con  riferimento  alla  diversa  ipotesi
dell'espulsione  avvenuta  dopo  l'emissione  del  provvedimento  che
dispone il  giudizio  -  ha  affermato  che  il  diverso  trattamento
riservato  all'imputato,  a  seconda  che  ricorrano,  o   meno,   le
condizioni previste dall'art. 13, comma 3-quater, del d.lgs.  n.  286
del 1998, si risolve in una disparita' di mero fatto, inidonea,  come
tale,  a  fondare  un  giudizio  di  violazione  del   principio   di
eguaglianza. Con la stessa pronuncia, ricorda l'Avvocatura  generale,
la Corte ha ritenuto che la disposizione censurata esprime una scelta
riconducibile alla discrezionalita' del legislatore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario  di  Firenze,  con  ordinanza  del  29
ottobre 2018, ha sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286 (Testo unico  delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina
dell'immigrazione e norme  sulla  condizione  dello  straniero),  per
violazione degli artt. 3, 24, 101 e  111  della  Costituzione,  nella
parte in cui  non  prevede  che,  in  caso  di  citazione  diretta  a
giudizio,  il  giudice   del   dibattimento,   acquisita   la   prova
dell'avvenuta   espulsione   dell'imputato,   immigrato   irregolare,
pronunci  sentenza  di  non  doversi  procedere  nel  caso   in   cui
l'espulsione  sia  avvenuta  prima  dell'emissione  del  decreto  che
dispone la citazione diretta. 
    Il  Tribunale  rimettente  dubita  della  conformita'   di   tale
disposizione, in  particolare,  al  principio  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) nella  misura  in  cui  essa,  in  modo
perentorio e assoluto, esclude la possibilita'  per  il  giudice  del
dibattimento di pronunciare sentenza di non doversi procedere,  anche
nelle ipotesi in cui il pubblico ministero avrebbe potuto chiedere al
giudice per le indagini preliminari tale pronuncia per  essere  stata
gia' eseguita l'espulsione amministrativa e invece  abbia  esercitato
l'azione  penale  con  la  citazione  diretta  a  giudizio  ai  sensi
dell'art. 550 del codice di  procedura  penale.  Secondo  il  giudice
rimettente e' ingiustificata  la  diversita'  di  disciplina  che  ne
consegue  quanto  alla  sopravvenuta  causa  di  non   procedibilita'
dell'azione penale, ove si sia  comunque  verificato  il  presupposto
dell'esecuzione del provvedimento di espulsione prima  dell'emissione
del provvedimento che dispone il giudizio. 
    Sarebbero violati anche gli artt. 24 e 111 Cost., nella misura in
cui  e'  precluso  all'imputato  di  eccepire  la  sussistenza  della
sopravvenuta condizione di improcedibilita' dell'azione  penale.  Nei
procedimenti a citazione diretta a giudizio, infatti, la  prima  sede
in cui la difesa puo' compiutamente formulare le proprie eccezioni e'
la prima udienza dibattimentale; ma  tale  sede  e'  gia'  successiva
all'emissione del decreto di citazione a  giudizio.  Ai  sensi  della
disposizione censurata e' preclusa la pronuncia della sentenza di non
luogo a  procedere  una  volta  emesso  il  decreto  di  citazione  a
giudizio, sicche' la difesa non puo' mai far  rilevare  l'intervenuta
esecuzione  dell'espulsione  e,  quindi,  la   sopravvenienza   della
condizione di improcedibilita' dell'azione penale. 
    La disposizione censurata, infine, violerebbe altresi' l'art. 101
Cost.,  nella  misura  in  cui  comporta  che  l'atto  di  una  parte
processuale (citazione diretta  a  giudizio  da  parte  del  PM)  non
consente al giudice  di  rilevare  la  sopravvenuta  improcedibilita'
dell'azione penale  in  ragione  della  precedente  gia'  intervenuta
espulsione dello straniero, immigrato irregolare. 
    2.- La disposizione censurata - comma 3-quater dell'art.  13  del
d.lgs. n. 286  del  1998  -  prescrive  che  nei  casi  previsti  dai
precedenti commi 3, 3-bis e 3-ter, il  giudice,  acquisita  la  prova
dell'avvenuta espulsione dell'imputato, immigrato irregolare, se  non
e' ancora stato emesso il  provvedimento  che  dispone  il  giudizio,
pronuncia sentenza di non luogo a procedere. 
    Si tratta dell'espulsione amministrativa  disposta  dal  prefetto
nei casi previsti dal secondo comma dell'art. 13 del  d.lgs.  n.  286
del 1998, ossia quando lo straniero: a)  e'  entrato  nel  territorio
dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera  e  non  e'  stato
respinto ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 286 del 1998; b)  si  e'
trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della  comunicazione
di cui al successivo art. 27, comma 1-bis, o senza avere richiesto il
permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo  che  il  ritardo
sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di  soggiorno
e' stato revocato o annullato o rifiutato ovvero e' scaduto  da  piu'
di sessanta giorni e non ne e' stato chiesto il rinnovo, ovvero se lo
straniero si e' trattenuto sul territorio dello Stato  in  violazione
dell'art. 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n.  68  (Disciplina
dei soggiorni di breve durata degli  stranieri  per  visite,  affari,
turismo e studio); c) appartiene a taluna  delle  categorie  indicate
negli artt. 1, 4 e 16 del decreto legislativo 6  settembre  2011,  n.
159 (Codice delle leggi antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,
nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a
norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136). 
    Se, successivamente, lo straniero  espulso  rientra  illegalmente
nel territorio dello Stato prima del termine previsto  dal  comma  14
del medesimo art. 13  ovvero,  se  di  durata  superiore,  prima  del
termine di prescrizione del reato piu' grave  per  il  quale  si  era
proceduto nei suoi  confronti,  il  comma  3-quinquies  della  stessa
disposizione prevede espressamente che si  applica  l'art.  345  cod.
proc. pen., e quindi la sentenza di non luogo a procedere,  anche  se
non  piu'  soggetta  a  impugnazione,  non   impedisce   la   ripresa
dell'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e  contro  la
medesima persona. 
    3.-   Va   innanzi   tutto   rigettata   l'eccezione,   sollevata
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  di  inammissibilita'  delle
questioni  per  insufficiente  descrizione  della   fattispecie,   in
particolare non avendo il rimettente riferito  se  il  PM  procedente
avesse, o  no,  assentito  il  nulla  osta  all'espulsione  prima  di
richiedere la citazione diretta a giudizio. 
    Il Tribunale rimettente  -  investito  del  giudizio  penale  con
citazione  diretta  ai  sensi  dell'art.   550   cod.   proc.   pen.,
sull'assunto che il contestato reato di  furto  in  abitazione  (art.
624-bis del codice penale) rientri tra  quelli  contemplati  da  tale
norma di rito (in tal senso,  Corte  di  cassazione,  sezione  quarta
penale, sentenza 16 ottobre 2018-16 gennaio 2019, n. 1792) -  ritiene
di non poter fare applicazione della disposizione censurata  perche',
ai sensi dell'art. 550 cod. proc.  pen.,  e'  gia'  stato  emesso  il
decreto di citazione diretta a giudizio da  parte  del  PM.  Infatti,
l'art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998 prevede che  il
giudice, sussistendone i presupposti, pronuncia sentenza di non luogo
a procedere solo «se non e' ancora stato emesso il provvedimento  che
dispone il giudizio». 
    Le  sollevate  questioni  di  legittimita'  costituzionale   sono
dirette proprio  a  rimuovere  questo  impedimento,  con  riferimento
all'ipotesi del  rito  a  citazione  diretta,  e  tale  da  escludere
l'applicazione della disposizione censurata (ex  plurimis,  Corte  di
cassazione, sezione prima penale,  sentenza  30  ottobre-29  novembre
2013, n. 47454). Cio' e' sufficiente per ritenere la  loro  rilevanza
essendo l'esito delle questioni decisivo al fine dell'applicabilita',
o no, della disposizione censurata da parte del giudice rimettente. 
    Invece, la diversa questione della  rilevanza  del  previo  nulla
osta dell'autorita' giudiziaria all'espulsione  amministrativa  dello
straniero irregolare, nei cui confronti pende un procedimento penale,
si puo' porre solo quando, una volta rimosso l'impedimento  censurato
dal giudice rimettente, quest'ultimo poi possa passare  a  verificare
le   condizioni   previste   dalla   disposizione    censurata    per
l'applicabilita' della condizione di  improcedibilita'  sopravvenuta,
ivi prevista. Cio' che peraltro - per quanto si dira'  oltre  -  egli
sara' chiamato a fare anche in caso di mancanza di nulla osta. 
    4.- Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento all'art.
3, primo comma, Cost. 
    5.- La disposizione  censurata  chiama  in  causa  la  disciplina
dell'espulsione amministrativa dello straniero  irregolare,  inserita
in  un  complesso  quadro  normativo  di   riferimento,   che   giova
preliminarmente richiamare nelle sue linee essenziali. 
    Chi  e'  entrato  nel  territorio  dello  Stato  sottraendosi  ai
controlli di frontiera o non ha titolo per  rimanere  nel  territorio
dello  Stato  puo'  essere  destinatario  di  un   provvedimento   di
espulsione amministrativa (con  avvio  allo  Stato  di  appartenenza,
ovvero, quando cio' non sia possibile,  allo  Stato  di  provenienza)
disposta dal prefetto ed eseguita dal  questore,  previo  nulla  osta
dell'autorita' giudiziaria che  procede  per  reati  a  carico  dello
straniero  espulso,  «salvo  che  sussistano  inderogabili   esigenze
processuali» (art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998). 
    Una volta eseguita l'espulsione, lo straniero  espulso  non  puo'
rientrare   nel   territorio   dello   Stato   senza   una   speciale
autorizzazione del Ministro dell'interno; in caso  di  trasgressione,
e' punito con la pena che inizialmente era quella dell'arresto da due
a sei mesi e da ultimo e' diventata quella della reclusione da uno  a
quattro  anni;  inoltre,  lo  stesso  e'   nuovamente   espulso   con
accompagnamento immediato. 
    Fin dalla sua originaria formulazione, la disposizione  in  esame
(art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998) prevedeva, al terzo comma,  che,
quando lo straniero era sottoposto a procedimento  penale,  occorreva
il nulla osta che il questore era tenuto a  richiedere  all'autorita'
giudiziaria procedente, la quale poteva negarlo solo quando  riteneva
che sussistessero «inderogabili esigenze processuali». 
    Ma inizialmente nulla era  previsto  quanto  alla  procedibilita'
dell'azione  penale  per  eventuali  reati  commessi   dall'immigrato
irregolare. L'intervenuta espulsione dello straniero -  e  quindi  la
sua mancata presenza sul territorio dello Stato -  non  aveva  alcuna
incidenza impeditiva della  procedibilita'  dell'azione  penale,  che
seguiva  le  regole  ordinarie.  Cio'  comportava   che,   pur   dopo
l'esecuzione dell'espulsione, l'eventuale procedimento  (e  processo)
penale a  carico  dell'immigrato  irregolare  non  si  arrestava,  ma
proseguiva normalmente. 
    Per l'esercizio del diritto  di  difesa  dell'immigrato  espulso,
l'art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998 prevedeva - e prevede tuttora  -
che lo straniero sottoposto a procedimento penale  e'  autorizzato  a
rientrare  in  Italia  per  il  tempo  strettamente  necessario   per
l'esercizio del diritto di difesa, al solo  fine  di  partecipare  al
giudizio o al compimento di atti per i quali  e'  necessaria  la  sua
presenza. 
    Successivamente, con la legge 30 luglio 2002,  n.  189  (Modifica
alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) - adottata  con
l'esplicito  intento  di   «contrastare   in   modo   piu'   efficace
l'immigrazione  clandestina»  (cosi'  la  relazione  introduttiva  al
disegno  di  legge)  -  la  disciplina  dell'immigrazione  e'   stata
inasprita con l'introduzione di misure piu'  severe  nel  trattamento
dei migranti irregolari e con piu' ampio ricorso alla sanzione penale
e a misure restrittive della liberta' personale (come indicato  nelle
sentenze n. 223 e n. 222 del 2004). 
    Il  complessivo  irrigidimento  della  disciplina  di   contrasto
all'immigrazione irregolare si rinviene anche nella  regolamentazione
dell'espulsione amministrativa essendo previste  misure  piu'  severe
per rendere effettive le espulsioni. La  scelta  del  legislatore  e'
stata   quella   di   favorire   il   piu'   possibile   l'espulsione
dell'immigrato irregolare, imputato di un reato, e nello stesso tempo
di limitare il rientro per presenziare al processo a suo carico,  ove
questo dovesse proseguire invece  che  arrestarsi  in  ragione  della
sopravvenuta espulsione. 
    Da una parte, l'art. 13, comma 3, del  d.lgs.  n.  286  del  1998
prevede il silenzio-assenso dell'autorita' giudiziaria: il nulla osta
si intende concesso  qualora  l'autorita'  giudiziaria  non  provveda
entro quindici (in seguito ridotti a  sette)  giorni  dalla  data  di
ricevimento della richiesta. Nello stesso tempo si ridimensionano  le
«inderogabili esigenze processuali» che possono impedire il  rilascio
del nulla osta, circoscrivendole a quelle relative  all'«accertamento
della responsabilita' di eventuali concorrenti nel reato  o  imputati
in procedimenti per reati connessi», in  tal  modo  rendendole  anche
contingenti e temporanee. Sono solo queste  le  esigenze  processuali
che   possono   impedire,   fin   quando   sussistono,   l'espulsione
amministrativa. L'esecuzione del provvedimento resta sospesa  fino  a
quando l'autorita' giudiziaria comunica la cessazione delle  esigenze
processuali. Altresi', l'applicazione  della  custodia  cautelare  in
carcere e' di ostacolo al  provvedimento  di  espulsione.  Ma  questo
ridimensionamento e' coniugato all'introduzione di un  altro  fattore
di condizionamento, che e' sostanziale piuttosto  che  processuale  e
quindi non gia' contingente  e  temporaneo:  l'autorita'  giudiziaria
procedente deve farsi  carico  anche  dell'«interesse  della  persona
offesa» - e, quindi,  del  vulnus  al  titolare  del  bene  giuridico
protetto - che puo' essere tale da  richiedere  che  il  processo  si
faccia. 
    Dall'altra parte, si introduce (al comma  3-quater  dell'art.  13
citato)  una  norma  inedita,   quella   attualmente   censurata   di
illegittimita'  costituzionale:  «il  giudice,  acquisita  la   prova
dell'avvenuta  espulsione,  se  non  e'  ancora   stato   emesso   il
provvedimento che dispone il  giudizio,  pronuncia  sentenza  di  non
luogo a procedere». 
    6.- Cio' pero'  inizialmente  non  valeva  per  qualsiasi  reato,
perche' vi erano delle eccezioni.  Il  comma  3-sexies  dell'art.  13
prevedeva  che  il  nulla  osta  all'espulsione  non  potesse  essere
concesso qualora si procedesse per reati particolarmente gravi, ossia
per uno o piu' dei delitti previsti dall'art. 407, comma  2,  lettera
a), cod. proc. pen. (tra cui  l'associazione  a  delinquere  di  tipo
mafioso, l'omicidio, i delitti commessi per finalita' di terrorismo),
nonche'  dall'art.  12  dello  stesso  d.lgs.   n.   286   del   1998
(immigrazione clandestina). 
    In tal modo era  il  legislatore  stesso  a  prevedere  che,  nel
bilanciamento tra la ritenuta esigenza di tenere fuori dal territorio
dello Stato  l'immigrato  irregolare  gia'  espulso  e  il  principio
dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale,  prevalesse   quest'ultimo
quando si trattava di reati gravi e gravissimi. 
    In sintesi, in occasione di questo innalzamento  del  livello  di
contrasto dell'immigrazione irregolare, da una parte  il  diniego  di
nulla osta dell'autorita' giudiziaria veniva ridimensionato  al  fine
di favorire l'espulsione amministrativa, in  un  ben  piu'  ristretto
ambito di particolari esigenze processuali, salvo comunque il rilievo
particolare dell'«interesse della persona offesa»; dall'altra  parte,
al fine di limitare il successivo  ingresso  dell'imputato  immigrato
irregolare  per  difendersi  dall'accusa  in  sede   penale,   veniva
introdotta la regola (prima  sconosciuta  al  regime  dell'espulsione
amministrativa)  della  sopravvenuta   improcedibilita'   dell'azione
penale  in  caso  di  intervenuta  esecuzione   dell'espulsione   con
l'eccezione di alcuni gravi reati. 
    Occorre aggiungere anche che la nuova fattispecie di sopravvenuta
improcedibilita' dell'azione penale non riguardava i reati piu' gravi
richiamati dal comma 3-sexies dell'art. 13, nonche'  i  reati  tipici
dell'immigrazione,  quali  quelli  contemplati  dall'art.  10-bis   e
dall'art. 14 del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998 che prevedevano -  e
prevedono tuttora - una distinta fattispecie di sentenza di non luogo
a procedere. In caso di intervenuta espulsione  e'  questa  specifica
disciplina ad applicarsi in ragione  del  principio  di  specialita',
disciplina che prevale su quella dell'art.  13,  comma  3-quater,  in
esame; la quale e' analoga, ma non identica: non e' previsto il nulla
osta dell'autorita' giudiziaria procedente, ne'  e'  prescritto  come
condizione ostativa che al momento dell'avvenuta espulsione  non  sia
gia' stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio. 
    Successivamente, il decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144  (Misure
urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale),  convertito,
con modificazioni, in legge  31  luglio  2005,  n.  155,  adottato  a
seguito dei noti attentati di Madrid e  Londra,  ha  previsto  misure
urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale. All'art. 3 si
introduce l'espulsione degli stranieri, come indicato nella  rubrica,
per «motivi di prevenzione del terrorismo», autorizzando il  prefetto
a espellere lo straniero qualora ci siano «fondati motivi di ritenere
che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa  in  qualsiasi
modo  agevolare  organizzazioni  o  attivita'  terroristiche,   anche
internazionali» (comma 1). Tale espulsione con decreto  del  Ministro
dell'interno si affianca a quella gia' prevista dal comma 1 dell'art.
13 del d.lgs. n. 286 del 1998:  l'espulsione  per  motivi  di  ordine
pubblico o di sicurezza dello Stato. 
    Cio' che in particolare rileva - al fine delle presenti questioni
di legittimita' costituzionale in esame - e' l'art. 3, comma  7,  del
d.l. n. 144 del 2005, che abroga il comma 3-sexies dell'art.  13  del
d.lgs. n. 286 del 1998: viene cosi' meno il  divieto  di  nulla  osta
all'espulsione in caso di reati particolarmente gravi, gia' tipizzati
in tale disposizione con il richiamo dell'elenco  previsto  dall'art.
407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen. e dall'art. 12 del medesimo
d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Quindi, anche nel caso di pendenza di un procedimento penale  per
uno di questi gravi reati, non di meno l'autorita'  giudiziaria  puo'
assentire  il  nulla  osta  all'espulsione  se  non   sussistono   le
specifiche e limitate esigenze processuali di cui al comma 3  (legate
all'«accertamento della responsabilita' di eventuali concorrenti  nel
reato o imputati in procedimenti per reati connessi»)  e  sempre  che
non sia ostativo l'«interesse  della  persona  offesa»,  maggiormente
rilevante una volta venuta meno l'esclusione dei  reati  piu'  gravi,
con l'ulteriore conseguenza che, una volta eseguita l'espulsione,  ma
non ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio, viene  in
rilievo l'applicabilita' della disposizione censurata e,  quindi,  la
regola della sopravvenuta improcedibilita' dell'azione penale. 
    I successivi interventi in materia di sicurezza, fino al  recente
decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53 (Disposizioni urgenti in  materia
di ordine e sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, nella
legge 8 agosto 2019, n. 77, non hanno piu' modificato la disposizione
censurata. 
    7.- Tutto cio' premesso,  venendo  ora  alle  censure  mosse  dal
Tribunale rimettente, va esaminata quella che fa riferimento all'art.
3 Cost. 
    Il comma 3-quater dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 prevede
in generale - come si e' gia'  detto  esaminando  l'evoluzione  della
norma nel tempo - una sopravvenuta condizione di  non  procedibilita'
dell'azione penale per il reato commesso nel territorio  dello  Stato
dall'immigrato irregolare allorche' l'esecuzione della sua espulsione
(amministrativa) intervenga prima  dell'emissione  del  provvedimento
che dispone il  giudizio;  espulsione  condizionata  alla  verificata
insussistenza delle condizioni ostative previste dal  comma  3  della
stessa disposizione e  connesse  a  specifiche  esigenze  processuali
nonche' all'interesse della persona offesa, che possono  giustificare
il  diniego  di  nulla  osta  da  parte  dell'autorita'   giudiziaria
procedente. 
    L'interpretazione di questa regola  processuale,  nell'articolato
contesto normativo di  contrasto  dell'immigrazione  irregolare  e  a
fronte del principio costituzionale dell'obbligatorieta'  dell'azione
penale, porta a escludere che si tratti di  una  sorta  di  immunita'
dalla giurisdizione.  La  presenza  dello  straniero  irregolare  nel
territorio dello Stato, infatti,  non  costituisce  di  per  se'  una
generale condizione di procedibilita' dell'azione penale: e' solo per
i reati commessi all'estero (art. 10, primo comma, cod. pen.) che  la
presenza dello straniero  nel  territorio  dello  Stato  integra  una
generale condizione di punibilita', non per quelli commessi in Italia
che sono punibili secondo le norme ordinarie. 
    La norma e' invece la risultante di un bilanciamento, operato dal
legislatore, tra l'esigenza di  limitare  il  rientro  dell'immigrato
irregolare nel territorio dello Stato una volta che  l'espulsione  e'
stata eseguita (stante anche la difficolta' concreta di  dar  seguito
ai rimpatri forzati) e la  necessita'  che  i  reati  commessi  dallo
straniero nel territorio dello Stato siano puniti.  E'  in  cio'  che
risiede  il  «diminuito  interesse  dello  Stato  alla  punizione  di
soggetti ormai estromessi dal proprio territorio» (ordinanza  n.  142
del 2006). Particolarmente indicativo di questo bilanciamento e'  che
tra  le  condizioni  ostative  all'espulsione  dello  straniero,  che
possono giustificare il diniego di nulla osta all'espulsione da parte
dell'autorita' giudiziaria procedente, vi sia - oltre alle specifiche
e contingenti esigenze processuali sopra richiamate - anche, piu'  in
generale, l'«interesse della  persona  offesa»,  che  necessariamente
deve essere tenuto in conto dall'autorita' giudiziaria procedente, in
occasione del rilascio del  nulla  osta,  e  poi  anche  dal  giudice
chiamato a pronunciare la sentenza di non luogo a procedere. 
    Questa regola di settore - ossia la sopravvenuta improcedibilita'
dell'azione  penale  quale   conseguenza   dell'avvenuta   esecuzione
dell'espulsione  dell'immigrato  irregolare  -  e'  formulata   dalla
disposizione censurata in termini generali, con riferimento a tutti i
reati essendo venuta meno  l'eccezione,  originariamente  contemplata
dal comma 3-sexies dello stesso art. 13,  per  reati  particolarmente
gravi. Pero', la prevista possibilita' per il giudice di  pronunciare
sentenza di non luogo a  procedere  appare  implicare  il  necessario
passaggio per l'udienza preliminare di cui agli artt. 416 e  seguenti
cod. proc. pen., e quindi la norma sembra  far  riferimento  a  reati
piu' gravi rispetto a quelli  per  i  quali  l'esercizio  dell'azione
penale e' invece previsto con citazione diretta (art. 550 cod.  proc.
pen.). 
    Ma la ratio della norma, che risulta dal richiamato bilanciamento
fatto dal legislatore, esclude - per la  contraddizione  che  non  lo
consente - che essa possa non essere applicabile proprio in  caso  di
reati di minore gravita' per i quali, al contrario,  e'  maggiormente
evidente il diminuito interesse dello Stato a perseguire la  condotta
penalmente rilevante dell'imputato  immigrato  irregolare,  allorche'
l'espulsione amministrativa sia stata eseguita. 
    I reati per i quali e' prevista la citazione diretta a  giudizio,
senza l'udienza preliminare, sono quelli ritenuti dal legislatore  di
minore  gravita'  si'  da  giustificare  un   rito   semplificato   e
accelerato: tutte le contravvenzioni, i delitti puniti  con  la  pena
entro un limite massimo (con la reclusione non superiore nel  massimo
a quattro anni o con la multa, sola o congiunta  alla  predetta  pena
detentiva), i reati elencati nel comma 2  dell'art.  550  cod.  proc.
pen. 
    E' significativa di un qualche parallelismo  la  circostanza  che
anche l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva  alla  detenzione
dell'imputato straniero che  si  trovi  in  taluna  delle  situazioni
indicate nell'art. 13, comma 2, del d.lgs.  n.  286  del  1998  ossia
nelle stesse condizioni che facoltizzano il prefetto ad  adottare  il
provvedimento di espulsione amministrativa, sia  prevista  (dall'art.
16 del medesimo decreto legislativo)  in  caso  di  reati  di  minore
gravita'. 
    Si ha, quindi, che la regola di settore  in  esame,  posta  dalla
disposizione censurata, non  puo'  non  trovare  applicazione  -  per
l'inferenza a fortiori che discende dalla considerazione della minore
gravita'  del  reato  (e  della  piu'  contenuta  offensivita'  della
condotta) - anche ai reati perseguibili con il rito  della  citazione
diretta di cui all'art. 550 cod.  proc.  pen.  Sarebbe  contrario  al
principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3  Cost.)  che  la
sopravvenuta condizione di improcedibilita' dell'azione penale  operi
per i reati piu' gravi e non gia' per quelli di minore  gravita'.  In
particolare, con riferimento  alla  stessa  disposizione  attualmente
censurata, questa Corte (ordinanza n. 143 del 2006) ha  ritenuto  che
le rationes di questa «condizione  di  procedibilita'  atipica»  «non
soltanto non depongono nel senso della limitazione  dell'operativita'
dell'istituto ai soli episodi  criminosi  di  maggiore  gravita',  ma
militano, semmai, in direzione esattamente inversa». 
    Ne consegue che, a maggior ragione per  questi  ultimi,  l'azione
penale puo' arrestarsi, risultando  improcedibile  ad  tempus  e  sub
condicione, cosi' operando il sopravvenuto difetto di procedibilita',
laddove non sia stato ancora emesso il provvedimento che  dispone  il
giudizio, previsto dalla disposizione censurata  e  giustificato  dal
diminuito interesse dello Stato a perseguire queste condotte poste in
essere dallo straniero irregolare ormai espulso. 
    L'improcedibilita' e' temporanea e  sottoposta  a  una  sorta  di
"condizione risolutiva" nel senso che, se e' poi violato l'obbligo di
reingresso nel territorio dello Stato per un determinato  periodo  di
tempo, si applica l'art. 345 cod. proc. pen., e l'azione penale torna
a essere procedibile. 
    8.- L'adeguamento al principio di  eguaglianza  e  ragionevolezza
puo' avvenire in  via  interpretativa  -  come  gia'  ritenuto  dalla
giurisprudenza di legittimita' (fin dalla pronuncia  della  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 16 settembre-28  settembre
2004, n.  38282),  alla  quale  questa  Corte  ha  fatto  riferimento
(ordinanza n. 143 del 2006) - per l'ipotesi in cui il  PM  non  abbia
ancora richiesto il decreto di  citazione  diretta.  Si  e'  ritenuto
infatti che quest'ultimo possa chiedere al giudice  per  le  indagini
preliminari l'adozione della  pronuncia  di  non  luogo  a  procedere
ancorche' l'azione penale non sia stata esercitata nei modi  previsti
dall'art. 405 cod. proc. pen. (Corte di  cassazione,  sezione  quinta
penale, sentenza 9 marzo-19 luglio 2016, n. 30929). 
    La stessa esigenza di adeguamento a Costituzione  sussiste  anche
se  il  decreto  di  citazione  diretta  e'  stato   emesso   benche'
l'esecuzione  dell'espulsione  sia  gia'  avvenuta.  L'ipotesi   piu'
semplice - ma non l'unica - e' quella della mancata comunicazione del
questore al PM dell'avvenuta esecuzione dell'espulsione, che non puo'
giustificare,   come   inconveniente   di   fatto,   un   trattamento
differenziato, quale sarebbe la  mancata  applicazione  della  regola
dell'improcedibilita'  sopravvenuta   nonostante   l'espulsione   sia
avvenuta prima dell'emissione del decreto di  citazione  diretta.  Le
fattispecie sono analoghe e pienamente  comparabili  in  ragione  del
decisivo elemento comune costituito  dall'esecuzione  dell'espulsione
prima dell'emissione del provvedimento che dispone il giudizio. 
    Nella  specie  -  come  riferisce  il  Tribunale   rimettente   -
l'esecuzione del provvedimento di espulsione e'  avvenuta  ben  prima
dell'emissione del decreto di citazione diretta. 
    Non e'  pero'  possibile  estendere  alla  fattispecie  in  esame
l'interpretazione adeguatrice gia' accolta  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' (ex plurimis, Cass., sez. prima  penale,  n.  38282  del
2004) e da questa stessa Corte (ordinanza n. 143 del  2006),  secondo
cui la sopravvenuta condizione di improcedibilita' dell'azione penale
sussiste altresi' - e a maggior ragione - se si tratta dei reati meno
gravi di cui all'art. 550  cod.  proc.  pen.,  per  i  quali  non  e'
prevista l'udienza preliminare e  quindi  ben  puo'  il  PM  chiedere
l'adozione della sentenza di non luogo a procedere. 
    La formulazione letterale  della  disposizione  censurata  -  che
prevede,  come  condizione  ostativa  alla  rilevanza   dell'avvenuta
esecuzione dell'espulsione, l'emissione del provvedimento che dispone
il  giudizio  -  non  consente  un'interpretazione  estensiva   cosi'
fortemente manipolativa del dato testuale, come del resto ritiene  la
giurisprudenza di legittimita' (Cass., sez. prima  penale,  n.  47454
del 2013). 
    Non  essendo  praticabile   l'interpretazione   adeguatrice,   la
ritenuta violazione del principio di eguaglianza e di  ragionevolezza
(art.   3   Cost.)   comporta   irrimediabilmente    l'illegittimita'
costituzionale, in parte qua, della disposizione censurata. Per tutti
i reati a citazione diretta, per i quali non e' prevista - e non c'e'
stata - l'udienza preliminare,  deve  poter  rilevare,  a  opera  del
giudice,  la  circostanza  dell'avvenuta  esecuzione  dell'espulsione
prima dell'emissione del decreto di citazione diretta: la conseguente
insorgenza di una condizione  di  improcedibilita'  sopravvenuta  non
puo' trovare ostacolo nella circostanza che in concreto il  PM  abbia
gia' formulato l'imputazione nel decreto di citazione diretta  e  che
questo sia gia' stato emesso. 
    9.- Quindi - assorbiti gli altri parametri  -  va  rimosso  nella
disposizione   censurata,   con   la   presente   dichiarazione    di
illegittimita'  costituzionale,   l'impedimento   per   il   giudice,
investito con citazione diretta ai sensi  dell'art.  550  cod.  proc.
pen., di accertare le condizioni  previste  per  la  pronuncia  della
sentenza di non luogo a procedere;  impedimento  testuale  costituito
proprio dalla gia' intervenuta emissione  del  decreto  di  citazione
diretta. 
    Il giudice potra', pertanto, rilevare d'ufficio -  o  in  ipotesi
anche a seguito di eccezione della difesa  dell'imputato  o  finanche
dello stesso  PM  -  che  sussistono  le  condizioni  della  speciale
sopravvenuta improcedibilita' prevista dalla disposizione  censurata,
al  fine  di  pronunciare  la  sentenza  di  non  luogo  a  procedere
contemplata da quest'ultima; sentenza (quella prevista dall'art.  13,
comma 3-quater) che  -  come  riconosciuto  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza  29
aprile-7 giugno  2019,  n.  25358)  -  puo',  in  questa  fattispecie
particolare, essere emessa anche  in  una  sede  processuale  diversa
dall'udienza  preliminare.  Ossia  il  giudice  potra'  rilevare  che
l'espulsione dell'imputato e' stata eseguita prima dell'emissione del
decreto di citazione diretta e che ricorrono tutte le condizioni  per
pronunciare sentenza di non luogo a procedere. 
    Puo' aggiungersi che per l'esecuzione dell'espulsione  occorre  -
come  ritenuto  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'   (Corte   di
cassazione, sezione seconda  penale,  sentenza  31  maggio-26  giugno
2018, n. 29396; Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza
25 settembre-9 ottobre  2012,  n.  39835)  -  che  la  richiesta  del
questore ex art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del  1998  sia  stata
assentita con  il  nulla  osta,  espresso  o  tacito,  dell'autorita'
giudiziaria procedente. Ove la richiesta  del  questore  non  vi  sia
(cio' che puo' verificarsi per mancata  conoscenza  del  procedimento
penale pendente o per mera posteriorita' di quest'ultimo o per  altre
ragioni), non di meno puo' il giudice - per il rispetto che  richiede
il  principio  di  eguaglianza  -  verificare  che  sussistevano   le
condizioni  perche'  il  nulla  osta  potesse  essere  assentito,  in
particolare con riferimento all'interesse della persona offesa. 
    10.-   In    conclusione,    va    dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata nella parte  in  cui  non
prevede che, nei casi di decreto di citazione diretta a  giudizio  ai
sensi dell'art. 550 cod. proc. pen., il giudice possa rilevare, anche
d'ufficio, che l'espulsione dell'imputato straniero e' stata eseguita
prima che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio e
che ricorrono tutte le condizioni per  pronunciare  sentenza  di  non
luogo a procedere. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  13,  comma
3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello  straniero),  nella  parte  in  cui  non
prevede che, nei casi di decreto di citazione diretta a  giudizio  ai
sensi dell'art. 550 del codice di procedura penale, il giudice  possa
rilevare, anche d'ufficio, che l'espulsione  dell'imputato  straniero
e' stata eseguita prima che sia stato  emesso  il  provvedimento  che
dispone  il  giudizio  e  che  ricorrono  tutte  le  condizioni   per
pronunciare sentenza di non luogo a procedere. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2019. 
 
                                F.to: 
                       Aldo CAROSI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA