N. 228 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 settembre 2019
Ordinanza del 10 settembre 2019 del Tribunale di Salerno sul ricorso proposto da F. D. contro il Comune di C. P. . Straniero - Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale - Previsione che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica. - Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), art. 4, comma 1-bis, introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132.(GU n.52 del 27-12-2019 )
TRIBUNALE DI SALERNO Sezione feriale Il Tribunale di Salerno, Sezione feriale, nella persona del Giudice assegnatario del ricorso ex art. 700 codice di procedura civile dott. Mattia Caputo, all'esito della riserva formulata all'udienza del 22 agosto 2019 e ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al N.R.G. 5626/2019, avente ad oggetto: ricorso d'urgenza ex art. 700 codice di procedura civile, tra F. D., nato in ... il ..., dimorante in ... alla Via ... presso la struttura ..., rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al ricorso, dall'avv. Gianluca De Vincentis, presso il cui studio sito in Telese Terme (BN) alla Via Roma n, 85, elettivamente domicilia, ricorrente; e Comune di ... (c.f. ... ), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dagli avv.ti Emilio Grimaldi e Raffaele Carpinelli, con i quali elettivamente domicilia in ... alla sede comunale di Via Vittorio Emanuele n. 1, resistente. Conclusioni delle parti All'udienza del 22 agosto 2019 le parti si riportavano ai propri scritti difensivi, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni in essi contenute ed il Giudice si riservava. All'esito della Camera di consiglio il ricorso puo' ora essere deciso. Motivi della decisione 1. Il ricorso introduttivo. Con ricorso depositato il 30 maggio 2019 il sig. F. D. ha dedotto: che dimorerebbe da piu' di tre mesi a ... presso il centro ..., come risultante da autocertificazione allegata al ricorso, che sarebbe titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo, rilasciato dalla Questura di Salerno il 16 ottobre 2018 e che sarebbe regolarmente soggiornante in Italia; che in data 15 aprile 2019 si sarebbe presentato presso l'Ufficio anagrafe del Comune di ... per formalizzare la sua domanda di iscrizione nell'anagrafe del comune ove dimora; che il responsabile dell'Ufficio demografico gli avrebbe comunicato di non poter accettare la richiesta ai sensi dell'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018 («Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», anche detto «Decreto Sicurezza»), poiche' il permesso di soggiorno per richiesta asilo non costituirebbe un valido titolo per procedere all'iscrizione anagrafica; che il diniego alla richiesta di iscrizione nei registri dell'anagrafe sarebbe avvenuta alla presenza di una serie di persone; che con nota a mezzo pec del 9 maggio 2019 il difensore del ricorrente, nell'evidenziare l'illegittimo comportamento tenuto dal funzionario comunale, avrebbe invitato e diffidato il Comune ... a procedere, nel termine perentorio di sette giorni, all'iscrizione del sig. F. D. nel registro anagrafico della popolazione residente in ...; che poiche' il Comune non avrebbe provveduto a dare esecuzione a tale diffida, egli si vedrebbe costretto ad adire l'Autorita' giudiziaria ordinaria in via d'urgenza, anche in considerazione del rischio, attuale ed evidente, di una grave compressione dei suoi diritti costituzionalmente garantiti; che nel caso di specie sussisterebbe la giurisdizione del Giudice ordinario, poiche' nelle controversie in materia di iscrizione anagrafica l'Amministrazione comunale non eserciterebbe alcun potere di carattere discrezionale, essendo l'iscrizione e la cancellazione anagrafica atti dovuti in presenza dei presupposti di legge, rispetto ai quali la pubblica amministrazione sarebbe munita di un potere di mero accertamento; che, dunque, tali controversie avrebbero ad oggetto posizioni di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; che il decreto-legge n. 113 del 2018, entrato in vigore il 5 ottobre 2018, convertito poi in legge n. 132/2018, pur avendo recato significative modifiche alla condizione giuridica del richiedente il riconoscimento della protezione internazionale, non avrebbe previsto alcuna preclusione all'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, incidendo soltanto sulla procedura semplificata di cui all'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015 (c.d. «Decreto Minniti»), che sarebbe stata abrogata implicitamente; che l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 avrebbe aggiunto, tra l'altro, all'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 il nuovo comma 1-bis, che testualmente recita: «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286»; che da una prima analisi della nuova norma emergerebbe come essa non conterrebbe alcun divieto esplicito di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, ma si limiterebbe solo ad escludere che la particolare tipologia del permesso di soggiorno, motivata sulla richiesta di asilo, possa costituire documento utile per la formalizzazione della domanda di residenza; che, infatti, l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 richiamerebbe espressamente il «Nuovo Regolamento anagrafico della popolazione residente» (Decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 30 maggio 1989) ed al «Testo unico Immigrazione» (art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 286/1998), le cui norme non richiedono, ne' richiamano, «titoli per l'iscrizione anagrafica», perche' nell'ordinamento italiano non vi sarebbero situazioni di fatto o titolarita' di documenti costituenti «titolo» per l'iscrizione anagrafica nei registri della popolazione residente; che, in particolare, l'iscrizione anagrafica sarebbe l'esito di un procedimento amministrativo ben descritto nel «Regolamento anagrafico della popolazione residente», che all'art. 13 evidenzierebbe che l'iscrizione anagrafica non avviene in base a «titoli», ma a «dichiarazioni degli interessati», «accertamenti di ufficio» (art. 15), ad accertamenti di ufficio in caso di omessa dichiarazione delle parti ed accertamenti sulle dichiarazioni rese e ripristino delle posizioni anagrafiche precedenti (art. 18-bis) e «comunicazioni degli ufficiali di stato civile» (art. 19); che, dunque, la registrazione anagrafica registrerebbe la volonta' delle persone, italiane o straniere, le quali avendo una dimora, avrebbero fissato in un determinato comune la propria residenza oppure, non avendo una dimora, avrebbero stabilito nello stesso comune il proprio domicilio; che l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998 escluderebbe la possibilita' che si possa negare l'iscrizione anagrafica ad uno straniero regolarmente soggiornante, ospitato in un centro di accoglienza, prevedendo che «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalita' previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell'avvenuta iscrizione o variazione l'ufficio da' comunicazione alla questura territorialmente competente»; che, pertanto, il cittadino italiano e lo straniero, ai fini dell'iscrizione anagrafica, si troverebbero sullo stesso piano, dovendo dimostrare chi chiede l'iscrizione l'elemento oggettivo della stabile permanenza in un luogo e l'elemento soggettivo della volonta' di rimanervi; che, quindi, lo straniero in aggiunta a tali elementi dovrebbe dimostrare solo di essere regolarmente soggiornante in Italia, con la conseguenza che il permesso di soggiorno non sarebbe mai stato titolo per l'iscrizione stessa, rilevando solo ai fini della regolarita' del soggiorno; che per la giurisprudenza consolidata (Cass. Civ., SS.UU. n. 499/2000) l'iscrizione anagrafica si configurerebbe quale diritto soggettivo con corrispondente obbligo dell'Amministrazione comunale di darvi corso, senza alcun potere discrezionale ma di mero accertamento; che ai sensi dell'art. 2 della legge n. 1228/1954 l'iscrizione anagrafica costituirebbe un vero e proprio dovere per ciascun individuo regolarmente soggiornate, il cui mancato adempimento sarebbe espressamente sanzionato penalmente dal successivo art. 11 della medesima legge; che occorrerebbe allora interrogarsi sulla reale portata della modifica che l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 avrebbe apportato mediante l'inserimento del comma 1-bis nel corpo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015; che per comprendere la reale portata di questa aggiunta normativa bisognerebbe considerare che il menzionato art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 ha abrogato la previsione dell'utilizzo per i richiedenti asilo dell'istituto della convivenza anagrafica contenuta nell'art. 5-bis del decreto-legge n. 142/2015, introdotto con la legge n. 46/2017 che ha convertito a sua volta il decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017, cosi' abolendo, di fatto, la c.d. «procedura semplificata» prevista da tale norma; che l'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015, ora abrogata, avrebbe stabilito: «1. Il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 e' iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ai sensi dell'art. 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente. 2. E' fatto obbligo al responsabile della convivenza di dare comunicazione della variazione della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti»; che, quindi, in base a tale disposizione, sarebbe stato introdotto un regime di iscrizione anagrafica c.d. «semplificata», basata sulla semplice dichiarazione del responsabile del centro ed in deroga al termine di tre mesi previsti dal Testo unico Immigrazione; che, dunque, mentre l'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015, ora abrogato, avrebbe previsto un automatismo nell'iscrizione anagrafica, sganciandola sia dalla dichiarazione dell'interessato sia dagli accertamenti dell'ufficiale dell'anagrafe - basandosi cosi' solo sulla comunicazione del responsabile del centro, il nuovo art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 avrebbe inteso soltanto abolire tale automatismo, chiarendo che non vi sarebbe una speciale iscrizione all'anagrafe dei residenti per i richiedenti asilo basata sul «titolo» della domanda di protezione e dell'inserimento nella struttura di accoglienza; che, del resto, laddove il legislatore avesse voluto introdurre un esplicito divieto di iscrizione anagrafica per lo straniero con permesso di soggiorno per asilo richiesto, per coerenza sistematica avrebbe dovuto modificare l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998, che equipara le modalita' di iscrizione anagrafica degli stranieri regolarmente soggiornanti ai cittadini italiani, prevedendo un'esplicita eccezione per i richiedenti asilo; che, inoltre, qualsiasi diversa interpretazione andrebbe a pregiudicare i diritti fondamentali dell'uomo, affermati e riconosciuti a livello costituzionale; che nell'ordinamento giuridico italiano la nozione e la disciplina del diritto alla residenza sarebbe contenuta nella Costituzione (articoli 2, 3, 14, 16 e 32) e nel Codice civile (articoli 43 e ss.), nonche' nella legislazione speciale (art. 223 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 30 maggio 1989); che, dunque, in virtu' del principio di gerarchia delle fonti occorre partire dalle norme costituzionali, che riconoscerebbero il diritto alla residenza come un diritto soggettivo e, di conseguenza, attribuirebbero anche al diritto all'iscrizione anagrafica consistenza di diritto soggettivo; che il diritto all'iscrizione anagrafica (e, dunque, alla residenza) rientrerebbe nei diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica riconosce e garantisce ai sensi dell'art. 2 della Carta costituzionale, norma strettamente connessa all'art. 3 della Costituzione, ed in particolare al rispetto ed all'attuazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale; che anche l'art. 16 della Costituzione tutelerebbe il diritto all'iscrizione anagrafica (e, dunque, alla residenza) laddove sancisce la liberta' di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, dovendosi ritenere che l'espressione «cittadino» utilizzata dalla Carta costituzionale sia riferibile a tutti i membri della comunita' dei residenti in Italia, purche' regolarmente soggiornanti; che la mancata iscrizione nei registri dell'anagrafe della popolazione residente comporterebbe una serie di disagi di notevole rilievo per un cittadino, impedendogli l'esercizio dei diritti fondamentali che l'ordinamento gli riconosce; che, in particolare, la materia anagrafica sarebbe collegata ad esigenze di interesse pubblico, quali l'accesso alle misure di politica attiva del lavoro (art. 11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 150/2015), per poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A. (art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972), per la determinazione del valore I.S.E.E. richiesto per potere accedere alle prestazioni sociali agevolate (art. 1, comma 125, legge n. 104/1990), ai fini della decorrenza del termine di nove anni per l'ottenimento della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1-ter, decreto legislativo n. 286/1998, per il rilascio della patente di guida ai sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992 (Codice della strada), per poter procedere all'istruzione scolastica, all'ottenimento di una concessione commerciale per il commercio ambulante cd all'esercizio di un professione, nonche' per potere accedere pienamente all'assistenza sanitaria nazionale, poiche' il cittadino privo di residenza puo' accedere solo al servizio di pronto soccorso; che da tutto quanto esposto emergerebbe come l'inerzia del Comune di ... avrebbe ripercussioni gravissime per il ricorrente, privandolo di un riconoscimento che gli spetta di diritto e, in tal modo, impedendogli l'esercizio di diritti fondamentali connessi alla residenza; che tutto cio' giustificherebbe il ricorso alla tutela cautelare d'urgenza; che, del resto, non vi sarebbero altri strumenti cautelari tipici che consentirebbero nella fattispecie concreta, la specifica tutela richiesta; che il ricorrente avrebbe intenzione di promuovere innanzi all'Autorita' giudiziaria adita un giudizio volto ad accertare il comportamento ostruzionistico posto in essere dal Comune atto ad impedire l'iscrizione anagrafica, con conseguente condanna dello stesso alla cessazione di tale illegittima condotta; che vi sarebbe altresi' il «fumus boni iuris», inteso come presenza di elementi che, ad una cognizione sommaria, fondano l'opinione positiva circa l'esistenza e la tutelabilita' del diritto azionato; che ricorrerebbe anche il requisito del «periculum in mora», integrato dall'imminenza di un pregiudizio grave ed irreparabile che puo' compromettere notevolmente il diritto azionato nel periodo necessario a farlo valere in via ordinaria. In virtu' di quanto innanzi esposto F. D. ha formulato le seguenti conclusioni: con decreto «inaudita altera parte» e contestuale fissazione di udienza di comparizione nel termine di cui all'art. 669-sexies, comma 2, codice di procedura civile, ovvero con ordinanza, previa convocazione delle parti in apposita udienza ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 1, codice di procedura civile, al fine di emettere i provvedimenti che appariranno piu' idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito; ordinare al Sindaco del Comune ... anche nella sua qualita' di ufficiale di governo responsabile della tenuta dei registri dello stato civile e di popolazione, previo accertamento del diritto alla residenza del ricorrente, l'immediata iscrizione del ricorrente nel Registro anagrafico della popolazione residente nel Comune di ... ; adottare ogni altro opportuno provvedimento utile e consequenziale al fine di impedire la lesione dei diritti fondamentali del ricorrente; condannare il Comune di ... al pagamento delle spese di lite ed accessori di legge. 2. La comparsa di costituzione e risposta. Si e' costituito in giudizio il Comune di ..., eccependo: che a fronte della diffida del difensore di parte ricorrente con cui questi aveva chiesto l'iscrizione anagrafica di F. D. nei registri dell'anagrafe civile del Comune, con nota prot. n. 17228 del 23 maggio 2019 il responsabile dell'Area I - servizi demografici del Comune di ..., avrebbe inoltrato apposita richiesta di parere all'Ufficio territoriale di ... - Prefettura Area II bis - al fine di fornire utili ed indispensabili indicazioni operative inerenti le «Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica» ai richiedenti asilo internazionale; che tale richiesta sarebbe, allo stato, rimasta inevasa; che, ad ogni modo, la circolare del Ministero dell'interno n. 15/2018, sancirebbe che «dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1 del citato decreto legislativo n. 142/2015, non potra' consentire l'iscrizione anagrafica», e che la circolare del Ministero dell'interno n. 83744/2018, prevederebbe che «ai richiedenti asilo - che peraltro non saranno piu' iscritti nell'anagrafe dei residenti (art. 13) - vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA E CAS)»; che il decreto-legge n. 113/2018 in vigore dal 5 ottobre 2018, all'art. 13, comma 1, avrebbe apportato modificazioni al decreto legislativo n. 142/2015, incidendo sull'iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale; che, in particolare, la lettera a) avrebbe modificato l'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015, prevedendo - al comma 1 - che il permesso di soggiorno ivi disciplinato, conseguente alla richiesta di protezione internazionale, costituisce documento di riconoscimento e stabilendo - nel nuovo comma 1-bis - che lo stesso non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998; che la lettera b) avrebbe sostituito il comma 3 dell'art. 5 - che individuava nei centri o strutture di accoglienza il luogo di dimora abituale ai fini della iscrizione anagrafica dei richiedenti - prevedendo (alla lettera b, n. 1) ora che l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti sarebbe assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi l e 2 (dell'art. 5, decreto legislativo n. 142/2015) e modificando (alla lettera b, n. 2) il successivo comma 4, disponendo che il Prefetto possa stabilire un luogo di domicilio (non piu' di residenza) o un'area geografica ove il richiedente puo' circolare; che la lettera c), infine, avrebbe abrogato l'art. 5-bis che aveva riconosciuto l'applicabilita' dell'istituto della convivenza anagrafica all'iscrizione dei richiedenti protezione internazionale ospitati in strutture di accoglienza. Pertanto, dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1 del decreto legislativo n. 142/2015, non puo' consentire l'iscrizione anagrafica; che non vi sarebbe il «fumus boni iuris», anche perche' non si evincerebbe con chiarezza se lo stesso voglia continuare a risiedere nel Comune di ...; che difetterebbe anche il requisito del «periculum in mora», poiche' il presupposto del danno grave ed irreparabile non sarebbe stato dimostrato dal ricorrente. In virtu' di quanto innanzi esposto il Comune di ... ha formulato le seguenti conclusioni: in sede cautelare, rigettare il ricorso proposto, in quanto infondato; nel merito, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, respingere il ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto; condannare F. D. al pagamento delle spese di lite ed accessori di legge. 3. La giurisdizione del Giudice ordinario. In via del tutto preliminare e' opportuno chiarire che nel caso di specie sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario e, dunque, del Tribunale adito. Infatti, come chiarito dalla Corte di cassazione civile a Sezioni unite (cfr. Cassazione civ., SS.UU. n. 449/2000) le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono posizioni giuridiche che hanno la consistenza di diritto soggettivo, per le quali, dunque, secondo il generale criterio di riparto di giurisdizione, ha cognizione il Giudice ordinario. Come osservato dalle Sezioni unite civili l'ordinamento delle anagrafi della popolazione residente (regolato dalla legge n. 1228/1954 e dal regolamento di esecuzione approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 136/1958, a sua volta sostituito dal decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989) costituisce uno strumento giuridico-amministrativo di documentazione e conoscenza (a carattere notiziale), predisposto sia nell'interesse della pubblica amministrazione, sia dei singoli individui. Da un lato, infatti, vi e' l'interesse della pubblica amministrazione ad avere una certezza - sia pure relativa - circa la composizione ed i movimenti della popolazione che si trova sul territorio italiano, dall'altro lato c'e' invece l'interesse dei privati ad ottenere le certificazioni anagrafiche funzionali e necessarie per l'esercizio dei diritti civili e politici che l'ordinamento attribuisce loro e, piu' in generale, per provare la residenza e lo stato di famiglia. Tutta l'attivita' svolta dall'Ufficiale dell'anagrafe civile e' disciplinata dalle norme sopra richiamate in modo assolutamente vincolato, senza che residui alcun margine o momento di discrezionalita', essendo predeterminati in modo rigido i presupposti per le iscrizioni, modificazioni e cancellazioni anagrafiche, per cui la pubblica amministrazione ha soltanto il potere di accertare l'effettiva sussistenza in concreto dei presupposti legali. Pertanto la indubbia natura vincolata dell'attivita' amministrativa in questo ambito unitamente alla circostanza che la disciplina (primaria e secondaria) che regola la materia anagrafica e' dettata (anche) nell'interesse della popolazione residente implicano che in tale ambito il privato - cittadino o straniero che sia - vanti nei confronti della pubblica amministrazione un autentico diritto soggettivo, come tale devoluto alla giurisdizione del Giudice ordinario. Alla luce di quanto innanzi esposto consegue che il ricorso ex art. 700 codice di procedura civile e' stato correttamente proposto innanzi a questo Tribunale. 4. La residualita' della tutela cautelare invocata. Fermo quanto innanzi esposto, va ora verificata la sussistenza del presupposto, indefettibile per l'ammissibilita' della tutela cautelare richiesta dal ricorrente, della «residualita'» del ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Il sistema normativo in materia di tutela cautelare, infatti, individua lo strumento rimediale di cui all'art. 700 codice di procedura civile quale rimedio a carattere «residuale» - come rivela il dato letterale con cui si apre la norma, «Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo» -, dunque ammissibile soltanto nei casi in cui la situazione di cui il ricorrente invoca la protezione da parte dell'ordinamento non possa essere salvaguardata attraverso altri rimedi gia' prefigurati dal legislatore, tipici. Nella fattispecie concreta ricorre il requisito della «residualita'» della tutela invocata dalla parte ricorrente, che e' stato correttamente azionato, mancando nella specie una tutela cautelare tipica in grado di assicurare in modo pieno ed effettivo, nelle more di un eventuale giudizio di merito, il diritto soggettivo per cui questi ha agito ex art. 700 codice di procedura civile. 5. Il «fumus boni iuris» ed il «periculum in mora». Occorre, pertanto, procedere alla verifica della sussistenza dei presupposti della tutela d'urgenza, ovvero il «fumus boni iuris» e il «periculum in mora». Il «fumus boni iuris» viene generalmente inteso come l'esistenza di elementi che, sulla base di una cognizione sommaria (cioe' ad un esame «prima facie»), fondino l'opinione positiva in ordine alla esistenza e tutelabilita' del diritto azionato in chiave di c.d. «verosimiglianza» della pretesa azionata in via giudiziale («ex multis» tribunale Roma, Sez. XI, 27 gennaio 2017). Orbene, al fine di stabilire se sussista nell'ordinamento italiano un diritto soggettivo del richiedente asilo titolare di permesso di soggiorno ad ottenere l'iscrizione al registro dell'anagrafe si rende necessario esaminare il complesso quadro normativa attualmente vigente in tale materia. Il Comune di ... resistente ha eccepito che ai sensi dell'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 (c.d. «Codice Minniti»), come modificato dall'art. 13 comma 1, lettera a), numero 2) del decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») poi convertito in legge n. 132/2018 il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale non potrebbe piu' consentire allo straniero richiedente di ottenere l'iscrizione anagrafica. La norma di cui al comma 1-bis, di nuovo conio, sancisce che «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». La questione controversia pone, dunque, all'interprete il problema di individuare il significato di tale disposizione, al fine di stabilire se lo straniero che abbia conseguito un permesso di soggiorno in attesa della definizione della sua domanda di protezione internazionale sia (ancora) titolare di un diritto soggettivo perfetto ad ottenere l'iscrizione anagrafica nella popolazione residente di un comune (cosi' come l'art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 286/1998, non modificato, prevede per lo straniero regolarmente soggiornante). In questa prospettiva occorre prendere in considerazione il decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, recante «Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente», che nel regolare l'iscrizione all'anagrafe, individua puntualmente: i soggetti che rendono le dichiarazioni e i presupposti affinche' le possano rendere (art. 6); i casi nei quali si puo' richiedere l'iscrizione anagrafica (art. 7); le dichiarazioni da rendere per ottenere l'iscrizione all'anagrafe (art. 13); gli accertamenti compiuti dall'ufficiale dell'anagrafe (art. 14). L'art. 7 decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 individua il novero dei soggetti che possono richiedere l'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente, stabilendo: «1. L'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente viene effettuata: a) per nascita, presso il Comune di residenza dei genitori o presso il Comune di residenza della madre qualora i genitori risultino residenti in comuni diversi, ovvero, quando siano ignoti i genitori, nel comune ove e' residente la persona o la convivenza cui il nato e' stato affidato; b) per esistenza giudizialmente dichiarata; c) per trasferimento di residenza dall'estero dichiarato dall'interessato non iscritto, oppure accertato secondo quanto e' disposto dall'art. 15, comma 1, del presente regolamento, anche tenuto conto delle particolari disposizioni relative alle persone senza fissa dimora di cui all'art. 2, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, nonche' per mancanza di precedente iscrizione. 2. Per le persone gia' cancellate per irreperibilita' e successivamente ricomparse devesi procedere a nuova iscrizione anagrafica. 3. Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di rinnovare all'ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel Comune di residenza, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo e, comunque, non decadono dall'iscrizione nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno. Per gli stranieri muniti di carta di soggiorno, il rinnovo della dichiarazione di dimora abituale e' effettuato entro sessanta giorni dal rinnovo della carta di soggiorno. L'ufficiale di anagrafe aggiornera' la scheda anagrafica dello straniero, dandone comunicazione al questore». L'art. 7, comma 1, lettera b) contempla dunque il trasferimento della residenza dall'estero tra i casi che attribuiscono il diritto all'iscrizione anagrafica. Lo straniero, peraltro, come si evince dal terzo comma di tale norma, e' tenuto a rinnovare la dichiarazione di dimora abituale nel comune ogni volta che ottiene il rinnovo del permesso di soggiorno. Tutti coloro che richiedono l'iscrizione anagrafica devono rendere delle dichiarazioni, di cui sono responsabili: l'art. 13 individua il contenuto della dichiarazione e l'art. 6 richiede che colui che rende la dichiarazione comprovi la propria identita' mediante un documento di riconoscimento. L'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 prevede che «1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti: a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero;»; b) (...)" mentre l'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 recita: «1. Ciascun componente della famiglia e' responsabile per se' e per le persone sulle quali esercita la potesta' la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui all'art. 13 (...). 2. (...). 3. Le persone che rendono dichiarazioni anagrafiche debbono comprovare la propria identita' mediante l'esibizione di un documento di riconoscimento». A fronte delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 13 di cui sopra, in un caso rientrante tra quelli legittimanti individuati dall'art. 7, da un soggetto munito di documento di riconoscimento ai sensi dell'art. 6, l'ufficiale dell'anagrafe accerta l'effettiva sussistenza dei requisiti e procede all'iscrizione. Cio' si desume dal disposto dell'art. 18-bis che prevede: «1. L'ufficiale d'anagrafe, entro quarantacinque giorni dalla ricezione delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettere a), b) e c), accerta la effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legislazione vigente per la registrazione. (...)». L'art. 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, poi, nel prevedere uno specifico adempimento compiuto dall'ufficiale dell'anagrafe, individua un ulteriore requisito per ottenere l'iscrizione ovvero quello, c.d. «oggettivo», della dimora abituale nei comune in cui si chiede l'iscrizione: «2. L'ufficiale di anagrafe e' tenuto a verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l'iscrizione (o la mutazione) anagrafica. Gli accertamenti devono essere svolti a mezzo degli appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale comunale che sia stato formalmente autorizzato, utilizzando un modello conforme all'apposito esemplare predisposto dall'Istituto nazionale di statistica.». Per quanto concerne le persone che trasferiscono la propria residenza dall'estero, l'art. 14, comma 1, richiede che «Chi trasferisce la residenza dall'estero deve comprovare all'atto della dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1, lettera a), la propria identita' mediante l'esibizione del passaporto o di altro documento equipollente», cosi' imponendo una ulteriore verifica ovvero il possesso in capo al richiedente di un passaporto o un documento di natura equipollente Effettuata la ricognizione della normativa in materia di anagrafe, deve ora passarsi all'esame dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero», altra norma richiamata, al pari del succitato decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, dal nuovo art. 4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015, oggetto di esame in questa sede. L'art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 286/1998 sancisce che «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalita' previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza. Dell'avvenuta iscrizione o variazione l'ufficio da' comunicazione alla questura territorialmente competente». La disposizione in esame stabilisce, quindi, in primo luogo che lo straniero ha diritto alle iscrizioni anagrafiche alle stesse condizioni del cittadino italiano; in secondo luogo che perche' cio' avvenga lo straniero deve essere regolarmente soggiornante ed infine che la dimora dello straniero si considera abituale (ai fini dell'iscrizione nei registri dell'anagrafe civile e, dunque, della fissazione della residenza), quando e' documentata la sua permanenza per piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza. Individuate le norme cui l'art. 4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015 fa riferimento in punto di iscrizione nell'anagrafe per gli stranieri che siano muniti di permesso di soggiorno per asilo, si puo' ora passare a scrutinare la norma di nuovo conio, al fine di comprenderne il reale significato. L'art. 4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015, introdotto all'interno del c.d. «Codice Minniti» dal decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») sancisce: «Il permesso di soggiorno di cui al comma l non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». Tuttavia dalla disamina sopra svolta e' emerso che le norme di cui al decreto del Presidente della Repubblica n, 223/1989 ed all'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998 non richiedono espressamente alcun «titolo» ai fini della loro operativita'. La normativa in materia di anagrafe, infatti, pone quali presupposti ai fini dell'operativita' dell'iscrizione delle «dichiarazioni», ricognitive di uno stato di fatto di natura oggettiva (nel caso di specie, l'avvenuto trasferimento dall'estero) e richiede «accertamenti» quale quello relativo all'effettiva sussistenza della dimora abituale nel comune in cui si chiede l'iscrizione anagrafica. A sua volta l'art. 6, comma 7, del Testo unico Immigrazione si limita a chiarire quando la dimora di uno straniero possa definirsi abituale e a quali condizioni lo straniero possa ottenere l'iscrizione anagrafica. A ben vedere, tuttavia, entrambe le normative sono accomunate da un minimo comune denominatore, che si pone quale presupposto indefettibile per l'operativita' delle stesse, e cioe' che lo straniero richiedente soggiorni regolarmente sul territorio italiano e che sia in possesso di un documento di riconoscimento. Il requisito della regolarita' del soggiorno viene richiesto dall'ordinamento da una parte per l'operativita' dell'art. 6 del decreto legislativo n. 286/1998, cioe' per ottenere l'iscrizione anagrafica alle medesime condizioni del cittadino italiano e dall'altra per ottenere l'iscrizione stessa, dal momento che l'art. 7, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 impone allo straniero di rinnovare gli adempimenti al rinnovo del permesso di soggiorno. Il requisito del possesso di un documento di riconoscimento e' invece richiesto dall'ordinamento da un lato per provare l'identita' per poter rendere le dichiarazioni di cui all'art. 6 decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 e dall'altro per dimostrare l'identita' per poter trasferire la residenza dall'esterno ai sensi dell'art. 14 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989. Cosi' ricostruito, al fine di scrutinare la fondatezza oppure no del ricorso ex art. 700 codice di procedura civile sotto il profilo della sussistenza del «fumus boni iuris» il perimetro normativo di riferimento, costituito dall'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015, e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 e dall'art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 286/1998 (richiamati dal «Codice Minniti») ad una prima lettura, che si arresti sul piano di una interpretazione letterale (che in base all'art. 12 delle Preleggi e' il primo canone ermeneutico cui l'interprete deve fare ricorso nell'applicare la legge) appare evidente che l'espressione di nuovo conio contenuta nell'art. 4, comma 1-bis decreto legislativo n. 142/2015, secondo cui «il permesso di soggiorno non costituisce titolo» assume un immediato significato, e cioe' che il permesso di soggiorno non prova, ai fini dell'iscrizione nei registri dell'anagrafe del comune in cui si intende risiedere, la regolarita' del soggiorno dello straniero in Italia, ne' costituisce a tal fine documento di riconoscimento. Quest'interpretazione letterale risulta confermata dall'intero dettato normativo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 in cui la novella disposizione e' stata innestata dal legislatore: l'art. 4 del «Codice Minniti», infatti, e' volto a delineare il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo, individuandone la valenza giuridica, stabilendo da una parte che il permesso di soggiorno costituisce titolo di legittima permanenza dello straniero sul territorio nazionale, dall'altra che esso e' un equipollente del documento di riconoscimento ai sensi di legge (comma 1). L'introduzione della disposizione oggetto di esame al comma 1-bis dell'art. 4 decreto legislativo n. 142/2015, allora, non puo' essere considerata casuale, e fornisce una conferma di quanto gia' evidente sul terreno del dato letterale, ovvero che ai soli fini della disciplina dell'iscrizione all'anagrafe il permesso di soggiorno non attesta la regolarita' del soggiorno dello straniero sul territorio e non costituisce documento di riconoscimento. Il compito dell'interprete nell'individuare il significato di una norma, specie se di nuova introduzione e dal significato «dubbio», come nella fattispecie concreta, non puo' pero' fermarsi soltanto al criterio ermeneutico letterale; l'art. 12 delle Preleggi, infatti, impone di fare ricorso anche al c.d. «criterio teleologico», imponendogli di tenere conto nell'attivita' interpretativa anche dell'intenzione del legislatore. Sotto questo profilo e' noto che con l'«intentio legis» non vada intesa come la volonta' soggettiva di chi ha concorso in un determinato momento storico ad emanare la norma, bensi' l'intenzione obiettivizzata nella legge, cioe' la sua ragione, l'interesse specifico che con essa si tende a salvaguardare. L'«intentio legis» oggettiva si desume dai lavori preparatori e dalle relazioni di accompagnamento delle leggi. Ebbene, la relazione di accompagnamento al decreto-legge n. 113/2018 espressamente statuisce sul punto che «il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, fermo restando che esso costituisce documento di riconoscimento (...) l'esclusione dell'iscrizione anagrafica si giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica dello straniero». Dalla relazione di accompagnamento emerge, dunque, in modo chiaro ed inequivoco come il legislatore, attraverso l'introduzione del comma 1-bis nel corpo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 abbia avuto di mira un sensibile restringimento delle maglie normative per l'iscrizione all'anagrafe dei residenti degli stranieri muniti di permesso di soggiorno per richiesta asilo. Tale scelta si spiega, come esplicitato dalla relazione di accompagnamento, alla luce dell'esigenza di definire quale sia la condizione giuridica dello straniero e se cioe' abbia diritto o meno alla permanenza sul territorio nazionale a seguito del riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale. In altri termini, secondo il legislatore la «precarieta'» ed «interinalita'» della posizione in cui si trova lo straniero in attesa che sia definito il suo procedimento di protezione internazionale, osta all'iscrizione dello stesso nell'anagrafe del comune in cui questi intenda fissare la propria residenza. Di conseguenza il legislatore ha consapevolmente subordinato il diritto all'iscrizione anagrafica dello straniero in possesso di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo, all'esito della definizione (positiva o negativa) della richiesta di protezione dello straniero. Questo dato e' ulteriormente confermato dalla circolare del Ministero dell'interno n. 15 del 18 ottobre 2018 che, pur avendo natura di atto amministrativo a carattere interno all'amministrazione, come tale subordinato alla legge, puo' comunque assumere un qualche rilievo nella vicenda che ci occupa, in quanto emessa dal Ministero dell'interno, tra le cui prerogative rientra, tra le altre, proprio la materia dell'anagrafe. La circolare sancisce espressamente che «il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1, del citato decreto legislativo n. 142/2015 non potra' consentire l'iscrizione anagrafica». A confermare vieppiu' l'interpretazione dell'art. 4, comma 1-bis decreto legislativo n. 142/2015 come norma volta ad escludere che lo straniero titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo possa oggi ottenere l'iscrizione del suo nominativo nell'anagrafe del comune ove risiede vi e' poi il Dossier n. 66/2 del 9 novembre 2018 redatto dal Servizio studi Ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, giustizia e cultura del Senato della Repubblica (Dossier reperibile dal sito web del Senato della Repubblica) che, pur non avendo alcuna rilevanza normativa, registra e documenta l'attivita' degli organi parlamentari. Il Dossier, alle pagine da 126 a 129 esamina le modifiche in materia di iscrizione anagrafica, evidenziando che «la disposizione in esame deroga al principio espresso nel testo unico per i titolari di un permesso di soggiorno per richiesta asilo. Secondo la relazione illustrativa, l'esclusione dell'iscrizione anagrafica si giustifica per la precarieta' del permesso di soggiorno per richiesta asilo e risponde alla necessita' di definire in via preventiva la condizione giuridica del richiedente. In relazione alle modifiche previste dalla disposizione in esame, va richiamato che l'iscrizione anagrafica e' comunque il presupposto per l'esercizio di alcuni diritti sociali (...)». Sia il canone dell'interpretazione letterale sia quello dell'interpretazione telelogica conducono, dunque, allo stesso risultato: per il legislatore il permesso di soggiorno per richiedenti asilo non attesta (piu') la regolarita' del soggiorno ai fini dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente. Cosi individuato il significato della disposizione in esame, si pone il problema di capire se l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 sia conforme oppure no alla Costituzione, laddove si risolve nel privare, sia pure limitatamente all'iscrizione all'anagrafe, il permesso di soggiorno dell'effetto giuridico ontologicamente riconnesso al suo rilascio, ovvero quello di attestare la regolarita' del soggiorno dello straniero in Italia. Un problema di legittimita' costituzionale, a ben vedere, si pone ad avviso di questo Giudice in quanto e' precluso all'interprete fare ricorso ad ulteriori canoni interpretativi, stante la soggezione del giudice alla legge (art. 101 Cost.), nonche' considerato che l'utilizzo di altri criteri interpretativi si risolverebbe in un'interpretazione in evidente - e non consentito - contrasto con il dato letterale della norma e con l'intenzione del legislatore sottesa all'introduzione della stessa (che nel caso di specie conferma ed avvalora il dato letterale). Una tale operazione, infatti, finirebbe inevitabilmente per dare luogo ad una «interpretatio abrogans», in palese contrasto con l'esercizio della potesta' legislativa in capo all'organo a cio' deputato. Ogni forma di interpretazione consentita all'interprete, infatti, non puo' mai essere sganciata dal dato letterale potendo, al massimo, arrivare ad individuare un risultato che rientri tra i possibili significati semantici delle parole utilizzate dal legislatore, nonche' dalla loro connessione (art. 12 Preleggi). Ed in particolare, occorre in questa sede interrogarsi circa la possibilita' di fornire alla disposizione di cui occorre fare applicazione nel caso di specie un'interpretazione conforme alla Costituzione o «costituzionalmente orientata». Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale («ex multis» Corte costituzionale n. 77 del 12 marzo 2007), infatti, la eventuale questione di legittimita' costituzionale e' inammissibile laddove il Giudice non abbia dapprima tentato la via dell'interpretazione «costituzionalmente orientata», cioe' in grado di conciliare il significato di una norma con la Costituzione e con i valori in essa consacrati, in tal modo facendola salva. Sul punto e' noto che vari Tribunali hanno seguito il tentativo di una interpretazione costituzionalmente orientata: si tratta del Tribunale di Bologna con l'ordinanza del 2 maggio 2019, del Tribunale di Firenze con l'ordinanza del 18 marzo 2019 e del Tribunale di Genova con l'ordinanza del 22 maggio 2019. Queste pronunce sono tra loro accomunate dal medesimo percorso argomentativo, giungendo al risultato per cui l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 non pone un divieto espresso di iscrizione all'anagrafe del richiedente asilo titolare del permesso di soggiorno. Alcuni Giudici di merito sono addivenuti a quest'interpretazione - costituzionalmente orientata - muovendo da due argomentazioni. La prima e' che la locuzione della nuova norma prevede che il permesso di soggiorno «non costituisce titolo» ma, da una disamina della normativa di settore, si evince che il permesso di soggiorno non costituisce mai «titolo» per l'iscrizione all'anagrafe, costituendo mera prova della regolarita' del soggiorno dello straniero sul territorio. La seconda motivazione risiede nella circostanza che il decreto legislativo n. 142/2015 all'art. 5-bis - come introdotto dalla legge n. 46/2017, poi abrogato proprio dal decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») aveva introdotto una procedura c.d. «semplificata» di iscrizione all'anagrafe del richiedente asilo. La norma oggi abrogata cosi recitava: «1. Il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 e' iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ai sensi dell'art. 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente. 2. E' fatto obbligo al responsabile della convivenza di dare comunicazione della variazione della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti. 3. La comunicazione, da parte del responsabile della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza o dell'allontanamento non giustificato del richiedente protezione internazionale costituisce motivo di cancellazione anagrafica con effetto immediato, fermo restando il diritto di essere nuovamente iscritto ai sensi del comma 1». Questa procedura, derogando alla disciplina c.d. «ordinaria» di iscrizione all'anagrafe, prevedeva che fosse il responsabile del centro di accoglienza che ospitava il migrante ad effettuare una comunicazione all'ufficio dell'anagrafe e, quindi, che non fosse il diretto interessato a richiedere l'iscrizione. Secondo i Tribunali che hanno offerto un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 4, comma 1-bis decreto legislativo n. 142/2015, dunque, considerato che il decreto-legge n. 113/2018 da un lato ha abrogato tale procedura di iscrizione c.d. «semplificata» (abrogando l'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015) e stabilendo dall'altro che «il permesso di soggiorno "non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica..."», si sarebbe limitata ad eliminare ogni automatismo tra il rilascio del permesso di soggiorno e l'iscrizione all'anagrafe, automatismo che era posto a fondamento dell'art. 5-bis sopra richiamato). Secondo le pronunce in oggetto, questa soluzione interpretativa troverebbe riscontro nel fatto che il decreto-legge n. 113/2018 non ha apportato alcuna modifica all'art. 6 del decreto legislativo n. 286/1998 in punto di parificazione tra stranieri regolarmente soggiornanti (ivi compresi quelli in possesso di permesso di soggiorno quali richiedenti asilo) e cittadini italiani ai fini dell'iscrizione all'anagrafe. Tale interpretazione non appare a questo Giudice condivisibile. Essa, infatti, ancorche' apprezzabile nel cercare di attribuire alla norma in oggetto un significato costituzionalmente orientato, finisce per svuotare la norma di qualsiasi portata innovativa, realizzando, di fatto, un'abrogazione per via interpretativa della stessa, operazione assolutamente non consentita al Giudice. Non sembra potersi ritenere, infatti, che l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 sia interpretabile nel senso di essere norma diretta ad abolire la procedura di iscrizione c.d. «semplificata» poiche' non vi era alcuna necessita' di ribadire l'elisione dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed iscrizione all'anagrafe, gia' realizzata mediante l'abrogazione dell'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015 proprio ad opera del decreto-legge n. 113/2018 attraverso l'introduzione di un'ulteriore disposizione. Non si comprende, invero, per quale motivo il legislatore avrebbe dovuto abrogate la procedura c.d. «semplificata» di iscrizione all'anagrafe mediante un duplice intervento sul medesimo testo normativo, ovvero il decreto legislativo n. 142/2015. Inoltre, tra tutti i possibili significati riconducibili ad una norma, nei casi dubbi si deve optare per quello che riconnette alla medesima un qualche effetto, se esistente, in ossequio al principio generale di conservazione degli atti giuridici che governa l'ordinamento italiano. Ad ogni modo, poi, anche qualora si volesse attribuire alla norma di cui all'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 il significato attribuito dai suddetti Tribunali, non si comprende quale sia il senso del richiamo da essa effettuato all'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998, laddove si afferma che il permesso di soggiorno non e' titolo ai sensi di quella norma: l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998, infatti, non si occupa in alcun modo dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed iscrizione all'anagrafe, limitandosi piuttosto a enucleare la regolarita' del soggiorno dello straniero quale condizione per la parificazione al cittadino ai fini dell'applicazione della disciplina. Ne' appare rilevante la mancata modifica dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998 Testo unico immigrazione, che viene evocata dall'orientamento «costituzionalmente orientato» a riprova dell'applicazione della disciplina c.d. «ordinaria» in materia di iscrizione all'anagrafe anche al richiedente asilo titolare del permesso di soggiorno, non rileva in alcun modo. Anzi, e' proprio l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 che, in qualita' di norma di pari rango e posteriore introducendo una deroga, sottrae uno spazio applicativo all'art. 6 del Testo unico Immigrazione, cosi' escludendo che il permesso per richiesta asilo sia prova della regolarita' del soggiorno ai fini della sua applicazione. Per tutte le ragioni innanzi esposte, dunque, si ritiene di non poter dare continuita' all'interpretazione prospettata nelle pronunce richiamate dal ricorrente nel ricorso, secondo la quale la norma in questione «sancisce l'abrogazione, non della possibilita' di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017, che introduceva l'istituto della convivenza anagrafica, svincolando l'iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residente e per i cittadini italiani». D'altra parte, se e' vero che il Giudice nell'esercizio del suo potere di sindacato diffuso sulla legittimita' costituzionale delle norme deve tentare sempre la strada dell'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata della norma prima di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, e' altrettanto vero che l'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata non puo' mai risolversi in una attivita' che si risolva, di fatto, nell'abrogare una norma, attivita' questa consentita soltanto al legislatore e, in caso di contrasto della norma con la Costituzione, alla Corte costituzionale mediante una pronuncia che espella «ex tunc» la norma dal sistema normativo. In ordine alla chiarezza del portato normativo si e' espresso recentemente anche il Tribunale di Trento con l'ordinanza dell'11 giugno 2019, sancendo che l'attuale assetto normativo preclude l'iscrizione all'anagrafe al richiedente asilo titolare del permesso di soggiorno, arrivando ad affermare che la «palese chiarezza della relativa normativa richiamata, di cui all'art. 4, comma 1-bis della legge n. 142/2015, cosi' come modificato dall'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018, che esclude, per tabulas, la possibilita' per il richiedente protezione di ottenere l'iscrizione anagrafica nel comune, ove e' di fatto residente». Il Tribunale di Trento, inoltre, richiama il palese significato della norma quale limite per l'interprete. Cosi' ricostruita l'interpretazione della disposizione e chiarita l'impossibilita' di riconnettere alla stessa un significato diverso - ed opposto - rispetto a quello che conduce alla preclusione all'iscrizione anagrafica per il richiedente, pena lo stravolgimento non consentito del dettato normativa, si rende allora necessario effettuare un'analisi circa la compatibilita' della norma con il sistema costituzionale, tenuto conto che il Giudice ha sottoposto all'attenzione delle parti in sede di udienza di comparizione, la possibile illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015. Appare allora chiaro che alla luce dell'attuale assetto normativo la domanda cautelare dovrebbe essere rigettata per difetto del requisito indispensabile del «fumus boni iuris», essendo legittimo il diniego di iscrizione anagrafica opposto dal Comune di ... nei confronti del ricorrente, il quale non sarebbe titolare di alcun diritto soggettivo ad ottenere la predetta iscrizione anagrafica. Laddove si dovesse ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata «ex officio» si renderebbe necessario indagare il rapporto tra tutela cautelare e sospensione del processo per rimessione della questione alla Corte costituzionale. Tuttavia, prima di passare allo scrutinio della legittimita' costituzionale della norma e della possibilita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale nell'ambito del giudizio cautelare, appare utile soffermarsi sulla sussistenza del presupposto indefettibile della tutela cautelare del «periculum in mora», e cio' per due ragioni: la prima risiede nel fatto che, laddove non si dovesse ritenere sussistente il «periculum in mora» si imporrebbe il rigetto della domanda cautelare a prescindere dalla sussistenza del «fumus boni iuris», rendendosi quindi ultronea qualsiasi valutazione sulla (il)legittimita' costituzionale della norma e sulla conseguente possibilita' di introdurre un incidente di legittimita' costituzionale, poiche' la questione sarebbe allora irrilevante ai fini del decidere. La seconda ragione sta nel fatto che l'esame del «periculum in mora» potra' gia' fornire elementi in ordine alla individuazione dei diritti che risultano eventualmente compromessi dalla mancata iscrizione all'anagrafe e, dunque, indizi che potranno risultare eventualmente utili a vagliare la non manifesta fondatezza della questione. Quanto all'ulteriore requisito di legge, parimenti indefettibile ai fini dell'accoglimento del ricorso cautelare, del «periculum in mora», si osserva che tale presupposto richiede, in particolare, la prova da parte di chi invoca la tutela d'urgenza che i tempi connaturati alla tutela in via ordinaria del diritto - fondatamente azionato, secondo una valutazione sommaria - determinano il pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile, da intendersi quale danno incombente in concreto e non suscettibile di essere ristorato mediante risarcimento per equivalente. Il ricorrente ha argomentato la sussistenza del «periculum in mora» nella propria impossibilita' di esercitare diritti e facolta', che presuppongono l'avvenuta iscrizione all'anagrafe dei residenti, impossibilita' che porterebbe quindi a pregiudizi non ristorabili per equivalente monetario all'esito della definizione di un eventuale giudizio di merito Nel ricorso introduttivo i pregiudizi sono stati indicati dal ricorrente, anche mediante il richiamo a quanto affermato dalla giurisprudenza di merito, che ha evidenziato come la mancata iscrizione anagrafica rischi di impedire l'esercizio effettivo di diritti di rilievo costituzionale che potrebbero subire un pregiudizio irreparabile. I diritti che costituzionalmente rilevanti che risulterebbero impediti a causa del rifiuto del Comune di ... di iscrivere il ricorrente nel registro dell'anagrafe del Comune sono stati cosi' individuati: il diritto ad accedere alle misure di politica attiva del lavoro (art. 11, comma 1, lettera c del decreto legislativo n. 150/2015); il diritto di poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A. (art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972); il diritto di ottenere la determinazione del valore I.S.E.E. necessario per potere accedere alle prestazioni sociali agevolate (art. 1, comma 125, legge n. 104/1990); il diritto di ottenere, decorsi dieci anni dall'iscrizione nel registro dell'anagrafe di un comune italiano, la cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, legge n. 91/1992; il diritto ad ottenere il rilascio della patente di guida ai sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992 (Codice della strada); il diritto di accedere all'istruzione scolastica; il diritto all'ottenimento di una concessione commerciale per il commercio ambulante ed all'esercizio di un professione; il diritto di accedere pienamente all'assistenza sanitaria nazionale, poiche' il cittadino privo di residenza puo' accedere solo al servizio di pronto soccorso. Stante la pacifica possibilita' per legge di esercitare tali diritti e facolta' solo successivamente all'iscrizione di un soggetto nell'anagrafe di un comune italiano, risulta provata la sussistenza del «periculum in mora», poiche' al di la' del concreto ed effettivo esercizio di tali diritti, eventualmente negato, va considerato che il diniego opposto dall'Amministrazione comunale al ricorrente sta indubbiamente impedendo a quest'ultimo ed impedira', almeno fino alla definizione del suo procedimento di richiesta di asilo (o di un ordinario giudizio di merito) l'esercizio di tutti diritti e le facolta' sopra indicate la cui violazione, essendo tali diritti e facolta' inerenti alla persona in quanto tale, non puo' essere riparate per equivalente, «ex post», all'esito di un eventuale giudizio di merito che stabilisca la illegittimita' del rifiuto. In virtu' di quanto innanzi esposto, dunque, che nel caso di specie sussiste il presupposto del «periculum in mora». 6. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015 inserito dall'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), dei decreto-legge n. 113/2018 convertito in legge n. 132/2018. L'accertamento della sussistenza del requisito del «periculum in mora» richiesto dall'art. 700 codice di procedura civile per l'accoglimento del ricorso cautelare implica che la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015 inserito dall'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge n. 113/2018 convertito in legge n. 132/2018 assume il carattere della «rilevanza» nel presente giudizio. «Rilevanza» della questione che ai sensi dell'art. 23, comma 3, della legge n. 87/1953 costituisce insieme alla «non manifesta infondatezza» della stessa uno dei due requisiti di ammissibilita' della questione incidentale di costituzionalita' di una legge o di un atto avente forza di legge. La rilevanza, infatti, «esprime il rapporto che dovrebbe correre fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in corso» (Corte cost. sentenza n. 13/1965) o «il nesso di pregiudizialita' fra la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e la decisione del caso concreto» (Corte cost. sentenza n. 77/1983), ragion per cui essa ricorre nella vicenda in esame, dal momento che il procedimento cautelare in oggetto non puo' essere definito senza fare applicazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Il ricorrente, infatti, ha adito l'autorita' giudiziaria a seguito del rigetto della domanda di iscrizione all'anagrafe della popolazione residente pronunciato dall'ufficiale dell'anagrafe del Comune di ..., il quale ha fondato il diniego alla richiesta di iscrizione proprio sull'applicazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Nella presente fase cautelare, quindi, il Giudice e' chiamato a pronunciare provvedimenti opportuni, facendo applicazione di quella norma. Alla luce di tutto quanto sopra enunciato sub par. 4), si dovrebbe addivenire al rigetto della domanda cautelare per difetto del requisito del «fumus boni iuris», poiche' l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 cosi' come interpretato sulla base del criterio letterale e teleologico risulta avere il significato per cui Io straniero in possesso di permesso di soggiorno quale richiedente asilo non ha diritto ad ottenere l'iscrizione anagrafica. Tuttavia, proprio il fondato dubbio circa la legittimita' costituzionale della norma, abilita il Giudice che e' chiamato a farne applicazione a sollevare la relativa questione. Infatti, se da un lato la rilevanza della questione appare pacifica, dall'altro, occorre soffermarsi sul rapporto tra tutela cautelare e questione di legittimita' costituzionale sollevata in via incidentale nell'ambito del relativo giudizio. E' evidente, infatti, che l'ontologica celerita' che permea il rito cautelare entra in rotta di collisione con il meccanismo di sospensione del processo per rimessione della questione al vaglio della Corte costituzionale, cosi determinandone un arresto, sia pure temporaneo. L'interferenza tra i due giudizi non puo' essere risolta accedendo alla soluzione che opta per la assoluta incompatibilita' tra tutela cautelare e giudizio di legittimita' costituzionale, in quanto e' evidente che la soluzione pecca per eccessivo formalismo ed obbliga il Giudice della cautela - chiamato a fornire una tutela a fronte di situazioni minacciate da pregiudizio imminente ed irreparabile - a negare la tutela stessa, facendo applicazione di una norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Allo stesso tempo, in un sistema giuridico di sindacato costituzionale accentrato in capo alla Corte costituzionale, non appare percorribile neanche la soluzione diametralmente opposta, e cioe' quella del Giudice che concede la tutela cautelare mediante la semplice disapplicazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Quest'ultima soluzione finirebbe per trasformare il Giudice di merito in «Giudice delle leggi», creando cosi' una vistosa anomalia del sistema, per cui si assisterebbe ad un esercizio di un potere costituzionale (quello di stigmatizzare le norme incostituzionali, espellendole definitivamente dal sistema normativo) riservato ad altro organo (appunto la Corte costituzionale) e l'efficacia «inter partes», relativa, della pronuncia avrebbe dei riflessi in tema di trattamento diversificato sul territorio. Si aggiunga, inoltre, che alla luce della idoneita' del provvedimento ex art. 700 codice di procedura civile a conservare la sua efficacia, rientrando lo stesso nel novero dei provvedimenti cautelari c.d. «a strumentalita' attenuata», non vi sarebbe la garanzia di un successivo giudizio di merito nel quale la questione possa essere portata all'attenzione della Corte costituzionale. Una soluzione alla complessa problematica tra la celerita' della tutela e del rito cautelare e la stasi del procedimento stesso determinata dalla sospensione c.d. «necessaria» del giudizio «a quo» in cui viene sollevato l'incidente di legittimita' costituzionale, che questo Giudice ritiene di dover fare propria, trova origine nella giurisprudenza amministrava. Si tratta della c.d. «tutela cautelare a tempo», in cui cioe' la misura cautelare viene concessa, in via provvisoria, condizionandone la conferma o la revoca all'esito dei giudizio di legittimita' costituzionale. La giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte costituzionale n. 172/2012; Corte costituzionale n. 274/2014) ha ribadito che l'esigenza di assicurare l'effettivita' della tutela d'urgenza consente al Giudice ordinario l'adozione in via provvisoria della tutela interinale «nel tempo occorrente per la definizione del giudizio di incidentale di costituzionalita' e con un contenuto che intanto, limitatamente a questo lasso di tempo, schermi la norma indubbiata nella parte e nella misura in cui il giudice adito abbia espresso dubbi di non manifesta infondatezza della questione sollevata». Questa soluzione, che prevede la scomposizione della fase cautelare in una fase interinale, nella quale il Giudice concede la cautela fino alla decisione della Corte costituzionale, ed una seconda fase in cui il Giudice della cautela si pronuncia in via definitiva, tenendo conto delle risultanze del giudizio davanti alla Corte costituzionale, del giudizio costituzionale, permette, da un lato, di preservare l'effettivita' e l'immediatezza della tutela cautelare (articoli 24 e 111 Cost.; art. 6 C.E.D.U.) e, dall'altro, di scongiurare una pronuncia di inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale per esaurimento della «potestas iudicandi» del giudice rimettente. Del resto una siffatta soluzione, oltre a rispondere ad esigenze costituzionali e sovranazionali di effettivita' della tutela, non e' neppure sconosciuta al sistema processualcivilistico: si pensi, infatti, al meccanismo di cui all'art. 669-sexies, comma 2, codice di procedura civile, laddove si prevede che proprio in caso di tutela cautelare, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il Giudice provvede con decreto motivato «inaudita altera parte» (prima fase), fissando con il medesimo decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a se', udienza in cui provvedera' poi a confermare, modificare o revocare il provvedimento cautelare emanato in assenza di contraddittorio (seconda fase). La compatibilita' tra tutela cautelare e giudizio di legittimita' costituzionale, nei termini anzidetti, ha superato il vaglio della stessa Corte costituzionale, la quale ha ritenuto ammissibili questioni di legittimita' costituzionale sollevate in via incidentale nell'ambito di giudizi cautelari, sul presupposto che la tutela sia stata concessa in via provvisoria proprio in ragione della non manifesta infondatezza della questione. In questo senso il Giudice delle leggi, con l'ordinanza n. 25 del 2006 ha stabilito che «deve respingersi l'eccezione di inammissibilita' della questione sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato sul presupposto che, avendo emesso il provvedimento cautelare richiestogli con l'appello proposto avverso l'ordinanza di diniego del TAR, il Consiglio di Stato avrebbe esaurito la potestas judicandi, quale ad esso compete nella sede cautelare; che questa Corte ha piu' volte statuito che il giudice amministrativo ben puo' sollevare questione di legittimita' costituzionale in sede cautelare, sia quando non provveda sulla domanda cautelare, sia quando conceda la relativa misura, purche' tale concessione non si risolva, per le ragioni addotte a suo fondamento, nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il giudice amministrativo fruisce: con la conseguenza che la questione di legittimita' costituzionale e' inammissibile - oltre che, ovviamente, se la misura e' espressamente negata (ordinanza n. 82 del 2005) - quando essa sia concessa sulla base di ragioni, quanto al fumus boni juris, che prescindono dalla non manifesta infondatezza della questione stessa (sentenza n. 451 del 1993); che la potestas judicandi non puo' ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare e' fondata, quanto al fumus boni juris, sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, dovendosi in tal caso la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di legittimita' costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 444 del 1990; n. 367 del 1991; numeri 24, 30 e 359 del 1995; n. 183 del 1997; n. 4 del 2000)». Tanto premesso, il principio enunciato dalla Corte costituzionale, sebbene relativo ad ipotesi nelle quali la tutela cautelare era di tipo sospensivo, risulta perfettamente applicabile anche ai casi di cautela di natura anticipatoria, come quella che ci occupa. Infatti, nel caso di specie, verrebbe concessa la misura cautelare mediante l'ordine provvisorio di iscrivere il ricorrente all'anagrafe della popolazione residente, con riserva di confermare il provvedimento o di revocarlo, ordinando quindi la cancellazione dell'iscrizione, all'esito della definizione del giudizio di legittimita' costituzionale. Non si rinviene, del resto, alcun alcun ostacolo normativo a tale soluzione, poiche' l'art. 700 codice di procedura civile attribuisce al Giudice della cautela il potere di adottare «i provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze piu' idonei», per cui proprio la natura «atipica» dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 codice di procedura civile, il cui contenuto spetta di volta in volta al Giudice individuare al fine di assicurare che la posizione giuridica soggettiva non venga pregiudicata dal pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile permette, di fatto, di adottare un provvedimento cautelare «provvisorio». La concessione del provvedimento anticipatorio, inoltre, per la natura dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente, non determinerebbe effetti irreversibili - come tali suscettibili di una modifica successiva -, ma garantirebbe l'iscrizione almeno fino all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale, momento nel quale si stabilira' se confermare definitivamente la misura o disporne la cancellazione. In applicazione del principio avallato dalla Corte costituzionale, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale resterebbe comunque ammissibile, poiche' la misura cautelare verrebbe provvisoriamente concessa proprio sul presupposto esclusivo secondo cui si ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale. Va rilevato, infine, che l'eventuale esclusione della c.d. tutela cautelare a tempo per le misure cautelari di natura anticipatoria determinerebbe un irragionevole discrimina rispetto a quelle di natura sospensiva, che non si giustificata alla luce delle ragioni richiamate. Si evidenzia, tra l'altro, che la Corte di giustizia dell'Unione europea, con pronunce risalenti, si e' pronunciata in modo favorevole rispetto all'analoga ipotesi della possibilita' per i giudici che sollevano rinvio pregiudiziale di adottare misure cautelari provvisorie durante il tempo necessario alla pronuncia della Corte, evidenziando come tale possibilita' fosse da estendere anche alle misure di natura anticipatoria (cfr. C.G.U.E. 9 settembre 1995 C-465/93). Orbene, anche considerata l'evidente affinita' tra il rinvio in sede di incidente di illegittimita' costituzionale ed il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea per l'interpretazione e l'applicazione delle norme unionali, non si ravvisano elementi tali da giustificare un diverso trattamento delle due ipotesi, anche sotto il profilo della possibilita' per il Giudice «a quo», rimettente, di somministrare al ricorrente una tutela provvisoria. Occorre premettere che l'art. 23, comma 2, della legge n. 87 del 1953, al comma secondo consente al Giudice di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale delle norme che e' chiamato ad applicare. «La non manifesta infondatezza» della questione rappresenta un filtro, un momento di controllo diretto ad evitare inutili rimessioni alla Corte costituzionale ed implica per il Giudice «a quo» che la questione debba essere sollevata ogni qualvolta non si presenti, cosi' come dedotta dalle parti, palesemente infondata. Nel caso del rilievo «ex officio» il requisito della «non manifesta infondatezza» si risolve nell'impossibilita' per l'interprete di dare alla norma sospettata di illegittimita' costituzionale un'interpretazione compatibile con la Costituzione. Tanto premesso, si ritiene sussistente anche il requisito della «non manifesta infondatezza» della questione. Ai sensi dell'art. 43 del Codice civile la residenza e' il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, cioe' il luogo in cui il soggetto vive la quotidianita' dei suoi interessi e della propria famiglia. L'atto con il quale si stabilisce la residenza e' un atto giuridico in senso stretto nel quale cioe' l'elemento soggettivo non rileva in se', ma si deve manifestare in un comportamento che, alla stregua della valutazione sociale, corrisponde ad effettiva abitazione abituale in un certo luogo («La residenza di una persona e' determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioe' dall'elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali» - cosi' «ex multis» Cassazione civ., n. 1738/1986). L'iscrizione nel pubblico registro anagrafico tenuto presso ogni comune italiano ha, dunque, mero valore pubblicitario o notiziale, non costitutivo, in quanto e' noto che l'effettiva residenza di una persona puo' essere accertata con ogni mezzo, anche contro le risultanze anagrafiche. L'iscrizione anagrafica pertanto ha mero valore ricognitivo di una situazione di fatto, che esiste a prescindere dalla sua manifestazione formale. La preclusione all'iscrizione, pertanto, si risolve in un ostacolo ad ottenere la pubblicizzazione di uno stato di fatto, che si pone quale imprescindibile presupposto di esercizio di una molteplicita' di diritti e di facolta', sia nell'ambito del settore pubblico, che nell'ambito del settore privato. Se da una parte l'iscrizione anagrafica, in quanto priva di valore costitutivo potrebbe apparire come una mera formalita' irrilevante, dall'altra, nel fondare la presunzione (sia pure «iuris tantum») di corrispondenza della realta' giuridica a quella effettiva circa il luogo in cui un soggetto ha la sua stabile dimora, essa assurge a strumento di primaria importanza laddove, tanto nel settore pubblico, quanto in quello privato, si consente di dare prova della propria residenza proprio attraverso il riferimento alla dichiarazione anagrafica. La preclusione all'iscrizione, allora, assume carattere ostativo dapprima ed immediatamente alla pubblicita' di una situazione di fatto e, in via successiva ed indirettamente, alla possibilita' di fornirne la relativa prova ai fini dell'esercizio di diritti e facolta' o dell'accesso a servizi pubblici o privati. La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che lo strumento dell'anagrafe «e' predisposto nell'interesse sia della pubblica amministrazione, sia dei singoli individui. Sussiste, invero, non soltanto l'interesse dell'amministrazione ad avere una relativa certezza circa la composizione ed i movimenti della popolazione (...) ma anche l'interesse dei privati ad ottenere le certificazioni anagrafiche ad essi necessarie per l'esercizio dei diritti civili e politici e, in generale, per provare la residenza e lo stato di famiglia» (Cass. civ., n. 449/2000). Tanto premesso, si rammenta che la preclusione all'iscrizione anagrafica e' stata giustificata nella Relazione illustrativa al decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») in base alla precarieta' del soggiorno del migrante richiedente asilo e con la necessita' di definire in via prioritaria la sua condizione giuridica. Sulla base di questa argomentazione il Tribunale di Trento ha escluso profili di illegittimita' costituzionale della norma, richiamando la diversa condizione dello straniero richiedente asilo. A ben vedere, pero', la posizione dello straniero in possesso di un permesso di soggiorno quale richiedente asilo, non giustifica un siffatto trattamento normativo. Il soggiorno dello straniero richiedente asilo, legittimato dal rilascio del relativo permesso, e' pacificamente non di breve durata. I tempi di accertamento delle condizioni che costituiscono il presupposto del riconoscimento della protezione internazionale che includono il procedimento dinanzi alle Commissioni territoriali, l'eventuale impugnativa dinanzi al Tribunale e poi innanzi alla Corte di cassazione sono, infatti, di gran lunga superiori rispetto al tempo minimo necessario per poter definire il luogo in cui lo straniero ha fissato la propria dimora come abituale. Tra i parametri di legge che si possono utilizzare al fine di riconoscere l'abitualita' di una dimora, vi e' sicuramente quello indicato dall'art. 6 del decreto legislativo n. 286/1998, che fissa a tal fine il termine di tre mesi. Pertanto, se e' innegabile che la condizione del richiedente asilo e' connotata da precarieta', e' altrettanto innegabile che il suo soggiorno si protrae legittimamente sul territorio italiano per un tempo che di regola supera l'anno, tempo in cui viene impedita la pubblicizzazione e la prova di una residenza che pero', di fatto, viene acquisita. E' noto che al legislatore e' consentito dettare norme che regolino l'ingresso e la permanenza dei cittadini extracomunitari in Italia, purche' non palesemente irragionevoli e non contrastanti con gli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano. Sul punto, la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito il principio secondo cui il legislatore puo' subordinare l'erogazione di determinate prestazioni alla circostanza che lo straniero sia soggiornante con un titolo non episodico e non di breve durata (cfr. Corte costituzionale, n. 306/2008). Nel caso in esame, il legislatore sembra aver riservato un trattamento deteriore in riferimento ad uno straniero, quello richiedente asilo, legalmente soggiornante ma con titolo che non e' ne' episodico, ne' di breve durata. I dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1, lettera a) n. 2) del decreto-legge n. 113/2018 laddove ha introdotto il comma 1-bis dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 appaiono quindi non manifestamente infondati con riferimento ai seguenti parametri costituzionali. Il primo parametro rispetto al quale si ritiene fondato il dubbio di legittimita' e' rappresentato dall'art. 2 della Costituzione. L'impossibilita' per lo straniero richiedente asilo di ottenere la certificazione anagrafica in ordine alla sua dimora abituale comporta, per le ragioni enunciate, una condizione di «deminutio» generale della sua persona, la quale si vede impossibilitata a dare prova di una condizione di fatto esistente (la dimora abituale). Tale limite si traduce a cascata in una preclusione all'accesso a tutti quei diritti, facolta' e servizi per i quali l'ordinamento richiede quale requisito costitutivo la prova della residenza (tra cui il diritto ad accedere alle misure di politica attiva del lavoro ex art. 11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 150/2015, il diritto di poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A. ex art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972, il diritto di ottenere la determinazione del valore I.S.E.E. necessario per potere accedere alle prestazioni sociali agevolate ex art. 1, comma 125, legge n. 104/1990, il diritto di ottenere, decorsi dieci anni dall'iscrizione nel registro dell'anagrafe di un comune italiano, la cittadinanza italiana ex art. 9, comma l, legge n. 91/1992, il diritto ad ottenere il rilascio della patente di guida ai sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992, il diritto di accedere all'istruzione scolastica, il diritto all'ottenimento di una concessione commerciale per il commercio ambulante ed all'esercizio di un professione ed il diritto di accedere in modo pieno all'assistenza sanitaria nazionale, poiche' il cittadino privo di residenza puo' accedere solo al servizio di pronto soccorso), in tal modo frapponendo significativi ostacoli allo sviluppo della persona, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'. In secondo luogo, la questione di legittimita' costituzionale appare non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 della Costituzione sotto molteplici profili. L'art. 3 della Carta costituzionale appare innanzitutto violato sul versante del principio di ragionevolezza, in quanto il legislatore con la norma censurata, al solo fine di impedire l'iscrizione anagrafica ha privato il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo, documento deputato ad attestare la regolarita' del soggiorno di uno straniero sul territorio, della sua ontologica natura, ovvero della sua attitudine a provare la legittima permanenza sul territorio nazionale. Orbene, e' noto che il canone della ragionevolezza puo' dirsi rispettato solo laddove esista una «causa normativa» che legittimi una differenziazione che, nel caso di specie, non puo' essere ravvisata nella «precarieta' della condizione giuridica dello straniero» richiedente asilo, in quanto tale precarieta' non corrisponde, per tutte le ragioni innanzi esposte, ad un soggiorno di breve durata. La soluzione adottata dal legislatore appare quindi sproporzionata rispetto al fine avuto di mira: il legislatore avrebbe piuttosto dovuto piuttosto individuare puntualmente i diritti ed i servizi rispetto ai quali il richiedente asilo non puo' accedere fino alla definizione del procedimento volto ad ottenere la protezione internazionale, ma non escludere radicalmente ed indiscriminatamente nei suoi confronti ogni diritto e facolta' - in ambito pubblico e privato - che si riconnette al possesso della residenza anagrafica, di fatto equiparando il soggiorno dello straniero richiedente asilo a quello di uno straniero «irregolare». L'intervento sproporzionato rispetto al fine perseguito e' rivelato da una contraddizione in cui e' caduto lo stesso legislatore, palesando un ulteriore profilo di irragionevolezza. Da un lato infatti, il legislatore ha previsto che il permesso di soggiorno per richiesta asilo consente di svolgere attivita' lavorativa (art. 22 decreto legislativo n. 142/2015 in base al quale «Il permesso di soggiorno per richiesta asilo di cui all'art. 4 consente di svolgere attivita' lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame della domanda non e' concluso ed il ritardo non puo' essere attribuita al richiedente») - riconoscendo quindi l'importanza di tale profilo non solo ai fini del sostentamento dello straniero, ma anche ai fini della sua integrazione nel tessuto sociale - dall'altro, con la preclusione all'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente, ha impedito al titolare di permesso di soggiorno di interloquire con l'ente deputato alla gestione ed alla ricerca di occasioni lavorative. La mancata iscrizione all'anagrafe, infatti, preclude l'accesso alle politiche attive del lavoro di cui all'art. 11, decreto legislativo n. 150/2015, politiche riservate per espressa previsione di legge ai residenti sul territorio (art. 11, comma 3, lettera c decreto legislativo n. 150/2011), cosi' come preclude l'inserimento del titolare del permesso per richiesta asilo nel sistema informativo unitario delle politiche del lavoro che prevede la formazione di una scheda anagrafica dei lavoratore (art. 13, decreto legislativo n. 150/2011). Allo stesso tempo, e' preclusa la possibilita' di stipulare contratti di lavoro di prestazione di lavoro occasionale, come disciplinati dal decreto-legge n. 50/2017 e dal decreto-legge n. 87/2018, in quanto ai lavoratore privo di residenza e' preclusa la registrazione al portale telematica dell'I.N.P.S. In definitiva, quindi, il diritto al lavoro, che e' stato riconosciuto anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo risulta compromesso dagli ostacoli che la norma «sub iudice» - impedendo in modo assoluto allo straniero richiedente asilo l'acquisizione di una residenza formale - frappone tra il lavoratore e i canali di accesso alle occasioni lavorative, con evidenti profili di irragionevolezza. L'art. 3 della Carta costituzionale appare poi violato anche «sub specie» di principio di uguaglianza e non discriminazione, nonche' di diversita' di trattamento a fronte di situazioni eguali. Infatti l'impossibilita' per lo straniero richiedente asilo di ottenere l'iscrizione anagrafica nel comune in cui pure ha, di fatto, fissato la propria, si risolve in un trattamento deteriore, non giustificato, rispetto al cittadino italiano, ma anche e soprattutto rispetto allo straniero regolarmente soggiornante in Italia con altro titolo, al quale l'ordinamento consente di chiedere ed ottenere l'iscrizione nei registri dell'anagrafe del comune ove intende fissare la propria dimora abituale. La «precarieta'» della condizione giuridica dello straniero richiedente asilo, infatti, non sembra in grado di giustificare il diversa trattamento normativa, dal momento che, per le ragioni gia' individuate, tale precarieta' non equivale ad una breve durata del soggiorno - comunque legittimo sul territorio nazionale - e pertanto non inficia il presupposto posto a base della residenza, e cioe' la dimora abituale nel suo elemento oggettivo e soggettivo. La discriminazione realizzata mediante l'introduzione del comma 1-bis dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 risulta ancora piu' evidente rispetto agli altri stranieri regolarmente soggiornanti, cioe' muniti di permesso di soggiorno di altro tipo. Rispetto a quest'ultimi la disparita' di trattamento dello straniero richiedente asilo deteriore risulta ancora piu' ingiustificata ed evidente, poiche' gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia non incontrano limitazioni di sorta nell'accesso alle iscrizioni anagrafiche e possono ottenerle con il decorso del tempo minimo necessario a considerare la loro dimora come abituale, anche a fronte di un soggiorno di durata inferiore rispetto a quello dei richiedenti asilo. Ebbene, se e' certo che la «precarieta'» - intesa come provvisorieta' - che caratterizza la condizione giuridica dello straniero richiedente asilo costituisce senz'altro un elemento discretivo rispetto alla condizione dei cittadini italiani o degli stranieri titolari di un permesso di soggiorno di altro tipo, ragion per cui puo' fondare un trattamento normativo differente tra i soggetti sopra richiamati, essa pero' puo' avere incidenza solo ed esclusivamente rispetto a quegli aspetti in cui la suddetta «precarieta'» risulta incompatibile con gli effetti di una situazione giuridica da riconoscere. Rispetto al diritto a vedersi riconosciuta mediante certificazione anagrafica la propria residenza (cioe' la dimora abituale), la precarieta' della condizione giuridica dello straniero richiedente asilo non produce alcun effetto e, comunque, non appare in grado di giustificare secondo il canone della razionalita' la scelta legislativa di sancire l'impossibilita' per quest'ultimo di ottenere prova di una residenza che e' gia' effettivamente abituale e che puo' protrarsi anche per anni. Peraltro, a sostegno dell'introduzione del comma 1-bis dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 ad opera dell'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 non possono invocarsi neanche esigenze di certezza delle risultanze anagrafiche, poiche' l'art 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 - laddove pone l'obbligo di rinnovare la dichiarazione di dimora abituale entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno e prevede che l'ufficiale dell'anagrafe aggiorna la scheda anagrafica dello straniero - assicura un meccanismo di cancellazione della residenza laddove il permesso di soggiorno non dovesse essere rinnovato. Infine, dubbi di legittimita' costituzionale si avanzano anche in riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 2 del Protocollo n. 4 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (che costituisce norma interposta la cui violazione impone al Giudice «a quo» di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, cosi' Corte costituzionale nn. 348/2007 e 349/2007) in base al quale «chiunque si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio» nonche' all'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici in base al quale «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio». Tali norme, dunque, impongono all'Italia, quale Stato membro che ha aderito alle suddette Convenzioni, di assicurare a «chiunque» e ad «ogni individuo» che si trovi legalmente nel suo territorio, dunque certamente anche allo straniero richiedente asilo, il diritto alla liberta' di scelta della propria residenza nel territorio italiano: diritto che, con ogni evidenza, viene ad essere completamente cancellato per effetto della novella normativa sospettata di illegittimita' costituzionale. Ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Carta costituzionale, infatti, la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato (e dalle regioni) «nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», ragion per cui l'eventuale violazione degli impegni assunti dallo Stato italiano a livello sovranazionale si risolvono non solo in una violazione degli accordi assunti sul piano internazionale, ma anche in una violazione della Costituzione che, come tale, puo' comportare la declaratoria di illegittimita' costituzionale delle norme censurate. Alla luce di quanto innanzi esposto, dunque, si ritiene rilevante e non manifestamente infondata con riferimento gli articoli 2, 3, e 117, comma 1, della Costituzione in riferimento ai parametri interposti dell'art. 2 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. n. 4 ed all'art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015 cosi' come introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2), del decreto-legge n. 113/2018 convertito con legge n. 132/2018.
P.Q.M. 1) Ordina all'ufficiale dell'anagrafe del Comune di ... di iscrivere in via provvisoria F. D. all'anagrafe della popolazione residente del Comune di ..., riservando all'esito dell'incidente di costituzionalita' la decisione definitiva in ordine alla domanda cautelare; 2) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento gli articoli 2, 3, e 117, comma 1, della Costituzione in riferimento ai parametri interposti dell'art. 2 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. n. 4 ed all'art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015 cosi' come introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2), del decreto-legge n. 113/2018 convertito con legge n. 132/2018; 3) Dispone la immediata trasmissione degli atti del procedimento e della presente ordinanza alla Corte costituzionale; 4) Sospende il giudizio; 5) Manda alla cancelleria per la notificazione del presente provvedimento alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione al presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Salerno il 10 settembre 2019. Il Giudice: Caputo