N. 232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2019

Ordinanza del 17 settembre 2019 del Tribunale di Salerno sul  ricorso
proposto da S. B. contro il Comune di E.. 
 
Straniero - Accoglienza dei richiedenti protezione  internazionale  -
  Previsione che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo  non
  costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica. 
- Decreto legislativo  18  agosto  2015,  n.  142  (Attuazione  della
  direttiva 2013/33/UE recante  norme  relative  all'accoglienza  dei
  richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'  della  direttiva
  2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del  riconoscimento  e
  della revoca dello status di protezione  internazionale),  art.  4,
  comma 1-bis, inserito dall'art. 13, comma 1, [lettera  a),]  numero
  2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni  urgenti
  in materia di protezione internazionale e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132. 
(GU n.52 del 27-12-2019 )
 
                        TRIBUNALE DI SALERNO 
                          I sezione civile 
 
    Il giudice designato, dott. Iannicelli Guerino; 
    letti gli atti ed a scioglimento della riserva assunta al'udienza
del  12  settembre  2019,  ha  emesso  la  seguente   ordinanza   nel
procedimento cautelare ante causam ex art. 700  codice  di  procedura
civile iscritto  al  n.  6274  del  Ruolo  generale  dell'anno  2019,
proposto con ricorso depositato in data 17 giugno 2019 da S. B., nato
in ... il ...; rappresentato e difeso dall'avv. Gianluca De Vincentis
per procura allegata al ricorso - ricorrente; 
    nei confronti del Comune di ...;  rappresentato  e  difeso  dagli
avvocati Ernesta Iorio e Nelso Buccella  per  procura  allegata  alla
memoria difensiva - resistente. 
    Il cittadino extracomunitario S.  B.  chiede  l'emissione  di  un
provvedimento cautelare ante causam contenente  l'ordine  al  sindaco
del Comune di ..., anche nella sua qualita' di Ufficiale  di  Governo
responsabile della tenuta  dei  registri  dello  stato  civile  e  di
popolazione, di immediata iscrizione nel  registro  anagrafico  della
popolazione residente. 
    Espone che e' titolare del permesso di  soggiorno  per  richiesta
asilo, rilasciato dalla Questura di ... in data 16 novembre  2018,  e
dimora da piu' di tre mesi ad ... alla via ..., presso il centro ...;
che in data 6 maggio 2019 si e' presentato presso l'ufficio  anagrafe
del Comune di ... per  formalizzare  la  sua  domanda  di  iscrizione
all'anagrafe del comune ove dimora; che il responsabile  dell'ufficio
demografico gli ha comunicato di non poter accettare la richiesta, ai
sensi dell'art. 13 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.  113  poiche'
il permesso di soggiorno per richiesta asilo non costituirebbe valido
titolo per procedere all'iscrizione anagrafica;  che  l'art.  13  del
decreto-legge n. 113/2018 non contiene  alcun  divieto  esplicito  di
iscrizione  anagrafica  per  i  richiedenti  asilo   ma   si   limita
semplicemente ad escludere che la particolare tipologia  di  permesso
di soggiorno possa essere  documento  utile  per  la  formalizzazione
della domanda di  residenza;  che  il  regolamento  anagrafico  della
popolazione residente (decreto del  Presidente  della  Repubblica  30
maggio 1989, n. 223) ed il Testo unico immigrazione (art. 6, comma 7,
del decreto legislativo n. 286/98) non fanno menzione di «titoli  per
l'iscrizione  anagrafica»  appunto  perche'  nel  nostro  ordinamento
giuridico l'iscrizione anagrafica non avviene in base a «titoli» ma a
«dichiarazioni  degli  interessati»  (art.  13),   «accertamenti   di
ufficio» (articoli 15, 18-bis e 19) e «comunicazioni degli  ufficiali
di stato civile»; che, infatti, l'iscrizione anagrafica  registra  la
volonta' delle persone, italiane o straniere, che, avendo una dimora,
hanno fissato in un determinato comune la propria  residenza  oppure,
non avendo una dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio
domicilio; che l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo  n.  286/98
espressamente  esclude  la   possibilita'   che   si   possa   negare
l'iscrizione anagrafica ad uno straniero  regolarmente  soggiornante,
ospitato in un centro  di  accoglienza;  che,  dunque,  il  cittadino
italiano e lo straniero, ai fini della  iscrizione  anagrafica,  sono
sullo stesso piano, dovendo dimostrare l'elemento oggettivo  (stabile
permanenza  in  un  luogo)  e  l'elemento  soggettivo  (volonta'   di
rimanervi); che lo straniero, in aggiunta a questi  elementi,  dovra'
solo dimostrare di essere regolarmente soggiornante in Italia con  la
conseguenza che il permesso di soggiorno non e' mai stato titolo  per
l'iscrizione stessa, ma rileva solo ai  fini  della  regolarita'  del
soggiorno; che, inoltre, la domanda di iscrizione anagrafica  per  lo
straniero che dimora abitualmente in  un  comune  integra  anche  gli
estremi di un «dovere», penalmente sanzionato (art. 11 della legge n.
1228/1954);  che  la  corretta  interpretazione  dell'art.   13   del
decreto-legge n. 113/2018 consiste nell'aver abolito l'automatismo di
iscrizione anagrafica  della  c.d.  procedura  semplificata  prevista
dall'abrogato art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015, secondo
cui il richiedente protezione internazionale ospitato nei  centri  di
cui agli  articoli  9,  11  e  14  e'  iscritto  nell'anagrafe  della
popolazione  residente  sulla   base   di   una   comunicazione   del
responsabile del centro; che,  se  l'art.  5-bis  aveva  previsto  un
automatismo nella  iscrizione  anagrafica,  svincolandola  sia  dalla
dichiarazione dell'interessato che dagli accertamenti  dell'ufficiale
d'anagrafe  e  quindi  basandosi   solo   sulla   comunicazione   del
responsabile  del  centro,  l'art.  13  in  realta'  altro  non  vuol
significare che l'abolizione di tale automatismo, chiarendo  che  non
vi e' una  speciale  iscrizione  all'anagrafe  dei  residenti  per  i
richiedenti asilo basata sul «titolo» della domanda di  protezione  e
dell'inserimento nella  struttura  di  accoglienza;  che  il  diritto
soggettivo  all'iscrizione  anagrafica  del  residente   ha   rilievo
costituzionale  nell'art.  16  Cost.,  relativo  alla   liberta'   di
circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale,   dovendosi   ritenere   che   l'espressione   «cittadino»
utilizzata dal Costituente sia riferibile  a  tutti  i  membri  della
comunita' dei residenti (regolarmente e stabilmente soggiornanti) nel
Paese;  che  la  mancanza  della  iscrizione   nei   registri   della
popolazione residente comporta  una  serie  di  disagi  ed  impedisce
l'esercizio di fondamentali diritti, quali l'accesso alle  misure  di
politica attiva del lavoro (art. 11, comma  1,  lettera  c),  decreto
legislativo n. 150/2015), l'attribuzione di un numero di partita  IVA
(art. 35, comma 2,  lettera  decreto  legislativo  n.  633/1972),  la
determinazione del valore ISEE  richiesto  per  poter  accedere  alla
prestazioni sociali agevolate (art. 1,  comma  125,  della  legge  n.
104/1990), la decorrenza del termine di nove anni  per  l'ottenimento
della  cittadinanza  italiana  (art.  9,  comma  1-ter,  del  decreto
legislativo n. 286/98), il rilascio  della  patente  di  guida  (art.
118-bis, comma 1 c.d.s.), la istruzione scolastica, l'ottenimento  di
una concessione commerciale per il commercio  ambulante,  l'esercizio
di  una  professione,  l'assistenza  sanitaria  nazionale;  che  tali
limitazioni integrano anche il requisito dell'urgenza  della  tutela,
ex art. 700 codice di procedura civile. 
    Il  Comune  di  ...,  costituitosi,  eccepisce  la   carenza   di
legittimazione   passiva,   essendo    legittimato    il    Ministero
dell'interno, in qualita' di titolare  della  funzione  anagrafica  e
dello stato civile delegata al sindaco quale  Ufficiale  di  Governo.
Nel merito, osserva  che  l'art.  4,  comma  1-bis,  della  legge  n.
142/2015 e succ. mod.,  di  cui  all'art.  13  del  decreto-legge  n.
113/2018, consente ai richiedenti protezione internazionale di  avere
un permesso di soggiorno temporaneo,  nell'attesa  della  definizione
della loro domanda di protezione  internazionale,  costituente  anche
documento di identita', ma nel contempo la situazione  di  incertezza
sulla  futura  condizione  di  soggetto  meritevole   di   protezione
internazionale o meno ha fatto ritenere al legislatore di  non  farlo
iscrivere  nel  registro  anagrafico  della  popolazione   residente,
garantendo al medesimo, pero', l'accesso ad  una  serie  di  diritti;
che, pertanto, la domanda di iscrizione anagrafica  non  puo'  essere
accolta, ai sensi dell'art. 13 del decreto-legge  4  ottobre  2018  e
della circolare n. 15 del 18 ottobre 2018 del Ministero dell'interno,
secondo cui, dall'entrata in  vigore  delle  nuove  disposizioni,  il
permesso di soggiorno per richiesta di protezione  internazionale  di
cui all'art. 4, comma 1, del decreto  legislativo  n.  142/2015,  non
potra' consentire l'iscrizione  anagrafica.  Contesta,  altresi',  il
periculum  in  mora,  in  assenza  di   deduzioni   sul   pregiudizio
irreparabile  dalla  mancata  iscrizione  anagrafica,  in  attesa  di
decisione su eventuale giudizio di merito. 
    Va  esaminata,  in  via   pregiudiziale,   la   questione   della
legittimazione passiva. 
    Come e' noto, il sindaco esercita, nei casi previsti dalla legge,
anche funzioni di Ufficiale di Governo,  nel  qual  caso  l'attivita'
svolta non e' riferibile al comune ma allo Stato, al quale fa capo lo
specifico interesse pubblico perseguito dalla norma  attributiva  del
potere.  Il   sindaco   si   pone   istituzionalmente   come   organo
dell'Amministrazione dell'interno ed, in tale veste, pur  avvalendosi
dei  mezzi  propri  del  comune,  pone  in  essere  atti   imputabili
direttamente  allo  Stato.   Di   regola,   poi,   alla   titolarita'
dell'interesse   e'   associata   la    legittimazione    processuale
riconducibile all'esercizio del potere. 
    Nel  caso  che  qui   interessa,   le   funzioni   di   ufficiale
dell'anagrafe sono attribuite al sindaco, quale Ufficiale del Governo
(art. 3 della legge 24  dicembre  1954,  n.  1228).  In  particolare,
l'art. 14 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) prevede che i servizi
di anagrafe sono gestiti dal comune e che le relative  funzioni  sono
esercitate  dal  sindaco  quale  Ufficiale  del  Governo,  ai   sensi
dell'art. 54 (il comma 3 dispone che il sindaco, quale Ufficiale  del
Governo, sovrintende alla tenuta dei registri di stato  civile  e  di
popolazione; il comma 11 prevede, nel caso di inerzia del  sindaco  o
del suo delegato nell'esercizio delle funzioni, che il prefetto  puo'
intervenire con proprio provvedimento; il comma  12  dispone  che  il
Ministro dell'interno puo' adottare atti di indirizzo per l'esercizio
delle funzioni previste dall'art. 54 da parte del sindaco). L'art. 12
della legge n. 1228/1954 prevede che la vigilanza sulla tenuta  delle
anagrafi della popolazione  residente  e'  esercitata  dal  Ministero
dell'interno  e  dall'Istituto  centrale   di   statistica.   Dunque,
l'interesse pubblico che presiede ai' poteri di iscrizione anagrafica
fa  capo  all'Amministrazione  statale   che   esercita,   attraverso
l'Amministrazione centrale (il Ministero dell'interno),  le  funzioni
di indirizzo e di vigilanza e, attraverso gli organi territoriali, le
funzioni di esercizio concreto del potere (il sindaco e, in  caso  di
inerzia, il prefetto). 
    Da questo sistema  di  attribuzione  dei  poteri  in  materia  di
anagrafe si desume che la legittimazione passiva  nella  controversia
relativa al diritto all'iscrizione  nel  registro  della  popolazione
residente rimane in capo all'organo a cui spetta  l'accertamento,  in
concreto, dei presupposti del diritto e, dunque,  l'iscrizione  o  il
diniego dell'istanza (il sindaco), mentre  l'organo  di  indirizzo  e
vigilanza  (il  Ministero  dell'interno)  puo'   vantare   solo   una
legittimazione ad intervenire in giudizio. La legittimazione  passiva
spetta, percio', al sindaco p.t. che,  nel  caso  di  specie,  si  e'
costituito in giudizio, sia pure nella qualita' di rappresentante del
comune. Di  qui  l'infondatezza  dell'eccezione  di  inammissibilita'
dell'azione cautelare proposta nei confronti del comune,  in  persona
del sindaco p.t., anziche' nei confronti del Ministero dell'interno. 
    Nel merito, i presupposti  per  l'adozione  di  un  provvedimento
cautelare atipico ex art. 700  codice  di  procedura  civile,  sia  a
contenuto anticipatorio che conservativo  della  domanda  di  merito,
sono il fumus boni iuris, ossia la probabile fondatezza  del  diritto
dedotto in giudizio, ed il  periculum  in  mora,  ovvero  il  fondato
timore del titolare del diritto che questo sia minacciato, nelle more
del giudizio ordinario, da un pregiudizio imminente ed irreparabile. 
    Quanto al fumus, il ricorrente propone una  domanda  cautelare  a
contenuto anticipatorio della sentenza di merito avente ad oggetto la
condanna della pubblica amministrazione ad emettere un  provvedimento
amministrativo   che   ha   rifiutato   (la   condanna   del   comune
all'iscrizione anagrafica), la quale  richiede  una  previa  verifica
della situazione giuridica soggettiva  e  della  giurisdizione.  Come
chiarito  dalle  Sezioni  Unite,  le  controversie  in   materia   di
iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della  popolazione
coinvolgono  situazioni  di  diritto  soggettivo  per  le  quali   la
giurisdizione  spetta  al  giudice  ordinario.  L'ordinamento   delle
anagrafi della popolazione residente (legge 24 dicembre 1954, n. 1228
e relativo  regolamento  di  esecuzione  approvato  con  decreto  del
Presidente della Repubblica 31 gennaio 1958, n. 136,  poi  sostituito
dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.  223),
osservano    le    Sezioni    Unite,    configura    uno    strumento
giuridico-amministrativo di documentazione e di  conoscenza,  che  e'
predisposto nell'interesse sia della  pubblica  amministrazione,  sia
dei singoli individui. Sussiste,  invero,  non  soltanto  l'interesse
dell'amministrazione  ad  avere  una  relativa  certezza   circa   la
composizione ed i movimenti della popolazione, ma  anche  l'interesse
dei  privati  ad  ottenere  le  certificazioni  anagrafiche  ad  essi
necessarie per l'esercizio  dei  diritti  civili  e  politici  e,  in
generale, per provare la residenza e lo stato di  famiglia.  Inoltre,
tutta l'attivita' dell'ufficiale  d'anagrafe  e'  disciplinata  dalle
norme sopra richiamate in modo  vincolato,  senza  che  trovi  spazio
alcun momento di discrezionalita'. In particolare,  sono  rigidamente
definiti dalle norme del regolamento i presupposti per le iscrizioni,
mutazioni e cancellazioni anagrafiche, onde l'amministrazione non  ha
altro potere  che  quello  di  accertare  la  sussistenza  dei  detti
presupposti. Pertanto la regolamentazione  qui  considerata,  per  la
natura vincolata dell'attivita' amministrativa da essa disciplinata e
perche'  e'  dettata   nell'interesse   diretto   della   popolazione
residente, non  contiene  norme  sull'azione  amministrativa,  ma  e'
composta  da   norme   di   relazione   che   disciplinano   rapporti
intersoggettivi. Tali  norme  non  attribuiscono  all'amministrazione
alcun potere idoneo a degradare i diritti  soggettivi  attribuiti  ai
singoli individui. (Cass., Sez. Unite, 19 giugno 2000 n. 449). 
    Cio' premesso, l'esame del  fumus  consiste  nella  verifica  del
fondamento normativo del  diritto  dedotto  in  giudizio,  ossia  del
diritto del  cittadino  extracomunitario,  titolare  di  permesso  di
soggiorno per aver  fatto  richiesta  di  protezione  internazionale,
all'iscrizione anagrafica nel comune di residenza. 
    La  norma  attributiva  del  diritto,  rispetto  allo   straniero
titolare di un permesso di soggiorno, va individuata in via  generale
nell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il quale
dispone che «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche  dello  straniero
regolarmente soggiornante sono effettuate  alle  medesime  condizioni
dei cittadini italiani con le modalita' previste dal  regolamento  di
attuazione. In ogni caso  la  dimora  dello  straniero  si  considera
abituale anche in caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi
presso  un  centro  di  accoglienza.   Dell'avvenuta   iscrizione   o
variazione l'ufficio da' comunicazione alla questura territorialmente
competente». 
    Il regolamento di  attuazione,  richiamato  dalla  norma,  e'  il
decreto del Presidente  della  Repubblica  30  maggio  1989,  n.  223
(Approvazione del  nuovo  regolamento  anagrafico  della  popolazione
residente), il quale  stabilisce  che  presupposto  per  l'iscrizione
anagrafica della singola persona per trasferimento dall'estero e'  la
fissazione della residenza nel  comune  (art.  1),  ossia  la  dimora
abituale  nel  comune  (art.  3).  L'iscrizione  nell'anagrafe  della
popolazione residente viene effettuata  in  base  alla  dichiarazione
dell'interessato o in base ad accertamento d'ufficio (art.  7,  comma
l, lettera c), modificato dall'art.  1,  comma  1,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 17 luglio 2015, n.  126);  gli  stranieri
iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di  rinnovare  all'ufficiale  di
anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune di residenza,
entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno (art.  7,
comma 3). 
    Dalle  disposizioni  richiamate  si  desume  che   due   sono   i
presupposti del diritto dello straniero all'iscrizione anagrafica per
trasferimento dall'estero: la regolarita' del soggiorno in  Italia  e
la dimora abituale nel comune. E, dunque, lo straniero titolare di un
regolare permesso di soggiorno che, come nel caso in esame, e' ospite
da piu' di tre mesi presso un  centro  di  accoglienza,  deve  essere
considerato come residente nel comune presso il quale vi e' il centro
di accoglienza e, pertanto, in base alla disciplina richiamata, ha il
diritto (soggettivo) all'iscrizione anagrafica. 
    Secondo il comune convenuto, pero', la  disciplina  in  esame  e'
derogata rispetto allo straniero titolare di un particolare  permesso
di soggiorno, come quello in questione, ossia rispetto allo straniero
al quale sia stato rilasciato  un  permesso  di  soggiorno  per  aver
presentato domanda di protezione internazionale su cui non  e'  stata
ancora adottata una decisione definitiva. In questo caso,  l'art.  4,
comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, inserito
dall'art. 13, comma 1, n. 2) del decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.
113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018,  n.
l32 (entrato in vigore il 5 ottobre 2018), dispone che tale  permesso
di soggiorno «non costituisce titolo per l'iscrizione  anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio  1998,
n. 286». 
    La questione controversa richiede, dunque, una interpretazione di
questa  norma  diretta  a  stabilire   se   il   diritto   soggettivo
all'iscrizione anagrafica nella popolazione residente di  un  comune,
che l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del  1998  (non
modificato)   attribuisce   anche   allo    straniero    regolarmente
soggiornante, al pari del cittadino italiano, deve ritenersi  escluso
rispetto allo straniero che ha un permesso  di  soggiorno  in  attesa
della definizione della sua domanda di protezione internazionale.  In
altri termini, se la norma discrimina tra lo straniero titolare di un
permesso  di  soggiorno  per  richiesta  di  asilo,  al   quale   non
attribuisce il diritto, e lo straniero titolare  di  un  permesso  di
soggiorno per altri motivi, al quale il diritto e' attribuito. 
    Secondo un indirizzo della giurisprudenza di merito,  su  cui  si
basa il ricorso, la norma non contiene  alcun  divieto  esplicito  di
iscrizione  anagrafica  per  i  richiedenti  asilo   ma   si   limita
semplicemente ad escludere che il loro permesso di soggiorno sia,  di
per se', sufficiente, dovendo dimostrare, come chiunque altro  voglia
ottenere l'iscrizione  anagrafica,  sia  esso  cittadino  italiano  o
straniero regolarmente soggiornante  per  altro  titolo,  la  stabile
permanenza  nel  comune  (l'elemento  oggettivo)  e  la  volonta'  di
rimanervi  (l'elemento  soggettivo).  Il  significato   della   norma
consisterebbe   nell'aver   abolito   l'automatismo   di   iscrizione
anagrafica della c.d. procedura semplificata  prevista  dall'abrogato
art. 5-bis del  decreto  legislativo  n.  142/2015,  secondo  cui  il
richiedente  protezione  internazionale  ospitato   nei   centri   di
accoglienza e' iscritto  nell'anagrafe  della  popolazione  residente
sulla base di una comunicazione del responsabile del centro. 
    La lettura proposta non risponde ad alcuno dei canoni ermeneutici
dettati  dall'art.  12  delle  preleggi,  letterale,  sistematico   e
teleologico. 
    L'indirizzo in argomento spiega  il  «significato  proprio  delle
parole secondo la connessione di esse» (interpretazione  letterale  e
sistematica), da un lato in negativo, sostenendo  che  la  frase  «il
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica» non prevede in modo espresso  alcun  divieto
di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo; dall'altro lato in
positivo, osservando che nessuna delle disposizioni richiamate  dalla
norma fa menzione di «titoli per  l'iscrizione  anagrafica»,  poiche'
questa non avviene in base a  «titoli»,  ma  a  «dichiarazioni  degli
interessati», «accertamenti d'ufficio» e «comunicazioni degli  uffici
di stato civile». Cio' vale a dire che il permesso di  soggiorno  per
richiedenti asilo non e' titolo da solo sufficiente per  l'iscrizione
anagrafica, occorrendo anche la residenza. Ma, intesa in questo modo,
la norma perde di significato, perche' anche il permesso di soggiorno
per altro motivo non e' sufficiente (in questo senso non e' «titolo»)
per l'iscrizione anagrafica, occorrendo anche la residenza. La  norma
sopravvenuta sarebbe, in questa  ottica,  un'inutile  replica  di  un
principio gia' esistente nel sistema normativo e valevole per tutti i
permessi di soggiorno, anche per quelli che la norma non indica. 
    L'indirizzo qui non condiviso, che assegna ad una  norma  che  fa
eccezione lo stesso significato della  regola  generale,  ritiene  di
individuare nell'abrogazione della c.d.  procedura  semplificata  una
dimostrazione  dell'assunto  e  un   significato   sistematico   che,
altrimenti,  la  norma  non  avrebbe.  Il  suo  valore  consisterebbe
nell'aver  sancito  l'abolizione   dell'automatismo   di   iscrizione
anagrafica della c.d. procedura semplificata  prevista  dall'abrogato
art. 5-bis del  decreto  legislativo  n.  142/2015,  secondo  cui  il
richiedente  protezione  internazionale  ospitato   nei   centri   di
accoglienza e' iscritto  nell'anagrafe  della  popolazione  residente
sulla base di una comunicazione del responsabile del  centro.  Questo
significato, pero', non sfugge  all'obiezione  dell'inutilita'  della
norma, poiche' la procedura semplificata e' stata gia' abrogata dalla
medesima legge (il decreto-legge n. 113  del  2018,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 132 del 2018) che ha inserito la  norma
in esame. 
    La tesi della conservazione dell'equiparazione normativa, ai fini
dell'iscrizione  anagrafica,  oltre  che  offrire  un'interpretazione
della norma priva di un proprio significato, e'  contraria  anche  al
canone teleologico. La relazione introduttiva al disegno di legge  di
conversione del  decreto-legge  parla  espressamente  di  «esclusione
dall'iscrizione anagrafica» che «si giustifica per la precarieta' del
permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita'  di  definire
preventivamente la condizione giuridica del richiedente». E' vero che
la  «intenzione  del  legislatore»  va  intesa,  per   giurisprudenza
consolidata, come  l'intenzione  del  legislatore  obiettivata  nella
norma e che tiene conto, al di la' della volonta' politica  che  l'ha
prodotta, del suo inserimento nell'insieme dell'ordinamento giuridico
e della compatibilita' sul piano costituzionale. E' altrettanto vero,
pero', che la ratio esplicitata nella relazione introduttiva non puo'
essere trascurata per privilegiare un'interpretazione,  non  solo  ad
essa contraria, ma tale anche  da  privarla  di  un  proprio  effetto
(tamquam non esset). 
    L'interpretazione logico-letterale di  senso  compiuto,  coerente
anche con la ratio  legis  esplicitata  nella  relazione,  e'  invece
quella  che  non  si  limita  a  non  riconoscere  alcun  significato
all'espressione «titolo» ma lo riferisce  al  primo  presupposto  del
diritto all'iscrizione anagrafica, consistente  nella  condizione  di
regolarita' del soggiorno dello straniero in Italia.  Come  e'  noto,
infatti,  la  regolarita'  della  presenza  dello  straniero  e'  una
situazione che, talvolta, non richiede alcuna formalita' (il  diritto
di soggiorno «informale» per il periodo di tre mesi di colui  che  e'
entrato in Italia  con  regolare  visto  di  ingresso),  altre  volte
dipende da un titolo «formale» (il permesso di soggiorno o  la  carta
di soggiorno). L'espressione «titolo» utilizzata dalla norma in esame
e' riferita precisamente al titolo «formale» che condiziona il  primo
presupposto   dell'iscrizione   anagrafica   (la   regolarita'    del
soggiorno). La norma intende affermare che, a differenza degli  altri
permessi di soggiorno, quello rilasciato al richiedente asilo non  e'
un «titolo» che integra la condizione di regolarita'  della  presenza
in  Italia.  In  altri  termini,  come  chiaramente  affermato  nella
relazione introduttiva, la norma stabilisce che il richiedente asilo,
prima della decisione sulla sua domanda di protezione internazionale,
non   e'   uno   straniero   regolarmente   soggiornante,   ai   fini
dell'iscrizione anagrafica, essendo il  suo  permesso  di  soggiorno,
diversamente dagli altri, all'insegna della «precarieta'». Ovvero, la
norma vuol distinguere tra lo straniero che ha ottenuto  un  regolare
permesso di  soggiorno,  essendo  stata  valutata  la  sua  posizione
giuridica, il quale ha il diritto-dovere di  iscriversi  all'anagrafe
del comune di residenza, e lo straniero che ha ottenuto  un  permesso
di soggiorno nelle more della definizione della  sua  domanda,  senza
alcuna valutazione della sua situazione giuridica, il  quale  non  ha
diritto all'iscrizione anagrafica ma e' solo «autorizzato a  rimanere
nel territorio dello Stato  fino  alla  decisione  della  Commissione
territoriale» (art. 7, comma 1, del decreto  legislativo  28  gennaio
2008, n. 25). 
    Intesa in questo modo, senza possibilita' di opzioni ermeneutiche
alternative, la norma non sfugge  ad  una  valutazione  di  probabile
fondatezza  della  questione  di  legittimita'   costituzionale,   in
relazione alla violazione  di  diritti  umani  fondamentali  tutelati
dall'art. 2 Cost. (l'accesso all'assistenza sociale e la  concessione
di eventuali sussidi o agevolazioni previste dal comune, come  quelle
basate sulle condizioni di reddito; il conseguimento della patente di
guida italiana o la conversione della patente di guida estera; ecc.),
del  principio  di  uguaglianza   (art.   3),   per   l'irragionevole
trattamento rispetto  allo  straniero  regolarmente  soggiornante  ad
altro  titolo,  e  della  liberta'  di  soggiorno  (art.   16),   per
l'esclusione dello straniero avente diritto ad una definizione  della
sua domanda di protezione internazionale da una  regolare  condizione
anagrafica. 
    Ricorrono,  pertanto,  i  presupposti  per  la  rimessione  della
questione  di  costituzionalita'  alla   Corte   costituzionale.   La
definizione    del    giudizio    cautelare     dipende,     infatti,
dall'applicazione  della  norma  e  non  si  puo'  prescindere  dalla
risoluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  che
appare   non   manifestamente    infondata,    anche    in    ragione
dell'insostenibilita'   di   un'interpretazione    costituzionalmente
orientata, come quella qui non condivisa. 
    La rilevanza della questione, nel giudizio cautelare, e'  segnata
dalla    sussistenza,    in    ipotesi    di    scrutinio    conforme
all'incostituzionalita' della norma, sia del fumus boni iuris che del
periculum in mora. Quanto alla probabile fondatezza del  diritto  del
ricorrente all'iscrizione anagrafica, il ricorrente S. B. e' titolare
del permesso di  soggiorno  per  richiesta  asilo,  rilasciato  dalla
Questura di ... in data 16 novembre 2018, e dimora  da  piu'  di  tre
mesi ad ..., localita' ..., presso il centro ... 
    Nei  suoi  confronti  troverebbero  applicazione,  in   caso   di
espunzione della norma incostituzionale, gli articoli 6, comma 7, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e l e 3  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223,  secondo  cui  ha
diritto all'iscrizione anagrafica per  trasferimento  dall'estero  lo
straniero  regolarmente  soggiornante  che  dimora  abitualmente  nel
comune, essendo ospite da piu'  di  tre  mesi  presso  un  centro  di
accoglienza. Quanto al periculum,  le  limitazioni  all'esercizio  di
diritti  fondamentali  della   persona   dipendenti   dalla   mancata
iscrizione  anagrafica  integrano  il  requisito  dell'urgenza  della
tutela ex art. 700 codice di procedura civile. 
    L'effettivita'  della  tutela  d'urgenza  consente   al   giudice
ordinario, secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte cost.,  n.
274 del 2014), l'adozione in via provvisoria della tutela  interinale
«nel tempo occorrente per la definizione del giudizio incidentale  di
costituzionalita' e con un contenuto  che  intanto,  limitatamente  a
questo lasso di tempo, schermi la  norma  indubbiata  nella  parte  e
nella misura in cui il giudice adito  abbia  espresso  dubbi  di  non
manifesta infondatezza della questione sollevata» (Cass., sez. unite,
ordinanza 18 novembre 2015 n.  23542).  E'  affermazione  ricorrente,
nella giurisprudenza di legittimita', che il giudice  puo'  sollevare
questione di legittimita'  costituzionale  in  sede  cautelare  anche
quando conceda provvisoriamente la  relativa  misura  su  riserva  di
riesame della stessa e nello stesso tempo sospenda  il  giudizio  con
l'ordinanza di rimessione, purche' tale concessione non  si  risolva,
per le ragioni addotte a suo fondamento, nel  definitivo  esaurimento
del  potere  cautelare  del  quale  in   quella   sede   il   giudice
amministrativo e' dotato. Infatti  la  potestas  iudicandi  non  puo'
ritenersi esaurita quando la concessione della  misura  cautelare  e'
fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale, dovendosi in tal caso
ritenere  che  la  sospensione   dell'efficacia   del   provvedimento
impugnato abbia carattere provvisorio e temporaneo fino alla  ripresa
del   giudizio   cautelare   dopo   l'incidente    di    legittimita'
costituzionale.  Tanto  basta  per   ritenere   superata   in   senso
affermativo la verifica di sussistenza  della  sua  legittimazione  a
sollevare l'incidente di costituzionalita' (Corte cost., n.  172  del
2012). 
    Occorre chiarire, tuttavia, qual'e' il provvedimento  provvisorio
interinale  che   puo'   essere   emesso   dal   giudice   ordinario.
L'anticipazione cautelare di una sentenza di condanna della  pubblica
amministrazione ad emettere un provvedimento  amministrativo  che  ha
rifiutato (la condanna del comune all'iscrizione anagrafica), nel che
si traduce la domanda del ricorrente, si pone  in  conflitto  con  il
noto principio secondo cui al giudice ordinario e' fatto  divieto  di
revocare o modificare un atto amministrativo (art. 4 della  legge  20
marzo  1865  n.   2248,   All.   E),   e   dunque,   di   sostituirsi
all'amministrazione nell'emanare un atto amministrativo, potendo solo
disapplicarlo (art. 5) se lesivo di un diritto soggettivo. Il  potere
del giudice ordinario di condannare la  pubblica  amministrazione  al
compimento dell'atto (l'iscrizione anagrafica)  esige  una  norma  di
legge  che,  in  deroga  al  principio  generale  posto  dalla  legge
ordinaria, accordi una  tutela  del  diritto  soggettivo  rafforzata,
consistente,  non  nella  mera  affermazione  del   diritto,   previa
disapplicazione  dell'atto  lesivo  (il  provvedimento   di   diniego
dell'iscrizione anagrafica), e nella tutela  risarcitoria,  ma  nella
condanna al compimento dell'atto amministrativo dovuto. Sul punto, in
verita', alcuna norma di legge deroga al divieto stabilito  dall'art.
4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo. Pertanto, la
tutela interinale provvisoria non consente l'adozione di un  «ordine»
di  compimento  dell'atto  amministrativo  negato,  bensi'  solo   la
dichiarazione   della   sussistenza    del    diritto    (temporaneo)
all'iscrizione anagrafica.  Ne'  un  potere  di  ordine  di  adozione
dell'atto puo' ricavarsi dall'art.  95  del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  3  novembre  2000,  n.  396  (Regolamento  per  la
revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato  civile),
che regola il procedimento di rettificazione degli atti  dello  stato
civile,  essendo  riferito  solo  ai  registri  di  cittadinanza,  di
nascita, di matrimonio, di morte e di unioni civili. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Salerno, prima sezione civile,  nel  procedimento
cautelare ante causam iscritto al R.G. n. 6274/2019,  cosi'  dispone,
ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
        1. dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  4,  comma  1-bis,
del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.  142,  inserito  dall'art.
13, comma l, n.  2),  del  decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n.  132,
per contrasto con gli articoli 2, 3 e 16 Cost.; 
        2. dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio cautelare in corso; 
        3. dichiara, in via  provvisoria  e  fino  alla  ripresa  del
giudizio cautelare dopo l'incidente di  legittimita'  costituzionale,
la sussistenza del diritto di S. B. all'iscrizione anagrafica  presso
il Comune di ... 
    Ordina che la cancelleria provveda alla trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale e alla notifica alle parti in  causa  e  al
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Dispone, altresi', che  l'ordinanza  venga  comunicata  anche  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Salerno, 17 settembre 2019 
 
                  Il Giudice designato: Iannicelli