N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 2019

Ordinanza del 6 novembre 2019 del G.U.P. del Tribunale di  La  Spezia
nel procedimento penale a carico di F.F.. 
 
Processo penale - Giudizio abbreviato - Previsione che non e' ammesso
  il  giudizio  abbreviato  per  i  delitti  puniti   con   la   pena
  dell'ergastolo. 
- Codice procedura penale, art. 438, comma 1-bis, inserito  dall'art.
  1, comma  1,  lettera  a),  della  legge  12  aprile  2019,  n.  33
  (Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti puniti con  la
  pena dell'ergastolo). 
Processo  penale  -  Previsione  che  non  e'  ammesso  il   giudizio
  abbreviato per i  delitti  puniti  con  la  pena  dell'ergastolo  -
  Disposizione  introdotta  con  la  legge   n.   33   del   2019   -
  Applicabilita'  anche  agli  imputati   di   delitti   puniti   con
  l'ergastolo che abbiano tenuto la condotta  prima  dell'entrata  in
  vigore    della    novella,    con    verificazione     dell'evento
  successivamente. 
- Legge  12  aprile  2019,  n.  33  (Inapplicabilita'  del   giudizio
  abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo), art. 5. 
(GU n.4 del 22-1-2020 )
 
          Ordinanza di remissione alla Corte costituzionale 
             di questione di legittimita' costituzionale 
 
    Il giudice dell'udienza preliminare presso  il  Tribunale  di  La
Spezia 
    Visti gli atti del proc. n. 922/19 R.G. notizie  di  reato  e  n.
633/19 R.GIP. a carico di: 
        F.F.  nato  a  ...  in  data  ...,  res  a  ...  via  ...   -
domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia 
    Sottoposto alla misura cautelare della custodia  in  carcere  per
questa causa; 
    Difeso di fiducia da avv. Fabio Sommovigo del foro di La Spezia 
 
                              Imputato 
 
    Del reato p e p dall'art. 575 del codice penale, 576 comma 1 n. 1
con riferimento all'art. 61 n. 1 del codice penale, 577 comma  2  del
codice  penale  perche',  tenendo  la  condotta  sotto   specificata,
cagionava  la  morte  della  moglie  C.D.;  in  particolare  F   ...,
all'interno dell'abitazione posta in ... via ... in cui risiedeva con
la moglie, dopo  un  litigio  avuto  con  la  suddetta  a  causa  del
malfunzionamento di una caldaia, la  colpiva  all'addome  utilizzando
un'arma da taglio a punta (coltello da cucina con manico  azzurro,  a
punta, con larghezza massima di 4,5 cm, lungo complessivamente 32 cm,
con lama in ceramica di cm 20,  con  altezza  massima  di  4,3  cm  e
altezza alla punta di 0,1 cm e spessore massimo  della  lama  di  0,2
cm); nello specifico: F ... impugnava con la mano destra, il coltello
di  cui  sopra  -  che  presentava  punta  della  lama  in   ceramica
estremamente affilata - e, in posizione eretta, eseguendo  un  rapido
movimento da sinistra verso destra, con gesto improvviso, colpiva  la
moglie con un unico colpo di coltello, che la  attingeva  all'addome;
tale colpo di coltello  produceva  ferita  penetrante  nel  quadrante
superiore destro dell'addome e la C ... riportava:  shock  emorragico
da ferita penetrante,  con  lacerazione  duodenale  e  pancreatica  e
vistoso ematoma retroperitoneale; la  donna,  in  pericolo  di  vita,
veniva sottoposta a intervento chirurgico d'urgenza e  ricoverata  in
prognosi riservata presso l'Ospedale ... in data 28  maggio  2019  la
stessa decedeva  a  causa  di  «insufficienza  multiorgano  in  shock
emorragico  da  lacerazione  di  arteria  gonadica,  con  complicanze
ischemiche polidistrettuali, lacerazioni di duodeno  e  pancreas  con
peritonite chimica e pancreatite necrotica, trattate chirurgicamente,
in ferito penetrante da coltello nell'ipocondrio destro». 
    Fatto aggravato ex art. 576, comma 1, n. 1 del codice  penale  in
riferimento all'art. 61 n. 1 del codice penale avendo l'agente  agito
per motivi futili (essendo l'azione scaturita da  un  banale  litigio
per il malfunzionamento di una caldaia) ed ex art. 577  comma  2  del
codice penale in quanto commesso ai danni della moglie. 
    In ... il 28 maggio 2019 (data della morte) - data e luogo  della
condotta in ... il 20 marzo 2019. 
    Rilevato che il difensore dell'imputato - a seguito di  emissione
di decreto di giudizio  immediato  -  chiedeva  il  rito  abbreviato,
sollevando contestualmente questione di  legittimita'  costituzionale
delle norme applicabili nel caso concreto; 
    Rilevato  che  in  effetti  all'ammissione  del  rito  abbreviato
richiesto osta la nuova formulazione dell'art. 438, comma  1-bis  del
codice di procedura penale,  come  inserito  dall'art.  1,  comma  1,
lettera a) della legge 12 aprile 2019 n. 33  che  vieta  l'ammissione
del rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo: 
    Rilevata la rilevanza delle  questioni  proposte,  in  quanto  il
giudice deve fare applicazione della norma sopra citata per  decidere
della richiesta di rito abbreviato formulata dal difensore; 
    Rilevato, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,
che, come e' ben noto, nel caso  in  cui  le  parti  prospettino  una
questione  di  legittimita'  costituzionale,  il  giudice  non   deve
stabilire  se  essa  sia  fondata  o  infondata,  compito  questa  di
esclusiva competenza della Corte costituzionale, bensi' unicamente se
sia o non  sia  manifestamente  infondata:  il  giudice  deve  quindi
limitarsi ad una valutazione sommaria, per  rilevare  che  esista,  a
prima vista, un dubbio plausibile di costituzionalita' ed a  svolgere
un controllo finalizzato ad escludere le questioni prive di  serieta'
e di ponderazione, sollevate solo a fini dilatori, 
 
                       Si osserva quanto segue 
 
    L'imputato viene tratto a giudizio per rispondere  del  reato  di
omicidio volontario aggravato, reato per il quale la legge commina la
pena dell'ergastolo. 
    In data 20 marzo  2019  l'imputato,  a  causa  di  uno  stato  di
agitazione  determinato  dal  malfunzionamento  della   caldaia   del
riscaldamento, avrebbe colpito all'addome la moglie C.D., utilizzando
un coltello da cucina. 
    Nelle more delle  attivita'  di  indagine,  le  condizioni  della
vittima subivano un  netto  peggioramento.  La  parte  offesa  veniva
ricoverata presso l'Ospedale ove subiva un  delicatissimo  intervento
chirurgico e rimaneva degente in prognosi riservata, fino  alla  data
del  28  maggio  2019,  quando  le   gravissime   lesioni   cagionate
dall'accoltellamento la traevano a morte. 
    La  contestazione  mossa  all'imputato,  dapprima  formulata   in
termini di tentativo, assumeva dunque l'odierna consistenza. 
    Come e' noto, in data 20 aprile 2019 -  ovvero  quando  la  parte
offesa si trovava ancora presso  l'ospedale  in  gravi  condizioni  -
entrava in vigore la legge n. 33/2019, la  quale  ha  introdotto  nel
disposto dell'art. 438 del codice di procedura penale il comma 1-bis,
e, per l'effetto, ha precluso agli imputati di delitti puniti con  la
pena dell'ergastolo  la  possibilita'  di  definire  il  procedimento
penale in questione mediante la scelta del giudizio abbreviato. 
    La novella legislativa ha espressamente previsto  una  disciplina
di diritto intertemporale (art. 5), stabilendo che le disposizioni di
cui  alla  legge  n.  33/2019  si   applicano   ai   fatti   commessi
successivamente alla data di entrata in vigore della medesima  legge,
da individuarsi, come si e' detto, nel giorno 20 aprile 2019. 
    La  portata  della  disposizione  conduce  a  ritenere   pacifica
l'applicabilita'  della  nuova  normativa  al  presente  procedimento
penale: il momento consumativo del delitto di omicidio non  puo'  che
coincidere con il prodursi dell'evento - morte. 
    Pertanto, nei caso in esame, nonostante il consistente intervallo
temporale intercorso tra condotta ed evento,  il  reato  di  omicidio
pare doversi considerare commesso in data 28 maggio 2019, nella piena
vigenza, dunque, del novellato art. 438, comma 1-bis  del  codice  di
procedura penale. 
    Ne' pare potersi utilmente sostenere l'ultrattivita' della  legge
piu'  favorevole  in  vigore  al  momento  della   condotta   tipica,
trattandosi di norme di  carattere  processuale,  relativamente  alle
quali,  secondo  consolidata   giurisprudenza   di   legittimita'   e
costituzionale,  difficilmente  revocabile  in   dubbio,   nonostante
l'opinione contraria costantemente espressa da parte della  dottrina,
deve ritenersi applicabile il principio del tempus regit actum. 
    Anche i piu' recenti arresti  giurisprudenziali  hanno  ribadito,
sul punto, che il principio dei tempus regit  actum  rappresenta,  in
ambito processuale, un criterio di portata generale, che  rappresenta
la trasposizione della regola dell'efficacia immediata dell'atto.  Ne
deriva,  «da  un  lato,  la  non  retroattivita'  della  nuova  legge
procedurale,  sicche'  gli  atti  compiuti  mantengono   la   propria
efficacia  anche  sotto  l'impero  della  diverso  legge  processuale
sopravvenuta: dall'altro, l'efficacia  immediata  della  novella,  di
talche' tutti gli atti  successivi  rispetto  all'entrata  in  vigore
della nuova norma  debbono  essere  compiuti  secondo  i  presupposti
richiesti dalla modifica normativa» (cosi, da ultimo, in  materia  di
impugnazioni, Cass. pen., sez. VI, 12 giugno 2019, n. 39823). 
    Al contempo, anche l'esistenza di pronunce  giurisprudenziali  in
materia di reati c.d. ad evento differito, le quali  hanno  affermato
come «in tema di  successione  di  leggi  penali,  a  fronte  di  una
condotta interamente posta in essere sotto vigore di una legge penale
piu' favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge
penale piu' sfavorevole, deve trovare applicazione  fa  legge  penale
vigente al momento della condotta» (Cass. pen. ,  SS.UU.,  19  luglio
2018, n. 40986, in tema di omicidio stradale e,  in  senso  conforme,
Cass. pen.,  sez.  IV,  20  dicembre  2018,  n.  16026,  in  tema  di
prescrizione) non pare tale da mutare significativamente il quadro in
esame. Infatti, tale principio giurisprudenziale -  che  costituisce,
evidentemente, il precipitato applicativo  del  principio  della  lex
mitior - e' stato enucleato con riferimento  ai  fenomeni  successori
riguardanti leggi penali sostanziali e  non  pare  dunque  idoneo  ad
interferire con la costante e granitica affermazione, da parte  della
stessa giurisprudenza, dell'operativita' del  diversa  principio  del
tempus regit actum in materia processuale. 
    Allo stato, dunque, alla luce delle recenti modifiche normative e
dei  principi  generali  che   regolano   la   materia   processuale,
risulterebbe preclusa, per l'odierno  imputato,  la  possibilita'  di
richiedere la definizione  del  presente  procedimento  con  giudizio
abbreviato. 
    Tale considerazione appare di per se' sufficiente a dimostrare la
rilevanza,  nel  caso  di  specie,  della   presente   questione   di
legittimita'   costituzionale,   dal   momento    che    un'eventuale
dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 438, comma  1-bis  del
codice di procedura penale  amplierebbe  il  ventaglio  delle  scelte
difensive, con possibilita' di accedere al  giudizio  abbreviato,  di
beneficiare del relativo sconto di pena  e  dei  tempi  contratti  di
giudizio e, con  riferimento  alla  fase  di  esecuzione,  di  mutare
significativamente le  modalita'  e  le  tempistiche  di  accesso  ai
benefici penitenziari. 
    La norma di cui all'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura
penale, introdotta dalla legge n. 33/2019, pare  porsi  in  contrasto
con  alcuni  principi  fondamentali  sanciti   dalla   nostra   Corte
costituzionale. 
    In primo luogo, non appaiono manifestamente infondati i dubbi  di
compatibilita'  della  disciplina  in  parola  con  i   principi   di
uguaglianza e ragionevolezza, entrambi  previsti  dall'art.  3  della
Costituzione. 
    Non si ignora come la giurisprudenza della  Corte  costituzionale
abbia spesso ritenuto non sindacabili sotto il profilo costituzionale
le   disposizioni   normative   foriere   di   preclusioni   rispetto
all'accesso, per alcune tipologie di reati, ai  c.d.  riti  premiali,
dal momento che «in tali ipotesi, l'individuazione delle  fattispecie
criminose da assoggettare al trattamento piu' rigoroso -  proprio  in
quanto  basata  su  apprezzamenti  di  politica  criminale,  connessi
specialmente all'allarme sociale generato dai singoli reati, il quale
non e' necessariamente correlato al mero livello della pena  edittale
- resta affidata alla discrezionalita' del legislatore e le  relative
scelte possono venir sindacate dalla Corte solo in rapporto alle mere
disarmonie  del  catalogo  legislativo,  allorche'  la  sperequazione
normativa tra figure omogenee di reati assuma  aspetti  e  dimensioni
tali da  non  potersi  considerare  sorretto  da  alcuna  ragionevole
giustificazione» (Corte costituzionale, ordinanza n. 455/2006). 
    Tuttavia, la decisione politico-criminale di delimitare l'accesso
al giudizio abbreviato in ragione della specie di pena  comminata  in
astratto dal legislatore si mostra difficilmente compatibile  con  il
principio  di  ragionevolezza  e  potenzialmente  foriera  di   esiti
applicativi   discriminatori,   sia   in   termini   di   trattamenti
differenziati per situazioni omogenee, sia, ex adverso, in termini di
ingiustificato parificazione di ipotesi obiettivamente differenti. 
    La violazione  dell'art.  3  della  Costituzione  si  coglie  con
particolare  chiarezza  nelle  ipotesi   in   cui   la   comminatoria
legislativa dell'ergastolo consegue - come nel caso in esame  -  alla
ricorrenza di una circostanza aggravante, come tale soggetta, in caso
di concorso con eventuali attenuanti, a potenziale elisione all'esito
del giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 del  codice  penale,
con conseguente applicazione della pena della reclusione. 
    Paradigmatico di possibili paradossi applicativi  appare  proprio
il reato  di  omicidio  volontario  aggravato,  figura  criminis  che
comprende una serie di ipotesi che, in concreto, pur nella  comunanza
dell'evento  tipico,  si  differenziano  profondamente  per  modalita
dell'azione  e  per  la  configurazione  dell'elemento   psicologico.
Trattasi  di   diversificazioni   che,   benche'   accomunate   dalla
comminatoria della  pena  massimamente  afflittiva,  individualizzano
singole ipotesi il cui disvalore non appare di certo omogeneo. 
    L'irragionevolezza di soluzioni normative volte  ad  assoggettare
ad  un  medesimo  regime   processuale   diverse   ipotesi   concrete
riconducibili  ai  relativi  paradigmi  punitivi  sulla  base   della
gravita' astratta del  reato,  desunta  dalla  misura  della  pena  o
dall'elevato  rango  del  bene  giuridico  tutelato,  e'  gia'  stata
esaminata dalla Corte costituzionale che, proprio in tema di omicidio
volontario, ha osservato come, «nonostante  l'indiscutibile  gravita'
del fatto, la quale pesera' opportunamente nella determinazione della
pena  inflitta  all'autore,  quando  ne  sia  riconosciuta   in   via
definitiva la colpevolezza (...),  l'omicidio  puo'  bene  essere,  e
sovente e', un fatto meramente individuale, che trova la sua  matrice
in pulsioni occasionali  o  passionali.  I  fattori  emotivi  che  si
collocano alla radice dell'episodio criminoso possono  risultare,  in
effetti, correlati a speciali contingenze - come, ad esempio,  per  i
fatti commessi in  risposta  a  specifici  comportamenti  lato  sensu
provocatori della vittima - ovvero a tensioni maturate, in tempi piu'
o  meno  lunghi,  nell'ambito  di  particolari  contesti,  da  quello
familiare   a   quello   dei   rapporti    socio-economici»    (Corte
costituzionale, sentenza n.  164/2011,  in  tema  di  presunzione  di
adeguatezza della custodia cautelare in carcere). 
    Ipotesi, questa, che deve essere tenuta  ben  distinta  da  altre
connotate, indubbiamente, da maggiore  riprovevolezza,  quali  quelle
maturate nell'ambito di un «vincolo di appartenenza permanente  a  un
sodalizio criminoso con accentuate caratteristiche di pericolosita' -
per radicamento nel territorio, intensita' dei collegamenti personali
e forza intimidatrice» (Corte costituzionale, ibidem). 
    E, a ben  vedere,  appare  totalmente  irragionevole  equiparare,
sotto  il  profilo  processuale,  l'ipotesi  che  oggi   ci   occupa,
consistente in un  omicidio  commesso  sulla  base  di  una  pulsione
occasionale e in una situazione di parziale incapacita' di  intendere
e di volere (il dott. Rocca, perito incaricato  dal  giudice  per  le
indagini preliminari, rilevava come l'odierno imputato fosse  affetto
da una sindrome bipolare cronica e come  al  momento  dei  fatti,  lo
stesso fosse in  stato  di  mente  tale  da  scemare  grandemente  la
capacita' di intendere e di volere, cosi' come previsto dall'art.  89
del codice penale),  con  fatti  delittuosi  astrattamente  anch'essi
qualificabili come omicidio aggravato ma, ad esempio,  perpetrati  in
contesti   di   criminalita'   organizzata,   oppure   commessi   con
premeditazione, oppure ancora con modalita' esecutive particolarmente
crudeli. 
    Cio', a maggior ragione, laddove si consideri che,  nel  caso  di
specie, lo stato di incapacita' parziale dell'imputato  risulta  gia'
processualmente accertato e  che,  di  conseguenza,  se  ne  dovranno
trarre  delle  conseguenze  sul  piano   della   pena   concretamente
irrogabile. 
    Analoghe  aporie  e  potenziali  discriminazioni  si   rinvengono
analizzando il catalogo dei reali per i quali il legislatore  commina
la pena dell'ergastolo. 
    Si tratta, invero, di  fattispecie  incriminatrici  profondamente
eterogenee e poste a presidio di beni  giuridici  di  rango  diverso,
quali l'incolumita' pubblica (ad esempio il delitto di  strage  o  di
epidemia), la personalita' dello Stato (si pensi  all'ampio  catalogo
di delitti commessi in tempo di guerra o a  quello  di  sequestro  di
persona a scopo di terrorismo, aggravato  dalla  morte  del  soggetto
passivo), il patrimonio (sequestro di persona a scopo di  estorsione,
aggravato dalla morte del soggetto passivo). 
    Proprio  rispetto  ai  delitti  di  sequestro,  non  e'   agevole
comprendere il criterio logico  in  virtu'  del  quale  ipotesi  come
quelle appena indicate, nelle quali la  morte  del  soggetto  passivo
rappresenta l'epilogo di condotte gia' di per  se'  antigiuridiche  e
connotate da una certo gravita',  per  di  piu'  tipizzate  in  forma
vincolata e sorrette da dolo specifico, debbano  essere  assoggettate
al medesimo trattamento riservato a casi come quello per cui oggi  si
procede, essendo ictu oculi evidente la disparita' di disvalore. 
    Risulta  allora   manifesta   l'irragionevolezza   della   scelta
legislativa di precludere, per  determinate  categorie  di  imputati,
l'opzione  per  una  scelta  processuale  -  con  le   rilevantissime
conseguenze a cio' correlate in termini di trattamento  sanzionatorio
e, non di meno, in termini di trattamento penitenziario -  in  virtu'
della mera comminatoria astratta, posto che come  si  e'  dimostrato,
tale elemento non puo' essere ritenuto identificativo di un  omogeneo
contenuto di disvalore. 
    Ulteriori profili di  illogicita'  della  scelta  legislativa  di
delimitare l'accesso al rito abbreviato in ragione  della  specie  di
pena si rilevano analizzando le altre ipotesi di omicidio  volontario
aggravato per le quali  e'  prevista  la  pena  della  reclusione  e,
segnatamente, quelle tipizzate dall'art.  577,  comma  2  del  codice
penale. 
    Non si rinviene ragione, infatti,  nel  consentire  l'accesso  al
rito alternativo e, conseguentemente, agli effetti premiali  ad  esso
connessi, agli imputati dei delitti in parola, dal  momento  che  gli
stessi cagionano un analogo allarme sociale o, addirittura, a seconda
del caso concreto, potenzialmente maggiore. 
    In definitiva, utilizzare la specie di pena comminata in astratto
dal legislatore quale criterio discretivo (o  quantomeno  come  unico
criterio discretivo) nella scelta  politico-criminale  di  delimitare
l'accesso a una via alternativa di definizione  del  processo  appare
incompatibile col principio di ragionevolezza, dal momento che non si
tratta di elemento idoneo a selezionare  le  condotte  effettivamente
connotate da un maggiore  disvalore  per  poi  assoggettarle  ad  una
disciplina processuale piu' severa. 
    La scelta legislativa di cui all'art. 438, comma 1-bis del codice
di  procedura  penale  al  contrario,  parifica   ingiustificatamente
situazioni differenti e  altrettanto  irragionevolmente,  diversifica
situazioni omogenee. 
    Cio' in particolare nelle ipotesi in cui la  pena  dell'ergastolo
e' prevista qualora,  all'esito  di  una  valutazione  del  fatto  in
concreto, si ritenga sussistente una circostanza aggravante,  il  cui
effetto sulla pena ben puo' essere eliso dal concorso di una  o  piu'
attenuanti, come possibile nel caso in esame. 
    La  disposizione  denunciata,  dunque,  viola  l'art.   3   della
Costituzione,  sotto  il  profilo  dei  principi  di  uguaglianza   e
ragionevolezza. 
    La riforma  de  qua  si  pone  inoltre  in  netta  controtendenza
rispetto ai piu' recenti approdi della giurisprudenza  costituzionale
e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
e delle liberta' fondamentali. 
    L'esaltazione dell'ergastolo, che pare sottostare  all'intervento
novellistico,  pare  infatti  contrastare  con   l'affermazione   del
«principio della  non  sacrificabilita'  della  funzione  rieducativa
sull'altare di ogni altra, pur legittima, funzione della  pena»  cosi
come delineato  dalla  Corte  costituzionale  sentenza  n.  149/2018,
nonche' con la recentissima  presa  di  posizione  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali in materia di ergastolo ostativo (Prima  sezione,  Viola
c. Italia (n. 2), ric. n. 77633/16, 13 giugno 2019). 
    L'ampliamento  dell'area  applicativa  dell'ergastolo,   mediante
l'inibizione dell'accesso  ai  riti  alternativi,  determina  inoltre
contrasto del nuovo testo dell'art. 438 comma  1-bis  del  codice  di
procedura penale con il principio di ragionevole durata del processo,
sancito dall'art. 111, comma 2 della Costituzione, norma  che,  lungi
dall'essere una mera disposizione programmatica, costituisce a  tutti
gli effetti parametro nel giudizio di legittimita' costituzionale. 
    La rilevanza del principio e' stata, da  ultimo,  ribadita  dalla
Corte  costituzionale  sentenza  n.  132/2019,  la  quale  ha   posto
l'attenzione sull'interazione tra i  modelli  processuali  immaginati
dal legislatore  e  la  prassi,  spesso  influenzata  da  contingenze
materiali, delle aule di Tribunale.  Il  distacco  tra  il  paradigma
legislativo e il reale andamento dei processi rischia di tramutare  i
principi in «un mero simulacro». 
    Ed  invero,  la  portata  lesiva  della  novella  in  termini  di
ragionevole durata del processo si  coglie  proprio  con  riferimento
alla concreta situazione dell'amministrazione della giustizia. 
    Non puo' infatti sfuggire come l'obbligo di  procedere  con  rito
ordinario per i reati puniti con  l'ergastolo  -  categoria  rispetto
alla quale, secondo i  dati  statistici,  pur  a  fronte  di  effetti
premiali contenuti, e' maggiore il ricorso al giudizio  abbreviato  -
possa  creare  un  congestionamento  nell'ordinaria  gestione   delle
attivita' giudiziarie. 
    Cio' soprattutto nelle realta' di fori di piccole dimensioni, nei
quali i reati di competenza  della  Corte  d'Assise  che  giungono  a
giudizio sono un numero molto limitato, la necessita'  di  costituire
di volta in volta il  collegio,  sovraccaricandolo  con  dibattimenti
anche complessi, e' in grado di interferire in modo  consistente  non
solo con l'efficiente funzionamento di quell'organo, ma anche con  la
celebrazione di altri processi. 
    Tali  perplessita'  sono  state  condivise  anche  dal  Consiglio
superiore della  magistratura  (delibera  del  6  febbraio  2019)  in
accordo con la dottrina che si e' occupata della questione. 
    La novella, pertanto, comporterebbe un'ingiustificata dilatazione
dei tempi  processuali,  con  costi  significativi,  suscettibili  di
valutazione tanto  in  termini  di  ragionevole  durata  del  singolo
processo,   quanto   in   termini   piu'   generali   di   efficiente
amministrazione della giustizia. 
    Si  osserva,  non  da  ultimo,  come  analoghe,   ingiustificate,
dilatazioni  cronologiche  si  riscontrino   con   riferimento   alle
tempistiche della custodia cautelare in carcere, alla quale l'odierno
imputato  risulta  ad  oggi  sottoposto,   e   che,   verosimilmente,
estendendosi i tempi del processo, si protrarra' per ancora  svariati
mesi. 
    Deve,  non  da  ultimo,  essere  rilevato  come  la  lesione  del
principio della ragionevole durata del processo  non  sembri  trovare
bilanciamento nella tutela di altri interessi del  medesimo  rango  e
neppure in quello  che  pare  sottostare  alla  novella  legislativa,
ovvero  la  garanzia  di  un'effettiva   applicazione,   tramite   la
sterilizzazione degli effetti premiali propri  del  rito  abbreviato,
della pena massimamente afflittiva, o comunque di pene piu' rigorose. 
    Si pensi, ad esempio, nel caso di  specie,  alla  gia'  ricordata
incidenza che l'accertamento peritale in  ordine  alla  capacita'  di
intendere e di volere dell'imputato, pienamente utilizzabile in  fase
dibattimentale. 
    In conclusione, l'opzione legislativa  che  ha  voluto  escludere
l'accesso al giudizio abbreviato per gli imputati di  delitti  puniti
con l'ergastolo si riverbera sulle dinamiche di amministrazione della
giustizia, dando luogo a processi di durata non ragionevole, il tutto
sull'altare di un rigorismo sanzionatorio che ben si  sarebbe  potuto
raggiungere intervenendo su altri meccanismi,  ovvero  prevedendo  un
limite massimo di riduzione di pena per la diminuente  processuale  o
stabilendo una riduzione per il rito minore di quella oggi prevista. 
    E'  inoltre  ravvisabile  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di  legittimita'  costituzionale  della  norma  di  diritto
intertemporale di cui all'art. 5, legge n.  33/2019,  alla  luce  del
principio tempus regit  actum,  per  contrasto  con  l'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, parametro di costituzionalita' in  virtu'  del
disposto dell'art. 117 della Costituzione. 
    Deve,  in  via  di  premessa,  essere  ricordato  come  la  Corte
costituzionale abbia piu' volte ribadito il proprio potere-dovere  di
accertare, in presenza  di  indirizzi  giurisprudenziali  consolidati
formatisi  in  sede  di  legittimita',  tali  da  costituire  diritto
vivente, la compatibilita' di tale interpretazione  con  i  parametri
costituzionali evocati dal rimettente. Qualora si accerti l'esistenza
del   diritto   vivente,   in   ossequio   al   ruolo    riconosciuto
dall'ordinamento alla Cassazione quale giudice della nomofilachia, la
Corte  costituzionale  «non  ha  possibilita'  di  proporre   diverse
soluzioni interpretative (...) ma deve limitarsi a  stabilire  se  lo
stesso  sia  o  meno  conforme  ai  principi  costituzionali»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 266/2006), e «procedere allo scrutinio di
legittimita'  costituzionale  della   norma   censurata,   per   come
interpretata dal diritto vivente» (Corte costituzionale, sentenza  n.
197/2010).   Deve   inoltre   essere   sottolineato   come,   secondo
l'evoluzione  della  giurisprudenza  del  giudice  delle  leggi,   il
concetto di diritto  vivente  si  identifica  con  un'interpretazione
giurisprudenziale  assai  diffusa,  non  solo  e  non   tanto   nella
giurisprudenza di merito, quanto  in  quella  di  legittimita'.  Tale
indirizzo deve essere connotato da  stabilita',  da  intendersi  come
presenza di numerose pronunce  espresse  in  tal  senso,  distribuite
nell'arco  di  un  lungo   periodo   e   di   sostanziale   identita'
contenutistica  (ex  plurimis,  Corte  costituzionale,  sentenza   n.
64/1998; sentenza n. 64/2008; sentenza n. 107/2013). 
    Alla luce della summenzionata nozione di «diritto  vivente»,  non
appare possibile disconoscere tale natura  al  principio  del  tempus
regit  actum  quale  canone  fondamentale  di  regolamentazione   dei
fenomeni di successione di leggi  nel  tempo,  con  riferimento  alla
materia processuale. 
    Sul punto si registrano  plurime  pronunce  delle  Sezioni  unite
penali, le quali hanno enucleato principi di  diritto  che,  a  pieno
titolo, possono essere definiti di diritto vivente  (per  la  valenza
delle pronunce delle Sezioni unite in termini di diritto  vivente  si
veda,  per  tutte,  Corte  costituzionale,  sentenza   n.   117/2012:
«Siffatta interpretazione costituisce regola di diritto  vivente,  in
quanto enunciata dalle sezioni  unite  nell'esercizio  della  propria
funzione nomofilattica (...) e, in  seguito,  costantemente  ribadita
dalla stessa Corte»). 
    In particolare, Cassazione pen. SS. UU,  n.  27614/2007  (Lista),
nel decidere una questione in materia di impugnazioni,  ha  affermato
che «ai fini dell'individuazione del regime  applicabile  in  materia
impugnazioni, allorche'; si succedano nei tempo diverse discipline  e
non  sia  espressamente  regolato,  con   disposizioni   transitorie,
passaggio dall'una all'altra,  l'applicazione  del  principio  tempus
regit actum impone di far riferimento al  momento  di  emissione  del
provvedimento impugnato  e  non  gia'  a  quello  della  proposizione
dell'impugnazione». 
    La sentenza richiama un precedente  pronunciamento  del  medesimo
collegio, vale a dire Cassazione pen., SS.UU, n. 16101/2002, la quale
aveva sancito che «il quadro normativo delle impugnazioni deve essere
ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui e'  sorto
il relativo diritto». 
    Ed ancora, si pensi a  Cassazione  pen.,  SS.UU.,  n.  27919/2011
(Ambrogio), in tema di misure cautelari, secondo la quale «in tema di
successione di leggi processuali nel tempo, il principio  secondo  il
quale, se la legge penale in vigore al  momento  della  perpetrazione
del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia
di una sentenza definitiva sono diverse, il  giudice  deve  applicare
quella le cui disposizioni sono  piu'  favorevoli  all'imputato,  non
costituisce  un  principio  dell'ordinamento   processuale,   nemmeno
nell'ambito delle misure cautelari, poiche' non esistono principi  di
diritto intertemporale propri  della  legalita'  penale  che  possano
essere pedissequamente trasferiti nell'ordinamento processuale». 
    Di analogo tenore, e piu' di  recente,  appare  Cassazione  pen.,
SS.UU, n. 44895/2014 (Pinna) la quale enuclea il  seguente  principio
di  diritto:  «il  principio  di  necessaria   retroattivita'   della
disposizione piu' favorevole non e'  applicabile  in  relazione  alla
disciplina  dettata  da  norme  processuali,  che  e'  regolata   dal
principio tempus regit actum». 
    Anche con riferimento alla disciplina  dei  riti  alternativi  si
rinvengono  pronunce  che  sanciscono  l'inoperativita',  in   ambito
processuale, del principio della lex mitior: si ricorda,  per  tutte,
l'orientamento   maturato   con   riferimento   all'istituto    della
sospensione del procedimento  con  messa  alla  prova  dell'imputato,
relativamente al quale  e'  stato  affermato  che  «l'istituto  della
sospensione del procedimento con messa alla prova, pur avendo effetti
sostanziali  perche'  da'  luogo   all'estinzione   del   reato,   e'
intrinsecamente caratterizzato da una  dimensione  processuale.  Alla
stregua di cio' e' stato previsto un termine per la  richiesta  senza
distinguere tra processi pendenti e processi nuovi. Conseguentemente,
esercitando legittimamente la propria discrezionalita' rispetto a  un
istituto processuale e non prevedendo alcuna disciplina  transitoria,
il legislatore ha determinato la applicabilita' alla sospensione  con
messa  alla  prova  del  principio  del  tempus  regit  actum  e  non
l'applicazione  retroattiva  della  lex  mitior  che,  al  contrario,
riguarda esclusivamente la  fattispecie  incriminatrice  e  la  pena»
(Cass. pen., sez. VI, n. 48555/2016). 
    Non appare possibile dubitare, alla luce della sintetica rassegna
giurisprudenziale di cui sopra, che il principio tempus  regit  actum
in ambito processuale costituisca diritto vivente e, come tale, possa
costituire oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale. 
    La  legge  n.  33/2019,  nel  precludere  l'accesso  al  giudizio
abbreviato per gli imputati di delitti  puniti  con  l'ergastolo,  ha
espressamente previsto una disciplina di diritto intertemporale (art.
5),  in  virtu'  della  quale  le  disposizioni  innovative  in  essa
contenute si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di
entrata in vigore della medesima legge (20 aprile 2019). 
    La  portata  della  disposizione  conduce  a  ritenere   pacifica
l'applicabilita'  della  nuova  normativa  al  presente  procedimento
penale. E' noto, infatti, che il momento consumativo del  delitto  di
omicidio, esempio paradigmatico di reato  di  evento,  non  puo'  che
coincidere con il prodursi dell'evento - morte. 
    Pertanto, nel caso  in  esame,  nonostante  il  consistente  iato
temporale intercorso tra condotta ed evento,  il  reato  di  omicidio
deve considerarsi commesso  in  data  28  maggio  2019,  nella  piena
vigenza, dunque, del novellato art. 438 comma  1-bis  del  codice  di
procedura penale. 
    Ne',  come  pare  evincersi  dai  costanti  pronunciamenti  della
giurisprudenza, appare negabile l'applicabilita' del principio tempus
regit  actum  per  sostenere,  invece,  l'ultrattivita'  della  legge
processuale piu' favorevole in  vigore  al  momento  della  condotta.
Altrimenti detto, il  principio  dell'immediata  efficacia  dell'atto
conduce a ritenere applicabile la novella legislativa anche nel  caso
di specie, nonostante al momento della condotta  tipica  vigesse  una
diversa normativa che consentiva, anche per i delitti come quello per
cui si procede, l'accesso al rito abbreviato e l'irrogazione  di  una
pena di specie diversa da  quella  dell'ergastolo,  per  effetto  del
disposta dell'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale. 
    Si ritiene che la norma di diritto intertemporale, nella parte in
cui prevede l'applicabilita' dell'art.  438,  comma  1-bis  anche  ai
reati c.d. ad evento differito, con condotta serbata sotto la vigenza
della precedente  normativa  e  evento  realizzatosi,  invece,  sotto
l'imperio della novella, se messa  in  relazione  con  i  consolidati
orientamenti giurisprudenziali in materia  di  successione  di  leggi
processuali nel  tempo,  violi  l'art.  117  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 7 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    La norma convenzionale, come  noto,  contempla  il  principio  di
legalita' e le sue ricadute  in  termini  di  irretroattivita'  della
legge penale, nonche' di prevedibilita' del reato e della pena. 
    La Corte di Strasburgo, infatti, ha affermato che il principio di
legalita' non vive unicamente  in  una  dimensione  formalistica,  ma
«implica requisiti qualitativi, compresi  quelli  di  accessibilita'.
Questi requisiti qualitativi devono  essere  soddisfatti  per  quanto
riguarda sia la definizione di un reato,  sia  la  pena  in  concreto
applicabile al reato in questione. Una  persona  deve  sapere,  dalla
formulazione  della   disposizione   e,   se   necessario,   mediante
l'assistenza dei giudici nell'interpretazione di  esse,  quali  siano
gli atti e le omissioni che determinino una responsabilita' penale  e
quale sia  la  pena  che  sara'  irrogata  per  l'atto  commesso  e/o
omissione.  Inoltre,  una  legge  deve  soddisfare  il  requisito  di
"prevedibilita'", in base al quale la persona interessata deve  poter
prevedere, ad un livello che e' ragionevole, date le circostanze,  le
conseguenze  che  una  determinata  azione  puo'  comportare»  (Corte
europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, Kafkaris v.  Cipro,  12
febbraio 2008). 
    Il requisito di prevedibilita' della legge,  per  come  declinato
dalla giurisprudenza della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  implica  almeno
tre corollari e, in particolare, occorrerebbe che il soggetto,  prima
di compiere la propria condotta, sia in  grado  di  prevedere  se  la
condotta  stessa  sara'   considerata   illecita,   se,   oltre   che
genericamente  illecita,  la  condotta  sara'  considerata   altresi'
penalmente  rilevante  e  infine  quale  pena  egli  dovra'  scontare
nell'ipotesi in cui venga sottoposto a processo. 
    Cio'  premesso,  risulta  di  tutta  evidenza  la  relazione  tra
principio di prevedibilita' e  principio  di  irretroattivita'  della
norma  sopravvenuta  meno  favorevole.  Tale  principio  deve  essere
ritenuto valevole e vincolante per «le disposizioni che definiscono i
reati e  le  pene  che  li  reprimono»  (Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, Grande camera, Scoppola v. Italia (2), 17 settembre 2009). 
    La sentenza da ultimo citata appare particolarmente significativa
laddove prende in esame proprio la disciplina di  cui  all'art.  442,
comma 2 del codice di procedura penale, allo scopo di discernerne  la
natura processuale o sostanziale. La Corte riconosce che «senza alcun
dubbio le sanzioni menzionate all'art. 442, comma  2  del  codice  di
procedura penale sono imposte a seguito  dell'incriminazione  per  un
reato, sono definite penali nel diritto interno ed hanno uno scopo al
tempo stesso repressivo e dissuasivo. Inoltre, esse costituiscono  la
pena comminata per i fatti ascritti all'imputato, e non delle  misure
riguardanti l'esecuzione o l'applicazione di quest'ultima. Alla  luce
di quanto precede, la Corte ritiene  che  l'art.  442,  comma  2  del
codice di procedura penale sia una  disposizione  di  diritto  penale
materiale riguardante la severita' della pena da infliggere  in  caso
di condanna secondo il rito abbreviato. Essa ricade dunque nel  campo
di applicazione dell'ultimo capoverso dell'art. 7, paragrafo 1, della
Convenzione». 
    Per le  medesime  ragioni,  applicando  i  canoni  intrepretativi
enunciati dalla Corte di Strasburgo, non appare  possibile  sostenere
la mera natura processuale dell'intervento novellistico operato dalla
legge n. 33/2019. 
    La decisione in esame, emessa dalla  Grande  Camera  della  Corte
EDU, pare, peraltro, rivestire tutti quei requisiti  richiesti  dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale affinche' sia possibile che
l'interpretazione sovrannazionale valga, in uno con  il  testo  dello
Convenzione,  assurga  al  ruolo   di   parametro   di   legittimita'
costituzionale  della  legge,  in  virtu'  del  richiamo   effettuato
dall'art. 117 della Costituzione. 
    Avendo riguardo a situazioni quale quella  in  esame,  e'  chiaro
come  la  nuova  disciplina  non  vada  a  modificare  meri   aspetti
procedurali  ma  si   traduca   in   un'incisiva   variazione   della
comminatoria edittale,  non  solo  escludendo  la  riduzione  di  cui
all'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale, ma comportando,
in ipotesi, addirittura l'applicazione di una pena di specie  diversa
da  quella  che,  al  momento  della  commissione  del   fatto,   era
ragionevolmente prospettabile in capo all'agente consapevole di poter
beneficiare del rito alternativo. 
    Non puo' di certo sfuggire  come  tale  intervento  -  una  volta
ritenuta la natura processuale della novella,  con  applicazione  del
principio  tempus  regit  actum  -  si  traduca  in  un'imprevedibile
variazione ex post facto del  rischio  penale  insito  alla  condotta
tipica, dopo che la stessa si e' gia' esaurita e che le serie causali
dalla stessa innescate esulano dalla sfera di controllo dell'agente. 
    In tal modo, si materializza  una  violazione  del  principio  di
legalita' dal punto di vista della ragionevole  prevedibilita'  delle
conseguenze delle proprie azioni al momento della condotta. 
    La  concreta  portata  della  novella  sul  trattamento  punitivo
dell'imputato, in definitiva, non puo' che condurre  a  ritenerne  la
natura  sostanziale,  con  conseguente,  necessario,   rispetto   dei
principi  di  cui  all'art.  7  della  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Tale lettura appare  senz'altro  quella  maggiormente  ossequiosa
delle norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali per come  interpretate  dalla
Corte  di  Strasburgo.  Essa  tuttavia,  come  si   e'   cercato   di
evidenziare, contrasta con il diritto interno vivente, ovvero  con  i
consolidati orientamenti della Cassazione in materia  di  successione
di leggi processuali nel  tempo,  circostanza  questa  che  preclude,
tanto al  giudice  rimettente  quanto  al  giudice  delle  leggi,  di
esperire ulteriori tentativi  di  interpretazione  costituzionalmente
orientata,  ma  impone,  viceversa,  di  verificare  direttamente  la
legittimita'  costituzionale  della  norma  per  come  enunciata  dal
diritto vivente. 
    D'altra parte, l'accoglimento  dell'ottica  interpretativa  fatta
propria dalla Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali comporterebbe  l'applicazione
al caso di  specie  della  giurisprudenza  formatasi  in  materia  di
successione degli effetti sostanziali della variazione  normativa  in
peius nel caso di eventi conseguiti dopo un  considerevole  lasso  di
tempo alla condotta che ne e' causa (si veda Cassazione pen., SS.UU.,
19 luglio 2018, n. 40986). 
    Muovendo dunque dal principio giurisprudenziale del tempus  regit
actum, della cui consistenza in termini di diritto vivente si e' gia'
detto, si  ritiene  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge  n.  33/2019  per
violazione  degli  articoli  117  della  Costituzione   e   7   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, nella parte in cui consente l'applicazione del
neointrodotto art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale e,
parallelamente, esclude l'applicazione dell'art.  442,  comma  2  del
codice di procedura penale, anche agli imputati di delitti puniti con
l'ergastolo che abbiano tenuto  la  condotta  prima  dell'entrata  in
vigore  della   predetta   legge,   con   verificazione   dell'evento
successivamente al mutamento di normativa. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, 
    solleva, nei termini dianzi indicati, questione  di  legittimita'
costituzionale 
        1. dell'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale,
cosi' come inserito dall'art.  1  della  legge  n.  33/2019,  per  la
violazione degli articoli 3 e 111 comma 2 della Costituzione; 
        2. dell'art. 5, legge n. 33/2019 in relazione  agli  articoli
117  della  Costituzione  e  7  della  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero
nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri,  e  che  sia  anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
        Cosi' deciso in La Spezia in data 6 novembre 2019 
 
                        Il Giudice: De Bellis