N. 1 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 2019
Ordinanza del 6 novembre 2019 del G.U.P. del Tribunale di La Spezia nel procedimento penale a carico di F.F.. Processo penale - Giudizio abbreviato - Previsione che non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo. - Codice procedura penale, art. 438, comma 1-bis, inserito dall'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo). Processo penale - Previsione che non e' ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Disposizione introdotta con la legge n. 33 del 2019 - Applicabilita' anche agli imputati di delitti puniti con l'ergastolo che abbiano tenuto la condotta prima dell'entrata in vigore della novella, con verificazione dell'evento successivamente. - Legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilita' del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo), art. 5.(GU n.4 del 22-1-2020 )
Ordinanza di remissione alla Corte costituzionale di questione di legittimita' costituzionale Il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di La Spezia Visti gli atti del proc. n. 922/19 R.G. notizie di reato e n. 633/19 R.GIP. a carico di: F.F. nato a ... in data ..., res a ... via ... - domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia Sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per questa causa; Difeso di fiducia da avv. Fabio Sommovigo del foro di La Spezia Imputato Del reato p e p dall'art. 575 del codice penale, 576 comma 1 n. 1 con riferimento all'art. 61 n. 1 del codice penale, 577 comma 2 del codice penale perche', tenendo la condotta sotto specificata, cagionava la morte della moglie C.D.; in particolare F ..., all'interno dell'abitazione posta in ... via ... in cui risiedeva con la moglie, dopo un litigio avuto con la suddetta a causa del malfunzionamento di una caldaia, la colpiva all'addome utilizzando un'arma da taglio a punta (coltello da cucina con manico azzurro, a punta, con larghezza massima di 4,5 cm, lungo complessivamente 32 cm, con lama in ceramica di cm 20, con altezza massima di 4,3 cm e altezza alla punta di 0,1 cm e spessore massimo della lama di 0,2 cm); nello specifico: F ... impugnava con la mano destra, il coltello di cui sopra - che presentava punta della lama in ceramica estremamente affilata - e, in posizione eretta, eseguendo un rapido movimento da sinistra verso destra, con gesto improvviso, colpiva la moglie con un unico colpo di coltello, che la attingeva all'addome; tale colpo di coltello produceva ferita penetrante nel quadrante superiore destro dell'addome e la C ... riportava: shock emorragico da ferita penetrante, con lacerazione duodenale e pancreatica e vistoso ematoma retroperitoneale; la donna, in pericolo di vita, veniva sottoposta a intervento chirurgico d'urgenza e ricoverata in prognosi riservata presso l'Ospedale ... in data 28 maggio 2019 la stessa decedeva a causa di «insufficienza multiorgano in shock emorragico da lacerazione di arteria gonadica, con complicanze ischemiche polidistrettuali, lacerazioni di duodeno e pancreas con peritonite chimica e pancreatite necrotica, trattate chirurgicamente, in ferito penetrante da coltello nell'ipocondrio destro». Fatto aggravato ex art. 576, comma 1, n. 1 del codice penale in riferimento all'art. 61 n. 1 del codice penale avendo l'agente agito per motivi futili (essendo l'azione scaturita da un banale litigio per il malfunzionamento di una caldaia) ed ex art. 577 comma 2 del codice penale in quanto commesso ai danni della moglie. In ... il 28 maggio 2019 (data della morte) - data e luogo della condotta in ... il 20 marzo 2019. Rilevato che il difensore dell'imputato - a seguito di emissione di decreto di giudizio immediato - chiedeva il rito abbreviato, sollevando contestualmente questione di legittimita' costituzionale delle norme applicabili nel caso concreto; Rilevato che in effetti all'ammissione del rito abbreviato richiesto osta la nuova formulazione dell'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale, come inserito dall'art. 1, comma 1, lettera a) della legge 12 aprile 2019 n. 33 che vieta l'ammissione del rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo: Rilevata la rilevanza delle questioni proposte, in quanto il giudice deve fare applicazione della norma sopra citata per decidere della richiesta di rito abbreviato formulata dal difensore; Rilevato, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, che, come e' ben noto, nel caso in cui le parti prospettino una questione di legittimita' costituzionale, il giudice non deve stabilire se essa sia fondata o infondata, compito questa di esclusiva competenza della Corte costituzionale, bensi' unicamente se sia o non sia manifestamente infondata: il giudice deve quindi limitarsi ad una valutazione sommaria, per rilevare che esista, a prima vista, un dubbio plausibile di costituzionalita' ed a svolgere un controllo finalizzato ad escludere le questioni prive di serieta' e di ponderazione, sollevate solo a fini dilatori, Si osserva quanto segue L'imputato viene tratto a giudizio per rispondere del reato di omicidio volontario aggravato, reato per il quale la legge commina la pena dell'ergastolo. In data 20 marzo 2019 l'imputato, a causa di uno stato di agitazione determinato dal malfunzionamento della caldaia del riscaldamento, avrebbe colpito all'addome la moglie C.D., utilizzando un coltello da cucina. Nelle more delle attivita' di indagine, le condizioni della vittima subivano un netto peggioramento. La parte offesa veniva ricoverata presso l'Ospedale ove subiva un delicatissimo intervento chirurgico e rimaneva degente in prognosi riservata, fino alla data del 28 maggio 2019, quando le gravissime lesioni cagionate dall'accoltellamento la traevano a morte. La contestazione mossa all'imputato, dapprima formulata in termini di tentativo, assumeva dunque l'odierna consistenza. Come e' noto, in data 20 aprile 2019 - ovvero quando la parte offesa si trovava ancora presso l'ospedale in gravi condizioni - entrava in vigore la legge n. 33/2019, la quale ha introdotto nel disposto dell'art. 438 del codice di procedura penale il comma 1-bis, e, per l'effetto, ha precluso agli imputati di delitti puniti con la pena dell'ergastolo la possibilita' di definire il procedimento penale in questione mediante la scelta del giudizio abbreviato. La novella legislativa ha espressamente previsto una disciplina di diritto intertemporale (art. 5), stabilendo che le disposizioni di cui alla legge n. 33/2019 si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge, da individuarsi, come si e' detto, nel giorno 20 aprile 2019. La portata della disposizione conduce a ritenere pacifica l'applicabilita' della nuova normativa al presente procedimento penale: il momento consumativo del delitto di omicidio non puo' che coincidere con il prodursi dell'evento - morte. Pertanto, nei caso in esame, nonostante il consistente intervallo temporale intercorso tra condotta ed evento, il reato di omicidio pare doversi considerare commesso in data 28 maggio 2019, nella piena vigenza, dunque, del novellato art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale. Ne' pare potersi utilmente sostenere l'ultrattivita' della legge piu' favorevole in vigore al momento della condotta tipica, trattandosi di norme di carattere processuale, relativamente alle quali, secondo consolidata giurisprudenza di legittimita' e costituzionale, difficilmente revocabile in dubbio, nonostante l'opinione contraria costantemente espressa da parte della dottrina, deve ritenersi applicabile il principio del tempus regit actum. Anche i piu' recenti arresti giurisprudenziali hanno ribadito, sul punto, che il principio dei tempus regit actum rappresenta, in ambito processuale, un criterio di portata generale, che rappresenta la trasposizione della regola dell'efficacia immediata dell'atto. Ne deriva, «da un lato, la non retroattivita' della nuova legge procedurale, sicche' gli atti compiuti mantengono la propria efficacia anche sotto l'impero della diverso legge processuale sopravvenuta: dall'altro, l'efficacia immediata della novella, di talche' tutti gli atti successivi rispetto all'entrata in vigore della nuova norma debbono essere compiuti secondo i presupposti richiesti dalla modifica normativa» (cosi, da ultimo, in materia di impugnazioni, Cass. pen., sez. VI, 12 giugno 2019, n. 39823). Al contempo, anche l'esistenza di pronunce giurisprudenziali in materia di reati c.d. ad evento differito, le quali hanno affermato come «in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto vigore di una legge penale piu' favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale piu' sfavorevole, deve trovare applicazione fa legge penale vigente al momento della condotta» (Cass. pen. , SS.UU., 19 luglio 2018, n. 40986, in tema di omicidio stradale e, in senso conforme, Cass. pen., sez. IV, 20 dicembre 2018, n. 16026, in tema di prescrizione) non pare tale da mutare significativamente il quadro in esame. Infatti, tale principio giurisprudenziale - che costituisce, evidentemente, il precipitato applicativo del principio della lex mitior - e' stato enucleato con riferimento ai fenomeni successori riguardanti leggi penali sostanziali e non pare dunque idoneo ad interferire con la costante e granitica affermazione, da parte della stessa giurisprudenza, dell'operativita' del diversa principio del tempus regit actum in materia processuale. Allo stato, dunque, alla luce delle recenti modifiche normative e dei principi generali che regolano la materia processuale, risulterebbe preclusa, per l'odierno imputato, la possibilita' di richiedere la definizione del presente procedimento con giudizio abbreviato. Tale considerazione appare di per se' sufficiente a dimostrare la rilevanza, nel caso di specie, della presente questione di legittimita' costituzionale, dal momento che un'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale amplierebbe il ventaglio delle scelte difensive, con possibilita' di accedere al giudizio abbreviato, di beneficiare del relativo sconto di pena e dei tempi contratti di giudizio e, con riferimento alla fase di esecuzione, di mutare significativamente le modalita' e le tempistiche di accesso ai benefici penitenziari. La norma di cui all'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale, introdotta dalla legge n. 33/2019, pare porsi in contrasto con alcuni principi fondamentali sanciti dalla nostra Corte costituzionale. In primo luogo, non appaiono manifestamente infondati i dubbi di compatibilita' della disciplina in parola con i principi di uguaglianza e ragionevolezza, entrambi previsti dall'art. 3 della Costituzione. Non si ignora come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia spesso ritenuto non sindacabili sotto il profilo costituzionale le disposizioni normative foriere di preclusioni rispetto all'accesso, per alcune tipologie di reati, ai c.d. riti premiali, dal momento che «in tali ipotesi, l'individuazione delle fattispecie criminose da assoggettare al trattamento piu' rigoroso - proprio in quanto basata su apprezzamenti di politica criminale, connessi specialmente all'allarme sociale generato dai singoli reati, il quale non e' necessariamente correlato al mero livello della pena edittale - resta affidata alla discrezionalita' del legislatore e le relative scelte possono venir sindacate dalla Corte solo in rapporto alle mere disarmonie del catalogo legislativo, allorche' la sperequazione normativa tra figure omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare sorretto da alcuna ragionevole giustificazione» (Corte costituzionale, ordinanza n. 455/2006). Tuttavia, la decisione politico-criminale di delimitare l'accesso al giudizio abbreviato in ragione della specie di pena comminata in astratto dal legislatore si mostra difficilmente compatibile con il principio di ragionevolezza e potenzialmente foriera di esiti applicativi discriminatori, sia in termini di trattamenti differenziati per situazioni omogenee, sia, ex adverso, in termini di ingiustificato parificazione di ipotesi obiettivamente differenti. La violazione dell'art. 3 della Costituzione si coglie con particolare chiarezza nelle ipotesi in cui la comminatoria legislativa dell'ergastolo consegue - come nel caso in esame - alla ricorrenza di una circostanza aggravante, come tale soggetta, in caso di concorso con eventuali attenuanti, a potenziale elisione all'esito del giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 del codice penale, con conseguente applicazione della pena della reclusione. Paradigmatico di possibili paradossi applicativi appare proprio il reato di omicidio volontario aggravato, figura criminis che comprende una serie di ipotesi che, in concreto, pur nella comunanza dell'evento tipico, si differenziano profondamente per modalita dell'azione e per la configurazione dell'elemento psicologico. Trattasi di diversificazioni che, benche' accomunate dalla comminatoria della pena massimamente afflittiva, individualizzano singole ipotesi il cui disvalore non appare di certo omogeneo. L'irragionevolezza di soluzioni normative volte ad assoggettare ad un medesimo regime processuale diverse ipotesi concrete riconducibili ai relativi paradigmi punitivi sulla base della gravita' astratta del reato, desunta dalla misura della pena o dall'elevato rango del bene giuridico tutelato, e' gia' stata esaminata dalla Corte costituzionale che, proprio in tema di omicidio volontario, ha osservato come, «nonostante l'indiscutibile gravita' del fatto, la quale pesera' opportunamente nella determinazione della pena inflitta all'autore, quando ne sia riconosciuta in via definitiva la colpevolezza (...), l'omicidio puo' bene essere, e sovente e', un fatto meramente individuale, che trova la sua matrice in pulsioni occasionali o passionali. I fattori emotivi che si collocano alla radice dell'episodio criminoso possono risultare, in effetti, correlati a speciali contingenze - come, ad esempio, per i fatti commessi in risposta a specifici comportamenti lato sensu provocatori della vittima - ovvero a tensioni maturate, in tempi piu' o meno lunghi, nell'ambito di particolari contesti, da quello familiare a quello dei rapporti socio-economici» (Corte costituzionale, sentenza n. 164/2011, in tema di presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere). Ipotesi, questa, che deve essere tenuta ben distinta da altre connotate, indubbiamente, da maggiore riprovevolezza, quali quelle maturate nell'ambito di un «vincolo di appartenenza permanente a un sodalizio criminoso con accentuate caratteristiche di pericolosita' - per radicamento nel territorio, intensita' dei collegamenti personali e forza intimidatrice» (Corte costituzionale, ibidem). E, a ben vedere, appare totalmente irragionevole equiparare, sotto il profilo processuale, l'ipotesi che oggi ci occupa, consistente in un omicidio commesso sulla base di una pulsione occasionale e in una situazione di parziale incapacita' di intendere e di volere (il dott. Rocca, perito incaricato dal giudice per le indagini preliminari, rilevava come l'odierno imputato fosse affetto da una sindrome bipolare cronica e come al momento dei fatti, lo stesso fosse in stato di mente tale da scemare grandemente la capacita' di intendere e di volere, cosi' come previsto dall'art. 89 del codice penale), con fatti delittuosi astrattamente anch'essi qualificabili come omicidio aggravato ma, ad esempio, perpetrati in contesti di criminalita' organizzata, oppure commessi con premeditazione, oppure ancora con modalita' esecutive particolarmente crudeli. Cio', a maggior ragione, laddove si consideri che, nel caso di specie, lo stato di incapacita' parziale dell'imputato risulta gia' processualmente accertato e che, di conseguenza, se ne dovranno trarre delle conseguenze sul piano della pena concretamente irrogabile. Analoghe aporie e potenziali discriminazioni si rinvengono analizzando il catalogo dei reali per i quali il legislatore commina la pena dell'ergastolo. Si tratta, invero, di fattispecie incriminatrici profondamente eterogenee e poste a presidio di beni giuridici di rango diverso, quali l'incolumita' pubblica (ad esempio il delitto di strage o di epidemia), la personalita' dello Stato (si pensi all'ampio catalogo di delitti commessi in tempo di guerra o a quello di sequestro di persona a scopo di terrorismo, aggravato dalla morte del soggetto passivo), il patrimonio (sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte del soggetto passivo). Proprio rispetto ai delitti di sequestro, non e' agevole comprendere il criterio logico in virtu' del quale ipotesi come quelle appena indicate, nelle quali la morte del soggetto passivo rappresenta l'epilogo di condotte gia' di per se' antigiuridiche e connotate da una certo gravita', per di piu' tipizzate in forma vincolata e sorrette da dolo specifico, debbano essere assoggettate al medesimo trattamento riservato a casi come quello per cui oggi si procede, essendo ictu oculi evidente la disparita' di disvalore. Risulta allora manifesta l'irragionevolezza della scelta legislativa di precludere, per determinate categorie di imputati, l'opzione per una scelta processuale - con le rilevantissime conseguenze a cio' correlate in termini di trattamento sanzionatorio e, non di meno, in termini di trattamento penitenziario - in virtu' della mera comminatoria astratta, posto che come si e' dimostrato, tale elemento non puo' essere ritenuto identificativo di un omogeneo contenuto di disvalore. Ulteriori profili di illogicita' della scelta legislativa di delimitare l'accesso al rito abbreviato in ragione della specie di pena si rilevano analizzando le altre ipotesi di omicidio volontario aggravato per le quali e' prevista la pena della reclusione e, segnatamente, quelle tipizzate dall'art. 577, comma 2 del codice penale. Non si rinviene ragione, infatti, nel consentire l'accesso al rito alternativo e, conseguentemente, agli effetti premiali ad esso connessi, agli imputati dei delitti in parola, dal momento che gli stessi cagionano un analogo allarme sociale o, addirittura, a seconda del caso concreto, potenzialmente maggiore. In definitiva, utilizzare la specie di pena comminata in astratto dal legislatore quale criterio discretivo (o quantomeno come unico criterio discretivo) nella scelta politico-criminale di delimitare l'accesso a una via alternativa di definizione del processo appare incompatibile col principio di ragionevolezza, dal momento che non si tratta di elemento idoneo a selezionare le condotte effettivamente connotate da un maggiore disvalore per poi assoggettarle ad una disciplina processuale piu' severa. La scelta legislativa di cui all'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale al contrario, parifica ingiustificatamente situazioni differenti e altrettanto irragionevolmente, diversifica situazioni omogenee. Cio' in particolare nelle ipotesi in cui la pena dell'ergastolo e' prevista qualora, all'esito di una valutazione del fatto in concreto, si ritenga sussistente una circostanza aggravante, il cui effetto sulla pena ben puo' essere eliso dal concorso di una o piu' attenuanti, come possibile nel caso in esame. La disposizione denunciata, dunque, viola l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. La riforma de qua si pone inoltre in netta controtendenza rispetto ai piu' recenti approdi della giurisprudenza costituzionale e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. L'esaltazione dell'ergastolo, che pare sottostare all'intervento novellistico, pare infatti contrastare con l'affermazione del «principio della non sacrificabilita' della funzione rieducativa sull'altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena» cosi come delineato dalla Corte costituzionale sentenza n. 149/2018, nonche' con la recentissima presa di posizione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in materia di ergastolo ostativo (Prima sezione, Viola c. Italia (n. 2), ric. n. 77633/16, 13 giugno 2019). L'ampliamento dell'area applicativa dell'ergastolo, mediante l'inibizione dell'accesso ai riti alternativi, determina inoltre contrasto del nuovo testo dell'art. 438 comma 1-bis del codice di procedura penale con il principio di ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 111, comma 2 della Costituzione, norma che, lungi dall'essere una mera disposizione programmatica, costituisce a tutti gli effetti parametro nel giudizio di legittimita' costituzionale. La rilevanza del principio e' stata, da ultimo, ribadita dalla Corte costituzionale sentenza n. 132/2019, la quale ha posto l'attenzione sull'interazione tra i modelli processuali immaginati dal legislatore e la prassi, spesso influenzata da contingenze materiali, delle aule di Tribunale. Il distacco tra il paradigma legislativo e il reale andamento dei processi rischia di tramutare i principi in «un mero simulacro». Ed invero, la portata lesiva della novella in termini di ragionevole durata del processo si coglie proprio con riferimento alla concreta situazione dell'amministrazione della giustizia. Non puo' infatti sfuggire come l'obbligo di procedere con rito ordinario per i reati puniti con l'ergastolo - categoria rispetto alla quale, secondo i dati statistici, pur a fronte di effetti premiali contenuti, e' maggiore il ricorso al giudizio abbreviato - possa creare un congestionamento nell'ordinaria gestione delle attivita' giudiziarie. Cio' soprattutto nelle realta' di fori di piccole dimensioni, nei quali i reati di competenza della Corte d'Assise che giungono a giudizio sono un numero molto limitato, la necessita' di costituire di volta in volta il collegio, sovraccaricandolo con dibattimenti anche complessi, e' in grado di interferire in modo consistente non solo con l'efficiente funzionamento di quell'organo, ma anche con la celebrazione di altri processi. Tali perplessita' sono state condivise anche dal Consiglio superiore della magistratura (delibera del 6 febbraio 2019) in accordo con la dottrina che si e' occupata della questione. La novella, pertanto, comporterebbe un'ingiustificata dilatazione dei tempi processuali, con costi significativi, suscettibili di valutazione tanto in termini di ragionevole durata del singolo processo, quanto in termini piu' generali di efficiente amministrazione della giustizia. Si osserva, non da ultimo, come analoghe, ingiustificate, dilatazioni cronologiche si riscontrino con riferimento alle tempistiche della custodia cautelare in carcere, alla quale l'odierno imputato risulta ad oggi sottoposto, e che, verosimilmente, estendendosi i tempi del processo, si protrarra' per ancora svariati mesi. Deve, non da ultimo, essere rilevato come la lesione del principio della ragionevole durata del processo non sembri trovare bilanciamento nella tutela di altri interessi del medesimo rango e neppure in quello che pare sottostare alla novella legislativa, ovvero la garanzia di un'effettiva applicazione, tramite la sterilizzazione degli effetti premiali propri del rito abbreviato, della pena massimamente afflittiva, o comunque di pene piu' rigorose. Si pensi, ad esempio, nel caso di specie, alla gia' ricordata incidenza che l'accertamento peritale in ordine alla capacita' di intendere e di volere dell'imputato, pienamente utilizzabile in fase dibattimentale. In conclusione, l'opzione legislativa che ha voluto escludere l'accesso al giudizio abbreviato per gli imputati di delitti puniti con l'ergastolo si riverbera sulle dinamiche di amministrazione della giustizia, dando luogo a processi di durata non ragionevole, il tutto sull'altare di un rigorismo sanzionatorio che ben si sarebbe potuto raggiungere intervenendo su altri meccanismi, ovvero prevedendo un limite massimo di riduzione di pena per la diminuente processuale o stabilendo una riduzione per il rito minore di quella oggi prevista. E' inoltre ravvisabile la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma di diritto intertemporale di cui all'art. 5, legge n. 33/2019, alla luce del principio tempus regit actum, per contrasto con l'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, parametro di costituzionalita' in virtu' del disposto dell'art. 117 della Costituzione. Deve, in via di premessa, essere ricordato come la Corte costituzionale abbia piu' volte ribadito il proprio potere-dovere di accertare, in presenza di indirizzi giurisprudenziali consolidati formatisi in sede di legittimita', tali da costituire diritto vivente, la compatibilita' di tale interpretazione con i parametri costituzionali evocati dal rimettente. Qualora si accerti l'esistenza del diritto vivente, in ossequio al ruolo riconosciuto dall'ordinamento alla Cassazione quale giudice della nomofilachia, la Corte costituzionale «non ha possibilita' di proporre diverse soluzioni interpretative (...) ma deve limitarsi a stabilire se lo stesso sia o meno conforme ai principi costituzionali» (Corte costituzionale, sentenza n. 266/2006), e «procedere allo scrutinio di legittimita' costituzionale della norma censurata, per come interpretata dal diritto vivente» (Corte costituzionale, sentenza n. 197/2010). Deve inoltre essere sottolineato come, secondo l'evoluzione della giurisprudenza del giudice delle leggi, il concetto di diritto vivente si identifica con un'interpretazione giurisprudenziale assai diffusa, non solo e non tanto nella giurisprudenza di merito, quanto in quella di legittimita'. Tale indirizzo deve essere connotato da stabilita', da intendersi come presenza di numerose pronunce espresse in tal senso, distribuite nell'arco di un lungo periodo e di sostanziale identita' contenutistica (ex plurimis, Corte costituzionale, sentenza n. 64/1998; sentenza n. 64/2008; sentenza n. 107/2013). Alla luce della summenzionata nozione di «diritto vivente», non appare possibile disconoscere tale natura al principio del tempus regit actum quale canone fondamentale di regolamentazione dei fenomeni di successione di leggi nel tempo, con riferimento alla materia processuale. Sul punto si registrano plurime pronunce delle Sezioni unite penali, le quali hanno enucleato principi di diritto che, a pieno titolo, possono essere definiti di diritto vivente (per la valenza delle pronunce delle Sezioni unite in termini di diritto vivente si veda, per tutte, Corte costituzionale, sentenza n. 117/2012: «Siffatta interpretazione costituisce regola di diritto vivente, in quanto enunciata dalle sezioni unite nell'esercizio della propria funzione nomofilattica (...) e, in seguito, costantemente ribadita dalla stessa Corte»). In particolare, Cassazione pen. SS. UU, n. 27614/2007 (Lista), nel decidere una questione in materia di impugnazioni, ha affermato che «ai fini dell'individuazione del regime applicabile in materia impugnazioni, allorche'; si succedano nei tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non gia' a quello della proposizione dell'impugnazione». La sentenza richiama un precedente pronunciamento del medesimo collegio, vale a dire Cassazione pen., SS.UU, n. 16101/2002, la quale aveva sancito che «il quadro normativo delle impugnazioni deve essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui e' sorto il relativo diritto». Ed ancora, si pensi a Cassazione pen., SS.UU., n. 27919/2011 (Ambrogio), in tema di misure cautelari, secondo la quale «in tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli all'imputato, non costituisce un principio dell'ordinamento processuale, nemmeno nell'ambito delle misure cautelari, poiche' non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalita' penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell'ordinamento processuale». Di analogo tenore, e piu' di recente, appare Cassazione pen., SS.UU, n. 44895/2014 (Pinna) la quale enuclea il seguente principio di diritto: «il principio di necessaria retroattivita' della disposizione piu' favorevole non e' applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali, che e' regolata dal principio tempus regit actum». Anche con riferimento alla disciplina dei riti alternativi si rinvengono pronunce che sanciscono l'inoperativita', in ambito processuale, del principio della lex mitior: si ricorda, per tutte, l'orientamento maturato con riferimento all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, relativamente al quale e' stato affermato che «l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, pur avendo effetti sostanziali perche' da' luogo all'estinzione del reato, e' intrinsecamente caratterizzato da una dimensione processuale. Alla stregua di cio' e' stato previsto un termine per la richiesta senza distinguere tra processi pendenti e processi nuovi. Conseguentemente, esercitando legittimamente la propria discrezionalita' rispetto a un istituto processuale e non prevedendo alcuna disciplina transitoria, il legislatore ha determinato la applicabilita' alla sospensione con messa alla prova del principio del tempus regit actum e non l'applicazione retroattiva della lex mitior che, al contrario, riguarda esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena» (Cass. pen., sez. VI, n. 48555/2016). Non appare possibile dubitare, alla luce della sintetica rassegna giurisprudenziale di cui sopra, che il principio tempus regit actum in ambito processuale costituisca diritto vivente e, come tale, possa costituire oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale. La legge n. 33/2019, nel precludere l'accesso al giudizio abbreviato per gli imputati di delitti puniti con l'ergastolo, ha espressamente previsto una disciplina di diritto intertemporale (art. 5), in virtu' della quale le disposizioni innovative in essa contenute si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge (20 aprile 2019). La portata della disposizione conduce a ritenere pacifica l'applicabilita' della nuova normativa al presente procedimento penale. E' noto, infatti, che il momento consumativo del delitto di omicidio, esempio paradigmatico di reato di evento, non puo' che coincidere con il prodursi dell'evento - morte. Pertanto, nel caso in esame, nonostante il consistente iato temporale intercorso tra condotta ed evento, il reato di omicidio deve considerarsi commesso in data 28 maggio 2019, nella piena vigenza, dunque, del novellato art. 438 comma 1-bis del codice di procedura penale. Ne', come pare evincersi dai costanti pronunciamenti della giurisprudenza, appare negabile l'applicabilita' del principio tempus regit actum per sostenere, invece, l'ultrattivita' della legge processuale piu' favorevole in vigore al momento della condotta. Altrimenti detto, il principio dell'immediata efficacia dell'atto conduce a ritenere applicabile la novella legislativa anche nel caso di specie, nonostante al momento della condotta tipica vigesse una diversa normativa che consentiva, anche per i delitti come quello per cui si procede, l'accesso al rito abbreviato e l'irrogazione di una pena di specie diversa da quella dell'ergastolo, per effetto del disposta dell'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale. Si ritiene che la norma di diritto intertemporale, nella parte in cui prevede l'applicabilita' dell'art. 438, comma 1-bis anche ai reati c.d. ad evento differito, con condotta serbata sotto la vigenza della precedente normativa e evento realizzatosi, invece, sotto l'imperio della novella, se messa in relazione con i consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia di successione di leggi processuali nel tempo, violi l'art. 117 della Costituzione, in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. La norma convenzionale, come noto, contempla il principio di legalita' e le sue ricadute in termini di irretroattivita' della legge penale, nonche' di prevedibilita' del reato e della pena. La Corte di Strasburgo, infatti, ha affermato che il principio di legalita' non vive unicamente in una dimensione formalistica, ma «implica requisiti qualitativi, compresi quelli di accessibilita'. Questi requisiti qualitativi devono essere soddisfatti per quanto riguarda sia la definizione di un reato, sia la pena in concreto applicabile al reato in questione. Una persona deve sapere, dalla formulazione della disposizione e, se necessario, mediante l'assistenza dei giudici nell'interpretazione di esse, quali siano gli atti e le omissioni che determinino una responsabilita' penale e quale sia la pena che sara' irrogata per l'atto commesso e/o omissione. Inoltre, una legge deve soddisfare il requisito di "prevedibilita'", in base al quale la persona interessata deve poter prevedere, ad un livello che e' ragionevole, date le circostanze, le conseguenze che una determinata azione puo' comportare» (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, Kafkaris v. Cipro, 12 febbraio 2008). Il requisito di prevedibilita' della legge, per come declinato dalla giurisprudenza della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, implica almeno tre corollari e, in particolare, occorrerebbe che il soggetto, prima di compiere la propria condotta, sia in grado di prevedere se la condotta stessa sara' considerata illecita, se, oltre che genericamente illecita, la condotta sara' considerata altresi' penalmente rilevante e infine quale pena egli dovra' scontare nell'ipotesi in cui venga sottoposto a processo. Cio' premesso, risulta di tutta evidenza la relazione tra principio di prevedibilita' e principio di irretroattivita' della norma sopravvenuta meno favorevole. Tale principio deve essere ritenuto valevole e vincolante per «le disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono» (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande camera, Scoppola v. Italia (2), 17 settembre 2009). La sentenza da ultimo citata appare particolarmente significativa laddove prende in esame proprio la disciplina di cui all'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale, allo scopo di discernerne la natura processuale o sostanziale. La Corte riconosce che «senza alcun dubbio le sanzioni menzionate all'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale sono imposte a seguito dell'incriminazione per un reato, sono definite penali nel diritto interno ed hanno uno scopo al tempo stesso repressivo e dissuasivo. Inoltre, esse costituiscono la pena comminata per i fatti ascritti all'imputato, e non delle misure riguardanti l'esecuzione o l'applicazione di quest'ultima. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che l'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale sia una disposizione di diritto penale materiale riguardante la severita' della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato. Essa ricade dunque nel campo di applicazione dell'ultimo capoverso dell'art. 7, paragrafo 1, della Convenzione». Per le medesime ragioni, applicando i canoni intrepretativi enunciati dalla Corte di Strasburgo, non appare possibile sostenere la mera natura processuale dell'intervento novellistico operato dalla legge n. 33/2019. La decisione in esame, emessa dalla Grande Camera della Corte EDU, pare, peraltro, rivestire tutti quei requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale affinche' sia possibile che l'interpretazione sovrannazionale valga, in uno con il testo dello Convenzione, assurga al ruolo di parametro di legittimita' costituzionale della legge, in virtu' del richiamo effettuato dall'art. 117 della Costituzione. Avendo riguardo a situazioni quale quella in esame, e' chiaro come la nuova disciplina non vada a modificare meri aspetti procedurali ma si traduca in un'incisiva variazione della comminatoria edittale, non solo escludendo la riduzione di cui all'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale, ma comportando, in ipotesi, addirittura l'applicazione di una pena di specie diversa da quella che, al momento della commissione del fatto, era ragionevolmente prospettabile in capo all'agente consapevole di poter beneficiare del rito alternativo. Non puo' di certo sfuggire come tale intervento - una volta ritenuta la natura processuale della novella, con applicazione del principio tempus regit actum - si traduca in un'imprevedibile variazione ex post facto del rischio penale insito alla condotta tipica, dopo che la stessa si e' gia' esaurita e che le serie causali dalla stessa innescate esulano dalla sfera di controllo dell'agente. In tal modo, si materializza una violazione del principio di legalita' dal punto di vista della ragionevole prevedibilita' delle conseguenze delle proprie azioni al momento della condotta. La concreta portata della novella sul trattamento punitivo dell'imputato, in definitiva, non puo' che condurre a ritenerne la natura sostanziale, con conseguente, necessario, rispetto dei principi di cui all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Tale lettura appare senz'altro quella maggiormente ossequiosa delle norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per come interpretate dalla Corte di Strasburgo. Essa tuttavia, come si e' cercato di evidenziare, contrasta con il diritto interno vivente, ovvero con i consolidati orientamenti della Cassazione in materia di successione di leggi processuali nel tempo, circostanza questa che preclude, tanto al giudice rimettente quanto al giudice delle leggi, di esperire ulteriori tentativi di interpretazione costituzionalmente orientata, ma impone, viceversa, di verificare direttamente la legittimita' costituzionale della norma per come enunciata dal diritto vivente. D'altra parte, l'accoglimento dell'ottica interpretativa fatta propria dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali comporterebbe l'applicazione al caso di specie della giurisprudenza formatasi in materia di successione degli effetti sostanziali della variazione normativa in peius nel caso di eventi conseguiti dopo un considerevole lasso di tempo alla condotta che ne e' causa (si veda Cassazione pen., SS.UU., 19 luglio 2018, n. 40986). Muovendo dunque dal principio giurisprudenziale del tempus regit actum, della cui consistenza in termini di diritto vivente si e' gia' detto, si ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge n. 33/2019 per violazione degli articoli 117 della Costituzione e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui consente l'applicazione del neointrodotto art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale e, parallelamente, esclude l'applicazione dell'art. 442, comma 2 del codice di procedura penale, anche agli imputati di delitti puniti con l'ergastolo che abbiano tenuto la condotta prima dell'entrata in vigore della predetta legge, con verificazione dell'evento successivamente al mutamento di normativa.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini dianzi indicati, questione di legittimita' costituzionale 1. dell'art. 438, comma 1-bis del codice di procedura penale, cosi' come inserito dall'art. 1 della legge n. 33/2019, per la violazione degli articoli 3 e 111 comma 2 della Costituzione; 2. dell'art. 5, legge n. 33/2019 in relazione agli articoli 117 della Costituzione e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in La Spezia in data 6 novembre 2019 Il Giudice: De Bellis