N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 ottobre 2019

Ordinanza del 22  ottobre  2019  del  Tribunale  di  sorveglianza  di
Bologna nel procedimento di sorveglianza nei confronti di F.M.. 
 
Ordinamento penitenziario  -  Liberazione  anticipata  -  Revoca  del
  beneficio - Mancata previsione della possibilita' della revoca  del
  beneficio anche nel caso di intervenuta assoluzione del  condannato
  ai sensi dell'art. 115 cod. pen. qualora  nei  suoi  confronti  sia
  stata disposta l'applicazione di una misura di sicurezza. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 54, terzo comma. 
(GU n.9 del 26-2-2020 )
 
                TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA 
 
    Il giorno 10 ottobre 2019 in Bologna si e' riunito in  Camera  di
consiglio nelle persone dei componenti: 
        dott. Mirandola Manuela, Presidente; 
        dott. Farinella PierVittorio, Giudice relatore; 
        dott. Laghi Ilaria, esperto; 
        dott. Rori Giorgia, esperto. 
    Con la partecipazione della dott.ssa Pantani  Maria  Rita,  sost.
procuratore generale presso la  Corte  di  appello  di  Bologna,  per
deliberare sulla domanda di: Revoca Liberazione Anticipata (art.  54,
comma 3), presentata nei confronti di F.M., nato a ... il  ...,  gia'
detenuto presso la Casa Circondariale di ..., espiazione  della  pena
di cui alla sentenza emessa dalla Corte d'Appello di  Bologna  il  19
novembre 2013 (irr. 23 febbraio 2015);  pena  cessata  il  29  luglio
2019. 
 
                              Ordinanza 
 
    Il Tribunale di Sorveglianza ritiene di  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 3, legge n. 354/1975,
nella parte in cui non prevede  che  possa  disporsi  la  revoca  del
beneficio della liberazione anticipata anche nel caso di  intervenuto
assoluzione del condannato ai sensi dell'art. 115 c.p.,  qualora  nei
suoi confronti sia stata disposta l'applicazione  di  una  misura  di
sicurezza, per contrasto con gli  articoli  3  e  27  comma  3  della
Costituzione. 
Rilevanza della questione. 
    La Procura Generale presso  la  Corte  d'Appello  di  Bologna  ha
chiesto la revoca, ex art. 54, comma 3 legge 26 luglio 1975, n.  354,
dei provvedimenti emessi dal magistrato di Sorveglianza di Bologna in
data 3 settembre 2015, 19 novembre 2015, 29 agosto 2018,  7  dicembre
2018, con cui veniva concesso al F. il  beneficio  della  liberazione
anticipata per  complessivi  giorni  570,  in  relazione  ai  periodi
detentivi 20 marzo 2010-26 luglio 2012 (presofferto)  e  24  febbraio
2015 - 17 ottobre 2018. 
    In particolare: 
        con ordinanza emessa il 3 settembre 2015 veniva concessa  una
riduzione di giorni 225, in relazione ai periodi 20 marzo 2010  -  26
luglio 2012 (presofferto) e 24 febbraio 2015 - 17 aprile 2015; 
        con ordinanza emessa il 19 novembre 2015 veniva concessa  una
riduzione di giorni 75, in relazione ai periodi 17 aprile 2015  -  17
ottobre 2015; 
        con ordinanza emessa il 29 agosto 2018  veniva  concessa  una
riduzione di giorni 225, in relazione ai periodi 17 ottobre 2015 - 17
aprile 2018; 
        con ordinanza emessa il 7 dicembre 2018 veniva  concessa  una
riduzione di giorni 45, in relazione al periodo 17 aprile 2018  -  17
ottobre 2018. 
    La  rilevanza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
emerge dal fatto che, come sopra esposto, la Procura Generale  presso
la Corte d'Appello di Bologna ha richiesto la revoca, tra gli  altri,
anche dei provvedimenti emessi  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di
Bologna in data 3 settembre 2015 e 19 novembre 2015, con i  quali  il
beneficio della liberazione anticipata veniva concesso al  Fabbri  in
epoca antecedente alla commissione dei fatti oggetto delle successive
sentenze assolutorie (le quali indicano l'epoca del commesso reato il
periodo antecedente e prossimo al 18 marzo 2016). 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    Il Fabbri e' stato assolto  (dapprima  con  sentenza  emessa  dal
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ferrara il
22 dicembre 2017, poi confermata dalla Corte d'Appello di Bologna con
sentenza 7 febbraio 2019, irr. 23 giugno 2019) dal reato  di  tentato
omicidio in danno di Panigalli Lucia, in concorso con altro  detenuto
(fatto realizzato in epoca antecedente e prossima al 18  marzo  2016,
mentre il Fabbri si trovava detenuto presso la casa circondariale  di
Ferrara, in espiazione della pena inflittagli per il reato di tentato
omicidio, anche in tal caso nei confronti della stessa Panigalli). 
    Come emerge dalle sentenze in esame, Fabbri aveva istigato  altro
detenuto a compiere l'omicidio della donna. 
    Il giudice del merito (sia  in  primo  grado,  che  in  grado  di
appello) riteneva che il fatto  costituisse  non  gia'  un  tentativo
punibile,  bensi'  una  istigazione  non  accolta  (art.  115  c.p.);
pertanto Fabbri veniva assolto con  la  formula:  «il  fatto  non  e'
previsto dalla legge come reato», con contestuale  applicazione,  nei
suoi confronti della misura di sicurezza della liberta' vigilata  per
anni uno. 
    L'art. 54, comma 3, legge 26 luglio 1975, n. 354 prevede che,  in
tema di liberazione anticipata, «La condanna per delitto non  colposo
commesso nel corso dell'esecuzione successivamente  alla  concessione
del beneficio ne comporta la revoca». 
    A  sostegno  della  propria  richiesta  la  Procura  generale  ha
richiamato, tra l'altro, la sentenza n. 186 del 23 maggio  1995,  con
cui  la   Corte   costituzionale   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale del suddetto comma 3. 
    Va tuttavia osservato che con la citata pronuncia si  e'  tatuito
che l'intervenuta condanna per delitto non colposo non e' sufficiente
a determinare la revoca del beneficio gia' concesso, laddove  non  si
accompagni a una valutazione negativa in ordine  all'incompatibilita'
della condotta del soggetto con il mantenimento del beneficio; il suo
effetto pertanto e' stato quello di restringere l'ambito  del  potere
di revoca, superando l'automatismo  che,  nel  testo  originario,  lo
ricollegava sic et simpliciter al sopravvenire di  una  condanna  per
qualunque delitto non colposo commesso nel  corso  dell'esecuzione  e
non gia' di ampliarlo. 
    Come detto, l'art. 54,  comma  3  cit.  ancora  espressamente  la
revocabilita'  del  beneficio  al  presupposto  di  una   intervenuta
«condanna» per delitto non colposo. 
    Riguardo alla nozione di «condanna»  rilevante  agli  effetti  di
tale disposizione, si e' registrato un contrasto nella giurisprudenza
della S.C., posto che, secondo un  indirizzo  interpretativo,  si  e'
escluso che il presupposto in  parola  potesse  considerarsi  integro
dalla pronuncia  di  una  sentenza  di  applicazione  della  pena  su
richiesta ex art. 444 codice di  procedura  penale  (cfr.  Cassazione
Pen. n. 5959 del 28 ottobre 1999; n. 50176  del  12  novembre  2004),
mentre secondo altro e  piu'  recente  indirizzo,  non  essendo  tale
pronuncia qualificabile come sentenza «di condanna», deve giungere  a
opposta  conclusione,  in  occasione  dell'equiparazione  legislativa
della sentenza di c.d. «patteggiamento» a quella  di  condanna  (cfr.
Cass. Pen, n. 49442 del 10 ottobre 2014). 
    Il suddetto contrasto  interpretativo,  sebbene  ormai  superato,
riveste un particolare interesse  anche  ai  presenti  fini,  poiche'
evidenzia che, secondo c.d. «diritto vivente»,  la  possibilita'  che
una pronuncia diversa da una sentenza di «condanna» in senso  stretto
possa costituire presupposto legittimante la  revoca  del  beneficio,
ai'  sensi  del  disposto  dell'art.  54,  comma  3  cit.,  e'  stata
riconosciuta solo in conseguenza di una previsione legislativa che ne
sancisce l'equiparazione a quest'ultima (art. 445,  comma  1,  ultima
parte, c.p.p.). 
    Nel caso in esame, come  detto,  l'imputato  e'  stato  non  gia'
condannato,   bensi'   assolto   dal   reato   ascrittogli,   sicche'
l'applicabilita'  del  disposto  dell'art.  54,  comma  3  O.P.,  pur
estensivamente interpretato,  appare,  alla  luce  di  quanto  appena
esposto, difficilmente sostenibile, cosi' come, a maggior ragione, la
sua  applicazione  analogica,  considerato  peraltro   il   carattere
eccezionale dalla fattispecie in esame (in quanto  derogatrice  della
regola  generale,  che  sancisce  con  carattere   di   definitivita'
l'attribuzione  del  beneficio  al  condannato  che  dia   prova   di
partecipazione al l'opera rieducativa). 
    Cionondimeno, sia il giudice di  primo  che  quello  di'  secondo
grado, lungi  dall'accertare  che  «il  fatto  non  sussiste»  o  che
l'imputato  «non  lo  ha  commesso»,  hanno  fondato   la   decisione
assolutoria sul disposto di cui all'art. 115 c.p. 
    La figura del c.d. «quasi reato»,  ad  avviso  della  dottrina  e
della giurisprudenza dominanti, e' frutto di  un'opzione  legislativa
garantistica, tesa a riaffermare che nel  nostro  sistema  penale  la
punibilita' e' subordinata alla commissione di un  fatto  tipico  di'
reato, quantomeno nella forma del delitto tentato. 
    Posto che la nozione  di  tentativo  (superata,  con  il  vigente
codice  la  precedente  distinzione  tra  atti  preparatori  e   atti
esecutivi), si' fonda sul concetto di atti idonei diretti in modo non
equivoco  a  realizzare  un  delitto,  il  legislatore  ha   ritenuto
necessario, appunto attraverso l'introduzione  dell'art.  115  codice
penale, individuare il limite della rilevanza penale del tentativo. 
    Al tempo stesso, tuttavia, non puo' negarsi che quella  del  c.d.
«quasi reato» non e' figura penalmente irrilevante. 
    I commi 2, 3 e 4 dell'art. 115 codice penale prevedono, nei  casi
ivi contemplati, la possibilita', per il giudice, di'  applicare  una
misura di sicurezza a uno o a entrambi i protagonisti  della  vicenda
(al solo istigatore, in caso di istigazione non accolta), laddove  se
ne ravvisi  la  pericolosita'  sociale  (art.  202,  comma  2  c.p.),
evenienza appunto realizzatasi, nel caso di specie. 
    Va a tal riguardo evidenziato che la valutazione in  ordine  alla
pericolosita' sociale della persona,  anche  nelle  ipotesi  di  c.d.
«quasi reato», deve compiersi sulla base delle  circostanze  indicate
nell'art.  133  codice   penale,   ossia   dei   medesimi   parametri
utilizzabili in caso di commissione di un fatto previsto dalla  legge
come reato e che anche la  tipologia  di  misure  applicabili  e'  la
stessa. 
    In secondo luogo, l'applicazione, da parte del  giudice,  di  una
misura di sicurezza personale, presuppone  oltre  a  un  giudizio  di
pericolosita' attuale del soggetto  all'epoca  della  sentenza  -  la
verifica che l'accordo o l'istigazione di cui si tratta  rivestissero
carattere di serieta' (in caso, ad es.,  di  scherzo  o  di  semplice
vanteria, la pericolosita' dei  soggetti  coinvolti  sarebbe  esclusa
all'origine). 
    Cio' posto, il Tribunale ritiene che, in situazioni siffatte,  la
mancata partecipazione del condannato all'opera di rieducazione (art.
54 O.P.) attinga a livelli di particolare pregnanza, tali da  rendere
quanto meno non manifestamente infondato il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale in  ordine  alla  mancata  previsione,  da  parte  del
legislatore,  della  possibilita',  da   parte   del   Tribunale   di
sorveglianza, di disporre la revoca del beneficio  della  liberazione
anticipata in precedenza concesso e cio' in riferimento agli artt.  3
e 27, comma 3 della Costituzione. 
    Per quanto concerne il principio di'  uguaglianza  dei  cittadini
davanti alla legge, si rileva che tra  un  tentativo  punibile  e  un
accordo o a una istigazione a commettere un reato, non seguiti  dalla
sua realizzazione, sussiste spesso una differenza minima, in  special
modo  laddove  all'accordo  o  all'istigazione  siano  seguiti   atti
preparatori del delitto programmato (nel caso in esame,  ad  esempio,
sono stati dimostrati spostamenti patrimoniali, a titolo di compenso,
tra i  soggetti  coinvolti,  nonche'  l'esecuzione  di  sopralluoghi,
seppur sommari, sul luogo di esecuzione, elementi riguardo ai quali i
giudici di merito hanno diffusamente argomentato). 
    Identica, pero', appare l'intentio criminis (non sembra superfluo
sottolineare che l'art. 54, comma 3 cit., come  detto,  subordina  la
revocabilita' del beneficio all'intervenuta condanna per delitto «non
colposo», con cio' mostrando di attribuire rilievo, a  tal  fine,  ai
soli comportamenti volontari) e la conseguente pericolosita'  sociale
dei soggetti coinvolti. 
    Tali comuni caratteristiche inducono il collegio a dubitare della
conformita' al disposto dell'art. 3 di una disciplina che in un  caso
consenta al Tribunale di  sorveglianza  di  disporre  la  revoca  del
beneficio  della  liberazione  anticipata   e   lo   escluda   invece
nell'altro. 
    Quanto al secondo dei principi  richiamati,  si  osserva  che  la
mancata  previsione  del  potere  di  revocare  il  beneficio   della
liberazione anticipata  a  suo  tempo  concesso,  in  presenza  delle
descritte circostanze, si pone  in  contrasto  con  il  principio  di
finalita' rieducativa della pena ai sensi dell'art. 27, comma 3 della
Costituzione, la cui concreta attuazione  non  puo'  prescindere,  in
generale, dalla possibilita' per la Magistratura di  Sorveglianza  di
valutare   eventuali   sopravvenienze,   sintomatiche,   in    misura
significativa, della mancata adesione, del condannato, al trattamento
o al progetto risocializzante avviato nei  suoi  confronti  (di  cio'
costituiscono espressione, ad esempio, i poteri  di  sospensione  e/o
revoca delle misure  alternative  concesse)  e,  in  particolare,  di
riconsiderare  il  riconoscimento  del  beneficio  della  liberazione
anticipata, a fronte di condotte, espressive al pari  di  un  delitto
tentato, di un'intenzione criminosa  e  della  pericolosita'  sociale
dell'autore (nei cui confronti, infatti,  il  giudice  di  cognizione
applica una misura di sicurezza),  poste  in  essere  successivamente
alla concessione  del  beneficio  stesso  e  che  non  hanno  trovato
concreta realizzazione unicamente a  causa  di  fattori  indipendenti
dalla volonta' del soggetto. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta la rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 3, legge
n. 354/1975, nella parte in cui non prevede  che  possa  disporsi  la
revoca del beneficio della liberazione anticipata anche nel  caso  di
intervenuta assoluzione del condannato ai sensi dell'art. 115  codice
penale, qualora nei suoi confronti sia stata disposta  l'applicazione
di una misura di' sicurezza, per ritenuto contrasto con gli arti. 3 e
27 comma 3 della Costituzione. 
    Sospende il presente procedimento nei confronti di Fabbri Mauro. 
    Dispone la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche',  ove  ne  ravvisi   i   presupposti,   voglia   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  54,  comma  3,  legge  n.
354/1975, nella parte indicata. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti  della  due
Camere del Parlamento. 
    Manda la cancelleria per gli adempimenti. 
        Bologna, 10 ottobre 2019 
 
                      Il Presidente: Mirandola 
 
 
                                   Il Magistrato estensore: Farinella