N. 1 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 gennaio 2020
Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti depositato in cancelleria il 12 febbraio 2020 (della Regione Veneto). Paesaggio (Tutela del ) - Decreto del Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo del 5 dicembre 2019, recante «Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore» - Previsione che nelle aree predette vige la disciplina, insuscettibile di rimozione e immodificabile nonche' parte integrante del Piano paesaggistico, intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. - Decreto del Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il Turismo del 5 dicembre 2019, recante «Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore».(GU n.11 del 11-3-2020 )
Ricorso per conflitto di attribuzione ex art. 134 della Costituzione della Regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della giunta regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Botteon (C.F. BTTFNC61L01M089S pec francobotteon@pec.ordineavvocatitreviso.it), vice coordinatore dell'Avvocatura regionale e Paolo Stella Richter (C.F. STLPLA38E07H501L pec paolostellarichter@ordineavvocatiroma.org) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, viale Mazzini n. 11 (per eventuali comunicazioni fax 06/32110170 posta elettronica certificata paolostellarichter@ordineavvocatiroma.org francobotteon@pec.ordineavvocatitreviso.it) giusta mandato a margine del presente atto, nel giudizio promosso Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 per l'annullamento del decreto ministeriale 5 dicembre 2019, n. 1676/2019, recante: «Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore (B)», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 299 del 21 dicembre 2019», nonche' di ogni altro atto comunque connesso o presupposto. Fatto Con decreto rep. n. 1676/2019 del 5 dicembre 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 299 del 21 dicembre 2019, il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il turismo ha disposto la dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val d'Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore. Il provvedimento in parola, nell'imporre una peculiare disciplina d'uso di una vasta area geografica ricompresa nel territorio della Regione del Veneto, al fine di assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato, dispone che esso «costituisce parte integrante del Piano paesaggistico di cui all'art. 143 del decreto legislativo n. 42/2004 e non e' suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del succitato Piano». Nello specifico il provvedimento ministeriale involge le circoscrizioni territoriali dei Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore, con esclusione del Lago di Misurina e della Val Visdende gia' soggette a tutela ai sensi dell'art. 136 del decreto legislativo n. 42/2004. A giustificare la dichiarazione di notevole interesse pubblico di un'area geografica tanto vasta e varia e' stato addotto che: «Le condizioni di particolarita' e originalita' orografica e geografica che contraddistinguono tale ambito non dipendono esclusivamente dalla presenza di singoli episodi di pregio estetico-percettivo, quanto da una serie di sistemi di espressione minuta - elementi morfologici, naturalistici, ambientali, antropici e culturali, capillarmente diffusi e particolarmente ben conservati - che tra loro sommati conferiscono all'ambito di riferimento un aspetto unitario e uno spiccato carattere d'identita', di notevole interesse pubblico. In particolare, il paesaggio in questione non e' definito da sole bellezze naturali (Dolomiti) e siti panoramici, ma e' il risultato dell'interazione tra gli aspetti naturali e una secolare azione antropica, che ha dato forma al contesto e prodotto elementi di pregio, i quali punteggiano in modo diffuso i luoghi. Il sistema insediativo dei nuclei abitati, le pratiche agrosilvopastorali di versante, l'andamento geografico e orografico del territorio, l'estrema varieta' di ambienti e microambienti naturali riscontrabili in un'area di limitate dimensioni, concorrono insieme a definire un unicum paesaggistico straordinariamente conservato, fatto di trame naturali, storiche e culturali tra loro sovrapposte e inscindibili.». Per effetto del decreto ministeriale in parola qualunque intervento di modifica dello stato dei luoghi, nella vasta area considerata, esige la previa adozione del provvedimento autorizzatorio di cui all'art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004. Sono, inoltre, posti puntuali e plurimi vincoli d'uso ai sensi dell'allegato A) del medesimo decreto, recante: «Relazione e disciplina d'uso». Nello specifico, tale disciplinare, privilegiando finalita' meramente conservative, pone specifici vincoli che si estendono a ogni aspetto di utilizzo del territorio, involgenti le componenti idrogeomorfologiche, le componenti ecosistemiche e ambientali, le componenti culturali e insediative, le componenti agrarie, le componenti infrastrutturali fino a disciplinare l'apposizione di insegne e cartelloni pubblicitari, di recinzioni e la rilevantissima regolamentazione dei comparti sciistici. A tale riguardo, occorre rilevare che nella vasta area cui si estende la disciplina di salvaguardia posta unilateralmente del Ministero, i vincoli imposti ex lege abbracciano gia' la quasi totalita' del territorio e pressoche' tutti i versanti vallivi, ragion per cui viene meno ogni ragione di urgenza, atta a giustificare la introduzione di un vincolo generale e pervasivo, idoneo, peraltro, nel caso di specie, come si dimostrera' nel proseguo, ad elidere la competenza pianificatoria paesaggistica regionale. Infatti, come rilevato nel parere espresso dalla Regione del Veneto nell'ambito del procedimento di apposizione del vincolo (DGR n. 585 del 9 maggio 2019), per effetto della stratificazione di tutele imposte ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettere b), c), d), e) g) e h), del decreto legislativo n. 42/2004, la quasi totalita' del territorio (96,6%, comprensivo delle aree boschive) proposto alla dichiarazione di notevole interesse pubblico e' assoggettato a tutela paesaggistica. Ne consegue che la previsione di una disciplina vincolistica d'uso, dettagliata, puntuale e pervasiva, quale quella contenuta nel decreto ministeriale in questa sede impugnato, da un lato eccede ogni necessita' di tutela e dall'altro canto presenta in concreto un contenuto pianificatorio che mal si attaglia alla teleologia del potere previsto dall'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 e che esautora le regioni di una competenza codecisoria riservata alle stesse dalla medesima normativa statale attuativa del dettato costituzionale. La condivisibile esigenza di tutela e salvaguardia del paesaggio, delle bellezze naturali e dell'ambiente viene, percio', a essere posta in un contesto di tutele gia' sufficienti, con conseguente irragionevole detrimento degli altri interessi coinvolti e palese esercizio sviato del potere afferente alla tutela del paesaggio da parte del Ministero. Soprattutto, ove si tenga a mente che il decreto ministeriale ha previsto nell'allegato A, contenente la «disciplina d'uso per la tutela e la valorizzazione», prescrizioni dettagliate, puntuali, pervasive e inderogabili, tali da menomare ogni valutazione di compatibilita' paesaggistici di qualsiasi intervento da realizzare nel Comelico. In via generale, poi, il decreto impugnato ritiene "ammissibili solamente quegli interventi che prevedano la conservazione", perseguendo unilateralmente una pur apprezzabile finalita', che pero' volge in illegittimita' per le seguenti ragioni di Diritto 1. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004. Eccesso di potere per irragionevolezza, violazione del principio di proporzionalita' e sviamento di potere. Violazione dei principi di leale collaborazione, buon andamento, sussidiarieta' e adeguatezza, decentramento amministrativo, riconoscimento e promozione delle autonomie locali, correttezza e buona fede, di cui rispettivamente agli articoli 120, 97, 118 e 5 della Costituzione e 1366 nonche' 1375 del codice civile. L'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 fa salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'art. 136 (nel caso di specie si ha riguardo a «complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici»), derogando in tal modo al procedimento ordinario che attribuisce la competenza decisoria a tale riguardo alle regioni (art. 140, comma 1 del decreto legislativo n. 42/2004). In ragione dell'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non e' suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo. La naturale finalita' del potere in parola e', dunque, quella di assoggettare singoli beni immobili o un complesso degli stessi ad un vincolo specifico, il quale, esprimendo esigenze di tutela puntuali, si pone in un rapporto di impermeabilita' rispetto alle previsioni del piano paesaggistico, che non puo' alterarne le prescrizioni, neppure in fase di revisione dei propri contenuti. Ove, invece, il provvedimento abbia ad oggetto non gia' complessi immobiliari, eventualmente anche vasti, ma intere aree geografiche, dalle connotazioni varie e multiformi, per non dire disomogenee, ed abbia un contenuto a valenza pianificatoria, come nel caso di specie, la dichiarazione di notevole interesse pubblico muta da legittimo strumento di salvaguardia dei valori paesaggisti, a mezzo unilaterale di ingerenza, idoneo a pregiudicare, se non ad elidere del tutto, la competenza pianificatoria in materia paesaggistica, che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale (v., da ultimo, la sentenza n. 66 del 2018), esige un «obbligo di elaborazione congiunta» da parte dello Stato e delle regioni. Con riguardo al territorio della Regione del Veneto, la complessa attivita' prodromica alla pianificazione paesaggistica e' stata intrapresa a far data dall'intesa Stato-Regione del 2009 ed e' sempre proseguita con periodiche riunioni, da ultimo ancora nel dicembre 2019. Nessuna inerzia e', percio', riscontrabile nel procedimento di pianificazione paesaggistica, il quale, invece, esige un'attivita' amministrativa e tecnica di analisi molto complessa e articolata, e dunque necessariamente lunga; peraltro, essa e' oramai prossima a consentire l'adozione, quanto meno per stralci progressivi, del piano paesaggistico, secondo una valutazione condivisa, complessiva, esaustiva e ponderata dei valori paesaggistico-ambientali in uno con tutti gli altri interessi coinvolti nella disciplina pianificatoria del territorio regionale. Ne consegue che non solo in astratto, ma pur anche in concreto, il necessario concorso decisorio statale e regionale in materia e' stato illegittimamente eliso in ragione dell'unilaterale apposizione dei vincoli conseguenti alla dichiarazione di notevole interesse pubblico da parte del Ministero, mediante l'esercizio del potere «straordinario» (1) di cui al comma 3 dell'art. 138 del decreto legislativo n. 42/2004, cui, peraltro, le regioni partecipano unicamente mediante l'espressione di un parere obbligatorio, il che si traduce, in ragione del cedevole ed eventuale apporto collaborativo regionale, in una ulteriore ragione di lesione della competenza co-decisoria attribuita agli enti territoriali in materia di tutela paesaggistica nonche' in una violazione del principio di leale collaborazione che e' posto a fondamento della stessa. Il principio di leale collaborazione e', infatti, previsto dall'art. 120, comma 2, della Costituzione, e «opera su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e regioni, senza che assuma rilievo la distinzione fra competenze amministrative proprie o delegate». (Sentenza n. 242/1997). Il decreto ministeriale e', percio', illegittimo in quanto contraddice l'assetto competenziale disegnato dal legislatore statale, in attuazione del dettato costituzionale, e cio' in assenza dei presupposti giustificativi, come sara' meglio evidenziato nel quarto motivo di impugnazione (articoli 135, 138 e 143 decreto legislativo n. 42/2004), e determinando una indebita elisione della competenza regionale, diretta e delegata, in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, nonche', mediatamente, in materia di governo del territorio, di turismo e di agricoltura. D'altronde, in considerazione delle concrete modalita' di esercizio del potere da parte del Ministero, che investono un'area molto estesa del territorio regionale, ponendo vincoli puntuali, dettagliati e inderogabili, si determina un palese sviamento di potere, ossia al formale rispetto dell'attribuzione di cui all'art. 138, comma 3, del decreto legislativo 42/2004, si sovrappone un esercizio concreto del potere sovrabbondante, lesivo delle altrui competenze e deviato dall'ordinario corso teleologico che avrebbe dovuto percorrere. A tale riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che: «la dichiarazione di interesse pubblico riguardante un area "vasta" non costituisce percio' di per se' espressione di una funzione di pianificazione», posto che essa «non attiene a tale funzione ne' la acquisisce per il mero fatto dell'integrazione nel piano, unico atto cui la funzione e' invece attribuita anche allo scopo, ulteriore rispetto alle determinazioni singole, di coordinare in un quadro complessivo l'interazione tra i vincoli di diverso tipo gravanti sul territorio qualificato come paesaggio». (Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 534, del 29 gennaio 2013). Sennonche', con riguardo al caso di specie, tale conclusione e' smentita o, rectius, corroborata a contrario, in quanto l'ampiezza e il contenuto del decreto ministeriale impugnato e' tale da trasfigurarlo in un vero e proprio atto di pianificazione. Basti considerare che lo stesso provvedimento richiama al punto 3 dell'allegato A, recante: «Disciplina d'uso per la tutela e la valorizzazione», il contenuto dell'art. 135, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004, il quale elenca puntualmente le prescrizioni e previsioni che devono connotare il piano paesaggistico, al quale dunque il decreto ministeriale ha inteso sostituirsi in toto. A titolo meramente esemplificativo, poi, si legga la disciplina prescrittiva relativa alla «Nuova edificazione», rispetto a cui e' previsto che: «Gli eventuali interventi di nuova edificazione dovranno essere ubicati nei lotti liberi interclusi nell'edificato esistente o in contiguita' con esso, salvaguardando i contesti attualmente ancora integri». Il decreto ministeriale pone, percio', un divieto assoluto di edificazione per vaste aree del territorio del Comelico e indipendentemente dalla compatibilita' paesaggistica delle nuove costruzioni. Ossia queste potranno essere realizzate unicamente nei lotti liberi interclusi o adiacenti all'edificato, impedendo ogni opera sulle altre aree libere, anche nell'ipotesi, tutt'altro che peregrina, che esse soddisfino l'esigenza di un armonico inserimento nel contesto paesaggistico, nel rispetto della morfologia dei luoghi. Si eccede, dunque, di gran lunga il fine di tutela del paesaggio, assumendo invece il provvedimento impugnato una illegittima valenza pianificatoria, che, resa immodificabile dall'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, assume una lesivita' ancora piu' pervasiva e deleteria. Conferma, peraltro, dello sviamento di potere sotteso al decreto ministeriale nonche' testimonianza della irragionevolezza dello stesso si ricava dalla parte motiva, ove si dichiara che: «Nelle more della redazione del Piano Paesaggistico, i cui contenuti sono specificati all'art. 143 del decreto legislativo n. 42/2004, questa Amministrazione ha quindi ritenuto necessario avviare il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico cosi' come stabilito all'art. 138, comma 3, in quanto - a differenza della pianificazione territoriale vigente - risulta allo stato attuale l'unico strumento immediatamente operante in grado di imporre una specifica disciplina d'uso funzionale, in maniera sovraordinata, alla tutela paesaggistica, peraltro in piena coerenza con quanto richiesto per l'elaborazione del piano paesaggistico». L'intervento ministeriale troverebbe, dunque, ragion d'essere quale strumento di tutela paesaggistica provvisoria e interinale, diretta a salvaguardare il sistema di valori storico-culturali e paesaggistici del Comelico, esclusivamente nelle more dell'adozione del Piano paesaggistico. Sennonche' lo strumento giuridico adoperato esorbita da tale finalita', imponendo vincoli puntuali, inderogabili e immodificabili da parte della successiva Pianificazione paesaggistica, in tal modo espropriando definitivamente le regioni della competenza loro attribuita in via ordinaria dalle stesse leggi statali e conferendo ad un provvedimento puntuale di tutela un'estensione abnorme ed eccentrica. Il provvedimento ministeriale viene, infatti, come evidenziato, a sostituirsi al piano paesaggistico, adottando un contenuto pianificatorio e regolatorio che eccede quanto consentito dalla norma di relazione attributiva del relativo potere. Ulteriore comprova della illegittimita' del provvedimento impugnato si rinviene nella sua intrinseca contraddittorieta' ed eccentricita' motivazionale, laddove pone a proprio fondamento la necessita' di intervenire per porre rimedio ai «fattori di rischio e (a)gli elementi di vulnerabilita' presenti nell'ambito identificato» che «sono principalmente ascrivibili al processo di abbandono del versante, al declino del settore primario e a fenomeni di spopolamento». Si tratta, infatti, di fattori di valenza sociale e socio-economica, che rischiano, peraltro, di essere ulteriormente aggravati dai vincoli posti dal provvedimento ministeriale e che, ad ogni buon conto, nulla hanno a che vedere rispetto alle esigenze di tutela paesaggistica che dovrebbero informare il decreto impugnato. La condotta amministrativa posta in essere dal Ministero pare, inoltre, violare in concreto il generale dovere di buona fede e correttezza che deve operare non solo nei rapporti tra privati, ma anche in quelli tra privati e amministrazioni e tra amministrazioni, laddove esse debbano esercitare sovrapposte competenze amministrative, nel perseguimento dell'interesse generale affidato alle loro rispettive cure. In pendenza del procedimento di pianificazione paesaggistica, oggetto di accordi e di continuativa e decennale collaborazione procedimentale, la parte pubblica statale ha deciso, unilateralmente, di porre nel nulla tutta l'attivita' svolta, adottando una disciplina unilaterale inderogabile e pregiudicante. Ben sarebbe stato possibile, invece, ove se ne fosse ravvisata la necessita' (invero assente, come si vedra' nel proseguo), sollecitare l'adozione congiunta di uno stralcio del piano paesaggistico relativamente all'area del Comelico. Sul dovere di correttezza e di buona fede nei rapporti tra amministrazioni, analogamente a quanto avviene nei rapporti con e tra privati (codice civile, articoli 1366, 1375), si vedano, tra le altre, Consiglio di Stato, VI, 5 giugno 2017, n. 2690; Consiglio di Stato, III, 2 maggio 2017, n. 2014; Consiglio di Stato V, 21 aprile 2017, n. 1868; Consiglio di Stato, VI, 5 aprile 2017, n. 1590; Consiglio di Stato, VI, 23 marzo 2016, n. 1200; Consiglio di Stato, V, 16 giugno 2016, n. 2644; Consiglio di Stato, III, 5 ottobre 2016, n. 4105. Sull'obbligo di leale collaborazione si vedano anche Consiglio di Stato, VI, 23 febbraio 2016, n. 727, Consiglio di Stato, VI, 23 agosto 2016, n. 3681 e infine Consiglio di Stato, V, 9 luglio 2012, n. 3996. 2. Violazione degli articoli 4 e 6, comma 2, decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e della direttiva 2001/42/CE «Concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente naturale» In considerazione dell'estensione disciplinatoria, quantitativa e qualitativa, del provvedimento ministeriale emerge un ulteriore motivo di illegittimita' dello stesso. La disciplina comunitaria, infatti, e la normativa statale attuativa della stessa esigono che qualunque attivita' di pianificazione che possa avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale nonche' incidere sul regime autorizzatorio di taluni interventi da compiersi sul territorio sia assoggettata a VAS (art. 6, commi 1 e 2, lettera a) decreto legislativo n. 152/2006). A tale riguardo, nonostante il contrario avviso di parte della giurisprudenza amministrativa, che non pare peraltro condivisibile in ragione della pervasivita' della disciplina comunitaria, che prevede un obbligo generale e refrattario a deroghe, si deve ritenere che anche i piani paesaggistici debbano essere assoggettati alla Valutazione ambientale strategica. Ne consegue che il decreto ministeriale in parola, sostituendosi contenutisticamente al piano paesaggistico, avrebbe dovuto essere preceduto dalla VAS. Nel caso di specie non risulta, invece, che il provvedimento ministeriale sia stato assoggettato a VAS, il che ne attesta l'illegittimita' sotto questo ulteriore profilo. 3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004 per violazione degli articoli 3, 97, 117, commi 3 e 4, 118 della Costituzione. Laddove non si ritengano fondati i precedenti motivi di impugnazione e il potere attribuito allo Stato dall'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 sia ritenuto legittimamente esercitato, pur ove, come nel caso di specie, abbia un contenuto esorbitante e involga un ambito territoriale non limitato a circoscritti e caratteristici complessi immobiliari, ma operi invece su di una area tanto ampia da esautorare il Piano paesaggistico del suo ambito di applicazione, la relativa disciplina legislativa dovra' ritenersi non conforme a Costituzione. Cio', in particolare, in ragione della impermeabilita' del provvedimento ministeriale rispetto al potere concertato di pianificazione paesaggistica, stabilita dall'art. 140, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Impermeabilita' che determina la violazione degli artiocli 3, 97 della Costituzione in uno con gli articoli 118 e 117, commi 3 e 4 della Costituzione. Quanto alla rilevanza, nel presente giudizio, della prospettata questione di costituzionalita', basti considerare che le prescrizioni unilaterali contenute nel provvedimento ministeriale impugnato assumono una connotazione lesiva e irragionevole in forza proprio della inderogabilita' prevista dall'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004. La declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione di legge in parola e', percio', indispensabile al fine di poter vedere dichiarata l'illegittimita' del decreto ministeriale impugnato, nella parte in cui esso assume carattere inderogabile rispetto alle prescrizioni del piano paesaggistico. Da cio' la rilevanza della questione di costituzionalita' ai fini di decidere il presente giudizio. Quanto alla non manifesta infondatezza della prospettata questione di costituzionalita', si deve rilevare che l'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, elidendo in modo definitivo la competenza codecisoria dello Stato e delle regioni in materia di pianificazione paesaggistica, anche in riferimento ad ampie porzioni di territorio, si pone in contraddizione con i principi di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione nonche' con il principio di proporzionalita', traducendosi in uno strumento irragionevole, eccentrico rispetto alle finalita' di tutela che lo connotano e, comunque, non necessario ed eccedente i fini di salvaguardia perseguiti. In particolare, il potere unilaterale del Ministero appare commensurabile rispetto a fini di salvaguardia e tutela paesaggistica unicamente nella misura in cui si rivolga a specifiche e puntuali aree o complessi immobiliari (nella misura massima indicativa di un centro storico, per espressa previsione di legge), senza estendersi a porzioni di territorio la cui vastita', invece, esige che le decisioni di salvaguardia siano adottate a livello di pianificazione paesaggistica, mediante l'intervento codecisorio degli organi dello Stato e delle regioni interessate. E, comunque, al piu', nei limiti in cui resti impregiudicata la possibilita', in sede di pianificazione paesaggistica, di modificarne il contenuto al fine di realizzare la migliore tutela possibile del valore paesaggio. Possibilita' che, invece, e' espressamente esclusa dalla disposizione di legge sospettata di incostituzionalita'. D'altronde, la impermeabilita' delle unilaterali decisioni ministeriali, come determinata dal combinato disposto degli articoli 138, comma 3 e 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, si traduce, oltre che in un elemento di irragionevolezza, anche in uno strumento diretto di lesione delle competenze regionali, in particolare, in violazione dell'art. 118 della Costituzione nonche' dell'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione, in quanto risultano elise, in modo definitivo ed irretrattabile, le competenze amministrative regionali in materia, come attribuite dalle stesse norme interposte statali, nonche' la competenza legislativa regionale in materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali, di governo del territorio, turismo e agricoltura. Si determina, inoltre, in ragione della previsione dell'art. 140, comma 2, del decreto legislativo 42/2004, una lesione anche dell'art. 97 della Costituzione, in quanto l'impermeabilita' dei vincoli posti unilateralmente dal Ministero si traduce in una violazione del principio di buon andamento del pubblico agire, il quale esige che ogni potere sia esercitato per il miglior perseguimento del pubblico interesse, senza, pero', introdurre, come nel caso di specie, vincoli idonei a consolidarsi a pregiudizio del successivo possibile adeguamento contenutistico e teleologico, tanto piu' necessario in un settore quale quello della pianificazione territoriale. Peraltro, anche tale violazione ridonda in una lesione della competenza amministrativa regionale di cui all'art 118 della Costituzione, come riconosciuta alle regioni dalla legge dello Stato, nonche' dell'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione. A tale riguardo non si ignora che la «tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali» (sentenza Corte costituzionale n. 367 del 2007); restando salva unicamente la facolta' delle regioni «di adottare norme di tutela ambientale piu' elevate nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell'ambiente» (ut supra). Cionondimeno, l'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, in ragione della rilevata irragionevolezza, gia' invero di per se' rilevante sotto il profilo costituzionale, sembra rendere illegittima la prevista compressione delle competenze regionali, come peraltro attribuite nell'ambito di un disegno organico da parte dello stesso legislatore statale in attuazione della Costituzione della Repubblica italiana; attribuzioni le quali risultano irragionevolmente elise dal combinato disposto degli articoli 138, comma 3 e 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, con grave detrimento del pubblico interesse, il che si traduce in una violazione pur anche del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della Costituzione, che deve presiedere i rapporti tra lo Stato e le regioni e che ha trovato un adeguato equilibrio nella previsione di un potere codecisorio nell'adozione del piano paesaggistico. Per tali ragioni si ritiene che, ove ritenuta legittima l'esegesi estensiva del potere di cui all'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004, debba essere sollevata questione di costituzionalita' in relazione all'art. 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, affinche' la Corte costituzionale ne dichiari l'illegittimita' costituzionale. 4. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, irragionevolezza manifesta e violazione dei principi che presiedono alla pianificazione urbanistica e paesaggistica. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 138, comma 3, e dell'art. 140 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Violazione del principio di proporzionalita' di cui all'art. 3 della Costituzione. Il Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 534, del 29 gennaio 2013, ha affermato che il potere di cui all'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 e' un «potere-dovere d'intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto nei primi due commi, che l'ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi in cui, in base a valutazioni anche di discrezionalita' tecnica, possa essere concretamente a rischio l'interesse costituzionalmente affidato allo Stato». Nel caso di specie non e' dato rinvenire nella parte motiva del provvedimento impugnato alcuna argomentazione che evidenzi un rischio concreto di lesione per l'interesse paesaggistico quanto alla vasta area considerata. Sono addotte, invece, una serie di considerazioni descrittive delle qualita' paesaggistiche del Comelico (condizioni di particolarita' e originalita' orografica e geografica; interazione tra aspetti naturali e secolare azione antropica) e l'unico motivo che giustificherebbe l'urgenza di tutela e' individuato nel fattore di rischio e nell'elemento di vulnerabilita' ascrivibile al processo di abbandono dei versanti, al declino del settore primario ed a fenomeni di spopolamento. Non e' dato comprendere, invero, come tali fattori possano incidere negativamente sul bene paesaggio alla cui tutela il provvedimento ministeriale e' diretto. Al contrario lo spopolarsi dell'area e il declino rurale ed economico dovrebbero essere considerate fonti di riduzione del «rischio» paesaggistico, che invece si potrebbe presentare in presenza di un ripopolamento dell'area o di un intensivo sviluppo economico. Quanto alla asserita necessita' di «guidare» il processo di riqualificazione del Comelico, essa non presenta caratteri di attualita' e avrebbe dovuto, peraltro, essere affidata alla potesta' pianificatoria paesaggistica, cui naturalmente afferisce tale finalita' ex art. 135, comma 4, lettera b) e d) decreto legislativo n. 42/2004. Ne consegue che la mancanza in concreto del presupposto giustificativo del potere di cui all'art. 138, comma 3 del decreto legislativo n. 42/2004, come enucleato dalla giurisprudenza amministrativa, determina l'illegittimita' del decreto ministeriale impugnato. D'altronde l'iniziativa statale qui criticata appare illegittima anche perche' sembra presupporre la insufficienza dei vari vincoli gia' esistenti, laddove e' invece oggettivamente constatabile che essi sono stati ampiamente sufficienti, atteso che siamo in presenza di un ambiente perfettamente conservato e di ineguagliabile bellezza. Si denuncia, ancora, la irragionevolezza di una disciplina uniforme per un territorio di notevole estensione, che presenta (e non potrebbe essere diversamente) situazioni anche molto differenziate e la sproporzione del provvedimento impugnato evidentemente non necessario ed eccedente i fini di salvaguardia perseguiti. La disciplina introdotta con la determinazione impugnata ha carattere dichiaratamente immutabile; il che denuncia una assoluta ignoranza della esigenza per cui qualsiasi pianificazione, non solamente quella urbanistica e paesaggistica, richiede un continuo aggiornamento per corrispondere compiutamente e tempestivamente alle esigenze di una societa', che da contadina che era negli anni '40 e' divenuta industriale, poi post industriale e ora telematica e quindi soggetta ad un sempre piu' rapido cambiamento. 5. Violazione delle attribuzioni riservate alla soprintendenza e ai comuni. Violazione sotto ulteriore profilo dell'art. 118 della Costituzione. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta e disparita' di trattamento nei confronti di una zona che si attende un adeguato sostegno al suo sviluppo economico-sociale. Venendo ora ad un esame del particolare contenuto dell'impugnato provvedimento, balza agli occhi il fatto di costituire un insieme di vincoli puntuali a priori (cosiddetti «vestiti»), vincoli che invece di regola consistono nella sola necessita' che qualsiasi innovazione richieda il previo nulla-osta del soprintendente, che ha appunto il compito di valutare caso per caso lo specifico intervento progettato ai fini della sua compatibilita' con il mantenimento di quell'esteriore aspetto del luogo che la legge intende proteggere. Si tratta di un potere di discrezionalita' tecnico - valutativa di cui sono esclusivamente attributari i soprintendenti e di cui gli stessi non possono essere espropriati senza oltre tutto renderli organi assolutamente inutili. Ne' la denunciata illegittima espropriazione e' limitata alle soprintendenze; forse addirittura piu' grave e' quella di cui sono vittime i comuni, primi e piu' diretti titolari del potere di controllo di quell'elemento costitutivo essenziale che e' il loro territorio. Ed invero, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, il comune ha una competenza «propria», quindi non attribuita o delegata. Ora tale competenza e' propria secondo un criterio storico, nel senso che i liberi comuni, sin dal primo Medioevo e cioe' sin dal secolo decimosecondo, hanno sempre rivendicato, in via esclusiva di ogni dipendenza feudale o anche imperiale, il potere di stabilire dove creare la torre civica, la piazza principale, la cattedrale e in genere di disciplinare il proprio abitato. L'espressione «la citta' rende liberi» sta proprio a significare la possibilita' del comune di attribuire al cittadino, per la prima volta nella storia, quattro secoli prima della nascita degli Stati moderni e sette secoli prima della rivoluzione francese, la piena proprieta' della sua abitazione e delle sua bottega. Questa «competenza propria», attribuita al comune direttamente dalla Costituzione, non puo' essere soppressa ne' dallo Stato, ne' dalla stessa regione, con la quale il comune deve varare il proprio piano regolatore in una collaborazione che vede pero' la posizione del comune come prevalente. Le conseguenze non sono solo quelle cosi' denunciate e di carattere formale, ma anche e soprattutto di carattere socio-economico: si pensi al caso del Comelico, zona di incomparabile bellezza rimasta sin'ora estranea allo sviluppo delle contigue Dolomiti, impoverita e spopolata. Tutto cio' premesso e ritenuto, (1) V. Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 534, del 29 gennaio 2013, ove si afferma che il potere in parola e' un «potere-dovere d'intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto nei primi due commi, che l'ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi in cui, in base a valutazioni anche di discrezionalita' tecnica, possa essere concretamente a rischio l'interesse costituzionalmente affidato allo Stato».
P.Q.M. Si conclude perche' piaccia a codesta ecc.ma Corte annullare l'impugnato decreto, in quanto lesivo delle competenze e delle prerogative costituzionalmente riservate alla regione. Venezia-Roma, 28 gennaio 2020 Avv. Botteon - Avv. Prof. Stella Richter (Omissis)