N. 39 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2019

Ordinanza del 18 settembre 2019 della Corte d'appello di  Napoli  nel
procedimento civile promosso da R.C. contro Balga S.r.l.. 
 
Lavoro e occupazione - Disciplina del contratto  di  lavoro  a  tempo
  indeterminato a tutele crescenti -  Licenziamento  collettivo  (nel
  caso di specie, per riduzione  di  personale)  -  Violazione  delle
  procedure o  dei  criteri  di  scelta  -  Applicazione  del  regime
  previsto dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo  n.  23  del
  2015 (tutela indennitaria). 
- Legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo  in  materia  di
  riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il  lavoro  e
  delle politiche  attive,  nonche'  in  materia  di  riordino  della
  disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attivita' ispettiva  e  di
  tutela e conciliazione  delle  esigenze  di  cura,  di  vita  e  di
  lavoro), art. 1, comma 7; decreto legislativo 4 marzo 2015,  n.  23
  (Disposizioni  in  materia  di  contratto   di   lavoro   a   tempo
  indeterminato a tutele crescenti,  in  attuazione  della  legge  10
  dicembre 2014, n. 183), artt. 1, comma 2, e 10, anche in  combinato
  disposto con l'art. 3 del medesimo decreto legislativo. 
(GU n.20 del 13-5-2020 )
 
                    LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
                   Sezione controversie di lavoro 
              e di previdenza ed assistenza - I Unita' 
 
    Composta dai magistrati: 
        dott.ssa Isabella Diani, Presidente; 
        dott.ssa Anna Maria Beneduce, consigliere; 
        dott.ssa Matilde Pezzullo, consigliere rel. 
    Riunita in Camera di consiglio ha pronunciato all'udienza del  18
settembre  2019  la  seguente  ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale nella causa civile scritta al n. 2784 r.g.  sez.  lav.
dell'anno 2018 vertente tra: 
        R. C. rappresentata e difesa  dall'avv.  Zampella  Arcangelo,
appellante e Balga S.r.l. in persona del Irpt, rappresentato e difeso
dall'avv. Domenico Puca, appellata. 
Antefatto processuale e svolgimento del processo. 
    1. Premesso di essere stata licenziata a seguito di una procedura
di licenziamento collettivo la Sig.ra R...., con  ricorso  depositato
presso questa Corte in  data  8  ottobre  2018,  interponeva  gravame
avverso la sentenza n. 1110/2018 del Tribunale di Napoli con cui  era
stata rigettata l'impugnativa del licenziamento intimatole in data 1°
luglio 2016. 
    2. Avverso tale licenziamento la sig.ra R.... esponeva di  essere
stata dipendente  della  Balga  S.r.l.  a  seguito  di  passaggio  di
cantiere ex art. 6 CCNL FISE Igiene - a far data dal 1° maggio  2016,
con contratto stipulato ex novo senza riconoscimento della  pregressa
anzianita' di servizio, svolta presso la  societa'  cedente;  che  in
data 15 maggio 2016 le veniva intimato -  unicamente  ad  altri  otto
colleghi - licenziamento ai sensi dell'art. 24, comma 1  della  legge
n. 223/91 con la  motivazione  «riduzione  del  personale»;  che,  in
spregio ai criteri di scelta ex articoli  4  e  5  legge  n.  223/91,
formalmente comunicati alle OO.SS., la ricorrente veniva individuata,
quale lavoratore del ruolo impiegatizio da licenziare, esclusivamente
in quanto rivestiva, prima della  riassunzione,  tale  qualifica  nel
cantiere oggetto del passaggio, posto che tale commessa non prevedeva
piu' tale mansione. Eccepiva la ricorrente la violazione dei  criteri
di scelta, con particolare riferimento alla sua individuazione, visto
che  la  causale  del   licenziamento   -   come   desumibile   dalle
comunicazioni era relativa a tutto i1 personale dell'azienda e non al
solo cantiere di Lacco Ameno e nell'organico aziendale vi erano altre
figure professionali identiche, mai state considerate ai  fini  della
comparazione. 
    3. La sig.ra R...., esponeva altresi' che, adito il Tribunale  di
Napoli in funzione di giudice del lavoro, e chiesta la reintegrazione
nel  posto  di  lavoro  precedentemente  occupato   e   comunque   il
risarcimento  del  danno,  all'esito  del  giudizio,  svoltosi  nella
resistenza della convenuta, il giudice di prime cure aveva  rigettato
il ricorso, per genericita' ed infondatezza dei  motivi,  compensando
le spese. Con i motivi di appello la sig.ra R. ribadiva le tesi e  le
conclusioni gia' formulate in primo grado. 
    4. Opponeva, in particolare, la ricorrente  l'illegittimita'  del
licenziamento intimatole, per violazione dei  criteri  di  scelta  ai
sensi dell'art. 5 della legge n. 223/91  e  comunque  per  violazione
della procedura. 
    5. Modulate le richieste istruttorie la Sig.ra R....,  concludeva
per la riforma della sentenza che aveva rigettato il ricorso. 
    6. Avverso il gravame formulato si costituiva la Balga S.r.l.  la
quale chiedeva il rigetto dell'appello, ritenendo l'assunto infondato
e generico. Esponeva che, in ogni caso, posto che il contratto  della
R...., era stato stipulato in data posteriore al  7  marzo  2015,  la
tutela esperibile  restava  esclusivamente  quella  indennitaria  nei
limiti stabiliti dall'art. 10 del decreto legislativo 4  marzo  2015,
n. 23. 
    Sulla rilevanza delle questioni di  costituzionalita'  sottoposte
al vaglio della Corte. 
    7.  Come  sottolineato  piu'  volte  dalla  Corte  costituzionale
(sentenza n. 185  del  1995  e  n.  390  del  1996),  ai  fini  della
sussistenza della rilevanza della questione da sottoporre  al  vaglio
di costituzionalita' e' sufficiente, a fronte di una motivazione  non
implausibile  fornita  dal  giudice   a   quo,   che   dall'eventuale
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
impugnata, derivi un cambiamento del  quadro  normativo  assunto  dal
giudice rimettente. 
    8. Riassunta come sopra la vicenda processuale  e  alla  luce  di
quest'ultima, ritiene la Corte che  la  decisione,  in  virtu'  della
tempistica  di  costituzione  del  vincolo   contrattuale,   implichi
necessariamente  il  vaglio  e  l'applicazione,   nelle   conseguenze
sanzionatorie nel caso di accoglimento delle domande, della normativa
di cui agli articoli 1, secondo comma e 10 del decreto legislativo  4
marzo 2015, n. 23; 
    9. Il licenziamento oggetto di' causa si riferisce,  infatti,  ad
un'ipotesi disciplinata dall'art. 24 della legge 23 luglio  1991,  n.
223, attuativa della direttiva dell'Unione 98/59/CE. 
    10. Tali licenziamenti sono sottoposti  attualmente,  come  noto,
alla disciplina degli articoli 3 e  10  del  decreto  legislativo  n.
23/15, ad un regime sanzionatorio meramente indennitario. 
    11. Ai fini del presente giudizio,  nella  descritta  prospettiva
della coesistenza di diversi regimi sanzionatori, con  riferimento  a
tale tipologia di licenziamento, assume rilevanza nel giudizio a quo,
il  vaglio  di  conformita'  costituzionale  del   regime   meramente
indennitario, nella formulazione  antecedente  alla  novella  di  cui
decreto-legge n. 87/2018 convertito in legge n. 96/2018. 
    12. Cio' deve avvenire. a parere della Corte, sotto vari profili,
tra  loro  strettamente  connessi.  discendenti   sia   dal   diritto
dell'Unione che, comunque, dalla stessa Carta  Costituzionale,  quali
quelli dell'adeguatezza ed effettivita' della  tutela  per  il  danno
subito dalla  perdita  del  posto  di  lavoro,  ragionevolezza  della
coesistenza  di  plurimi  regimi  sanzionatori,  anche  rispetto   ai
principi di parita' e non discriminazione  dei  lavoratori,  principi
che a loro volta incidono  sul  giudizio  di  aderenza  ai  parametri
costituzionali ed eurounitari. 
    13.  L'eventuale  giudizio   di   non   aderenza   ai   parametri
dell'Unione,  ovvero  ai  parametri  costituzionali  del  coesistente
doppio regime, determinerebbe una modifica della nuova disciplina che
rende pertanto - a giudizio della Corte e come meglio specificato  in
seguito - rilevanti le questioni. 
    Sulla  doppia  pregiudizialita'  della  questione  sottoposta  al
vaglio della Corte. 
    14. Ritiene inoltre questa Corte, in via preliminare, che  stante
i duplici profili di contrarieta' sia con il diritto dell'Unione  che
con la Carta costituzionale, la questione dia luogo ad un'ipotesi  di
cd. «doppia pregiudizialita'», atteso che la  violazione  prospettata
di specifiche previsioni della  Carta  Costituzionale  e'  integrata,
oltre ai motivi di seguito specificati, anche dal  parametro  di  cui
all'art. 117, primo comma Cost. con riferimento a norme del  Trattato
dei Diritti Fondamentali dell'Unione  la  cui  violazione,  pertanto,
concorre con autonoma rilevanza ai fini della decisione del giudizio. 
    15. La riconducibilita' del licenziamento collettivo  nell'ambito
delle competenze normative  dell'Unione  impone,  infatti,  a  questo
Collegio anche un  esame  circa  la  compatibilita'  delle  norme  di
diritto interno, suscettibili  di  applicazione,  ed  in  particolare
degli articoli 1, 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23,
con le previsioni contenute  nella  Carta  dei  Diritti  Fondamentali
dell'Unione (CDFUE) con le norme da esso derivate, sia che si ritenga
che  introducano  diritti  di   immediata   applicazione,   sia   che
stabiliscano principi fondamentali.  In  entrambi  i  casi,  infatti,
l'interprete si trova di fronte a regole di matrice eurounitaria, che
incidono direttamente ai fini del giudizio  di  compatibilita'  delle
norme nazionali, che  Giudice  e'  tenuto  a  disapplicare  ovvero  a
richiedere di espungere dall'ordinamento. 
    16. La questione prospettata da questa Corte implica, in effetti,
la  valutazione  di  conformita'  delle  norme  interne  che  trovano
applicazione  nella  fattispecie  in  esame  con  il   principio   di
uguaglianza (art. 20 CDFUE), di non discriminazione (art. 21  CDFUE),
di tutela del posto di lavoro (art. 30 CDFUE), in uno con il  diritto
ad un ricorso effettivo (art. 47 CDFUE), in rapporto con la direttiva
98/59/CE . 
    17. Le norme sopra richiamate di matrice eurounitaria, arricchite
dal richiamo ad altre fonti, implicano, a loro  volta,  una  parziale
sovrapposizione dei diritti e dei principi fondamentali con  analoghe
previsioni   affermate   dalla   Carta   costituzionale,    anch'esse
suscettibili di incidere autonomamente sulla concreta  applicabilita'
delle norme interne. 
    18. Non puo' invero  negarsi  che  nell'ambito  delle  due  Carte
fondamentali  sussista,  anche  in  forza  delle  comuni   tradizioni
giuridiche, una oggettiva correlazione, tra gli arti. 20, 21, 30 e 47
CDFUE e gli articoli 3, 4, 35 e 111 Cost. in un rapporto che, sebbene
investa omogenei diritti fondamentali, tuttavia, non  necessariamente
li rende  del  tutto  sovrapponibili  richiedendo,  quindi,  un'opera
interpretativa rimessa alle competenze delle rispettive Alte Corti. 
    19.1n tale  contesto  multilivello  questo  Collegio  non  ignora
l'attuale «dialogo» tra Corti che coinvolge i  meccanismi  di  tutela
dei diritti fondamentali avviato dalla Corte costituzionale sin dalla
sentenza n. 269/2017  che,  in  tema  di  antinomie  tra  il  diritto
nazionale  e  l'ordinamento  eurounitario,  afferma  una   competenza
prioritada del Giudice delle Leggi in tema di diritti fondamentali. 
    20. La pregiudizialita' costituzionale di diritti che afferiscono
a valori fondamentali, che trovano al contempo riscontro nella  Carta
dei Diritti Fondamentali dell'Unione, chc  indubbiamente  costituisce
un complesso normativa dotato «di caratteri peculiari in ragione  del
suo contenuto di  impronta  tipicamente  costituzionale»,  non  puo',
tuttavia, impedire - secondo questa Corte - al giudice a quo di adire
la Corte di Giustizia dell'Unione europea. in qualsiasi stato e  fase
del eiudizio. 
    21. Ritiene, infatti, il Collegio remittente che qualsiasi prassi
costituzionale interna. che impedisca di ritenere la  supremazia  del
diritto dell'Unione, ostacolando anche temporalmente la facolta'  del
giudice nazionale di adire ex art.  267  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea la Corte di Giustizia non sia compatibile  con  i
vincoli assunti dall'Italia con l'adesione all'Unione europea. 
    22. La giurisprudenza della Corte di giustizia UE con la sentenza
CGUE 11 settembre 2014 nella causa C-112/13, ha chiaramente affermato
che «il funzionamento del sistema di cooperazione  tra  la  Corte  di
giustizia e i giudici nazionali instaurato dall'art. 267 Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea e  il  principio  del  primato  del
diritto dell'Unione necessitano che il giudice nazionale  sia  libero
di adire, in ogni fase del procedimento  che  reputi  appropriata,  e
tinanche al termine di un procedimento  incidentale  di  legittimita'
costituzionale,  la  Corte  di  Giustizia  con  qualsiasi   questione
pregiudiziale ritenga necessaria». 
    23. Nello stesso senso si inseriscono altre pronunce della  Corte
di giustizia, sia coeve, sia successive alla sentenza n. 269 del 2017
della Corte costituzionale. In particolare  nella  decisione  del  20
dicembre 2017 causa C-322/16, si ribadisce come «un giudice nazionale
investito di una controversia concernente il diritto dell'Unione,  il
quale ritenga che una norma nazionale sia non  soltanto  contraria  a
tale diritto, ma anche inficiata da vizi di costituzionalita'; non e'
privato della facolta' o dispensato dall'obbligo, previsti  dall'art.
267 Trattato sul funzionamento  dell'Unione  europea,  di  sottoporre
alla Corte questioni relative all'interpretazione  o  alla  validita'
del  diritto  dell'Unione  per  il   fatto   che   la   constatazione
dell'incostituzionalita'  di  una  norma  di  diritto  nazionale   e'
subordinata  ad  un  ricorso  obbligatorio  dinanzi  ad   una   Corte
costituzionale». 
    24. L'assenza di vincoli pregiudiziali che impediscano al giudice
del merito di adire la Corte di Giustizia dell'Unione con  rinvio  ex
art. 267 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in  presenza
di coesistenti profili afferenti  a  valori  rilevanti  ai  fini  del
giudizio di costituzionalita' viene, infine,  affermata  anche  dalla
recente decisione del 24  ottobre  2018,  nella  causa  C-234/17  che
inequivocabilmente afferma che «i  giudici  nazionali  incaricati  di
applicare, nell'ambito delle loro competenze, le  norme  del  diritto
dell'Unione hanno l'obbligo di garantire la piena efficacia  di  tali
norme (...) senza chiedere ne' attendere la  previa  soppressione  di
tale disposizione nazionale per via legislativa o mediante  qualsiasi
altro procedimento costituzionale». 
    25. Questa Corte,  considera  d'altra  parte  che  l'esigenza  di
assicurare una tutela sostanzialmente uniforme ed  erga  omnes  (cfr.
Corte costituzionale 20/2019 e Corte Cost. ordinanza 117/19) in  tema
di diritti fondamentali, comunque, non osti al potere del Giudice del
merito,  in  presenza  di  una  doppia  pregiudizialita',  di   adire
autonomamente la Corte di Giustizia, sottoponendo  contemporaneamente
la questione  interpretativa,  rilevante  ai  fini  del  giudizio  di
costituzionalita', come, peraltro, pare potersi ravvisare anche dalla
giurisprudenza costituzionale successiva alla decisione (C. Cost.  n.
269/17). 
    26.  L'assenza  di  un  vincolo  ostativo  in  capo  al   giudice
remittente a proporre autonomamente la questione  interpretativa  che
la Corte costituzionale e' tenuta a vagliare in quanto strumentale ai
fini del giudizio che le e' proprio, trova in effetti conferma  nelle
successive decisioni e, da ultimo, nell'ordinanza n. 117/19. 
    27. La sintesi del complesso rapporto  pare.  quindi,  delinearsi
nella espressa esclusione, affermata dalla Corte costituzionale nella
sentenza 20/19, di «ogni preclusione»  nell'ambito  di  un  auspicato
«concorso  di  rimedi  giurisdizionali»   in   una   prospettiva   di
arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali. 
    28. Nella prospettiva delineata, questo Collegio ritiene, quindi,
di risolvere la segnalata doppia pregiudizialita'  prospettata  sulla
base  di  un'interpretazione  conforme  con  le  norme  dei  Trattati
dell'Unione della prassi costituzionale che, al contempo, consenta di
rimettere al Giudice delle leggi  la  valutazione  della  persistenza
giuridica con valore erga onmes, di una  norma  interna  contraria  a
principi fondamentali in una prospettiva anche multilivello. 
    29. Una diversa interpretazione  del  «dialogo  tra  Corti»,  che
consentisse  solo  a  valle  del  giudizio  di  costituzionalita'  la
facolta'  del  Giudice   di   attivare   i   meccanismi   di   rinvio
pregiudiziale, rischierebbe di esautorare - rectius emarginare  -  il
ruolo del giudice del merito dal meccanismo dinamico di arricchimento
delle tutele tra diritto nazionale e diritto eurounitario. 
    30. Ritiene, quindi, questa Corte  di  potere  contemporaneamente
sollevare,   con   separate   ordinanze,   entrambe   le    questioni
prospettabili: la prima  innanzi  alla  Corte  costituzionale per  la
questione basata su violazioni di norme primarie interne, come meglio
specificate di seguito, e al contempo  in  parte  lesive  di  diritti
fondamentali richiamati di fonte sovranazionale, e la seconda innanzi
alla Corte di Giustizia  dell'Unione  europea  per  l'interpretazione
della portata e della valenza delle stesse norme  eurounitarie,  onde
valutare la compatibilita' di queste ultime con il diritto interno. 
    Esplicitazione delle questioni di costituzionalita' sottoposte al
vaglio della Corte. 
    31. Rilevanza e non manifesta  infondatezza  della  questione  di
costituzionalita' dell'art. 1, settimo comma della legge n. 183/14  e
degli  articoli  1, secondo  comma  e  dell'art.   10   del   decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 23, in se' e nel combinato disposto  con
l'art. 3 del medesimo decreto  legislativo,  per  contrasto  con  gli
articoli  3,  4,  24,  35,  38,  41,  111   Cost.,   in   quanto   in
forma irragionevole,  nell'ambito  di   una   stessa   procedura   di
licenziamento  collettivo,  clic  si   svolga   simultaneamente   nei
confronti di lavoratori  assunti  con  rapporto  di  lavoro  a  tempo
indeterminato dopo il 7 marzo 2015 e lavoratori assunti con  analoghi
contratti  precedentemente  a   tale   data,   le   norme   censurate
introducono, in presenza di una identica violazione dell'art. 5 della
legge n. 223/91 (e quindi per la violazione dei'  criteri  di  scelta
afferente ai medesimi licenziamenti),  un  ingiustificato  differente
regime sanzionatorio sotto un duplice profilo; 
    32.  dal  punto  di  vista  sostanziale,  in  quanto  il  sistema
sanzionatorio che questa Corte sarebbe tenuta ad  applicare  risulta,
rispetto  al  vincolo  imposto  dalla  Costituzione  di  tutelare  il
rapporto  di  lavoro,  irragionevolmente  inadeguato  per   efficacia
detcrrente e capacita' di ristorare il  danno  effettivo  subito  dal
lavoratore a fronte della illegittima risoluzione  del  contratto  di
lavoro, anche sotto il profilo previdenziale, atteso che la normativa
di cui al decreto legislatore n. 23/15 non prevede, diversamente  dal
sistema   sanzionatorio   applicabile   alla   medesima    violazione
perfezionatasi nella stessa  procedura  per  i  coesistenti  rapporti
costituiti in data antecedente, la reintegra nel posto  di  lavoro  o
altra misura economica di pari efficacia, sia sotto il profilo  della
effettivita' che della capacita' deterrente. 
    33. La coesistenza di regimi sanzionatori, del tutto  disomogenei
per livelli di tutela, appare, infatti,  -  a  giudizio  della  Corte
remittente - idonea a determinare una  irragionevole  disparita'  di'
trattamento fra identiche violazioni relative a fattispecie del tutto
omogenee,  intervenute  simultaneamente  nella   medesima   procedura
comparativa, basata su identici criteri e presupposti di validita'. 
    34.  La  sostanziale  attenuazione  della  misura  sanzionatoria,
concretamente priva di una capacita' dissuasiva,  per  effetto  della
disparita' generata, sacrifica - a giudizio della Corte remittente  -
in modo irragionevole  solo  per  alcuni  lavoratori  il  diritto  al
mantenimento del posto di  lavoro,  tutelato  costituzionalmente,  ed
appare quindi idonea a ledere, per i soli lavoratori assunti  post  7
marzo 2015, il diritto ad  una  selezione  comparativa  oggettiva  ed
imparziale. 
    35. Dal punto  di  vista  strettamente  processuale  l'inadeguata
tutela rispetto al danno effettivo subito si accompagna ad un rimedio
processuale meno efficace, perche' privo di immediatezza,  nel  quale
il decorso del tempo penalizza il  lavoratore  privato  ingiustamente
del posto di lavoro. 
    36. Le norme oggetto dell'ordinanza  di  rinvio  al  contempo  si
pongono altresi' - ad avviso di questo Collegio -  in  contrasto  con
gli art. 3, 4, 10, 35, terzo comma e 117, primo comma Cost. in quanto
in  forma  irragionevole  nell'ambito  di  una  stessa  procedura  di
licenziamento collettivo, introducono, in violazione  degli  obblighi
derivanti dall'adesione ai Trattati  dell'Unione  e  della  normativa
interposta (in particolare della Carta Sociale Europea), per  i  soli
lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015  nell'ambito  di  una
stessa  procedura  di  licenziamento  collettivo,   attuativa   della
identica direttiva 98/59/CE, un sistema sanzionatorio peggiorativo in
quanto  privo  dei  caratteri  di  efficacia  ed  effettivita'  della
sanzione, che le  fonti  internazionali  impongono  quale  necessaria
tutela di un diritto sociale fondamentale. 
    37. La violazione dell'art. 24 della Carta Sociale Europea  e  al
contempo  dell'art.  30  della   Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione riscontrabile  dal  depotenziato  sistema  sanzionatorio,
produce un arretramento di tutela che, unito alla derivata disparita'
normativa che incide sulla applicazione di atti derivati dell'Unione,
pone  l'assetto  normativo  censurato  in  conflitto  anche  con  gli
articoli  20,  21  e  47  della  Carta   dei   Diritti   Fondamentali
dell'Unione, che assumono diretta rilevanza ai fini  della  validita'
degli  atti   dell'ordinamento   per   il   tramite   degli   «snodi»
costituzionali rappresentati degli art. 10 e 117, primo comma Cost. 
    38. Da ultimo questa Corte ritiene rilevante ai fini del giudizio
di legittimita'  delle  norme  richiamate  nel  paragrafo  31,  anche
l'ulteriore parametro rappresentato dall'art. 3,  4  e  76  Cost.  in
quanto,  anche  alla  luce  dei  lavori  parlamentari,   non   appare
manifestamente infondato il contrasto con la legge  delega  derivante
dall'estensione da parte del legislatore delegato del  nuovo  sistema
sanzionatorio anche ai licenziamenti collettivi. Sulla non  manifesta
infondatezza della violazione dell'art. 1, settimo comma della  legge
n. 183/2014, dell'art. 2, secondo comma,  dell'art.  10  del  decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariarnente  inteso  che  nel
combinato disposto con l'art. 3 del medesimo decreto legislativo, con
riferimento agli articoli 3, 4, 24, 35, 38, 41, 111 Cost. nella parte
in cui, irragionevolmente, dispongono per una stessa  violazione  dei
criteri di scelta, avvenuta contestualmente in una medesima procedura
di licenziamento collettivo tra omogenei rapporti di lavoro, in  modo
difforrne a seconda della data di assunzione applicando, solo  per  i
lavoratori, con rapporto di lavoro a tempo  indeterminato  costituito
successivamente al 7  marzo  2015,  diversamente  da  quelli  assunti
precedentemente, una sanzione inefficace rispetto al danno  subito  a
seguito della illegittima perdita  del  posto  di  lavoro,  priva  di
efficacia deterrente e inidonea ad assicurare un ristoro efficace del
danno anche sotto il profilo previdenziale. 
    39. Va preliminarmente evidenziato, ai fini della  ragionevolezza
del modello sanzionatorio, censurato nella  presente  ordinanza,  che
nell'arco di tre anni (2015- 2018) trovano applicazione tre  distinte
sanzioni che possono essere riconosciute in ipotesi di  licenziamento
collettivo per una identica violazione del criterio di scelta. 
    40.  Il  rapido  susseguirsi  di  diverse  sanzioni  che  trovano
applicazione nei  confronti  della  medesima  contestuale  violazione
costituisce  -  ad  avviso  di  questo  Collegio  -   sintomo   della
consapevolezza da parte del  Legislatore  della  inadeguatezza  della
disciplina sanzionatoria applicata alla fattispecie rimessa al vaglio
della Corte remittente. L'inadeguatezza  della  sanzione  che  questa
Corte sarebbe tenuta ad applicare, ha,  infatti,  imposto  nel  breve
volgere di tre anni un intervento correttivo, disposto, peraltro, con
decretazione d'urgenza (d.l. 87/18),  della  sanzione  che,  pur  non
emendando   la   differenziazione   introdotta   con    il    decreto
legislativo n. 23/15, ne ha incrementato la misura, rendendo vieppiu'
inadeguata la tutela che questa Corte puo' accordare nel  giudizio  a
quo, il cui licenziamento e' intervenuto prima di tale intervento. 
    41.  L'accavallarsi  degli  interventi   legislativi   determina,
infatti, per i rapporti di lavoro a  tempo  indeterminato  costituiti
fino al 7 marzo 2015 l'applicazione dell'art. 18 stat. lav. nella sua
valenza attenuata, che assicura ai lavoratori, in caso di  violazione
dei criteri di scelta, la tutela reale rappresentata dalla  reintegra
nel posto di lavoro. Tale regime, oltre a ripristinare il rapporto di
lavoro  all'interno  di  un  modello  processuale  caratterizzato  da
efficace celerita', attribuisce al lavoratore un indennizzo Fino a 12
mensilita', coerente con la tutela  accelerata  assicurata  dal  rito
speciale, oltre la facolta' di esercitare una opzione alteniativa  al
posto di lavoro per ulteriori 15 mensilita' ed,  infine,  il  diritto
alla ricostituzione integrale della posizione previdenziale. In  caso
di violazione delle procedure, l'art. 18 della legge 20  maggio  1970
n. 300  riconosce  al  lavoratore  una  sanzione  pararnetrata  sulla
retribuzione globale di fatto da ultimo percepita,  variabile  da  un
minimo irriducibile di 12 ad un massimo di 24 mensilita'. 
    42. Per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato  costituiti  a
decorrere dal 7 marzo 2015, viceversa, trova applicazione  l'art.  10
della legge 4 marzo 2015, n. 23 che, nel richiamare  l'art.  3, primo
comma, esclude l'istituto della reintegra in attuazione dei parametri
stabiliti dall'art. 1, settimo comma della legge  delega  n.  183/14.
Tale sistema sanzionatorio stabilisce un'unica sanzione, sia in  caso
di violazione delle procedure, sia per l'ipotesi della violazione dei
criteri  di  scelta,  costituita,  fino  al  13   luglio   2018,   da
un'indennita' onnicomprensiva di importo  variabile,  in  misura  non
inferiore a 4 e non superiore a ventiquattro mensilita'. La  sanzione
e' stata incrementata con il richiamato intervento correttivo fino  a
6 mensilita' nella misura minima e fino a 36 nell'ammontare  massimo,
solo ove il licenziamento sia stato intimato  successivamente  al  13
luglio 2018. In entrambi i casi  non  e'  prevista  la  ricostruzione
della posizione previdenziale. 
    43. E' di tutta evidenza, quindi, che in presenza di una medesima
violazione realizzatasi in un medesimo momento, afferente ai  criteri
di scelta di una stessa procedura, lavoratori di una  stessa  azienda
potranno concretamente  rivendicare  forme  di  tutela  profondamente
difformi per misura di indennizzo, per tipologia di  provvedimento  e
per capacita' dissuasiva. 
    44. Non ignora questo  Collegio  quanto  gia'  evidenziato  dalla
Corte costituzionale nella  decisione  n.  194/2018,  ovvero  che,  a
proposito della delimitazione della sfera  di  applicazione,  ratione
temporis, di normative che si succedono nel tempo, «non contrasta, di
per se', con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato
applicato alle stesse fattispecie, ma in monzenti diversi nel  tempo,
poiche' il fluire del tempo puo' costituire  un  valido  elemento  di
diversificazione delle situazioni giuridiche  (ordinanze  n.  25  del
2012, n. 224 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212  e  n.
77 del 2008)» (sentenza n. 254 del 2014, punto 3. del Considerato  in
diritto). Questa Corte ha al riguardo argomentato che «spetta difatti
alla discrezionalita' del legislatore, nel  risperto  del  canone  di
ragionevolezza, delimitare la sfera temporale di  applicazione  delle
norme [..] (sentenze n. 273 del 2011, punto 4.2. del  Considerato  in
diritto, e n. 94 del 2009, punto 7.2. del  Considerato  in  diritto)»
(sentenza n. 104 del 2018, punto 7.1. del Considerato in diritto). 
    La   modulazione   temporale   dell'applicazione   del    decreto
legislativo n. 23 del 2015, censurata dal rimettente,  non  contrasta
con il «canone di' ragionevolezza» e, quindi,  con  il  principio  di
eguaglianza,  se  a  essa  si  guarda   alla   luce   della   ragione
giustificatrice - del  tutto  trascurata  dal  giudice  rimettente  -
costituita dallo «scopo», dichiaratamente perseguito dal legislatore,
«di rafforzare le opportunita' di' ingresso nel mondo del  lavoro  da
parte di coloro che sono in cerca di occupazione»  (alinea  dell'art.
1, comma 7, della legge n. 183 del 2014)». 
    45.  Deve  tuttavia  osservarsi  che,  a  giudizio  della   Corte
remittente, la questione che oggi si sottopone  all'attenzione  della
Corte costituzionale si pone in termini parzialmente  diversi,  posto
che il profilo di irragionevolezza del diverso  trattamento  rispetto
al regime di recesso dal rapporto di lavoro, non coinvolge, in  primo
luogo, la ratio del  decreto  legislativo  23/2015,  ovvero  favorire
l'ingresso nel mondo del lavoro  dei  nuovi  assunti  attraverso  una
flessibilizzazione dell'uscita  (la  ricorrente,  infatti,  e'  stata
assunta in forza di una clausola sociale). 
    46. In secondo  luogo,  non  appare  ragionevole,  sia  sotto  il
profilo del bilanciamento degli  interessi,  che  per  le  disparita'
generate, prevedere  sanzioni  totalmente  discauali  per  violazioni
identiche   riscontrate   nella   fase   risolutiva    di    rapporti
congiuntamente valutati su comuni parametri oggettivi, nell'ambito di
una stessa procedura collettiva. attuativa di una medesima direttiva,
nella quale il «tempo» viene sostanzialmente "congelato»  in  ragione
della  sincronieita'  della   comparazione,   afferente   a   profili
professionali omogenei, esistenti in un  comune  complesso  aziendale
oggetto di simultaneo confronto. 
    47. Il fluire del  tempo  appare  a  questa  Corte.  in  siffatte
violazioni, un elemento inidoneo  a  giustificare  l'applicazione  di
sanzioni adeguate e dissuasive per alcuni e non effettive per  altri.
Rispetto alla conseguenza costituita dalla  perdita  della  fonte  di
reddito, derivata dall'illegittimo esercizio del  potere  di  recesso
per errata applicazione di  criteri  di  scelta,  la  decorrenza  del
rapporto non costituisce -  a  parere  della  Corte  -  un  parametro
ragionevole per giustificare una diversa protezione in una  procedura
di comparazione. 
    48. 1n una procedura comparativa unitaria di  posizioni  omogenee
appare, infatti. irragionevole e contrario ai principi di parita'  di
posizioni sostanzialmente  omogenee  ritenere  che  medesimi  diritti
coinvolti nello stesso e simultaneo processo  selettivo,  finalizzato
ad  assicurare  una  valutazione  imparziale,  siano  assoggettati  a
sistemi di tutela sostanzialmente difformi.  La  concorrenza  di  due
sistemi, di  cui  uno  inadeguato.  appare  oggettivamente  idonea  a
influenzare l'esercizio del potere di recesso del  datore  di  lavoro
orientandone la scelta sulle posizioni meno tutelate e, quindi, sulla
base di una valutazione di -rischio", che  introduce  indirettamente,
nel procedimento selettivo, un  fattore  esogeno,  quale  la  maggior
-debolezza» del rapporto  contrattuale,  a  discapito  dei  parametri
selettivi generali ed astratti imposti dal Legislatore. 
    49.   La   procedura   comparativa,   prevista   da   una   fonte
sovrannazionale tesa a rafforzare le  tutele  (cfr.  2°«Considerando»
della direttiva 98/59/CE) ed eliminare le differenze normative  (cfr.
«Considerando») e' incentrata, infatti, su un'applicazione di criteri
solidaristici  al   fine   di   assicurare   una   comparazione   non
discrezionale, ma vincolata, che viene concretamente  vanificata  ove
si introducano simultanei regimi di tutela, completamente diversi tra
loro. 
    50.  La  procedimentalizzazione  della  scelta  viene   garantita
dall'art. 5 della legge 23 luglio 1991, n. 223 - come novellato dalla
legge 92/12 - attraverso una tutela ripristinatoria del  rapporto  di
lavoro al fine di dissuadere il datore di lavoro in una fase  critica
del  rapporto,  dall'esercitare  in  forma  discrezionale  (o  peggio
arbitraria) il potere selettivo ed impedire che fattori, estranei  ai
parametri  normativi,  possano  trovare  ingresso   nella   procedura
valutativa comparativa. In tale prospettiva il Legislatore ha  quindi
consapevolmente introdotto per particolari categorie di soggetti  una
tutela rafforzata del vincolo selettivo (cfr. art. 10 della legge  12
marzo 1999, n. 68 e art. 5, secondo  comma  legge  n.  223/1991)  che
viene vanificata dalla riduzione generalizzata di tutela del posto di
lavoro. 
    51. La tutela reintegratoria, ancorche'  attenuata,  riconosciuta
ad alcuni e negata ai lavoratori assunti successivamente al  7  marzo
2015 per la stessa violazione, produce, - a giudizio Corte remittente
- uno sproporzionato effetto  disparitario  rispetto  al  diritto  ad
ottenere  mezzi  di  sostentamento,  sia  nel   corso   della   "vita
lavorativa" che nel suo riflesso successivo (id est  nel  periodo  di
vecchiaia). 
    52.  La  sanzione  reintegratoria,  anche  nella  sua  attuazione
attenuata prevista in caso  di  violazione  dei  criteri  di  scelta,
assicura, infatti,  la  pienezza  della  posizione  previdenziale,  a
prescindere dalla durata  del  processo,  per  i  lavoratori  assunti
precedentemente al  7  marzo  2015.  Non  puo'  invero  sfuggire  che
nell'attuale prolungata crisi occupazionale "il tempo del  processo",
lungi dall'essere neutro, determina  per  il  lavoratore  licenziato,
oltre alla perdita del posto di lavoro e all'assenza del reddito,  un
concreto pregiudizio idoneo a riflettersi nel futuro con  riferimento
alla posizione previdenziale privandolo di un  diritto  fondamentale.
Tale diritto, avente una dignita' costituzionale (art. 38 Cost) viene
tutelato nella sua pienezza fino al ripristino della  fisiologia  del
rapporto solo per alcuni lavoratori. 
    53. In tale prospettiva -ad avviso del Collegio remittente -  non
rileva ai fini della ragionevolezza della diversita' sanzionatoria la
giurisprudenza  costituzionale  sulla  dinamica  della   legislazione
previdenziale, atteso il  diverso  piano  sanzionatorio  contrattuale
oggetto della presente ordinanza. 
    54.  Il  ristoro  della  perdita  della  posizione  contributiva,
assicurato ai lavoratori assunti ante marzo 2015, non  puo',  infine,
ritenersi  garantito  dal  ricorso   agli   ammortizzatori   sociali,
derivanti  dal  sistema  di  ed  flesecurity,   ed   in   particolare
dall'istituto della Naspi. Tale strumento di  sostegno  e',  infatti,
comunque  garantito  a  tutti  i  lavoratori,  a  prescindere   dalla
legittimita'  del  recesso  e,  assopettato   a   stringenti   limiti
temporali, di contribuzione e di copertura, peraltro  non  garantisce
la  pienezza  della  contribuzione  nel  periodo  di  illegittima  ed
involontaria disoccupazione. 
    55.  Il  ripristino  della  posizione  previdenziale   effettiva,
riconosciuto dalla tutela stabilita dall'art.  5, terzo  comma  della
legge n. 223/91 viceversa, assicura, responsabilizzando soggetto  che
colpevolmente ha determinato lo stato di disoccupazione, la  pienezza
del   diritto   fondamentale,   negata   dalla   concorrente   tutela
indennitaria. Tale sistema sanzionatorio assume, quindi, anche  sotto
tale profilo costituzionale una oggettiva  efficacia  dissuasiva  del
tutto assente nel licenziamento «tutelato» dall'art. 10  del  decreto
legislativo  n.  23/15  che  si  limita  a  porre  a   carico   della
collettivita'  costo   previdenziale   ed   assistenziale   dell'atto
illegittimo, disincentivando il datore di  lavoro  dal  rispetto  dei
criteri. 
    56. La tutela reintegratoria prevista dall'art. 5 della legge  23
luglio 1991, n. 223 per i rapporti di lavoro antecedenti il  7  marzo
2015 risponde, quindi, pienamente - ad avviso  di  questo  Collegio -
alla finalita' di dissuadere il datore di lavoro  dall'esercizio,  in
occasione di una crisi aziendale, del  potere  di  recesso  in  forma
arbitraria, ma non necessariamente discriminatoria,  assicurando  una
pienezza di tutela in  ragione  degli  interessi  costituzionali  che
«entrano in gioco» nella procedura di licenziamento collettivo. 
    57. Tale adeguata tutela che pure puo'  essere  assicurata  anche
per il tramite di altre idonee misure, aventi analoghi  requisiti  di
efficacia, effettivita' e adeguata capacita' deterrentc (cfr. art. 24
Carta Sociale Europea), tuttavia,  non  pare  potersi  ravvisare  nel
sistema sanzionatorio previsto dal combinato disposto degli arti.  10
e 3 del decreto legislativo 23/15, che introduce  un  meccanismo  del
tutto svincolato dal danno effettivo subito a seguito della  medesima
violazione. 
    58. Anche sotto tale profilo  si  osserva  cho  il  parametro  di
riferimento  nel  primo  modello  ripristinatorio  del  rapporto   e'
rappresentato  dalla  retribuzione  globale  di  fatto,  mentre,  nel
coesistente modello indennitario, e'  costituito  dalla  retribuzione
utile ai fini del TFR  che,  ai'  sensi  dell'art.  2120  del  codice
civile,   puo'   essere   paradossalmente   azzerata,    in    quanto
l'individuazione delle voci computabili ai' fini di tale istituto  e'
rimessa  alla  contrattazione   collettiva.   La   tutela   meramente
indennitaria  inoltre  e'  ancorata  alla  retribuzione   da   ultimo
percepita dal lavoratore, assicurando in tal modo una tutela  statica
che non considera "il fluire del tempo"  nel  processo,  privo  della
tutela accelerata, che puo' concretamente determinare - per  la  nota
crisi  della  giustizia  del  sistema  italiano  -  lunghi  tempi  di
definizione, posti totalmente a carico del lavoratore. 
    59. Va  evidenziato  infine  che  la  rado  indicata  nei  lavori
preparatori del decreto legislativo n. 23/2015,  ovvero  implementare
la dinamica occupazionale, (peraltro assente nel caso in esame atteso
che la lavoratrice risulta essere  stata  assunta  in  forza  di  una
clausola sociale  prevista  nel  CCNL),  attraverso  una  sostanziale
riduzione del livello di tutela di un contratto che riveste  dignita'
costituzionale, e sulla base di  una  delimitazione  del  cd  «firing
cosi», frutto di un esercizio illegittimo del potere di  recesso  del
datore di lavoro, rispetto al danno  effettivo  cagionato,  sbilancia
oltremodo, rendendo «tiranno», l'interesse del datore  di  lavoro  ad
una flessibilita' in uscita rispetto al diritto del  prestatore  alla
conservazione dei posto di  lavoro,  che  costituisce  la  fonte  del
proprio sostentamento. 
    60. Questa Corte ritiene, infine,  di  richiamare,  in  tenia  di
mantenimento  dei   «livelli»   di   tutela   dei   diritti   sociali
fondamentali,  l'esigenza  -  condivisa  anche  dalla  Carta  Sociale
Europea - di valutare attentamente  in  situazioni  di  crisi  (quale
quella attuale) l'introduzione di deroghe ai vigenti modelli (cfr. in
particolare la decisione del CEDS del 23 maggio 2012 sul  merito  del
reclamo n. 66/2011, Federation generale des employes  des  compagnies
publiques  d'electricite'  et   Confederation   des   syndicats   des
fonctionnaires publics c. Grece). 
    61. La deroga dei parametri che operano sul  piano  della  tutela
dei diritti, introdotta dall'art. 10 del  decreto  legislativo  23/15
con il richiamo all'art. 3 del decreto, incide inevitabilmente  anche
sui piano sostanziale della selezione dei  rapporti,  resi  non  piu'
omogenei rispetto al potere di recesso,  operando  una  significativa
perdita di efficacia del modello di tutela. 
    62. L'irragionevole contrasto che scaturisce dalla coesistenza in
una medesima procedura selettiva di differenti modelli  sanzionatori,
profondamente diversi per adeguatezza e capacita' dissuasiva, stride,
quindi - ad avviso di questa Corte - con la finalita' di rispetto dei
valori  della  dignita'  umana  e  dell'utilita'  sociale,  che  deve
caratterizzare  l'  iniziativa   economica   privata,   anche   nella
particolare espressione che connota il riconosciuto potere del datare
di lavoro di recedere (legittimamente) dal contratto di lavoro. 
    63. Sotto il profilo della efficacia e effettivita' della  tutela
giurisdizionale per i rapporti assoggettati al regime del contratto a
tutele crescenti, come  quello  della  Sig.ra  R....,  va  da  ultimo
evidenziata l'eliminazione dal punto di vista processuale del cd rito
Fornero (art. 1, comma 47 e segg  della  legge  n.  92/2012)  attuata
dall'art. 11 del decreto legislativo n. 23/15  che  ha  riportato  le
relative controversie nell'alveo del rito cd. ordinario lavoro. 
    64. Ai fini  della  complessiva  valutazione  dell'idoneita'  del
bilaneiamento di interessi  costituzionalmente  protetti,  vi  e'  da
premettere che, gia' a giudizio della Corte costituzionale  (sentenza
n. 78/2015)  la  strutturazione  del  rito  Fornero  costituisce  «un
vantaggio  del  lavoratore,  il   quale,   in   virtu'   dell'effetto
anticipatorio (potenzialmente idoneo  anche  ad  acquisire  carattere
definitivo)  dell'ordinanza  che  chiude  la  fase   sommaria,   puo'
conseguire una immediata, o comunque piu' celere, tutela  dei  propri
diritti, mentre la successiva, ed eventuale, fase a cognizione  piena
e' volta a garantire alle parli,  che  non  restino  soddisfatte  dal
contenuto dell'ordinanza opposta,  una  pronuncia  piu'  pregnante  e
completa». 
    65. L'inapplicabilita' delle  disposizioni  di  cui  all'art.  1,
commi da 48 a 68 della legge  n.  92/12,  ai  licenziamenti  intimati
all'esito del contratto di lavoro a  tutele  crescenti  incide  anche
sotto il profilo dell'efficacia sul piano  attuativo  della  sanzione
sulla ragionevolezza (del  sistema,  e,  quindi,  sulla  effettivita'
della tutela limitata ad un  indennizzo,  neppure  assistito  da  una
garanzia di celerita' di tutela che "allontana" nel tempo il ristoro,
peraltro  limitato,  e  non   assistito   dalla   ricostruzione   del
presupposto pensionistico. 
    66. Il tempo del processo viene, quindi, posto sostanzialmente  a
carico del soggetto danneggiato, generando, in relazione alla  tutela
non prettamente risarcitoria/ripristinatoria, un sistema  ancor  piu'
inefficace  di  protezione,  senza  che  l'eventuale  previsione   di
accessori  sul  credito  riconosciuto  possa  ritenersi  in  concreto
compensativo in un contratto che deve assicurare  al  lavoratore  una
quotidiana esistenza libera e dignitosa. 
    67.  Deve,  quindi,  ritenersi  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la violazione degli articoli l, settimo comma  della  legge
n. 183/14 e dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15  in  se'  e
nel combinato  disposto  con  l'art.  3  del  medesimo  decreto,  con
riferimento agli articoli 2, 3, 4, 10,  24,  35,  38  41,  111  Cost.
laddove in forma irragionevole ha dato luogo  esclusivamente  ad  una
riduzione  del  livello  di  tutela  di   un   diritto   fondamentale
costituzionalmente   protetto   relativamente    a    procedure    di
licenziamento basata  esclusivamente  sulla  data  di  assunzione  in
assenza di adeguata  proporzionalita'  rispetto  alla  minore  tutela
accordata; 
    Sulla non manifesta infondatezza delta  violazione  dell'art.  10
del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso
che nel combinato disposto con l'art. 3  del  decreto  legislativo n.
23/15, con riferimento agli  articoli  3,  10,  35, secondo  comma  e
117, primo  comma  Cost.,  nella  parte  in  cui,  irragionevolmente,
introducono  in  violazione  dei  vincoli   derivanti   dall'adesione
all'Unione europea  e  ai  trattati  internazionali,  un  concorrente
regime sanzionatoria inefficace  rispetto  al  danno  subito  con  la
illegittima perdita del posto di lavoro  e  con  attenuata  efficacia
deterrente del licenziamento illegittimo, intimato per violazione dei
criteri di scelta in una stessa procedura attuativa  della  direttiva
98/59/CE - in contrasto con l'art. 24 della  Carta  Sociale  Europea,
con l'art.  30  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea con riferimento anche  agii  articoli  20  e  21  e  47  ella
medesimo trattao. 
    68.  La  riconducibilita'  della  disciplina  dei   licenziamenti
collettivi nell'ambito dell'acquis communautaire rende - ad avviso di
questa Corte - l'esistenza del doppio regime sanzionatorio  descritto
in precedenza,  in  contrasto  con  le  norme  fondamentali  di  tale
ordinamento. Tali norme assumono, a  loro  volta,  diretta  incidenza
costituzionale per il tramite del contenuto normativo degli  articoli
10 e 117, primo comma, Cost. 
    69. La indubbia rilevanza dei diritti fondamentali dell'Unione  e
del diritto derivato con  riferimento  alla  fattispecie  rimessa  al
vaglio di costituzionalita' ha determinato questa  Corte  a  ritenere
necessaria la prospettazione di una doppia pregiudizialita'  come  in
precedenza dato conto. 
    70. Come rilevato nella  ordinanza  di  remissione  ex  art,  267
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea  la   materia   la
disciplina  dei  licenziamenti  collettivi   deve   ritenersi   ormai
«attratta» nelle competenze concretamente attuate dall'Unione europea
per effetto del concreto esercizio di atti di normazione derivata  ed
in particolare della direttiva 98/59/CE. 
    71. La direttiva 98/59/CE stabilisce, specificamente «che occorre
rafforzare  la  tutela  dei  lavoratori  in  caso  di   licenziamenti
collettivi,  tenendo  conto  della   necessita'   di   uno   sviluppo
economico-sociale equilibrato nella Comunita'». 
    72. La tutela avverso il  licenziamento  collettivo  illegittimo,
nel suo  profilo  individuale  di  un  fenomeno  collettivo,  rientra
pertanto, sensi dell'art. 51, par. 1, nella  sfera  della  Carta  dei
Diritti Fondamentali dell'Unione in quanto  tale  licenziamento,  per
effetto della disciplina attuata per il tramite della fonte derivata,
deve,   ormai,   ritenersi   ricompreso    nell'ambito    dell'acquis
communautaire con conseguente  estensione  delle  disposizioni  della
Carta su tale tipo di licenziamento, avente una  specifica  rilevanza
sociale. 
    73. Ne consegue che il combinato disposto dell'art. 3  e  10  del
decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23,  introducendo  una  nuova  e
concorrente disciplina di tutela avverso i  licenziamenti  collettivi
ed intervenendo su una materia attratta nelle competenze dell'Unione,
deve risultare compatibile con i diritti assicurati  ai  singoli  dal
Trattato e rispondere al contempo  ai  parametri  di  legittimita'  e
compatibilita' dei principi fondamentali dell'Unione (cfr.  art.  52,
5° par. della CDFUE). 
    74. La tutela  avverso  il  licenziamento  riconducibile  a  tale
tipologia di recesso, avente una particolare rilevanza sociale, e gli
altri  diritti  e  principi  della  Carta  dei  Diritti  Fondamentali
dell'Unione europea  nel  significato  e  nella  portata  che  questo
Collegio  ha  ritenuto  di  richiedere  alla   Corte   di   Giustizia
dell'Unione, debbono essere necessariamente considerati ai  fini  del
vaglio di  costituzionalita'  delle  norrne  oggetto  della  presente
ordinanza di remissione. 
    75. Appare quindi in primo luogo invocabile l'art. 30 della CDFUE
che, nel recitare «Ogni lavoratore ha il diritto alla  tutela  contro
ogni   licenziamento   ingiustificato.   conformemente   al   diritto
dell'Unione e alle  legislazioni  e  prassi  nazionali»,  impone  una
tutela, assunta a valore di diritto fondamentale,  il  cui  contenuto
sanzionatorio rimesso, nel rispetto della comune  cornice  normativa,
alla legislazione e alla prassi dei singoli paesi membri. 
    76. L'art. 30 CDFUE, che costituisce fonte di diritto dell'Unione
in conformita'  al  richiamo  contenuto  nell'art.  6,  1°  par.  del
Trattato dell'Unione (TUE), afferma, quindi, in termini assoluti, che
il lavoratore e' titolare  di  un  diritto  alla  tutela  avverso  il
licenziamento il cui contenuto effettivo e' rirnesso alle  norrnative
e alle prassi applicative dei singoli Stati «conformemente al diritto
dell'Unione». 
    77.  Il  combinato  disposto  degli  art.  3  e  10  del  decreto
legislativo 4 marzo 2015 n. 23 e degli articoli  5  Icooe  23  luglio
1991 n. 223 e art. 18 stat. lav. costituiscono -come descritto  -  le
due specifiche discipline concorrenti che, integrando la disposizione
dell'art. 30 CDFUE, sanciscono il contenuto  effettivo  della  tutela
assicurata ai lavoratori  dalla  normativa  nazionale  attuativa  del
diritto dell'Unione. 
    78. Questa Corte e' consapevole che  il  "diritto",  nei  termini
sanciti dalla Carta, non  consenta  una  diretta  rivendicazione  nei
singoli  giudizi  per  la  mancanza  di   un   contenuto   precettivo
sanzionatorio sufficientemente dettagliato. Cio' non  di  meno,  tale
"diritto incompleto" non puo' ritenersi privo di una concreta valenza
o incidenza nella controversia rimessa al  vaglio  cli  questa  Corte
remittente. 
    79. Ritiene questa Corte che la previsione dell'art. 30 CDFUE non
costituisca, invero, una  norma  di  indirizzo  politico  ovvero  una
disposizione meramente prograrnmatica  priva  di  un  proprio  nucleo
precettivo specifico anuabile nel  giudizio.  La  previsione  impone,
comunque, un obbligo di concretizzazione  rivolto  ai  singoli  Stati
che, zii sensi dell'art. 51, par. l della Carta deve realizzarsi  nel
rispetto dei  parametri  dell'Unione  che  discendono  dal  carattere
fondamentale del diritto. Al  contempo,  la  previsione  consente  ai
Giudici nazionali di  utilizzare  i  principi  che  discendono  dalla
natura fondamentale del diritto quali  parametri  di  legittimita'  e
leve interpretative, conformemente all'art. 52, par.  5  della  Carta
nella funzione, icasticamente definita «depuratrice di norme»; 
    80. Ritiene la Corte che, conseguentemente, l'art. 30 della CDFUE
nell'affermare la riconducibilita' del diritto alla tutela avverso  i
licenziamenti nell'alveo  dei  diritti  fondamentali,  imponendo  una
tutela «conformemente al diritto  dell'Unione»,  esprima  un  proprio
contenuto precettivo, rilevante nel giudizio  a  quo  anche  ai  fini
della  validita'  costituzionale  delle  nonne  attuative  nazionali.
Sussiste, infatti, un substrato del diritto sancito  dall'Unione  che
prescinde dalla integrazione eteronoma degli  interventi  rimessi  ai
singoli Stati. in quanto idoneo di per se', quale limite esterno  che
condiziona la potesta' normativa, a ricondurre la stessa  nell'ambito
di'  specifici  parametri   di   coerenza   propri   dell'ordinamento
eurounitario che ne determinano il perimetro di attuazione. 
    81.  Tale  «nucleo»  precettivo   costituisce   il   vincolo   di
razionalita' e compatibilita' della norma nazionale che  consente  di
valutare  la  legittimita'  dell'intervento  normativo  rispetto   ai
parametri costituzionali degli articoli 10 e 117,  comma 1  Cost.  in
una prospettiva di espunzione della norma dal sistema  con  validita'
erga  omnes  in  caso   di   contrasto   non   superabile   con   una
interpretazione conforme. 
    82. Militano in favore di tale interpretazione, -  come  rilevato
nella contestuale ordinanza di remissione ex art.  267  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea - oltre all'art. 52,  paragrafo  5,
della Carta, sia la qualifica «diritto», contenuta nell'art. 30 della
CDFUE, sia il suo dichiarato carattere fondamentale, sia il  richiamo
al «diritto dell'Unione» che infine e  soprattutto  le  «Spiegazioni»
allegate alla Carta che il Giudice e'  tenuto  a  tenere  «in  debito
conto» in sede di interpretazione (art. 6 TUE). Il richiamo  all'art.
24 della Carta Sociale  Europea,  nell'ambito  del  quale  la  tutela
prevista  per  i  licenziamenti  trova  una  concreta   declinazione,
consente di enucleare  gli  elementi  qualificanti  la  tutela  nella
dimensione della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione. 
    83.  11  diritto  alla  tutela  avverso  il  licenziamento  nella
dimensione eurounitaria,  a  prescindere  alla  sua  riconducibilita'
nella controversa  categoria  dei  "diritti  incompleti-  ovvero  dei
-principi  generali-.  indubbiamente  assume,  quindi,  una   portata
precettiva in quanto pone - ad avviso di questo Collegio - un vincolo
nei  confronti  del   Legislatore   nazionale.   Tale   facolta'   di
integrazione impone il rispetto -  rectius  la  trasposizione  -  dei
parametri di effettivita', efficacia, adeguatezza  e  deterrenza  che
discendono dalla natura fondamentale del diritto nella sua dimensione
sovranazionale  che  questa  Corte,  con  la  separata  ordinanza  ha
richiesto di confermare. 
    84.  Il  vincolo  esterno  e  i  parametri  di   valutazione   di
legittimita' dell'intervento integrativo non sono, pertanto, privi di
un  adeguato  supporto  normativo  di  riferimento  atteso   che   la
qualificazione del «diritto» come fondamentale impone  quel  rispetto
di specifiche caratteristiche che connotano la tutela di tali diritti
nell'ordinamento di cui sono espressione,  la  cui  assenza  pone  in
insanabile contrasto le norme oggetto della presente ordinanza con  i
parametri costituzionali richiamati. 
    85. I parametri ai quali deve attenersi la tutela che il  diritto
fondamentale deve assicurare  -  che  costituisce  per  l'appunto  il
contenuto preceuivo dell'art. 30 CDFUE  -  discendono  dai  caratteri
tipici  delle  sanzioni  apprestate   dall'ordinamento   eurounitario
ampiamente riportate e sviluppate  nell'ordinanza  di  remissione  ex
art. 267 TFUE.  L'adeguatezza  della  tutela  deve,  in  particolare,
considerare, a valle, la pienezza  della  tutela  rispetto  al  danno
subito e, a monte,  la  presenza  per  il  datore  di  lavoro  «mezzi
coercitivi di cui  tenere  seriamente  conto»  onde  «spinger(lo)  ad
osservare il principio» (CGUE, Von Colson 10 aprile 1984 C 14/83). 
    86. Tali parametri, costituiscono, pertanto - a parere di  questa
Corte  -  il  valore  precettivo  specifico  a  tutela  dei   diritti
fondamentali  affermati  dalla  -Carta  Costituzionale  Europea"  che
trovano un puntuale pendant nei criteri a loro volta ricavabili dalla
''fonte" ispiratrice dell'art.  30,  rappresentata  -  come  detto  -
dall'art. 24 della Carta Sociale rcv. la cui portata precettiva,  nel
sienificato materiale ricavabile dalle decisioni del Comitato Europeo
dei  Diritti  Sociali,  e' oggetto  della   separata   ordinanza   di
remissione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.  La  espressa
"costituzionalizzazione" della Carta Sociale per effetto del richiamo
nelle Spiegazioni della Carta, assume un  indubbio  specifico  valore
amplificato nella dimensione eurounitaria tale  da  aver  determinato
questa Corte, nella consapevolezza della valutazione eia'  effettuata
dalla Corte costituzionale nella sentenza 194/2018, a sottoporre  uno
specifico  chiarimento  interpretativo  alla   Corte   di   Giustizia
dell'Unione europea in ordine alla valenza di  tali  decisioni  nella
dimensione propria della Carta dei Diritti  Fondamentali  dell'Unione
europea. 
    87. Ai  sensi  dell'art.  52,  5  par.  della  CDFUE  i  principi
costituiscono a loro volta una leva utilizzabile al fine di  valutare
la leeittimita' degli atti nonnativi. Ai  fini  della  individuazione
del significato normativo - rectius del significato  -  del  «diritto
alla tutela» nell'ambito  dell'ordinamento  dell'Unione  assumono,  a
giudizio della Corte remittente,  una  valenza  essenziale  anche  le
dichiarazioni condivise dai  paesi  membri  -  le  cd.  «Spiegazioni»
(2007/C 303/02)  -  allegate  alla  Carta  dei  diritti  Fondamentali
dell'Unione in occasione della stipula, la cui finalita' espressa  e'
quella  di  guidare  l'interprete.  Le   Spiegazioni   rappresentano,
pertanto,  una   chiave   di   lettura   essenziale   nella   cornice
costituzionale europea, che a loro volta condizionano la validita'  e
la compatibilita' degli atti dell'Unione e  dell'attivita'  normativa
dei paesi aderenti nei settori rientranti nell'acquis communautaire. 
    88. L'art. 52, settimo comma della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione impone, infatti, ai giudici dell'Unione e degli Stati  di
tenere «nel debito  conto»  le  Spiegazioni  elaborate,  al  fine  di
fornire orientamenti per l'interpretazione  della  Carta  stessa.  Le
SpieRazioni   costituiscono,   conseguentemente   il   parametro   di
riferimento basilare per interpretare le norme di stampo eurounitario
e per applicarle al  livello  nazionale,  nello  sforzo esegetico  di
individuare il contenuto effettivo  del  diritto  riconosciuto  dalla
Carta fondamentale dei Diritti dell'Unione. 
    89. «La Spiegazione» allegata all'art. 30 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione chiarisce che «Questo  articolo  si'  ispira
all'art. 24 della Carta Sociale riveduta». 
    90. Ne consegue che, a giudizio della Corte, il  contenuto  della
tutela  del  diritto  fondamentale  del  lavoratore,  nel  caso   di'
licenziamento illegittimo,  come  sancito  dall'Unione,  deve  quindi
ispirarsi - e, quindi, non contraddire - al  parametro  del  «congruo
indennizzo», o di «altra misura adeguata», sancito dall'art. 24 della
Carta Sociale  Europea  e  tali  parametri  eteronomi  costituiscono,
quindi, elemento di  riferimento  in  sede  di  interpretaz.ione  del
livello di tutela avverso i licenziamenti ingiustificati  intervenuti
a conclusione della procedura di licenziamento collettivo. 
    91. E'  evidente,  ad  avviso  di  questo  Collegio,  la  stretta
correlazione tra l'art.  30  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione e l'art. 23 della Carta Sociale Europea che  arricchisce,
nell'ambito del diritto eurounitario, la tutela approntata avverso il
licenziamento   dei   principi   di   effettivita',   adeguatezza   e
dissuasivita', peraltro insiti nella  tutela  assicurata  a  tutti  i
diritti fondamentali  che  non  sembrano  potersi  riscontrare  nella
tutela meramente indennitaria concorrente. 
    92. L'art. 30 CDFUE  produce,  pertanto,  un  effetto  normativo,
ancorche' riflesso, nel giudizio rimesso al vaglio di questa Corte. 
    93. Questa Corte e' anche consapevole che ai sensi dell'art.  52,
5° par.  CDFUE  i  caratteri  che  si  ritiene  connotino  la  tutela
dell'art. 30  CDFUE  non  consentono  di  invocare  direttamente  nel
giudizio l'applicazione di una predefinita sanzione,  ripristinatoria
o   risarcitoria,   di   matrice   eurounitaria   in   una   funzione
«costruttiva».  I  parametri  della   tutela   propri   dei   diritti
fondamentali eurounitari, tuttavia,  -  non  sono  -  come  osservato
-privi di rilevanza nel giudizio a quo, anche ai Fini di una funzione
espulsiva della norma. in quanto costituiscono il limite  esterno  di
coerenza, rilevante ex artt. 10 e  117  Cost.,  degli  atti  espressi
dalla potesta' normativa integrativa della legislazione nazionale che
il Collegio deve «tenere in considerazione» in  sede  di  valutazione
della  loro   conformita'   ai   valori   fondamentali   dell'Unione,
nell'ambito della collaborazione demandata al Giudice nazionale  alla
concreta creazione di una comune Costituzione europea. 
    94. La necessita' di comprendere  il  significato  del  contenuto
della Carta dei  Diritti  Fondamentali  ha,  quindi,  determinato  il
rinvio  pregiudiziale  ex  art.  267   Trattato   sul   funzionamento
dell'Unione europea il cui esito  indubbiamente  assume  una  diretta
rilevanza nel giudizio di costituzionalita'. 
    95. La ricondubilita' del  licenziamento  collettivo  nell'ambito
delle competenze dell'Unione impone di ritenere rilevanti,  anche  ai
fini  del  parametro  di  validita'  della  norma  attuativa  con  il
principio di parita' di trattamento,  un  sistema  sanzionatorio  che
genera  per  violazioni  del  tutto  equiparabili   una   sostanziale
difformita' di disciplina rispetto alla misura applicabile in capo al
soggetto responsabile dell'illecito. 
    96. Il principio di uguaglianza sancito per gli atti normativi di
fonte eurounitaria costituisce, infatti, un parametro  interpretativo
primario  per  tutti  gli  atti  legislativi  dell'ordinamento,   ivi
comprese le direttive che costituiscono una  species  dell'articolato
complesso  di  norme  che  concorrono  a  determinare   l'ordinamento
dell'Unione. 
    97. La difforme sanzione applicata in presenza  di  una  identica
violazione si pone in contrasto - ad avviso di questo Collegio -  con
il principio di non discriminazione stabilito dall'art. 21 CDFUE,  in
quanto  finisce  per  imporre  discipline  diffon-ni  a   fattispecie
omogenee concentrate nel tempo, penalizzando  con  il  permanere  del
doppio regime i lavoratori piu' giovani. 
    98. L'esigenza di assicurare un rimedio efficace, effettivo e con
capacita' di inibire la violazione di un diritto  fondamentale  rende
il descritto modello sanzionatorio non  compatibile  anche  sotto  il
profilo del diritto a rimedi adeguati sancito dall'art. 47 CDFUE. 
    99. La normativa sottoposta al vaglio si pone quindi, a giudizio,
della Corte in contrasto con i  principi  e  i  diritti  fondamentali
dell'Unione, laddove in violazione al diritto di uguaglianza (art. 20
CDFUE) e non discriminazione (art. 21 CDFUE)  e  al  diritto  ad  una
effettiva tutela avverso i licenziamenti ingiustificati (art.  30  in
uno con l'art. 47 CDFUE), e introduce nell'ambito di una procedura di
licenziamento collettivo regolato dalla direttiva 98/59/CE un  doppio
sistema di tutela. 
    Sulla non manifesta infondatezza della  violazione  dell'art.  10
del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso
che   nel   combinato   disposto   con   l'art.   3    del    decreto
legislativo 23/15, con  riferimento  agli  articoli  3,  4,  35,  76,
117, primo comma Cost., nella parte in cui ha introdotto  in  assenza
di una specifica attribuzione normativa e comunque in violazione  dei
principi e dei criteri direttivi della legge delega,  una  disciplina
sanzionatoria per i licenziamenti collettivi,  statuendo  un  modello
sanzionatorio in contrasto con i principi e  i  diritti  fondamentali
dell'Unione e con le Convenzioni internazionali. 
    100. Questa  Corte  ritiene,  anche  alla  luce  del  particolare
procedimento previsto per la modifica delle disposizioni attuative di
atti normativi dell'Unione Europea  e  dei  lavori  parlamentari  che
hanno caratterizzato l'iter del decreto legislativo 4 marzo  2015  n.
23, attuativo della legge delega 183/14, che l'estensione  effettuata
dal Legislatore delegato anche ai licenziamenti collettivi del  nuovo
sistema sanzionatorio,  previsto  per  i  "licenziamenti  economici",
confiigga con l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della legge
che ha conferito al Governo il temporaneo potere di legiferare. 
    101. L'art. 1, settimo comma della legge n. 183/2014 ha, infatti,
demandato al Governo di adottare una disciplina  che  preveda  tutele
crescenti con l'anzianita' che escluda «per i licenziamenti economici
la possibilita' della reinteerazione del lavoratore». 
    102.  Orbene  ritiene  questo  Collegio  che   il   licenziamento
collettivo sia escluso dalla delega legislativa, dovendosi a tal fine
richiamare  i  lavori  parlamentari,  che   concorrono   come   fonte
«autentica» di interpretazione dell'oggetto della delega legislativa,
a determinare l'effettiva portata del temporaneo  conferimento  della
potesta' normativa esercitala. 
    103.  La  Commissione  Lavoro  della  Camera  dei  deputati,   in
occasione della trasmissione della bozza del decreto  legislativo  ad
opera del Governo, ha in effetti rilevato che la "esclusione"  per  i
lavoratori  assunti  con  il  nuovo  contratto  a  tutele  crescenti,
dall'applicazione dell'istituto  della  reintegra  doveva  intendersi
riferita alle sole fattispecie relative a licenziamenti  individuali,
non essendo in discussione la disciplina dei licenziamenti collettivi
di cui alla  legge  23  luglio  1991  n.  223"  (cfr  sessione  della
Commissione Lavoro della Camera dei deputati del 17 febbraio 2015). 
    104. Analoghe osservazioni sono state formulate dalla Commissione
Lavoro del Senato della Repubblica, in occasione della disamina della
bozza del decreto legislativo sottoposta dal  Governo  (cfr  sessione
dell' l l febbraio 2015 della Commissione Lavoro  Previdenza  Sociale
Senato   della   Repubblica).   L'esclusione   della   materia    dei
licenziamenti collettivi dalla delega e  comunque  l'inapplicabilita'
della sanzione indennitaria a tali licenziamenti viene, quindi,  piu'
volte affermata dall'organo titolare del  potere  delegante,  che  ha
formulato sul punto nei  diversi  passaggi  del  decreto  legislativo
puntuali rilievi(rimasti inattuati) in sede di disamina dello  schema
legislativo. 
    105. A conferma della limitata portata  della  delega  concorrono
anche ulteriori rilievi di ordine sistematico ed ermeneutico. 
    106. Ritiene questa Corte rilevante ai fini del giudizio  di  non
manifesta  infondatezza  la  circostanza  che  la  giurisprudenza  di
legittimita' abbia riservato il termine «licenziamento economico»  al
fine di qualificare le ipotesi  di  recesso  individuale  per  motivo
oggettivo (Cassazione, 19 dicembre 2013, n. 28245),  non  utilizzando
tale qualificazione  con  riferimento  al  licenziamento  collettivo;
sotto  altro  profilo  appare  non  irragionevole  ritenere  che,  in
conformita' ad  una  corretta  ermeneutica,  una  delega  che  incida
profondamente su materie di rilevanza dell'Unione, imponga una chiara
ed esplicita enunciazione. 
    107. Su tale  ultimo  aspetto  si  rileva  che  il  raccordo  tra
l'ordinamento italiano e i processi normativi dell'UE  si  struttura,
infatti, su una specifica normativa, la legge n. 234  del  2012,  che
prevede  all'art.  30  l'approvazione  della  legge  di   delegazione
europea, preceduta  da  una  articolata  procedura  di  elaborazione.
Sebbene tale normativa ovviamente non possa  costituzionalizzare  una
procedura  esclusiva  per   la   modifica/attuazione   di   normative
dell'Unione, cio' non di meno appare - ad avviso di  questa  Corte  -
che la sostanziale modifica apportata ad una normativa  centrale  sui
licenziamenti collettivi debba, anche ai  sensi  dell'art.  34  della
legge n. 234/12, richiedere proprio  in  presenza  di  uno  specifico
strumento correttivo/applicativo di direttive dell'Unione una  chiara
ed univoca delega, non potendosi ritenere  attribuita  implicitamente
una sifratta potesta' normativa. 
    108. Da ultimo il richiamo nell'art. 1, settimo comma della legge
n. 183/14 al diritto dell'Unione e  alle  Convenzioni  internazionali
impone il puntuale rispetto dei principi e  dei  diritti  sanciti  da
tali Carte sovraordinate o interposte, che l'adozione  del  descritto
modello inadeguato di tutela pare - ad avviso di  questo  Collegio  -
del tutto disatteso. 
    109. Deve quindi da  ultimo  ritenersi  la  rilevanza  e  la  non
manifesta infondatezza della violazione  dell'art.  1, settimo  comma
della legge 183/14 e dell'art.  1,  secondo  comma  3  e  10  decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 23 per contrasto con gli articoli 3,  4,
35, 76 e 117, 1 e 2 Cost.. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte di appello di Napoli, I  Unita'  sezione  lavoro,  cosi'
provvede; 
    Dispone la sospensione del giudizio; 
    Dispone ai sensi dell'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953,
n. 87 la trasmissione degli atti  di  causa  alla  cancelleria  della
Corte costituzionale. 
    Dispone con separata ordinanza, per i motivi  ivi'  indicati,  !a
trasmissione degli atti alla cancelleria  della  Corte  di  Giustizia
dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea. 
 
        Napoli, 18 settembre 2019 
 
                        Il Presidente: Diani 
 
 
                                        Il consigliere est.: Pezzullo