N. 41 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2019
Ordinanza del 18 novembre 2019 del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di D.F. A.. Reati e pene - Reato di rapina impropria - Trattamento sanzionatorio. - Codice penale, art. 628, secondo comma.(GU n.20 del 13-5-2020 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO Sezione terza penale Il giudice, dott. Paolo Gallo, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale contro D.F. A., nato il ... a ..., elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. in ..., via ... difeso d'ufficio dall'Avv. Giuseppe Antonio Damini del Foro di Torino, libero presente imputato del reato di cui all'art. 628 comma 2 codice penale perche', dopo aver indebitamente sottratto dodici bottiglie d'olio di oliva «De Cecco» all'interno del supermercato «...» sito in Torino via ..., adoperava violenza - consistita nello sferrare colpi agli arti superiori e poi calci contro l'addetto alla vigilanza B. D. - e minaccia consistita nel dirgli «se chiami la polizia torno e ti ammazzo con le mie mani e tu qui non ci lavorerai piu'» per assicurarsi il possesso delle cose sottratte o comunque per procurarsi l'impunita'. Torino, 22 settembre 2019 Recidivo reiterato. Verso le ore 00,20 del 22 settembre 2019 l'odierno imputato fu arrestato nella flagranza del reato di cui in epigrafe. Il giorno dopo il D. F. fu presentato in udienza per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo. Convalidato l'arresto, e decorso il termine a difesa richiesto subito dopo, l'imputato ha oggi chiesto di essere giudicato con rito abbreviato. Il pubblico ministero ha prodotto gli atti del proprio fascicolo e le parti hanno presentato le rispettive conclusioni orali. Gli atti utilizzabili per la decisione si riducono al verbale di sommarie informazioni rese dall'addetto alla sorveglianza del supermercato, B. D., e dalle immagini «girate» dal sistema di videosorveglianza presente nel supermercato. Il primo ha riferito agli agenti quanto segue: «Intorno alle 23,45 notavo un soggetto di corporatura robusta, ... il quale spingeva un cestino utilizzando la porta d'ingresso riservata ai carrelli per poi abbassarsi ed uscire lui stesso dalla stessa porta. Nel cestino notavo che vi era della merce e l'uomo si dirigeva verso l'uscita del supermercato portando al seguito il cestino; mi avvicinavo per informarlo che il cestino non poteva uscire dall'esercizio e lo stesso allungava il passo giungendo in via ove si fermava e iniziava a colpirmi, prima con gli arti superiori e poi prendendomi a calci. Preciso che prima che il soggetto mi colpisse mi diceva «Non ho i documenti, lasciami andare». Riuscivo a parare qualche colpo e a calmarlo. Lo invitavo a rientrare per mostrarmi lo scontrino della merce: una volta all'interno lo stesso continuava con l'azione violenta iniziando a colpirmi nuovamente e ne nasceva una colluttazione terminando a terra ove ci rotolavamo e nella foga il soggetto mi strappava la maglia che indossavo. L'uomo si rialzava riuscendo ad uscire dal supermercato; prima di uscire mi minacciava verbalmente con le seguenti parole: «Se chiami la polizia torno e ti ammazzo con le mie mani e tu qui non ci lavorerai piu'». Dopo pochi minuti giungeva una volante della Polizia di Stato che prendeva in consegna il soggetto». Le immagini del sistema di videosorveglianza (relative alle sole fasi svoltesi all'interno del pubblico esercizio) confermano la narrazione del B. Il verbale di arresto, infine, precisa che la refurtiva era costituita da un cartone di dodici bottiglie di olio d'oliva che si' trovavano in vendita al prezzo complessivo di 44,00 euro. Alla stregua degli elementi sopra riportati deve concludersi che l'imputato, subito dopo la sottrazione delle dodici bottiglie d'olio, affrontato dal sorvegliante B. lo colpi' e lo minaccio' al fine non tanto di assicurarsi il possesso della cosa sottratta (e' poco probabile che egli pensasse di potersi allontanare con un cartone di dodici bottiglie nonostante che il sorvegliante gli fosse addosso) ma di conseguire l'impunita' (significativa al riguardo e' la fase da lui pronunciata e riferita dal sorvegliante: «Non ho i documenti, lasciami andare»). Sussistono dunque tutti gli elementi sostitutivi del contestato reato di rapina impropria consumata, e questo giudice dovrebbe affermare la penale responsabilita' del D. F. determinando la sanzione irroganda (salva la diminuente conseguente al rito processuale adottato) all'interno della cornice edittale di cui all'art. 628 comma 1 codice penale, le cui sanzioni sono richiamate, in maniera «automatica», dal comma 2. Prima di emettere la sua decisione, tuttavia, questo giudice ritiene necessario il pronunciamento della Corte costituzionale sulla compatibilita' della norma di cui all'art. 628 comma 2 c.p. con i principi fondamentali della nostra carta costituzionale. E' noto che da sin da epoca remota la dottrina dubita della ragionevolezza della stessa esistenza del delitto di rapina impropria come figura autonoma di' «reato complesso» (art. 84 c.p.) che si sostituisce ai reati di' furto e violenza privata. Ha suscitato critiche, in particolare, l'identita' di trattamento sanzionatorio per due fattispecie - la rapina propria e quella impropria - che sia nella coscienza comune, sia nell'analisi criminologica, sono avvertite come assai diverse tra loro, e connotate da differenti gradi di disvalore. Queste perplessita' si sono accresciute dopo l'inasprimento del trattamento sanzionatorio introdotto con la legge n. 103 del 23 giugno 2017 - che ha portato il minimo edittale della pena detentiva di cui all'art. 628 comma 1 codice penale ad anni quattro di reclusione - ed hanno assunto aspetti di vera e propria drammaticita' dopo l'entrata in vigore della legge n. 36 del 2019, che innalzato il predetto minimo editale ad anni cinque di reclusione: nulla le due citate novelle legislative hanno innovato per quanto concerne il comma 2 dell'art. 628 codice penale e l'»effetto di trascinamento» che esso prevede. Il descritto assetto normativo, a sommesso avviso di' chi scrive, presenta alcuni «punti di frizione» con i valori costituzionali. a) Violazione dell'art. 3 Cost. La violazione del principio di uguaglianza risulta palese ove si considerino i diversi modi in cui puo' atteggiarsi il rapporto tra l'aggressione al patrimonio (=sottrazione di' cosa mobile altrui) e l'aggressione alla persona (=violenza o minaccia): al comma 1 dell'art. 628 codice penale (rapina propria) la legge prevede, e punisce con pene giustamente severe, la situazione in cui la violenza precede la sottrazione della cosa altrui (ovvero e' ad essa contemporanea): il rigore del legislatore e' qui pienamente giustificato perche' colpisce un soggetto che ha dolosamente premeditato, come strumento fondamentale della sua azione delittuosa, l'aggressione all'incolumita' fisica altrui. Il delitto di rapina propria si connota dunque, quanto all'elemento oggettivo, per il ruolo fondamentale dell'aggressione alla persona, la quale costituisce il primo approccio dell'agente alla vittima; quanto all'elemento psicologico si connota per un allarmante atteggiamento della volonta', che non esita a progettare l'uso della violenza alla persona a fini patrimoniali; nel comma 2 la situazione di fatto e' profondamente diversa: qui l'agente ha deciso di perseguire la finalita' di illecito arricchimento in maniera non violenta, ma per cosi' dire, clandestina («furtiva», appunto); l'uso della violenza o minaccia, scartato come prima opzione, si verifica quando, immediatamente dopo la sottrazione, il ladro viene scoperto (sia il fine di assicurare il possesso della refurtiva, sia quello di conseguire l'impunita', presuppongono necessariamente che taluno si sia accorto della condotta furtiva in atto): ecco allora che l'uso della violenza o minaccia, escluso in prima istanza dall'agente, viene per cosi' dire innescato dalla reazione della vittima o di terzi che intervengano in suo ausilio (per lo piu', ma non necessariamente, la forza pubblica): a quel punto puo' accadere che la tensione istintiva alla liberta' induca a condotte violente che in origine si erano volute evitare. In sintesi, il fatto che la violenza segua alla sottrazione, e non la preceda, non sembra poter essere considerato irrilevante dal punto di vista criminologico: esso demarca una diversa e meno grave struttura oggettiva del reato e un atteggiamento soggettivo che e' diverso quanto a intensita' del dolo e capacita' a delinquere. Ad avviso di chi scrive, pertanto, la piena equiparazione delle due situazioni sul piano della «risposta» dell'ordinamento penale costituisce una parificazione arbitraria, che non tiene conto del diverso disvalore delle due condotte esaminate. Il raffronto dei due primi commi dell'art. 628 codice penale rivela poi che la disciplina della rapina impropria e', per certi versi, addirittura deteriore per l'imputato rispetto a quella prevista per la - certamente piu' grave - rapina propria: ci si riferisce all'ipotesi del tentativo. Perche' si abbia rapina propria consumata e' richiesto - cosi' come per il furto - che l'agente realizzi sia la sottrazione della cosa mobile altrui (e cioe' la amotio dalla sua collocazione originaria), sia l'impossessamento della cosa medesima (e cioe' l'acquisizione di una signoria piena e autonoma su di essa). I due momenti sono cronologicamente successivi, nel senso che l'impossessamento segue sempre, sia pure di un istante, alla sottrazione; si pensi al classico esempio del furto di sacchi da un autocarro in corsa: prima vi e' il getto dei sacchi sull'asfalto da parte dei malviventi (sottrazione), poi il loro recupero (impossessamento). Cio' premesso, si notera' che mentre nel caso della rapina propria (comma 1) si ha consumazione soltanto laddove l'agente abbia conseguito con violenza anche l'impossessamento della cosa mobile altrui, residuando altrimenti solo una responsabilita' a titolo di tentativo, nel caso della rapina impropria e' sufficiente alla consumazione l'uso di violenza dopo la sola sottrazione: il testo della norma non lascia dubbi in proposito perche' espressamente prevede l'inflizione della stessa pena del comma 1 a «chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare ecc. ecc.» Si tratta di un punto assolutamente certo, ribadito di recente dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza n. 34952 del 19.4 / 12.9.2012, RV 253153 (pag. 13): «Il comma secondo dell'art. 628 codice penale fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all'impossessamento, cio' che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilita' autonoma della stessa.» Ne' il quadro normativo, ne' l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale giustificano in qualche modo questa difformita', che ad avviso dello scrivente costituisce una ulteriore irragionevole disparita' di trattamento (in peius) fra situazioni che il legislatore aveva inteso equiparare. E' bene aggiungere, infine, che tale ingiustificata disparita' assume specifico rilievo nella presente vicenda: si e' visto infatti, piu' sopra, che il D. F. colpi' e minaccio' il sorvegliante B. mentre stava tentando di allontanarsi con il cestino contenente le bottiglie d'olio, quando cioe' aveva bensi' sottratto le bottiglie, ma non aveva ancora acquisito su di esse una piena ed autonoma signoria: nondimeno egli dovrebbe essere ritenuto responsabile di rapina (impropria) consumata. La disposizione dell'art. 628 comma 2 codice penale, oltre ad equiparare ingiustamente situazioni di fatto diverse, rivela una ulteriore disparita' di trattamento laddove la situazione dell'autore di una rapina impropria - cioe' colui che usa violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione - sia raffrontata con quella di chi commetta dapprima un furto e poi, dopo un tempo apprezzabile, usi violenza o minaccia per conservare la cosa sottratta e/o conseguire l'impunita': e' il caso, comune nella prassi, del ladro d'auto che, guidando l'auto da lui rubata qualche ora prima, forzi un posto di blocco. In quest'ultimo caso la contestazione del reato di rapina e' assolutamente preclusa perche' manca la successione immediata fra sottrazione e violenza, e il reo si vedra' contestare i meno gravi delitti di furto e resistenza a P.U.. La differenza tra le due situazioni risiede unicamente in un «problematico» elemento temporale: nel primo caso la violenza e' esercitata «immediatamente dopo» la sottrazione, nel secondo e' commessa dopo il trascorrere di un tempo piu' lungo. La prassi giudiziaria quotidiana mostra cosi' la pubblica accusa impegnata a dimostrare che la violenza e' seguita alla sottrazione dopo brevissimo intervallo, e la difesa impegnata a presentare quell'intervallo come assai lungo. Ad avviso di chi scrive occorre invece affrontare una questione diversa: e' ragionevole la disparita' di trattamento dell'autore di un furto a seconda che egli - ceteris paribus - usi violenza immediatamente dopo la sottrazione ovvero a distanza di un maggior tempo da essa? Il diverso trattamento giuridico rispecchia una reale differenza - sul piano criminologico o, se si vuole, assiologico - tra le due situazioni di fatto? Chi scrive ha cercato, nella produzione dottrinale e giurisprudenziale, una riflessione che tenti di spiegare in qualche modo la maggior gravita' - postulata dal legislatore - della prima ipotesi rispetto alla seconda; ma si e' trattato di ricerca vana, a cominciare dal fondamentale trattato del Manzini. Pare a questo giudice che la maggiore o minore distanza cronologica tra la sottrazione e l'uso della violenza sia un aspetto totalmente irrilevante sotto il profilo della gravita' della condotta: in entrambi i casi si hanno un attacco al patrimonio e un attacco alla persona di identica gravita' sia sul piano oggettivo che soggettivo. Che differenza c'e' tra la condotta del ladro di una bicicletta che si divincoli dal proprietario intervenuto subito dopo la sottrazione, e quella del medesimo ladro che si divincoli nello stesso modo essendosi casualmente imbattuto nel proprietario qualche ora dopo? La disposizione dell'art. 628 comma 2 codice penale sembra dunque in contrasto con l'art. 3 Cost. anche perche' tratta in maniera diversa situazioni di fatto che sul piano della condotta, del dolo, del pregiudizio alle vittime e di ogni altro aspetto penalmente significativo sono identiche. Nei paragrafi seguenti si porra' in rilievo come l'attuale disciplina normativa della rapina impropria, se raffrontata con la disciplina applicabile quando la violenza non segue immediatamente alla sottrazione, comporti la lesione di almeno due altri principi costituzionali fondamentali; b) Violazione dell'art. 25 comma 2 Cost. Come e' noto, con il suo espresso richiamo al «fatto commesso» l'art. 25 comma 2 della nostra carta costituzionale ha inteso riconoscere rilievo fondamentale, a fini punitivi, all'azione delittuosa per il suo obiettivo disvalore. Ne discende la costituzionalizzazione del «principio di offensivita'», che implica la necessita' di un trattamento penale differenziato per fatti diversi e, a monte, la necessita' di distinguere, in sede di redazione delle norme penali incriminatrici, i vari fenomeni delittuosi per le loro oggettive caratteristiche di lesivita' o pericolosita'. L'attuale disciplina giuridica della situazione in cui taluno debba rispondere di un furto, e di una violenza privata (o resistenza a P.U.) commessa non immediatamente dopo al fine di conseguire il possesso della refurtiva o l'impunita', e' palesemente rispettosa di questo principio. Per il furto e' prevista infatti una pena minima edittale di sei mesi di reclusione piu' multa, che si eleva vistosamente nelle due gravi ipotesi di cui all'art. 624-bis codice penale e puo' eventualmente subire l'incidenza delle numerose aggravanti specifiche di cui all'art. 625 codice penale. Per quanto attiene alla violenza che segue alla sottrazione, l'art. 610 codice penale consente di graduare la pena detentiva da quindici giorni fino a quattro anni, mentre l'art. 337 codice penale (ove la vittima della violenza sia un pubblico ufficiale) prevede pene da sei mesi a cinque anni di reclusione. Esiste dunque un corpus di disposizioni assai dettagliate ed evolute che consentono di ragguagliare la sanzione all'effettiva gravita' del fatto concreto in tutte le sue sfaccettature. La disposizione di cui all'art. 628 comma 2 codice penale, invece, si caratterizza per una vistosa indifferenza rispetto alle caratteristiche concrete del fatto: qualunque sottrazione, quando sia immediatamente seguita da violenza o minaccia, ancorche' lievi, e' reputata dal legislatore meritevole di almeno cinque anni di reclusione. Alla stregua dell'art. 628 comma 2 codice penale, se un tentativo di furto e' seguito da un atto violento o minatorio tutte le sopra elencate particolarita' vengono «azzerate», e non v'e' piu' differenza, ad esempio, se la violenza segue al furto di una costosa autovettura commesso con effrazione sulla pubblica via, ovvero segue al fiuto semplice di qualche bottiglia d'olio in un supermercato. La disposizione in esame, in altre parole, si rivela una disposizione «rozza» in cui tutto viene sacrificato sull'altare della esemplarita' sanzionatoria. c) Violazione dell'art. 27 Cost. Viene in rilievo particolarmente il comma 2, secondo cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato». La formulazione della norma, come e' noto, richiama e costituzionalizza il principio di proporzionalita' della pena (nelle sue due funzioni retributiva e rieducativa), perche' una pena sproporzionata alla gravita' del reato commesso da un lato non puo' correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalita' violata, dall'altro non potra' mai essere sentita dal condannato come rieducatrice: essa gli apparira' solo come brutale e irragionevole vendetta dello stato, suscitatrice di ulteriori istinti antisociali. Ad avviso di chi scrive l'inflizione di cinque anni di reclusione piu' multa per la sottrazione di qualche bottiglia seguita da una colluttazione col sorvegliante di un supermercato non puo' essere considerata una risposta sanzionatoria proporzionata. Cio' risulta particolarmente vero ove si raffronti la condizione dell'autore di una rapina impropria - ancora una volta - da un lato con quella dell'autore di una rapina propria (che cioe' ha consapevolmente scelto ab initio di usare violenza alla persona), dall'altro con la condizione di chi abbia usato violenza alla persona in un momento non immediatamente seguente alla sottrazione, e che percio' rispondera' di furto e violenza privata. Va a questo punto chiarito quale sia l'auspicato intervento della Corte costituzionale. Le considerazioni sopra svolte dimostrano, ad avviso di chi scrive, come il nostro ordinamento penale non abbia alcun bisogno della iniqua disposizione dell'art. 628 comma 2 c.p.: le norme che disciplinano le varie ipotesi di furto (consumato o tentato, semplice o aggravato) consentono una repressione penale adeguata alle caratteristiche delle varie possibili condotte predatorie, mentre le disposizioni in tema di violenza e minaccia come strumento di coazione dell'altrui volonta' (articoli 610 e 337 c.p.) consentono parimenti un'adeguata repressione della successiva condotta violenta del ladro, sia che essa segua immediatamente alla sottrazione, sia che sia attuata dopo un tempo piu' lungo. Ove si obietti che questa soluzione normativa comporterebbe un arretramento della risposta dello stato al delitto, va risposto che la stragrande maggioranza dei processi per rapina impropria concerne, come e' noto a chi amministra da tempo la giustizia penale, episodi di modestissima gravita', rispetto ai' quali la sanzione minima di cinque anni di reclusione appare vistosamente sproporzionata, mentre per i pochi episodi di piu' elevato allarme sociale la prudente applicazione giudiziale delle norme sopra citate, e un giusto e consapevole Governo dei criteri di determinazione della pena di cui all'art. 133 codice penale, assicurano un trattamento sanzionatorio equo. Il tutto senza considerare che per le due piu' allarmanti tipologie di furto (il furto in luogo di privata dimora e il furto con strappo) l'art. 624-bis codice penale, dopo la novella introdotta con la citata legge 36/2019 prevede gia' una pena detentiva edittale minima assai prossima a quella prevista dall'art. 628 codice penale. Questo giudice chiede pertanto che la Corte costituzionale voglia condividere i rilievi di incostituzionalita' sopra esposti e dichiarare sic et simpliciter l'illegittimita' costituzionale dell'art. 628 comma 2 codice penale, fermi restando tutti i rimanenti commi del medesimo articolo, cosi' rendendo applicabili, a quelle ipotesi che attualmente si configurano come casi di «rapina impropria», le disposizioni di cui agli articoli da 624 a 626 codice penale e agli articoli 610 e 337 codice penale.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953 n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 628 comma 2 codice penale nei termini di cui in motivazione; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Sospende il processo sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Torino, 18 novembre 2019 Il Giudice: Gallo