N. 42 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 2019
Ordinanza del 19 novembre 2019 del Tribunale di Roma nel procedimento civile promosso da Kessler Giovanni c/Ministero dell'Economia e delle Finanze e Agenzia delle Dogane e dei monopoli.. Amministrazione pubblica - Incarichi di funzione dirigenziale di cui al comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 - Cessazione dall'incarico decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo - Applicazione anche ai direttori delle Agenzie, incluse le Agenzie fiscali. - Decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, art. 2, comma 160.(GU n.21 del 20-5-2020 )
TRIBUNALE DI ROMA Quarta sezione lavoro Nella causa iscritta al n. 7094 R.G. anno 2019, promosso da: Giovanni Kessler - avv.ti Luisa Torchia e Carlo Zoli - ricorrente; Contro Ministero dell'economia e delle Finanze e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato - resistenti. Ad esito dell'udienza del giorno 6 novembre 2019 ha pronunciato la seguente ordinanza. Si e' rivolto a questo giudice il dott. Giovanni Kessler esponendo i seguenti fatti a fondamento della propria domanda: nell'anno 2017 e' stato nominato, dal Governo presieduto dall'on. Paolo Gentiloni, Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli e quindi, nell'ottobre dello stesso anno, ha lasciato il ruolo di Direttore generale dell'Ufficio europeo per la lotta all'antifrode (OLAF) che aveva ricoperto, ad esito di procedura selettiva, dal 14 febbraio 2011; il giorno 16 ottobre 2017 ha concluso contratto con il Ministero dell'economia e delle finanze nel quale, dato atto dell'accettazione dell'incarico di Direttore dell'Agenzia delle Dogane e Monopoli (di seguito: Agenzia) per la durata di tre anni e con decorrenza dal 16 ottobre 2017 (art. 1), nel quale, per quanto in questo giudizio direttamente interessa, le parti hanno convenuto all'art. 5, comma 3 che il contratto potesse essere risolto consensualmente «su iniziativa del Ministro e dietro corresponsione di una indennita' pari al trattamento economico complessivo lordo riferito a due annualita'» oppure su iniziativa dello stesso ricorrente, in questo caso nel rispetto del periodo di preavviso di quattro mesi e con facolta' del Ministro di far conoscere le proprie determinazioni entro trenta giorni dalla scadenza di questo periodo. Ha proseguito affermando che il giorno 8 agosto 2018 alle ore 20,30 era stato diffuso il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri in cui tra l'altro si afferma che nella riunione il Consiglio «ha deliberato ... su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze Giovanni Tria, l'avvio della procedura per la nomina (...) del dott. Benedetto Mineo nell'incarico di direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli»; ha aggiunto che nelle ore immediatamente successive il Vice Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro on.le Luigi Di Maio aveva rilasciato dichiarazioni, riprese dalle agenzie di stampa, del seguente tenore «Spoil system. A capo di due di tre di queste Agenzie c'erano un ex parlamentare Pd e un ex sindaco del Pd, persone che sono state messe li' con il solito metodo di chi veniva trombato in politica e prendeva un posto del genere. Abbiamo azzerato questi vertici». Ha concluso la ricostruzione dei fatti aggiungendo che nessuna comunicazione ufficiale gli era pervenuta dall'Agenzia, che l'ultima busta paga ricevuta era stata quella dell'agosto 2018 e che dal mese successivo ogni corrispettivo economico era cessato, che il successivo 12 settembre 2018 risultava essere stato nominato al suo posto il dott. Benedetto Mineo, che aveva inviato al Ministro dell'economia e delle finanze prof. Giovanni Tria una lettera in data 30 ottobre 2017 nella quale aveva chiesto la corresponsione dell'indennita' prevista dall'art. 5, comma 3 del contratto, facendo comunque offerta della propria prestazione lavorativa e contestando l'illegittimita' della rimozione di fatto dall'incarico determinata da «evidenti ragioni di discriminazione politica», che la sua lettera non aveva avuto alcun riscontro ma il successivo 31 dicembre 2018 il Ministro dell'Economia e delle Finanze gli aveva comunicato che «in base agli elementi raccolti dall'Organismo indipendente di valutazione della performance (OIV) in sede di valutazione finale dei risultati conseguiti nell'esercizio 2017 e in ragione del periodo di copertura dell'incarico, comunico alla S. V. l'attribuzione del massimo punteggio ritenendo, in particolare, quanto alle competenze organizzative di poter assegnare 25 punti». Il dott. Kessler ha quindi proposto in questo giudizio in via principale domanda di condanna dell'amministrazione convenuta al pagamento della somma di euro 480.000,00 lordi, oltre accessori di legge, come importo dovuto per l'indennita' prevista dall'art. 5, comma 3 del contratto individuale di lavoro concluso il 30 ottobre 2017, sul presupposto che la decisione del Consiglio dei Ministri di procedere alla nomina di altro soggetto per l'incarico da lui ricoperto sino all'agosto 2018 e le successive dichiarazioni rilasciate dal Vice Presidente del Consiglio a commento di quella decisione integrino la condizione che la disposizione contrattuale del comma 3, dell'art. 5 esprime come ipotesi di risoluzione consensuale «su iniziativa del Ministro». Solo in via subordinata ha sostenuto che, se non fosse applicabile dell'art. 5, comma 3 del contratto individuale, si dovrebbero trarre due conseguenze alternative, esposte dal ricorrente in ordine di priorita': prima di tutto sarebbe nullo per discriminatorieta' politica e per vizio di forma il recesso operato di fatto dall'amministrazione e per l'effetto sarebbero dovute quindi tutte le retribuzioni maturate dal settembre 2018; in secondo luogo allo stesso esito si dovrebbe pervenire in ragione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 160, decreto-legge 3 ottobre 2016, convertito con modificazioni con legge 24 novembre 2006, n. 286, per violazione degli articoli 3, 97 e 98 Cost., nonche' dei principi costituzionali di buon andamento, imparzialita' e ragionevolezza. Infine ha formulato ulteriore domanda per il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti, nella specie del danno morale soggettivo, in conseguenza delle dichiarazioni diffuse dall'on. Di Maio riportate in precedenza, per cui ha chiesto la condanna delle amministrazioni convenute al pagamento della somma di euro 100.000,00 determinata in via equitativa. Nel costituirsi in giudizio con unica memoria depositata il 21 giugno 2019 il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, attraverso l'Avvocatura dello Stato, hanno prospettato una ricostruzione delle ragioni di diritto che avevano determinato la cessazione dell'incarico del ricorrente affatto diversa: hanno premesso che il decreto del 6 ottobre 2017 con il quale era stato nominato il ricorrente, espressamente richiamato dal contratto individuale di lavoro, conteneva un esplicito riferimento sia all'art. 18, comma 8 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che regola l'eventualita' della cessazione automatica dell'incarico, sia all'art. 2, comma 160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito nella legge n. 286 del 2006; che in ogni caso queste disposizioni, per il loro carattere inderogabile, sarebbero state egualmente applicabili alla fattispecie in esame anche quando le parti non le avessero contrattualmente richiamate; che in applicazione di queste disposizioni si era verificata la decadenza ex lege dall'incarico «direttamente correlata alla natura fiduciaria dei rapporti tra organo politico e dirigenza apicale e (che), nel contempo, escludendo qualsiasi profilo di discrezionalita', assicura l'imparzialita' dello svolgimento delle funzioni». Ha precisato che la cessazione automatica dalle funzioni nel caso del ricorrente si sarebbe verificata il 5 settembre 2018, dal momento che a quella data sarebbe interamente trascorso il periodo di novanta giorni dal voto di fiducia al nuovo governo, ottenuto dalla Camera dei Deputati il 6 giugno precedente, in attuazione di quanto disposto dall'art. 19, comma 8 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come richiamato dall'art. 2, comma 160 decreto-legge 3 ottobre 2006 n. 262 con il quale la decadenza ex lege e' stata prevista anche nel caso dei direttori delle agenzie fiscali. In riferimento alla questione di legittimita' costituzionale di questa disposizione, che parte ricorrente ha proposto in via subordinata, l'Avvocatura dello Stato ha affermato che si tratterebbe di questione infondata in quanto «sussiste un legame istituzionale diretto che richiede, necessariamente, coesione politica» tra il Ministro e la figura del Direttore dell'Agenzia. Nel corso del giudizio, tralasciando qui le questioni strettamente attinenti la domanda risarcitoria per il danno morale soggettivo che non assumono diretta inferenza sulla questione in oggetto, e' stata fissata udienza per consentire alle parti di discutere la prospettata questione di costituzionalita' dell'art. 2, comma 160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito nella legge n. 286 del 2006. Ad esito dell'udienza del 6 novembre 2019 e' stata riservata la decisione. Osserva al riguardo questo Giudice quanto segue. La questione di legittimita' costituzionale della disposizione in esame assume rilevanza in questo giudizio non essendo possibile pervenire ad una decisione se non facendo applicazione della disposizione in questione. E' opportuno, per una compiuta ricostruzione della fattispecie, riportare di seguito il testo dell'art. 5 del contratto concluso tra le parti: 1. Il presente contratto si intende automaticamente risolto in caso di nomina di un commissario straordinario ai sensi del comma 1, dell'art. 69 del decreto legislativo n. 300 del 1999; 2. Il presente contratto si intende altresi' automaticamente risolto in caso di' nomina o destinazione del dott. Giovanni Kessler ad altro incarico dallo stesso accettato; 3. Il presente contratto puo' essere consensualmente risolto: su iniziativa del Ministro e dietro corresponsione di una indennita' pari al trattamento complessivo lordo riferito a due annualita'; su iniziativa del dott. Giovanni Kessler, con preavviso di mesi quattro. In questo caso il Ministro fa conoscere le proprie determinazioni almeno trenta giorni prima della scadenza del preavviso. Non e' infatti accoglibile - ad avviso di questo giudice per una duplice ragione - la tesi che il ricorrente ha prospettato in via principale, laddove ha sostenuto la condanna dell'amministrazione al pagamento della somma di euro 480.000,00 in attuazione dell'art. 5, comma 3 del contratto. Prima di tutto perche' il tenore letterale della disposizione contrattuale presuppone in ogni caso il carattere consensuale della risoluzione cui le parti pervengano nel caso di «iniziativa del Ministro»; si tratta di condizioni che in questo caso non possono dirsi avverate, sia perche' nessun atto di provenienza del Ministro, tale da assumere appunto da essere qualificabile come «iniziativa», risulta esser mai stato compiuto, come desumibile dal fatto che lo stesso ricorrente si limita ad indicare un comportamento di fatto posto in essere dall'organo politico e dal vertice dell'amministrazione convenuta; sia perche' non si puo' comunque ritenere che lo stesso ricorrente abbia prestato alcun consenso a fronte di questa condotta, non potendo intendersi come tale la richiesta da lui formulata con la lettera indirizzata al prof. Giovanni Tria in data 30 ottobre 2017, non a caso contenente anche l'affermazione secondo cui il recesso sarebbe nullo perche' non adottato con provvedimento scritto e comunque discriminatorio per ragioni politiche. In secondo luogo, perche' comunque l'ipotesi di decadenza ex lege dell'incarico, con quanto ne consegue per quanto attiene la conclusione del rapporto di lavoro, viene ad operare come distinta causa di conclusione del rapporto, tale quindi, proprio perche' autonoma e diversa da quella pattuita dalle parti, da rendere inoperante, se produttiva di effetti, la previsione dell'art. 5, comma 3, con la conseguenza che, se legittima questa causa, verrebbero a perdere di fondatezza tutte le domande che il ricorrente ha formulato in giudizio, quanto meno quelle diverse dall'azione risarcitoria per il lamentato danno morale soggettivo. Queste ultime osservazioni sono estensibili anche all'altra domanda che il ricorrente ha formulato in via ulteriormente subordinata: la nullita' della risoluzione del contratto per asserita discriminatorieta' politica presuppone che non altre ragioni abbiano motivato la conclusione del contratto di lavoro, mentre invece, secondo la tesi dei convenuti, il rapporto sarebbe cessato automaticamente ex lege, quindi senza che si rendesse necessaria alcuna manifestazione di volonta', neppure implicita, da parte del datore di lavoro pubblico. Se non vi fosse stata da parte delle amministrazioni, come sostengono le parti convenute, alcuna manifestazione di volonta' nel recesso dal rapporto, neppure sarebbe possibile ascrivere questa conclusione ad intenzioni discriminatorie per ragioni politiche. Per queste ragioni non e' altrimenti decidibile la controversia se non facendo applicazione della disposizione espressa dall'art. 2, comma 160, decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 invocato dalla parte resistente a sostegno della legittimita' della propria condotta. Da ultimo, sempre sul presupposto della rilevanza, occorre anche considerare una questione ulteriore: tenuto conto che il rapporto di lavoro oggetto della controversia ha avuto inizio il giorno 30 ottobre 2017 e la durata che le parti hanno pattuito e' triennale, riveste tuttora attualita' la questione se esaminata alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita', da considerarsi diritto vivente per la continuita' con cui sono ribaditi, secondo i quali «le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - dichiarative di illegittimita' costituzionale - eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che essa non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perche' l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto l'invalidita' originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell'incostituzionalita' non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo» (Cass. n. 294/2014; n. 20100/2015; n. 321/2016; n. 1748/2017; n. 13801/2018). La durata triennale originariamente prevista per il contratto concluso tra le parti e la stessa pendenza dall'attuale controversia, unitamente alla conseguente proposizione delle domande risarcitorie formulate dalla parte ricorrente, inducono ad escludere che i rapporti che da questo contratto hanno avuto origine possano intendersi esauriti in modo definitivo. Anche per questa ulteriore ragione la questione risulta rilevante ai fini della decisione. I dubbi di legittimita' costituzionale che il ricorrente ha prospettato nel costituirsi in giudizio risultano anche non manifestamente infondati. La questione riguarda, come gia' precisato, l'estensione del meccanismo del cd. spoils system, che il legislatore ha disposto con l'art. 2, comma 160 del decreto-legge 3 ottobre 2006 n. 262, ritenendo applicabile anche ai direttori delle Agenzie fiscali, in questo caso al Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, la previsione espressa dall'art. 19, comma 8 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Sono proprio i criteri che il giudice delle leggi ha enunciato con riferimento a situazioni comparabili con quella in esame a far ritenere la fondatezza dei dubbi di legittimita' costituzione della disposizione. Infatti, ancora di recente, la Corte ha avuto modo di richiamare in questi termini il proprio orientamento: «I predetti meccanismi di decadenza automatica sono stati da questa Corte ritenuti compatibili con l'art. 97 Cost., esclusivamente ove riferiti ad addetti ad uffici di diretta collaborazione con l'organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) o a figure apicali, quali quelle contemplate dall'art. 19, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (sentenza n. 34 del 2010). Relativamente a tali incarichi, causa et ratio della relativa normativa e delle conseguenti pronunce confermative della loro legittimita' costituzionale, vanno individuate nella necessita' per l'organo di vertice di assicurare, intuitu personae, una migliore fluidita' e correntezza di rapporti con diretti collaboratori quali sono i dirigenti apicali e ovviamente il personale di staff, funzionali allo stesso miglior andamento dell'attivita' amministrativa. Per il rimanente personale dirigenziale, i meccanismi di decadenza automatica, o meramente discrezionale, sono stati invece costantemente ritenuti incompatibili con l'art. 97 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 228 e n. 124 del 2011, n. 224 del 2010, n. 104 e n. 103 del 2007)» (in questi termini al p.4 del Considerato in diritto della sentenza n. 15 del 2017). Richiamando la propria precedente giurisprudenza, la Corte ha anche affermato che: «Nella ricordata sentenza n. 81 del 2010, si e' ancora una volta ribadito che la previsione di una anticipata cessazione ex lege del rapporto in corso - in assenza di una accertata responsabilita' dirigenziale - impedisce che l'attivita' del dirigente possa espletarsi in conformita' al modello di azione della pubblica amministrazione, che misura l'osservanza del canone dell'efficacia e dell'efficienza alla luce dei risultati che' il dirigente deve perseguire, «nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarita' della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita». Nella medesima sentenza si e' sottolineata l'esigenza di garantire "la presenza di un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del quale, da un lato, l'amministrazione esterni le ragioni - connesse alle pregresse modalita' di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa - per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall'organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato». Non sembra che in relazione alla figura del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli possa essere riconosciuta ne' la posizione di dirigente apicale ne' l'esistenza di rapporto di diretta collaborazione con l'organo di governo che costituiscono i presupposti positivi necessari perche' possano legittimamente operare dispositivi di cessazione automatica dall'incarico secondo i modelli di cd. spoils system. Quanto alla configurazione di una posizione di dirigente apicale, che l'Avvocatura dello Stato ritiene sussistente nel caso in questione, occorre considerare che ai sensi del comma 3, dell'art. 19 del decreto legislativo n. 155 del 2001, come richiamati dal comma 8 della stessa disposizione, sono indicati come tali: «Gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente». Questa definizione delimita il campo di applicazione del comma 8 dell'art. 19 alla sole figure dei Segretari generali dei ministeri ed ai capi di Dipartimento delle stesse amministrazioni ed altri equivalenti «vale a dire quelli di maggiore coesione con gli organi politici» (in questi termini al p. 9.1. del Considerato in diritto nella sentenza della Corte n. 103 del 2007). Questa caratteristica di «maggior coesione con, gli organi politici» che giustifica eccezionalmente il sistema cd. di spoils system non sembra invece possa essere ravvisata nel caso del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, il che suscita dubbi di legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 97 e 98 Cost., dell'art. 2, comma 160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito nella legge n. 286 del 2006, che invece proprio questa equiparazione ha stabilito. In primo luogo per la stessa esistenza dell'Agenzia come organismo titolare di personalita' giuridica autonoma, come previsto dal comma 1, dell'art. 61 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e dotato di «autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria». Questa differente collocazione organizzativa segna una netta distinzione tra le «gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente» e la posizione del Direttore dell'Agenzia, con la conseguenza che ogni equiparazione tra il ruolo del Direttore dell'Agenzia e quella delle figure apicali del Ministero avrebbe come effetto inevitabile proprio la mortificazione dell'autonomia dell'Agenzia. Altro evidente motivo di differenziazione, come sostenuto con argomento condivisibile dal ricorrente, si puo' rinvenire proprio nello strumento normativamente previsto al fine di assicurare raccordo e coerenza di indirizzi tra il vertice politico rappresentato dal Ministro e l'Agenzia stessa; la questione e' trattata all'art. 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, collocato all'interno del Capo II del decreto la «Riforma del Ministero delle Finanze e dell'amministrazione fiscale». Prevede l'art. 59 che, sulla base del documento di indirizzo elaborato con cadenza annuale dal Ministro e trasmesso al Parlamento, dopo che questo ha approvato il documento di programmazione economico - finanziaria, sia stipulata una «convenzione triennale, con adeguamento annuale per ciascun esercizio finanziario, con la quale vengono fissati: a) i servizi dovuti e gli obiettivi da raggiungere; b) le direttive generali sui criteri della gestione ed i vincoli da rispettare; c) le strategie per il miglioramento; d) le risorse disponibili; e) gli indicatori ed i parametri in base ai quali misurare l'andamento della gestione». Questa complessa procedura rende evidente che il piano delle scelte politiche e' tutto ed interamente affidato alla procedura deliberativa che prevede prima di tutto l'approvazione da parte del Parlamento del documento di programmazione economico-finanziaria, quindi l'elaborazione da parte del Ministro del documento di indirizzo che ha cadenza annuale ma copre un periodo almeno triennale. Solo quando questa interlocuzione politica tra l'organo dell'esecutivo e l'assemblea parlamentare si e' realizzata ed il conseguente percorso deliberativo si e' concluso, solo a quel punto viene stipulata tra Ministro ed Agenzia una convenzione, anche questa per l'arco temporale del triennio e con cadenza di aggiornamento annuale. Il modello indicato dal legislatore configura una contrattualizzazione del rapporto tra Ministro e Agenzia che vale per un verso a segnare nettamente la distinzione dei ruoli politici da quelli dell'amministrazione, per altro verso, per quanto qui piu' direttamente interessa, ad escludere che il rapporto tra il Ministro ed il vertice dell'Agenzia sia connotato da fiduciarieta' e sia riconducibile al rapporto «intuitu personae» come prospetta l'Avvocatura dello Stato. Se si fondasse sulla fiduciarieta', non avrebbe ragione d'essere il dispositivo normativo che prevede la convenzione triennale da aggiornare annualmente perche' ogni determinazione al riguardo resterebbe appunto affidata, e confinata, nella natura fiduciaria del rapporto. E' vero quindi che non esistono ruoli intermedi tra il Ministro ed il Direttore dell'Agenzia, come l'Avvocatura ha osservato richiamando il principio espresso dalla sentenza, ma questo sembra non significare tanto la fiduciarieta' del rapporto tra i due soggetti, quanto invece per un verso l'autonomia dell'Agenzia, per altro verso la rilevanza della procedura che si obiettivizza nella conclusione della Convenzione. Per questa ragione appare condivisibile la tesi del ricorrente laddove afferma che «Il Direttore esercita precipuamente quelle "funzioni amministrative di esecuzione dell'indirizzo politico" (Corte costituzionale, sentenza n. 34 del 2010), proprie della dirigenza pubblica, nei , cui confronti occorre garantire il rispetto del principio di separazione tra politica ed amministrazione». Per la stessa ragione emergono nette differenze tra la posizione del Direttore dell'Agenzia e quella del segretario comunale per il quale, con la recente sentenza di questa Corte n. 23 del 2019, e' stato osservato che «Si tratta di competenze che presuppongono anche un ruolo attivo e propositivo del segretario comunale. Esse infatti gli consentono di coadiuvare e supportare sindaco e giunta nella fase preliminare della definizione dell'indirizzo politico-amministrativo e non possono quindi non influenzarla: non gia' nel senso di indicare o sostenere obbiettivi specifici, piuttosto nella direzione di mostrare se quegli obbiettivi possono essere legittimamente inclusi fra i risultati che gli organi di direzione politico-amministrativa intendono raggiunge». Nel caso in esame non sono ravvisabili condizioni analoghe ne' un ruolo «attivo e propositivo» da parte del Direttore nella definizione dell'indirizzo politico-amministrativo, come ha invece sostenuto anche nella discussione in udienza l'Avvocatura dello Stato, tenuto conto delle puntuali disposizioni espresse dall'art. 59, comma 1 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, che non contengono alcuna previsione del genere. Infine, a confermare i dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito nella legge n. 286 del 2006, concorre anche il fatto che al Direttore dell'Agenzia sono attribuite consistenti e peculiari funzioni tutte riconducibili alla gestione amministrativa, come e' possibile desumere dai criteri a cui occorre attenersi nella selezione del Direttore (art. 67, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 300 del 1999 che si riferisce ad «alta professionalita', di capacita' manageriale e di qualificata esperienza nell'esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell'agenzia»), dal contenuto delle funzioni attribuitegli (art. 68, comma 2: « Il direttore sottopone alla valutazione del comitato di gestione le scelte strategiche aziendali e le nomine dei dirigenti responsabili delle strutture di vertice a livello centrale e periferico»), dallo specifico compito di proporre il regolamento di amministrazione (art. 71, comma 3). Anche questo elemento, concorre a collocare il ruolo del Direttore dell'Agenzia nell'ambito delle funzioni amministrative di esecuzione dell'indirizzo politico e rafforza quindi i dubbi sulla violazione degli articoli 97 e 98 Cost. da parte dell'art. 2, comma 160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito nella legge n. 286 del 2006, nella parte in cui richiamando il regime giuridico di cui al comma 8, dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, prevede la cessazione ex lege del ruolo di Direttore dell'Agenzia decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. In conclusione, sussistono fondate ragioni per ritenere che questa disposizione determini una violazione dei principi di buon andamento e di continuita' dell'attivita' amministrativa e sia tale da compromettere la distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico amministrativo e quelli di gestione, come nel caso in questione e' palesemente avvenuto essendosi verificata la decadenza ex lege dall'incarico nonostante la valutazione finale dei risultati conseguiti dal ricorrente nell'esercizio 2017 con l'attribuzione del massimo punteggio.
P. Q. M. Il giudice pronunciando sul ricorso in epigrafe; visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 160 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, per ritenuto contrasto con gli articoli 97 e 98 della Costituzione, nella parte in cui prevede l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 19, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 anche ai direttori dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; sospende il presente giudizio e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, 19 novembre 2019 Il Giudice: Cottatellucci