N. 42 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 2019

Ordinanza del 19 novembre 2019 del Tribunale di Roma nel procedimento
civile promosso da Kessler Giovanni c/Ministero dell'Economia e delle
Finanze e Agenzia delle Dogane e dei monopoli.. 
 
Amministrazione pubblica - Incarichi di funzione dirigenziale di  cui
  al comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165  del  2001  -  Cessazione
  dall'incarico decorsi novanta giorni  dal  voto  sulla  fiducia  al
  Governo - Applicazione anche ai direttori delle Agenzie, incluse le
  Agenzie fiscali. 
- Decreto-legge 3 ottobre  2006,  n.  262  (Disposizioni  urgenti  in
  materia tributaria e finanziaria), convertito,  con  modificazioni,
  nella legge 24 novembre 2006, n. 286, art. 2, comma 160. 
(GU n.21 del 20-5-2020 )
 
                          TRIBUNALE DI ROMA 
                        Quarta sezione lavoro 
 
    Nella causa iscritta al n. 7094 R.G. anno 2019, promosso da: 
      Giovanni  Kessler  -  avv.ti  Luisa  Torchia  e  Carlo   Zoli -
ricorrente; 
      Contro Ministero dell'economia e delle Finanze e Agenzia  delle
Dogane  e  dei  Monopoli  -  rappresentati   e   difesi   ope   legis
dall'Avvocatura Generale dello Stato - resistenti. 
    Ad esito dell'udienza del giorno 6 novembre 2019  ha  pronunciato
la seguente ordinanza. 
    Si  e'  rivolto  a  questo  giudice  il  dott.  Giovanni  Kessler
esponendo i  seguenti  fatti  a  fondamento  della  propria  domanda:
nell'anno 2017 e' stato nominato,  dal  Governo  presieduto  dall'on.
Paolo Gentiloni, Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli e
quindi, nell'ottobre dello stesso  anno,  ha  lasciato  il  ruolo  di
Direttore generale dell'Ufficio europeo per  la  lotta  all'antifrode
(OLAF) che aveva ricoperto, ad esito di procedura selettiva,  dal  14
febbraio 2011; il giorno 16 ottobre 2017 ha concluso contratto con il
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  nel  quale,  dato   atto
dell'accettazione  dell'incarico  di  Direttore  dell'Agenzia   delle
Dogane e Monopoli (di seguito: Agenzia) per la durata di tre  anni  e
con decorrenza dal 16 ottobre 2017 (art. 1), nel quale, per quanto in
questo giudizio direttamente  interessa,  le  parti  hanno  convenuto
all'art.  5,  comma  3  che  il  contratto  potesse  essere   risolto
consensualmente «su iniziativa del Ministro e  dietro  corresponsione
di una indennita' pari al  trattamento  economico  complessivo  lordo
riferito  a  due  annualita'»  oppure  su  iniziativa  dello   stesso
ricorrente, in questo caso nel rispetto del periodo di  preavviso  di
quattro mesi e con facolta' del Ministro di far conoscere le  proprie
determinazioni entro trenta giorni dalla scadenza di questo periodo. 
    Ha proseguito affermando che il giorno 8  agosto  2018  alle  ore
20,30 era stato  diffuso  il  comunicato  stampa  del  Consiglio  dei
Ministri in  cui  tra  l'altro  si  afferma  che  nella  riunione  il
Consiglio «ha deliberato ... su proposta del Ministro dell'economia e
delle finanze Giovanni Tria, l'avvio della procedura  per  la  nomina
(...)  del  dott.  Benedetto   Mineo   nell'incarico   di   direttore
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli»; ha aggiunto che nelle  ore
immediatamente  successive  il  Vice  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri e Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro on.le Luigi
Di Maio aveva rilasciato  dichiarazioni,  riprese  dalle  agenzie  di
stampa, del seguente tenore «Spoil system. A capo di due  di  tre  di
queste Agenzie c'erano un ex parlamentare Pd e un ex sindaco del  Pd,
persone che sono state messe li' con il solito metodo di  chi  veniva
trombato in politica e prendeva un posto del genere. Abbiamo azzerato
questi vertici». 
    Ha concluso la ricostruzione dei fatti  aggiungendo  che  nessuna
comunicazione ufficiale gli era pervenuta dall'Agenzia, che  l'ultima
busta paga ricevuta era stata quella dell'agosto 2018 e che dal  mese
successivo  ogni  corrispettivo  economico  era   cessato,   che   il
successivo 12 settembre 2018 risultava essere stato nominato  al  suo
posto il  dott.  Benedetto  Mineo,  che  aveva  inviato  al  Ministro
dell'economia e delle finanze prof. Giovanni Tria una lettera in data
30  ottobre  2017  nella  quale  aveva  chiesto   la   corresponsione
dell'indennita' prevista dall'art. 5, comma 3 del contratto,  facendo
comunque offerta della propria prestazione lavorativa  e  contestando
l'illegittimita' della rimozione di fatto  dall'incarico  determinata
da «evidenti ragioni di discriminazione politica», che la sua lettera
non aveva avuto alcun riscontro ma il successivo 31 dicembre 2018  il
Ministro dell'Economia e delle Finanze gli aveva comunicato  che  «in
base  agli   elementi   raccolti   dall'Organismo   indipendente   di
valutazione della performance (OIV) in sede di valutazione finale dei
risultati conseguiti nell'esercizio 2017 e in ragione del periodo  di
copertura dell'incarico,  comunico  alla  S.  V.  l'attribuzione  del
massimo punteggio ritenendo, in particolare, quanto  alle  competenze
organizzative di poter assegnare 25 punti». 
    Il dott. Kessler ha quindi proposto in  questo  giudizio  in  via
principale domanda  di  condanna  dell'amministrazione  convenuta  al
pagamento della somma di euro 480.000,00 lordi,  oltre  accessori  di
legge, come importo dovuto per  l'indennita'  prevista  dall'art.  5,
comma 3 del contratto individuale di lavoro concluso  il  30  ottobre
2017, sul presupposto che la decisione del Consiglio dei Ministri  di
procedere alla  nomina  di  altro  soggetto  per  l'incarico  da  lui
ricoperto  sino  all'agosto  2018  e  le   successive   dichiarazioni
rilasciate dal Vice Presidente del Consiglio  a  commento  di  quella
decisione integrino la condizione che  la  disposizione  contrattuale
del  comma  3,  dell'art.  5  esprime  come  ipotesi  di  risoluzione
consensuale «su iniziativa del Ministro». 
    Solo  in  via  subordinata  ha  sostenuto  che,  se   non   fosse
applicabile dell'art.  5,  comma  3  del  contratto  individuale,  si
dovrebbero trarre due conseguenze alternative, esposte dal ricorrente
in  ordine  di  priorita':  prima  di   tutto   sarebbe   nullo   per
discriminatorieta' politica e per vizio di forma il  recesso  operato
di fatto dall'amministrazione e per l'effetto sarebbero dovute quindi
tutte le retribuzioni maturate dal settembre 2018; in  secondo  luogo
allo   stesso   esito    si    dovrebbe    pervenire    in    ragione
dell'illegittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   comma    160,
decreto-legge 3 ottobre 2016, convertito con modificazioni con  legge
24 novembre 2006, n. 286, per violazione degli articoli 3,  97  e  98
Cost.,  nonche'  dei  principi  costituzionali  di  buon   andamento,
imparzialita' e ragionevolezza. 
    Infine ha formulato ulteriore domanda  per  il  risarcimento  dei
danni  non  patrimoniali  subiti,  nella  specie  del  danno   morale
soggettivo, in conseguenza delle dichiarazioni  diffuse  dall'on.  Di
Maio riportate in precedenza, per cui ha chiesto  la  condanna  delle
amministrazioni convenute al pagamento della somma di euro 100.000,00
determinata in via equitativa. 
    Nel costituirsi in giudizio con unica memoria  depositata  il  21
giugno 2019 il Ministero dell'economia e delle  finanze  e  l'Agenzia
delle Dogane e dei Monopoli,  attraverso  l'Avvocatura  dello  Stato,
hanno prospettato una ricostruzione  delle  ragioni  di  diritto  che
avevano  determinato  la  cessazione  dell'incarico  del   ricorrente
affatto diversa: hanno premesso che il decreto del 6 ottobre 2017 con
il quale era stato nominato il ricorrente,  espressamente  richiamato
dal  contratto  individuale  di  lavoro,   conteneva   un   esplicito
riferimento sia all'art. 18, comma 8 del decreto legislativo  n.  165
del  2001  che  regola  l'eventualita'  della  cessazione  automatica
dell'incarico,  sia  all'art.  2,  comma  160  del  decreto-legge  n.
262/2006, convertito nella legge n. 286 del 2006; che  in  ogni  caso
queste disposizioni, per il loro  carattere  inderogabile,  sarebbero
state egualmente applicabili alla fattispecie in esame  anche  quando
le  parti  non  le  avessero  contrattualmente  richiamate;  che   in
applicazione di queste disposizioni si era verificata la decadenza ex
lege dall'incarico «direttamente correlata alla natura fiduciaria dei
rapporti tra  organo  politico  e  dirigenza  apicale  e  (che),  nel
contempo, escludendo qualsiasi profilo di discrezionalita',  assicura
l'imparzialita' dello svolgimento delle funzioni». 
    Ha precisato che la cessazione automatica dalle funzioni nel caso
del ricorrente si sarebbe verificata il 5 settembre 2018, dal momento
che a quella data sarebbe interamente trascorso il periodo di novanta
giorni dal voto di fiducia al nuovo governo,  ottenuto  dalla  Camera
dei Deputati il 6 giugno precedente, in attuazione di quanto disposto
dall'art. 19, comma 8 del decreto legislativo n. 165 del  2001,  come
richiamato dall'art. 2, comma 160 decreto-legge 3 ottobre 2006 n. 262
con il quale la decadenza ex lege e' stata prevista  anche  nel  caso
dei direttori delle agenzie fiscali. 
    In riferimento alla questione di legittimita'  costituzionale  di
questa  disposizione,  che  parte  ricorrente  ha  proposto  in   via
subordinata, l'Avvocatura dello Stato ha affermato che si tratterebbe
di questione infondata in quanto «sussiste  un  legame  istituzionale
diretto che richiede,  necessariamente,  coesione  politica»  tra  il
Ministro e la figura del Direttore dell'Agenzia. 
    Nel  corso  del   giudizio,   tralasciando   qui   le   questioni
strettamente attinenti la domanda risarcitoria per  il  danno  morale
soggettivo che non assumono  diretta  inferenza  sulla  questione  in
oggetto, e' stata  fissata  udienza  per  consentire  alle  parti  di
discutere la prospettata questione di costituzionalita' dell'art.  2,
comma 160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito  nella  legge  n.
286 del 2006. 
    Ad esito dell'udienza del 6 novembre 2019 e' stata  riservata  la
decisione. 
    Osserva al riguardo questo Giudice quanto segue. 
    La questione di legittimita' costituzionale della disposizione in
esame assume rilevanza  in  questo  giudizio  non  essendo  possibile
pervenire  ad  una  decisione  se  non  facendo  applicazione   della
disposizione in questione. 
    E' opportuno, per una compiuta ricostruzione  della  fattispecie,
riportare di seguito il testo dell'art. 5 del contratto concluso  tra
le parti: 
      1. Il presente contratto si intende automaticamente risolto  in
caso di nomina di un commissario straordinario ai sensi del comma  1,
dell'art. 69 del decreto legislativo n. 300 del 1999; 
      2. Il presente contratto si  intende  altresi'  automaticamente
risolto in caso di' nomina o destinazione del dott. Giovanni  Kessler
ad altro incarico dallo stesso accettato; 
      3. Il presente contratto puo' essere consensualmente risolto: 
        su iniziativa del Ministro e  dietro  corresponsione  di  una
indennita' pari al  trattamento  complessivo  lordo  riferito  a  due
annualita'; 
        su iniziativa del dott. Giovanni Kessler,  con  preavviso  di
mesi quattro. In questo caso il  Ministro  fa  conoscere  le  proprie
determinazioni  almeno  trenta  giorni  prima  della   scadenza   del
preavviso. 
    Non e' infatti accoglibile - ad avviso di questo giudice per  una
duplice ragione - la tesi che il ricorrente  ha  prospettato  in  via
principale, laddove ha sostenuto la condanna dell'amministrazione  al
pagamento della somma di euro 480.000,00 in attuazione  dell'art.  5,
comma 3 del contratto. 
    Prima di tutto perche' il  tenore  letterale  della  disposizione
contrattuale presuppone in ogni caso il carattere  consensuale  della
risoluzione cui le parti  pervengano  nel  caso  di  «iniziativa  del
Ministro»; si tratta di condizioni che in  questo  caso  non  possono
dirsi avverate, sia perche' nessun atto di provenienza del  Ministro,
tale da assumere appunto da essere qualificabile  come  «iniziativa»,
risulta esser mai stato compiuto, come desumibile dal  fatto  che  lo
stesso ricorrente si limita ad indicare  un  comportamento  di  fatto
posto   in   essere    dall'organo    politico    e    dal    vertice
dell'amministrazione convenuta; sia  perche'  non  si  puo'  comunque
ritenere che lo stesso ricorrente abbia  prestato  alcun  consenso  a
fronte di questa  condotta,  non  potendo  intendersi  come  tale  la
richiesta da lui  formulata  con  la  lettera  indirizzata  al  prof.
Giovanni Tria in data 30 ottobre 2017, non a  caso  contenente  anche
l'affermazione secondo cui  il  recesso  sarebbe  nullo  perche'  non
adottato con provvedimento scritto  e  comunque  discriminatorio  per
ragioni politiche. 
    In secondo luogo, perche' comunque l'ipotesi di decadenza ex lege
dell'incarico,  con  quanto  ne  consegue  per  quanto   attiene   la
conclusione del rapporto di lavoro, viene ad  operare  come  distinta
causa di conclusione  del  rapporto,  tale  quindi,  proprio  perche'
autonoma e  diversa  da  quella  pattuita  dalle  parti,  da  rendere
inoperante, se produttiva di  effetti,  la  previsione  dell'art.  5,
comma  3,  con  la  conseguenza  che,  se  legittima  questa   causa,
verrebbero a perdere di fondatezza tutte le domande che il ricorrente
ha formulato in giudizio,  quanto  meno  quelle  diverse  dall'azione
risarcitoria per il lamentato danno morale soggettivo. 
    Queste  ultime  osservazioni  sono  estensibili  anche  all'altra
domanda  che  il  ricorrente  ha  formulato  in   via   ulteriormente
subordinata: la nullita' della risoluzione del contratto per asserita
discriminatorieta' politica presuppone che non altre ragioni  abbiano
motivato la conclusione  del  contratto  di  lavoro,  mentre  invece,
secondo  la  tesi  dei  convenuti,  il   rapporto   sarebbe   cessato
automaticamente ex lege, quindi  senza  che  si  rendesse  necessaria
alcuna manifestazione di volonta', neppure implicita,  da  parte  del
datore di lavoro pubblico. 
    Se non vi  fosse  stata  da  parte  delle  amministrazioni,  come
sostengono le parti convenute, alcuna manifestazione di volonta'  nel
recesso dal rapporto,  neppure  sarebbe  possibile  ascrivere  questa
conclusione ad intenzioni discriminatorie per ragioni politiche. 
    Per queste ragioni non e' altrimenti decidibile  la  controversia
se non facendo applicazione della disposizione espressa dall'art.  2,
comma 160, decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 invocato dalla  parte
resistente a sostegno della legittimita' della propria condotta. 
    Da ultimo, sempre sul presupposto della rilevanza, occorre  anche
considerare una questione ulteriore: tenuto conto che il rapporto  di
lavoro oggetto della  controversia  ha  avuto  inizio  il  giorno  30
ottobre 2017 e la durata che le parti hanno  pattuito  e'  triennale,
riveste tuttora attualita' la questione se esaminata  alla  luce  dei
principi  affermati  dalla   giurisprudenza   di   legittimita',   da
considerarsi  diritto  vivente  per  la  continuita'  con  cui   sono
ribaditi, secondo i quali «le pronunce di  accoglimento  del  giudice
delle  leggi  -  dichiarative  di  illegittimita'  costituzionale   -
eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza  che  essa
non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla circostanza  che  la
fattispecie sia sorta in epoca  anteriore  alla  pubblicazione  della
decisione, perche' l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto
l'invalidita'  originaria  della  legge  -   sia   essa   di   natura
sostanziale, procedimentale o processuale  -  per  contrasto  con  un
precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli  effetti
dell'incostituzionalita' non si estendono esclusivamente ai  rapporti
ormai esauriti in modo definitivo» (Cass. n. 294/2014; n. 20100/2015;
n. 321/2016; n. 1748/2017; n. 13801/2018). 
    La durata triennale originariamente  prevista  per  il  contratto
concluso tra le parti e la stessa pendenza dall'attuale controversia,
unitamente alla conseguente proposizione delle  domande  risarcitorie
formulate  dalla  parte  ricorrente,  inducono  ad  escludere  che  i
rapporti  che  da  questo  contratto  hanno  avuto  origine   possano
intendersi esauriti in modo definitivo. 
    Anche per questa ulteriore ragione la questione risulta rilevante
ai fini della decisione. 
    I dubbi di  legittimita'  costituzionale  che  il  ricorrente  ha
prospettato  nel  costituirsi  in  giudizio   risultano   anche   non
manifestamente infondati. 
    La questione riguarda,  come  gia'  precisato,  l'estensione  del
meccanismo del cd. spoils system, che il legislatore ha disposto  con
l'art. 2,  comma  160  del  decreto-legge  3  ottobre  2006  n.  262,
ritenendo applicabile anche ai direttori delle  Agenzie  fiscali,  in
questo caso al Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, la
previsione espressa dall'art. 19, comma 8 del decreto legislativo  n.
165 del 2001. 
    Sono proprio i criteri che il giudice delle  leggi  ha  enunciato
con riferimento a situazioni comparabili con quella in  esame  a  far
ritenere la fondatezza dei dubbi di legittimita'  costituzione  della
disposizione. 
    Infatti, ancora di recente, la Corte ha avuto modo di  richiamare
in questi termini il proprio orientamento: 
      «I predetti meccanismi di decadenza automatica  sono  stati  da
questa Corte ritenuti compatibili con l'art. 97 Cost., esclusivamente
ove riferiti ad addetti  ad  uffici  di  diretta  collaborazione  con
l'organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) o  a  figure  apicali,
quali  quelle  contemplate  dall'art.  19,  comma  3,   del   decreto
legislativo n. 165 del 2001 (sentenza n. 34 del 2010). 
    Relativamente a tali incarichi, causa  et  ratio  della  relativa
normativa  e  delle  conseguenti  pronunce  confermative  della  loro
legittimita' costituzionale, vanno individuate nella  necessita'  per
l'organo di vertice di assicurare,  intuitu  personae,  una  migliore
fluidita' e correntezza di rapporti con diretti  collaboratori  quali
sono  i  dirigenti  apicali  e  ovviamente  il  personale  di  staff,
funzionali   allo    stesso    miglior    andamento    dell'attivita'
amministrativa. 
    Per  il  rimanente  personale  dirigenziale,  i   meccanismi   di
decadenza automatica, o meramente discrezionale,  sono  stati  invece
costantemente  ritenuti  incompatibili  con  l'art.  97   Cost.   (ex
plurimis, sentenze n. 228 e n. 124 del 2011, n. 224 del 2010, n.  104
e n. 103 del 2007)» (in questi termini  al  p.4  del  Considerato  in
diritto della sentenza n. 15 del 2017). 
    Richiamando la propria precedente  giurisprudenza,  la  Corte  ha
anche affermato che: 
      «Nella ricordata sentenza n. 81 del  2010,  si  e'  ancora  una
volta ribadito che la previsione di una anticipata cessazione ex lege
del rapporto in corso - in assenza di una  accertata  responsabilita'
dirigenziale  -  impedisce  che  l'attivita'  del   dirigente   possa
espletarsi  in  conformita'  al  modello  di  azione  della  pubblica
amministrazione, che misura l'osservanza del canone dell'efficacia  e
dell'efficienza alla  luce  dei  risultati  che'  il  dirigente  deve
perseguire, «nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico,
avendo a disposizione un  periodo  di  tempo  adeguato,  modulato  in
ragione della peculiarita' della singola posizione dirigenziale e del
contesto complessivo in cui la stessa e' inserita». 
    Nella  medesima  sentenza  si  e'  sottolineata   l'esigenza   di
garantire "la presenza di  un  momento  procedimentale  di  confronto
dialettico  tra  le  parti,  nell'ambito  del  quale,  da  un   lato,
l'amministrazione  esterni  le  ragioni  -  connesse  alle  pregresse
modalita'  di  svolgimento  del  rapporto  anche  in  relazione  agli
obiettivi programmati dalla nuova  compagine  governativa  -  per  le
quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino  alla  scadenza
contrattualmente prevista; dall'altro, al dirigente sia assicurata la
possibilita' di far valere  il  diritto  di  difesa,  prospettando  i
risultati delle proprie prestazioni e delle competenze  organizzative
esercitate per il raggiungimento degli  obiettivi  posti  dall'organo
politico  e  individuati,  appunto,  nel  contratto   a   suo   tempo
stipulato». 
    Non  sembra  che  in  relazione   alla   figura   del   Direttore
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli  possa  essere  riconosciuta
ne' la posizione di dirigente apicale ne' l'esistenza di rapporto  di
diretta collaborazione con l'organo di governo  che  costituiscono  i
presupposti positivi necessari perche' possano legittimamente operare
dispositivi di cessazione automatica dall'incarico secondo i  modelli
di cd. spoils system. 
    Quanto alla configurazione di una posizione di dirigente apicale,
che  l'Avvocatura  dello  Stato  ritiene  sussistente  nel  caso   in
questione, occorre considerare che ai sensi del comma 3, dell'art. 19
del decreto legislativo n. 155 del 2001, come richiamati dal comma  8
della stessa disposizione, sono indicati come tali: 
      «Gli  incarichi  di  Segretario  generale  di  ministeri,   gli
incarichi di direzione di strutture articolate  al  loro  interno  in
uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente». 
    Questa definizione delimita il campo di applicazione del comma  8
dell'art. 19 alla sole figure dei Segretari generali dei ministeri ed
ai  capi  di  Dipartimento  delle  stesse  amministrazioni  ed  altri
equivalenti «vale a dire quelli di maggiore coesione con  gli  organi
politici» (in questi termini al p. 9.1. del  Considerato  in  diritto
nella sentenza della Corte n. 103 del 2007). 
    Questa  caratteristica  di  «maggior  coesione  con,  gli  organi
politici» che giustifica eccezionalmente il  sistema  cd.  di  spoils
system  non  sembra  invece  possa  essere  ravvisata  nel  caso  del
Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli,  il  che  suscita
dubbi di legittimita' costituzionale in relazione agli articoli 97  e
98 Cost., dell'art. 2,  comma  160  del  decreto-legge  n.  262/2006,
convertito nella legge n. 286 del 2006,  che  invece  proprio  questa
equiparazione ha stabilito. 
    In  primo  luogo  per  la  stessa  esistenza  dell'Agenzia   come
organismo titolare di personalita' giuridica autonoma, come  previsto
dal comma 1, dell'art. 61 del decreto legislativo 30 luglio 1999,  n.
300,  e   dotato   di   «autonomia   regolamentare,   amministrativa,
patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria». 
    Questa differente  collocazione  organizzativa  segna  una  netta
distinzione  tra  le  «gli  incarichi  di  direzione   di   strutture
articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali  e  quelli
di livello equivalente» e la posizione  del  Direttore  dell'Agenzia,
con la conseguenza che ogni equiparazione tra il ruolo del  Direttore
dell'Agenzia e quella delle figure apicali del Ministero avrebbe come
effetto  inevitabile   proprio   la   mortificazione   dell'autonomia
dell'Agenzia. 
    Altro evidente motivo di  differenziazione,  come  sostenuto  con
argomento condivisibile dal ricorrente,  si  puo'  rinvenire  proprio
nello  strumento  normativamente  previsto  al  fine  di   assicurare
raccordo  e  coerenza  di   indirizzi   tra   il   vertice   politico
rappresentato dal  Ministro  e  l'Agenzia  stessa;  la  questione  e'
trattata all'art. 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  300,
collocato all'interno  del  Capo  II  del  decreto  la  «Riforma  del
Ministero delle Finanze e dell'amministrazione fiscale». 
    Prevede l'art. 59 che, sulla  base  del  documento  di  indirizzo
elaborato con cadenza annuale dal Ministro e trasmesso al Parlamento,
dopo che questo ha approvato il documento di programmazione economico
-  finanziaria,  sia  stipulata  una  «convenzione   triennale,   con
adeguamento annuale per ciascun esercizio finanziario, con  la  quale
vengono fissati: 
      a) i servizi dovuti e gli obiettivi da raggiungere; 
      b) le direttive  generali  sui  criteri  della  gestione  ed  i
vincoli da rispettare; 
      c) le strategie per il miglioramento; 
      d) le risorse disponibili; 
      e) gli indicatori ed i parametri  in  base  ai  quali  misurare
l'andamento della gestione». 
    Questa complessa procedura rende  evidente  che  il  piano  delle
scelte politiche e' tutto  ed  interamente  affidato  alla  procedura
deliberativa che prevede prima di tutto l'approvazione da  parte  del
Parlamento del  documento  di  programmazione  economico-finanziaria,
quindi  l'elaborazione  da  parte  del  Ministro  del  documento   di
indirizzo  che  ha  cadenza  annuale  ma  copre  un  periodo   almeno
triennale. 
    Solo  quando  questa   interlocuzione   politica   tra   l'organo
dell'esecutivo e l'assemblea parlamentare  si  e'  realizzata  ed  il
conseguente percorso deliberativo si e' concluso, solo a  quel  punto
viene stipulata tra Ministro ed Agenzia una convenzione, anche questa
per l'arco temporale del triennio  e  con  cadenza  di  aggiornamento
annuale. 
    Il   modello   indicato    dal    legislatore    configura    una
contrattualizzazione del rapporto tra Ministro e Agenzia che vale per
un verso a segnare nettamente la distinzione dei  ruoli  politici  da
quelli dell'amministrazione, per altro verso,  per  quanto  qui  piu'
direttamente interessa, ad escludere che il rapporto tra il  Ministro
ed il vertice dell'Agenzia  sia  connotato  da  fiduciarieta'  e  sia
riconducibile  al  rapporto   «intuitu   personae»   come   prospetta
l'Avvocatura dello Stato. 
    Se si fondasse sulla fiduciarieta', non avrebbe ragione  d'essere
il dispositivo normativo che  prevede  la  convenzione  triennale  da
aggiornare  annualmente  perche'  ogni  determinazione  al   riguardo
resterebbe appunto affidata, e confinata, nella natura fiduciaria del
rapporto. 
    E' vero quindi che non esistono ruoli intermedi tra  il  Ministro
ed  il  Direttore  dell'Agenzia,  come  l'Avvocatura   ha   osservato
richiamando il principio espresso dalla sentenza,  ma  questo  sembra
non significare  tanto  la  fiduciarieta'  del  rapporto  tra  i  due
soggetti, quanto invece per un verso  l'autonomia  dell'Agenzia,  per
altro verso la rilevanza della procedura che  si  obiettivizza  nella
conclusione della Convenzione. 
    Per questa ragione appare condivisibile la  tesi  del  ricorrente
laddove afferma  che  «Il  Direttore  esercita  precipuamente  quelle
"funzioni  amministrative  di  esecuzione  dell'indirizzo   politico"
(Corte costituzionale,  sentenza  n.  34  del  2010),  proprie  della
dirigenza pubblica, nei , cui confronti occorre garantire il rispetto
del principio di separazione tra politica ed amministrazione». 
    Per la stessa ragione emergono nette differenze tra la  posizione
del Direttore dell'Agenzia e quella del segretario  comunale  per  il
quale, con la recente sentenza di questa Corte n.  23  del  2019,  e'
stato osservato che «Si tratta di competenze che presuppongono  anche
un ruolo attivo e propositivo del segretario comunale.  Esse  infatti
gli consentono di coadiuvare e supportare sindaco e giunta nella fase
preliminare della definizione dell'indirizzo  politico-amministrativo
e non possono quindi non influenzarla: non gia' nel senso di indicare
o  sostenere  obbiettivi  specifici,  piuttosto  nella  direzione  di
mostrare se quegli obbiettivi possono essere  legittimamente  inclusi
fra i risultati che gli organi di  direzione  politico-amministrativa
intendono raggiunge». 
    Nel caso in esame non sono ravvisabili condizioni analoghe ne' un
ruolo «attivo e propositivo» da parte del Direttore nella definizione
dell'indirizzo  politico-amministrativo,  come  ha  invece  sostenuto
anche nella discussione in udienza l'Avvocatura dello  Stato,  tenuto
conto delle puntuali disposizioni espresse dall'art. 59, comma 1  del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, che non contengono alcuna
previsione del genere. 
    Infine, a confermare i dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 160  del  decreto-legge  n.  262/2006,  convertito
nella legge n. 286 del 2006, concorre anche il fatto che al Direttore
dell'Agenzia sono attribuite consistenti e peculiari  funzioni  tutte
riconducibili  alla  gestione  amministrativa,  come   e'   possibile
desumere dai criteri a cui  occorre  attenersi  nella  selezione  del
Direttore (art. 67, comma 1, lettera a) del  decreto  legislativo  n.
300 del 1999 che si riferisce ad «alta professionalita', di capacita'
manageriale e di qualificata esperienza  nell'esercizio  di  funzioni
attinenti al settore operativo dell'agenzia»),  dal  contenuto  delle
funzioni attribuitegli (art. 68, comma 2: «  Il  direttore  sottopone
alla valutazione del  comitato  di  gestione  le  scelte  strategiche
aziendali e le nomine dei dirigenti responsabili delle  strutture  di
vertice a livello centrale e periferico»), dallo specifico compito di
proporre il regolamento di amministrazione (art. 71, comma 3). 
    Anche  questo  elemento,  concorre  a  collocare  il  ruolo   del
Direttore dell'Agenzia nell'ambito delle funzioni  amministrative  di
esecuzione dell'indirizzo politico e rafforza quindi  i  dubbi  sulla
violazione degli articoli 97 e 98 Cost. da parte dell'art.  2,  comma
160 del decreto-legge n. 262/2006, convertito nella legge n. 286  del
2006, nella parte in cui richiamando il regime giuridico  di  cui  al
comma 8, dell'art. 19  del  decreto  legislativo  n.  165  del  2001,
prevede la cessazione ex lege del  ruolo  di  Direttore  dell'Agenzia
decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. 
    In conclusione,  sussistono  fondate  ragioni  per  ritenere  che
questa disposizione determini una violazione  dei  principi  di  buon
andamento e di continuita' dell'attivita' amministrativa e  sia  tale
da compromettere la distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo
politico amministrativo e  quelli  di  gestione,  come  nel  caso  in
questione e' palesemente avvenuto essendosi verificata  la  decadenza
ex lege dall'incarico nonostante la valutazione finale dei  risultati
conseguiti dal ricorrente nell'esercizio 2017 con l'attribuzione  del
massimo punteggio. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il giudice pronunciando sul ricorso in epigrafe; 
    visti  l'art.  134  della  Costituzione,  l'art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e  l'art.  23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 160 del  decreto-legge
3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla  legge  24
novembre 2006, n. 286, per ritenuto contrasto con gli articoli  97  e
98 della Costituzione, nella  parte  in  cui  prevede  l'applicazione
delle  disposizioni  di  cui  all'art.  19,  comma  8,  del   decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  anche  ai  direttori  dell'Agenzia
delle Dogane e dei Monopoli; 
    sospende il presente giudizio e ordina la trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale; 
    ordina che la presente ordinanza sia  notificata  alle  parti  in
causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata
ai  Presidenti  della  Camera  dei  deputati  e  del   Senato   della
Repubblica. 
      Roma, 19 novembre 2019 
 
                      Il Giudice: Cottatellucci