N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 2020
Ordinanza del 27 gennaio 2020 del Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Daunia Faeto S.r.l., Daunia Wind S.r.l. contro Comune di Faeto. Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Proventi economici pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali, nel cui territorio insistono impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi sottoscritti prima del 3 ottobre 2010 - Previsione che i proventi restano acquisiti ai bilanci degli enti locali - Conservazione di piena efficacia degli accordi. - Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), art. 1, comma 953.(GU n.23 del 3-6-2020 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale - Sezione Quinta ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3500 del 2019, proposto da: Daunia Faeto S.r.l., Daunia Wind S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Giuseppe Mescia, Franco Gaetano Scoca, Francesco Saverio Marini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Franco Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello 55; Contro: Comune di Faeto, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Rosaria Gadaleta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - sede di Bari, Sezione Prima, n. 00407/2019, resa tra le parti, concernente la Convenzione in data 30 agosto 2007 tra il Comune di Faeto e la Daunia Faeto S.r.l. per la realizzazione di un parco eolico; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Faeto che ha spiegato anche appello incidentale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Scoca, Marini e Gadaleta; Premesso in fatto Il Comune di Faeto e la Daunia Wind S.r.l. stipulavano in data 30 agosto 2007 una «convenzione per la realizzazione di un parco eolico» da parte della seconda su aree a destinazione agricola comprese nel territorio del primo, site in localita' «Montagna - Pescara - Scavo - Vadonico»; richiamati in premessa il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e l'art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonche' delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nonche' la sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre 2005, n. 383 (che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4, lettera f) della legge n. 239/2004 nella parte in cui si escludono gli «impianti alimentati da fonti rinnovabili» dalla previsione di «eventuali misure di compensazione»), nella convenzione (intitolata «accordo volto a disciplinare misure compensative e di riequilibrio ambientale per la costruzione, il funzionamento e la manutenzione di un impianto nonche' ulteriori adempimenti») erano previsti i seguenti patti: il Comune di Faeto, oltre ad obbligarsi «a patire tutti i disagi e tutti gli oneri derivanti dalle servitu', anche non apparenti, sui propri beni, che potranno essere richiesti al Comune», si impegnava «a provvedere per quanto di sua competenza all'ottenimento, al rilascio e all'adozione di tutti gli atti ed i provvedimenti necessari ed opportuni al raggiungimento delle finalita' della presente Convenzione, assumendosi l'onere di utilizzare tutte le vigenti leggi al fine di rendere possibile con la massima diligenza e rapidita' la realizzazione del parco eolico» ad ulteriore specificazione degli obblighi cosi' assunti, il comune si impegnava, inoltre, «a non compiere alcuna attivita' che possa ostacolare l'esecuzione dei lavori e delle opere», ad astenersi altresi' «dal porre in essere fatti o atti che possano risultare di pericolo per l'impianto stesso ovvero che ne ostacolino il normale uso ovvero ancora che ne diminuiscano o rendano piu' scomodo l'esercizio dei diritti» ed infine «ad adottare e/o richiedere ogni atto, parere e provvedimento amministrativo comunque necessari ed utili per l'esecuzione dei lavori e delle opere occorrenti alla realizzazione, alla manutenzione, alla gestione e al funzionamento dell'impianto», fermo restando che «l'attivita' del Comune retta da norme di diritto pubblico esclude qualunque responsabilita' del Comune stesso nel caso di non ottenimento da parte di Daunia Wind di provvedimenti abilitativi, o in qualunque altro modo denominati»; quest'ultima a sua volta, all'art. 3 (rubricato «Corrispettivo economico») assumeva l'obbligo di pagare all'amministrazione un compenso denominato «canone di compensazione annuo complessivo», fissato per l'intera durata della convenzione, «nonche' a titolo di corrispettivo per le obbligazioni assunte dall'Amministrazione» e di «indennita' per la costituzione di diritti di servitu' e di ogni altro onere o disagio», determinato, in misura variabile, nella misura pari alla percentuale del due per cento dell'importo, netto da IVA, fatturato per la cessione dell'energia prodotta annualmente da tale impianto con un minimo garantito di euro 9.400,00 annui per MW installato, e a versare all'avvio dei lavori delle somme «una tantum» per la realizzazione di un'opera pubblica; la proponente si impegnava, inoltre, ad impiegare l'imprenditoria locale in fase di realizzazione dei lavori che per entita' e caratteristiche tecniche fossero compatibili con la relativa specializzazione e capacita' imprenditoriale (art. 4); era fissata una durata della convenzione pari a trent'anni a decorrere dalla data di entrata in produzione dell'impianto, salvo eventuale rinnovazione espressa per la durata di ulteriori anni ventinove (art. 2); la Daunia Wind si riservava, inoltre, la facolta' di recedere dalla convenzione in caso di impedimento della realizzazione, anche parziale, ovvero del finanziamento, del funzionamento, della gestione o della manutenzione dell'impianto eolico, «con salvezza dei canoni e corrispettivi gia' versati in favore del Comune» (art. 5); il Comune di Faeto prendeva atto del diritto della societa' proponente a trasferire in capo a terzi finanziatori o a soggetti da questi designati la posizione contrattuale relativa alla convenzione, fermo restando che tale trasferimento non avrebbe pregiudicato il diritto del Comune a percepire i corrispettivi ad esso dovuti in forza della convenzione (art. 6); successivamente la Regione Puglia rilasciava alla Daunia Wind l'autorizzazione unica ex art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 per la costruzione e l'esercizio dell'impianto eolico progettato (con determina dirigenziale n. 188 del 19 febbraio 2008), gia' richiesta dalla societa' anteriormente alla convenzione, con domanda presentata al settore energia in data 30 dicembre 2004; a seguito della realizzazione dell'impianto eolico e in esecuzione della convenzione stipulata tra le parti, la Daunia Wind e la Daunia Faeto S.r.l. (societa' alla quale e' stato conferito con atto notarile del 18 marzo 2008 il ramo d'azienda contenente la centrale eolica e che e' pertanto subentrata, previa voltura, nei diritti e obblighi derivanti dalla su indicata autorizzazione unica) versavano al Comune le somme convenute a titolo di canone annuo sino a quando, a partire del 2013, ne interrompevano la dazione, contestando che l'obbligo previsto nel citato art. 3 della convenzione fosse legittimo; ed infatti, con ricorso ritualmente proposto dinanzi al Tribunale amministrativo per la Puglia - sede di Bari la Daunia Wind e la sua avente causa Daunia Faeto domandavano la declaratoria di nullita' della citata convenzione nella parte in cui era previsto per la mera localizzazione sul territorio comunale di un impianto eolico il pagamento di un «corrispettivo economico», suddiviso in un «canone variabile» annuo e in due distinte somme «una tantum» per la realizzazione di opere pubbliche, e la condanna del Comune resistente alla restituzione delle somme percepite in adempimento alla medesima convenzione, pari ad euro 547.148,00, oltre interessi e rivalutazione come per legge; in particolare, le ricorrenti, richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha precisato la natura delle misure di compensazione e l'illegittimita' di prestazioni a carattere meramente patrimoniale, hanno dedotto la nullita' dell'impugnata convenzione per contrarieta' a norme imperative e violazione della direttiva 1996/92/CE (recepita con decreto legislativo n. 79/1999), della direttiva 2003/54/CE (recepita con legge n. 62/2005), della direttiva 2009/28/CE (recepita con decreto legislativo n. 28/2011), degli articoli 23, 41 e 117 della Costituzione, della legge n. 239/2004, del decreto legislativo n. 387/2003, del decreto ministeriale 10 settembre 2010, del principio di liberalizzazione del mercato di produzione di energia elettrica e del principio di liberta' di produzione di energia eolica; nella memoria conclusionale, le ricorrenti hanno richiamato alcune recenti pronunce della stessa Sezione dell'adito Tribunale amministrativo (n. 737 del 24 maggio 2018 e n. 830 del 7 giugno 2018 le quali hanno dato luogo ad ordinanze di sospensione del giudizio e rimessione in relazione ad analoghe questioni di legittimita' costituzionale sollevate da questo giudice di appello), che hanno accolto ricorsi in fattispecie del tutto analoghe alla presente, ed inoltre - quale sopravvenienza normativa - l'art. 1, comma 953, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), assumendo che detta disciplina avrebbe «definitivamente preso atto dell'ormai consolidato orientamento normativo e giurisprudenziale» sulla contrarieta' di simili convenzioni a norme imperative; ne hanno tuttavia dedotto, seppur in via gradata, l'illegittimita' costituzionale (se e ove tale sopravvenuta disposizione, invocata anche dal Comune a fondamento della legittimita' della convenzione impugnata e della conseguente assenza di un obbligo di restituzione a suo carico delle somme corrisposte negli anni dalla societa' in adempimento alla convenzione, fosse ritenuta applicabile al caso oggetto di giudizio), oltre che l'inapplicabilita' nella fattispecie; il Comune di Faeto ha richiesto, a sua volta, di rigettare il ricorso proprio per effetto dell'applicazione alla fattispecie controversa della normativa sopravvenuta di cui all'art. 1, comma 953, della citata legge n. 145 del 2018, il quale testualmente prevede che: «Ferma restando la natura giuridica di libera attivita' d'impresa dell'attivita' di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali, nel cui territorio insistono impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi bilaterali sottoscritti prima del 3 ottobre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida nazionali in materia, restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, fatta salva la liberta' negoziale delle parti, gli accordi medesimi sono rivisti alla luce del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e segnatamente dei criteri contenuti nell'allegato 2 al medesimo decreto. Gli importi gia' erogati e da erogare in favore degli enti locali concorrono alla formazione del reddito d'impresa del titolare dell'impianto alimentato da fonti rinnovabili»; con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il Tribunale amministrativo, disattese le eccezioni in rito preliminarmente sollevate dal Comune, ha ritenuto infondato nel merito il ricorso delle societa' e lo ha respinto, sull'assunto dell'applicabilita' alla fattispecie della sopravvenuta disposizione di cui all'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018; in sintesi, il Tribunale ha, infatti, ritenuto che sussisterebbero nella specie tutti i presupposti per l'applicazione della norma in questione, quali in particolare: a) in primo luogo, l'esistenza di un accordo «liberamente» pattuito tra le parti, tenuto conto che era stata la stessa Daunia Wind a proporre al Comune, con richieste del 21 ottobre 2004 e del 13 febbraio 2006, la realizzazione dell'impianto in oggetto e che le parti avevano preventivamente elaborato uno schema di convenzione (approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 9 del 7 marzo 2006 e richiamato anche nella determinazione dirigenziale di rilascio dell'autorizzazione unica), nella quale si era precisato che gli introiti derivanti dall'accordo fossero «vincolati per scopi sociali e assistenziali e per agevolazioni a favore del cittadino»; pertanto, nulla in punto di fatto poteva confutare che i «proventi economici» corrisposti nel tempo erano stati, a monte, «liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali» e nessun vulnus era stato arrecato alla liberta' di autodeterminazione negoziale dei primi, non avendo il Comune posto in essere alcuna condotta sleale o in violazione del dovere di correttezza per indurli alla stipula di un «contratto (valido ma) economicamente pregiudizievole» (secondo i principi affermati in subiecta materia da Cons. di Stato, Ad. Plen. , 4 maggio 2018, n. 5), trattandosi peraltro di una regolazione, sempre secondo la sentenza, «sostanziata da una base di diritto positivo, ossia l'art. 1, comma 5, della legge n. 239/2004», in ordine alla cui legittima applicazione le ricorrenti nulla avrebbero dedotto; b) in secondo luogo, la sussistenza dei presupposti temporali previsti dall'art. 1, comma 953, della legge n. 145/2018, in quanto la convenzione e' stata sottoscritta «prima del 3 ottobre 2010, data di entrata in vigore delle linee guida nazionali in materia» di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010 e risaliva ad un'epoca in cui, secondo la sentenza di prime cure, «non esisteva nell'ordinamento di settore alcuna norma che definisse in maniera puntuale le misure di compensazione ambientale» (definite, nella sentenza della Corte costituzionale n. 119 del 26 marzo 2010, sempre anteriore alle citate Linee Guida, «una monetizzazione degli effetti deteriori che l'impatto ambientale determina», per effetto dell'installazione di un determinato impianto); c) infine, la mancata prova, incombente sulle ricorrenti secondo le regole generali in materia di ripetizione di indebito, che le somme erogate o da erogare dalle societa' in esecuzione delle convenzione impugnata non fossero state debitamente «acquisite nei bilanci» dell'ente locale, come e' prescritto dalla sopravvenuta disposizione invocata dall'Amministrazione resistente; le societa' originarie ricorrenti hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado; nell'atto di appello, le ricorrenti hanno ribadito la prospettazione, sostenuta nel primo giudizio e disattesa dalla sentenza impugnata, secondo cui la convenzione del 30 agosto 2007 stipulata con il Comune di Faeto sarebbe nulla, ai sensi dell'art. 1418, comma 1, codice civile, per contrarieta' alle norme imperative di cui agli articoli 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003, e 1, comma 5, legge n. 239 del 2004, per avere previsto un corrispettivo pecuniario per l'autorizzazione a realizzare e gestire l'impianto di produzione energetica da fonti rinnovabili, oltre che per illiceita' dell'oggetto (ai sensi del combinato disposto degli articoli 1418 e 1346 del codice civile, sull'assunto che l'invocata normativa sulla liberalizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili precluderebbe sul piano giuridico la stipulazione dell'accordo contestato) e per frode alla legge ex art. 1344 del codice civile (costituendo essa, nella misura in cui impone il pagamento di un canone correlato unicamente alla realizzazione di un impianto da fonti rinnovabili nel territorio comunale, un mezzo per eludere le richiamate norme imperative ed i principi che regolano la materia della produzione di energia elettrica); tanto piu' che tale illegittima misura di compensazione, a carattere meramente patrimoniale, non e' stata neppure disposta nell'ambito della Conferenza di servizi svolta per il rilascio dell'autorizzazione unica ex art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 (bensi' nell'ambito di una convenzione, avente natura negoziale e di accordo ai sensi dell'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, intercorsa con il solo Comune, ente destinatario dei proventi economici, asseritamente privo di potesta' amministrative riconosciute ex lege in materia) e prescinde sia dalle concrete e specifiche caratteristiche del parco eolico, sia da qualsivoglia valutazione in ordine al conseguente impatto ambientale e territoriale; nei loro scritti difensivi le appellanti hanno, dunque, argomentato l'erroneita' delle tesi recepite dal Tribunale amministrativo che ha ritenuto applicabile, nel caso in esame, la sopravvenuta disposizione dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, e in base ad essa ha ritenuto fondato l'assunto della legittimita' della convenzione contestata e dei pagamenti in forza di essa riscossi dal Comune ed asseritamente ancora dovuti: hanno, infatti, sostenuto che difetterebbero i presupposti per l'applicazione di tale norma (in ragione del contenuto meramente patrimoniale e di corrispettivo economico delle misure compensative ivi previste per la realizzazione e l'esercizio dell'impianto) e che, in ogni caso, il Comune non ne ha dimostrato la sussistenza (non avendo provato, in particolare, l'avvenuta iscrizione nel bilancio comunale delle somme previste a titolo di misura compensativa patrimoniale, come richiesto dalla lettera della disposizione sopravvenuta secondo cui i proventi economici liberamente pattuiti tra le parti in forza delle convenzioni controverse «restano acquisiti ai bilanci degli enti locali»); le appellanti hanno poi censurato i capi della sentenza che hanno ritenuto insussistenti i presupposti per una rimessione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, che hanno nuovamente prospettato, qualora tale disposizione dovesse ritenersi applicabile nel presente giudizio, deducendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza sotto plurimi e articolati profili (oltre ad assumere il contrasto della norma della legge di bilancio con il diritto eurounitario, in particolare con la direttiva 2003/54/CE, la direttiva 2009/72/CE e la direttiva 2001/77/CE, le cui previsioni sono improntate alla valorizzazione dell'apertura del mercato dell'energia, all'assenza di restrizioni e alla riduzione degli ostacoli normativi all'aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili). Considerato in diritto Secondo la sentenza di primo grado, la norma sopravvenuta di cui all'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 avrebbe «cristallizzato, senza riferimento alcuno a pendenti controversie, l'incertezza del previgente quadro legislativo sulle misure di compensazione ambientale», tradottesi nell'erogazione di proventi economici «liberamente pattuiti dagli operatori di settore con gli enti locali» in virtu' di «accordi previsti (se non addirittura incentivati) dalla legge n. 239/2014», ma in difetto, al momento dell'emanazione della legge, di una disciplina normativa che definisse il contenuto delle misure compensazione; cio' avrebbe dato luogo a criticita' nella gestione degli accordi tra operatori del settore e amministrazioni, che risultano esemplificate nella fattispecie controversa, cui l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, disposizione «con efficacia retroattiva», avrebbe inteso porre rimedio; nel censurare le statuizioni di prime cure, che hanno ritenuto applicabile alla fattispecie la norma in questione e non fondata la questione di legittimita' costituzionale prospettata nel ricorso introduttivo, le appellanti hanno, invece, ribadito che, per quanto rileva, la normativa di settore vigente all'epoca della sottoscrizione della convenzione di cui si assume l'invalidita' stabiliva limpidamente il divieto assoluto di introdurre misure di compensazione a carattere patrimoniale: ed infatti, l'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 gia' prevedeva che «l'autorizzazione non puo' essere subordinata ne' prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province» e l'art. 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004 contempla unicamente «misure di compensazione e riequilibrio ambientale»; secondo le appellanti, non sarebbe pertanto revocabile in dubbio che tanto la disciplina in tema di liberalizzazione della produzione di energia elettrica quanto quella di promozione e sostegno delle iniziative economiche volte alla produzione di energia rinnovabile prevedessero gia' all'epoca della sottoscrizione della convenzione, in modo chiaro, il divieto di imporre misure di compensazione a carattere meramente patrimoniale: la produzione di energia elettrica costituisce, infatti un'attivita' libera soggetta unicamente ad una preventiva autorizzazione generale e il legislatore, per effetto della normativa euro-unitaria, ha introdotto meccanismi di sostegno all'installazione di impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile (la cui costruzione e il cui esercizio costituiscono libere attivita' di impresa soggetta alla sola autorizzazione amministrativa della Regione ex art. 12, comma 6, del decreto legislativo n. 387 del 2003), al fine del raggiungimento degli obiettivi stabiliti in sede comunitaria, che non possono essere vanificati dall'introduzione di misure di compensazione meramente patrimoniali, costituenti un disincentivo all'investimento nel settore in questione da parte degli operatori interessati; peraltro, anche la giurisprudenza costituzionale ha da sempre a piu' riprese (ed anche in sentenze pronunziate in epoca anteriore alla convenzione oggetto del giudizio) affermato l'esistenza nell'ordinamento del suddetto divieto di imporre misure compensative a carattere meramente patrimoniale in relazione alla costruzione e all'esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili e quale condizione per il rilascio dei relativi titoli abilitativi (Corte cost. 14 ottobre 2005, n. 383; 28 giugno 2006, n. 248, 1° aprile 2010, n. 124; 26 marzo 2010, n. 119); a tali principi affermati dalla Corte costituzionale nelle pronunce richiamate si e' conformata in modo costante la giurisprudenza amministrativa, anche di questo Consiglio, la quale ha statuito che «non da' luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensione e dal suo impatto sull'ambiente», chiarendo, pertanto, che tali misure, oltre ad essere solo «eventuali» e «correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attivita', impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale», devono essere «concrete e realistiche» (id est: determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche del parco eolico e del suo impatto) e «non possono essere unilateralmente stabilite da un singolo comune» (Cons. di Stato, Sez. III, 14 ottobre 2008, n. 2849); tali fondamentali principi nella materia in oggetto sono stati recepiti e ulteriormente confermati con l'emanazione delle «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» , approvate con decreto ministeriale 10 settembre 2010 che, nel regolare il procedimento di cui all'art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 per l'autorizzazione unica alla realizzazione e all'esercizio di detti impianti, ha, tra l'altro, previsto che trattasi di «attivita' libera, nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico» (punto 1.1.); che «le regioni o le province delegate non possono subordinare la ricevibilita', la procedibilita' dell'istanza o la conclusione del procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o gradimento, da parte dei comuni il cui territorio e' interessato dal progetto» (punto 13.4); e che «eventuali misure di compensazione a favore dei comuni, di carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche» possono essere determinate dalle amministrazioni competenti in sede di riunione di conferenza di servizi nel rispetto dei puntuali criteri di cui all'Allegato 2 del decreto ministeriale (tra i quali quello della ricorrenza di «tutti i presupposti indicati nell'articolo 1, comma 4, lettera f) della legge n. 239 del 2004»); in definitiva, alla luce della normativa di settore applicabile come interpretata dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, soltanto lo Stato e le regioni in sede di conferenza di servizi (e non anche i comuni) potrebbero prevedere eventuali misure di compensazione e di riequilibrio ambientale a carattere non meramente patrimoniale, posto che «per misure di compensazione si intende, in genere, la monetizzazione degli effetti negativi che l'impatto ambientale determina, per cui chi propone l'installazione di un determinato impianto s'impegna a devolvere, all'ente locale cui compete l'autorizzazione, determinati prestazioni e servizi» e che la legge statale vieta tassativamente che il rilascio dei titoli abilitativi per la costruzione e l'esercizio di impianti per la produzione di energia eolica sia subordinata all'imposizione di corrispettivi soltanto economici (Corte cost., numeri 124 del 2010 e 119 del 2010); l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 si inserisce, dunque, in tale contesto normativo e giurisprudenziale, cosi' sinteticamente ricostruito, nel quale erano gia' vigenti, anteriormente all'emanazione delle citate Linee guida, norme imperative che vietavano l'adozione di misure compensative di carattere patrimoniale quali condizioni per il rilascio di titoli abilitativi e numerose pronunzie dei Tribunali amministrativi, conformandosi all'orientamento del giudice di appello sopra richiamato, avevano di conseguenza dichiarato la radicale nullita' di siffatte clausole contenute nelle convenzioni stipulate dai produttori di energia rinnovabile con i Comuni, ritenendo che si trattasse di prestazioni patrimoniali prive di causa per la realizzazione di tali impianti costituente libera attivita' di impresa e che fossero invece legittimi solo gli accordi che contemplavano misure di compensazione e riequilibrio del pregiudizio subito dall'ambiente a causa dell'impatto del nuovo impianto oggetto di autorizzazione (cfr. Tribunale amministrativo regionale Lazio - Roma, 7 febbraio 2019, numeri 1595, 1591, 1590, 1588 e 1587; Tribunale amministrativo regionale Puglia - Lecce, 15 novembre 2016, n. 1737; Tribunale amministrativo regionale Puglia - Lecce, 7 giugno 2013, n. 1361 e 1347; Tribunale amministrativo regionale Puglia Bari, I, 24 maggio 2018, n. 737, e 7 giugno 2018, n. 830); con l'emanazione di tale norma di bilancio il legislatore avrebbe, pertanto, preso atto, ad avviso delle appellanti, del quadro normativo e del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale le clausole convenzionali che prevedono misure di compensazione a carattere meramente patrimoniale a favore dei comuni sarebbero radicalmente nulle, non potendo essere oggetto di «negoziazione» o «remunerazione», cui condizionare l'espressione di un parere favorevole alla realizzazione e all'esercizio dell'impianto eolico, la posizione dell'amministrazione comunale in seno alla Conferenza dei servizi convocata per il rilascio dell'autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio del parco eolico; tale prospettazione troverebbe conferma negli atti ufficiali relativi ai lavori parlamentari di approvazione della norma, versati dalle ricorrenti in giudizio (cfr. dossier 7 dicembre 2018, recante la «Sintesi degli emendamenti approvati dalla V Commissione Bilancio» e dossier 10 dicembre 2018, recante le «Schede di lettura» dai quali emergerebbe che la ratio della disposizione in oggetto sarebbe quella di definire in via legislativa una pluralita' di contenziosi pendenti relative a siffatte convenzioni (eliminando gli effetti delle pronunce di nullita' per violazione di norme imperative) e salvaguardare i bilanci degli enti locali che hanno stipulato detti accordi; infatti, nei lavori parlamentari e' richiamato il consolidato orientamento del giudice amministrativo il quale ha riconosciuto l'invalidita' di convenzioni gia' stipulate che imponevano il pagamento di misure compensative patrimoniali da parte delle societa' titolari degli impianti in questione nei confronti dei comuni, disponendo la ripetizione, in favore delle societa' ricorrenti, delle somme indebitamente pagate; le appellanti hanno, dunque, nuovamente prospettato la questione di illegittimita' costituzionale della disposizione in esame, ove fosse applicabile alla fattispecie, posto che con essa il legislatore avrebbe interferito nelle competenze e nelle funzioni riservate agli organi giurisdizionali, in contrasto con la liberta' di impresa, nonche' in violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione e dell'art. 6, comma 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (principio del giusto processo), specie in ragione dell'assenza di motivi di interesse generale; hanno altresi' dedotto l'illegittimita' costituzionale della disposizione in relazione agli articoli 2, 3, 24, 97, 101, 102, 111 e 113 Cost.,per irragionevolezza e arbitrarieta', anche in considerazione della sua natura di legge provvedimento, tesa ad eludere (pur prendendone atto) la sanzione della nullita' di siffatti accordi, disponendone il mantenimento dell'efficacia; hanno, ancora, dedotto l'incostituzionalita' della citata disposizione in relazione all'art. 117 della Costituzione e agli articoli 1 del primo protocollo e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, evidenziando la lesione del diritto di proprieta' e del principio del legittimo affidamento ad ottenere la restituzione di importi indebitamente versati sulla base di accordi e contratti nulli e, comunque, non dover piu' sottostare ad eventuali ulteriori richieste di canoni avanzate dal comune e censurando, altresi', la violazione del principio di legalita' da parte del legislatore, stante l'assoluta imprevedibilita' dell'intervento normativo, e del principio di ragionevolezza e proporzionalita' «tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della proprieta'»; hanno ulteriormente censurato la legittimita' costituzionale della disposizione in relazione agli articoli 3 e 41 della Costituzione, sotto il profilo della violazione della liberta' di impresa e del regime di liberalizzazione del settore della produzione di energia elettrica, sull'assunto che l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto eolico non puo' essere vincolata al pagamento di un canone (con estensione di tale censura ai profili di dedotta incompatibilita' della norma nazionale con il diritto comunitario su cui le appellanti hanno fondato la domanda di disapplicazione della norma di bilancio ovvero di rinvio pregiudiziale della relativa questione alla Corte di giustizia dell'Unione europea); la Sezione condivide i dubbi di costituzionalita' sollevati dalle appellanti; la norma sopravvenuta sarebbe conforme a Costituzione solo se interpretata nel senso che essa si applica agli accordi contenenti «misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore degli stessi comuni», ai sensi dell'allegato 2 al decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (recante le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), richiamato dall'art. 1, comma 953, della legge di bilancio per il 2019, e non invece nel senso di una «sanatoria generalizzata delle convenzioni» (qualunque sia il contenuto delle stesse ed anche ove le pattuizioni intercorse tra le parti individuino misure compensative a carattere meramente patrimoniale); l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 sembra avere, tuttavia, una portata generalizzata di sanatoria rispetto ad accordi che abbiano imposto ai titolari di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili oneri di carattere esclusivamente economico, e di cui e' stata dichiarata la nullita' in sede giurisdizionale, che non ne consente un'interpretazione conforme alla Costituzione; essa infatti non distingue, da un lato, tra accordi stipulati per individuare misure compensative a carattere non meramente patrimoniale a carico del titolare di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili, secondo quanto previsto dalle piu' volte citate linee guida ministeriali in materia; e dall'altro lato accordi contenenti misure di carattere meramente patrimoniale, come in tesi quella oggetto del presente giudizio e della quale le appellanti chiedono dichiararsi la nullita' ex art. 1418, comma 1, codice civile per contrasto con la norma imperativa sancita dal citato art. 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003, secondo cui l'autorizzazione unica «non puo' essere subordinata ne' prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province»; l'effetto di sanatoria si desume, inoltre, dai dossier del 7 dicembre e del 10 dicembre 2018 relativi alla legge di bilancio per il 2019, redatti dagli uffici del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, prodotti in giudizio dalle appellati; in tali documenti si ricorda che ai sensi dell'allegato 2 del citato decreto ministeriale 10 settembre 2010, conformemente alla sentenza della Corte costituzionale del 1° aprile 2010, n. 124 (erroneamente indicata con il numero 24) la quale ha dichiarato illegittima la legislazione regionale contrastante con il divieto di condizionare il rilascio del titolo abilitativo a misure di compensazione patrimoniale, «per l'attivita' di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non e' dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei comuni»; ed ancora si rileva che «l'autorizzazione unica puo' prevedere l'individuazione di misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore degli stessi comuni», da orientare, secondo criteri definiti nello stesso decreto ministeriale, su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili a progetto; ed infine, si evidenzia che, in varie pronunce, la giurisprudenza amministrativa di primo grado «ha riconosciuto l'invalidita' di convenzioni gia' stipulate che imponevano il pagamento di misure compensative patrimoniale da parte delle societa' titolari degli impianti in questione nei confronti dei comuni»; la norma ha dunque previsto, come si ricava dalla sua formulazione letterale, l'irreperibilita' delle somme gia' versate dai gestori di impianti energetici ed acquisite ai bilanci comunali in base ad accordi sottoscritti prima dell'entrata in vigore delle linee guida nazionali (tra cui pacificamente la convenzione oggetto della presente controversia); per altro verso non pare possano escludersi dal suo ambito di applicazione le somme ancora non versate e da corrispondere per la residua durata della convenzione; dalla sua formulazione («i versamenti restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo detti accordi piena efficacia»), si desume infatti che dalla piena efficacia degli accordi deriva, anzitutto, l'irripetibilita' dei versamenti di somme in esecuzione di essi, coerentemente peraltro con il principio di carattere generale per cui ogni spostamento patrimoniale deve essere assistito da una legittima causa giuridica (art. 2041 del codice civile); in secondo luogo, si deve ritenere che tale conservazione dell'efficacia riguardi anche gli accordi che non hanno avuto ancora esecuzione, con il pagamento delle somme previste a favore degli enti locali, i quali possono pertanto agire per l'adempimento degli obblighi assunti dai gestori di impianti energetici; nella medesima direzione converge l'obbligo di revisione degli accordi precedentemente stipulati «alla luce del decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010, e segnatamente dei criteri contenuti nell'allegato 2 al medesimo decreto», previsto nel secondo periodo della norma; nella misura in cui tale clausola di revisione si propone di adeguare i contenuti degli accordi nel senso che con essi siano previste a carico dei gestori di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili misure compensative a carattere non meramente patrimoniale previste dal richiamato allegato 2 al decreto ministeriale - finalizzate a «interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui predetti temi» (art. 2) - la stessa ne presuppone evidentemente la perdurante efficacia in via generalizzata; dal secondo periodo si traggono inoltre elementi a conferma di quanto osservato in precedenza, e cioe' che non e' possibile circoscrivere la norma ai soli accordi conformi al medesimo allegato, poiche' altrimenti ne verrebbe svuotata la portata applicativa; deve conseguentemente ritenersi che il suo ambito di applicazione includa anche gli accordi contenenti misure di carattere meramente patrimoniale a carico dei gestori di impianti produttivi, come la convenzione del 30 agosto 2007 tra le parti in causa nel presente giudizio, per i quali questi ultimi ne contestino in giudizio la liceita' e pertanto gli obblighi pecuniari in essi pattuiti; del resto, nel senso di una sanatoria generalizzata, anche di accordi in ipotesi contrari alla norma imperativa contenuta nell'art. 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003 e non conformi alle linee guida nazionali, la norma e' stata intesa dal comune resistente nel presente giudizio e dal giudice di prime cure; per tutte le considerazioni finora svolte, l'art. 1, comma 953, legge n. 145 del 2018, presenta profili di illegittimita' rispetto alla Carta fondamentale alla luce dei quali si impone la rimessione alla Corte costituzionale delle relative questioni, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale); la disposizione di legge di stabilita' per il 2019 in questione e' innanzitutto rilevante nel presente giudizio, per le circostanze poc'anzi evidenziate, ovvero per il fatto che essa, conformemente alla sua funzione di sanatoria di eventuali accordi invalidi, e' stata anzitutto richiamata dall'amministrazione comunale appellante in funzione paralizzante dell'azione di nullita' proposta dalle originarie ricorrenti e, inoltre, ha costituito la base normativa sulla quale il Tribunale amministrativo ha ritenuto infondato il ricorso e lo ha respinto; ed infatti, nella sentenza appellata si legge che per un verso «qualsiasi sviluppo possibile del rapporto convenzionale e' azzerato» per effetto della sopravvenuta disposizione della legge n. 145 del 2018, incidente sugli accordi previsti dalla legge n. 239/2004, per altro verso che tale legge non era stata ancora emanata al momento della decisione delle fattispecie di cui alle sentenze della stesso Tribunale amministrativo n. 737 del 24 maggio 2018 e n. 830 del 7 giugno 2018 (che hanno accolto il ricorso delle societa' proponenti e pronunciato l'annullamento dell'ingiunzione di pagamento in via derivata rispetto alla nullita' della presupposta convenzione tra le parti), si' che dette fattispecie non possono essere assimilate a quella oggetto del presente giudizio; le misure previste dalla convenzione controversa e di cui si censura la nullita' hanno poi natura meramente patrimoniale in quanto, da un lato, esse hanno ad oggetto prestazioni esclusivamente economiche a titolo di canone e corrispettivo per le obbligazioni assunte dal comune (tra le quali anche quella di porre in essere tutto quanto necessario, nei limiti delle proprie competenze, per il rilascio dei titoli abilitativi); dall'altro, va escluso che esse siano state volte a compensare uno specifico e concreto pregiudizio ambientale e/o paesaggistico arrecato dal parco eolico in questione; come si legge infatti nella sentenza di primo grado «le parti non hanno allegato in atti alcun documento, relativo alle trattative intercorse (...) da cui possa evincersi una tensione ad orientare l'oggetto della prestazione della proponente verso misure di compensazione ambientale connotate dal contenuto tecnico esplicitato nell'atto introduttivo del giudizio mediante il riferimento ad una disciplina - il decreto ministeriale del 2010 - emanata oltre tre anni dopo la stipula della convenzione» ne' hanno provato «la possibilita' di altrimenti definire le misure in questione in base alla particolare conformazione dell'area di intervento», come dimostrerebbe il fatto che nella convenzione si fa cenno solo alla destinazione agricola dell'area, «senza alcun riferimento alla presenza di evidenze naturali (...) incise dalla realizzazione dell'impianto e, per tale motivo, bisognevoli di interventi ripristinatori»; con riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza, un primo profilo di illegittimita' della norma censurata si ravvisa rispetto al parametro della ragionevolezza ricavabile dall'art. 3 della Costituzione, perche', eccedendo dalle esigenze connesse all'obiettivo legittimo di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia, essa dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle medesime linee guida e al sovraordinato art. 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003; inoltre, la clausola di revisione contenuta nel secondo periodo della disposizione non prevede alcun termine, ne' strumenti per superare il rifiuto o il dissenso eventualmente manifestato da una delle parti dell'accordo, con il conseguente rischio che l'assetto originariamente prefigurato dalle parti contraenti, pur affetto da illiceita', rimanga inalterato; ed infatti, anche a voler ritenere configurabile un'ipotesi di nullita' derivante da «ius superveniens», a rapporto validamente instaurato (seguendo il ragionamento della sentenza di primo grado secondo cui al momento della sottoscrizione dell'accordo contestato in giudizio difettava una disciplina normativa che definisse puntualmente il contenuto delle misure di compensazione), cio' dovrebbe tradursi in una perdita di ulteriore efficacia dell'atto (id est: in un arresto della sua funzione negoziale) che confligge con il mantenimento di efficacia degli accordi sanciti dalla disposizione sopravvenuta; l'effetto complessivamente derivante dalla norma censurata e', dunque, quello tipico di una sanatoria indiscriminata, per cui il gestore dell'impianto elettrico rimane vincolato al pagamento di somme in esso previste, prive di finalizzazione ambientale ai sensi dell'allegato 2 alle linee guida nazionali, senza che contemporaneamente sia realizzato l'obiettivo di adeguare gli accordi al principio di ordine imperativo per cui l'autorizzazione unica per impianti di produzione energetica alimentati da fonti rinnovabili non puo' essere subordinata ne' prevedere misure di compensazione di carattere meramente patrimoniale, ai sensi dei piu' volte citati articoli 12, comma 6, decreto legislativo n. 387 del 2003 e 1, comma 5, legge n. 239 del 2004 (negli stessi termini si e' gia' espressa la stessa Corte costituzionale, nella sentenza del 1° aprile 2010, n. 124); ne' la prospettata nullita' per contrarieta' alle norme imperative su indicate puo' essere superata da una valutazione sulla condotta del comune nella fase di formazione dell'accordo negoziale e sulla conformita' ai canoni di lealta' e correttezza al fine di verificare se i proventi economici siano stati «liberamente pattuiti», come previsto dalla norma in esame, si' da verificare se la regolazione trasfusa nella convenzione esprima un accordo liberamente consolidatosi nella monetizzazione dell'impatto ambientale; l'insussistenza di eventuali lesioni inferte alla liberta' di autodeterminazione dei soggetti proponenti l'installazione degli impianti e l'esclusione di dolo contrattuale o di una condotta di approfittamento da parte dell'ente locale diretta a influire sul consenso dell'operatore economico non pare poter incidere su clausole della convenzione, inerenti all'oggetto e alla causa, in contrasto con norme imperative che sanciscono il divieto di compensazioni ambientali meramente patrimoniali, che danno luogo percio' alla nullita' dell'atto, in ragione della natura pubblicistica e dell'indisponibilita' dell'interesse tutelato dalla norma violata, laddove la violazione di norme di comportamento da parte dei contraenti costituisce unicamente fonte di responsabilita' o, in ipotesi, di annullamento per dolo incidente; dalla nullita' degli accordi che contemplino siffatte misure discende poi come conseguenza automatica l'improduttivita' ex tunc degli effetti del negozio che, invece, la norma di legge di bilancio censurata ha inteso fare salvi in assenza di una plausibile esigenza di ordine imperativo, si' che il mantenimento dell'efficacia statuito dall'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 finisce anche per vanificare gli effetti connaturati alla categoria giuridica della nullita'; la norma censurata appare, pertanto, anche lesiva del diritto di azione sancito dall'art. 24 della Costituzione; nel prevedere la conservazione dell'efficacia degli accordi, essa vanifica infatti l'utilita' pratica dell'impugnativa contrattuale, ivi compresa la nullita' ai sensi articoli 1418 del codice civile e seguenti, prevista per reagire contro manifestazioni di volonta' contrattuale aventi contenuti contrastanti con norme imperative, ai sensi del comma 1 della medesima disposizione; nel caso degli accordi previsti dall'art. 1, comma 953, legge n. 145 del 2018 la pronuncia giurisdizionale dichiarativa della nullita' sarebbe inutiliter data, perche' da un lato, come da essa espressamente previsto, le somme versate in esecuzione dello stesso non potrebbero essere ripetute dal solvens, gestore dell'impianto elettrico; ed inoltre avvalendosi della conservazione dell'efficacia parimenti affermata dalla norma censurata l'ente locale potrebbe agire per il pagamento delle somme ulteriormente dovute; un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale e' dato dalla violazione dei principi della separazione dei poteri (in relazione agli articoli 3, 97, 101, 102, 113 Cost.) e del giusto processo sanciti dagli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in relazione all'art. 117, comma 1, della medesima Carta fondamentale; la disposizione in oggetto, eccedendo dalle esigenze connesse all'obiettivo legittimo di rivedere gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale secondo quanto previsto dalle linee guida nazionali in materia, in conformita' con la normativa euro-unitaria e i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, persegue invece l'intento di definire in via legislativa i contenziosi pendenti, interferendo sugli esiti dei giudizi in corso e sulle pronunzie degli organi giurisdizionali, in violazione dei principi di terzieta' e imparzialita' del giudice; di conseguenza, l'intervento normativo pare presentare profili di irragionevolezza, in violazione dell'art. 3 Cost., laddove vanifica il potere giurisdizionale gia' esercitato (con la declaratoria di nullita' degli accordi contrastanti con il divieto di misure compensative a contenuto meramente economico ad opera delle sentenze dei giudici di primo grado) in assenza di plausibili motivi di interesse generale e senza che cio' risultasse necessario in ragione di oscillazioni giurisprudenziali, alterando in modo imprevedibile rapporti pregressi tra le parti si' da rendere privo di effettivita' il diritto alla tutela giurisdizionale; la sanatoria generalizzata introdotta con la legge di bilancio per il 2019 altera, infatti, in modo irrimediabile, la parita' delle parti nel processo, anche in corso, privando una di esse dei rimedi di legge a sua disposizione e vanificando l'utilita' delle pronunce favorevoli eventualmente conseguite, ma non ancora definitive, quand'anche con esse si sia accertato il contrasto dell'accordo con i principi di ordine imperativo regolatrici del settore della produzione energetica da fonti rinnovabili; sotto il profilo da ultimo evidenziato, emerge un ulteriore profilo di contrasto della norma censurata con il vincolo posto al legislatore ordinario dal sopra citato art. 117, comma 1, della Costituzione al rispetto degli obblighi internazionali, nel caso di specie assunti dall'Italia con il protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997 della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici - che funge da norma interposta e, quindi, da parametro mediato di costituzionalita' -, di cui il decreto legislativo n. 387 del 2003 costituisce attuazione nell'ordinamento giuridico interno, per il tramite della direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 (sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'); il contrasto e' ravvisabile nel fatto che gli obiettivi stabiliti a livello internazionale con il citato protocollo, di promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili in funzione dell'abbattimento delle emissioni inquinanti (art. 2), rispetto ai quali il principio di gratuita' delle autorizzazioni in materia e' strumentale, potrebbe essere vanificato da una sanatoria generalizzata rispetto ad accordi aventi l'effetto di rendere tali titoli amministrativi onerosi per ragioni estranee alla salvaguardia dell'ambiente, cosi' da scoraggiare gli operatori economici dal mantenere i propri investimenti nel settore delle energie rinnovabili; l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, nella misura in cui consente il mantenimento di efficacia degli accordi che prevedano misure compensative meramente patrimoniali, presenta, dunque, profili di irragionevolezza e arbitrarieta' in quanto non prende in considerazione ne' l'interesse degli operatori privati incisi dalla sanatoria ne' quelli pubblici alla promozione e al sostegno della produzione di energia da fonte rinnovabile (tutelati, gia' anteriormente all'emanazione delle linee guida nazionali di cui al citato decreto ministeriali, da norme imperative, quale l'art. 12, comma 6, del decreto legislativo n. 387 del 2003, in coerenza con i principi eurounitari di riferimento), non operando alcun bilanciamento con l'interesse alla conservazione delle risorse acquisite ai bilanci degli enti locali; per la ragione da ultimo evidenziata la norma appare anche in contrasto con la liberta' di iniziativa economica garantita dall'art. 41 della Costituzione, in relazione ai principi generali regolatori del settore economico relativo alla produzione d'energia da fonti rinnovabili, ricavabili dagli articoli 6 della citata direttiva 2001/77/CE - secondo cui gli Stati membri sono tra l'altro tenuti a «ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all'aumento della produzione di elettricita' da fonti energetiche rinnovabili», a «razionalizzare e accelerare le procedure all'opportuno livello amministrativo» e «garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie...» - e 12 decreto legislativo n. 387 del 2003, in virtu' del quale la produzione di energia da fonti rinnovabili e' soggetta ad un regime amministrativo di tipo autorizzatorio, subordinato all'accertamento dei presupposti di legge e non sottoposto a misure di compensazione di carattere pecuniario; la disposizione censurata pare, di conseguenza, presentare profili di incostituzionalita' sub specie di violazione dei principi di ragionevolezza e della liberta' di iniziativa economica nella misura in cui tramuta il rapporto autorizzatorio previsto per l'attivita' di produzione di energia elettrica (e, per quanto rileva, per quella da fonti rinnovabili), costituente una libera attivita' di impresa, in un rapporto di tipo concessorio, che costituisce ex novo posizioni soggettive in capo al concessionario a fronte del pagamento di un canone; infatti, la conservazione dell'efficacia di accordi che abbiano previsto simili misure, proprie di un regime di carattere concessorio in funzione della regolazione dell'accesso al mercato, rappresenta per gli operatori del settore un disincentivo economico rispetto ad una prospettiva di continuazione dell'attivita' per l'intero ciclo di vita degli impianti; sotto quest'ultimo profilo, la disposizione in questione sembra porsi infine in contrasto con l'art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 1, del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in quanto determina, in modo imprevedibile ed in violazione dei principi di legalita' e proporzionalita' (tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito), una lesione del diritto di proprieta' degli operatori economici che hanno realizzato e messo in esercizio gli impianti da fonti rinnovabili (nella misura in cui osta al soddisfacimento di un credito avente consistenza di valore patrimoniale e base normativa nel diritto nazionale e nell'ordinamento sovranazionale) e, quindi, anche del loro legittimo affidamento ad ottenere la restituzione degli importi versati in esecuzione di accordi di cui si contesta la validita' e, comunque, a non dover piu' corrispondere (nell'ipotesi di accoglimento della domanda di nullita') alcuna somma per la residua durata della convenzione; per tutte le ragioni esposte il giudizio va sospeso e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi del sopra citato art. 23, legge n. 87 del 1953, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, in relazione agli articoli 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e 117, comma 1, Cost., nonche' in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli articoli 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali di cui agli articoli 1, del 1° Protocollo addizionale, 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 2 del protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997;
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in relazione agli articoli 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113, e 117, comma 1, della Costituzione, nei termini esposti in motivazione; dichiara pertanto la sospensione del processo e ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, ed inoltre comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella, Presidente; Fabio Franconiero, consigliere; Federico Di Matteo, consigliere; Angela Rotondano, consigliere, estensore; Stefano Fantini, consigliere. Il Presidente: Caringella L'estensore: Rotondano