N. 102 SENTENZA 6 - 29 maggio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene -  Sottrazione  e  trattenimento  di  minore  all'estero
  commesso  dal  genitore   -   Sospensione   della   responsabilita'
  genitoriale a seguito di condanna - Applicazione  automatica  della
  pena accessoria - Violazione dei diritti inviolabili del  minore  -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Codice penale, artt. 34 e 574-bis. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30 e 31. 
(GU n.23 del 3-6-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  34,
secondo comma, e 574-bis, terzo comma, del  codice  penale,  promosso
dalla Corte di cassazione, sezione  sesta  penale,  nel  procedimento
penale a carico di A. F., con ordinanza del 21 giugno 2019,  iscritta
al n. 209 del registro ordinanze 2019  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 48,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2019, 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice  relatore  Francesco  Vigano'  nella  camera  di
consiglio del 6 maggio  2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 gennaio 2019, depositata  il  21  giugno
2019 e pervenuta a questa Corte il  4  novembre  2019,  la  Corte  di
cassazione,  sezione  sesta  penale,  ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale degli  artt.  34  e  574-bis  del  codice
penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 27,  terzo  comma,  30  e  31
della Costituzione, nonche' all'art.  10  Cost.,  in  relazione  alla
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in  Italia  con  legge  27
maggio 1991, n. 176, nella parte in cui, dal loro combinato disposto,
impongono che alla condanna per sottrazione e trattenimento di minore
all'estero commessa dal genitore in danno del figlio minore  consegua
automaticamente e  per  un  periodo  predeterminato  dalla  legge  la
sospensione dall'esercizio della responsabilita' genitoriale. 
    1.1.- La Sezione rimettente espone  che  il  30  aprile  2016  il
Tribunale ordinario di Grosseto ha condannato la signora A.  F.  alla
pena di due anni e  un  mese  di  reclusione,  unitamente  alla  pena
accessoria della  sospensione  dall'esercizio  della  responsabilita'
genitoriale, per avere eluso, in piu' occasioni, il provvedimento del
Tribunale per  i  minorenni  di  Firenze  in  ordine  all'affidamento
condiviso dei due figli minorenni (artt. 81, secondo  comma,  e  388,
secondo comma, cod. pen.), e per avere sottratto i medesimi al padre,
portandoli in Austria contro la volonta' di quest'ultimo  (artt.  81,
secondo comma, e 574-bis cod. pen.). 
    Il 6 aprile 2018 la  Corte  d'appello  di  Firenze  ha  rigettato
l'appello dell'imputata, confermando la  sua  responsabilita'  per  i
reati accertati dal primo giudice,  e  in  accoglimento  dell'appello
interposto dal pubblico ministero ha rideterminato la pena in  quella
di due anni e sei mesi di reclusione. 
    A. F. ha quindi proposto ricorso per  cassazione,  eccependo  tra
l'altro l'illegittimita' costituzionale  degli  automatismi  previsti
dalle disposizioni censurate in relazione all'applicazione della pena
accessoria della sospensione della responsabilita' genitoriale. 
    1.2.- Ad avviso del giudice a quo, le questioni prospettate  sono
rilevanti, dal momento che il giudizio  di  cassazione  non  potrebbe
essere  definito  indipendentemente   dalla   loro   soluzione,   che
concernerebbe  tanto  l'automatismo  dell'applicazione   della   pena
accessoria in questione per  il  delitto  di  sottrazione  di  minori
all'estero commesso «da un  genitore  in  danno  del  figlio  minore»
prevista  dall'art.  574-bis,  terzo  comma,  cod.  pen.,  quanto  la
determinazione automatica della sua misura  ai  sensi  dell'art.  34,
secondo comma, cod. pen. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  la
Sezione rimettente osserva che la pena accessoria  della  sospensione
dall'esercizio della responsabilita' genitoriale comporta conseguenze
che ricadono sui figli dei  condannati  non  gia'  «semplicemente  de
facto - come puo' avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario  -
ma de jure». Dagli artt. 2 (che, riconoscendo e tutelando  i  diritti
fondamentali dell'individuo,  costituisce  fondamento  anche  per  la
tutela dei  diritti  dei  minorenni),  3,  29  e  30  Cost.,  nonche'
dall'art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo (che  impegna
gli Stati parte a rispettare, tra l'altro, il diritto dei minori alle
proprie relazioni familiari) si evincerebbe, tuttavia, il  «principio
secondo  cui  in  tutte  le  decisioni  relative  ai  minorenni  deve
considerarsi  il  preminente  interesse  degli  stessi»;  di  talche'
qualsiasi provvedimento che incide sulla responsabilita'  genitoriale
potrebbe giustificarsi solo in quanto non contrasti con l'esigenza di
tutela del minore. 
    Mentre  i  provvedimenti  di  sospensione   o   decadenza   dalla
responsabilita' genitoriale previsti dagli artt. 330 e 333 del codice
civile sono adottati di regola da parte di un  giudice  specializzato
(il tribunale per i minorenni) che,  all'esito  di  un  vaglio  delle
concrete circostanze del caso, ne ravvisi  l'effettiva  opportunita',
la pena accessoria prevista  dalle  disposizioni  censurate  dovrebbe
essere disposta in modo  automatico  dal  giudice  penale,  al  quale
sarebbe impedito di «valutare la corrispondenza  tra  la  sospensione
della responsabilita' genitoriale  e  gli  interessi  dei  minorenni,
cosi' negando la possibilita' di effettuare un diverso  bilanciamento
tra i diritti di quest'ultimi e  le  esigenze  punitive  dello  Stato
verso i genitori». 
    Il giudice a quo rammenta come la sentenza  n.  31  del  2012  di
questa Corte abbia ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 569
cod. pen., nella parte in cui stabiliva che alla condanna pronunciata
contro il genitore per il delitto di alterazione di stato conseguisse
automaticamente la perdita della potesta'  genitoriale,  dal  momento
che tale soluzione normativa precludeva al giudice la possibilita' di
valutare l'interesse del minorenne nel caso concreto, con conseguente
violazione  dell'art.  3  Cost.;  e  cio'  anche  in   considerazione
dell'impossibilita'   per   il   giudice,   creata   dalla   medesima
disposizione allora censurata, di assumere una determinazione che gli
consentisse di tenere nel debito conto il preminente interesse morale
e materiale del minore nel caso concreto. 
    Simili considerazioni varrebbero, secondo la Sezione  rimettente,
anche in relazione alla previsione  automatica  della  medesima  pena
accessoria  per  il  delitto  di  cui  all'art.  574-bis  cod.  pen.,
previsione che sarebbe suscettibile di compromettere il  diritto  del
minore «di crescere con i genitori e di  essere  educati  da  questi,
salvo che cio' comporti un grave pregiudizio». 
    Una tale  compromissione  risulterebbe  d'altronde  in  contrasto
anche con gli artt. 2, 30 e 31 Cost., nonche' con l'art. 3, comma  1,
della menzionata Convenzione sui diritti del fanciullo, a tenore  del
quale «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli,  di  competenza
sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale,  dei
tribunali, delle autorita' ammnistrative o degli organi  legislativi,
l'interesse superiore del fanciullo deve  essere  una  considerazione
preminente», e con la Convenzione europea sull'esercizio dei  diritti
dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio  1996,  ratificata  e
resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77,  la  quale  stabilisce
che in tutti i procedimenti che riguardano un  minorenne  l'autorita'
giudiziaria deve  acquisire  «informazioni  sufficienti  al  fine  di
prendere una decisione nell'interesse superiore del fanciullo». 
    Il  giudice  a  quo  dubita  dunque  della  compatibilita'  degli
automatismi censurati con i principi costituzionali e  internazionali
richiamati (questi ultimi ritenuti rilevanti in relazione all'art. 10
Cost.), anche considerando che il delitto ex art. 574-bis cod. pen. -
come gia' il delitto di alterazione di stato, oggetto della  sentenza
n. 31 del 2012 -  non  comporterebbe  «una  presunzione  assoluta  di
pregiudizio per gli interessi morali e materiali del  minorenne,  per
cui e' ragionevole che il giudice debba poter valutare, in  relazione
al caso concreto, la inidoneita'  del  genitore  all'esercizio  della
responsabilita' genitoriale». 
    La Sezione rimettente richiama, altresi',  la  giurisprudenza  di
questa Corte che considera incompatibili con gli artt. 3 e 27,  terzo
comma, Cost. pene accessorie sproporzionate per eccesso  rispetto  al
concreto disvalore del fatto di reato (e' citata la sentenza  n.  222
del 2018), osservando  che  l'applicazione  automatica  di  una  pena
accessoria  contrasterebbe   con   il   principio   della   finalita'
rieducativa della pena «nei casi in cui il delitto  ex  art.  574-bis
cod. pen. sia stato motivato dalla finalita' di preservare il  figlio
da pregiudizi che potrebbero essergli arrecati dall'altro  genitore»,
dal momento che il condannato in una tale  situazione  «non  potrebbe
ricavare  una  rieducazione  dalla  sospensione  della  sua  potesta'
genitoriale». 
    Dopo aver rammentato altre  pronunce  con  cui  questa  Corte  ha
dichiarato illegittimi  automatismi  nella  disciplina  delle  misure
alternative alla detenzione (sono citate le sentenze n. 445 del 1997,
n. 504 e n. 186 del 1995) ovvero nell'applicazione di pene accessorie
(sono citate, oltre alla sentenza n. 31 del 2012, le sentenze  n.  22
del 2018 e n. 7 del 2013), il giudice a quo si sofferma ancora  sulla
sentenza n. 222 del 2018,  evidenziando  che  da  tale  pronuncia  si
evince il principio secondo  cui,  «quando  una  sanzione  si  rivela
manifestamente irragionevole, un intervento  correttivo  della  Corte
costituzionale  e'  possibile  se   essa   puo'   essere   sostituita
ancorandosi a "precisi punti di  riferimento,  gia'  rinvenibili  nel
sistema  legislativo",  anche  se  il  sistema  non  offre   un'unica
soluzione costituzionalmente vincolata  in  grado  di  sostituirsi  a
quella dichiarata illegittima senza provocare vuoti di  tutela  degli
interessi toccati dalla norma oggetto della pronuncia». 
    Il collegio rimettente osserva, infine, che anche «la  previsione
di una durata fissa della pena accessoria presenta profili di  dubbia
costituzionalita'   perche'   contrasta   con   il    principio    di
proporzionalita' della pena [...] e con il  principio  di  necessaria
individualizzazione  delle  pene»,  che  imporrebbero  «una  adeguata
calibrazione della applicazione e della durata» della pena accessoria
in questione. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dell'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili e, comunque, infondate. 
    2.1.- Anzitutto, il giudice a quo avrebbe  fornito  una  lacunosa
dimostrazione  della  rilevanza  delle  questioni  prospettate,   non
consentendo in particolare a questa Corte «di verificare se il motivo
di gravame da cui nasce la questione di  costituzionalita'  riproduca
effettivamente una doglianza gia' mossa nell'atto di appello  avverso
la sentenza del Tribunale di Grosseto, che pure aveva  gia'  irrogato
all'imputata  la  suddetta  pena  accessoria».  Laddove   -   osserva
l'Avvocatura generale  dello  Stato  -  l'imputata  non  avesse  gia'
sollevato avanti alla Corte d'appello  una  doglianza  relativa  alla
sanzione irrogatale, il motivo di gravame svolto avanti alla Corte di
cassazione  rimettente   sarebbe   inammissibile,   con   conseguente
irrilevanza nel giudizio a quo delle questioni prospettate. 
    Il difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  si  apprezzerebbe,
inoltre, anche rispetto all'assenza di indicazioni  «sulle  capacita'
genitoriali  dell'imputata,  sulla  sua  condotta  nel  rapporto  con
l'altro coniuge relativamente ai figli, sulla volonta' dei  figli  di
interrompere i rapporti col padre, sul rapporto  tra  i  figli  e  lo
stesso  padre»;  il  che  comporterebbe  l'impossibilita'   di   «far
fondatamente presumere la derivazione [in danno dei figli] di effetti
pregiudizievoli dall'applicazione della pena accessoria irrogata alla
madre». Un tale  difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza,  osserva
l'Avvocatura generale dello Stato, aveva del  resto  condotto  questa
Corte a dichiarare inammissibile, con ordinanza n. 150 del 2013,  una
questione identica a quella oggi proposta dalla sezione rimettente. 
    Nel giudizio a quo,  infine,  non  assumerebbe  alcuna  rilevanza
concreta «la questione della durata predeterminata della  sospensione
dall'esercizio  della  responsabilita'  genitoriale,  alla  quale  il
ricorso presentato nell'interesse dell'imputata, per  come  riportato
dall'ordinanza, neppure accenna». 
    2.2.- Nel merito, le questioni sarebbero comunque infondate. 
    L'automatismo di cui si duole  il  collegio  rimettente  sarebbe,
infatti, posto a tutela del minore, il quale - in  conseguenza  della
condotta  di  illecita  sottrazione  e  trattenimento  all'estero   -
subirebbe «una compromissione, spesso definitiva, del proprio diritto
di godere degli affetti familiari e di essere educato e assistito dai
propri genitori». La condotta incriminata dall'art. 574-bis cod. pen.
sarebbe, in effetti, «di sicuro pregiudizio per l'interesse morale  e
materiale del minore», cio' che renderebbe del tutto  ragionevole  la
comminatoria, a carico del genitore che abbia compiuto il reato e che
per questo  si  sia  dimostrato  inadatto  a  esercitare  la  propria
responsabilita' genitoriale, della pena accessoria in questione. 
    Una tale  considerazione,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, renderebbe inapplicabile a questo caso la ratio delle sentenze
n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013 di questa Corte, concernenti reati che
non necessariamente sono commessi a danno del minore, come invece  il
delitto di cui all'art. 574-bis cod. pen., che  mira  a  tutelare  «i
singoli  rapporti  e  gli  specifici  interessi  che  fanno  capo  ai
componenti il nucleo familiare». 
    D'altra parte,  la  pena  accessoria  qui  all'esame  non  e'  la
decadenza dall'esercizio della  responsabilita'  genitoriale,  ma  la
semplice sospensione della stessa, che priva solo temporaneamente  il
genitore dei diritti a  essa  inerenti,  conservandogli  peraltro  la
possibilita' di  frequentare  il  figlio  e  di  vigilare  sulla  sua
istruzione, educazione e condizioni di vita, nonche'  la  titolarita'
dei doveri che discendono dal proprio ruolo genitoriale. 
    Ne' sarebbe fondato  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
sollevato in relazione al carattere predeterminato della durata della
pena accessoria, dal momento che l'art. 34 cod. pen. si limiterebbe a
dettare un criterio di computo per la durata della pena stessa, senza
togliere al giudice la discrezionalita' nella fissazione  della  pena
principale, la quale  poi  si  riflettera'  sull'entita'  della  pena
accessoria, assicurandone cosi' la proporzionalita' alla gravita' del
fatto da cui deriva la pena principale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di cassazione,
sezione  sesta  penale,  ha  sollevato  questioni   di   legittimita'
costituzionale degli  artt.  34  e  574-bis  del  codice  penale,  in
riferimento agli  artt.  2,  3,  27,  terzo  comma,  30  e  31  della
Costituzione,  nonche'  all'art.  10   Cost.,   in   relazione   alla
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in  Italia  con  legge  27
maggio 1991, n. 176, nella parte in cui impongono che  alla  condanna
per sottrazione e trattenimento di  minore  all'estero  commessa  dal
genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un
periodo predeterminato  dalla  legge  la  sospensione  dall'esercizio
della responsabilita' genitoriale. 
    Secondo  la   Sezione   rimettente,   l'automatismo   applicativo
discendente dalle disposizioni censurate - quanto, anzitutto,  all'an
della pena accessoria - sarebbe incompatibile con il principio  della
preminenza degli interessi del minore in ogni decisione pubblica  che
lo riguarda, principio a sua volta ricavabile da  una  pluralita'  di
parametri costituzionali, e in particolare dagli artt. 2, 3, 30 e  31
Cost., nonche' dall'art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione  sui
diritti del fanciullo. 
    L'automatismo nell'an della  pena  accessoria  della  sospensione
dall'esercizio della responsabilita' genitoriale  sarebbe,  altresi',
in  contrasto  con  il  principio  di  proporzionalita'  della   pena
desumibile dagli artt.  3  e  27,  terzo  comma,  Cost.  La  pena  in
questione risulterebbe eccessiva specie allorche' il  reo  sia  stato
motivato dalla finalita' di preservare il figlio  da  pregiudizi  che
potrebbero essergli arrecati dall'altro genitore; situazione, questa,
in cui la pena non potrebbe esplicare alcuna efficacia rieducativa. 
    Infine, il giudice a quo censura l'automatismo nel quantum  della
pena accessoria discendente dalle disposizioni censurate, ritenendolo
incompatibile -  ancora  -  con  i  principi  di  proporzionalita'  e
individualizzazione della pena di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma,
Cost. 
    2.- Preliminare all'esame delle questioni prospettate e' un breve
inquadramento del contesto normativo nelle quali esse si inseriscono. 
    2.1.- L'art. 34 cod. pen. - la prima delle disposizioni censurate
- disciplina in via generale le pene  accessorie  della  decadenza  e
della sospensione dall'esercizio della  responsabilita'  genitoriale,
stabilendo al primo comma che la decadenza si applica  (soltanto)  ai
delitti per i quali essa sia espressamente  prevista,  e  al  secondo
comma che la sospensione opera  invece  come  conseguenza  automatica
della «condanna per delitti commessi con abuso della  responsabilita'
genitoriale [...] per un periodo di tempo, superiore al doppio  della
pena inflitta». 
    L'art. 34 non specifica, peraltro, quale sia il  contenuto  delle
due pene accessorie in parola, limitandosi a  precisare  -  al  terzo
comma - che la decadenza dalla  responsabilita'  genitoriale  importa
«anche» - e, dunque, non esclusivamente  -  «la  privazione  di  ogni
diritto che al genitore spetti sui beni del  figlio  in  forza  della
responsabilita' genitoriale di cui al  titolo  IX  del  libro  I  del
codice civile», nonche' - al quarto comma - che  la  sospensione  dal
relativo esercizio importa «anche l'incapacita' a esercitare, durante
la sospensione», i medesimi diritti. 
    Il piu' preciso contenuto delle due pene accessorie in  esame  si
ricava, a contrario, dalle disposizioni del  codice  civile  dedicate
alla «responsabilita' genitoriale»:  espressione  con  cui  e'  stata
sostituita  -  ad  opera  dell'art.  93,  lettera  c),  del   decreto
legislativo 28 dicembre 2013, n. 154  (Revisione  delle  disposizioni
vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge
10 dicembre 2012, n. 219)  -  la  precedente  formula  «potesta'  dei
genitori», che a sua volta aveva sostituito - per  effetto  dell'art.
122 della legge 24  novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al  sistema
penale) - il sintagma originario «patria potesta'». 
    L'art. 316 cod. civ., come modificato dal citato  d.lgs.  n.  154
del 2013, disciplina - pur senza definirne puntualmente il  contenuto
- la responsabilita'  genitoriale,  attribuendone  la  titolarita'  a
entrambi i genitori,  chiamati  a  esercitarla  «di  comune  accordo,
tenendo conto delle capacita', delle inclinazioni  naturali  e  delle
aspirazioni del figlio». 
    Come chiarisce la Relazione illustrativa al  d.lgs.  n.  154  del
2013, «la nozione di responsabilita' genitoriale, presente  da  tempo
in numerosi strumenti internazionali (tra cui il reg. CE n. 2201/2003
- c.d. Bruxelles II bis - relativo alla competenza, al riconoscimento
e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia
di responsabilita' genitoriale), e' quella  che  meglio  definisce  i
contenuti dell'impegno genitoriale, da considerare non piu' come  una
potesta' sul figlio minore, ma come un'assunzione di  responsabilita'
da parte  dei  genitori  nei  confronti  del  figlio».  Tale  nozione
consiste - prosegue la  Relazione  -  in  «una  situazione  giuridica
complessa idonea a riassumere i doveri,  gli  obblighi  e  i  diritti
derivanti per il genitore dalla filiazione», precisandosi che essa e'
«necessariamente piu' ampia  rispetto  alla  (vecchia)  potesta',  in
quanto dovrebbe reputarsi in  essa  ricompresa  anche  la  componente
economica rappresentata dall'obbligo di mantenimento dei figli». Cio'
che permette, conclude la  Relazione,  di  attribuire  «risalto  alla
diversa visione prospettica che nel corso degli anni si e' sviluppata
ed  e'  ormai  da  considerare  patrimonio  condiviso:   i   rapporti
genitori-figli non devono piu' essere considerati avendo riguardo  al
punto di vista dei genitori, ma occorre porre in risalto il superiore
interesse dei figli minori». 
    Le due  pene  accessorie  disciplinate  dall'art.  34  cod.  pen.
prevedono dunque la  decadenza  (definitiva)  ovvero  la  sospensione
(temporanea) dal fascio complesso di diritti, potesta', obblighi, che
si  riassumono   nel   concetto   civilistico   di   «responsabilita'
genitoriale» di cui all'art. 316 cod. civ. 
    L'ultimo comma dell'art. 34 cod. pen. dispone, peraltro, che - in
caso di sospensione condizionale della pena relativa a un  reato  per
il quale sia prevista in astratto la pena accessoria della  decadenza
o della sospensione dall'esercizio della responsabilita'  genitoriale
- gli atti  del  procedimento  penale  debbano  essere  trasmessi  al
tribunale per i minorenni, affinche'  assuma  i  «provvedimenti  piu'
opportuni nell'interesse dei minori». La ratio della disposizione  si
collega evidentemente all'art. 166 cod. pen., il quale prevede che la
sospensione condizionale della pena si estende di regola  anche  alle
pene accessorie; sicche' l'ultimo comma dell'art.  34  cod.  pen.  si
preoccupa di assicurare che anche in tale  ipotesi  vengano  comunque
assunti gli opportuni provvedimenti a tutela  del  minore,  ad  opera
pero' non direttamente del giudice penale, ma  del  tribunale  per  i
minorenni, il  quale  potra'  cosi'  intervenire  -  se  del  caso  -
adottando le misure previste dagli artt. 330 e 333 cod. civ. 
    In particolare, l'art. 330 cod. civ. dispone  che  «[i]l  giudice
puo'  pronunziare  la  decadenza  dalla  responsabilita'  genitoriale
quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa
dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio», precisando  al
secondo comma che «[i]n tal caso, per gravi motivi, il  giudice  puo'
ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero
l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa  del
minore». Il genitore  decaduto  potra'  peraltro  essere  reintegrato
nella responsabilita' genitoriale ai sensi dell'art  332  cod.  civ.,
allorche' siano cessate le ragioni per le quali la decadenza e' stata
pronunciata. 
    Ai sensi invece del successivo art. 333 cod. civ.,  «[q]uando  la
condotta di uno o di entrambi i genitori non e' tale  da  dare  luogo
alla  pronuncia  di  decadenza  prevista  dall'art.  330,  ma  appare
comunque  pregiudizievole  al  figlio,   il   giudice,   secondo   le
circostanze del caso, puo' adottare  i  provvedimenti  convenienti  e
puo' anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare
ovvero l'allontanamento del genitore o  convivente  che  maltratta  o
abusa del minore». Tali provvedimenti,  peraltro,  sono  -  ai  sensi
dell'ultimo comma dello stesso art. 333 cod. civ.  -  «revocabili  in
qualsiasi momento». 
    Nella specifica ipotesi in cui penda tra i genitori,  innanzi  al
giudice ordinario civile, un giudizio di separazione o  di  divorzio,
ovvero un procedimento sulla  responsabilita'  genitoriale  di  figli
nati da coppia non coniugata ai sensi dell'art. 316 cod. civ., l'art.
38,  primo  comma,  del  regio  decreto  30  marzo   1942,   n.   318
(Disposizioni per  l'attuazione  del  Codice  civile  e  disposizioni
transitorie) prevede che la competenza  per  i  procedimenti  di  cui
all'art. 333 cod. civ. spetti  allo  stesso  giudice  ordinario,  con
esclusione della competenza del tribunale per i minorenni. 
    2.2.- La seconda disposizione oggetto di  censure  da  parte  del
rimettente e' l'art. 574-bis cod. pen. 
    Introdotta  a  mezzo  della  legge  15   luglio   2009,   n.   94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica),  la  norma  mira  ad
apprestare una piu' energica tutela penale contro  l'odioso  fenomeno
della sottrazione o del trattenimento di minori all'estero contro  la
volonta' di uno o entrambi i genitori  esercenti  la  responsabilita'
genitoriale ovvero del tutore, con l'effetto di  impedire  a  costoro
l'esercizio della responsabilita' stessa. 
    Accanto alle pene principali della reclusione da  uno  a  quattro
anni per l'ipotesi prevista dal primo comma, e da sei mesi a tre anni
per l'ipotesi - prevista dal secondo  comma  -  caratterizzata  dalla
sottrazione o trattenimento di minore ultraquattordicenne con il  suo
consenso, il terzo comma dell'art. 574-bis prevede, come  conseguenza
automatica della  condanna,  la  pena  accessoria  della  sospensione
dall'esercizio  della  responsabilita'  genitoriale  a   carico   del
genitore che abbia commesso il fatto «in danno del figlio minore». 
    Tale terzo comma  ribadisce  in  effetti  la  previsione  di  cui
all'art. 34, secondo comma, cod. pen., che  -  come  si  e'  poc'anzi
sottolineato  -  prevede  in  via  generale  la  pena  accessoria  in
questione come conseguenza automatica  della  condanna  per  tutti  i
delitti commessi con abuso della responsabilita' genitoriale, come e'
certamente qualificabile il delitto di sottrazione o trattenimento di
minori all'estero. In mancanza poi  di  specifica  indicazione  sulla
durata della pena  accessoria  nel  medesimo  terzo  comma  dell'art.
574-bis cod. pen., essa dovra' ricavarsi  dalla  stessa  disposizione
generale di cui all'art. 34, secondo comma, cod. pen., che ne  ancora
il quantum al doppio della pena principale in concreto inflitta. 
    2.3.- Dal tenore complessivo della motivazione dell'ordinanza  di
rimessione, alla luce del quadro normativo  sin  qui  illustrato,  si
evince dunque che oggetto delle censure del giudice a quo sono,  piu'
precisamente: a) il terzo comma dell'art. 574-bis  cod.  pen.,  nella
parte in cui prevede come conseguenza automatica  della  condanna  la
pena    accessoria    della    sospensione    dall'esercizio    della
responsabilita' genitoriale a carico del genitore che abbia  commesso
il delitto di sottrazione o trattenimento  di  minore  all'estero  in
danno del figlio minore; e b) il  secondo  comma  dell'art.  34  cod.
pen., nella parte in cui dispone che - in tal caso - la durata  della
pena accessoria in parola e' pari al  doppio  della  pena  principale
inflitta. 
    3.- In punto di ammissibilita' delle  questioni  prospettate,  si
osserva quanto segue. 
    3.1.- Sono anzitutto inammissibili le questioni aventi ad oggetto
l'art. 34, secondo comma, cod. pen. 
    3.1.1.- Quanto ai profili concernenti l'automatismo nell'an della
pena accessoria in questione, se l'obiettivo della Sezione rimettente
e' quello di eliminare  tale  automatismo  con  riferimento  al  solo
delitto di cui all'art. 574-bis cod.  pen.,  l'oggetto  del  presente
giudizio di costituzionalita' deve essere, per  l'appunto,  confinato
al solo terzo comma dell'art. 574-bis cod. pen.,  che  stabilisce  la
regola secondo cui  la  condanna  del  genitore  per  il  delitto  di
sottrazione o trattenimento di minore all'estero  compiuto  in  danno
del figlio minore «comporta»,  con  carattere  di  automaticita',  la
sospensione dall'esercizio della responsabilita' genitoriale. 
    Ed  invero,  l'estensione  del  sindacato  di   costituzionalita'
all'art.  34,  secondo  comma,  cod.  pen.  sui  profili  concernenti
l'automatismo nell'an della pena accessoria sarebbe,  per  un  verso,
inutile rispetto agli  scopi  perseguiti  dalla  sezione  rimettente,
posto che l'art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. si  atteggia  a  lex
specialis rispetto a  quella  disposizione,  come  tale  destinata  a
trovare  applicazione  in  caso  di  condanna  per  il   delitto   di
sottrazione o trattenimento di minore all'estero in luogo  della  lex
generalis; per altro verso, detta estensione  risulterebbe  eccedente
rispetto a tali scopi, dal momento che l'art. 34, secondo comma, cod.
pen. si applica alla generalita' dei delitti commessi con abuso della
responsabilita' genitoriale, dei quali non si occupa -  ne'  potrebbe
occuparsi - l'ordinanza di rimessione. 
    3.1.2.- Relativamente poi alle questioni concernenti  il  quantum
della pena accessoria, oggetto della disciplina di cui  all'art.  34,
secondo comma, cod. pen., e' fondata l'eccezione - per il vero appena
accennata dall'Avvocatura generale dello Stato  -  secondo  cui  tali
questioni non spiegano alcuna rilevanza nel giudizio a quo. 
    Dall'ordinanza di rimessione si evince che la ricorrente  non  ha
articolato motivi  di  ricorso  sul  quantum  della  pena  accessoria
irrogatale, concentrando piuttosto le sue censure sull'an  della  sua
applicazione,  rispetto  alle  quali  ha  sollecitato  la  Corte   di
cassazione a sollevare questioni di legittimita'  costituzionale.  In
caso di rigetto di tali questioni,  la  Sezione  rimettente  dovrebbe
dunque disattendere il ricorso dell'imputata, senza  poter  sindacare
la durata della pena accessoria  concretamente  irrogata;  mentre  in
caso di accoglimento delle questioni aventi ad oggetto l'art. 574-bis
cod.  pen.  in  riferimento  all'automatismo   nell'an   della   pena
accessoria, ben potrebbe annullare il capo della  sentenza  impugnata
relativo all'applicazione della pena accessoria stessa, rinviando gli
atti al giudice del merito. Sarebbe poi quest'ultimo a dover valutare
se irrogare la pena accessoria e, in caso affermativo, a determinarne
la durata, facendo a quel punto applicazione  dell'art.  34,  secondo
comma, cod. pen. 
    3.2.-  Quanto  poi  ai  parametri  evocati,  inammissibile   deve
ritenersi la censura formulata in riferimento all'art. 10  Cost.,  in
relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, le «norme del
diritto internazionale generalmente riconosciute»  cui  l'ordinamento
italiano si conforma ai sensi dell'art. 10, primo comma,  Cost.  sono
soltanto  quelle  del  cosiddetto  diritto  internazionale  generale,
certamente comprensivo delle norme consuetudinarie  (sentenze  n.  73
del 2001, n. 15 del 1996 e n. 168 del 1994), ma  con  esclusione  del
diritto internazionale pattizio (sentenze n. 224 del 2013, n. 113 del
2011, nonche' n. 348 e n. 349 del 2007,  e  precedenti  conformi  ivi
citati). 
    La  citata  Convenzione,  come   la   generalita'   del   diritto
internazionale pattizio,  vincola  piuttosto  il  potere  legislativo
statale e regionale ai sensi e nei limiti di cui all'art. 117,  primo
comma, Cost., secondo le note scansioni enucleate dalle  sentenze  n.
348 e n. 349 del 2007 (nel senso, per l'appunto, del rilievo ex  art.
117, primo comma, Cost. della Convenzione sui diritti del  fanciullo,
sentenza n. 7 del 2013). 
    Cio' non impedisce, peraltro, alla predetta Convenzione  -  cosi'
come  alla  Convenzione  europea  sull'esercizio  dei   diritti   dei
fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata  e  resa
esecutiva con legge 20 marzo  2003,  n.  77,  citata  in  motivazione
nell'ordinanza di rimessione, nonche' alla stessa Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), che tra  l'altro  aspira  a
sintetizzare le tradizioni costituzionali comuni degli  Stati  membri
dell'intera Unione -  di  poter  essere  utilizzata  quale  strumento
interpretativo delle corrispondenti garanzie costituzionali,  tra  le
quali in particolare gli artt.  2,  30  e  31  Cost.,  specificamente
evocati dalle ordinanze di rimessione (amplius, al  riguardo,  infra,
4.1. e 4.2.). 
    3.3.-   Non   e'   fondata,   invece,    l'eccezione    formulata
dall'Avvocatura generale dello Stato e relativa all'allegato  difetto
di motivazione sulla rilevanza delle questioni, che  deriverebbe  dal
non avere il giudice a quo chiarito  se  la  ricorrente  avesse  gia'
formulato una doglianza contro l'applicazione della  pena  accessoria
innanzi alla Corte d'appello; cio'  che  condizionerebbe,  ad  avviso
dell'Avvocatura generale dello Stato, la  stessa  ammissibilita'  del
corrispondente motivo di gravame nel giudizio di cassazione. 
    A prescindere qui dal rilievo che, come risulta  dagli  atti,  la
ricorrente aveva in effetti gia' formulato la doglianza in parola  in
sede  di  appello,  l'esigenza  di  una  puntuale  motivazione  sulla
rilevanza della questione non puo' essere dilatata  sino  a  esigere,
nell'ordinanza medesima,  una  specifica  confutazione  di  tutte  le
eventuali, e meramente ipotetiche, ragioni di inammissibilita'  della
domanda spiegata innanzi al giudice a quo. E cio' in assenza, almeno,
di  plausibili  ragioni  -  emergenti  dalla  stessa   ordinanza   di
rimessione - che possano condurre questa Corte  a  dubitare  di  tale
ammissibilita'. 
    Nel caso di specie, tali ragioni ictu oculi non sussistono: anzi,
dal momento che lo stesso giudice a quo da' atto che la pena inflitta
all'imputata era stata rideterminata in peius nel giudizio d'appello,
all'imputata sarebbe comunque stato consentito  formulare  motivi  di
ricorso per cassazione attinenti al  trattamento  sanzionatorio  -  e
dunque anche alla pena accessoria in questione  -  pure  laddove  una
tale doglianza non fosse stata in precedenza articolata quale  motivo
d'appello (art. 609, comma 2, del codice di procedura penale). 
    3.4.- L'Avvocatura generale dello Stato lamenta infine un difetto
di motivazione sulla rilevanza delle questioni anche sotto il profilo
dell'omessa illustrazione, da  parte  dell'ordinanza  di  rimessione,
delle  circostanze  di  fatto  dalle  quali  dovrebbe  desumersi   il
carattere pregiudizievole per i figli  dell'applicazione  della  pena
accessoria alla madre. 
    Anche questa eccezione e' infondata. 
    E' vero che questioni analoghe a quelle oggi all'esame, sollevate
da un giudice di merito, sono state ritenute inammissibili da  questa
Corte  con  ordinanza  n.  150   del   2013,   proprio   in   ragione
dell'insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio
a quo, non essendo stato neppure precisato - in quell'occasione -  se
la pena detentiva sarebbe  stata  sospesa  o  meno,  con  conseguente
incertezza  circa  la  possibilita'  stessa  -  giusta  il   disposto
dell'art. 34,  ultimo  comma,  cod.  pen.  -  di  applicare  la  pena
accessoria. 
    Le questioni odierne, tuttavia, sono state sollevate non gia'  da
un giudice di merito, ma dalla Corte  di  cassazione,  investita  del
ricorso avverso una sentenza di condanna a  pena  non  sospesa,  alla
quale segue di diritto l'applicazione della pena accessoria in esame.
Avendo la Corte medesima gia' ritenuto infondati gli ulteriori motivi
di ricorso contro la sentenza di condanna, anche le  doglianze  sulla
statuizione  relativa  alla   pena   accessoria   dovrebbero   essere
rigettate,  a  meno  che  non  vengano  accolte   le   questioni   di
legittimita' costituzionale prospettate  in  questa  sede:  cio'  che
comporterebbe l'esito obbligato dell'annullamento in parte qua  della
sentenza di condanna. 
    Il che basta ai fini della  rilevanza  delle  questioni  relative
all'automatismo nell'an della pena accessoria  all'esame,  risultando
invece  superflua  ogni  ulteriore  descrizione   della   fattispecie
concreta, della quale dovrebbe semmai occuparsi il giudice del rinvio
chiamato a valutare se applicare la pena accessoria medesima. 
    4.- Nel merito, conviene esaminare congiuntamente le questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 574-bis, terzo comma, cod. pen.
in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost. 
    Richiamando tali parametri costituzionali, il giudice  a  quo  in
buona sostanza dubita della legittimita' della  disciplina  censurata
sotto un triplice concorrente profilo, in quanto:  a)  imporrebbe  al
giudice penale di irrogare la sanzione accessoria  della  sospensione
dall'esercizio dalla responsabilita' genitoriale anche allorche' cio'
sia contrario all'interesse preminente del minore, b)  violerebbe  il
diritto del minore di mantenere relazioni con entrambi i genitori,  e
c) introdurrebbe un automatismo incompatibile con  la  necessita'  di
una valutazione caso per caso dell'adozione di un  provvedimento  che
riguarda direttamente il minore. 
    4.1.- Rispetto al primo profilo,  sono  certamente  pertinenti  i
richiami agli articoli 30 e 31 Cost. 
    Il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori
di competenza delle pubbliche autorita', compresi i  tribunali,  deve
essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei  "migliori
interessi" (best interests) o dell'  "interesse  superiore"  (interêt
superieur) del minore, secondo le formule utilizzate nelle rispettive
versioni ufficiali in lingua inglese e  francese,  nasce  nell'ambito
del  diritto  internazionale  dei  diritti  umani,  a  partire  dalla
Dichiarazione  universale  dei  diritti   del   fanciullo,   adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, e di
qui confluito - tra l'altro - nell'art. 3, comma 1, della Convenzione
sui diritti del fanciullo e nell'art. 24, comma 2, CDFUE, per  essere
assunto altresi' quale contenuto  implicito  del  diritto  alla  vita
familiare di cui all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU)  dalla  stessa
giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  (Grande
Camera, sentenza 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk  contro  Svizzera,
paragrafi da 49 a 56 e 135; Grande Camera, sentenza 26 novembre 2013,
X contro Lettonia, paragrafo 96; sezione terza, sentenza 19 settembre
2000, Gnahore' contro Francia, paragrafo 59). 
    Tale principio - gia' declinato da questa Corte, con  riferimento
all'art. 30 Cost., come necessita' che nelle decisioni concernenti il
minore venga sempre ricercata «la soluzione  ottimale  "in  concreto"
per  l'interesse  del  minore,  quella  cioe'  che  piu'  garantisca,
soprattutto dal  punto  di  vista  morale,  la  miglior  "cura  della
persona"» (sentenza n. 11  del  1981)  -  e'  stato,  peraltro,  gia'
considerato da plurime pronunce  di  questa  Corte  come  incorporato
altresi' nell'ambito di applicazione dell'art. 31 Cost. (sentenze  n.
272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017 e n. 239 del  2014),  il
cui  contenuto  appare  dunque  arricchito  e  completato   da   tale
indicazione proveniente dal diritto internazionale (sentenza  n.  187
del 2019). 
    4.2.- Quanto poi al diritto del minore di mantenere  un  rapporto
con entrambi i genitori, occorre parimenti rilevare che tale  diritto
- riconosciuto oggi, a livello di legislazione  ordinaria,  dall'art.
315-bis, primo e secondo comma, cod. civ., ove si sancisce il diritto
del minore a essere «educato, istruito e  assistito  moralmente»  dai
genitori, nonche' dall'art. 337-ter, primo comma, cod. civ.,  ove  si
riconosce il suo diritto di  «mantenere  un  rapporto  equilibrato  e
continuativo  con  entrambi  i  genitori»  e   «di   ricevere   cura,
educazione,  istruzione  e  assistenza  morale  da  entrambi»  -   e'
affermato altresi' da una pluralita' di  strumenti  internazionali  e
dell'Unione europea, al cui rispetto il nostro Paese si e' vincolato. 
    L'art. 8, comma 1, della Convenzione sui  diritti  del  fanciullo
riconosce il diritto del minore alle proprie  «relazioni  familiari»;
il successivo art. 9, comma 1, impone agli Stati  parte  di  vigilare
«affinche' il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro  la
loro volonta' a meno che le autorita' competenti non decidano,  sotto
riserva di revisione giudiziaria e  conformemente  con  le  leggi  di
procedura  applicabili,  che   questa   separazione   e'   necessaria
nell'interesse preminente del fanciullo»; e il comma 3  del  medesimo
art. 9 ulteriormente chiarisce che «[g]li Stati parte  rispettano  il
diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori  o  da  uno  di
essi, di intrattenere  regolarmente  rapporti  personali  e  contatti
diretti con entrambi i  suoi  genitori,  a  meno  che  cio'  non  sia
contrario all'interesse preminente del fanciullo». L'art.  24,  comma
3,  CDFUE  dal  canto  suo  sancisce  il  diritto   del   minore   di
«intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con
i due genitori, salvo qualora cio' sia contrario al suo interesse». E
la stessa Corte EDU, in sede di  interpretazione  dell'art.  8  CEDU,
riconosce parimenti il diritto di ciascun genitore  e  del  minore  a
godere di una «mutua relazione» (Corte europea dei diritti dell'uomo,
Grande Camera, sentenza 10 settembre  2019,  Strand  Lobben  e  altri
contro Norvegia, paragrafo 202; sezione  prima,  sentenza  28  aprile
2016, Cincimino contro Italia, paragrafo 62; Grande Camera,  sentenza
12 luglio 2001, K. e  T.  contro  Finlandia,  paragrafo  151;  Grande
Camera, sentenza 13 luglio 2000, Elsholz contro  Germania,  paragrafo
43; sezione terza, sentenza 7 agosto 1996, Johansen contro  Norvegia,
paragrafo 52). 
    Alla luce  di  tali  obblighi  internazionali,  correttamente  la
Sezione  rimettente  evoca,  quale  base  normativa  del  diritto  in
questione nell'ordinamento costituzionale italiano, l'art. 30  Cost.,
il cui primo comma, sancendo il dovere dei genitori  di  «educare»  i
figli, non puo' che presupporre il correlativo diritto del  minore  a
essere educato da  entrambi  i  genitori;  cio'  che  necessariamente
implica il suo diritto a vivere con  loro  una  relazione  diretta  e
personale, salvo che essa risulti in concreto pregiudizievole  per  i
suoi interessi. 
    4.3.- Pertinente e', inoltre, il riferimento all'art. 2 Cost.:  e
cio' sia perche' i due diritti della persona di minore eta' su cui fa
perno l'ordinanza di rimessione devono senz'altro  essere  ricondotti
al novero di quei «diritti inviolabili dell'uomo» che  la  Repubblica
si impegna a  riconoscere  e  garantire;  sia  perche'  il  principio
personalista, che permea tutta la Costituzione italiana e  che  trova
espressione  anche  e  soprattutto  in  quell'articolo,   impone   di
riconoscere e  garantire  i  diritti  della  persona  non  solo  come
singolo, ma anche nelle relazioni in cui essa concretamente si trova,
e nelle quali soltanto essa si puo' sviluppare. 
    4.4.-    Infine,    la    censura    relativa     all'automatismo
nell'applicazione della  sanzione,  che  impedirebbe  al  giudice  di
ricercare la  soluzione  ottimale  per  il  minore  nella  situazione
concreta, nonche' l'eventuale sussistenza di una violazione  del  suo
diritto alle relazioni personali  con  entrambi  i  genitori,  appare
riconducibile, altresi', all'ambito applicativo  dell'art.  3  Cost.,
che vieta irragionevoli equiparazioni di  trattamento  di  situazioni
differenziate, e che non a caso e' stato gia'  utilizzato  da  questa
Corte quale (unico)  fondamento  della  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale di una  disposizione  che  prevedeva  una  preclusione
automatica  all'accesso   alla   detenzione   domiciliare,   ritenuta
incompatibile con le esigenze preminenti di tutela del figlio  minore
del condannato (sentenza n. 211 del 2018). 
    5.- Tali questioni,  cosi'  precisate  quanto  all'oggetto  e  ai
parametri, sono fondate. 
    5.1.-  Il  genitore  che  commetta  un  fatto  di  sottrazione  e
trattenimento di minori all'estero  compie,  invero,  un  delitto  di
elevata gravita', che offende tanto il diritto  dell'altro  genitore,
quanto il diritto del  minore  a  vivere  la  propria  relazione  con
quest'ultimo (supra, 4.2. e 4.3.). 
    L'eventuale consenso, o  comunque  la  mancata  opposizione,  del
minore alla condotta del  genitore  autore  del  reato  non  esclude,
evidentemente, il carattere offensivo del fatto  anche  nei  riguardi
dello stesso minore, che ha comunque diritto,  pure  in  contesti  di
elevata conflittualita' familiare  o  di  rapporto  problematico  con
l'altro genitore, di essere mantenuto in una situazione che permetta,
in futuro, un'evoluzione piu' armonica di quel rapporto. E cio' salvo
il caso che esso appaia chiaramente pregiudizievole  -  e  debba  per
questa ragione essere interrotto - in base  a  una  valutazione  che,
pero', spetta unicamente  all'autorita'  giudiziaria  competente,  in
esito  a  un'accurata  istruttoria,  e  che  non  puo'  certo  essere
anticipata in via unilaterale dall'altro genitore, seppur in  ipotesi
animato dalle migliori intenzioni (e  salvo  il  caso  estremo  dello
stato di necessita'). 
    Proprio l'elevata gravita' del delitto in questione  segna,  come
non a torto sottolinea l'Avvocatura generale dello Stato,  una  netta
distinzione tra la questione oggi all'esame di questa Corte e  quelle
decise con le sentenze n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013, con  le  quali
fu  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale   dell'automatismo
applicativo della pena accessoria della perdita della responsabilita'
genitoriale  in   conseguenza   della   condanna   per   i   delitti,
rispettivamente, di alterazione e  soppressione  di  stato,  entrambi
solo eventualmente lesivi dell'interesse del minore. 
    5.2.-  Tuttavia,  il  carattere  intrinsecamente  offensivo   del
delitto di cui  all'art.  574-bis  cod.  pen.  rispetto  allo  stesso
interesse del  minore  non  basta  a  giustificare  -  al  metro  dei
parametri costituzionali evocati -  l'automatica  applicazione  della
pena accessoria in questione in caso di condanna a pena non sospesa. 
    Occorre,  in  effetti,  considerare  che  tale  pena   accessoria
presenta caratteri del  tutto  peculiari  rispetto  alle  altre  pene
previste dal  codice  penale,  dal  momento  che,  incidendo  su  una
relazione, colpisce direttamente, accanto  al  condannato,  anche  il
minore, che di tale relazione e' il co-protagonista. 
    Dunque, la sanzione in esame investe  necessariamente  anche  una
persona diversa dal colpevole: e cio' accade, come giustamente rileva
l'ordinanza di rimessione, de iure, e non solo de facto, come  invece
rispetto alle altre pene, i cui effetti pure si possono riverberare -
ma in via  meramente  riflessa  ed  eventuale  -  sui  familiari  del
condannato (in questo senso gia' la sentenza n. 7 del 2013:  la  pena
accessoria allora all'esame incideva «su una potesta'  che  coinvolge
non soltanto il suo titolare ma  anche,  necessariamente,  il  figlio
minore»). 
    L'impatto  di  tale  sanzione  sul  minore  e',  d'altra   parte,
tutt'altro che trascurabile. 
    Come  si  e'  gia'  rilevato  (supra,   2.1.),   la   sospensione
dall'esercizio della responsabilita' genitoriale comporta in capo  al
genitore che ne e' colpito non solo la perdita temporanea del  potere
di  rappresentanza  legale  del  figlio  nell'ambito   dei   rapporti
patrimoniali, ma - ben piu' radicalmente - la privazione,  per  tutto
il tempo della sospensione, dell'intero fascio di diritti,  poteri  e
obblighi   inerenti   al   concetto   legale   di    «responsabilita'
genitoriale», con conseguente venir meno di ogni potere  di  assumere
decisioni "per" il figlio: comprese quelle  che  attengono  alle  sue
necessita' di vita  quotidiana  e  che  l'art.  357  cod.  civ.,  nel
disciplinare  i  poteri  del  tutore,  indica  riassuntivamente   con
l'espressione «cura della persona». 
    Per quanto, allora, la pena accessoria in questione non  comporti
ipso iure il divieto di convivere con, o di frequentare il minore, e'
evidente che la privazione di ogni potere decisionale  nell'interesse
del minore impedira', di fatto, al  genitore  sospeso  dall'esercizio
della propria responsabilita' di vivere il proprio  rapporto  con  il
figlio al di fuori della immediata sfera di  sorveglianza  dell'altro
genitore, o comunque di  persona  che  sia  titolare  della  relativa
responsabilita' e sia, pertanto, in grado di assumere in ogni momento
le necessarie decisioni per il figlio. 
    Una tale situazione, che rende oggettivamente piu'  difficile  la
stessa relazione con il minore in conseguenza dell'applicazione della
pena accessoria in esame, rischia  cosi'  di  danneggiare  in  primis
proprio quest'ultimo. E cio' in violazione, tra l'altro, dello stesso
principio  di  personalita'  della  responsabilita'  penale  di   cui
all'art. 27, primo comma, Cost., il cui  contenuto  minimale  e'  pur
sempre il divieto di prevedere  a  applicare  pene  a  danno  di  una
persona per un fatto altrui (sentenza n. 364 del 1988). 
    5.3.- E' ben vero che le ragioni di tutela del diritto del minore
di intrattenere regolarmente relazioni e contatti  personali  con  il
genitore vengono meno, come prevedono all'unisono l'art. 9, comma  1,
della Convenzione sui diritti del fanciullo e  l'art.  24,  comma  3,
CDFUE, allorche' la  prosecuzione  di  tale  rapporto  sia  contraria
all'interesse preminente del minore. Ma non e'  ragionevole  assumere
che la sospensione dalla responsabilita' genitoriale di chi si sia in
passato reso responsabile del delitto di cui  all'art.  574-bis  cod.
pen. costituisca sempre e necessariamente, come pare  presupporre  il
legislatore, la soluzione ottimale per il minore. 
    5.3.1.- Al riguardo, occorre anzitutto considerare  che  i  fatti
sussumibili  nell'art.   574-bis   cod.   pen.   possono   presentare
caratteristiche assai varie, anche in relazione  alla  loro  concreta
dimensione offensiva per l'interesse del minore. 
    Basti considerare che il terzo comma  ora  censurato  prevede  la
medesima  pena  accessoria  (automatica)  della   sospensione   della
responsabilita' genitoriale tanto per le  ipotesi  di  cui  al  primo
comma, piu' severamente  sanzionate  (reclusione  da  uno  a  quattro
anni), quanto per quelle di cui al secondo  comma,  meno  severamente
sanzionate (reclusione da sei mesi a tre anni). Queste ultime ipotesi
sono caratterizzate dal consenso del minore ultraquattordicenne  alla
condotta del genitore autore della sottrazione o  del  trattenimento.
Il fatto resta qui gravemente lesivo dei diritti dell'altro genitore;
ma la sua concreta dimensione  offensiva  per  il  minore,  che  pure
permane in relazione all'esigenza di garantirgli la  possibilita'  di
un piu' armonico sviluppo futuro del proprio rapporto anche con  quel
genitore, e' certamente attenuata, posto che il minore stesso,  ormai
adolescente, vive oggi evidentemente come problematico quel rapporto. 
    Ma anche all'interno delle ipotesi abbracciate dal  primo  comma,
non e' infrequente  che  la  condotta  costitutiva  del  reato  venga
compiuta  da  un  genitore   straniero   in   contesti   di   elevata
conflittualita'  familiare,  in  cui  accade  che  l'autore   conduca
all'estero il minore - o semplicemente lo trattenga oltre il  termine
assentito   dall'altro   genitore,   o   comunque   autorizzato   dal
provvedimento del tribunale - ritenendo che  la  condotta  dell'altro
genitore sia pregiudizievole per il minore. Cio'  non  giustifica  il
fatto, che resta qualificabile  come  reato,  la  valutazione  di  un
genitore non potendo ovviamente sostituirsi a  quella  dell'autorita'
giudiziaria  competente;  ma   certo   non   consente   di   desumere
meccanicamente dalla commissione del reato che  il  mantenimento  del
rapporto tra il suo autore e il minore sia senz'altro pregiudizievole
per gli interessi di quest'ultimo. 
    Ne', ancora,  potrebbe  argomentarsi  che  la  sospensione  della
responsabilita' genitoriale e' destinata a operare soltanto a  fronte
di fatti che in concreto assumano una elevata gravita',  sul  rilievo
che - ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 34 cod. pen. -  tale  pena
accessoria  non  trova  applicazione  nel  caso  di  pena   detentiva
condizionalmente sospesa. Non sempre, infatti, una pena  inferiore  a
due anni di reclusione puo' essere sospesa: e cio'  per  ragioni  che
nulla hanno a che fare con la gravita' del singolo  fatto  di  reato.
L'autore potrebbe, ad esempio, avere gia'  fruito  in  passato  della
sospensione condizionale per un reato del  tutto  eterogeneo,  e  non
potere per tale ragione ottenere il beneficio nemmeno a fronte di una
pena di pochi mesi di reclusione, inflitta per un ritardo di  qualche
giorno nel rimpatrio del minore dopo una vacanza  nel  proprio  paese
d'origine. Anche in  un  caso  siffatto,  la  disposizione  censurata
imporrebbe al giudice di applicargli la pena accessoria in parola. 
    5.3.2.- Il problema principale determinato dalla previsione della
sospensione dall'esercizio  della  responsabilita'  genitoriale  come
pena accessoria  che  segue  automaticamente  alla  condanna  per  il
delitto di cui  all'art.  574-bis  cod.  pen.  consiste  pero'  nella
cecita' di questa conseguenza - concepita in chiave sanzionatoria dal
legislatore - rispetto all'evoluzione,  successiva  al  reato,  delle
relazioni tra il  figlio  minore  e  il  genitore  autore  del  reato
medesimo. 
    Se, infatti, una misura che frappone significativi ostacoli  alla
relazione tra il figlio e il genitore in tanto puo'  legittimarsi  in
quanto tale relazione risulti  in  concreto  pregiudizievole  per  il
figlio (artt. 8, comma 1, e 9, comma 1, della Convenzione sui diritti
del fanciullo; art.  24,  comma  3,  CDFUE),  in  base  al  principio
generale secondo cui ogni  decisione  che  riguarda  il  minore  deve
essere guidata dal criterio della ricerca  della  soluzione  ottimale
per il suo interesse, la stessa applicazione  della  pena  accessoria
ora all'esame potra' giustificarsi solo ove risponda in concreto agli
interessi del minore, da apprezzare secondo le circostanze  di  fatto
esistenti al momento della sua applicazione: le quali,  naturalmente,
comprendono anche tutto cio' che e' accaduto dopo il fatto da cui  e'
scaturita la responsabilita' penale del  genitore.  Tali  circostanze
ben potrebbero, infatti, aver evidenziato come  il  mantenimento  del
rapporto con il genitore autore  della  sottrazione  o  trattenimento
all'estero  non  risulti  pregiudizievole  per  il  minore,  e   anzi
corrisponda a un suo preciso interesse, che lo Stato  avrebbe  allora
il dovere di salvaguardare, in via preminente  rispetto  alle  stesse
esigenze punitive nei confronti di chi abbia violato la legge penale. 
    Cio' tanto piu' quando - come e' in  effetti  avvenuto  nel  caso
oggetto del giudizio a quo - le stesse autorita' giudiziarie italiane
competenti  nei  paralleli   procedimenti   civili   concernenti   la
salvaguardia  degli  interessi  del  minore,   successivamente   alla
sottrazione o al trattenimento illeciti all'estero, abbiano deciso di
affidarlo - in via condivisa o addirittura  esclusiva  -  proprio  al
genitore autore del reato, ritenendolo il piu' idoneo a farsi  carico
degli interessi del figlio. 
    5.3.3.-  L'irragionevolezza   dell'automatismo   previsto   dalla
disposizione censurata, rispetto  all'esigenza  primaria  di  ricerca
della soluzione ottimale per il minore, e' vieppiu' evidenziata dalla
circostanza che la pena accessoria in questione e' destinata a essere
inesorabilmente eseguita soltanto  dopo  il  passaggio  in  giudicato
della sentenza, spesso a molti anni di distanza dal fatto. 
    Prima di tale momento, l'ordinamento offre alle diverse autorita'
giurisdizionali che si succedono nel corso del procedimento penale  -
il giudice per le indagini preliminari, il tribunale in  composizione
monocratica, e infine la  corte  d'appello  -  un  ampio  margine  di
valutazione relativamente alla possibile adozione di un provvedimento
cautelare  di  sospensione   dall'esercizio   della   responsabilita'
genitoriale; un provvedimento, peraltro, il cui  contenuto  puo',  ai
sensi dell'art. 288, comma 1, cod. proc. pen., essere  opportunamente
calibrato a seconda delle  specifiche  esigenze  del  caso  concreto,
potendo il giudice  privare  «in  tutto»  o  anche  solo  «in  parte»
l'imputato dei poteri inerenti a tale responsabilita'. 
    Tale margine  di  discrezionalita'  concesso  al  giudice  penale
durante il procedimento penale viene pero' del tutto meno  quando  la
sentenza di condanna passa in esecuzione: qualunque cosa sia accaduta
nel frattempo, e indipendentemente  da  qualsiasi  valutazione  circa
l'interesse attuale del minore in quel momento. E cio' in frontale ed
evidente contrasto con i diritti del minore sin qui rammentati. 
    5.4.-  Da  tutto  quanto  precede   discende   che   l'automatica
applicazione  della   pena   accessoria   della   sospensione   della
responsabilita' genitoriale prevista dall'art. 574-bis, terzo  comma,
cod. pen. e' incompatibile con tutti i parametri costituzionali sopra
indicati, interpretati anche alla luce degli obblighi  internazionali
e del diritto dell'Unione europea in materia di tutela di minori  che
vincolano l'ordinamento italiano. 
    I  limiti  del  devolutum  non  consentono  a  questa  Corte   di
affrontare  l'interrogativo  -  sul  quale  peraltro  ben  potra'  il
legislatore svolgere ogni  opportuna  riflessione  -  se  il  giudice
penale sia l'autorita' giurisdizionale  piu'  idonea  a  compiere  la
valutazione di effettiva rispondenza all'interesse del minore  di  un
provvedimento che lo riguarda, quale e' l'applicazione  di  una  pena
accessoria che incide sul suo diritto a mantenere relazioni personali
e contatti diretti con entrambi i genitori, ferma  restando  comunque
la  necessita'  di  assicurare  un  coordinamento  con  le  autorita'
giurisdizionali - tribunale per i minorenni o, se del caso, tribunale
ordinario civile - che siano  gia'  investite  della  situazione  del
minore.  E  cio'  anche  al  fine  di  garantire  il  rispetto  della
previsione - sancita espressamente dall'art. 12 della Convenzione sui
diritti del fanciullo e dagli artt. 3 e 6 della  Convenzione  europea
sull'esercizio dei diritti dei  fanciulli,  e  ripresa  in  linea  di
principio a livello di legislazione ordinaria dagli artt.  336-bis  e
337-octies  cod.  civ.  -  di  sentire  il  minore   che   abbia   un
discernimento sufficiente,  e  di  tenere  in  debito  conto  la  sua
opinione, in relazione a tutte le decisioni che lo riguardano. 
    I vincoli  costituzionali  sopra  menzionati  impongono  pero'  a
questa Corte di porre rimedio al vulnus  riscontrato  in  continuita'
con lo spirito delle sentenze n.  31  del  2012  e  n.  7  del  2013,
sostituendo l'attuale automatismo con il dovere di  valutazione  caso
per caso, da parte dello stesso  giudice  penale,  se  l'applicazione
della  pena  accessoria  in  questione  costituisca  in  concreto  la
soluzione ottimale per il minore, sulla base del criterio secondo cui
tale applicazione «in tanto puo' ritenersi  giustificabile  [...]  in
quanto essa si  giustifichi  proprio  in  funzione  di  tutela  degli
interessi  del  minore»  (sentenza  n.  7  del  2013).   Valutazione,
quest'ultima,  che  non  potra'  che  compiersi  in  relazione   alla
situazione esistente al momento della  pronuncia  della  sentenza  di
condanna   -   e   dunque   tenendo   conto   necessariamente   anche
dell'evoluzione delle circostanze successive al fatto di reato. 
    5.5.- La dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art.
574-bis,  terzo  comma,  cod.  pen.,  nei  termini  appena  indicati,
comporta che esso dovra' trovare applicazione in quanto lex specialis
- attribuente al giudice il "potere" di disporre la  pena  accessoria
in questione anziche' il "dovere" di irrogarla  -  nelle  ipotesi  di
condanna per il delitto di  sottrazione  e  trattenimento  di  minori
all'estero; rimanendo cosi' esclusa in queste  specifiche  ipotesi  -
limitatamente all'an della pena accessoria -  l'applicabilita'  della
regola generale di cui all'art. 34, secondo comma, cod. pen. (che non
e' interessata dalla presente pronuncia), la quale prevede in caso di
«condanna  per  delitti  commessi  con  abuso  della  responsabilita'
genitoriale» l'automatica applicazione di tale pena accessoria. 
    6.- Resta assorbita la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. formulata in riferimento al
principio di proporzionalita' della pena di cui agli artt.  3  e  27,
terzo comma, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  574-bis,
terzo comma, del codice penale, nella parte in  cui  prevede  che  la
condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione
e mantenimento di  minore  all'estero  ai  danni  del  figlio  minore
comporta  la   sospensione   dell'esercizio   della   responsabilita'
genitoriale, anziche' la possibilita' per il giudice di  disporre  la
sospensione dall'esercizio della responsabilita' genitoriale; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 34 cod. pen., sollevate, in riferimento agli
artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30  e  31  della  Costituzione,  nonche'
all'art. 10 Cost., in relazione  alla  Convenzione  sui  diritti  del
fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,  ratificata  e  resa
esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, dalla Corte  di
cassazione,  sezione  sesta  penale,  con  l'ordinanza  indicata   in
epigrafe; 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 574-bis cod. pen., sollevata, in riferimento
all'art. 10 Cost., in relazione  alla  Convenzione  sui  diritti  del
fanciullo, dalla Corte  di  cassazione,  sezione  sesta  penale,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA