N. 77 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2020

Ordinanza del 5 febbraio 2020 della Corte di  assise  di  Napoli  nel
procedimento penale a carico di C. A.. 
 
Processo penale - Giudizio abbreviato - Previsione che non e' ammesso
  il  giudizio  abbreviato  per  i  delitti  puniti   con   la   pena
  dell'ergastolo. 
- Codice  di  procedura  penale,  art.  438,  comma  1-bis,  inserito
  dall'art. 1 [, comma 1, lettera a),] della legge 12 aprile 2019, n.
  33. 
(GU n.27 del 1-7-2020 )
 
                    LA CORTE DI ASSISE DI NAPOLI 
                            Sezione terza 
 
    L'anno 2020, il giorno 05 del mese di  febbraio,  in  Napoli,  la
Corte di assise di Napoli - Sezione  terza,  aula  114  composta  dai
signori: 
        dott.ssa Lucia La Posta - Presidente; 
        dott. Giuseppe Sassone - Giudice; 
        1)  Giordano  Filomena;  2)  Caputo  Francesco;  3)  Calvelli
Giovanni; 4) De Simone Gennaro;  5)  Severino  Michele;  6)  Graziano
Egidio - Giudici popolari; 
    Hanno pronunciato la seguente ordinanza. 
    Visti gli atti del processo  n.  11063/19  RGNR,  n.  37/19  R.G.
Assise, nei confronti di C. A., nato a ... il ... detenuto per questo
processo, difeso di fiducia dall'avv. Alfonso Liccardo  del  Foro  di
Napoli; 
    Rilevato che l'imputato e' chiamato a rispondere del reato  p.  e
p. dagli articoli 575-576 n. 2,  in  relazione  all'art.  61  n.  1-4
codice penale per aver cagionato la morte del padre C. V., nato a ...
il ... deceduto in ragione di uno shock emorragico  con  asfissia  da
sommersione ematica interna derivante da multiple ferite inflitte con
arma  da  punta  e  da  taglio  di  cui  una  trapassante  il  collo,
interessante la faccia laterale destra  dell'orofaringe  con  lesione
della giugulare e spandimento ematico a livello  delle  vie  aeree  e
digestive,  ed  invero,  avendo  fatto   ingresso   all'intento   del
supermercato «...», gestito dal padre, sito in via ... n.  ...,  dopo
un ennesimo  litigio,  ed  essendo  prima  transitato  per  l'attigua
macelleria (sempre di  pertinenza  dell'esercizio  pubblico)  ove  si
dotava di un coltello  da  disosso  utile  allo  scopo  ivi  allocato
attingeva ripetutamente, sorprendendolo  dapprima  alle  spalle,  con
piu' colpi di arma da punta e da taglio (con un coltello  con  manico
di colore nero in plastica e lama  lunga  11  cm  utilizzato  per  il
disosso  delle  carni),  in  tal  modo  procurandogli  n.  6   ferite
penetranti in particolare:  in  regione  laterocervicale  destra;  in
regione basicervicale posteriore; in regione acromiale  sinistra;  in
regione trapezoidale superiore destra; in regione scapolare  sinistra
e in regione lombare sinistra. 
    Con l'aggravante di aver commesso il  fatto  verso  l'ascendente,
per motivi abietti o futili, ossia a seguito di un banale litigio per
motivi lavorativi, con crudelta' consistita nel colpire la vittima al
collo e provocarne il dissanguamento dinanzi alla figlia C. S. 
    In Napoli il 26 aprile 2019; con la recidiva infraquinquennale. 
    Premesso che, a seguito della emissione del decreto  di  giudizio
immediato da parte del Giudice per le indagini preliminari in data 21
ottobre 2019, l'imputato ha richiesto di definire il  processo  nelle
forme del rito abbreviato; 
    Atteso che il Giudice per le  indagini  preliminari,  dopo  avere
fissato  l'udienza  camerale  dell'8  novembre  2019,  ha  dichiarato
inammissibile la richiesta, rilevando che il reato per cui si procede
rientra nella previsione della legge n. 33 del 12  aprile  2019  che,
con la introduzione del comma 1-bis all'art. 438, codice di procedura
penale «Non e' ammesso il giudizio abbreviato per  i  delitti  puniti
con la pena dell'ergastolo», ha precluso l'accesso a tale rito per  i
suddetti reati commessi, come nel caso di specie, dopo il  20  aprile
2019; 
    Rilevato che l'imputato, assistito dal difensore di  fiducia,  ha
rinnovato la richiesta di ammissione al  rito  abbreviato  dinanzi  a
questa Corte, in via preliminare, all'udienza del  2  dicembre  2019,
chiedendo che venga iniziato un giudizio incidentale di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge n. 33/2019,  ovvero  dell'art.
438, codice procedura penale, come modificato dalla predetta legge; 
    Sentito il pubblico ministero alla predetta udienza; 
    Quanto alla rilevanza della questione proposta ritiene  la  Corte
che, allo stato degli  atti,  la  richiesta  di  giudizio  abbreviato
formulata  dal  difensore  e'  inammissibile  perche'  preclusa   dal
disposto di cui all'art. 1, comma 1, lettera a) della legge n.  33/19
che ha introdotto il comma 1-bis all'art. 438,  codice  di  procedura
penale; tuttavia, ove fosse  rimossa  la  preclusione  a  seguito  di
declaratoria di incostituzionalita'  della  citata  disposizione,  la
decisione del Giudice per l'udienza preliminare  sarebbe  sindacabile
da questa Corte di assise con conseguente recupero della possibilita'
di accesso al rito. Ed invero, in tale caso l'ordinanza  del  Giudice
per le indagini preliminare dell'8 novembre 2089 sarebbe illegittima,
impedendo l'accesso ad un rito  premiale  consentito,  e  lesiva  dal
diritto di difesa dell'imputato. 
    La riproposizione della richiesta di rito abbreviato  nella  fase
preliminare del dibattimentale (art. 491,  codice  procedura  penale)
impone, quindi,  anche  alla  Corte  di  valutare  se  sussistano  le
condizioni per  l'accesso  dell'imputato  a  tale  rito  speciale  e,
conseguentemente, sindacare la  legittimita'  del  provvedimento  del
Giudice per le indagini preliminari che ha  dichiarato  inammissibile
la  richiesta  dell'imputato  di  procedere  nelle  forme  del   rito
abbreviato. 
    Non v'e' dubbio, infatti, che la scelta del  rito  abbreviato  si
configuri, dopo l'abrogazione - a seguito dalla legge n.  479/1999  -
della necessita' del consenso del pubblico ministero, come un diritto
potestativo dell'imputato non comprimibile una volta che  questo  sia
stato esercitato nelle forme e nei termini  previsti  dal  codice  di
procedura penale. 
    Gia'  nella  vigenza  della  precedente   disciplina   del   rito
abbreviato, il Giudice delle Leggi, con sentenza n. del  1992,  aveva
dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
degli articoli 438, 439, 440 e 442 del  codice  di  procedura  penale
nella parte in cui non si prevedeva che  il  Giudice,  all'esito  del
dibattimento, ritenendo che il processo potesse essere definito  allo
stato degli atti dal Giudice per  le  indagini  preliminari,  potesse
applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma,
dello  stesso  codice.  In  tale  sentenza  e'  stato   espressamente
osservato che la mancanza della previsione che consenta  «al  giudice
del dibattimento di sindacare la determinazione del  Giudice  per  le
indagini preliminari  contraria  all'adozione  del  rito  abbreviato,
sottraendo al primo un controllo diretto a verificare la  sussistenza
del  presupposto  della  decidibilita'   allo   stato   degli   atti,
limiterebbe in modo irragionevole il diritto di difesa dell'imputato,
nell'ulteriore  svolgimento  del  processo  su  un   metto   che   ha
conseguenze sul piano sostanziale» e che non puo' spettare al Giudice
dell'udienza preliminare «l'ultima parola, in modo preclusivo,  sulla
decidibilita' allo stato degli atti, con  una  pronuncia  che,  senza
possibilita' di  controllo  incide  sulla  misura  della  pena.  Cio'
soprattutto  quando  tali  aspetti  siano  intimamente  collegati   e
strettamente   consequenziali   ad   una    situazione    processuale
prevalentemente  rimessa  alla  disponibilita'   delle   parti».   Ha
concluso, quindi, la Corte che «sottrarre al giudice del dibattimento
un controllo diretto a  verificare  la  sussistenza  del  presupposto
della decidibilita'  allo  stato  degli  atti,  limiterebbe  in  modo
irragionevole il  diritto  di  difesa  dell'imputato,  nell'ulteriore
svolgimento del processo, su di un aspetto  che  ha  conseguenze  sul
piano sostanziale». 
    Parimenti la Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  169  del
2003, ha dichiarato la illegittimita'. dell'art.  438,  comma  5-bis,
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva che,  in
caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata  a
una integrazione probatoria, l'imputato possa rinnovare la  richiesta
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado
e il Giudice possa disporre il giudizio abbreviato. 
    Da  tali  decisioni  risulta  evidente   che   il   Giudice   del
dibattimento ha il potere di sindacare la decisione del  Giudice  per
l'udienza preliminare che per ragioni di merito rigetti la  richiesta
dell'imputato di procedere  nelle  forme  dei  rito  abbreviato,  sul
presupposto che la scelta di tale rito  e'  intimamente  connessa  al
diritto di difesa dello stesso. 
    Neppure si puo' dubitare che il Giudice  del  dibattimento  possa
sindacare  la  decisione   negativa   sull'ammissione   al   giudizio
abbreviato del Giudice per l'udienza preliminare che  sia  basata  su
mere ragioni di rito, alla luce dei principi affermati dalla Corte di
legittimita'  con  riferimento  in   generale   alla   ingiustificata
compressione del diritto dell'imputato  al  giudizio  abbreviato.  In
specie, le Sez. U. n. 202014 del 27 marzo 2014,  Frija,  rv.  259078,
hanno chiarito che «il rigetto o la dichiarazione  d'inammissibilita'
della richiesta di giudizio abbreviato non subordinata a integrazioni
istruttorie, quando deliberati illegittimamente, pregiudicano,  oltre
alla scelta  difensiva  dell'imputato,  la  sua  aspettativa  di  una
riduzione premiale della pena. Ne consegue il diritto  dell'imputato,
che abbia vanamente rinnovato  la  richiesta  del  rito  prima  della
dichiarazione di apertura del dibattimento, di recuperare  lo  sconto
sanzionatorio all'esito del giudizio».  Evidenziando,  altresi',  «la
minore complessita' del vaglio di ammissibilita' rimesso  al  Giudice
che  riguarda  solo  la  valutazione  dei  presupposti   formali   di
legittimita' e tempestivita' della domanda». 
    Il  potere  di  sindacato  del  Giudice  del   dibattimento   sul
povvedimento illegittimo reso dal  Giudice  dell'udienza  preliminare
sulla ammissione al rito abbreviato richiesto dall'imputato e'  stato
ribadito dalla Corte di cassazione anche in  una  recente  pronuncia,
sez. 1, n. 21439 del 3 aprile 2019,  che  ha  ritenuto  legittima  la
valutazione del Giudice del dibattimento sulla pronuncia del  Giudice
per le indagini preliminari di inammissibilita'  della  richiesta  di
rito abbreviato cd. secco,  indipendentemente  dal  rimedio  adottato
(regressione del processo ovvero recupero della riduzione di pena). 
    Tanto impone, quindi, a questa Corte di valutare la  legittimita'
della ordinanza con la quale il Giudice per l'udienza preliminare  ha
dichiarato inammissibile - alla luce di  quanto  disposto  dal  comma
1-bis dell'art. 438, codice di procedura penale, introdotto dall'art.
1, comma 1, lettera a)  della  legge  n.  33/19  -  la  richiesta  di
giudizio abbreviato avanzata dal C. e reiterata dall'imputato  e  dal
suo difensore nella fase preliminare del  dibattimento  con  espressa
sollecitazione  al  vaglio  di  legittimita'   costituzionale   della
predetta disposizione di legge. 
    Tanto premesso in tema di rilevanza,  ritiene  la  Corte  che  la
questione di costituzionalita' dell'art. 438, comma 1 bis, codice  di
procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera  a)  della
legge n. 33/19, non sia manifestamente infondata con  riferimento  ai
principi di seguito indicati. 
Art. 3, comma 1, Cost.: principi di uguaglianza e ragionevolezza. 
    La norma  in  esame  impedisce  l'accesso  ad  un  rito  premiale
volontario, nella disponibilita' dell'imputato sulla  base  del  mero
dato quantitativo della pena irrogata dal legislatore. 
    Non ignora questo Giudice che in passato la giurisprudenza  della
Corte costituzionale si e' gia' espressa sulla  sindacabilita'  delle
preclusioni all'accesso ai  riti  speciali,  chiarendo  la  linea  di
demarcazione tra la discrezionalita' del legislatore ed il  sindacato
della Corte stessa. 
    Nell'ordinanza  n.  455  del  2006  il  Giudice  delle  Leggi  ha
affermato che tali scelte «possono venir sindacate dalla  Corte  solo
in rapporto alle mere disarmonie del catalogo legislativo,  allorche'
la sperequazione  normativa  tra  figure  omogenee  di  reati  assuma
aspetti e dimensioni tali da  non  potersi  considerare  sorretta  da
alcuna ragionevole giustificazione». 
    Nel caso in esame il legislatore,  limitando  l'accesso  al  rito
abbreviato ai reati puniti con la pena dell'ergastolo, determina  una
disparita' di trattamento non sorretta da ragionevolezza, atteso  che
le ragioni di politica criminale sottese alla novella  fondano  sulla
non  corretta  identificazione  dei  reati   piu'   gravi   in   base
esclusivamente  alla  pena  edittale,  determinando,  in  tal   modo,
l'applicazione di  una  disciplina  differente  situazioni  omogenee,
ovvero una disciplina omogenea per situazioni eterogenee tra loro. 
    Ed  invero,  individuando  i   delitti   puniti   con   la   pena
dell'ergastolo come categoria di  reati  che  desta  maggior  allarme
sociale,  il  legislatore  assoggetta   alla   medesima   presunzione
fattispecie molto differenti tra loro che non  presentano  certamente
il medesimo disvalore. Vengono, infatti, equiparate fattispecie molto
diverse,  che  tutelano  beni  giuridici  differenti:  dal  reato  di
omicidio volontario aggravato -  che  presenta  esso  stesso  ipotesi
profondamente eterogenee - ai  delitti  di  strage  o  epidemia,  dal
traffico di esseri umani aggravato al sequestro di persona a scopo di
estorsione o di terrorismo cui segua la morte ai  crimini  di  guerra
ed, in ultimo, molti dei reati commessi ai danni  della  personalita'
dello Stato, contro l'incolumita' pubblica, contro la  vita,  nonche'
tutti delitti per cui era prevista la pena di morte. 
    La comparazione di figure di reato  tanto  eterogenee  tra  loro,
oltre che non conforme ai principi costituzionali, si rivela  fallace
non essendo possibile operare una valutazione di  politica  criminale
circa la gravita' di talune fattispecie. Si pensi all'ipotesi di  chi
presti servizio nelle forze armate di uno Stato in guerra  contro  lo
Stato italiano - art. 242, codice penale - e a quella  del  latitante
che uccide per sottrarsi all'arresto -  art.  576,  comma  1,  n.  3,
codice penale; invero, la divergenza  tra  le  due  figure  di  reato
determina una incomparabilita' sul piano della valutazione. 
    La violazione dell'art. 3 Cost. e' ancora piu' evidente nei  casi
in  cui  la  pena   dell'ergastolo   dipenda   esclusivamente   dalla
contestazione  di  una  circostanza   aggravante.   In   particolare,
nell'omicidio volontario  aggravato,  la  discrepanza  tra  le  varie
ipotesi, seppur legate dal medesimo evento tipico, e' evidente. 
    In specie, l'aggravante prevista dall'art. 577, comma  1,  n.  1,
codice penale, punisce con la  pena  dell'ergastolo  chi  cagiona  la
morte  di  un  ascendente  o  discendente,  prevedendo,  dunque,   un
trattamento sanzionatorio piu' severo  in  ragione  del  destinatario
della azione criminosa. Comparando  la  norma  summenzionata  con  il
disposto del comma 2 del medesimo articolo, si puo' rilevare come  il
trattamento sanzionatorio puo' ingenerare  dubbi  quanto  al  diverso
disvalore  delle  condotte:  «la  pena   e'   della   reclusione   da
ventiquattro a trenta anni, se fatto e' commesso contro  il  coniuge,
il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o  contro  un
affine in linea retta».  Il  trattamento  sanzionatorio  meno  severo
appare adeguato se si rapporta il grado di parentela degli affini  in
linea retta con quello piu' stringente dei discendenti o  ascendenti.
Il rinvio alla disciplina civilista ex art.  291  del  codice  civile
circa l'adozione di persone maggiore d'eta' sembrerebbe,  sebbene  di
poco, non  eccedere  i  limiti  discrezionali  che  il  principio  di
ragionevolezza concede al legislatore; tuttavia, la  differenziazione
tra l'omicidio di ascendenti e discendenti e quello  del  coniuge,  o
dei germani, appare ai limiti della  costituzionalita'.  Prima  delle
modifiche apportare dalla legge n. 33/2019, invero,  la  possibilita'
di accedere al rito premiale, ottenendo un  significativo  sconto  di
pena, rendeva piu' coerente la differenziazione fondata sui  rapporti
tra il reo e la vittima. Con la  novella,  l'impossibilita'  per  chi
commette un omicidio volontario ai  danni  del  proprio  genitore  di
poter  accedere  al  rito  premiale,  accentua   la   disparita'   di
trattamento gia' presente nell'ordinamento, rompendo gli argini della
discrezionalita' del legislatore. Tale  disparita'  non  appare  piu'
giustificata e, dunque, conforme al principio di ragionevolezza. 
    In  definitiva,  individuare  nella  sanzione  l'unico   criterio
preclusivo per l'accesso al rito premiale  ex  art.  438,  codice  di
procedura   penale,   appare    una    scelta    di    esclusivamente
politico-criminale,  in  contrasto  con   la   esigenza   di   tutela
dell'eguaglianza  garantita  all'art.  3   della   Costituzione.   La
previsione della pena dell'ergastolo non necessariamente comporta  un
maggior  disvalore,  specie  in  casi  cosi  eterogenei  come  quelli
evidenziati;  la  ratio  del  legislatore  di   assicurare   risposte
sanzionatorie piu' severe a fatti di maggior allarme sociale  mai  si
concilia con la presunzione che questi coincidano esclusivamente  con
i delitti puniti con l'ergastolo. 
    La manifesta violazione del principio in esame, infine,  e'  resa
evidente,  ad  avviso  Corte,   ove   si   consideri   la   posizione
dell'imputato innocente che si vede  privato  della  possibilita'  di
accedere ad un rito attraverso il quale,  in  tempi  brevi  e  scevro
dalla pubblicita' del dibattimento, possa  pervenire  ad  una  rapida
affermazione della sua innocenza. 
    Sul  punto  si  rinvia,  altresi',  alle   valutazioni   che   si
svolgeranno con riferimento all'art. 111 Cost. 
Art. 24 Cost.: diritto di difesa come diritto di accesso ai riti. 
    Il diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24  Cost.  funge  da
presidio di  tutela  di  tutte  le  liberta',  che  costituiscono  il
fondamento e i  valori  garantiti  dall'ordinamento  democratico.  La
stessa Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  18  del  1992,  ha
sottolineato  come  il  diritto  alla  tutela  giurisdizionale   vada
considerato  tra  «i  principi   supremi   del   nostro   ordinamento
costituzionale, in cui e' intrinsecamente  connesso,  con  lo  stesso
principio democratico, l'assicurare a tutti e sempre,  per  qualsiasi
controversia, un giudice e un, giudizio». 
    Conseguentemente,  ogni  norma  che  comprime  (o,   addirittura,
elimina) la possibilita' di agire in giudizio  o  anche  la  facolta'
della  scelta  procedurale,  compresa  la  possibilita'  concreta  di
accedere ai riti alternativi, tra cui il  rito  abbreviato,  potrebbe
porsi in contrasto con il principio  costituzionale  del  diritto  di
difesa nella sua concreta espansione costituzionalmente garantita. 
    La Consulta ha piu' volte affermato che la «scelta di valersi del
giudizio abbreviato e' certamente una delle piu' delicate, fra quelle
tramite le quali si esplicano le facolta' defensionali  (sentenza  n.
237 del 2012 e n 273 del 2014). 
    Come si e' detto, il giudizio abbreviato e'  un  rito  volontario
che dipende dalla scelta dell'imputato e l'abolizione dell'originaria
necessita' del consenso  del  pubblico  ministero,  con  la  legge  n
479/99, conferma che tale  scelta  rientra  in  via  esclusiva  nelle
facolta' difensive dell'imputato,  atteggiandosi  a  vero  e  proprio
diritto potestativo dello stesso. 
    Non ignora questa Corte che il Giudice delle Leggi, con ordinanza
n. 421 del 2004, ha ritenuto conforme a costituzione  la  limitazione
del  patteggiamento  nei  confronti  di  coloro  che  si  trovino  in
condizioni soggettive ostative (recidiva reiterata),  affermando  che
«le cautele adottate dal legislatore  nel  prevedere  le  ipotesi  di
esclusione oggettiva e soggettiva  in  relazione  alla  gravita'  dei
reati ed ai casi di pericolosita'  qualificata  (...)  consentono  di
ritenere (...) che la scelta di ampliare l'ambito di operativita' del
patteggiamento, certamente rientrante nella sfera di discrezionalita'
del legislatore, non e' stata esercitata  in  maniera  manifestamente
irragionevole» (v. anche sentenza n. 219 del 2004). 
    E tuttavia, tra il rito patteggiato e quello oggetto dell'odierno
esame sussistono rilevanti differenze. 
    In primo luogo, il patteggiamento e' un istituto i  cui  benefici
vanno oltre la mera possibilita' di limitare la pena, consentendo  di
determinare il concreto ammontare di questa  da  parte  dell'imputato
che ha il potere di «contrattarla» con il pubblico ministero. Da tale
rito discendono, nella sua forma cd. minus anche  benefici  quali  la
non menzione nel  casellario,  l'estinzione  del  reato  in  caso  di
mancata commissione di altri delitti nei cinque anni  successivi,  la
preclusione delle pene accessorie. 
    Si tratta, quindi,  di  un  rito  fortemente  premiale  correlato
proprio  alla  minore  gravita'  delle  fattispecie  penali   ed   e'
ragionevole, quindi, che i benefici siano  esclusi  per  i  fatti  di
particolare allarme sociale. 
    La limitazione del patteggiamento si giustifica, del resto, anche
perche' non esaurisce la  possibilita'  di  accedere  ad  altri  riti
premiali. In altre parole, la  Corte  costituzionale  nelle  pronunce
citate ha di  certo  considerato  che  limitare  la  possibilita'  di
accedere al patteggiamento non esclude l'accesso ad un rito premiale;
era, infatti, sempre  possibile  per  qualunque  reato,  definire  il
processo nelle forme del giudizio abbreviato ed  ottenere  cosi'  una
significativa diminuzione della pena. 
    Nella ordinanza n. 445 del 2006 ha sottolineato le diversita'  di
ratio e di struttura tra il patteggiamento ed il giudizio  abbreviato
e le  peculiarita'  del  primo  che  lo  distinguano  nettamente  dal
secondo. Ha affermato, in specie, che «altrettanto evidente  risulta,
infine, l'inconferenza del raffronto con il giudizio abbreviato  (che
parimenti  non  contempla  preclusioni   oggettive   e   soggettive):
trattandosi di istituto nettamente differenziato non solo  sul  piano
delle connotazioni astratte (in prospettiva inversa a quella odierna,
sentenza n. 135 del 1995), ma anche su quello degli effetti  pratici,
come del resto riconosce lo stesso Giudice  dell'udienza  preliminare
del  Tribunale  di  Bari,  allorche'  motiva  sulla  rilevanza  della
questione;  che,  pur  a  fiorite  della  rilevante  limitazione  dei
benefici  connessi  al   patteggiamento   "allargalo",   quest'ultimo
consente infatti  all'imputato  di  sottoporsi  ad  una  pena  certa,
preventivamente concordata  (non  potendo  il  Giudice  modificare  i
contenuti del "patto"  intercorso  fra  le  parti),  che  gli  verra'
inflitta - in applicazione di  una  particolare  regola  di  giudizio
(l'insussistenza dei presupposti per una pronuncia di proscioglimento
ai sensi dell'art. 129, codice procedura penale: in tal senso  l'art.
444, comma 2, codice di procedura penale) -  con  una  sentenza  solo
"equiparata" a una pronuncia di condanna e  priva  di  efficacia  nei
giudizi civili e amministrativi (art. 445, comma 2, codice  procedura
penale); che, per contro,  con  il  giudizio  abbreviato  l'imputato,
accettando  di  essere  giudicato  sulla  base  degli  atti,   lascia
inalterati i poteri decisori del Giudice; quest'ultimo, nel  caso  di
condanna, emettera' una sentenza contenente un'affermazione piena  di
responsabilita', con la quale infliggera' la pena - ancorche' ridotta
di un terzo - ritenuta equa dallo stesso giudicante  e  che  potrebbe
risultare di gran lunga superiore a  quella  che  l'imputato  sarebbe
stato disposto a negoziare»; 
    Nel caso in  esame,  invece,  la  disposizione  introdotta  dalla
novella produce l'effetto di non consentire  alcuna  possibilita'  di
accedere ad un rito  premiale,  privando,  quindi,  gli  imputati  di
qualsiasi scelta di rito  alternativo  che,  come  si  e'  visto,  e'
espressione intrinseca del diritto di difesa. 
    Ne', del resto, puo' considerarsi parimenti satisfattiva sotto il
profilo del diritto di difesa la circostanza che ai  sensi  dell'art.
500, commi 6  e  7,  codice  di  procedura  penale,  l'imputato  puo'
prestare  il  consenso  all'acquisizione  degli  atti  di   indagine,
rendendo in tal modo piu' veloce il dibattimento in maniera del tutto
simile a quanto accade nel giudizio abbreviato. 
    E tuttavia, il consenso sulla acquisizione degli atti di indagine
si puo' formalizzare soltanto nella  fase  della  richiesta  e  della
ammissione delle prove nel dibattimento che impone,  comunque,  tempi
dilatati rispetto a quelli del rito abbreviato. 
    Ma soprattutto il meccanismo di cui all'art. 500, commi  6  e  7,
codice di  procedura  penale,  non  e'  nella  totale  disponibilita'
dell'imputato: esso richiede, infatti, il  consenso  dei  coimputati,
delle eventuali parti civili e del Pubblico ministero i cui interessi
sono  potenzialmente  confliggenti  alla  rinuncia   della   verifica
dibattimentale del materiale probatorio  acquisito  nel  corso  delle
indagini preliminari. 
Art. 4 in relazione agli articoli. 2 e 3 della Costituzione:  diritto
di  difesa  come  diritto  al  rispetto  della   dignita'   e   della
riservatezza - impossibilita' di accedere a udienza camerale. 
    Non potendo accedere al rito abbreviato, l'imputato  e'  privato,
altresi', della possibilita' di accedere ad un rito camerale, e deve,
quindi,  necessariamente  affrontare  il  dibattimento  in   pubblica
udienza. 
    Le forme processuali della pubblica udienza,  invero,  se  da  un
lato rappresentano una garanzia per l'imputato,  dall'alito  assumono
una connotazione oggettivamente afflittiva che,  secondo  i  principi
del diritto di difesa e  del  giusto  processo,  l'imputato  dovrebbe
avere la possibilita' di evitare. 
    In tale direzione devono essere lette  anche  le  pronunce  della
Consulta che hanno rilevato la illegittimita' costituzionale (per  la
violazione dell'art. 117 Cost., in relazione all'art. 6  CEDU)  delle
disposizioni in materia di applicazione delle misure di prevenzione e
di applicazione di misure di sicurezza  laddove  non  prevedevano  la
possibilita' per l'interessato (proposto o condannato) di chiedere di
procedere con le forme della pubblica udienza (sent. n.  80/2011,  n.
135/2014, n. 109/20153). 
    Non e' solo in gioco, quindi, la entita' della pena, ma anche  la
possibilita' di  tutelare  un  profilo  di  riservatezza  che  quanto
maggiore  e'  la  consapevolezza  della  colpa   e   la   conseguente
contrizione da parte dell'imputato, tanto piu' appare  meritevole  di
tutela in linea con il rispetto della persona. L'art.  24  Cost.  non
puo' non essere letto anche in relazione  all'art.  2  Cost.  con  la
conseguenza che la tutela del diritto  di  difesa  implica  anche  il
diritto alla riservatezza ed al rispetto della dignita',  consentendo
all'imputato la possibilita' di  accedere  a  forme  processuali  che
limitino l'esposizione pubblica, soprattutto rispetto ai  fatti  piu'
infamanti per i quali la scelta del rito camerale puo' essere  indice
di contrizione e pentimento. 
    Cio' vale, a maggior ragione, quando l'imputato ritenga che dagli
atti di indagini non  risulti  dimostrata  la  sua  colpevolezza.  Va
considerato che l'art. 24  della  Costituzione  e'  attuazione  anche
della presunzione di non  colpevolezza,  alla  luce  della  quale  un
imputato e' innocente fino a prova contraria. In particolare,  l'art.
27, comma 2, della  Costituzione  afferma  che:  «l'imputato  non  e'
considerato colpevole sino alla condanna definitiva». 
    Tale principio afferma, quindi, che l'imputato non e'  assimilato
al colpevole fino al momento della condanna definitiva E' rispetto  a
qualunque imputato che, quindi, in virtu'  della  citata  presunzione
che si determina la limitazione del diritto di difesa. 
    Al  riguardo  deve  rilevarsi  ancora  che,  pur  sussistendo  un
innegabile interesse collettivo alla  pubblicita'  dei  processi,  e'
immanente nel nostro ordinamento un principio di bilanciamento con il
rispetto della dignita' della riservatezza delle  persone  coinvolte,
come dimostrato dalle previsione di  processo  a  porte  chiuse  che,
tuttavia, non  puo'  essere  richiesto  dall'imputato  anche  per  le
ragioni suddette. Tanto rende ancora piu' cogente la  necessita'  che
il sistema preveda per l'imputato la possibilita' di accedere  ad  un
rito camerale che garantisca la tutela della sua  dignita'  sotto  il
predetto profilo. 
    La  preclusione  totale  per  i   reati   punti   con   la   pena
dell'ergastolo appare lesiva, ad avviso di questa Corte, del  diritto
di  difesa  inteso  come  rispetto  della  dignita',  cio'  anche  in
relazione alle disparita' con tutti gli altri imputati e, quindi,  in
relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione. 
Art. 111, comma 1: giusto processo. 
    Non v'e' dubbio, e le innumerevoli pronunce della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo lo testimoniano,  che  un  processo  giusto  e'
anche un processo rapido. 
    Ne consegue che le ragioni appena illustrare rilevano anche  alla
luce di questo ulteriore parametro costituzionale. 
    L'art. 438,  comma  1-bis,  codice  di  procedura  penale,  priva
l'imputato della possibilita' di accedere ad un rito che consenta una
decisione rapida. 
    Questo e' particolarmente pregiudizievole, coane si e' osservato,
nei  confronti  dell'imputato  che  intenda   ottenere   una   rapida
affermazione della propria innocenza. 
    Il rito abbreviato, infatti, garantisce non solo gli imputati che
intendono mitigare la risposta sanzionatoria, ma anche  gli  imputati
che,  convinti  della  propria  innocenza  ritengano  definire  nella
maniera piu' rapida possibile la propria posizione. 
    Ove si consideri questo aspetto, la preclusione  dell'accesso  al
rito abbreviato per i reati puniti  con  la  pena  dell'ergastolo  si
presenta  fortemente  lesiva  del  principio  del   giusto   processo
costringendo  alla  esposizione  alla   udienza   pubblica   e   agli
ineliminabili  tempi  lunghi  del  dibattimento  chi,  innocente,  si
ritiene  colpito  ingiustamente   da   una   accusa   particolarmente
infamante. 
    Costituisce, quindi, per questo Giudice, indubbio pregiudizio per
l'imputato innocente la possibilita' di accedere ad un rito rapido  e
riservato. 
    Altro  aspetto  di  violazione  del   paramento   in   esame   e'
l'allargamento, come conseguenza diretta della ratio della  norma  in
esame, dell'area di concreta applicazione della  pena  dell'ergastolo
che, comunque - e' bene precisare sempre ai  fini  della  valutazione
della ragionevolezza - non era affatto esclusa tout court nel caso di
accesso al rito abbreviato laddove la riduzione per rito si risolveva
nella eliminazione del solo isolamento diurno. 
    Invero, l'impossibilita' di sostituire la pena dell'ergastolo con
quella di anni trenta di reclusione in ragione dell'accesso  al  rito
abbreviato  si  pone  in  maniera  distonica  rispetto   al   recente
orientamento della stessa Corte costituzionale (sentenza n.  149  del
2018 ed  altre]  che,  seppur  in  tema  di  ergastolo  ostativo,  ha
abbandonato la tradizionale difesa  della  tenuta  costituzionale  di
tale pena perpetua in favore dell'affermazione  del  principio  della
rieducazione  del  condannato   non   piu'   ritenuto   sacrificabile
sull'altare di ogni altra funzione della pena. 
    La Corte, nelle sue  motivazioni,  ha  precisato  un  dato  tanto
empirico quanto pregnante affermando che: 
    «dilazionando invece sino al termine di ventisei anni (riducibile
a circa ventun anni ai soli fini della liberazione condizionale,  con
tutte le  difficolta'  pratiche  appena  evidenziate  che  potrebbero
ostare in concreto  a  una  sua  concessione  in  assenza  di  previe
esperienze di uscite temporanee  dal  carcere),  la  possibilita'  di
accedere a qualsiasi beneficio  penitenziario,  compresi  i  permessi
premio, e' assai probabile che il condannato all'ergastolo per i  due
titoli  di  reato  che  vengono  qui  in  considerazione  possa   non
avvertire, quanto meno in tutta la prima  fase  di  esecuzione  della
pena,  alcun  pratico   incentivo   ad   impegnarsi   nel   programma
rieducativo, in assenza di  una  qualsiasi  tangibile  ricompensa  in
termini di anticipazione dei benefici che non sia  proiettata  in  un
futuro ultraventennale, percepito come  lontanissimo  nell'esperienza
comune di ogni individuo (sentenza n. 276 del 1990). In tal modo,  la
disciplina ora all'esame di questa Corte  finisce  per  frustrare  la
finalita'  essenziale  della   liberazione   anticipata,   la   quale
costituisce pero' un  tassello  essenziale  del  vigente  ordinamento
penitenziario (sentenza n. 186 del  1995)  e  delta  filosofia  della
risocializzazione che ne sta alla base; filosofia che, a  sua  volta,
costituisce diretta attuazione del  precetto  costituzionale  di  cui
all'art. 27, terzo comma, Cori. Tanto e' vero che questa  Corte  ebbe
in passata ad affermare l'incostituzionalita'  dell'esclusione  della
liberazione  anticipata  per  i  condannati  all'ergastolo,   proprio
perche' tale meccanismo, fondato sulla  verifica  in  concreto  della
partecipazione del condannato durante l'intero  arco  dell'esecuzione
della pena, deve ritenersi essenziale perche' la  pena  possa,  anche
rispetto agli autori dei reati piu' gravi, esplicare in  concreto  la
propria   (costituzionalmente   necessaria)   funzione    rieducativa
(sentenza n. 204 del 1974). Proprio in attuazione di tale  principio,
del resto, lo stesso art. 4-bis ordine.  penit.,  nella  versione  in
vigore dal 1992, esclude dalle preclusioni ai benefici, stabilite per
particolari  categorie  di   condannati,   proprio   la   liberazione
anticipata: la quale e', cosi', fatta salva per qualsiasi condannato,
onde assicurare sempre -  persino  nei  confronti  dei  detenuti  che
ancora non abbiano spezzato  i  propri  legami  con  le  associazioni
criminali  di  appartenenza  -  un  adeguato  incentivo   alla   loro
partecipazione  all'opera  rieducativa,  cui   l'intero   trattamento
penitenziario deve in ultima analisi essere  orientato  (sentenza  n.
274 del 1983)». 
    Sotto tale profilo la preclusione dell'accesso al rito abbreviato
con riferimento a tutti i reati puniti  con  la  pena  dell'ergastolo
potrebbe avere  ricadute  significative  sulla  tenuta  in  punto  di
legittimita' costituzionale della stessa pena dell'ergastolo. 
Art. 117 Cost in relazione agli articoli 6 e  7  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali. 
    Anche alla luce di questo parametro i rilievi fra qui  svolti  in
tema di celerita' del giudizio, di diritto  alla  riservatezza  e  di
tutela dell'imputato alla luce della sua  presunzione  di  innocenza,
vengono in rilievo. 
    Ed invero, alla luce dell'art 6 della Convenzione europea per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali: 
        1. ogni persona ha diritto a che la sua causa  sia  esaminata
equamente, pubblicamente  ed  entro  un  termine  ragionevole  da  un
tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge,  il  quale
sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie  sui  suoi  diritti  e
doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni  accusa  penale
formulata nei suoi confronti; 
        2. ogni persona accusata di un reato  e'  presunta  innocente
fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 
    Valgono,  pertanto,  anche  alla  luce  di  questo  parametro  le
considerazioni fin qui svolte. 
    Occorre al riguardo soltanto richiamare la decisione della  Corte
europea dei diritti dell'uomo dell'8 dicembre 2015 - ricorsi 63426/13
- Mihail-Alin Podoleanu c. Italia, nella quale la Corte ha avuto modo
di affermare che, se e'  vero  che  gli  Stati  contraenti  non  sono
costretti dalla Convenzione a prevedere delle procedure  semplificate
(Hany), rimane comunque il fatto che, quando tali procedure  esistono
e vengono adottate, i principi del processo  equo  impongono  di  non
privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi ad esse connessi. 
    Ritenuta la rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita'  costituzionale  sollecitata  dalla  difesa
dell'imputato,  gli  atti  devono   essere   trasmessi   alla   Corte
costituzionale per la risoluzione  della  questione  di  legittimita'
costituzionale proposta nei termini innanzi precisati ed il  giudizio
deve essere, conseguentemente sospeso. 
    La  cancelleria  provvedera'  agli  adempimenti   precisati   nel
dispositivo. 
 
                               P. Q. M. 
 
     Visto l'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 438,  comma  1-bis,  codice  di
procedura penale, inserito dall'art. 1  della  legge  n.  33  del  12
aprile 2019, per  la  violazione  degli  articoli  3,  24,  anche  in
relazione agli articoli 2, 3, e 27, nonche' dell'art. 111, comma 1  e
dell'art. 117, comma 1 della Costituzione, quest'ultimo in  relazione
agli articoli 6 e 7 della Convenzione EDU. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa e al pubblico ministero,
nonche' ai Presidente del Consiglio dei  ministri  e  che  sia  anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi deciso in Napoli, 5 febbraio 2020 
 
                         Il Giudice: Sassone 
 
                                              Il Presidente: La Posta 
 
I Giudici popolari: Giordano  Filomena;  Caputo  Francesco;  Calvelli
                              Giovanni; 
        De Simone Gennaro; Severino Michele; Graziano Egidio