N. 79 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 2019

Ordinanza  del  9  dicembre  2019  del  Tribunale   di   Padova   nel
procedimento civile promosso da B. V. contro R. C. . 
 
Stato civile -  Stato  giuridico  del  nato  (in  Italia)  a  seguito
  dell'applicazione  delle  tecniche  di  procreazione   medicalmente
  assistita di tipo eterologo praticate all'estero nell'ambito di  un
  rapporto  procreativo  di  una  coppia  formata  da  due  donne   -
  Preclusione dell'attribuzione dello status di  figlio  riconosciuto
  di entrambi  i  componenti  della  coppia,  ove  non  ricorrano  le
  condizioni per procedere all'adozione in  casi  particolari  e  sia
  accertata giudizialmente la sussistenza dell'interesse del minore. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme  in  materia  di  procreazione
  medicalmente assistita), artt. 8 e 9; codice civile, art. 250. 
(GU n.28 del 8-7-2020 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA 
                        Prima Sezione civile 
 
    Il  Tribunale  in  composizione  collegiale  nelle  persone   dei
seguenti magistrati: 
        dott. Antonella Guerra, Presidente rel.; 
        dott. Chiara Ilaria Bitozzi, giudice; 
        dott. Marilina Termini, giudice; 
    all'esito dell'udienza  del  28  ottobre  2019  nel  procedimento
iscritto al n. r.g. 1732/2019 promosso da: 
        V. B., con l'avv. Schuster Alexander, ricorrente; 
        contro C. R., con l'avv. Nardacchione Rosa Carla, resistente; 
    con l'intervento del pubblico ministero. 
    Oggetto: Altri  istituti  di  V.G.  e  procedimenti  camerali  in
materia di famiglia. 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
    Con ricorso depositato il 19 febbraio 2019 la ricorrente ha adito
il Tribunale affinche' fossero accolte le seguenti domande: 
        «A. In via principale: voglia autorizzare l'istante V.  B.  a
dichiarare all'ufficiale di stato civile del Comune di ... di  essere
genitore - ovvero voglia lo stesso Tribunale dichiarare con  sentenza
che V. B. e' genitore - per aver prestato il consenso  alle  tecniche
di fecondazione assistita con donatore anonimo di gamete maschile  in
esito alle quali sono nate le minori  N.  M.  R.  e  V.  M.  R.  nate
entrambe a ... 
        B. In  subordine  alla  domanda  sub  A:  voglia  autorizzare
l'istante V. B. a riconoscere avanti all'ufficiale  di  stato  civile
del Comune di ... quale genitore - ovvero accertare con  sentenza  il
riconoscimento quale genitore delle - minori N. M. R. e V. M. R. nate
entrambe a ...  per  aver  prestato  il  consenso  alle  tecniche  di
fecondazione assistita con donatore anonimo  di  gamete  maschile  in
esito alle quali esse sono nate, pronunciando ai sensi dell'art. 250,
comma 4, del codice civile una sentenza che tenga luogo del  consenso
rifiutato dalla madre che gia' ebbe a  dichiararne  la  nascita  e  a
riconoscerle; 
        C. In  ulteriore  subordinare  alla  domanda  sub  B:  voglia
ordinare all'ufficiale dello  stato  civile  del  Comune  di  ...  ex
articoli 95 ss. decreto del Presidente della Repubblica  n.  396/2000
la rettificazione degli atti di nascita delle minori N. M. R. e V. M.
R., si' che risulti che le stesse sono nate a seguito di tecniche  di
fecondazione assistita con donatore anonimo di  gamete  maschile  con
consenso prestato dalla signora C. R., partoriente, e  dalla  signora
V. B. 
        D. Voglia ai sensi dell'art. 250, comma IV ultimo  periodo  e
dell'art. 262 del codice civile  disporre  per  le  minori  anzidette
l'attribuzione del cognome «R. B. » in luogo di «R.»; 
        E. Voglia pronunciare i provvedimenti opportuni in  relazione
all'affidamento e al  mantenimento  del  minore  ai  sensi  dell'art.
315-bis del codice civile e in  particolare:  invitare  le  madri  ad
avviare un percorso di supporto psicologico ed educativo al  fine  di
superare la posizione conflittuale e dare una spiegazione alle minori
in merito alla improvvisa assenza della madre B., in modo che emerga,
compatibilmente con l'eta', il mutamento di quadro giuridico del loro
stato civile, ma  nel  contempo  si  eviti  altresi'  ogni  modalita'
comunicativa che possa arrecare pregiudizio e trauma nelle minori: in
caso di rifiuto della R. a seguire un tale percorso, ordinare che  il
costo del servizio di assistenza predetto a sostegno della B. e delle
minori sia sostenuto dalla R. , anche a titolo di risarcimento per il
danno  endo-familiare  alla  relazione  genitore-figlio   da   questa
arrecato con la propria condotta; 
        F. In caso di opposizione della convenuta R. Voglia ai  sensi
dell'art. 250, comma IV, terzo periodo del codice civile, nonche'  ai
sensi dell'art. 336, comma  3,  codice  civile,  nonche'  quindi  con
decreto immediatamente efficace ex articoli 333-336 del codice civile
e art. 741 codice di procedura civile: adottare tutti i provvedimenti
utili ad eliminare le cause del pregiudizio arrecato dalla sig.ra  C.
R. alla serena e equilibrata crescita delle minori N. M. R. e  V.  M.
R. e in  particolare  determinare  la  pertinente  limitazione  della
responsabilita' genitoriale del genitore C. R.; ordinare a questa  di
consentire alla ricorrente di  assumere  la  cura  delle  minori  per
almeno  un  giorno  con  pernottamento  a  settimana,   nonche'   con
pernottamento presso l'abitazione della ricorrente dal venerdi'  dopo
scuola fino all'inizio della  scuola  il  lunedi'  a  fine  settimana
alterni, cosi'  come  di  non  porre  in  essere  condotte  volte  ad
escludere dalla ricorrente  dalla  vita  affettiva  e  sociale  delle
minori. 
        G. In caso di opposizione della convenuta R. alla domanda  di
affidamento e mantenimento con eccezioni di non pronta soluzione  che
impongano una ulteriore e specifica istruzione, si chiede  sin  d'ora
che il Tribunale voglia emettere ex art. 277 e ex art. 279, comma  2,
n. 4 del codice di procedura civile sentenza non definitiva che tenga
luogo del consenso mancante, essendo  la  pronta  costituzione  dello
stato formale di genitore delle minori di interesse rilevante per  la
parte ricorrente. 
    Sempre in caso di opposizione, con  condanna  della  stessa  alla
rifusione delle spese e diritti del giudizio». 
    A sostegno del ricorso, ha esposto che: 
        tra la ricorrente e  la  signora  C.  R.  vi  era  stata  una
relazione affettiva durata dal 2007 al febbraio 2017, con  convivenza
a partire dal 2008, ma la relazione non fu mai formalizzata, ne'  con
unione civile, ne' con matrimonio; 
        nel  2010  le  due  compagne  decisero  di  intraprendere  un
percorso di fecondazione assistita eterologa e, dopo alcuni tentativi
infruttuosi ai quali si sottoposero prima  la  ricorrente  e  poi  la
resistente, insieme si rivolsero alla clinica IVI di  Barcellona  per
procedere alla fecondazione con stimolazione ormonale, per  la  quale
entrambe prestarono il consenso scritto; 
        a seguito di fecondazione in vitro  con  sperma  di  donatore
anonimo la R. rimase incinta e il ... diede alla luce due bambine, N.
M. e V. M.; 
        fino al febbraio 2017 entrambe le donne sono state  coinvolte
nella vita, nella cura e nell'educazione delle bambine; 
        quando il rapporto entro' in crisi le  parti  elaborarono  un
accordo scritto nel quale disciplinarono sia  gli  aspetti  economico
patrimoniali  sia  quelli   personali,   concordando   la   residenza
prevalente delle figlie presso la madre biologica, gli  incontri  con
la ricorrente a fine settimana alternati e una o due volte durante la
settimana e un contributo al  mantenimento  delle  bambine  a  carico
della ricorrente pari ad euro 300 mensili; 
        nel  luglio  2018  la   ricorrente   propose   di   procedere
all'adozione in casi particolari, ma la resistente nego'  la  propria
disponibilita' e, pressoche' contemporaneamente, le revoco' la delega
al prelievo a scuola, le comunico' che non avrebbe piu' potuto vedere
le bambine  e  inizio'  a  rifiutare  il  bonifico  bancario  con  il
contributo al mantenimento; 
        da allora  cessarono  i  rapporti  tra  la  ricorrente  e  le
bambine; 
        ella chiese successivamente il  consenso  al  riconoscimento,
che tuttavia la resistente nego'. 
    Con decreto 27 maggio  2019  il  Presidente  di  sezione  fissava
udienza al 29 ottobre 2019, assegnando termine per la notifica e  per
il deposito di memoria difensiva. Gli atti sono  stati  trasmessi  al
pubblico ministero per l'intervento. 
    La  resistente,  costituendosi,  ha  eccepito  l'inammissibilita'
delle domande e, nel merito, per  l'ipotesi  in  cui  fosse  ritenuta
ammissibile la domanda di riconoscimento delle minori da parte  della
ricorrente, ne ha chiesto il rigetto, per essere la stessa destituita
di fondamento  fattuale  e  giuridico  e  per  essere  in  ogni  caso
contraria all'interesse delle minori. 
    In particolare, la resistente ha sostenuto che: 
        le  norme  sul  riconoscimento  di  figlio  nato  fuori   dal
matrimonio non prevedono il  riconoscimento  da  parte  della  coppia
omosessuale, come si desume dal tenore letterale dell'art. 250, primo
comma del codice civile; 
        l'art.  5  della  legge  n.  40/2005  vieta  alle  coppie  di
omosessuali di far ricorso alla procreazione medicalmente assistita e
tale divieto e' stato confermato anche  dalla  recente  decisione  n.
221/2019 della Corte costituzionale che ha dichiarato non fondate  le
questioni di legittimita' costituzionale sollevare dai  Tribunali  di
Pordenone e di Bolzano; 
        anche la legge sulle unioni civili ha escluso  l'applicazione
delle norme sulla filiazione per le coppie dello stesso sesso; 
        la ricorrente e' priva di un legame biologico o legale con le
bambine, posto che non vi era mai stata progettualita' per dare veste
legale al rapporto, ne' alcuna iniziativa di adozione, proposta dalla
ricorrente solo a rapporto finito; 
        il ricorso tende alla tutela di un  interesse  proprio  della
ricorrente, piu' che di un interesse delle bambine; 
        il rapporto con la ricorrente era  un  rapporto  claudicante,
non vi era mai stata residenza anagrafica comune, ne' unione civile. 
    All'udienza  del   29   ottobre   2019   le   parti   comparivano
personalmente  con  i  loro  procuratori  e  la  causa  era  discussa
oralmente. 
    Dai documenti prodotti e dalle allegazioni non contestate risulta
inequivocabilmente  che  la  coppia  ha  condiviso  il  progetto   di
procreazione,  che  un  primo  tentativo  era  stato  effettuato   in
Danimarca con una fecondazione praticata sulla stessa ricorrente, che
le parti, pur senza residenza  anagrafica  comune,  hanno  convissuto
anche dopo la nascita  delle  bambine  per  quasi  cinque  anni,  con
coinvolgimento  di  entrambe  nella  cura,  nell'educazione  e  nella
crescita delle piccole, le quali ora hanno  sette  anni  e,  per  gli
ostacoli frapposti dalla madre biologica, da  piu'  di  un  anno  non
hanno rapporti con la ricorrente (che chiameremo madre  intenzionale,
mutuando una terminologia oramai divenuta di uso comune). 
    La questione centrale nella presente  controversia  attiene  allo
status dei nati (in Italia) a seguito  di  procreazione  medicalmente
assistita praticata all'estero da una coppia omosessuale composta  da
due donne, nella quale una delle due si sia sottoposta a fecondazione
eterologa e abbia portato a termine la gravidanza, divenendo la madre
biologica del nato, e la compagna abbia prestato espressamente il suo
consenso al progetto procreativo. 
    Le peculiarita' della fattispecie in  esame,  rispetto  ad  altre
gia' oggetto di decisioni giurisprudenziali, attengono  alla  nascita
in Italia delle bambine, alla mancata dichiarazione congiunta davanti
all'ufficiale di  stato  civile  in  occasione  della  nascita,  alla
sopravvenuta cessazione della relazione affettiva tra le due donne  e
all'impraticabilita'  dell'adozione  in  casi  particolari  ai  sensi
dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge  n.  184/1983,  per  la
quale l'art. 46 della medesima legge prescrive l'assenso dei genitori
dell'adottando, che  nel  caso  in  esame  dovrebbe  essere  espresso
dall'unico genitore legale. 
    Pertanto, nonostante il progetto condiviso, la convivenza  durata
per cinque anni e una relazione di fatto genitoriale intrattenuta con
la ricorrente fino al 2017 - fatti  incontestati  -,  attualmente  le
bambine risultano legalmente figlie della sola signora C.  R.,  madre
biologica, che non consente ne' il riconoscimento, ne'  l'adozione  e
vieta ogni rapporto con la ricorrente. il Tribunale per  i  minorenni
e' intervenuto, finora inutilmente, ai sensi dell'art. 333 del codice
civile. 
    La controversia  pone  delicati  interrogativi,  nel  non  facile
compito  di  procedere  all'inquadramento  nella   corretta   cornice
giuridica  e  di  ricercare   nel   complessivo   sistema   normativa
l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione richiesta. 
    Innanzitutto, quanto al rito, la ricorrente ha  scelto  le  forme
processuali di cui al rito camerale (articoli 737 e  ss  c.p.c.),  in
assenza di una forma specifica per l'azione svolta; al  riguardo,  si
osserva  che  secondo  l'orientamento  consolidato  della  Corte   di
cassazione (fra le molte, Cass. 30 maggio 2013, n. 13639,  Cassazione
18 agosto 2006, n. 18201, nonche'  numeri  15125/2000,  11658/1998  e
12657/1993) l'adozione del rito camerale in luogo di quello ordinario
non induce ad alcuna nullita' (o improcedibilita') ove, in  concreto,
non venga eccepito e provato che dall'erronea inversione sia derivato
un effettiva pregiudizio per  alcuna  delle  parti  relativamente  al
rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, piu' in
generale, a quant'altro possa aver impedito o anche soltanto  ridotto
la liberta' di difesa consentita  nel  giudizio  ordinario;  infatti,
anche a voler  ritenere  nullo  l'atto  introduttivo  non  conformato
secondo il  modello  legale  (ricorso  anziche'  citazione),  occorre
considerare che tale nullita'  rientrerebbe  pur  sempre  fra  quelle
formali di cui all'art. 156 del codice di procedura civile,  sanabili
con il raggiungimento dello scopo, e che per eventuali inosservanze a
regole del procedimento ordinario, ivi comprese  quelle  relative  al
termine di  comparizione  di  cui  all'art.  163-bis  del  codice  di
procedura  civile,  il  giudice  investito  della  domanda   potrebbe
disporre d'ufficio la conversione dell'atto introduttivo, mediante la
rinnovazione dell'atto, salvo che  la  parte  convenuta  non  si  sia
comunque costituita difendendosi compiutamente nel merito (il che  e'
accaduto nel caso specifico in esame). 
    Invero, anche sulla scia della giurisprudenza costituzionale  (si
vedano Corte costituzionale 18 maggio 1972, n. 89 e 6 giugno 1973, n.
73), si puo' ritenere che la tutela giurisdizionale non debba  essere
concepita  come  mera  forma  astratta,  indifferente  rispetto  alle
caratteristiche del diritto da accertare, ma debba tener conto  delle
esigenze del caso concreto, ossia tendere all'effettivita'. Non vi e'
quindi ragione per dubitare che anche la tutela sommaria offerta  dal
rito camerale possa conseguire gli stessi effetti della  tutela  c.d.
ordinaria, a patto che siano rispettati i fondamentali diritti  delle
parti di difendersi e di controdedurre. 
    Applicando tali principi al caso concreto, deve escludersi che la
procedura instaurata con rito camerale abbia  comportato  la  lesione
del diritto di difesa  e  del  contraddittorio,  tanto  piu'  che  la
resistente non ha sollevato eccezioni processuali in tal senso ed  ha
svolto complete difese. 
    Nel merito, va premesso che sebbene la fecondazione eterologa tra
coppie dello stesso sesso sia illegale nei nostro Paese - e cio'  per
espressa scelta del legislatore (art. 5 della legge n. 40/2004),  non
costituzionalmente  censurabile  (cosi'   Corte   costituzionale   n.
221/2019) -, non lo e' in altri Paesi anche europei, ne'  e'  vietato
alle coppie  italiane  dello  stesso  sesso  sottoporvisi;  non  sono
previste infatti sanzioni  per  coloro  che  ricorrano  alla  stessa,
nemmeno se praticata in Italia; l'art. 12, comma  2  della  legge  n.
40/2004  infatti  stabilisce   sanzioni   amministrative   pecuniarie
esclusivamente per coloro (medici e  strutture)  che  applichino  nel
territorio nazionale «tecniche di procreazione medicalmente assistita
a coppie ...composte da soggetti dello stesso sesso». 
    Del tutto  legittimamente,  quindi,  alcune  coppie  composte  da
persone dello stesso sesso si  recano  all'estero  per  praticare  la
fecondazione  eterologa,   realizzando   insieme   un   progetto   di
genitorialita' che porta alla nascita  di  bambini,  che,  in  quanto
persone, sono portatori di propri  diritti,  distinti  da  quelli  di
coloro che hanno scelto di intraprendere il percorso procreativo.  E'
chiaro infatti, e  al  riguardo  vi  e'  anche  sufficiente  consenso
sociale, che  dall'illegalita'  (amministrativa)  della  tecnica  nel
territorio nazionale non possa conseguire una limitazione dei diritti
delle  persone  nate  a  seguito   della   medesima,   sulle   quali,
evidentemente, non puo' ricadere la responsabilita' dei modi  in  cui
e' avvenuta la procreazione. Cio' e' stato affermato in  modo  chiaro
anche dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  947/1998,  ancor
prima  dell'introduzione  della  legge  n.  40/2004,   in   sede   di
valutazione della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
235 del codice civile, norma che consentiva di esperire l'azione  per
il disconoscimento di paternita' al marito che, affetto da  impotenza
nel periodo che va dal trecentesimo al centottantesimo  giorno  prima
della nascita del figlio concepito durante il matrimonio, avesse dato
il proprio consenso  all'inseminazione  artificiale  eterologa  della
moglie. In tale pronuncia la Corte evidenzio' che non era in gioco la
legittimita' dell'inseminazione artificiale eterologa, bensi' che  si
trattava di tutelare «la  persona  nata  a  seguito  di  fecondazione
assistita,  venendo  inevitabilmente  in   gioco   plurime   esigenze
costituzionali. Preminenti sono le garanzie per il  nuovo  nato  ...,
non solo in relazione ai diritti e ai  doveri  previsti  per  la  sua
formazione, in particolare dagli articoli 30 e 31 della Costituzione,
ma ancor prima - in base agli articoli 30 e 31 della  Costituzione  -
ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato  ad
accoglierlo assumendo le relative responsabilita'» (la sottolineatura
e' dell'estensore). 
    Tale principio ha trovato ampia applicazione nel diritto vivente,
ed in particolare: 
        a) nella giurisprudenza di  legittimita'  e  in  parte  della
giurisprudenza di merito che ammettono la trascrizione  dell'atto  di
nascita formato all'estero di minori nati a seguito  di  fecondazione
assistita eterologa intrapresa da coppie formate  da  due  donne  (si
vedano  in  particolare  Cassazione  15  giugno  2017,  n.  14878   e
Cassazione  30  settembre  2016,  n.  19599,  che  hanno  escluso  la
contrarieta' all'ordine  pubblico  dell'atto  straniero,  validamente
formato, nel quale risulti la nascita  di  un  figlio  da  due  donne
concepito con fecondazione eterologa,  dovendosi  avere  riguardo  al
principio,  di  rilevanza  costituzionale  primaria,  del   superiore
interesse  del  minore,  che  si  sostanzia  nel  suo  diritto   alla
conservazione dello status filiationis,  validamente  acquisito  all'
estero); 
        b) nella giurisprudenza che ammette nel caso di  fecondazione
eterologa da parte di una  coppia  omosessuale  l'adozione  ai  sensi
dell'art. 44, comma 1, lettera d)  della  legge  n.  184/1983  (cosi'
Cassazione 31 maggio 2018, n. 14007 e Cassazione 27 giugno  2016,  n.
12962), quest'ultima  perfino  nei  casi  in  cui  vi  sia  stata  la
gestazione per altri (surroga di maternita'), pratica  -  costituente
illecito penale e non solo  amministrativo  ai  sensi  dell'art.  12,
comma 6 della legge n. 40/2004 -, che e' stata ritenuta dalle Sezioni
Unite (Cass.  ss.uu.  8  maggio  2019,  n.  12193)  impeditiva  della
trascrizione del provvedimento giurisdizionale straniero con cui  sia
stato  accertato  il  rapporto   di   filiazione   con   i   genitori
intenzionali, per contrasto con l'ordine pubblico internazionale; 
        c) nella recente sentenza 15  maggio  2019,  n.  13000  della
Corte di cassazione che ha ammesso  l'accertamento  del  rapporto  di
filiazione anche in  caso  di  fecondazione  assistita  post  mortem,
pratica pure non consentita e sanzionata dall'art. 12, comma 2  della
legge n. n. 40/2004, nella quale  cosi'  si  argomenta:  «E'  chiaro,
infatti, che qualsivoglia considerazione riguardante  la  valutazione
in termini di illiceita'/illegittimita', in Italia, della tecnica  di
P.M.A.  in   precedenza   specificamente   richiamata,   oltre   che,
eventualmente, delle condotte di coloro che ne consentono l'accesso o
l'applicazione, non potrebbe certamente riflettersi, in negativo, sul
nato e sull'intero complesso dei  diritti  a  lui  riconoscibili.  In
altre parole, la circostanza che si sia fatto  ricorso  all'estero  a
P.M.A. non espressamente disciplinata (o addirittura non  consentita)
nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi  impone,  nel  preminente
interesse dal nato,  l'applicazione  di  tutte  le  disposizioni  che
riguardano lo stato del figlio venuto  al  mondo  all'esito  di  tale
percorso, come,  peraltro,  affermato,  con  chiarezza,  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo nelle due sentenze "gemelle"  Mennesson
c. Francia (26 giugno 2014, ric. n. 65192/11) e Labassee' c.  Francia
(26 giugno 2014, ric. n. 65941/11), oltre  che  sancito  anche  dalla
Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 347 del 1998,  che  (ancor
prima del sopravvenire della legge n. 40  del  2004)  sottolineo'  la
necessita' di distinguere tra la disciplina di accesso alle  tecniche
di P.M.A. e la doverosa, e preminente,  tutela  giuridica  del  nato,
significativamente collegata alla dignita' dello stesso"; ancora  "le
conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei  divieti  posti
dalla legge n. 40 del 2004 imputabile agli  adulti  che  hanno  fatto
ricorso ad una pratica fecondativa illegale  in  Italia  non  possono
ricadere su chi e' nato, di cio' essendosi  mostrato  consapevole  lo
stesso legislatore, il quale, all'art. 9, comma 1, ha  previsto  che,
in caso di  ricorso  a  tecniche  (allora  vietate)  di  procreazione
medicalmente assistita addirittura di tipo eterologo..., il coniuge o
convivente   consenziente   non   possa   esercitare   l'azione    di
disconoscimento della paternita', ne' impugnare il riconoscimento per
difetto di veridicita'». 
    Da cio' si desume che nel diritto vivente del nostro  ordinamento
non possa attualmente ritenersi configurabile un divieto assoluto per
le coppie omosessuali di accogliere  e  crescere  figli,  nemmeno  se
concepiti   con   pratiche   contrastanti   con   l'ordine   pubblico
internazionale, quali la gestazione per altri. 
    Poiche' nella giurisprudenza di legittimita' e di merito  non  si
rinvengono precedenti riconducibili specificamente  alla  fattispecie
in esame, reputa il Collegio che la questione debba essere affrontata
seguendo la via gia'. percorsa dalla giurisprudenza costituzionale  e
di legittimita', ossia partendo dalla messa a fuoco dei  diritti  dei
nati, la cui protezione  quali  persone  deve,  a  prescindere  dalle
circostanze  della  nascita,  necessariamente  essere  piena,  ed  e'
garantita in modo assoluto dagli articoli 2, 3 primo e secondo comma,
30 della Costituzione, dagli articoli 2, 3,  4,  5,  7,  8,  9  dalla
Convenzione di New York sui diritti del  fanciullo  del  29  novembre
1989, ratificata dall'Italia con legge 27  maggio  1991,  n.  176,  e
dagli  articoli  8  e  14  della  Convenzione  europea  dei   diritti
dell'uomo. 
    In particolare,  quanto  all'interpretazione  dell'art.  8  della
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,  vanno  ricordate   le
sentenze rese dalla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  nei  casi
Mennesson c. Francia e Labbassee' c. Francia (entrambe del 26  giugno
2014, rispettivamente sui ricorsi numeri  65192/2011  e  65941/2011),
con le quali la Francia e' stata condannata per non aver riconosciuto
il rapporto  di  filiazione  costituito  all'estero  ricorrendo  alla
surroga di maternita' da parte di coppia eterosessuale, essendo stata
ritenuta sussistente la violazione dell'art.  8  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali con riguardo alla posizione dei minori,  pur  escludendo
ogni pregiudizio nei riguardi dei genitori. 
    Il tema e' stato ulteriormente  approfondito  nel  medesimo  caso
Mennesson in occasione del primo parere consultivo reso dalla  Grande
Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo su  richiesta  della
Cour  de  Cassation  francese  ai  sensi  del  Protocollo   16   alla
Convenzione EDU, parere nel quale e' stato ribadito che, in nome  del
superiore interesse dei minore, esiste un obbligo  di  riconoscimento
del legame di filiazione tra il  figlio  nato  mediante  fecondazione
medicalmente assistita e le persone che hanno fatto  ricorso  a  tale
pratica, e cio' a prescindere dalla mancanza di consenso degli  Stati
aderenti sul punto. 
    In  particolare,  la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha
rilevato che l'assenza di riconoscimento del legame tra il bambino  e
la madre  intenzionale  pregiudica  il  bambino  lasciandolo  in  una
situazione di incertezza giuridica quanto alla  sua  identita'  nella
societa' e puo' essere fonte di gravi lesioni, per esempio ai diritti
successori, al diritto al mantenimento della  relazione  in  caso  di
separazione dei genitori o di morte del padre, o in caso  di  rifiuto
alla cura della madre intenzionale («40. D'un point de  vue  general,
comme la Cour l'a releve'  dans  les  arrêts  Mennesson  et  Labassee
precites, absence de reconnaissance en droit interne  du  lien  entre
l''enfant et la mere d'intention defavorise l'enfant des  lors  qu'il
le  place  dans  une  forme  d'incertitude  juridique  quant  a'  son
identite' dans la societe' (§§ 96  et  75  respectivement).  Il  y  a
notamment un risque qu'il n'ait pas l'acces a' la nationalite' de  la
mere d'intention dans les conditions que garantit la filiation,  cela
peut compliquer son maintien sur le territoire du pays  de  residence
de la mere d'intention (meme si ce risque n'existe pas  dans  le  cas
soumis a' l'examen de la Cour de cassation, le pere d'intention,  qui
est aussi le pere biologique, ayant la nationalite'  française),  ses
droits successoraux a' l'egard de celle-ci peuvent etre amoindris, il
se trouve fragilise' dans le maintien de sa  relation  avec  la  mere
d'intention en cas de separation des parents d'intention ou de  deces
du pere d'intention, et il n'est pas protege' contre un refus ou  une
renonciation de la mere d'intention  de  le  prendre  en  charge...).
Secondo la Corte, l'interesse superiore del bambino  comprende  anche
l'individuazione giuridica delle persone che hanno la responsabilita'
di crescerlo, di soddisfare i suoi bisogni e  di  assicurare  il  suo
benessere e la possibilita' di vivere e di crescere  in  un  ambiente
stabile (42. Au vu des elements indiques au paragraphe  40  ci-dessus
et du  fait  que  l'interêt  superieur  de  l'enfant  comprend  aussi
l'identification en droit des personnes qui ont la responsabilite' de
l'elever, de satisfaire a' ses besoins et  d'assurer  san  bien-être,
ainsi que la possibilite'  de  vivre  et  d'evoluer  dans  un  milieu
slable, la Cour considere toutefois que l'impossibilite' generale  el
absolue d'obtenir la reconnaissance du lien entre un enfant ne' d'une
gestation pour autrui pratiquee a' l 'etranger et la mere d'intention
n'est pas conciliable avec l'interêt superieur de l'enfant, qui exige
pour  le  moins  un  examen  de  chaque  situation  au   regard   des
circonstances particulieres qui la caracterise.). 
    Coerentemente,  sull'an  del  riconoscimento   del   legame   (la
reconnaissance du lien) la Grande Camera ha  escluso  che  gli  Stati
possano  appellarsi,  per  sfuggire  all'obbligo,   al   margine   di
apprezzamento, margine che invece  sussiste  in  ordine  al  quomodo:
secondo le circostanze, la  legge  nazionale  potra'  prescrivere  la
trascrizione dell'atto di nascita con indicazione anche dei  genitori
intenzionali o l'adozione da parte di questi; e'  stato  sottolineato
infatti che anche una procedura di adozione ben puo'  costituire  una
modalita' idonea, a condizione che non sia troppo lunga. 
    Benche' si tratti di un  parere  reso  in  un  caso  parzialmente
diverso, che riguarda una pratica, quella della gestazione per altri,
ritenuta dalla nostra giurisprudenza contraria  all'ordine  pubblico,
il principio affermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo deve
essere a fortiori  tenuto  in  considerazione  nella  fattispecie  in
esame,  che  non  involge   questioni   di   ordine   pubblico,   ne'
bilanciamenti  con  interessi  di  pari  o  maggior  valore  rispetto
all'interesse del minore, quali quello della  tutela  della  dignita'
della donna che si presta alla tecnica della gestazione per altri. 
    Pertanto, a fronte dell'obbligo di riconoscimento del legame,  ci
si deve chiedere se il nostro ordinamento nel caso in esame contempli
idonee modalita' che garantiscano una effettiva tutela. 
    Poiche' la ricorrente ha invocato l'applicazione degli articoli 8
e 9 della legge n. 40/2004, ci si deve chiedere innanzitutto se  tali
norme consentano di riconoscere lo status di  figli  riconosciuti  ai
nati a  seguito  di  procreazione  medicalmente  assistita  eterologa
effettuata all'estero da una coppia di due donne. 
    L'art. 8 disciplina proprio lo stato giuridico del nato e prevede
che  «I  nati  a  seguito   dell'applicazione   delle   tecniche   di
procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati  nel
matrimonio o di figli riconosciuti dalla coppia che  ha  espresso  la
volonta' di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi  dell'art.  6»,
mentre  l'art.  9  sancisce  il  divieto  di  disconoscimento   della
paternita' e  di  impugnazione  del  riconoscimento  per  difetto  di
veridicita', anche per l'ipotesi di fecondazione eterologa  praticata
in deroga al divieto previsto  prima  degli  interventi  della  Corte
costituzionale (sentenze numeri  162/2014  e  96/2015):  «Qualora  si
ricorra a tecniche di procreazione  medicalmente  assistita  di  tipo
eterologo, il coniuge o il convivente il cui consenso  e'  ricavabile
da atti concludenti non puo' esercitare l'azione  di  disconoscimento
della paternita' nei casi previsti dall'art. 235, primo comma, numeri
1) e 2) [norma oggi abrogata] del codice civile,  ne'  l'impugnazione
di cui all'art. 263 dello stesso codice». 
    Si deve riconoscere che una prima superficiale analisi del  testo
di tali norme  potrebbe  portare  a  condividere  la  tesi  di  parte
ricorrente: in particolare in tal senso potrebbe  deporre  l'art.  9,
comma 1, che nel suo testo originario gia' disciplinava la patologia,
ossia le  conseguenze  per  i  nati  del  ricorso  alla  fecondazione
eterologa all'epoca non consentita. 
    Tuttavia,  l'interpretazione  sistematica  e  logica  inducono  a
dubitarne, posto che la prima versione dell'art. 9 si  riferiva  solo
al difetto del requisito oggettivo di cui all'art. 4, comma  3  della
legge n. 40/2004 e non dei requisiti soggettivi di  cui  all'art.  5,
fra i quali vi e' la diversita' di sesso dei componenti della coppia.
Non solo; anche  di  recente,  la  Corte  costituzionale  ha  escluso
l'interpretazione estensiva proposta dalla ricorrente, come si  legge
nella motivazione della  sentenza  n.  237/2019,  che  ha  dichiarato
inammissibile la questione di legittimita' costituzionale  norma  che
si desume dagli articoli 250 e 449 del codice civile, 29, comma 2,  e
44, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica  3  novembre
2000, n. 396, 5 e  8  della  legge  19  febbraio  2004,  n.  40,  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 30 e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli  3  e  7  della
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio  1991,
n. 176. La Corte infatti, nel paragrafo 3.1.1. della motivazione, pur
riconoscendo che «la genitorialita' del nato a seguito di  ricorso  o
tecniche di P.M.A. e' legata anche al  "consenso"  prestato,  e  alla
responsabilita' conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti  che
hanno potuto accedere ad una tale tecnica procreativa»  ha  precisato
che cio' presuppone che «coinvolte  nel  progetto  di  genitorialita'
cosi'  condiviso  siano  coppie  "di  sesso  diverso".   Per   quanto
espressamente disposto dall'art 5 della  predetta  legge  n.  40  del
2004, le coppie dello stesso sesso non possono accedere alle tecniche
di P.M.A.». 
    Ne consegue che, allo  stato  della  legislazione,  il  requisito
soggettivo della diversita' di sesso per accedere  alla  procreazione
medicalmente assistita, letto  anche  in  relazione  alle  norme  del
codice  civile  sulla  filiazione,  esclude   l'opzione   ermeneutica
proposta dalla ricorrente, in  virtu'  della  quale  dovrebbe  essere
accertato de plano per le bambine lo  stato  di  figlie  riconosciute
anche  da  parte   della   madre   intenzionale   in   virtu'   della
partecipazione al progetto procreativo ed in particolare del consenso
prestato (si veda doc.2 di parte ricorrente),  con  forme  del  tutto
equivalenti a quelle previste dall'art. 6  della  medesima  legge  n.
40/2004.  Per  le  medesime  ragioni,  sempre  secondo  la  normativa
vigente, deve escludersi anche l'opzione proposta in via  subordinata
secondo la quale alla madre intenzionale deve  essere  consentito  di
procedere al  riconoscimento,  previa  autorizzazione  da  parte  del
'Tribunale in  caso  di  dissenso  della  madre  biologica  ai  sensi
dell'art. 250 del codice civile. 
    Quanto ad altre soluzioni  praticabili,  come  si  e'  visto,  la
giurisprudenza  italiana  ha  riconosciuto  in   casi   analoghi   la
trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero, ove la  nascita
fosse avvenuta in un altro  Paese  la  cui  legislazione  ammette  la
omogenitorialita',  oppure,  in  alcune  decisioni  di   merito,   ha
consentito la  formazione  dell'atto  di  nascita  sulla  base  delle
dichiarazioni rese  da  entrambe  le  donne  all'ufficiale  di  stato
civile, ma questa seconda soluzione non costituisce  diritto  vivente
in quanto non unanimemente condivisa. E' invece ritenuta percorribile
la via dell'adozione del figlio da parte del partner omosessuale  del
genitore biologico ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera  d)  della
legge n. 184/1983. 
    Tali soluzioni, come anche riconosciuto dalla Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, sono tutte idonee a realizzare la tutela,  ma  nel
caso in esame non sono praticabili, perche' le bambine sono  nate  in
Italia e non vi sono le condizioni per accedere  all'adozione,  posto
che non vi e' l'assenso della madre biologica, unico genitore  legale
(docc. 4 e 5 di parte ricorrente) e  tale  dissenso  e'  ostativo  ai
sensi dell'art. 46 della legge n. 184/1983. 
    Con riferimento  alla  possibilita'  di  rettifica  dell'atto  di
nascita (chiesta in via ulteriormente subordinata dalla  ricorrente),
si deve osservare che nell'atto  di  nascita  delle  minori  e'  solo
indicata la madre biologica e le  bambine  sono  indicate  come  nate
«dall'unione naturale di essa dichiarante con un  uomo  ne'  parente,
ne' affine»; peraltro, poiche' ai  sensi  dell'art.  236  del  codice
civile la filiazione si prova con  l'atto  di  nascita  iscritto  nei
registri dello stato civile, consentire la rettifica senza  porsi  il
problema della riconoscibilita' del rapporto sottostante  costituisce
un modo per eludere la questione, che attiene allo status e non  alla
prova dello stesso e che, per l'importanza dei diritti in gioco,  non
puo' essere lasciata  a  interpretazioni  (discordanti)  dei  singoli
ufficiali di stato civile  dei  quasi  8000  comuni  italiani  e  dei
singoli tribunali che non hanno  espresso  un  orientamento  univoco.
Questo  Collegio  peraltro,  allo  stato  della  normativa   vigente,
condivide  i  forti  dubbi  sulla  percorribilita'  della  via  della
rettificazione espressi con l'ordinanza 1° aprile 2019 del  Tribunale
di  Venezia,  che  ha  rimesso  a  codesta  Corte  la  questione   di
legittimita'  costituzionale  anche  dell'art.  29  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 396/2000. 
    Non  essendoci  nella  fattispecie  concreta  le  condizioni  per
procedere all'adozione in casi particolari, si ravvisa  un  vuoto  di
tutela, non colmabile con l'interpretazione logica, analogica  o  per
principi delle norme del codice civile e della legge n.  40/2004  (ed
in particolare delle norme di cui agli articoli 8 e 9 della legge  n.
40/2004 e all'art. 250 del codice civile), se non forzandone il senso
in modo non consentito ai giudici diversi dalla Corte costituzionale.
A conferma di cio', la soluzione di interpretare nel  senso  proposto
gli articoli 8 e 9 della legge  n.  40/2004  e'  stata  espressamente
esclusa  dalla  stessa  Corte  costituzionale  con  la  decisione  n.
237/2019, come si e'  sopra  gia'  esposto,  cosicche'  non  si  puo'
ritenere  che  sia  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
delle medesime norme. 
    In sintesi, il vuoto di tutela si ravvisa proprio nel  fatto  che
non possano trovare applicazione le norme di cui agli articoli 8 e  9
della legge n. 40/2004  e  250  del  codice  civile  per  i  nati  da
fecondazione assistita eterologa praticata nell'ambito di un progetto
procreativo di una coppia formata da due donne  e  non  sussistano  i
presupposti per procedere all'adozione in  casi  particolari,  sempre
che sia accertata la sussistenza dell'interesse dei minori. 
    Questo Collegio, benche' riconosca che l'individuazione dei  modi
di  riconoscimento  del  legame  dovrebbe  spettare  innanzitutto  al
legislatore, ritiene che  la  circostanza  che  quest'ultimo,  pur  a
fronte dell'importanza degli interessi in  gioco,  non  abbia  ancora
provveduto a disciplinare la fattispecie costituisca una  scelta  che
esorbita dal margine di discrezionalita', in quanto contrastante  con
i diritti costituzionali e convenzionali sopra gia' menzionati. 
    Incidentalmente, si deve rilevare che una  decisione  di  rigetto
del giudice comune con enfatizzazione della  lacuna  legislativa  non
potrebbe avere l'effetto che hanno  le  sentenze-monito  della  Corte
costituzionale, fra le  quali  paradigmatica  e'  proprio  quella  n.
347/1998 in materia  di  disconoscimento  del  figlio  nato  mediante
procreazione   medicalmente   assistita,   «ispiratrice»   del   gia'
menzionato art. 9 della legge n. 40/2004. 
    Gli interessi  di  cui  si  invoca  la  tutela  sono  di  massima
importanza e sono sanciti dalle norme di cui agli articoli 2, 3, 30 e
117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 2, 3,
4, 5, 7, 8, 9 dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo
del 29 novembre 1989, ratificata  dall'Italia  con  legge  27  maggio
1991, n. 176 e agli  articoli  8  (diritto  al  rispetto  della  vita
privata  e  familiare)  e  14  (divieto  di  discriminazione)   della
Convenzione EDU, quali norme interposte, come vengono interpretate in
modo costante dalla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  con  le
sentenze e il parere consultivo sopra menzionati. Ne' tale  contrasto
e' bilanciato con la tutela di interessi di  pari  importanza,  posto
che  per  la  giurisprudenza  oramai  consolidata   la   fecondazione
eterologa praticata  da  due  donne  non  determina  la  contrarieta'
all'ordine  pubblico  dell'atto  di  nascita  formato  all'estero,  a
differenza di quanto  ravvisato  per  l'ano  di  nascita  (o  per  il
provvedimento giurisdizionale straniero) di bambino nato a seguito di
gestazione per altri. 
    Con riferimento all'art. 2 della Costituzione, la  violazione  e'
ravvisabile nell'assenza di tutela del diritto inviolabile del minore
ad avere un'identita' che gli consenta di  veder  riconosciuti  e  di
poter azionare i suoi diritti nei confronti di chi si e'  assunto  la
responsabilita'  della  procreazione,  anche   nell'ambito   di   una
formazione  sociale  che,  benche'  non  sussumibile  nella  famiglia
tradizionale, e' comunque meritevole di tutela (cosi' Corte Cost.  n.
138/2010). 
    Si ravvisa in secondo luogo una violazione degli articoli 3 e 117
della Costituzione e dell'art. 14 della Convenzione EDU  quale  norma
interposta,  in   presenza   di   un'ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra i nati, non solo a seconda che siano stati  concepiti
con fecondazione eterologa praticata da  coppia  eterosessuale  o  da
coppia omosessuale, ma anche a seconda che siano stati  concepiti  da
fecondazione eterologa praticata da coppia  omosessuale  che  possano
essere adottati o che non  possano  esserlo,  essendo  questi  ultimi
destinati ad un perenne stato di figli  con  un  solo  genitore,  non
riconoscibili dall'altra  persona  che  ha  contribuito  al  progetto
procreativo.  Consentire  il  permanere   di   tale   discriminazione
significherebbe legittimare nel nostro sistema una  nuova  (e  unica)
categoria  di  nati  non  riconoscibili,  che   ricorda   tristemente
categorie gia' fortemente discriminate in passato e  superate  grazie
all'evoluzione sociale e giuridica stimolata soprattutto dai principi
costituzionali: ci si riferisce alla categoria dei  figli  adulterini
(nel linguaggio comune, con connotazione spregiativa «bastardi»)  non
riconoscibili prima della riforma del diritto di famiglia di cui alla
legge n. 151/1975 e a quella dei figli di persone tra le quali esista
un legame di parentela in linea retta all'infinito  e  in  linea  col
laterale  nel  secondo  grado  o  di   affinita'   in   linea   retta
(incestuosi), che, nonostante la illiceita' penale,  in  presenza  di
pubblico scandalo, della condotta  che  ha  portato  al  concepimento
(art. 564 c.p.), con l'attuale formulazione dell'art. 251 del  codice
civile possono essere riconosciuti  con  autorizzazione  del  giudice
«avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessita' di evitare
allo stesso qualsiasi pregiudizio». 
    A cio' si aggiunga che la nuova categoria di  nati  assolutamente
non  riconoscibili  stona  anche  apertamente  con  il  principio  di
unicita' dello status giuridico dei figli che ha connotato tutti  gli
interventi legislativi piu' recenti in materia di figliazione  (oltre
alla legge n. 219/2012 anche il (decreto legislativo n.  154/2013)  e
che si estende anche ai figli adottivi di coppia dello stesso sesso. 
    L'irragionevolezza si desume altresi' dal fatto  che  non  sempre
nel nostro sistema verita' biologica  e  verita'  legale  coincidono:
oltre all'art. 9 della legge  n.  40/2004  in  caso  di  fecondazione
eterologa, che ha sostituito il consenso al dato genetico,  anche  la
previsione di stretti  termini  di  decadenza  dall'impugnazione  del
riconoscimento per difetto di veridicita'  ammette  che,  decorso  il
termine, sia protratta una situazione legale  di  genitorialita'  che
non corrisponde alla realta' biologica (art. 263 del codice civile). 
    La violazione dei principi di cui articoli 2, 3, 30 e  117  della
Costituzione  e  dell'art.  8  della  Convenzione  EDU  quale   norma
interposta,  sussiste  anche  con   riferimento   al   diritto   alla
bigenitorialita', ossia al diritto  di  ogni  bambino  ad  avere  due
persone che si assumono la responsabilita' (e non piu'  la  potesta')
di provvedere al suo mantenimento,  alla  sua  educazione,  alla  sua
istruzione,  nei  confronti  delle  quali   poter   vantare   diritti
successori, ma soprattutto poter agire in caso di inadempimento e  di
crisi della coppia. Invero, proprio la tutela dei bambini anche nella
fase di crisi della  coppia  costituisce  il  banco  di  prova  della
effettivita' della tutela stessa; e' noto infatti che il diritto alla
bigenitorialita' e' stato approfondito  dalla  legislazione  e  della
giurisprudenza soprattutto nell'ambito della patologia  dei  rapporti
familiari (separazione e divorzio, crisi tra genitori non coniugati),
che connota la fattispecie concreta in esame. 
    In altre parole, i nati da fecondazione  eterologa  praticata  da
due donne, ove non sia percorribile l'adozione in  casi  particolari,
nel nostro ordinamento attuale si trovano in una situazione giuridica
diversa e deteriore  rispetto  a  quella  di  tutti  gli  altri  nati
(compresi i nati da rapporto incestuoso), senza che  cio'  trovi  una
giustificazione diversa dal mero orientamento sessuale delle  persone
che hanno (legalmente) partecipato al progetto procreativo. 
    Reputa  il  Tribunale  che,  a  fronte  di  una   situazione   di
irragionevole discriminazione, che comporta un pesante stigma fin dal
momento della nascita, sia compito dello Stato rimuovere gli ostacoli
di ordine sociale che limitando di fatto  l'uguaglianza,  impediscono
il pieno sviluppo della persona (art. 3, 2° comma Cost.). 
    Quanto  alle  norme  convenzionali  sopra  menzionate,  la  Corte
costituzionale ha sempre affermato la  sua  competenza  a  risolvere,
attraverso il sindacato di legittimita' costituzionale, il  contrasto
tra  norme  interne  e  norme  pattizie  internazionali  (cfr.  Corte
costituzionale numeri 348 e 349 del 2007; n. 39/2008;  numeri  311  e
317 del 2009; numeri 138 e 187 del 2010; numeri 1, 80, 113, 236,  303
del 2011, n. 78/2012).  In  particolare,  essa  ha  statuito  che  il
contrasto di una norma nazionale  con  una  norma  convenzionale,  in
particolare della Convenzione  EDU,  si  traduce  in  una  violazione
dell'art. 117, primo comma, della Costituzione e alla Convenzione EDU
e' attribuito valore subcostituzionale. 
    Oltre  agli  articoli  8  e  14  della  Convenzione   EDU,   come
interpretati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,  i  parametri
convenzionali  piu'  rilevanti  sono  gli  articoli  2  e   3   della
Convenzione  di  New  York  sui  diritti  del  fanciullo,  di  cui  i
successivi articoli 4, 5, 7, 8 e 9 costituiscono  specificazioni.  In
particolare, con la ratifica anche lo Stato  italiano,  insieme  agli
altri Stati firmatari, si sono  impegnati  «a  rispettare  i  diritti
enunciati nella Convenzione ed a garantirli  ad  ogni  fanciullo  che
dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione  di  sorta  ed  a
prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso,  di
lingua, di religione, di opinione politica o altra  del  fanciullo  o
dei  suoi  genitori  o  rappresentanti  legali,  dalla  loro  origine
nazionale, etnica o sociale,  dalla  loro  situazione  finanziaria  ,
dalla  loro  incapacita',  dalla  loro  nascita  o  da   ogni   altra
circostanza;  e  ad  adottare  "tutti  i  provvedimenti   appropriati
affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni  forma
di discriminazione o di sanzione motivate dalla  condizione  sociale,
dalle attivita', dalle opinioni professate  o  convinzioni  dei  suoi
genitori, dei suoi rappresentanti  legali  e  dei  suoi  familiari."»
(art.  2).  Si  e'  inoltre  impegnato  a  tenere  in  considerazione
«l'interesse preminente del minore» in tutte le decisioni relative ai
bambini (art. 3). 
    E' sulla base di tutte le considerazioni esposte che il Tribunale
e' giunto al convincimento della  non  manifesta  infondatezza  della
questione di illegittimita' costituzionale delle norme  di  cui  agli
articoli 8 e 9 legge n. 40/2004 e  250  del  codice  civile  laddove,
sistematicamente interpretate, non consentono ai nati nell'ambito  di
un  progetto  di  procreazione   medicalmente   assistita   eterologa
praticata da una coppia di donne l'attribuzione dello status di figli
riconosciuti di entrambi i componenti della coppia, ove non vi  siano
le condizioni per procedere  all'adozione  nei  casi  particolari  ai
sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983 e sia
accertato giudizialmente l'interesse del minore. 
    Valutera' la Corte ai sensi dell'art. 27 della legge n.  87/1953,
qualora ritenesse la questione fondata, se vi sia  la  necessita'  di
estendere  la  pronuncia  anche  ad  altre  disposizioni  legislative
interessate in via di consequenzialita'. 
    In punto di rilevanza, si osserva che l'applicazione delle  norme
indicate e' evidentemente  ineliminabile  nell'iter  logico-giuridico
che questo remittente deve percorrere per la decisione:  infatti,  in
caso di  dichiarazione  di  fondatezza  della  questione  cosi'  come
sollevata, le norme  sarebbero  applicabili  alla  fattispecie  e  il
Tribunale potrebbe valutare nel merito le domande; mentre, in caso di
non accoglimento, l'attuale  stato  della  normativa  imporrebbe  una
pronuncia di rigetto, per quanto sopra esposto  in  ordine  alla  non
applicabilita' degli  articoli  8  e  9  della  legge  n.  40/2014  e
dell'art. 250 del codice civile alla fattispecie. 
    Il procedimento va quindi sospeso, con rimessione degli atti alla
Corte costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti ed applicati gli articoli 23 e ss.  della  legge  11  marzo
1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale delle norme di cui agli  articoli  8,  9,
legge n. 40/2004 e 250 del codice civile  -  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3 primo e secondo comma,  30  della  Costituzione,  dagli
articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8,  9  dalla  Convenzione  di  New  York  sui
diritti del fanciullo del 29 novembre  1989,  ratificata  dall'Italia
con legge 27 maggio 1991, n. 176 e dall'art. 8 della Convenzione  EDU
- laddove non consentono  al  nato  nell'ambito  di  un  progetto  di
procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia
di donne l'attribuzione dello status  di  figlio  riconosciuto  anche
della donna che  insieme  alla  madre  biologica  abbia  prestato  il
consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per
procedere all'adozione nei casi particolari ai  sensi  dell'art.  44,
comma  1,  lettera  d)  della  legge  n.  184/1983  e  sia  accertato
l'interesse del minore. 
    Sospende il procedimento in corso; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti, al pubblico  ministero  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, e che ne sia data comunicazione ai presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
        Padova, 3 novembre 2019 
 
                     Il Presidente est.: Guerra