N. 79 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 2019
Ordinanza del 9 dicembre 2019 del Tribunale di Padova nel procedimento civile promosso da B. V. contro R. C. . Stato civile - Stato giuridico del nato (in Italia) a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo praticate all'estero nell'ambito di un rapporto procreativo di una coppia formata da due donne - Preclusione dell'attribuzione dello status di figlio riconosciuto di entrambi i componenti della coppia, ove non ricorrano le condizioni per procedere all'adozione in casi particolari e sia accertata giudizialmente la sussistenza dell'interesse del minore. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), artt. 8 e 9; codice civile, art. 250.(GU n.28 del 8-7-2020 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA Prima Sezione civile Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Antonella Guerra, Presidente rel.; dott. Chiara Ilaria Bitozzi, giudice; dott. Marilina Termini, giudice; all'esito dell'udienza del 28 ottobre 2019 nel procedimento iscritto al n. r.g. 1732/2019 promosso da: V. B., con l'avv. Schuster Alexander, ricorrente; contro C. R., con l'avv. Nardacchione Rosa Carla, resistente; con l'intervento del pubblico ministero. Oggetto: Altri istituti di V.G. e procedimenti camerali in materia di famiglia. Ha emesso la seguente ordinanza. Con ricorso depositato il 19 febbraio 2019 la ricorrente ha adito il Tribunale affinche' fossero accolte le seguenti domande: «A. In via principale: voglia autorizzare l'istante V. B. a dichiarare all'ufficiale di stato civile del Comune di ... di essere genitore - ovvero voglia lo stesso Tribunale dichiarare con sentenza che V. B. e' genitore - per aver prestato il consenso alle tecniche di fecondazione assistita con donatore anonimo di gamete maschile in esito alle quali sono nate le minori N. M. R. e V. M. R. nate entrambe a ... B. In subordine alla domanda sub A: voglia autorizzare l'istante V. B. a riconoscere avanti all'ufficiale di stato civile del Comune di ... quale genitore - ovvero accertare con sentenza il riconoscimento quale genitore delle - minori N. M. R. e V. M. R. nate entrambe a ... per aver prestato il consenso alle tecniche di fecondazione assistita con donatore anonimo di gamete maschile in esito alle quali esse sono nate, pronunciando ai sensi dell'art. 250, comma 4, del codice civile una sentenza che tenga luogo del consenso rifiutato dalla madre che gia' ebbe a dichiararne la nascita e a riconoscerle; C. In ulteriore subordinare alla domanda sub B: voglia ordinare all'ufficiale dello stato civile del Comune di ... ex articoli 95 ss. decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 la rettificazione degli atti di nascita delle minori N. M. R. e V. M. R., si' che risulti che le stesse sono nate a seguito di tecniche di fecondazione assistita con donatore anonimo di gamete maschile con consenso prestato dalla signora C. R., partoriente, e dalla signora V. B. D. Voglia ai sensi dell'art. 250, comma IV ultimo periodo e dell'art. 262 del codice civile disporre per le minori anzidette l'attribuzione del cognome «R. B. » in luogo di «R.»; E. Voglia pronunciare i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'art. 315-bis del codice civile e in particolare: invitare le madri ad avviare un percorso di supporto psicologico ed educativo al fine di superare la posizione conflittuale e dare una spiegazione alle minori in merito alla improvvisa assenza della madre B., in modo che emerga, compatibilmente con l'eta', il mutamento di quadro giuridico del loro stato civile, ma nel contempo si eviti altresi' ogni modalita' comunicativa che possa arrecare pregiudizio e trauma nelle minori: in caso di rifiuto della R. a seguire un tale percorso, ordinare che il costo del servizio di assistenza predetto a sostegno della B. e delle minori sia sostenuto dalla R. , anche a titolo di risarcimento per il danno endo-familiare alla relazione genitore-figlio da questa arrecato con la propria condotta; F. In caso di opposizione della convenuta R. Voglia ai sensi dell'art. 250, comma IV, terzo periodo del codice civile, nonche' ai sensi dell'art. 336, comma 3, codice civile, nonche' quindi con decreto immediatamente efficace ex articoli 333-336 del codice civile e art. 741 codice di procedura civile: adottare tutti i provvedimenti utili ad eliminare le cause del pregiudizio arrecato dalla sig.ra C. R. alla serena e equilibrata crescita delle minori N. M. R. e V. M. R. e in particolare determinare la pertinente limitazione della responsabilita' genitoriale del genitore C. R.; ordinare a questa di consentire alla ricorrente di assumere la cura delle minori per almeno un giorno con pernottamento a settimana, nonche' con pernottamento presso l'abitazione della ricorrente dal venerdi' dopo scuola fino all'inizio della scuola il lunedi' a fine settimana alterni, cosi' come di non porre in essere condotte volte ad escludere dalla ricorrente dalla vita affettiva e sociale delle minori. G. In caso di opposizione della convenuta R. alla domanda di affidamento e mantenimento con eccezioni di non pronta soluzione che impongano una ulteriore e specifica istruzione, si chiede sin d'ora che il Tribunale voglia emettere ex art. 277 e ex art. 279, comma 2, n. 4 del codice di procedura civile sentenza non definitiva che tenga luogo del consenso mancante, essendo la pronta costituzione dello stato formale di genitore delle minori di interesse rilevante per la parte ricorrente. Sempre in caso di opposizione, con condanna della stessa alla rifusione delle spese e diritti del giudizio». A sostegno del ricorso, ha esposto che: tra la ricorrente e la signora C. R. vi era stata una relazione affettiva durata dal 2007 al febbraio 2017, con convivenza a partire dal 2008, ma la relazione non fu mai formalizzata, ne' con unione civile, ne' con matrimonio; nel 2010 le due compagne decisero di intraprendere un percorso di fecondazione assistita eterologa e, dopo alcuni tentativi infruttuosi ai quali si sottoposero prima la ricorrente e poi la resistente, insieme si rivolsero alla clinica IVI di Barcellona per procedere alla fecondazione con stimolazione ormonale, per la quale entrambe prestarono il consenso scritto; a seguito di fecondazione in vitro con sperma di donatore anonimo la R. rimase incinta e il ... diede alla luce due bambine, N. M. e V. M.; fino al febbraio 2017 entrambe le donne sono state coinvolte nella vita, nella cura e nell'educazione delle bambine; quando il rapporto entro' in crisi le parti elaborarono un accordo scritto nel quale disciplinarono sia gli aspetti economico patrimoniali sia quelli personali, concordando la residenza prevalente delle figlie presso la madre biologica, gli incontri con la ricorrente a fine settimana alternati e una o due volte durante la settimana e un contributo al mantenimento delle bambine a carico della ricorrente pari ad euro 300 mensili; nel luglio 2018 la ricorrente propose di procedere all'adozione in casi particolari, ma la resistente nego' la propria disponibilita' e, pressoche' contemporaneamente, le revoco' la delega al prelievo a scuola, le comunico' che non avrebbe piu' potuto vedere le bambine e inizio' a rifiutare il bonifico bancario con il contributo al mantenimento; da allora cessarono i rapporti tra la ricorrente e le bambine; ella chiese successivamente il consenso al riconoscimento, che tuttavia la resistente nego'. Con decreto 27 maggio 2019 il Presidente di sezione fissava udienza al 29 ottobre 2019, assegnando termine per la notifica e per il deposito di memoria difensiva. Gli atti sono stati trasmessi al pubblico ministero per l'intervento. La resistente, costituendosi, ha eccepito l'inammissibilita' delle domande e, nel merito, per l'ipotesi in cui fosse ritenuta ammissibile la domanda di riconoscimento delle minori da parte della ricorrente, ne ha chiesto il rigetto, per essere la stessa destituita di fondamento fattuale e giuridico e per essere in ogni caso contraria all'interesse delle minori. In particolare, la resistente ha sostenuto che: le norme sul riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio non prevedono il riconoscimento da parte della coppia omosessuale, come si desume dal tenore letterale dell'art. 250, primo comma del codice civile; l'art. 5 della legge n. 40/2005 vieta alle coppie di omosessuali di far ricorso alla procreazione medicalmente assistita e tale divieto e' stato confermato anche dalla recente decisione n. 221/2019 della Corte costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevare dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano; anche la legge sulle unioni civili ha escluso l'applicazione delle norme sulla filiazione per le coppie dello stesso sesso; la ricorrente e' priva di un legame biologico o legale con le bambine, posto che non vi era mai stata progettualita' per dare veste legale al rapporto, ne' alcuna iniziativa di adozione, proposta dalla ricorrente solo a rapporto finito; il ricorso tende alla tutela di un interesse proprio della ricorrente, piu' che di un interesse delle bambine; il rapporto con la ricorrente era un rapporto claudicante, non vi era mai stata residenza anagrafica comune, ne' unione civile. All'udienza del 29 ottobre 2019 le parti comparivano personalmente con i loro procuratori e la causa era discussa oralmente. Dai documenti prodotti e dalle allegazioni non contestate risulta inequivocabilmente che la coppia ha condiviso il progetto di procreazione, che un primo tentativo era stato effettuato in Danimarca con una fecondazione praticata sulla stessa ricorrente, che le parti, pur senza residenza anagrafica comune, hanno convissuto anche dopo la nascita delle bambine per quasi cinque anni, con coinvolgimento di entrambe nella cura, nell'educazione e nella crescita delle piccole, le quali ora hanno sette anni e, per gli ostacoli frapposti dalla madre biologica, da piu' di un anno non hanno rapporti con la ricorrente (che chiameremo madre intenzionale, mutuando una terminologia oramai divenuta di uso comune). La questione centrale nella presente controversia attiene allo status dei nati (in Italia) a seguito di procreazione medicalmente assistita praticata all'estero da una coppia omosessuale composta da due donne, nella quale una delle due si sia sottoposta a fecondazione eterologa e abbia portato a termine la gravidanza, divenendo la madre biologica del nato, e la compagna abbia prestato espressamente il suo consenso al progetto procreativo. Le peculiarita' della fattispecie in esame, rispetto ad altre gia' oggetto di decisioni giurisprudenziali, attengono alla nascita in Italia delle bambine, alla mancata dichiarazione congiunta davanti all'ufficiale di stato civile in occasione della nascita, alla sopravvenuta cessazione della relazione affettiva tra le due donne e all'impraticabilita' dell'adozione in casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983, per la quale l'art. 46 della medesima legge prescrive l'assenso dei genitori dell'adottando, che nel caso in esame dovrebbe essere espresso dall'unico genitore legale. Pertanto, nonostante il progetto condiviso, la convivenza durata per cinque anni e una relazione di fatto genitoriale intrattenuta con la ricorrente fino al 2017 - fatti incontestati -, attualmente le bambine risultano legalmente figlie della sola signora C. R., madre biologica, che non consente ne' il riconoscimento, ne' l'adozione e vieta ogni rapporto con la ricorrente. il Tribunale per i minorenni e' intervenuto, finora inutilmente, ai sensi dell'art. 333 del codice civile. La controversia pone delicati interrogativi, nel non facile compito di procedere all'inquadramento nella corretta cornice giuridica e di ricercare nel complessivo sistema normativa l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione richiesta. Innanzitutto, quanto al rito, la ricorrente ha scelto le forme processuali di cui al rito camerale (articoli 737 e ss c.p.c.), in assenza di una forma specifica per l'azione svolta; al riguardo, si osserva che secondo l'orientamento consolidato della Corte di cassazione (fra le molte, Cass. 30 maggio 2013, n. 13639, Cassazione 18 agosto 2006, n. 18201, nonche' numeri 15125/2000, 11658/1998 e 12657/1993) l'adozione del rito camerale in luogo di quello ordinario non induce ad alcuna nullita' (o improcedibilita') ove, in concreto, non venga eccepito e provato che dall'erronea inversione sia derivato un effettiva pregiudizio per alcuna delle parti relativamente al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, piu' in generale, a quant'altro possa aver impedito o anche soltanto ridotto la liberta' di difesa consentita nel giudizio ordinario; infatti, anche a voler ritenere nullo l'atto introduttivo non conformato secondo il modello legale (ricorso anziche' citazione), occorre considerare che tale nullita' rientrerebbe pur sempre fra quelle formali di cui all'art. 156 del codice di procedura civile, sanabili con il raggiungimento dello scopo, e che per eventuali inosservanze a regole del procedimento ordinario, ivi comprese quelle relative al termine di comparizione di cui all'art. 163-bis del codice di procedura civile, il giudice investito della domanda potrebbe disporre d'ufficio la conversione dell'atto introduttivo, mediante la rinnovazione dell'atto, salvo che la parte convenuta non si sia comunque costituita difendendosi compiutamente nel merito (il che e' accaduto nel caso specifico in esame). Invero, anche sulla scia della giurisprudenza costituzionale (si vedano Corte costituzionale 18 maggio 1972, n. 89 e 6 giugno 1973, n. 73), si puo' ritenere che la tutela giurisdizionale non debba essere concepita come mera forma astratta, indifferente rispetto alle caratteristiche del diritto da accertare, ma debba tener conto delle esigenze del caso concreto, ossia tendere all'effettivita'. Non vi e' quindi ragione per dubitare che anche la tutela sommaria offerta dal rito camerale possa conseguire gli stessi effetti della tutela c.d. ordinaria, a patto che siano rispettati i fondamentali diritti delle parti di difendersi e di controdedurre. Applicando tali principi al caso concreto, deve escludersi che la procedura instaurata con rito camerale abbia comportato la lesione del diritto di difesa e del contraddittorio, tanto piu' che la resistente non ha sollevato eccezioni processuali in tal senso ed ha svolto complete difese. Nel merito, va premesso che sebbene la fecondazione eterologa tra coppie dello stesso sesso sia illegale nei nostro Paese - e cio' per espressa scelta del legislatore (art. 5 della legge n. 40/2004), non costituzionalmente censurabile (cosi' Corte costituzionale n. 221/2019) -, non lo e' in altri Paesi anche europei, ne' e' vietato alle coppie italiane dello stesso sesso sottoporvisi; non sono previste infatti sanzioni per coloro che ricorrano alla stessa, nemmeno se praticata in Italia; l'art. 12, comma 2 della legge n. 40/2004 infatti stabilisce sanzioni amministrative pecuniarie esclusivamente per coloro (medici e strutture) che applichino nel territorio nazionale «tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie ...composte da soggetti dello stesso sesso». Del tutto legittimamente, quindi, alcune coppie composte da persone dello stesso sesso si recano all'estero per praticare la fecondazione eterologa, realizzando insieme un progetto di genitorialita' che porta alla nascita di bambini, che, in quanto persone, sono portatori di propri diritti, distinti da quelli di coloro che hanno scelto di intraprendere il percorso procreativo. E' chiaro infatti, e al riguardo vi e' anche sufficiente consenso sociale, che dall'illegalita' (amministrativa) della tecnica nel territorio nazionale non possa conseguire una limitazione dei diritti delle persone nate a seguito della medesima, sulle quali, evidentemente, non puo' ricadere la responsabilita' dei modi in cui e' avvenuta la procreazione. Cio' e' stato affermato in modo chiaro anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 947/1998, ancor prima dell'introduzione della legge n. 40/2004, in sede di valutazione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 235 del codice civile, norma che consentiva di esperire l'azione per il disconoscimento di paternita' al marito che, affetto da impotenza nel periodo che va dal trecentesimo al centottantesimo giorno prima della nascita del figlio concepito durante il matrimonio, avesse dato il proprio consenso all'inseminazione artificiale eterologa della moglie. In tale pronuncia la Corte evidenzio' che non era in gioco la legittimita' dell'inseminazione artificiale eterologa, bensi' che si trattava di tutelare «la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti sono le garanzie per il nuovo nato ..., non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli articoli 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima - in base agli articoli 30 e 31 della Costituzione - ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendo le relative responsabilita'» (la sottolineatura e' dell'estensore). Tale principio ha trovato ampia applicazione nel diritto vivente, ed in particolare: a) nella giurisprudenza di legittimita' e in parte della giurisprudenza di merito che ammettono la trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero di minori nati a seguito di fecondazione assistita eterologa intrapresa da coppie formate da due donne (si vedano in particolare Cassazione 15 giugno 2017, n. 14878 e Cassazione 30 settembre 2016, n. 19599, che hanno escluso la contrarieta' all'ordine pubblico dell'atto straniero, validamente formato, nel quale risulti la nascita di un figlio da due donne concepito con fecondazione eterologa, dovendosi avere riguardo al principio, di rilevanza costituzionale primaria, del superiore interesse del minore, che si sostanzia nel suo diritto alla conservazione dello status filiationis, validamente acquisito all' estero); b) nella giurisprudenza che ammette nel caso di fecondazione eterologa da parte di una coppia omosessuale l'adozione ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983 (cosi' Cassazione 31 maggio 2018, n. 14007 e Cassazione 27 giugno 2016, n. 12962), quest'ultima perfino nei casi in cui vi sia stata la gestazione per altri (surroga di maternita'), pratica - costituente illecito penale e non solo amministrativo ai sensi dell'art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004 -, che e' stata ritenuta dalle Sezioni Unite (Cass. ss.uu. 8 maggio 2019, n. 12193) impeditiva della trascrizione del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione con i genitori intenzionali, per contrasto con l'ordine pubblico internazionale; c) nella recente sentenza 15 maggio 2019, n. 13000 della Corte di cassazione che ha ammesso l'accertamento del rapporto di filiazione anche in caso di fecondazione assistita post mortem, pratica pure non consentita e sanzionata dall'art. 12, comma 2 della legge n. n. 40/2004, nella quale cosi' si argomenta: «E' chiaro, infatti, che qualsivoglia considerazione riguardante la valutazione in termini di illiceita'/illegittimita', in Italia, della tecnica di P.M.A. in precedenza specificamente richiamata, oltre che, eventualmente, delle condotte di coloro che ne consentono l'accesso o l'applicazione, non potrebbe certamente riflettersi, in negativo, sul nato e sull'intero complesso dei diritti a lui riconoscibili. In altre parole, la circostanza che si sia fatto ricorso all'estero a P.M.A. non espressamente disciplinata (o addirittura non consentita) nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone, nel preminente interesse dal nato, l'applicazione di tutte le disposizioni che riguardano lo stato del figlio venuto al mondo all'esito di tale percorso, come, peraltro, affermato, con chiarezza, della Corte europea dei diritti dell'uomo nelle due sentenze "gemelle" Mennesson c. Francia (26 giugno 2014, ric. n. 65192/11) e Labassee' c. Francia (26 giugno 2014, ric. n. 65941/11), oltre che sancito anche dalla Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 347 del 1998, che (ancor prima del sopravvenire della legge n. 40 del 2004) sottolineo' la necessita' di distinguere tra la disciplina di accesso alle tecniche di P.M.A. e la doverosa, e preminente, tutela giuridica del nato, significativamente collegata alla dignita' dello stesso"; ancora "le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia non possono ricadere su chi e' nato, di cio' essendosi mostrato consapevole lo stesso legislatore, il quale, all'art. 9, comma 1, ha previsto che, in caso di ricorso a tecniche (allora vietate) di procreazione medicalmente assistita addirittura di tipo eterologo..., il coniuge o convivente consenziente non possa esercitare l'azione di disconoscimento della paternita', ne' impugnare il riconoscimento per difetto di veridicita'». Da cio' si desume che nel diritto vivente del nostro ordinamento non possa attualmente ritenersi configurabile un divieto assoluto per le coppie omosessuali di accogliere e crescere figli, nemmeno se concepiti con pratiche contrastanti con l'ordine pubblico internazionale, quali la gestazione per altri. Poiche' nella giurisprudenza di legittimita' e di merito non si rinvengono precedenti riconducibili specificamente alla fattispecie in esame, reputa il Collegio che la questione debba essere affrontata seguendo la via gia'. percorsa dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimita', ossia partendo dalla messa a fuoco dei diritti dei nati, la cui protezione quali persone deve, a prescindere dalle circostanze della nascita, necessariamente essere piena, ed e' garantita in modo assoluto dagli articoli 2, 3 primo e secondo comma, 30 della Costituzione, dagli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 29 novembre 1989, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dagli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In particolare, quanto all'interpretazione dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, vanno ricordate le sentenze rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei casi Mennesson c. Francia e Labbassee' c. Francia (entrambe del 26 giugno 2014, rispettivamente sui ricorsi numeri 65192/2011 e 65941/2011), con le quali la Francia e' stata condannata per non aver riconosciuto il rapporto di filiazione costituito all'estero ricorrendo alla surroga di maternita' da parte di coppia eterosessuale, essendo stata ritenuta sussistente la violazione dell'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali con riguardo alla posizione dei minori, pur escludendo ogni pregiudizio nei riguardi dei genitori. Il tema e' stato ulteriormente approfondito nel medesimo caso Mennesson in occasione del primo parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo su richiesta della Cour de Cassation francese ai sensi del Protocollo 16 alla Convenzione EDU, parere nel quale e' stato ribadito che, in nome del superiore interesse dei minore, esiste un obbligo di riconoscimento del legame di filiazione tra il figlio nato mediante fecondazione medicalmente assistita e le persone che hanno fatto ricorso a tale pratica, e cio' a prescindere dalla mancanza di consenso degli Stati aderenti sul punto. In particolare, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha rilevato che l'assenza di riconoscimento del legame tra il bambino e la madre intenzionale pregiudica il bambino lasciandolo in una situazione di incertezza giuridica quanto alla sua identita' nella societa' e puo' essere fonte di gravi lesioni, per esempio ai diritti successori, al diritto al mantenimento della relazione in caso di separazione dei genitori o di morte del padre, o in caso di rifiuto alla cura della madre intenzionale («40. D'un point de vue general, comme la Cour l'a releve' dans les arrêts Mennesson et Labassee precites, absence de reconnaissance en droit interne du lien entre l''enfant et la mere d'intention defavorise l'enfant des lors qu'il le place dans une forme d'incertitude juridique quant a' son identite' dans la societe' (§§ 96 et 75 respectivement). Il y a notamment un risque qu'il n'ait pas l'acces a' la nationalite' de la mere d'intention dans les conditions que garantit la filiation, cela peut compliquer son maintien sur le territoire du pays de residence de la mere d'intention (meme si ce risque n'existe pas dans le cas soumis a' l'examen de la Cour de cassation, le pere d'intention, qui est aussi le pere biologique, ayant la nationalite' française), ses droits successoraux a' l'egard de celle-ci peuvent etre amoindris, il se trouve fragilise' dans le maintien de sa relation avec la mere d'intention en cas de separation des parents d'intention ou de deces du pere d'intention, et il n'est pas protege' contre un refus ou une renonciation de la mere d'intention de le prendre en charge...). Secondo la Corte, l'interesse superiore del bambino comprende anche l'individuazione giuridica delle persone che hanno la responsabilita' di crescerlo, di soddisfare i suoi bisogni e di assicurare il suo benessere e la possibilita' di vivere e di crescere in un ambiente stabile (42. Au vu des elements indiques au paragraphe 40 ci-dessus et du fait que l'interêt superieur de l'enfant comprend aussi l'identification en droit des personnes qui ont la responsabilite' de l'elever, de satisfaire a' ses besoins et d'assurer san bien-être, ainsi que la possibilite' de vivre et d'evoluer dans un milieu slable, la Cour considere toutefois que l'impossibilite' generale el absolue d'obtenir la reconnaissance du lien entre un enfant ne' d'une gestation pour autrui pratiquee a' l 'etranger et la mere d'intention n'est pas conciliable avec l'interêt superieur de l'enfant, qui exige pour le moins un examen de chaque situation au regard des circonstances particulieres qui la caracterise.). Coerentemente, sull'an del riconoscimento del legame (la reconnaissance du lien) la Grande Camera ha escluso che gli Stati possano appellarsi, per sfuggire all'obbligo, al margine di apprezzamento, margine che invece sussiste in ordine al quomodo: secondo le circostanze, la legge nazionale potra' prescrivere la trascrizione dell'atto di nascita con indicazione anche dei genitori intenzionali o l'adozione da parte di questi; e' stato sottolineato infatti che anche una procedura di adozione ben puo' costituire una modalita' idonea, a condizione che non sia troppo lunga. Benche' si tratti di un parere reso in un caso parzialmente diverso, che riguarda una pratica, quella della gestazione per altri, ritenuta dalla nostra giurisprudenza contraria all'ordine pubblico, il principio affermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo deve essere a fortiori tenuto in considerazione nella fattispecie in esame, che non involge questioni di ordine pubblico, ne' bilanciamenti con interessi di pari o maggior valore rispetto all'interesse del minore, quali quello della tutela della dignita' della donna che si presta alla tecnica della gestazione per altri. Pertanto, a fronte dell'obbligo di riconoscimento del legame, ci si deve chiedere se il nostro ordinamento nel caso in esame contempli idonee modalita' che garantiscano una effettiva tutela. Poiche' la ricorrente ha invocato l'applicazione degli articoli 8 e 9 della legge n. 40/2004, ci si deve chiedere innanzitutto se tali norme consentano di riconoscere lo status di figli riconosciuti ai nati a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa effettuata all'estero da una coppia di due donne. L'art. 8 disciplina proprio lo stato giuridico del nato e prevede che «I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti dalla coppia che ha espresso la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'art. 6», mentre l'art. 9 sancisce il divieto di disconoscimento della paternita' e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita', anche per l'ipotesi di fecondazione eterologa praticata in deroga al divieto previsto prima degli interventi della Corte costituzionale (sentenze numeri 162/2014 e 96/2015): «Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, il coniuge o il convivente il cui consenso e' ricavabile da atti concludenti non puo' esercitare l'azione di disconoscimento della paternita' nei casi previsti dall'art. 235, primo comma, numeri 1) e 2) [norma oggi abrogata] del codice civile, ne' l'impugnazione di cui all'art. 263 dello stesso codice». Si deve riconoscere che una prima superficiale analisi del testo di tali norme potrebbe portare a condividere la tesi di parte ricorrente: in particolare in tal senso potrebbe deporre l'art. 9, comma 1, che nel suo testo originario gia' disciplinava la patologia, ossia le conseguenze per i nati del ricorso alla fecondazione eterologa all'epoca non consentita. Tuttavia, l'interpretazione sistematica e logica inducono a dubitarne, posto che la prima versione dell'art. 9 si riferiva solo al difetto del requisito oggettivo di cui all'art. 4, comma 3 della legge n. 40/2004 e non dei requisiti soggettivi di cui all'art. 5, fra i quali vi e' la diversita' di sesso dei componenti della coppia. Non solo; anche di recente, la Corte costituzionale ha escluso l'interpretazione estensiva proposta dalla ricorrente, come si legge nella motivazione della sentenza n. 237/2019, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale norma che si desume dagli articoli 250 e 449 del codice civile, 29, comma 2, e 44, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, 5 e 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 30 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176. La Corte infatti, nel paragrafo 3.1.1. della motivazione, pur riconoscendo che «la genitorialita' del nato a seguito di ricorso o tecniche di P.M.A. e' legata anche al "consenso" prestato, e alla responsabilita' conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno potuto accedere ad una tale tecnica procreativa» ha precisato che cio' presuppone che «coinvolte nel progetto di genitorialita' cosi' condiviso siano coppie "di sesso diverso". Per quanto espressamente disposto dall'art 5 della predetta legge n. 40 del 2004, le coppie dello stesso sesso non possono accedere alle tecniche di P.M.A.». Ne consegue che, allo stato della legislazione, il requisito soggettivo della diversita' di sesso per accedere alla procreazione medicalmente assistita, letto anche in relazione alle norme del codice civile sulla filiazione, esclude l'opzione ermeneutica proposta dalla ricorrente, in virtu' della quale dovrebbe essere accertato de plano per le bambine lo stato di figlie riconosciute anche da parte della madre intenzionale in virtu' della partecipazione al progetto procreativo ed in particolare del consenso prestato (si veda doc.2 di parte ricorrente), con forme del tutto equivalenti a quelle previste dall'art. 6 della medesima legge n. 40/2004. Per le medesime ragioni, sempre secondo la normativa vigente, deve escludersi anche l'opzione proposta in via subordinata secondo la quale alla madre intenzionale deve essere consentito di procedere al riconoscimento, previa autorizzazione da parte del 'Tribunale in caso di dissenso della madre biologica ai sensi dell'art. 250 del codice civile. Quanto ad altre soluzioni praticabili, come si e' visto, la giurisprudenza italiana ha riconosciuto in casi analoghi la trascrizione dell'atto di nascita formato all'estero, ove la nascita fosse avvenuta in un altro Paese la cui legislazione ammette la omogenitorialita', oppure, in alcune decisioni di merito, ha consentito la formazione dell'atto di nascita sulla base delle dichiarazioni rese da entrambe le donne all'ufficiale di stato civile, ma questa seconda soluzione non costituisce diritto vivente in quanto non unanimemente condivisa. E' invece ritenuta percorribile la via dell'adozione del figlio da parte del partner omosessuale del genitore biologico ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983. Tali soluzioni, come anche riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, sono tutte idonee a realizzare la tutela, ma nel caso in esame non sono praticabili, perche' le bambine sono nate in Italia e non vi sono le condizioni per accedere all'adozione, posto che non vi e' l'assenso della madre biologica, unico genitore legale (docc. 4 e 5 di parte ricorrente) e tale dissenso e' ostativo ai sensi dell'art. 46 della legge n. 184/1983. Con riferimento alla possibilita' di rettifica dell'atto di nascita (chiesta in via ulteriormente subordinata dalla ricorrente), si deve osservare che nell'atto di nascita delle minori e' solo indicata la madre biologica e le bambine sono indicate come nate «dall'unione naturale di essa dichiarante con un uomo ne' parente, ne' affine»; peraltro, poiche' ai sensi dell'art. 236 del codice civile la filiazione si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile, consentire la rettifica senza porsi il problema della riconoscibilita' del rapporto sottostante costituisce un modo per eludere la questione, che attiene allo status e non alla prova dello stesso e che, per l'importanza dei diritti in gioco, non puo' essere lasciata a interpretazioni (discordanti) dei singoli ufficiali di stato civile dei quasi 8000 comuni italiani e dei singoli tribunali che non hanno espresso un orientamento univoco. Questo Collegio peraltro, allo stato della normativa vigente, condivide i forti dubbi sulla percorribilita' della via della rettificazione espressi con l'ordinanza 1° aprile 2019 del Tribunale di Venezia, che ha rimesso a codesta Corte la questione di legittimita' costituzionale anche dell'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. Non essendoci nella fattispecie concreta le condizioni per procedere all'adozione in casi particolari, si ravvisa un vuoto di tutela, non colmabile con l'interpretazione logica, analogica o per principi delle norme del codice civile e della legge n. 40/2004 (ed in particolare delle norme di cui agli articoli 8 e 9 della legge n. 40/2004 e all'art. 250 del codice civile), se non forzandone il senso in modo non consentito ai giudici diversi dalla Corte costituzionale. A conferma di cio', la soluzione di interpretare nel senso proposto gli articoli 8 e 9 della legge n. 40/2004 e' stata espressamente esclusa dalla stessa Corte costituzionale con la decisione n. 237/2019, come si e' sopra gia' esposto, cosicche' non si puo' ritenere che sia un'interpretazione costituzionalmente orientata delle medesime norme. In sintesi, il vuoto di tutela si ravvisa proprio nel fatto che non possano trovare applicazione le norme di cui agli articoli 8 e 9 della legge n. 40/2004 e 250 del codice civile per i nati da fecondazione assistita eterologa praticata nell'ambito di un progetto procreativo di una coppia formata da due donne e non sussistano i presupposti per procedere all'adozione in casi particolari, sempre che sia accertata la sussistenza dell'interesse dei minori. Questo Collegio, benche' riconosca che l'individuazione dei modi di riconoscimento del legame dovrebbe spettare innanzitutto al legislatore, ritiene che la circostanza che quest'ultimo, pur a fronte dell'importanza degli interessi in gioco, non abbia ancora provveduto a disciplinare la fattispecie costituisca una scelta che esorbita dal margine di discrezionalita', in quanto contrastante con i diritti costituzionali e convenzionali sopra gia' menzionati. Incidentalmente, si deve rilevare che una decisione di rigetto del giudice comune con enfatizzazione della lacuna legislativa non potrebbe avere l'effetto che hanno le sentenze-monito della Corte costituzionale, fra le quali paradigmatica e' proprio quella n. 347/1998 in materia di disconoscimento del figlio nato mediante procreazione medicalmente assistita, «ispiratrice» del gia' menzionato art. 9 della legge n. 40/2004. Gli interessi di cui si invoca la tutela sono di massima importanza e sono sanciti dalle norme di cui agli articoli 2, 3, 30 e 117 della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 29 novembre 1989, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 e agli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione EDU, quali norme interposte, come vengono interpretate in modo costante dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con le sentenze e il parere consultivo sopra menzionati. Ne' tale contrasto e' bilanciato con la tutela di interessi di pari importanza, posto che per la giurisprudenza oramai consolidata la fecondazione eterologa praticata da due donne non determina la contrarieta' all'ordine pubblico dell'atto di nascita formato all'estero, a differenza di quanto ravvisato per l'ano di nascita (o per il provvedimento giurisdizionale straniero) di bambino nato a seguito di gestazione per altri. Con riferimento all'art. 2 della Costituzione, la violazione e' ravvisabile nell'assenza di tutela del diritto inviolabile del minore ad avere un'identita' che gli consenta di veder riconosciuti e di poter azionare i suoi diritti nei confronti di chi si e' assunto la responsabilita' della procreazione, anche nell'ambito di una formazione sociale che, benche' non sussumibile nella famiglia tradizionale, e' comunque meritevole di tutela (cosi' Corte Cost. n. 138/2010). Si ravvisa in secondo luogo una violazione degli articoli 3 e 117 della Costituzione e dell'art. 14 della Convenzione EDU quale norma interposta, in presenza di un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i nati, non solo a seconda che siano stati concepiti con fecondazione eterologa praticata da coppia eterosessuale o da coppia omosessuale, ma anche a seconda che siano stati concepiti da fecondazione eterologa praticata da coppia omosessuale che possano essere adottati o che non possano esserlo, essendo questi ultimi destinati ad un perenne stato di figli con un solo genitore, non riconoscibili dall'altra persona che ha contribuito al progetto procreativo. Consentire il permanere di tale discriminazione significherebbe legittimare nel nostro sistema una nuova (e unica) categoria di nati non riconoscibili, che ricorda tristemente categorie gia' fortemente discriminate in passato e superate grazie all'evoluzione sociale e giuridica stimolata soprattutto dai principi costituzionali: ci si riferisce alla categoria dei figli adulterini (nel linguaggio comune, con connotazione spregiativa «bastardi») non riconoscibili prima della riforma del diritto di famiglia di cui alla legge n. 151/1975 e a quella dei figli di persone tra le quali esista un legame di parentela in linea retta all'infinito e in linea col laterale nel secondo grado o di affinita' in linea retta (incestuosi), che, nonostante la illiceita' penale, in presenza di pubblico scandalo, della condotta che ha portato al concepimento (art. 564 c.p.), con l'attuale formulazione dell'art. 251 del codice civile possono essere riconosciuti con autorizzazione del giudice «avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessita' di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio». A cio' si aggiunga che la nuova categoria di nati assolutamente non riconoscibili stona anche apertamente con il principio di unicita' dello status giuridico dei figli che ha connotato tutti gli interventi legislativi piu' recenti in materia di figliazione (oltre alla legge n. 219/2012 anche il (decreto legislativo n. 154/2013) e che si estende anche ai figli adottivi di coppia dello stesso sesso. L'irragionevolezza si desume altresi' dal fatto che non sempre nel nostro sistema verita' biologica e verita' legale coincidono: oltre all'art. 9 della legge n. 40/2004 in caso di fecondazione eterologa, che ha sostituito il consenso al dato genetico, anche la previsione di stretti termini di decadenza dall'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' ammette che, decorso il termine, sia protratta una situazione legale di genitorialita' che non corrisponde alla realta' biologica (art. 263 del codice civile). La violazione dei principi di cui articoli 2, 3, 30 e 117 della Costituzione e dell'art. 8 della Convenzione EDU quale norma interposta, sussiste anche con riferimento al diritto alla bigenitorialita', ossia al diritto di ogni bambino ad avere due persone che si assumono la responsabilita' (e non piu' la potesta') di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione, alla sua istruzione, nei confronti delle quali poter vantare diritti successori, ma soprattutto poter agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia. Invero, proprio la tutela dei bambini anche nella fase di crisi della coppia costituisce il banco di prova della effettivita' della tutela stessa; e' noto infatti che il diritto alla bigenitorialita' e' stato approfondito dalla legislazione e della giurisprudenza soprattutto nell'ambito della patologia dei rapporti familiari (separazione e divorzio, crisi tra genitori non coniugati), che connota la fattispecie concreta in esame. In altre parole, i nati da fecondazione eterologa praticata da due donne, ove non sia percorribile l'adozione in casi particolari, nel nostro ordinamento attuale si trovano in una situazione giuridica diversa e deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati (compresi i nati da rapporto incestuoso), senza che cio' trovi una giustificazione diversa dal mero orientamento sessuale delle persone che hanno (legalmente) partecipato al progetto procreativo. Reputa il Tribunale che, a fronte di una situazione di irragionevole discriminazione, che comporta un pesante stigma fin dal momento della nascita, sia compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che limitando di fatto l'uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona (art. 3, 2° comma Cost.). Quanto alle norme convenzionali sopra menzionate, la Corte costituzionale ha sempre affermato la sua competenza a risolvere, attraverso il sindacato di legittimita' costituzionale, il contrasto tra norme interne e norme pattizie internazionali (cfr. Corte costituzionale numeri 348 e 349 del 2007; n. 39/2008; numeri 311 e 317 del 2009; numeri 138 e 187 del 2010; numeri 1, 80, 113, 236, 303 del 2011, n. 78/2012). In particolare, essa ha statuito che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della Convenzione EDU, si traduce in una violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione e alla Convenzione EDU e' attribuito valore subcostituzionale. Oltre agli articoli 8 e 14 della Convenzione EDU, come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, i parametri convenzionali piu' rilevanti sono gli articoli 2 e 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, di cui i successivi articoli 4, 5, 7, 8 e 9 costituiscono specificazioni. In particolare, con la ratifica anche lo Stato italiano, insieme agli altri Stati firmatari, si sono impegnati «a rispettare i diritti enunciati nella Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria , dalla loro incapacita', dalla loro nascita o da ogni altra circostanza; e ad adottare "tutti i provvedimenti appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attivita', dalle opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali e dei suoi familiari."» (art. 2). Si e' inoltre impegnato a tenere in considerazione «l'interesse preminente del minore» in tutte le decisioni relative ai bambini (art. 3). E' sulla base di tutte le considerazioni esposte che il Tribunale e' giunto al convincimento della non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale delle norme di cui agli articoli 8 e 9 legge n. 40/2004 e 250 del codice civile laddove, sistematicamente interpretate, non consentono ai nati nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia di donne l'attribuzione dello status di figli riconosciuti di entrambi i componenti della coppia, ove non vi siano le condizioni per procedere all'adozione nei casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983 e sia accertato giudizialmente l'interesse del minore. Valutera' la Corte ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953, qualora ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessita' di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialita'. In punto di rilevanza, si osserva che l'applicazione delle norme indicate e' evidentemente ineliminabile nell'iter logico-giuridico che questo remittente deve percorrere per la decisione: infatti, in caso di dichiarazione di fondatezza della questione cosi' come sollevata, le norme sarebbero applicabili alla fattispecie e il Tribunale potrebbe valutare nel merito le domande; mentre, in caso di non accoglimento, l'attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto, per quanto sopra esposto in ordine alla non applicabilita' degli articoli 8 e 9 della legge n. 40/2014 e dell'art. 250 del codice civile alla fattispecie. Il procedimento va quindi sospeso, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
P.Q.M. Visti ed applicati gli articoli 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme di cui agli articoli 8, 9, legge n. 40/2004 e 250 del codice civile - per contrasto con gli articoli 2, 3 primo e secondo comma, 30 della Costituzione, dagli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 29 novembre 1989, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 e dall'art. 8 della Convenzione EDU - laddove non consentono al nato nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia di donne l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della donna che insieme alla madre biologica abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all'adozione nei casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983 e sia accertato l'interesse del minore. Sospende il procedimento in corso; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri, e che ne sia data comunicazione ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Padova, 3 novembre 2019 Il Presidente est.: Guerra