N. 81 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2020

Ordinanza del 3 marzo 2020 del Tribunale di Palermo nel  procedimento
civile promosso dal S.I. contro Comune di G. S.. 
 
Straniero - Accoglienza dei richiedenti protezione  internazionale  -
  Previsione che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo  non
  costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica. 
- Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, art.  4,  comma  1-bis,
  introdotto dall'art. 13, comma 1,  [lettera  a)],  numero  2),  del
  decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati   e   confiscati   alla   criminalita'    organizzata),
  convertito, con modificazioni, nella legge  1°  dicembre  2018,  n.
  132. 
(GU n.28 del 8-7-2020 )
 
                  IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PALERMO 
Sezione  specializzata  in  materia   di   immigrazione,   protezione
inernazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea 
 
    In persona  del  giudice  designato  dott.  Giulio  Corsini,  nel
procedimento fra  S.  I.  ,  (ricorrente  -  rappresentato  e  difeso
dall'avv.to Gabriele Lipani) e il  Comune  di  ...,  in  persona  del
Sindaco pro tempore (resistente - rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Salvatrice Coco), iscritto al n. 20512 del ruolo  generale  dell'anno
2019,  sciogliendo  la  riserva  assunta,  ha  emesso   la   seguente
ordinanza; 
    Con  ricorso  ex  art.  700  del codice  di   procedura   civile,
depositato il 9 dicembre 2019, S. I. esponeva tra l'altro  che:  dopo
avere fatto ingresso in  Italia  in  data  21  marzo  2017  ed  avere
presentato istanza  di  protezione  internazionale,  la  Questura  di
Palermo  provvedeva  al  rilascio  del  permesso  di  soggiorno   per
«richiesta asilo»; di avere trovato accoglienza presso il  Centro  di
accoglienza straordinario per migranti richiedenti asilo «...»,  sito
in ...; di avere inoltrato l'11 luglio 2019 richiesta  di  iscrizione
anagrafica nelle liste dei residenti al Comune  di  ...,  che  veniva
rigettata dall'ufficiale delegato, in virtu'  della  disposizione  di
cui all'art. 4, comma 1-bis, del  decreto  legislativo  n.  142/2015,
come riformato dal decreto-legge n. 113/2018 e  della  circolare  del
Ministero dell'interno n. 15/2018. 
    Pertanto,  agiva  in  giudizio  chiedendo   l'emissione   di   un
provvedimento ex art. 700 del codice di procedura civile di  condanna
del comune a provvedere all'iscrizione nelle  liste  anagrafiche  dei
residenti. 
    Quanto al fumus bonis iuris, deduceva: che il Comune di ... aveva
effettuato un'errata interpretazione dell'art. 4,  comma  1-bis,  del
decreto legislativo n. 142/2015, in quanto il decreto del  Presidente
della Repubblica, n. 223/89 non avrebbe richiesto alcun  «titolo  per
l'iscrizione anagrafica»,  bensi'  solo  di  documentare  la  propria
identita'  -  circostanza  che  avrebbe  potuto  essere  assolta  con
l'esibizione  del  permesso  di  soggiorno   per   richiesta   asilo;
richiamava, inoltre, l'art. 6, comma 7, del  decreto  legislativo  n.
286/98 il quale,  ai  fini  dell'iscrizione  anagrafica,  si  sarebbe
limitato a  parificare  il  cittadino  italiano  a  quello  straniero
regolarmente soggiornante. Precisava, inoltre, che  il  decreto-legge
n. 113/2018 avrebbe semplicemente  fatto  venire  meno  la  procedura
semplificata introdotta precedentemente dalla legge n. 46/2017, senza
introdurre nel nostro ordinamento alcuna  preclusione  o  divieto  di
iscrizione anagrafica per il richiedente asilo. 
    Per quanto concerne, invece,  il  presupposto  del  periculum  in
mora, esponeva che la  mancata  iscrizione  nelle  liste  anagrafiche
avrebbe  impedito  al  ricorrente  di  godere  di  servizi,  il   cui
presupposto essenziale e' costituito proprio dall'essere residenti in
un determinato territorio, quali: prestazioni socio  assistenziali  e
di welfare locale, servizi inerenti  l'istruzione  e  la  formazione,
nonche' l'iscrizione ai centri per l'impiego e decorrenza del termine
per richiedere in futuro la cittadinanza italiana. 
    Chiedeva,  pertanto,  in  via  preliminare,   di   annullare   il
provvedimento impugnato; in via  principale,  di  emettere,  inaudita
altera parte, un provvedimento d'urgenza che accerti il  diritto  del
ricorrente  all'iscrizione  anagrafica,  ordinando  al   Sindaco   di
procedere all'immediata iscrizione del ricorrente,  con  vittoria  di
spese. 
    Con decreto depositato il 16 dicembre 2019, il giudice istruttore
rigettava la richiesta di  emissione  di  un  provvedimento  inaudita
altera parte, fissando l'udienza di comparizione delle parti. 
    A seguito della notifica del ricorso, si costituiva  in  giudizio
il Comune  di  ...,  eccependo  in  via  preliminare  il  difetto  di
competenza del giudice  adito,  in  quanto  l'art.  3,  comma  3  del
decreto-legge n. 13/17, stabilendo che «Le sezioni specializzate sono
altresi' competenti per le cause  e  i  procedimenti  che  presentano
ragioni di connessione con quelli di cui ai comuni 1 e 2», si sarebbe
riferito a cause che  presentano  ragioni  di  connessione  oggettiva
propria con  i  procedimenti  previsti  dai  primi  due  commi  della
medesima norma, circostanza non ricorrente nel  caso  di  specie.  In
conseguenza di cio', eccepiva altresi' l'incompetenza per  territorio
del Tribunale di Palermo,  in  favore  di  quella  del  Tribunale  di
Termini Imerese. 
    In merito al presupposto  del  fumus  boni  iuris,  deduceva  che
l'ufficiale dell'anagrafe del comune aveva agito in adempimento della
legge che gli precludeva di procedere all'iscrizione  anagrafica  del
richiedente asilo,  sulla  base  di  un'interpretazione  letterale  e
teleologica della disposizione in esame; in particolare, rinveniva la
ratio  della  norma  nella  «precarieta'»  del  permesso  rilasciato,
considerato inoltre che  il  legislatore  garantisce  ai  richiedenti
asilo il godimento di una serie di diritti di  natura  sanitaria,  di
apertura di rapporti di credito, di accoglienza,  di  svolgimento  di
attivita' formativa e lavorativa,  anche  in  assenza  di  iscrizione
nelle liste anagrafiche. 
    Quanto al  periculum  in  mora,  eccepiva  la  genericita'  delle
allegazioni di parte ricorrente, comunque rilevando che i  pregiudizi
da lui lamentati sarebbero stati scongiurati dall'art.  5,  comma  3,
del decreto  legislativo  n.  142/2015  (c.d.  decreto  accoglienza),
disposizione che avrebbe consentito, in  ogni  caso,  al  richiedente
asilo l'accesso a tutti i servizi  previsti  dal  decreto  nonche'  a
quelli comunque erogati sul territorio nazionale. 
    Concludeva, pertanto, chiedendo, in via preliminare, la pronunzia
di difetto di competenza, in favore del tribunale di Termini Imerese;
in via cautelare, il rigetto della domanda, con vittoria di spese; in
subordine, l'adozione di ogni altro provvedimento ritenuto  opportuno
dal giudice. 
    A scioglimento della riserva assunta, si osserva quanto segue. 
1. Eccezione di incompetenza 
    L'art. 3, comma  3  del  decreto-legge  n.  13/17  («Disposizioni
urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione
internazionale, nonche' per il contrasto dell'immigrazione illegale»,
convertito in legge con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017,  n.
46), prevede che «Le sezioni specializzate sono  altresi'  competenti
per le cause e i procedimenti che presentano ragioni  di  connessione
con  quelli  di  cui  ai  commi  1  e  2».  Tali  commi   richiamati,
disciplinano   difatti   la   competenza   delle   (nuove)    sezioni
specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e
libera circolazione dei cittadini  dell'Unione  europea,  richiamando
dunque  talune  tipologie  di  controversie  tra  le  quali   possono
menzionarsi le controversie concernenti il mancato riconoscimento del
diritto di soggiorno sul territorio  nazionale  ovvero  proposte  dai
richiedenti  protezione  internazionale  come   in   particolare   le
controversie  aventi  ad  oggetto  l'impugnazione  dei  provvedimenti
previsti dall'art. 35 del decreta legislativo 28 gennaio 2008, n. 25,
ovvero anche relative al mancato riconoscimento dei  presupposti  per
la protezione speciale a norma dell'art. 32, comma  3,  del  medesimo
decreto legislativo. 
    Ora, deve ritenersi che la norma di cui al terzo comma, dal  dato
testuale  di  generica  formulazione  («controversie  che  presentano
ragioni di connessione»), non richiami i criteri tecnico-giuridici di
connessione oggettiva tra cause  previsti  dal  codice  di  procedura
civile ma, piuttosto, intenda attribuire alle  sezioni  specializzate
ogni controversia che sia legata a quelle di loro stretta competenza,
in quanto proposta da soggetti richiedenti protezione  internazionale
e concernenti tematiche afferenti alla protezione stessa. E  cio'  in
quanto la ratio deve essere individuata nell'esigenza di  scongiurare
giudicati contrastanti o contraddittori, ogni  qual  volta  vi  siano
domande legate tra loro da quale profilo di  connessione  concernente
la causa petendi o il petitum. 
    Nel caso di specie, dunque, la domanda di richiesta di iscrizione
nelle  liste  anagrafiche  discende  certamente   dallo   status   di
richiedente protezione del ricorrente e, dunque, puo' concludersi che
il fatto generatore a monte della richiesta sia il medesimo. In altri
termini, la domanda di iscrizione viene posta in quanto  il  soggetto
richiede in  prima  istanza  il  riconoscimento  di  uno  status  che
legittimerebbe tale iscrizione ed e' pertanto opportuna e doverosa la
trattazione di entrambe le domande da parte dello stesso giudice. 
    Alla  luce  di  quanto  precede,  l'eccezione   di   incompetenza
sollevata  da  parte  resistente  non  puo'  che   essere   respinta,
competente essendo questa sezione specializzata. 
    Da cio' discende l'infondatezza della  conseguente  eccezione  di
incompetenza territoriale, considerato che il decreto-legge n. 13 del
17 febbraio 2017, convertito con legge n. 47 del  2017,  ha  previsto
l'istituzione di sezioni specializzate in  materia  di  immigrazione,
protezione internazionale e  di  libera  circolazione  dei  cittadini
dell'Unione europea presso i Tribunali distrettuali nel  quale  hanno
sedi le Corti d'appello. 
    Dunque, questa  sezione  specializzata  presso  il  Tribunale  di
Palermo e' certamente (anche) il giudice territorialmente competente. 
2. La domanda cautelare: fumus boni iuris 
    Tutto cio' premesso, nel merito,  occorre  passare  al  vaglio  i
presupposti di applicabilita'  dell'invocata  tutela,  i  quali  sono
costituiti, cosi' come previsto dall'art. 700 del codice di procedura
civile, dalla sussidiarieta' rispetto ad  altri  strumenti  cautelari
tipici, dal c.d. fumus boni iuris e dal periculum in mora. 
    Evidenziato che  non  si  rinvengono  altri  strumenti  cautelari
tipici pertinenti al caso di specie, deve  essere  rilevato  che  gli
elementi fattuali della vicenda, gia' indicati nella  premessa,  sono
pacifici tra le parti e non v'e' sostanziale contestazione. 
    Per quanto concerne l'accertamento del presupposto del fumus boni
iuris, che si sostanzia nella verifica della ragionevole parvenza del
diritto fatto valere, appare opportuno delineare il quadro  normativo
che viene in rilievo nel caso di specie. 
    L'ufficiale delegato dell'... del ... ha rigettato  la  richiesta
presentata da S. I. «in relazione  al  disposto  dell'art.  4,  comma
1-bis del decreto  legislativo  n.  142/2015,  come  riformulato  dal
decreto-legge  n.  113/2018  e  dal  disposto  della  circolare   del
Ministero dell'interno n. 15/2018». 
    L'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.
142, nell'attuale testo prevede che «Il permesso di soggiorno di  cui
al comma 1 non costituisce  titolo  per  l'iscrizione  anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio  1998,
n. 286» 
    Ancora, la disposizione  richiamata,  ovverosia  il  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 223/89, disciplina i requisiti  ed  il
procedimento di iscrizione anagrafica, prevedendo, tra le altre cose,
che  l'iscrizione  viene  effettuata  anche  per   trasferimento   di
residenza dall'estero dichiarato dall'interessato (v. art.  7,  comma
1, lettera c); viene altresi' specificato che i soggetti che  rendono
dichiarazioni anagrafiche  devono  comprovare  la  propria  identita'
mediante l'esibizione di un documento di riconoscimento (v.  art.  6,
comma 3) e che e' necessario verificare che chi richiede l'iscrizione
abbia dimora abituale nel territorio (v. art. 19, comma 2). 
    Proseguendo, l'art.  6,  comma  7,  del  decreto  legislativo  n.
286/1998, prevede parita' di condizioni, ai  fini  dell'iscrizione  e
della variazione anagrafica, sia per i cittadini italiani che per gli
stranieri regolarmente  soggiornanti,  precisando  che  si  considera
abituale la dimora dello  straniero  anche  in  caso  di  documentata
ospitalita' da piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza. 
    Pertanto, dalla lettura congiunta e coordinata di tali norme,  si
evince che sono due i requisiti richiesti allo straniero al  fine  di
ottenere l'iscrizione nelle liste  anagrafiche:  essere  regolarmente
soggiornante in Italia ed avere una dimora abituale. 
    Al fine, quindi, di comprendere  la  reale  portata  della  norma
scrutinata, occorre procedere in primo luogo ad  una  interpretazione
letterale volta a stabilire la sussistenza o meno  di  un  discrimine
tra lo straniero titolare di un permesso di soggiorno  per  richiesta
asilo e  quello  titolare  di  un  permesso  di  soggiorno  di  altra
tipologia. 
    Ebbene,  dirimente  e'  l'analisi   dell'art.   4   del   decreto
legislativo n. 142/2015 nella sua interezza, il quale  circoscrive  i
limiti di  utilizzabilita',  nonche'  la  valenza,  del  permesso  di
soggiorno rilasciato al richiedente asilo. 
    In particolare, tale disposizione prevede che esso sia titolo  di
legittima permanenza dello straniero nel territorio, da equiparare al
documento di riconoscimento (comma 1 «Al richiedente e' rilasciato un
permesso di soggiorno  per  richiesta  asilo  valido  nel  territorio
nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda
o comunque per  il  tempo  in  cui  e'  autorizzato  a  rimanere  nel
territorio nazionale ai sensi dell'art. 35-bis,  commi  3  e  4,  del
decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. Il permesso di  soggiorno
costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell'art.  1,  comma
1, lettera  c),  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  28
dicembre 2000,  n.  445);  tuttavia,  tale  equipollenza  viene  meno
allorquando lo stesso debba essere utilizzato ai fini dell'iscrizione
anagrafica, per la quale non e' da considerarsi  quale  documento  di
riconoscimento (comma 1-bis: «Il permesso  di  soggiorno  di  cui  al
comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica  ai  sensi
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e
dell'art. 6, comma 7, del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.
286».). 
    Pertanto, il permesso di soggiorno rilasciato  per  fini  diversi
dalla richiesta asilo ha valore di documento  di  riconoscimento  per
l'attestazione   della   regolarita'   del   soggiorno    finalizzato
all'iscrizione nelle liste anagrafiche;  viceversa,  il  permesso  di
soggiorno rilasciato in  seguito  a  richiesta  d'asilo,  sebbene  in
generale costituisca documento di riconoscimento, perde tale funzione
ai fini dell'acquisizione della residenza. 
    A  risultati  non  dissimili  dall'esame  testuale,   si   giunge
effettuando un'interpretazione  teleologica  della  norma,  volta  ad
individuarne la ratio. 
    Difatti,  la  relazione  introduttiva  al  disegno  di  legge  di
conversione del decreto-legge n. 113/2018 prevede espressamente - pur
nella consapevolezza della non  vincolativita'  di  questo  indirizzo
interpretativo - che «il permesso di soggiorno  per  richiesta  asilo
non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, fermo  restando
che  esso  costituisce   documento   di   riconoscimento»;   prosegue
precisando che  tale  scelta  trova  la  sua  ragion  d'essere  nella
precarieta' di tale permesso, non idoneo a definire in via stabile la
condizione del soggetto, che e' invece in via di definizione. 
    Cosi' delineato il quadro  normativo  di  riferimento,  prima  di
valutare la sussistenza eventuale di una  questione  di  legittimita'
costituzionale sotto vari profili, deve ragionarsi parimenti  se  sia
possibile una interpretazione conforme  ai  precetti  costituzionali,
interpretazione che e' stata pure  sostenuta  da  taluni  giudici  di
merito, richiamati dalle parti nei propri scritti difensivi. 
    Ebbene, si e' ritenuto da taluni che il decreto-legge n. 113/2018
non abbia voluto porre un divieto assoluto di iscrizione ai  titolari
di permesso di soggiorno per richiesta asilo, ma abbia  semplicemente
abrogato la procedura semplificata di iscrizione, prevista  dall'art.
5-bis del decreto legislativo n. 142/15, secondo cui  il  richiedente
protezione internazionale, ospitato nei centri di accoglienza, veniva
iscritto nelle liste  della  popolazione  residente  dietro  semplice
comunicazione da parte del responsabile del centro. 
    Dunque, venuta meno la procedura semplificata, la norma  andrebbe
interpretata nel senso di subordinare  la  richiesta  presentata  dai
richiedenti asilo agli  stessi  requisiti  prescritti  per  qualunque
altro soggetto, compresa la prova di essere regolarmente soggiornanti
per altro titolo; tuttavia,  cosi'  facendo  si  giungerebbe  ad  una
interpretatio abrogans della disposizione in esame,  considerato  che
l'abrogazione della procedura  semplificata  prevista  in  precedenza
avrebbe potuto realizzarsi semplicemente abrogando l'art.  5-bis  del
decreto legislativo n. 142/15. 
    E cio' non e'  consentito,  tenuto  conto  che  tra  due  opzioni
interpretative possibili occorre privilegiare quella che  attribuisce
ad una disposizione almeno un effetto  giuridico,  piuttosto  che  il
contrario. 
    Pertanto,  ritenuta  non  compatibile  con  le  ordinarie  regole
ermeneutiche la sopraesposta interpretazione conforme a Costituzione,
non puo' che concludersi per l'interpretazione alla stregua del  dato
letterale che conduce al  rifiuto  di  procedere  all'iscrizione  del
ricorrente. 
    Circostanza che porterebbe al rigetto, per carenza del fumus boni
iuris, della domanda cautelare. 
    Tuttavia, l'apparente fondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale (sulla quale infra), impone l'esame della  sussistenza
del requisito del periculum in mora. 
3. Periculum in mora 
    Al fine di valutare  la  fondatezza  della  domanda  cautelare  -
nonche'  la  rilevanza  dell'eventuale   giudizio   di   legittimita'
costituzionale - occorre verificare se  sussista  il  fondato  timore
che, nelle more del giudizio, i diritti fatti valere  dal  ricorrente
siano esposti ad un pericolo imminente ed irreparabile. 
    Sul punto, parte ricorrente ha esposto che il diniego opposto dal
comune pregiudica il suo diritto di godere  di  quei  servizi  per  i
quali   la   residenza   costituisce   presupposto   essenziale    e,
segnatamente: l'accesso a  prestazioni  di  welfare  locale  e  socio
assistenziali, ai servizi afferenti  l'istruzione  e  la  formazione,
l'iscrizione ai Centri per l'impiego e,  nondimeno,  il  decorso  del
termine per la richiesta di cittadinanza italiana. 
    Ebbene, non puo' negarsi che  la  residenza  nel  territorio  sia
posto da molteplici disposizioni  quale  requisito  per  l'accesso  a
servizi che consentono il libero esplicarsi dei diritti fondamentali.
Il decorso del tempo rischia di comprometterne l'immediato godimento,
con evidenti ripercussioni in termini di integrazione sociale. 
    A tal proposito, si osserva incidentalmente che parte  resistente
ha eccepito l'insussistenza del periculum, scongiurato  dall'art.  5,
comma 3, del decreto legislativo n. 142/2015, norma che garantirebbe,
in ogni caso, al  richiedente  asilo  l'accesso  a  tutti  i  servizi
previsti dal decreto nonche' a quelli comunque erogati sul territorio
nazionale. 
    Tuttavia tale disposizione ha  una  portata  piu'  valoriale  che
precettiva, considerando la genericita' delle  locuzioni  utilizzate;
inoltre, la norma si riferisce  ai  «servizi  previsti  dal  presente
decreto» che sono per lo piu'  servizi  di  accoglienza,  accesso  ai
centri governativi di prima accoglienza  ed  ospitalita'  nei  centri
stessi. 
    In definitiva, dunque, non v'e' dubbio  che  il  trascorrere  del
tempo potrebbe pregiudicare radicalmente  il  godimento  dei  diritti
personali del ricorrente. 
4.  Rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale 
    Premesso tutto quanto sopra esposto, la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  13,  comma  1,  lettera  a),  n.  2,   del
decreto-legge n. 113/2018, che ha introdotto l'art. 4,  comma  1-bis,
del decreto legislativo n. 142/2015, e' rilevante. 
    La rilevanza della questione e' da  ricondurre  alla  circostanza
per cui l'illegittimita' della norma sottoposta a scrutinio  potrebbe
condurre  all'accoglimento  della  domanda  cautelare  formulata  dal
ricorrente, integrando il presupposto del fumus boni iuris. 
    Ed infatti, il rigetto della domanda di iscrizione anagrafica  e'
stata motivata dall'ufficiale delegato sulla base del disposto di cui
all'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo  n.  142/15,  che  e'
stata ritenuta norma chiara e dirimente. 
    Pertanto, il diniego opposto al ricorrente trova  la  sua  ragion
d'essere nella norma sospetta di illegittimita' costituzionale. 
    Inoltre, la questione di legittimita' appare non manifestatamente
infondata, considerata l'impossibilita' di  darne  un'interpretazione
conforme a Costituzione, come prima esposto. 
    Ed invero,  la  norma  sembra  porsi  in  contrasto  con  diversi
precetti  costituzionali.  Si  deve  ribadire  che   la   preclusione
all'iscrizione  anagrafica  e'  stata  giustificata  dalla  relazione
illustrativa al decreto-legge con la precarieta'  del  soggiorno  del
migrante e con la necessita' di definire in via  prioritaria  la  sua
condizione giuridica. Tuttavia, al legislatore e' consentito  dettare
norme  che  regolino  l'ingresso  e  la  permanenza   dei   cittadini
extracomunitari   nel   nostro   paese   purche'   non    palesemente
irragionevoli e non contrastanti con  obblighi  internazionali.  Ora,
sembra che nel caso in esame il trattamento  deteriore  riservato  al
richiedente asilo sia  irragionevole  rispetto  alla  sua  condizione
giuridica  ed  in  particolare  al  suo  titolo  che   legittima   la
permanenza. 
    In primo luogo, viene in rilievo l'art. 2 della Costituzione,  in
quanto l'impossibilita' di esercitare taluni  diritti  della  persona
ostacola il libero esplicarsi della personalita'  del  soggetto,  sia
come singolo, sia  nel  contesto  sociale  ove  tenta  di  radicarsi.
Difatti,  la  disposizione  sottoposta  a  scrutinio   impedisce   al
richiedente  asilo  l'accesso   ad   una   moltitudine   di   servizi
assistenziali e sociali, necessari per il  godimento  del  tempo  che
egli trascorre  nel  territorio  nazionale,  per  l'integrazione  nel
tessuto sociale e per il libero esternarsi  delle  proprie  capacita'
(sui quali si e' detto nei paragrafi precedenti). 
    L'art. 2 della Costituzione deve, altresi', valutarsi  unitamente
al successivo art. 3. A tal proposito, la Corte costituzionale (sent.
15-21 giugno 1979, n. 54) ha avuto modo di affermare che il principio
di eguaglianza nell'ambito dei diritti inviolabili dell'uomo riguarda
anche il rapporto tra stranieri: il  trattamento  giuridico  dovrebbe
essere uguale per tutti gli stranieri, salvo trattamenti migliorativi
previsti per taluni di essi. Ed  infatti,  il  legislatore  ben  puo'
apportare  delle  deroghe  che  tengano  in  precipua  considerazione
circostanze peculiari, tali da giustificare trattamenti in melius,  e
non il contrario. 
    L'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n.  142/15  sembra
porsi in contrasto con il principio di uguaglianza inteso  sia  nella
sua accezione formale, che in quella sostanziale, in quanto introduce
delle  differenziazioni  tra  situazioni,   creando   un   discrimine
irragionevole non solo tra cittadini italiani e cittadini  stranieri,
ma anche tra stranieri titolari  di  un  permesso  di  soggiorno  per
richiesta asilo e stranieri titolari di un permesso di soggiorno  per
altro motivo. 
    In particolare, il secondo comma dell'art. 3  della  Costituzione
impone che la tutela concessa dallo Stato  sia  effettiva  e  che  un
trattamento differenziato sia ammissibile solo  se  riconducibile  ad
analoghi principi ispiratori; nel caso di  specie,  la  «precarieta'»
del permesso di soggiorno per richiedenti asilo  non  pare  integrare
un'idonea giustificazione di tali  trattamenti  differenziati,  posto
che  il  nostro  ordinamento  possiede  tutti  i  meccanismi  atti  a
consentire, nel caso di rigetto della domanda tendente ad ottenere la
protezione internazionale, la cancellazione dalle  liste  anagrafiche
con revoca della residenza,  senza  che  cio'  debba  necessariamente
compromettere medio tempore il godimento dei diritti e  l'accesso  ai
servizi atti a condurre una vita dignitosa. 
    D'altro canto, la norma crea  una  discriminazione  irragionevole
sotto altro profilo. Premesso che il legislatore ha previsto  che  il
permesso di soggiorno per i richiedenti asilo  consenta  di  svolgere
attivita' lavorativa (art. 22 decreto  legislativo  n.  142/2015  «Il
permesso di soggiorno per richiesta asilo di cui all'art. 4  consente
di svolgere attivita' lavorativa,  trascorsi  sessanta  giorni  dalla
presentazione della  domanda,  se  il  procedimento  di  esame  della
domanda non e' concluso ed il ritardo non puo' essere  attribuito  al
richiedente»),  la  preclusione  all'iscrizione  all'anagrafe   della
popolazione residente impedisce al richiedente in concreto di  fruire
del sistema pubblico volto alla ricerca dell'occupazione. 
    La mancata iscrizione all'anagrafe, infatti,  preclude  l'accesso
alle  politiche  attive  del  lavoro  di  cui  all'art.  11   decreto
legislativo n. 150/2015, politiche riservate per espressa  previsione
di legge ai residenti sul territorio (Cart. 11, comma 3, lettera  c),
decreto legislativo n. 150/2011), cosi' come  preclude  l'inserimento
del titolare del permesso per richiesta asilo nel sistema informativo
unitario delle politiche del lavoro che prevede la formazione di  una
scheda anagrafica del lavoratore (cfr. art. 13,  decreto  legislativo
n. 150/2015). 
    Ancora, la questione di legittimita' deve essere sollevata  anche
con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in  cui
pone  l'obbligo  di  adeguamento  dello  Stato  italiano  alle  fonti
internazionali e comunitarie  ed,  in  particolare,  con  riferimento
all'art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili  e  politici.
Ed invero, ogni straniero regolarmente  soggiornante  nel  territorio
dello Stato gode di alcuni diritti fondamentali e  garanzie  previsti
dalle norme internazionali. 
    L'art. 12 sopra richiamato, riconosce allo straniero  il  diritto
di circolare liberamente, di scegliere liberamente la sua residenza e
di lasciare il territorio dello Stato,  fatte  salve  le  restrizioni
previste dalla legge e necessarie in una  societa'  democratica  alla
sicurezza  nazionale,  alla  sicurezza  pubblica  o  al  mantenimento
dell'ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali,  alla
protezione della salute o della morale o alla protezione dei  diritti
e liberta' altrui. 
    Specifico riferimento viene fatto, dunque, al diritto  di  scelta
della propria residenza. Peraltro, nel caso  dei  richiedenti  asilo,
non  si  rinvengono  ragioni,  tra  quelle   richiamate,   idonee   a
giustificare delle  restrizioni;  anzi,  viceversa,  consentire  allo
straniero di ottenere  la  residenza  in  un  determinato  territorio
permette allo Stato di  monitorarne  la  presenza,  in  un'ottica  di
sicurezza e di mantenimento dell'ordine pubblico. 
    Nello stesso analogo senso,  puo'  sussistere  la  violazione  in
forma interposta dell'art. 2,  protocollo  n.  4,  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo in base al  quale  «chiunque  si  trovi
legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto  alla  liberta'  di
movimento  e  alla  liberta'  di  scelta  della  residenza  in   quel
territorio». 
    Per le ragioni suesposte, la questione di legittimita'  afferente
la norma di  cui  all'art.  13,  comma  1,  lettera  a),  n.  2,  del
decreto-legge n. 113/2018, che ha introdotto l'art. 4,  comma  1-bis,
del decreto legislativo n. 142/2015, si deve considerare rilevante  e
non manifestatamente infondata. 
5. Sospensione del procedimento 
    Il secondo comma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,
consente al giudice di sollevare ex officio questione di legittimita'
costituzionale delle norme che e' chiamato ad applicare, e prevede la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con sospensione del
giudizio in corso. 
    Per completezza motivazionale,  tenuto  conto  della  natura  del
presente procedimento proposto ai sensi dell'art. 700 del  codice  di
procedura civile, si pone la questione della possibilita', nelle more
della definizione del giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  di
accordare una tutela provvisoria, in via interinale,  al  ricorrente,
che  si  sostanzierebbe  nell'ordine  di   iscrizione   nelle   liste
anagrafiche. 
    Sul punto, la Suprema Corte di cassazione ha nel tempo  affermato
che «il provvedimento d'urgenza ex art. 700 del codice  di  procedura
civile illegittimamente emesso con riguardo a norme che escludono  il
diritto con esso riconosciuto e  per  le  quali  e'  stata  sollevata
questione di legittimita' costituzionale con sospensione del giudizio
di  merito,  ha  carattere  abnorme,  in  quanto  e'  correlato  solo
formalmente  alla  previsione  normativa  che  attribuisce  efficacia
temporanea  al  provvedimento  cautelare  di  tutela  interinale  dei
diritti, la sorte del quale e'  affidata  alla  sentenza  di  merito»
(Cass. 12 dicembre 1991, n. 13415). 
    Cosi' anche le Sezioni Unite, con  sentenza  7  luglio  1988,  n.
4476, in una vicenda in cui un giudice ordinario aveva adottato,  nel
corso di una controversia in primo grado, un provvedimento  d'urgenza
di sospensione del pagamento di un contributo sanitario nella  misura
stabilita dalla legge ritenendo essere quest'ultima, in  tale  parte,
affetta da un dubbio non  manifestamente  infondato  di  legittimita'
costituzionale - hanno ritenuto, in via preliminare, l'estraneita' di
tale censura al tema della giurisdizione, affermando che  il  giudice
che disattende le norme di legge dettate per il rapporto di cui  deve
conoscere e lo regola, invece, sia pure provvisoriamente, in base  ad
una diversa disciplina (arbitrariamente desunta da altre disposizioni
e ritenuta piu' consona agli interessi in gioco), rende una decisione
contra  legem  e  comunque   inammissibile,   dando   luogo   ad   un
provvedimento abnorme. 
    D'altro  canto,  se  in  una  recente   pronuncia   della   Corte
costituzionale e' stata  ammessa  la  possibilita'  di  concedere  la
tutela cautelare in via provvisoria, cio' e' stato possibile soltanto
in quanto il  giudizio  a  quo  era  costituito  da  un  procedimento
giurisdizionale  amministrativo,  percio'  solo   strutturalmente   e
funzionalmente diverso dal giudizio ordinario  (Corte  costituzionale
n. 172 del 2012). 
    Per tali motivi, deve dunque sospendersi il  giudizio  in  attesa
della  decisione  della  Corte  costituzionale,  senza  provvedimenti
interinali. 
    Si rimettono le spese al termine del giudizio. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il  giudice  designato,  ogni  diversa   domanda   ed   eccezione
disattese, visto l'art. 700 del codice di procedura civile  e  l'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
        a) dichiara rilevante e  non  manifestatamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  4,  comma  1-bis,
del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.  142,  inserito  dall'art.
13, comma 1, n.  2),  del  decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113,
convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre  2018,  n.  132,
per  contrasto  con  gli  articoli  2,  3  e  117,  1   comma   della
Costituzione, in riferimento all'art. 12 del Patto internazionale sui
diritti civili e politici  e  all'art.  2,  protocollo  n.  4,  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo; 
        b)  dispone   la   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale ai sensi dell'art. 23, 2 comma,  legge  n.  87/1953  e
sospende il giudizio cautelare; 
        c) rimette le spese al termine del giudizio. 
    Dispone che la cancelleria provveda alla trasmissione degli  atti
alla Corte costituzionale, alla notifica alle parti  in  causa  e  al
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Dispone, altresi', che l'ordinanza venga comunicata ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
        Palermo, 24 febbraio 2020 
 
                    Il Giudice designato: Corsini