N. 139 SENTENZA 10 giugno - 6 luglio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Processo minorile -  Sospensione  del  procedimento
  con messa alla prova - Potere del giudice  di  disporre  la  misura
  nella  fase  delle  indagini  preliminari  -  Omessa  previsione  -
  Denunciata  irragionevole  disparita'  di  trattamento,  violazione
  della  finalita'  rieducativa  della  pena  e  del  favor  per   la
  protezione della gioventu' - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto del Presidente della Repubblica, 22 settembre 1988, n. 448,
  art. 28. 
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 31, secondo comma. 
(GU n.28 del 8-7-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  28  del
d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul
processo penale a carico di imputati minorenni), promosso dal Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di  Firenze
nel procedimento penale a carico di  G.  Q.,  con  ordinanza  dell'11
marzo 2019,  iscritta  al  n.  113  del  registro  ordinanze  2019  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  34,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  G.  Q.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    uditi il Giudice relatore  Stefano  Petitti,  l'avvocato  Michele
Passione per G. Q., e l'avvocato dello Stato Salvatore Faraci per  il
Presidente del Consiglio dei ministri, nell'udienza pubblica  del  10
giugno 2020, svolta, ai sensi  del  decreto  della  Presidente  della
Corte del 20 aprile 2020, punto 1) lettere a) e d),  in  collegamento
da remoto, su richiesta dell'avvocato Michele Passione  pervenuta  in
data 21 maggio 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 marzo 2019, il Giudice per le  indagini
preliminari del Tribunale per i minorenni  di  Firenze  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 28 del  d.P.R.  22
settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul  processo
penale a carico di imputati minorenni), in riferimento agli artt.  3,
27, terzo comma, e 31,  secondo  comma,  della  Costituzione,  «nella
parte in cui non prevede che il  giudice,  sentite  le  parti,  possa
disporre  con  ordinanza  la   sospensione   del   procedimento   con
contestuale messa alla prova nella fase delle indagini preliminari». 
    1.1.- Secondo quanto espone l'ordinanza  di  rimessione,  G.  Q.,
indagato  per  i  reati  di  violenza  privata  e  lesione  personale
aggravata che egli avrebbe  commesso  all'eta'  di  sedici  anni,  ha
presentato, tramite il proprio difensore, istanza di sospensione  del
procedimento con messa alla prova, dopo avere  ricevuto  l'avviso  di
conclusione delle indagini preliminari. 
    1.2.- Il rimettente osserva che la messa  alla  prova  nel  corso
delle indagini preliminari  e'  prevista  per  gli  adulti,  a  norma
dell'art. 464-ter del codice di procedura penale,  non  anche  per  i
minori, per i quali l'art. 28 del d.P.R. n. 448 del 1988 si riferisce
alla sospensione del «processo» per messa alla prova dell'«imputato»,
in tal modo evidenziando che la messa alla prova del  minorenne  puo'
essere disposta «solo dopo l'esercizio dell'azione penale e,  quindi,
in nessun caso ad opera del giudice per le indagini preliminari». 
    Il giudice a quo nota come cio' trovi conferma nell'art.  29  del
d.P.R. n. 448 del 1988, che, per il  caso  di  esito  negativo  della
prova del minore, richiama le norme sulla celebrazione delle  udienze
- preliminare e dibattimentale -, nelle  quali  sarebbe  pertanto  da
individuare  «la  sede  "naturale"  di  applicazione  dell'istituto»,
viceversa inapplicabile «prima dell'udienza preliminare». 
    In ragione di queste univoche disposizioni, la messa  alla  prova
in fase di indagini preliminari, pur essendo stata consentita per gli
adulti dal sopravvenuto art. 464-ter cod. proc.  pen.,  non  potrebbe
estendersi al processo minorile,  rispetto  al  quale  le  norme  del
codice di rito trovano applicazione  meramente  residuale,  ai  sensi
dell'art. l, comma l, del d.P.R. n. 448 del 1988. 
    2.- Nella parte in cui non  consente  la  messa  alla  prova  del
minore nella fase delle indagini preliminari, l'art. 28 del d.P.R. n.
448 del 1988 violerebbe gli artt. 3, 27, terzo comma, e  31,  secondo
comma, Cost. 
    2.1.-   Sarebbe   violato   il   principio   di   eguaglianza   e
ragionevolezza di cui  all'art.  3  Cost.,  poiche',  consentita  per
l'adulto, la messa alla prova nella fase delle  indagini  preliminari
resterebbe ingiustificatamente preclusa al  minorenne,  che  pure  ne
faccia richiesta tramite difesa tecnica. 
    Tale preclusione sarebbe  contraria  all'obiettivo  tipico  della
giustizia minorile, quello di promuovere la rapida uscita del  minore
dal circuito penale mediante un intervento istituzionale tempestivo e
individualizzato. 
    2.2.- Sarebbe  altresi'  violato  il  finalismo  dei  trattamenti
sanzionatori  di  cui  all'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,   poiche'
l'efficacia rieducativa della messa alla prova esige che  questa  sia
prossima quanto piu' possibile al tempo  di  commissione  del  reato,
venendo  quindi  diminuita   dalla   necessita'   di   attendere   la
celebrazione dell'udienza preliminare. 
    Ad avviso del rimettente, «quanto piu' ci si allontana dal  tempo
in cui si colloca il fatto-reato tanto meno il minore coinvolto nella
relativa vicenda giudiziaria potra' avvertire l'effetto rieducativo e
risocializzante degli  impegni  che  caratterizzano  il  progetto  di
intervento». 
    2.3.- Infine, sarebbe violato l'art. 31,  secondo  comma,  Cost.,
che impegna la Repubblica a  favorire  gli  istituti  necessari  alla
protezione  della  gioventu',  qual  e'  la  messa  alla  prova   del
minorenne. 
    La dilazione procedimentale della messa alla prova ne sminuirebbe
la «valenza "protettiva"», riducendone  l'efficacia  «in  termini  di
promozione del recupero e del cambiamento  personale  e  sociale  del
minore coinvolto in un procedimento penale». 
    3.-  La  rilevanza  delle  questioni  viene  dal  giudice  a  quo
correlata al fatto che G. Q., tramite difesa tecnica, ha  chiesto  di
essere messo alla prova dopo avere ricevuto l'avviso  di  conclusione
delle  indagini  e  ancora  prima   dell'udienza   preliminare,   con
riferimento a reati la  commissione  dei  quali  egli  non  contesta,
avendo peraltro  l'Ufficio  servizio  sociale  minorenni  di  Firenze
attestato che il giovane parla della propria condotta delittuosa  con
«serieta' e schiettezza». 
    3.1.- Il rimettente invoca pertanto una  sentenza  additiva,  che
consenta al giudice per le indagini preliminari di disporre la  messa
alla prova dell'indagato  minorenne,  il  quale  ne  faccia  istanza,
previa audizione  delle  parti  in  apposita  udienza  camerale,  con
formulazione dell'imputazione ad opera  del  pubblico  ministero,  in
analogia alla previsione dell'art. 464-ter cod.  proc.  pen.,  e  con
elaborazione del progetto di intervento dei servizi minorili. 
    Secondo  il   giudice   a   quo,   l'apporto   delle   competenze
specialistiche dei giudici  onorari  che  integrano  il  collegio  in
udienza preliminare non andrebbe perduto, in quanto il giudice per le
indagini preliminari, ai sensi dell'art. 9  del  d.P.R.  n.  448  del
1988, puo' sempre sentire il parere  di  esperti,  «tra  i  quali»  -
precisa il rimettente - «possono  certamente  annoverarsi  anche  gli
stessi componenti onorari del Tribunale per i minorenni». 
    4.- Con atto depositato il 6 settembre 2019, si e' costituita  in
giudizio la parte privata, G. Q., instando  per  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 28  del  d.P.R.  n.  448  del
1988. 
    4.1.- A sostegno delle motivazioni dell'ordinanza di  rimessione,
la parte  privata  osserva  che  l'udienza  preliminare,  specie  nei
riguardi degli imputati liberi,  viene  sovente  fissata  a  notevole
distanza di tempo dall'avviso di conclusione delle indagini, cio' che
pregiudica l'efficacia  della  messa  alla  prova  nel  conseguimento
dell'obiettivo della  celere  fuoriuscita  del  minore  dal  circuito
penale. 
    5.- Con atto depositato il 9 settembre 2019,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto  dichiararsi  le
questioni inammissibili o, in subordine, infondate. 
    5.1.-  Le  questioni  sarebbero  inammissibili  per  difetto   di
rilevanza, in quanto ipotetiche e premature, poiche' sollevate in una
fase nella quale  ancora  non  e'  stato  acquisito  il  progetto  di
intervento dei servizi minorili, che pur costituisce  un  presupposto
indefettibile della messa alla prova. 
    Sarebbe  poi  inammissibile,  per  genericita'   e   difetto   di
pertinenza, l'evocazione dei parametri di cui agli  artt.  27,  terzo
comma, e 31, secondo comma, Cost., non avendo il rimettente  chiarito
le specifiche ragioni per cui tali parametri verrebbero  attinti  dal
mero differimento della messa  alla  prova  all'udienza  preliminare,
«sede nella quale la composizione del  giudice  collegiale  offre  le
massime garanzie per  la  migliore  decisione  a  favore  del  minore
stesso». 
    5.2.- Nel merito, la violazione  dell'art.  3  Cost.  sarebbe  da
escludere, poiche'  l'eterogeneita'  della  messa  alla  prova  degli
adulti rispetto a quella dei minori impedirebbe di utilizzare  l'art.
464-ter cod. proc. pen. come tertium comparationis;  inoltre,  avendo
questa  Corte,  con  la   sentenza   n.   1   del   2015,   rimarcato
l'essenzialita'  della  composizione  interdisciplinare  del  giudice
collegiale nell'udienza preliminare minorile, il  differimento  delle
valutazioni  di  messa  alla  prova  a  tale   udienza   risulterebbe
pienamente giustificato. 
    Riguardata  nella  prospettiva  della  conformazione  dell'organo
giudicante, l'impraticabilita' di una valutazione precoce della messa
alla  prova  del  minore  ad  opera  del  giudice  per  le   indagini
preliminari, organo  monocratico  togato,  sarebbe  coerente  con  la
realizzazione delle finalita' rieducative ex art.  27,  terzo  comma,
Cost. e col favore per gli istituti di protezione della gioventu'  ex
art. 31, secondo comma, Cost. 
    6.- Con memoria depositata il 19 maggio 2020, la parte privata e'
tornata a sollecitare l'accoglimento delle questioni. 
    6.1.- In replica alle eccezioni di inammissibilita' della  difesa
statale,  essa  ha  osservato  che  le  questioni  non  sono  affatto
premature, malgrado il giudice a quo non abbia  ancora  acquisito  il
progetto di intervento dei servizi minorili, atteso  che  il  giudice
per le indagini preliminari in tanto potrebbe acquisire  il  progetto
medesimo in quanto,  per  l'appunto,  le  odierne  questioni  fossero
accolte, col conseguente riconoscimento a detto giudice del potere di
disporre la  messa  alla  prova  del  minore;  ne'  l'evocazione  dei
parametri di cui agli artt. 27, terzo comma,  e  31,  secondo  comma,
Cost. sarebbe generica o non pertinente, essendo anzi  specificamente
connessa alla funzione rieducativa  e  protettiva  della  messa  alla
prova minorile. 
    6.2.-  Nel  merito,  la  parte   insiste   nel   denunciare   che
l'impossibilita' per il minore di accedere alla messa alla prova gia'
durante   le   indagini   preliminari   ne   pregiudica   l'interesse
costituzionalmente rilevante a una celere  fuoriuscita  dal  circuito
penale, cio'  che  sarebbe  viepiu'  irragionevole  dal  momento  che
analoga preclusione non vige per l'indagato adulto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice per le indagini preliminari del  Tribunale  per  i
minorenni  di  Firenze  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 28 del d.P.R.  22  settembre  1988,  n.  448
(Approvazione delle disposizioni sul  processo  penale  a  carico  di
imputati minorenni), in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma,  e
31, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede
che la messa alla prova del minore possa essere disposta  nella  fase
delle indagini preliminari. 
    1.1.- Atteso che l'art. 464-ter del codice  di  procedura  penale
consente la messa alla prova in  fase  di  indagini  preliminari  per
l'adulto, l'esclusione di  un'analoga  possibilita'  per  il  minore,
quale emerge  dal  tenore  letterale  della  disposizione  censurata,
determinerebbe  un'irragionevole  disparita'  di   trattamento,   con
l'effetto,  contrario  al  finalismo  rieducativo   del   trattamento
sanzionatorio e al  favor  per  la  protezione  della  gioventu',  di
impedire il piu' celere affrancamento penale del minore. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
l'Avvocatura generale dello  Stato,  ha  eccepito  l'inammissibilita'
delle questioni per difetto di rilevanza, in  quanto,  essendo  state
sollevate ancora prima dell'acquisizione del progetto  di  intervento
dei servizi minorili, le  questioni  stesse  sarebbero  ipotetiche  e
premature, atteso che la disponibilita' del progetto dei  servizi  e'
un presupposto indefettibile di ogni  valutazione  sulla  messa  alla
prova. 
    2.1.- L'eccezione e' infondata. 
    Per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la
questione incidentale e' inammissibile perche' ipotetica o  prematura
se  l'applicazione  della  norma  censurata  e'  solo   eventuale   o
successiva, cio' che esclude la  rilevanza  attuale  della  questione
stessa (ex plurimis, sentenze n. 217 del 2019, n. 140 del 2018, n. 60
del 2014 e n. 317 del 2009; ordinanze n. 277 del 2010, n. 77 del 2009
e n. 142 del 2006). 
    Nel caso in scrutinio, se e' vero che il giudice  a  quo  non  ha
ancora acquisito il progetto di  intervento,  avendo  basato  le  sue
considerazioni su una  semplice  attestazione  dei  servizi  minorili
circa la «serieta' e schiettezza» del giovane indagato,  e'  altresi'
vero che la soluzione dell'incidente di costituzionalita' si situa "a
monte" dell'acquisizione del progetto medesimo. 
    Infatti, e' proprio la norma censurata che,  negando  al  giudice
per le indagini preliminari il potere di disporre la messa alla prova
minorile, gli  impedisce  di  acquisire  il  progetto  di  intervento
funzionale alla prova stessa,  cio'  che  mette  in  chiara  luce  la
rilevanza attuale delle sollevate questioni. 
    3.- L'Avvocatura ha altresi'  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni per genericita' e difetto di  pertinenza,  in  rapporto  ai
parametri di cui agli artt. 27, terzo comma,  e  31,  secondo  comma,
Cost., l'evocazione dei quali avrebbe  mancato  di  confrontarsi  con
l'evidenza  che  sono  proprio  gli   obiettivi   costituzionali   di
rieducazione e protezione del minore ad esigere  il  rinvio  di  ogni
valutazione sulla messa  alla  prova  all'udienza  preliminare,  sede
nella quale il  giudice  minorile  ha  una  struttura  collegiale  ed
interdisciplinare idonea a quel tipo di valutazione. 
    3.1.- L'eccezione e' infondata. 
    La giurisprudenza costituzionale segnala la necessita' di  tenere
sempre  distinte  la  genericita'  della  questione  come  motivo  di
inammissibilita' dall'infondatezza della questione come  giudizio  di
merito (ex plurimis, sentenze n. 45 del 2020, n.  206  e  n.  29  del
2019, n. 84 e n. 69 del 2017). 
    Nel  denunciare  come  ostativa  a  un'efficace  rieducazione   e
protezione del minore l'impossibilita'  di  disporne  la  messa  alla
prova  in   tempi   abbreviati,   cioe'   anteriormente   all'udienza
preliminare, l'evocazione dei parametri di cui agli artt.  27,  terzo
comma, e 31, secondo comma,  Cost.  solleva  questioni  specifiche  e
pertinenti, dunque ammissibili. 
    Anticipato  dalla  difesa  statale  sul  piano  del  giudizio  di
ammissibilita'  delle  questioni,  il  tema  della  collegialita'   e
interdisciplinarita' del giudice  dell'udienza  preliminare  minorile
trova piu' esatta collocazione sul  piano  del  giudizio  di  merito,
laddove concorre ad una valutazione di infondatezza,  per  quanto  di
seguito si espone. 
    4.- Nel merito, le questioni sono infondate. 
    4.1.- L'art.  28  del  d.P.R.  n.  448  del  1988,  al  comma  1,
stabilisce che «[i]l giudice, sentite le  parti,  puo'  disporre  con
ordinanza  la  sospensione  del  processo  quando  ritiene  di  dover
valutare la personalita' del minorenne all'esito della prova disposta
a norma  del  comma  2»;  il  comma  2  prevede  appunto  che  «[c]on
l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai  servizi
minorili dell'amministrazione della  giustizia  per  lo  svolgimento,
anche  in  collaborazione  con  i  servizi  locali,  delle  opportune
attivita' di osservazione, trattamento e sostegno»; ordinanza  contro
la quale, ai sensi del comma 3, «possono ricorrere per cassazione  il
pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore». 
    Il comma 4 del medesimo art. 28 escludeva che potesse farsi luogo
a sospensione con messa alla prova «se l'imputato chiede il  giudizio
abbreviato o il giudizio immediato»,  ma  tale  esclusione  e'  stata
dichiarata illegittima da questa Corte, riguardo ad entrambi  i  riti
speciali, con la sentenza n. 125 del 1995. 
    Ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n.  448  del  1988,  decorso  il
periodo di sospensione, il giudice  fissa  una  nuova  udienza  nella
quale dichiara con sentenza estinto il reato  se,  tenuto  conto  del
comportamento del minorenne e dell'evoluzione della sua personalita',
ritiene  che  la  prova  abbia  dato  esito  positivo;  «[a]ltrimenti
provvede a norma  degli  articoli  32  e  33»,  disposizioni,  queste
ultime, che disciplinano lo svolgimento dell'udienza  preliminare  e,
rispettivamente, dell'udienza dibattimentale. 
    L'art. 27 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n.  272  (Norme
di  attuazione,  di  coordinamento  e  transitorie  del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  22  settembre  1988,  n.  448,  recante
disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni),  al
comma 1, dispone che il giudice provvede alla sospensione  con  messa
alla prova sulla base di un  progetto  di  intervento  elaborato  dai
servizi   minorili   dell'amministrazione   della    giustizia,    in
collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali. 
    I commi 4 e 5 del medesimo art. 27 regolano l'interlocuzione  tra
i servizi  ed  il  «collegio  che  ha  disposto  la  sospensione  del
processo», quest'ultimo in persona del presidente o di un  componente
da lui delegato. 
    4.1.1.- Il tenore letterale dell'art. 28 del d.P.R.  n.  448  del
1988, con l'impiego delle dizioni «processo» e  «imputato»,  univoche
nel  presupporre  l'avvenuto  esercizio  dell'azione  penale,  indica
chiaramente che la messa  alla  prova  del  minore  non  puo'  essere
disposta nel corso delle indagini preliminari,  prima  dell'esercizio
dell'azione, e quindi anteriormente all'udienza preliminare. 
    Se ne trae conferma dall'art. 29 del d.P.R. n. 448 del 1988, che,
per l'ipotesi di esito negativo della prova, restituisce il  processo
quantomeno alla fase dell'udienza preliminare, della  quale,  invero,
richiama la disciplina tramite rinvio al successivo art. 32. 
    Se ne trae ulteriore conferma dal riferimento  dell'art.  27  del
d.lgs. n. 272 del 1989 al «collegio che ha  disposto  la  sospensione
del processo», organo che, per avere struttura collegiale,  non  puo'
essere  il  giudice  per   le   indagini   preliminari,   posto   che
quest'ultimo, a norma dell'art. 50-bis, comma 1, del regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), inserito dall'art.  14
del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 (Approvazione  delle  norme  per
l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo  processo  penale
ed a quello  a  carico  degli  imputati  minorenni),  e'  un  giudice
singolo, a differenza del giudice dell'udienza preliminare  minorile,
il quale viceversa, a norma dell'art. 50-bis, comma 2, e'  un  organo
collegiale interdisciplinare, «composto da un  magistrato  e  da  due
giudici onorari, un uomo e una donna». 
    4.2.- Aggiunto dall'art. 4, comma 1, lettera a), della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti  degli  irreperibili),  l'art.  464-ter  cod.  proc.   pen.
contempla la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla
prova  nel  corso  delle  indagini  preliminari,  disponendo  che  il
giudice, cui tale richiesta sia presentata,  trasmette  gli  atti  al
pubblico ministero affinche' esprima entro cinque giorni  l'eventuale
consenso, in uno alla formulazione dell'imputazione. 
    Se non deve  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  a  norma
dell'art. 129 cod. proc. pen., il giudice decide sulla  richiesta  di
messa alla prova  con  ordinanza  nel  corso  della  stessa  udienza,
sentite le parti e la persona  offesa,  oppure  in  apposita  udienza
camerale partecipata (art. 464-quater cod. proc. pen.). 
    4.2.1.- L'art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988, stabilendo
che «[n]el  procedimento  a  carico  di  minorenni  si  osservano  le
disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto,
quelle del codice di procedura penale», istituisce un  rinvio  mobile
temperato dal criterio di sussidiarieta', sicche' le disposizioni del
codice di procedura penale sopravvenute al decreto  sul  procedimento
minorile si applicano a quest'ultimo solo  per  quanto  non  previsto
dalle disposizioni del decreto medesimo. 
    Risulta pertanto corretto  il  presupposto  interpretativo  delle
questioni  in  scrutinio,  cioe'  che  il  giudice  per  le  indagini
preliminari non puo' disporre la messa alla prova  del  minore,  alla
luce  dell'art.  28  del  d.P.R.  n.  448  del  1988,  nonostante  la
sopravvenienza  dell'art.  464-ter  cod.  proc.  pen.,  che  pure  ha
consentito al medesimo  giudice  di  disporre  la  messa  alla  prova
dell'adulto. 
    4.3.- Questa Corte ha  gia'  illustrato  la  profonda  differenza
funzionale esistente tra la messa alla  prova  del  minore  e  quella
dell'adulto,  l'una  avente  finalita'  essenzialmente   rieducativa,
l'altra  viceversa  connotata  da  innegabili   tratti   sanzionatori
(sentenze n. 75 del 2020 e n. 68 del 2019). 
    L'eterogeneita' di funzione si manifesta con particolare evidenza
nella circostanza - sottolineata nella sentenza n. 68 del 2019 -  che
la messa alla prova del minore, al contrario di  quella  dell'adulto,
e' in larga parte  svincolata  da  un  rapporto  di  proporzionalita'
rispetto al reato per cui si procede, tanto da essere consentita  per
tutti i reati,  compresi  quelli  puniti  in  astratto  con  la  pena
dell'ergastolo, la diversa gravita' dei quali si  riflette  solo  nel
diverso termine massimo stabilito per la durata della sospensione del
processo (art. 28, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988). 
    Del resto, la finalita' essenzialmente  rieducativa  della  messa
alla prova minorile e' stata rimarcata da questa Corte  ancora  prima
che - con  la  legge  n.  67  del  2014  -  l'istituto  fosse  esteso
all'adulto,  essendosi  osservato  che  proprio  detta  finalita'  ha
indotto il legislatore a non  subordinare  la  messa  alla  prova  al
consenso del minore, ne' a quello del pubblico  ministero,  viceversa
affidandola unicamente alla discrezionalita' del giudice (sentenza n.
125 del 1995). 
    4.3.1.- A differenza di quella del minore, la  messa  alla  prova
dell'adulto, oltre a incontrare limiti  oggettivi  in  rapporto  alla
pena edittale del reato per cui si procede (art. 168-bis  del  codice
penale), postula la richiesta specifica dell'imputato  (art.  464-bis
cod. proc. pen.) e, ove tale richiesta sia formulata nel corso  delle
indagini  preliminari,  il  consenso  del  pubblico  ministero  (art.
464-ter cod. proc. pen.). 
    La messa alla prova dell'adulto  si  presenta,  quindi,  come  un
istituto di carattere "negoziale", perche' espressivo di  una  libera
opzione di  convenienza  dell'imputato;  nella  fase  delle  indagini
preliminari,  l'istituto   acquista   finanche   una   configurazione
"patteggiata", per la necessita' di un accordo tra  l'indagato  e  il
pubblico ministero; tutto  cio'  secondo  un  indirizzo  di  politica
legislativa cui non sono estranee finalita'  generali  di  deflazione
giudiziaria per reati di contenuta gravita'. 
    Quale  istituto  ad  applicazione  officiosa  e  illimitata,  non
condizionata cioe' dalla richiesta dell'imputato,  ne'  dal  consenso
del pubblico ministero, ne' sottoposta a  limiti  oggettivi  di  pena
edittale, la messa alla prova del  minore  evidenzia  caratteristiche
specularmente opposte  a  quella  dell'adulto,  poiche'  l'essenziale
finalita' rieducativa ne plasma la disciplina in senso  rigorosamente
personologico, estraneo ogni obiettivo di deflazione giudiziaria. 
    4.4.-  Sin  dalla  rubrica  «[r]ichiesta   di   sospensione   del
procedimento  con  messa  alla  prova  nel   corso   delle   indagini
preliminari», l'art. 464-ter cod.  proc.  pen.  mostra  di  ispirarsi
all'art. 447 cod. proc.  pen.,  che  disciplina  la  «[r]ichiesta  di
applicazione  della  pena  nel  corso  delle  indagini  preliminari»,
entrambe le disposizioni contemplando un istituto  "patteggiato"  tra
indagato e pubblico ministero, con  evidenti  finalita'  di  economia
processuale. 
    L'accostamento  e'  confermato  dal   rilievo   che,   come   per
l'applicazione della pena su richiesta, anche per la messa alla prova
in  fase  di  indagini  preliminari,  con  palese  analogia  tra   le
previsioni degli artt. 448 e 464-ter cod. proc. pen., il dissenso del
pubblico  ministero  non  e'  superabile  dal   giudice,   salva   la
riproposizione  dell'istanza  in  sede  predibattimentale  (Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 31 marzo 2016 - 29  luglio
2016, n. 33216, e sezione sesta penale, sentenza 21 ottobre 2015 -  2
febbraio 2016, n. 4171). 
    4.4.1.- Deve allora rammentarsi che questa Corte,  nel  giudicare
legittimo l'art. 25 del d.P.R.  n.  448  del  1988,  laddove  esclude
l'operativita'   nel   processo   penale    minorile    dell'istituto
dell'applicazione della pena su richiesta delle  parti,  ha  ritenuto
che l'esclusione corrisponda «ad un ponderato  bilanciamento  tra  le
esigenze  di  economia  processuale,  che  avrebbero  consigliato  di
ammettere forme di "patteggiamento" anche nel procedimento  a  carico
di imputati minorenni, e le peculiarita'  del  modello  di  giustizia
minorile   adottato   dall'ordinamento   italiano,   sorretto   dalla
prevalente finalita' di recupero del minorenne e di tutela della  sua
personalita', nonche' da obiettivi  pedagogico-rieducativi  piuttosto
che retributivo-punitivi» (sentenza n. 272 del 2000). 
    Ancora prima, con la sentenza n. 135 del 1995,  questa  Corte  ha
osservato come l'istituto  del  "patteggiamento"  possa  condurre  ad
esiti incoerenti con la finalita'  rieducativa  del  processo  penale
minorile, essendo questo caratterizzato da amplissimi e  incoercibili
poteri discrezionali del giudice, in funzione dell'esigenza  primaria
di recupero del minore. 
    4.5.-  La  questione  sollevata  dal  Giudice  per  le   indagini
preliminari del Tribunale per i minorenni di Firenze  in  riferimento
all'art.  3  Cost.  e'  infondata,   dunque,   poiche'   il   tertium
comparationis, che il giudice a quo individua nell'art. 464-ter  cod.
proc. pen., e' eterogeneo rispetto alla norma censurata. 
    L'eterogeneita' delle fattispecie in comparazione implica che non
appaia  irragionevole  il  differente  trattamento,   riservato   dal
legislatore alla messa alla prova dell'adulto,  consentita  anche  in
fase di indagini preliminari, e alla messa alla prova del  minorenne,
viceversa non consentita in quella fase. 
    La messa alla prova dell'adulto e' prevista  solo  per  reati  di
moderata gravita', rispetto ai quali l'ordinamento, per finalita'  di
deflazione giudiziaria, sospende il processo in vista  dell'eventuale
estinzione del reato, sempre che l'imputato ne  faccia  richiesta  e,
nel caso di indagini preliminari in corso, il pubblico  ministero  vi
consenta. 
    Viceversa, la messa alla prova del minore e' prevista per tutti i
reati,  anche  quelli  di  gravita'  massima,   rispetto   ai   quali
l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione
del reato per finalita' puramente  rieducative,  quindi  non  perche'
l'imputato lo richieda e il pubblico ministero vi consenta,  ma  solo
perche',  ed   in   quanto,   lo   ritenga   opportuno   un   giudice
strutturalmente idoneo a valutare la personalita' del minore. 
    4.5.1.- La finalita' essenzialmente rieducativa della messa  alla
prova minorile si oppone a un'eccessiva anticipazione  procedimentale
delle relative valutazioni. 
    Nel modello  elevato  dal  rimettente  a  tertium  comparationis,
l'adulto puo' chiedere la messa alla prova  anche  all'esordio  delle
indagini preliminari, non ponendo  l'art.  464-ter  cod.  proc.  pen.
alcun limite iniziale di ordine temporale. 
    Se cio' puo' apparire coerente con la  natura  "negoziale"  della
messa alla prova dell'adulto e con l'oggettiva delimitazione edittale
dei reati compatibili, non altrettanto  sarebbe  per  la  messa  alla
prova del minore,  poiche'  quest'ultima,  rientrando  nell'esclusiva
discrezionalita' del giudice e  potendo  riguardare  anche  reati  di
elevata   gravita',    presuppone    quantomeno    una    definizione
approssimativa  dei  fatti,  sintomatici   delle   reali   necessita'
rieducative del minore indagato. 
    L'opzione legislativa  di  fissare  nell'udienza  preliminare,  e
quindi dopo l'esercizio dell'azione penale, il  primo  momento  utile
per la  messa  alla  prova  del  minore  corrisponde  ragionevolmente
all'esigenza  di  assicurare  che  le  relative   valutazioni   siano
esercitate su un  materiale  istruttorio  sufficientemente  definito,
oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i
riflessi personalistici. 
    4.6.- La scelta del legislatore di affidare la messa  alla  prova
minorile al giudice dell'udienza preliminare, e  di  non  consentirne
una valutazione anticipata da  parte  del  giudice  per  le  indagini
preliminari, trova la sua ratio  anche  nella  struttura  dell'organo
giudicante, collegiale e interdisciplinare nell'un caso,  monocratico
e togato nell'altro. 
    4.6.1.- Questa Corte  ha  sottolineato  come,  nella  prospettiva
dell'adeguata protezione della gioventu' di cui all'art. 31,  secondo
comma, Cost., la preminente  funzione  rieducativa  del  procedimento
penale minorile trovi una fondamentale rispondenza nella  particolare
composizione "mista"  del  giudice  specializzato,  arricchita  dalla
dialettica interna tra la componente togata e quella esperta:  «[e'],
infatti,  grazie  alle  competenze  scientifiche  dei  soggetti   che
compongono il collegio  giudicante  che  viene  svolta  una  corretta
valutazione  delle  particolari  situazioni  dei   minori,   la   cui
evoluzione psicologica, non ancora  giunta  a  maturazione,  richiede
l'adozione di particolari trattamenti penali che consentano  il  loro
completo recupero, ponendosi, quest'ultimo, quale obiettivo primario,
cui tende l'intero sistema penale  minorile»  (sentenza  n.  310  del
2008). 
    Invero, «la specializzazione del  giudice  minorile,  finalizzata
alla  protezione  della  gioventu'  sancita  dalla  Costituzione,  e'
assicurata dalla struttura complessiva di  tale  organo  giudiziario,
qualificato dall'apporto degli esperti laici» (ordinanza n.  330  del
2003). 
    4.6.2.- Con particolare riguardo al giudice minorile dell'udienza
preliminare, questa Corte, gia' con la sentenza n. 311 del  1997,  ha
messo in luce che la composizione "mista" stabilita dall'art. 50-bis,
comma 2, del r.d. n. 12 del 1941  risponde  alla  complessita'  delle
decisioni che tale giudice e' chiamato ad  assumere,  tra  le  quali,
appunto, l'eventuale sospensione del processo con messa alla prova. 
    Oltre alla conformazione interdisciplinare dell'organo, la  Corte
ne ha  illustrato  la  diversificazione  di  genere,  poiche'  l'art.
50-bis, comma 2, del r.d. n. 12 del 1941, esigendo che  i  componenti
onorari siano «un uomo  e  una  donna»,  garantisce  che  «nelle  sue
decisioni il collegio possa sempre avvalersi del peculiare contributo
di esperienza e di sensibilita' proprie del  sesso  di  appartenenza»
(ordinanza n. 172 del 2001). 
    4.6.3.- Nella sentenza  n.  1  del  2015,  questa  Corte  ha  poi
osservato che «[p]er la loro specifica professionalita', che assicura
un'adeguata  considerazione  della  personalita'  e  delle   esigenze
educative del minore, i due  esperti  che  affiancano  il  magistrato
contribuiscono  anche  all'osservanza   del   principio   di   minima
offensivita',   che   impone   di   evitare,   nell'esercizio   della
giurisdizione  penale,  ogni   pregiudizio   al   corretto   sviluppo
psicofisico del  minore  e  di  adottare  le  opportune  cautele  per
salvaguardare le correlate esigenze educative». 
    Il principio di minima offensivita' della risposta penale  e'  di
stretta  attinenza  alla  messa  alla  prova,  tipico   istituto   di
"diversione" dalla sequenza fra reato e pena, e  non  a  caso  questa
Corte tale principio ha evocato nel riconoscere spettante al  giudice
collegiale dell'udienza preliminare, anziche' al giudice  monocratico
per  le  indagini  preliminari,  il  giudizio   abbreviato   minorile
innestato su decreto di giudizio immediato. 
    Invero, nella sentenza n. 1 del 2015,  e'  stato  rimarcato  che,
avendo la sentenza n. 125 del 1995 ammesso la prova minorile anche in
sede di  giudizio  abbreviato,  per  quest'ultimo  e'  necessaria  la
collegialita' interdisciplinare del giudice dell'udienza preliminare,
«perche' e' proprio per garantire decisioni attente alla personalita'
del minore  e  alle  sue  esigenze  formative  ed  educative  che  il
tribunale per i minorenni e' stato strutturato nel  modo  che  si  e'
detto». 
    4.6.4.-  La  tesi  espressa  dal  rimettente,  secondo  la  quale
l'apporto scientifico dei giudici onorari potrebbe essere  recuperato
dal giudice  per  le  indagini  preliminari  tramite  l'audizione  di
esperti ai sensi dell'art. 9, comma 2, del d.P.R. n.  448  del  1988,
esperti che potrebbero a suo avviso coincidere con le stesse  persone
fisiche di quei giudici  onorari,  tradisce  un  fraintendimento  del
ruolo dei componenti non togati del giudice dell'udienza  preliminare
minorile. 
    Questi non sono meri consulenti tecnici  del  componente  togato,
bensi' componenti dell'organo giudicante a pari titolo, e  come  tali
essi concorrono alla decisione non  indirettamente,  ma  pleno  iure,
peraltro rappresentando la quota maggioritaria dell'organo stesso. 
    Se cio' corrisponde  in  generale  alla  preminenza  dell'aspetto
rieducativo negli istituti del diritto penale minorile e alla  natura
spiccatamente personalistica delle valutazioni  ad  essi  sottese,  a
fortiori si addice alla messa alla prova del minore,  che  l'art.  28
del d.P.R. n. 448 del 1988 definisce proprio come una valutazione  di
personalita', da compiere in senso dinamico  ed  evolutivo,  in  base
alle opportune attivita' di osservazione, trattamento e sostegno. 
    4.6.5.- Lungi dall'ostacolare il  finalismo  rieducativo  di  cui
all'art. 27, terzo comma, Cost. e la protezione  della  gioventu'  di
cui all'art. 31, secondo comma,  Cost.,  l'assegnazione  della  messa
alla prova del minore al giudice dell'udienza preliminare e non anche
al giudice per  le  indagini  preliminari  appare  conforme  a  detti
parametri,   poiche'   assicura   che   le    delicate    valutazioni
personalistiche implicate dall'istituto siano  svolte  da  un  organo
collegiale, interdisciplinare e diversificato  nel  genere,  pertanto
idoneo ad espletarle  nella  piena  consapevolezza  di  ogni  aspetto
rilevante. 
    4.6.6.- Non muta i termini del problema  la  circostanza  che  il
giudice  per  le  indagini  preliminari  condivida  con  il   giudice
dell'udienza  preliminare  altri  poteri  decisori,  come  quello  di
adottare misure cautelari nei  confronti  del  minore  (art.  19  del
d.P.R. n. 448 del 1988)  e  quello  di  dichiarare  il  non  luogo  a
procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 del d.P.R.  n.  448  del
1988). 
    In queste diverse fattispecie la valutazione  della  personalita'
del  minore,  seppure  necessaria  come  nell'applicazione  di   ogni
istituto di diritto  minorile,  non  rappresenta  tuttavia  l'essenza
stessa dell'intervento giudiziale, ed invece concorre con valutazioni
di contenuto prevalentemente oggettivo e tecnico-giuridico. 
    Nella  messa   alla   prova   del   minore,   invece,   l'aspetto
personologico  e'  assolutamente  centrale,  sicche'  il   contributo
decisorio dei giudici esperti si rivela essenziale. 
    5.- Pur non  evocando  esplicitamente  un  parametro  di  respiro
sovranazionale, l'ordinanza di  rimessione  menziona  piu'  volte  le
Regole  minime  delle  Nazioni   unite   sull'amministrazione   della
giustizia minorile ("Regole  di  Pechino"),  adottate  dall'Assemblea
generale con la risoluzione 40/33 del 29 novembre 1985,  segnatamente
l'art.  18.1,  che,  tra  le  misure   deputate   a   promuovere   la
flessibilita' e la de-istituzionalizzazione  del  trattamento  penale
minorile, indica, per l'appunto, la messa alla prova. 
    5.1.- Le citate "Regole di Pechino" dettano il principio generale
del perseguimento  del  benessere  minorile  (art.  5.1)  e  l'altro,
funzionale    al    primo,    dell'esercizio    qualificato     della
discrezionalita' giudiziale (art. 6.3). 
    La messa alla prova resta inscritta entro queste coordinate,  che
ne indicano l'obiettivo ultimo nel recupero sociale del minore e,  al
contempo,  identificano   nella   qualificazione   del   giudice   un
fondamentale strumento operativo. 
    Ferma dunque la grande importanza  della  messa  alla  prova  nel
sistema di giustizia penale minorile, alle cui tipiche  finalita'  di
reinserimento sociale l'istituto  corrisponde  «forse  piu'  di  ogni
altro», come da questa Corte rimarcato con la  sentenza  n.  125  del
1995, resta che la misura puo' assolvere  la  sua  primaria  funzione
rieducativa  solo  se  disposta,  a  tempo  debito,  da  un   giudice
strutturalmente   qualificato   alle   necessarie   valutazioni    di
personalita', poiche'  queste  condizionano  l'esito  positivo  della
prova, la conseguente dichiarazione di estinzione  del  reato  e,  in
ultima analisi,  l'effettiva  fuoriuscita  del  minore  dal  circuito
penale. 
    5.2.- In tale direzione, la stessa udienza  preliminare,  che  il
rimettente vorrebbe prevenire a fini di speditezza,  puo'  costituire
per  il  minore  un  prezioso   momento   educativo,   occasione   di
comprensione autentica e non utilitaristica della messa  alla  prova,
in virtu'  del  dialogo  con  un  giudice  non  solo  togato,  meglio
qualificato ad illustrare al giovane - come prescrive l'art. 1, comma
2, del d.P.R. n. 448 del  1988  -  «il  significato  delle  attivita'
processuali che si svolgono in sua presenza nonche' il contenuto e le
ragioni anche etico-sociali delle decisioni». 
    6.- Per le considerazioni  che  precedono,  le  questioni  devono
essere dichiarate non fondate, in riferimento  a  tutti  i  parametri
evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 28 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle
disposizioni sul processo penale a  carico  di  imputati  minorenni),
sollevate, in riferimento agli  artt.  3,  27,  terzo  comma,  e  31,
secondo comma,  della  Costituzione,  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale per i minorenni di Firenze con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA