N. 85 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 giugno 2019

Ordinanza del 5 giugno 2019 della Commissione tributaria  provinciale
di Venezia sul ricorso proposto da Azienda ULSS 12  Veneziana  contro
Agenzia delle entrate - Riscossione, Agente della riscossione per  la
Provincia di Venezia, gia' Equitalia Nord S.p.a.. 
 
Imposte  e  tasse  -  Riscossione  -  Remunerazione  del  servizio  -
  Imposizione a carico del debitore di un aggio percentuale  pari  al
  4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo o al 9 per cento  delle
  somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, a
  seconda che il pagamento  avvenga  o  meno  entro  il  sessantesimo
  giorno dalla notifica della cartella. 
- Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino  del  servizio
  nazionale della riscossione, in attuazione  della  delega  prevista
  dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), art. 17  [,  comma  1,  nel
  testo  sostituito  dall'art.  32,  comma   1,   lettera   a),   del
  decreto-legge 29 novembre 2008,  n.  185  (Misure  urgenti  per  il
  sostegno  a  famiglie,  lavoro,  occupazione  e   impresa   e   per
  ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale),
  convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2]. 
(GU n.29 del 15-7-2020 )
 
          LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI VENEZIA 
                              Sezione 1 
 
    riunita con l'intervento dei signori: 
        Caracciolo Giuseppe, Presidente; 
        Vanadia Gaetano, relatore; 
        Vettorel Guido, giudice, 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.   1192/2014
depositato il 13 novembre 2014; 
    avverso  cartella  di  pagamento  n.  11920140011195169000  Altri
tributi aggio risc.; 
    contro: Agente di riscossione Venezia Equitalia Nord S.p.a; 
    difeso da: Schiavon Luca,  via  Miranese,  3  -  Mestre  -  30100
Venezia; 
    avverso  cartella  di  pagamento  n.  11920140011195169000  Altri
tributi aggio risc.; 
    contro: Ag. entrate - Riscossione - Venezia; 
    difeso da: Schiavon Luca, via Pierobon 1 - 30031 Dolo; 
    proposto dal ricorrente:  Azienda  ULSS  12  Veneziana,  via  Don
Federico Tosatto, 147 Mestre - 30174 Venezia VE; 
    difeso da: Tosi Loris, Mestre Via Torino 151/A  -  30100  Venezia
VE. 
    Ordinanza  del  29  marzo  2019  della   Commissione   tributaria
provinciale di Venezia  sul  ricorso  proposto  da  Azienda  ULSS  12
Veneziana. Contro Equitalia Nord S.p.a. 
    Imposte e tasse - Riscossione delle imposte -  Remunerazione  del
servizio - Aggio percentuale sulle somme iscritte  a  ruolo  riscosse
(c.d. compenso di riscossione) - Imposizione a carico  del  debitore,
in misura parziale o integrale, a seconda che  il  pagamento  avvenga
entro o oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella  -
Violazione del principio eguaglianza - contrasto con il principio  di
capacita' contributiva -Violazione dei principi  di  buon  andamento,
imparzialita' e trasparenza della  pubblica  amministrazione  nonche'
del principio civilistico di corrispettivita' delle prestazioni. 
    Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, art.  17  (nel  testo
risultante dopo le modifiche apportate dall'art. 2, comma 3,  lettera
a),  del  decreto-legge  3  ottobre  2006,  n.  262,  convertito  con
modificazioni, della legge 24 novembre 2006, n. 286, e dall'art.  32,
comma 1, lettera a), del decreto-legge  29  novembre  2009,  n.  185,
convertito, con modificazioni, della legge 28 gennaio 2009, n. 21. 
    Costituzione 3, 23, 53, 76 e 97. 
 
          LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI VENEZIA 
                              Sezione 1 
 
    riunita con intervento dei signori: 
        Giuseppe Caracciolo, Presidente; 
        Gaetano Vanadia, relatore; 
        Guido Vettorel, giudice; 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.   1192/2014
depositato il 13 novembre 2014, avverso la cartella di  pagamento  n.
119 2014 00111951 69 000 - con riferimento alla  pretesa  concernente
l'aggio di riscossione contro  Equitalia  Nord  S.p.a.  -  Agente  di
riscossione - Provincia di Venezia; Proposto dalla ricorrente Azienda
ULSS 12 Veneziana, Via Don Tosatto, 147, Venezia; 
    Difesa da prof. avv. Loris  Tosi,  ed  elettivamente  domiciliata
presso lo studio, in Venezia - Mestre 30172, Via Torino n. 151/A; 
    In data 3 settembre 2014, a seguito della sentenza  n.  8320/2014
della Corte di cassazione, e' stata  notificata  alla  ricorrente  la
cartella sopra indicata. A mezzo di  tale  cartella  Equitalia  -Nord
S.p.a. intima il pagamento di complessivi euro 4.249.745,75 a  titolo
di imposte, sanzioni, interessi e compensi di  riscossione,  per  gli
anni dal 1998 al 2001 
    In particolare, viene richiesta la somma di euro  188.838,07  per
compensi (aggio) di riscossione. 
    Nell'udienza del 29 marzo 2019 la causa e' stata  discussa  sulle
seguenti conclusioni nell'interesse della ricorrente: Chiede  che  la
Commissione - in diritto e in via  pregiudiziale  -  sollevi  innanzi
alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 17, decreto legislativo n. 112/1999 per contrasto  con  gli
articoli 3, 23, 24,  53,  76  e  97  della  Costituzione;  e  in  via
principale dichiarare nulla, ovvero illegittima in toto o  in  parte,
ed in tal caso  annullarsi  in  toto  o  in  parte,  la  cartella  di
pagamento con riferimento alla pretesa dell'aggio di riscossione;  in
via subordinata, dichiarare nulla, ovvero illegittima in  toto  e  in
parte, ed in tal caso annullarsi in toto o in parte, la  cartella  di
pagamento, per errata determinazione  dell'aggio  di  riscossione,  e
condannare la controparte al rimborso delle somme eventuale  percette
nelle more del processo e al pagamento delle spese del giudizio.  Nel
dettaglio le cifre riportate nell'atto impugnato: 
        anno 1998: imposte, interessi e  sanzioni  iscritti  a  ruolo
euro 1.024.828,27 - compensi di riscossione euro 47.654,54; 
        anno 1999: imposte, interessi e  sanzioni  iscritti  a  ruolo
euro 1.010.123,39 - compensi di riscossione euro 46.970,74; 
        anno 2000: imposte, interessi e  sanzioni  iscritti  a  ruolo
euro 1.216.915,98 - compensi di riscossione euro 56.586,59; 
        anno 2001: imposte, interessi e  sanzioni  iscritti  a  ruolo
euro 809.039,34 - compensi di riscossione euro 37.620,32; 
        Totali: imposte interessi  e  sanzioni  euro  4.060.906,98  -
Aggio di riscossione euro 188.838,07. 
    Il  ricorso  riguarda  unicamente  i  compensi   di   riscossione
determinati sulla somma iscritta nel ruolo della predetta cartella. 
    A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce i seguenti motivi. 
Illegittimita' costituzionale dell'art. 17 del decreto legislativo n.
112/1999 per contrasto con gli articoli 3, 23, 24, 53, 76 e 97  della
Costituzione. 
    Nel provvedimento  impugnato  si  legge  che  parte  dell'importo
totale che asseritamente risulta non  pagato  e'  composto  da  somme
pretese a titolo di «compenso di riscossione» per euro 188.838,07. 
    La parte ricorrente assume che tali compensi di  riscossione  non
siano  dovuti,  e  in  questa  sede   sono   oggetto   di   specifica
contestazione, in quanto la  norma  che  li  prevede  e'  affetta  da
incostituzionalita'. 
    I  compensi  di  riscossione  sono  richiesti  dall'Agente  della
riscossione ai sensi dell'art. 17 (sotto  la  rubrica  «Remunerazione
del servizio»), comma 1, del decreto legislativo n.  112/1999,  nella
versione applicabile al caso di specie, in cui si legge: «l'attivita'
degli agenti della riscossione e' remunerata con un  aggio,  pari  al
nove ["otto" ex decreto-legge  n.  95/2012]  per  cento  delle  somme
iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora e che e' a
carico del debitore». 
    Detto onere e' a carico del debitore in misura parziale  in  caso
di pagamento  entro  il  sessantesimo  giorno  dalla  notifica  della
cartella, integralmente, in caso contrario. 
    Si riportano di seguito le ragioni che  la  parte  ricorrente  ha
dedotto a sostegno della questione di legittimita' costituzionale. 
1) Premesse. 
    La parte ricorrente assume che l'art. 17 del decreto  legislativo
n. 112/1999, nella formulazione sopra riportata, tuttavia,  contrasta
sotto diversi aspetti con i principi costituzionali degli articoli 3,
23, 24, 53, 76 e 97. Si tratta di una posizione condivisa da  copiosa
giurisprudenza di merito, tant'e' che, allo stato attuale, pendono al
vaglio   della   Corte   costituzionale   due   ordinanze,    emesse,
rispettivamente, dalla Commissione tributaria provinciale  di  Latina
(n.  40  del  29  gennaio  2013)  e  dalla   Commissione   tributaria
provinciale di Torino (n. 147 del 18 dicembre 2013). 
    A mezzo  di  tali  ordinanze  i  Giudici  di  primo  grado  hanno
sollevato  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   della
disciplina sulla remunerazione del servizio di riscossione, di cui al
citato art. 17. 
    Non solo. Anche la Commissione tributaria provinciale di Roma  ha
rimesso  alla  Consulta  la   valutazione   circa   la   legittimita'
costituzionale dell'art. 17 (ordinanza n. 271/2010), con  riferimento
al principio di uguaglianza nonche' con riferimento all'art. 53 della
Costituzione. 
    E tuttavia, in  tal  caso,  senza  esprimersi  sul  merito  della
vertenza, la Corte  ha  dichiarato  la  questione  inammissibile  per
«difetto di rilevanza della questione sollevata, dal momento  che  il
giudice rimettente non  ha  in  alcun  modo  illustrato,  anche  solo
sommariamente, le ragioni  di  infondatezza  degli  altri  motivi  di
ricorso, pure spiegati in via principale nel giudizio a quo ed aventi
"priorita' logica"». 
    In definitiva, i Giudici tributari continuano a farsi  interpreti
delle  perplessita'  sulla  legittimita'  dell'art.  17  del  decreto
legislativo n. 112/1999, la  cui  formulazione,  come  si  e'  detto,
appare in aperto contrasto con numerosi principi costituzionali. 
    Cio' vale a maggior  ragione  se  si  considerano  le  norme  che
successivamente hanno modificato il testo dell'art. 17 ora  in  esame
(recate dall'art. 13-quater del decreto-legge  n.  201/2011,  nonche'
dall'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 95/2012). 
    Nella sua ultima formulazione,  non  ancora  attuata  in  assenza
dell'apposito decreto, l'art. 17, comma 1, dispone che  «al  fine  di
assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione,
per  il  presidio  della   funzione   di   deterrenza   e   contrasto
dell'evasione e per il progressivo innalzamento del tasso di adesione
spontanea agli obblighi tributari, gli agenti della riscossione hanno
diritto  al  rimborso  dei  costi  fissi  risultanti   dal   bilancio
certificato, da determinare annualmente, in misura percentuale  delle
somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con
decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze,
che tenga conto dei  carichi  annui  affidati,  dell'andamento  delle
riscossioni   coattive   e   del    processo    di    ottimizzazione,
efficientamento e riduzione dei costi  del  gruppo  Equitalia  S.p.a.
Tale decreto deve, in ogni  caso,  garantire  al  contribuente  oneri
inferiori a quelli in essere alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto. Il rimborso di cui al primo periodo e' a carico del
debitore: a) per una quota pari al 51 per cento, in caso di pagamento
entro il sessantesimo giorno dalla notifica della  cartella.  In  tal
caso, la restante parte del rimborso e' a carico dell'ente creditore;
b) integralmente, in caso contrario». 
    Dalla lettura del nuovo testo di legge (il  quale  definisce  con
precisione i criteri che disciplinano la  determinazione  dei  «costi
fissi» suscettibili di rimborso), nonche'  dalle  implicite  censure,
nei confronti  della  precedente  formulazione,  in  esso  contenute,
emerge con chiarezza  che  la  previgente  norma  -  che  ha  trovato
applicazione nel  caso  di  specie  -  e'  in  urto  con  i  principi
dell'ordinamento costituzionale e, in particolare, con  il  principio
di ragionevolezza insito nell'art. 3 della Costituzione. 
2) Profili di illegittimita' costituzionale. Violazione  dell'art.  3
Cost. e dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. 
    Il menzionato art. 17 risulta nella sua disciplina irragionevole,
illogico nonche' discriminatorio e si pone in contrasto con l'art.  3
della Costituzione, il quale sancisce il principio di  uguaglianza  e
di ragionevolezza. 
    Anzitutto, e' irragionevole e illogico  in  quanto  non  risponde
alle  finalita'  perseguite  dal  legislatore  come  evidenziate  nel
disegno di legge n. 1750 («Conversione in legge del decreto-leggo  n.
262 del 2006»), in cui si precisa: «poiche' lo svolgimento della sola
riscossione coattiva si presenta particolarmente  oneroso,  la  nuova
disposizione   assicurera'   agli   agenti   della   riscossione   la
possibilita' di  fruire  di  un  livello  di  remunerazione  adeguato
all'onerosita' dell'attivita'». 
    Ora, stabilire che l'aggio  della  riscossione  sia  pari  a  una
percentuale delle somme  riscosse  non  consente  di  commisurare  la
remunerazione al costo effettivo del servizio. 
    Infatti, cosi' ragionando, in caso di iscrizione  di  tributi  di
importo esiguo, si finirebbe per determinare un compenso al di  sotto
del livello minimo di remunerativita' del servizio; diversamente,  in
caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato, si riconoscerebbe
un compenso di riscossione di gran lunga  superiore  ai  costi  della
procedura   esecutiva,   finendo   per   escludere   in   ogni   caso
l'imprescindibile legame tra remunerazione del servizio ed  attivita'
di riscossione. 
    In altri termini, l'irrazionalita' deriva dalla  circostanza  che
detta misura non assicura che la  gestione  del  servizio  sia  volta
soltanto alla copertura dei costi. Tant'e' che il pagamento e' dovuto
anche in assenza  di  costi,  mentre  l'importo  dell'aggio  dovrebbe
corrispondere al costo della prestazione. 
    Sotto un differente punto di  vista,  inoltre,  la  normativa  in
oggetto e' irragionevole  anche  per  difetto  di  proporzione  della
misura dei compensi. 
    I menzionati oneri di riscossione sono palesemente sproporzionati
rispetto ai costi  sostenuti  da  Equitalia  S.p.a.,  soprattutto  in
considerazione dell'assenza di un limite massimo fisso entro il quale
l'aggio deve essere applicato. 
    Quanto  poc'anzi  argomentato  trova  conferma  alla   luce   del
pronunciamento  reso  dalla  Consulta  in  ordine  al   giudizio   di
legittimita'  costituzionale  concernente  la  misura  dei   compensi
spettanti ai concessionari del servizio di riscossione delle  imposte
operanti in Sicilia: 
        «In una fattispecie in cui il compenso per il  concessionario
del servizio di riscossione dei tributi e' (senza  contestazioni  sul
piano della legittimita') posto a carico del contribuente, che a quel
servizio ha dato causa con il suo inadempimento  all'obbligo  di  una
veritiera e precisa denuncia,  la  prevista  determinazione  di  tale
compenso in misura percentuale del tributo (1%)  con  il  contestuale
correttivo di un prestabilito importo minimo (L.  15.000)  e  massimo
(L. 300.000) e' volta infatti a realizzare (con l'utilizzazione di un
meccanismo necessariamente articolato in termini medi e forfettari un
opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione  al  costo  del
servizio; contemporaneamente impedendo, per un verso, che, in caso di
iscrizione di tributi di importo eccessivamente limitato (inferiore a
L. 1.500.000) la misura percentuale del compenso scenda al  di  sotto
del livello minimo di remunerativita' del servizio e,  per  converso,
che, in caso di iscrizione di tributi di ammontare elevato (superiore
a L. 30.000.000) il compenso stesso salga notevolmente  al  di  sopra
della predetta soglia di copertura del costo della procedura»  (Corte
costituzionale, sentenza 30 dicembre 1993, n. 480). 
    Quindi, secondo il Giudice delle  leggi,  l'introduzione  di  una
disposizione che prevede la remunerazione del servizio di riscossione
in misura percentuale al tributo, non  e'  irragionevole  soltanto  a
condizione che venga prestabilito un importo minimo e  massimo  entro
cui l'aggio deve  necessariamente  essere  contenuto,  altrimenti  la
remunerazione del servizio risulta del tutto  slegata  dall'effettivo
costo dell'attivita' di riscossione. 
    Orbene, trasferendo il suddetto principio all'importo dell'8%, e'
indubbio che il comma 1 dell'art. 17 sia irragionevole e, dunque,  in
contrasto con l'art. 3 Cost., giacche' il contribuente e' costretto a
pagare  dei  compensi  di  riscossione  che  aumentano  al   crescere
dell'importo iscritto. 
    In assenza di un prefissato tetto  massimo  -  giova  ribadire  -
l'aggio non risulta piu' ancorato alla  effettiva  remunerazione  del
costo sostenuto dall'Agente della riscossione. 
    Ad esempio, se una cartella di  pagamento  reca  un'iscrizione  a
ruolo di 10.000,00 euro, l'aggio e' pari 800,00 euro.  Se  la  stessa
cartella  di  pagamento  reca,  invece,  un'iscrizione  a  ruolo   di
100.000,00 euro, l'aggio  aumenta  a  8.000,00  euro.  E  ancora,  se
l'importo iscritto a ruolo  nella  cartella  ammonta  a  1.000.000,00
euro, il compenso di riscossione giunge a ben 80.000,00 euro. 
    Nel caso di specie, i compensi giungono addirittura a  188.838.07
euro. Il compenso di riscossione, quindi, cresce  a  dismisura  senza
alcuna limitazione. 
    Per il solo motivo di avere  stampato  un  atto  privo  di  parte
motiva (cartella  di  pagamento),  limitandosi  a  riprodurre  quanto
indicato nel ruolo, Equitalia  S.p.A.  puo'  quindi  incassare  anche
decine di migliaia di euro (come nel caso in esame), essendo  l'aggio
parametrato unicamente al valore del ruolo. 
    In  altre  parole,  l'aggio  percentuale  -   essendo   calcolato
proporzionalmente su ogni tributo iscritto  a  ruolo  -  risulta  del
tutto svincolato dagli effettivi costi di  riscossione,  perdendo  in
questo modo la sua connotazione di  controprestazione  economica  per
l'attivita' esplicata dall'Agente della riscossione. 
    La norma, priva di qualsiasi  effettivo  e  opportuna  ancoraggio
detta remunerazione del costo del servizio, espone i  contribuenti  a
pretese di  rimborso  di  costi  non  giustificati,  indimostrati  ed
esorbitanti. 
    La disposizione in parola,  determinando  una  percentuale  fissa
applicabile a ogni importo, crea una disparita' di trattamento tra  i
contribuenti soggetti al servizio, in quanto, a parita'  di  servizio
reso (compilazione delta cartella), il compenso  varia  in  relazione
agli importi dovuti. 
    A cio'  si  aggiunga,  infine,  che  i  compensi  di  riscossione
maturano  anche  sulle  somme  asseritamente  dovute  a   titolo   di
interessi, di sanzioni pecuniarie e  sui  costi  di  notifica  e  non
soltanto sulle imposte richieste, ossia su voci accessorie che  nulla
hanno a che fare con la pretesa tributaria! 
    Sicche', l'irragionevolezza della norma  si  manifesta  sotto  un
ulteriore profilo, laddove vengono  computati  nel  montante  su  cui
calcolare l'aggio anche  gli  interessi  dovuti  all'ente  impositore
titolare del credito d'imposta, venendo in tal modo a riconoscere  ad
un soggetto terzo, l'Agente della riscossione, un sovrappiu' a titolo
di interessi, su somme da quest'ultimo non anticipate  ne'  tantomeno
sborsate. 
3) Profili di illegittimita' costituzionale. Violazione dell'art.  23
Cost. e del principio di riserva di legge. 
    La violazione del principio di riserva di legge e' evidente se si
considera che i compensi di  riscossione  costituiscono  in  concreto
prestazioni patrimoniali imposte: esse sono legittime, pero', solo se
previste «in base alla legge». 
    La riserva di legge relativa stabilita dalla Costituzione impone,
infatti, che il legislatore ordinario individui il presupposto  e  la
misura della prestazione. 
    Cio' non e'  avvenuto  nel  caso  dei  compensi  di  riscossione,
mancando sia una disposizione  di  legge  che  se  pur  genericamente
individui  gli  atti  esecutivi  o  comunque  gli  altri   oneri   di
riscossione a carico del contribuente sia una norma  che  preveda  la
misura del costo dell'esecuzione coattiva. 
    E difatti, proprio in riferimento alla misura  della  prestazione
la giurisprudenza della  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  che  il
principio della riserva di legge e' rispettato nei  casi  in  cui  la
norma indica la misura massima  dell'aliquota,  o  comunque  fissa  i
criteri idonei a delimitare la discrezionalita'  dell'imposizione  da
parte dell'Ente di riscossione (Corte costituzionale, sentenze n.  72
del 1969 e n. 507 del 1988). 
4) Profili di illegittimita' costituzionale. Violazione dell'art.  24
Cost. e del diritto alla difesa. 
    In merito, poi, alla violazione dell'art. 24 della Costituzione e
del principio alla difesa, si osserva che l'art.  17  e'  illegittimo
nella parte in cui non impone al  Concessionario  di  indicare  nella
sezione «dettaglio degli addebiti» gli  atti  esecutivi  compiuti  in
ogni singolo procedimento di riscossione. 
    Il legislatore, infatti, con l'art. 17 del decreto legislativo n.
112 del 1999, cosi' come strutturato, avalla la  possibilita'  per  i
concessionario di chiedere il pagamento di asseriti costi  che  hanno
il  loro  fondamento  in  attivita'  esecutive  non  conosciute   ne'
conoscibili, magari mai poste in essere,  impedendo,  per  l'effetto,
allo stesso debitore in mora il controllo della  proporzionalita'  (o
addirittura della effettiva  necessita')  delle  attivita'  poste  in
essere dall'ente di riscossione. 
5) Profili di illegittimita' costituzionale. Violazione dell'art.  53
Cost. e del principio di capacita' contributiva. 
    Relativamente  alla  violazione  del   principio   di   capacita'
contributiva contenuto nell'art. 53 della Costituzione, si  evidenzia
come porre a esclusivo carico dei contribuente gli oneri (tra l'altro
non specificati) dell'Agente della riscossione,  in  caso  di  omesso
pagamento  dei  tributi,  contrasta  con  il   suindicato   principio
costituzionale, in quanto  l'imposizione  tributaria  all'atto  della
riscossione ed aumentata dei compensi di riscossione non risulterebbe
piu' commisurata al potere del cittadino  di  concorrere  alle  spese
pubbliche con la propria redditivita'. 
    In definitiva,  al  contribuente  si  richiederebbe,  oltre  alla
pretesa fiscale esposta nel ruolo, il pagamento di rilevanti compensi
di  riscossione  che  nulla  hanno  a  che  fare  con  la   capacita'
individuale di ciascuno di concorrere alla spesa pubblica secondo  le
disponibilita' economiche. 
    L'art. 53 della  Costituzione, giova rammentarlo, nello stabilire
che «tutti devono concorrere alle spese pubbliche  in  ragione  della
loro capacita' contributiva», individua nella capacita'  contributiva
il presupposto, il parametro ed il  limite  massimo  all'imposizione:
non e', infatti, consentito richiedere al cittadino un concorso  alle
spese pubbliche non commisurato. 
    I compensi della riscossione realizzano una chiara violazione del
principio della capacita' contributiva, in quanto le  imposte  dovute
sono debiti ma, mai possono i debiti essere indici di ricchezza. 
    D'altra parte, come  a  suo  tempo  osservato  dalla  Commissione
tributaria provinciale di Roma, la mancanza di connessione tra  aggio
e capacita' contributiva causa  inoltre  una  discriminazione  tra  i
contribuenti, i quali si vedono «privati  del  diritto  a  dosare  la
propria contribuzione in base al reddito, scegliendo in  questo  modo
l'intensita' delle proprie prestazioni lavorative». 
6) Profili di illegittimita' costituzionale. Violazione dell'art.  76
Cost. e dei limiti della legge delega. 
    Il  decreto  legislativo  n.  112/1999  («Riordino  del  servizio
nazionale della riscossione») e' stato emanato su legge delega del 28
settembre 1998, n. 337, in cui e' stabilito all'art. l, comma 1,  che
«il Governo e' delegato ad emanare, entro  sei  mesi  dalla  data  di
entrata  in  vigore  della  presente  legge,  uno  o   piu'   decreti
legislativi recanti disposizioni volte al riordino  della  disciplina
della riscossione  e  del  rapporto  con  i  concessionari  e  con  i
commissari governativi provvisoriamente delegati alla riscossione, al
fine di conseguire un miglioramento dei risultati  della  riscossione
mediante ruolo e di rendere piu' efficace ed  efficiente  l'attivita'
dei concessionari e  dei  commissari  stessi,  con  l'osservanza  dei
seguenti principi e criteri direttivi (...) lettera e): previsione di
un  sistema  di  compensi  collegati  alle  somme  iscritte  a  ruolo
effettivamente riscosse, alla tempestivita' della  riscossione  e  ai
costi della riscossione». 
    E' evidente come il legislatore abbia inteso ancorare i  compensi
della   riscossione   ai   costi   effettivamente    sostenuti    dal
concessionario per riscuotere in via coattiva le  pretese  tributarie
rimaste insolute. 
    Come poc'anzi esposto, l'art. 17 prevede un aggio di  riscossione
in misura percentuale, non prescrivendo alcuna  verifica  puntuale  e
precisa dei costi realmente sostenuti per la  riscossione  dei  ruoli
affidati dall'ente creditore,  in  chiara  violazione  della  lettera
della legge delega. 
    Cio' vale sia in generale, sia con specifico riferimento ai costi
sostenuti  per  la  riscossione  delle  imposte  dovute  dal  singolo
contribuente. 
    La disposizione, dunque, si pone in netto contrasto con i  limiti
imposti dalla legge e finisce per violare  i  principi  e  i  criteri
normativi imposti ex lege a una legislazione delegata. 
7) Profili di illegittimita' costituzionale. Violazione dell'art.  97
Cost. e dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica
amministrazione. 
    Da ultimo,  con  riguardo  alla  violazione  dell'art.  97  della
Costituzione, si osserva  come  le  disposizioni  dell'art.  17,  non
rispettino i principi dell'imparzialita' e del buon  andamento  della
pubblica amministrazione. 
    L'assenza di un dettato normativa che in modo  preciso  individui
le procedure di riscossione, la tipologia degli atti  esecutivi  e  i
relativi  costi  e  soprattutto  la  mancanza   di   una   forma   di
responsabilita' del concessionario per la scelta  dell'esecuzione  da
intraprendere  nell'ambito  della  propria  attivita',  di   recupero
crediti espone il contribuente al rischio di vedersi onerato da costi
ingenti per azioni inutili  (inesistenza  di  beni  da  aggredire)  o
eccessivamente  dispendiose  con  pregiudizio  al  buon  andamento  e
all'imparzialita' dell'azione amministrativa. 
    Ma non solo, le finalita' dell'art. 17 sono in contrasto  con  il
buon andamento dell'Amministrazione  finanziaria,  perche'  non  sono
dirette ad  assicurare  l'efficienza  del  servizio  di  riscossione,
utilizzando criteri e modalita' irrazionali. 
    In particolare, l'Agente della  riscossione  e'  un  imprenditore
collettivo  che   non   assume   alcun   rischio   d'impresa   (Corte
costituzionale, sentenza n. 7/1993,  in  cui  il  concessionario  del
servizio di riscossione, nel previgente sistema normativo di  cui  al
decreto  del  Presidente   della   Repubblica   n.   43/1988,   viene
espressamente qualificato come «imprenditore»). 
    Infatti, nell'attuale disciplina Equitalia non si accolta affatto
il rischio della mancata riscossione delle imposte iscritte  a  ruolo
dall'Ufficio finanziario, dato che  puo'  esercitare  il  diritto  di
discarico  per  inesigibilita'  previsto  dall'art.  19  del  decreto
legislativo n. 112/1999 (con decorrenza 26 febbraio 1999,  l'art.  2,
comma 1, del decreto legislativo n.  37/1999  ha,  infatti,  abrogato
l'obbligo del non riscosso come non  riscosso  di  cui  all'art.  32,
comma 3, del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  43/1988
secondo cui: «La consegna dei  ruoli  costituisce  il  concessionario
debitore dell'intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli stessi,
che debbono essere da lui versate alle scadenze  stabilite  ancorche'
non riscosse»). 
    Sicche'  l'Agente  della  riscossione  non  subisce  alcun  danno
patrimoniale per effetto dell'inadempimento del contribuente, e  cio'
contrasta con il principio costituzionale  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione. 
    Tanto piu' che ora il  servizio  di  riscossione  coattiva  delle
imposte non e' piu' gestito da concessionari privati,  bensi'  da  un
ente pubblico. Al riguardo giova ricordare che, per effetto dell'art.
3 del decreto-legge  n.  203/2005,  e'  stato  riformato  il  sistema
nazionale di riscossione dei tributi attraverso la  soppressione  del
sistema di affidamento in concessione del servizio di  riscossione  a
soggetti privati  e  l'attribuzione  del  predetto  servizio  ad  una
societa' di nuova costituzione, denominata Riscossione  S.p.a.  (ora,
Equitalia S.p.a.). 
    Anche sotto questo aspetto, si manifesta con  tutta  evidenza  la
sproporzione degli aggi  che  la  legge  riconosce  all'Agente  della
riscossione rispetto all'attivita' svolta, anche nelle ipotesi in cui
la  stessa  risulti  infruttuosa  per  inesigibilita'   del   credito
erariale. 
8) Illegittimita' della cartella di pagamento. La determinazione  dei
compensi  dl  riscossione  e'  errata,  in  quanto  non  rispetta  le
modalita' di calcolo di cui al combinato disposto  dell'art.  17  del
decreto  legislativo  n.  112/1999  e  dell'art.  5,  comma  1,   del
decreto-legge n. 95/2012. 
    Solo  in  via  di  subordine  la  parte  ricorrente  ha  eccepito
l'erroneita' della determinazione dei compensi di riscossione. 
    L'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 95/2012 ha stabilito  «la
diminuzione, sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013, di un punto  della
percentuale di aggio sulle somme riscosse dalle societa'  agenti  del
servizio nazionale della riscossione». 
    Tale disposizione ha riverberato i propri  effetti  sull'art.  17
del decreto legislativo n. 112/1999 e, conseguentemente,  l'aggio  e'
passato dal 9% all'8%, come regola generale, e dal 4,65% al 3,65% nel
caso in cui le somme vengano  versate  entro  sessanta  giorni  dalla
notifica della cartella. 
    Poiche', nel caso di specie, il ruolo  n.  2014/000558  e'  stato
emesso in data 16  giugno  2014  e,  quindi,  successivamente  al  1°
gennaio 2013, l'importo dell'aggio entro le  scadenze  esposto  nella
cartella e' errato. 
    Infatti, le somme pretese da Equitalia S.p.a. ammontano al  4,65%
degli importi iscritti a ruolo e non, invece al 3,65%  degli  stessi,
come invece avrebbe dovuto essere ai sensi del menzionato art. 5  del
decreto-legge n. 95/2012. 
    Peraltro,  i  compensi   di   riscossione   entro   le   scadenze
risulterebbero determinati in modo errato anche laddove si  ritenesse
applicabile l'attuale formulazione dell'art. 17 (pur in  assenza  del
decreto attuativo), il quale prevede  che  se  il  pagamento  avviene
entro sessanta giorni dalla notifica della cartella,  l'aggio  e'  in
parte a carico del contribuente (per il 51% del totale e, quindi, per
il 4,08% con l'aggio all'8%) e per la  restante  parte  e'  a  carico
dell'ente creditore. 
    In definitiva, la  cartella  di  pagamento  impugnata  merita  di
essere annullata, almeno parzialmente, in quanto  le  cifre  in  essa
riportate, con riferimento agli aggi di riscossione, sono errate. 
    La ricorrente richiamava  precedenti  pronunce  di  merito  della
Commissione tributaria  provinciale  di  Treviso,  della  Commissione
regionale di Venezia e della Commissione regionale di Milano. 
9) La difesa della parte resistente. 
    Equitalia   Nord   S.p.a.,   costituitasi   in    giudizio    con
controdeduzioni in data 5 maggio 2015, chiedeva che fosse accertata e
dichiarata la correttezza della cartella di pagamento impugnata.  Con
articolate controdeduzioni contestava  tutti  i  motivi  del  ricorso
sostenendo la regolarita' della cartella di pagamento. In riferimento
alla natura del compenso evidenziava che l'aggio  e'  determinato  ai
sensi dell'art. 17 del decreto legislativo n. 112/1999, pari al  nove
per cento delle somme iscritte  a  ruolo,  riscosse  e  dei  relativi
interessi di mora e che e' carico del debitore: a) in misura del 4,65
per cento delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il
sessantesimo giorno dalla notifica della cartella di pagamento. 
    Equitalia Nord richiamava giurisprudenza  di  merito  a  supporto
alle proprie ragioni. 
    Concludeva, pertanto, nel senso del totale rigetto del ricorso. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    La Commissione, valutata e condivisa la richiesta  di  remissione
sollevata dalla ricorrente  secondo  cui  l'art.  17,  comma  1,  del
decreto legislativo n. 112/1999, cosi' come modificato dall'art.  32,
comma 2, del decreto legislativo n.  185/2008,  presenta  profili  di
incostituzionalita' essendo in contrasto con la Carta  costituzionale
relativamente  agli  articoli  3,  23,  24,  53,  76,  e   97   della
Costituzione, osserva: 
        a) in punto di rilevanza della questione. 
    L'eccezione  sollevata  dalla   ricorrente   del   controllo   di
costituzionalita'  dell'art.  17,  decreto  legislativo  n.  112/1999
appare rilevante e pertinente ai fini della  decisione  da  parte  di
questo Collegio. 
    Benvero, il motivo di impugnazione che  la  parte  ricorrente  ha
formulato in via di subordine  sotto  il  profilo  di  illegittimita'
della modalita' di calcolo dell'aggio (capo 8  della  descrittiva  in
fatto di  questa  ordinanza)  appare  infondato  e  non  accoglibile,
sicche' i dubbi di costituzionalita' non potrebbero essere superati a
mezzo dell'accoglimento dell'anzidetta ragione di impugnazione. 
    In riferimento  all'asserita  illegittimita'  della  cartella  di
pagamento, in quanto la determinazione dei  compensi  di  riscossione
non rispetterebbe le modalita' di calcolo di cui al combinato art. 17
del decreto legislativo n.  112/1999  e  dall'art.  5,  comma  1  del
decreto-legge n.  95/2012,  a  parere  del  Collegio,  l'infondatezza
dell'eccezione e' da ravvisarsi nel fatto che la modifica intervenuta
per effetto dell'art.  5,  decreto-legge  n.  95/2012  con  legge  n.
135/2012, se ha effettivamente determinato una riduzione di un  punto
percentuale complessivo di remunerazione del servizio,  non  riguarda
pero' la quota parte a carico del ricorrente, giacche' anche nel caso
in cui il pagamento avvenga entro il termine di sessanta giorni dalla
notifica della cartella, detta quota e' rimasta pari al 4,65%. 
        b) In punto di non manifesta infondatezza della questione. 
    Tutti i dubbi espressi dalla parte ricorrente  a  riguardo  della
costituzionalita'   della   norma   qui   in   esame   appaiono   non
manifestamente infondati e da condividersi, sicche' di essi non sara'
necessaria  una  disamina  puntuale  e  analitica   (dovendosi   essi
considerare recepiti  e  trascritti  per  extenso  in  questa  sede),
potendosi la Commissione limitarsi  all'esame  di  qualche  specifico
aspetto che appare di maggiore evidenza. 
    b.1) La Commissione  rileva  preliminarmente  che  codesta  Corte
costituzionale, con sentenza n. 480 del  30  dicembre  1993  ha  gia'
stabilito che la misura  dell'aggio  deve  ritenersi  ragionevole  (e
quindi costituzionalmente legittima)  se  essa  e'  contenuta  in  un
importo minimo e massimo  che  non  superi  di  molto  la  soglia  di
copertura del costo della procedura. 
    Nella  predetta  sentenza  la  Corte  ha  concluso  per  la  «non
irragionevolezza dell'obiettivo  perseguito  dalla  norma  impugnata»
sulla  premessa  che  i  criteri  fissati  nella  disciplina  ivi  in
considerazione per la determinazione dell'agio fossero «in linea, del
resto, con i principi al riguardo enunciati dalla richiamata legge di
delega, nel  senso  appunto  della  determinazione  del  compenso  in
discussione anche secondo criteri "di congruita' ai  costi  medi  del
servizio, al fine di assicurarne l'equilibrio economico"».  Solo  per
questa ragione la Corte ritenne che «resta anche esclusa l'ipotizzata
discriminazione in danno del contribuente chiamato a corrispondere un
compenso di importo in tesi superiore a quello del  tributo  iscritto
in ruolo, proprio in ragione del riferito complessivo  meccanismo  di
compensazione  e  bilanciamento  di  un  tale  inconveniente  con  il
vantaggio  (economicamente  piu'  rilevante  e  probabilmente   anche
statisticamente piu' frequente) del contenimento del compenso  stesso
entro  il  limite  massimo,  per  singola  voce,  corrispondentemente
stabilito». 
    Nello stesso senso  si  espresso  anche  Consiglio  di  Stato  29
gennaio 2008, n. 272. 
    Questi precedenti costituiscono conforto a riguardo del fatto che
anche la  disciplina  dettata  dal  menzionato  art.  17  (del  tutto
incoerente rispetto a quella  presa  in  esame  nella  dianzi  citata
pronuncia quanto a metodologia  di  computo)  risulta  irragionevole,
illogica nonche' discriminatoria e si pone in contrasto con l'art.  3
della Costituzione, il quale sancisce il principio di  uguaglianza  e
di ragionevolezza. 
    Invero, in assenza  di  un  prefissato  tetto  massimo  e  di  un
rapporto inversamente  proporzionale  all'ammontare  della  somma  da
riscuotere  l'aggio  non  risulta  piu'   ancorato   alla   effettiva
remunerazione  dell'attivita'  effettuata  e  dei   costi   sostenuti
dall'Agente  della  riscossione,  perdendo  in  questo  modo  la  sua
connotazione di controprestazione economica. 
    Per di piu' la disposizione in parola, prevedendo una percentuale
fissa applicabile a ogni importo, crea una disparita' di  trattamento
tra i contribuenti soggetti al servizio,  in  quanto,  a  parita'  di
servizio reso (compilazione della cartella),  il  compenso  varia  in
relazione al mero dato della  somma  oggetto  di  riscossione,  senza
riguardo alcuno alle attivita' che l'inadempimento  rende  necessarie
ai fini della esazione dell'importo. 
    b.2) Appunto perche' la disciplina vigente determina  la  perdita
del carattere di controprestazione  economica  che  l'aggio  dovrebbe
avere per la sua  naturale  funzione,  diventano  cosi'  una  vera  e
propria prestazione imposta, il Collegio ritiene che la  norma  debba
essere ulteriormente valutata in punto di legittimita' costituzionale
sotto un altro profilo. E cioe'  relativamente  alla  violazione  del
principio di capacita'  contributiva  contenuto  nell'art.  53  della
Costituzione. 
    Invero, le concrete modalita' di disciplina del compenso  per  la
riscossione - che va concretamente a  sommarsi  con  l'importo  delle
imposte dovute - finisce per contrastare con il suindicato  principio
costituzionale, in quanto  l'imposizione  tributaria  all'atto  della
riscossione  risulta  aumentata  di  compensi  di   riscossione   non
commisurati al concreto esercizio della funzione  esattiva  e  quindi
non proporzionali al dovere del cittadino di  concorrere  alle  spese
pubbliche con il proprio reddito tanto meno in ragione  del  criterio
di progressivita' che -ovviamente - in relazione ad esborsi economici
correlati  all'esercizio  di  una  attivita'  istituzionale  dovrebbe
trasformarsi in «regressivita'». 
    In definitiva, al contribuente si richiede,  oltre  alla  pretesa
fiscale esposta nel ruolo, il  pagamento  di  rilevanti  compensi  di
riscossione che nulla hanno a che fare con la  capacita'  individuale
di  ciascuno  di  concorrere   alla   spesa   pubblica   secondo   le
disponibilita' economiche. L'art. 53, Cost., giova rammentarlo, nello
stabilire che  «tutti  devono  concorrere  alle  spese  pubbliche  in
ragione della loro capacita' contributiva», individua nella capacita'
contributiva il  presupposto,  il  parametro  ed  il  limite  massimo
all'imposizione: non e', infatti, consentito richiedere al  cittadino
un concorso alle spese pubbliche non commisurato.  I  compensi  della
riscossione realizzano una  chiara  violazione  del  principio  della
capacita' contributiva, poiche' le imposte dovute sono debiti  e  mai
possono i debiti, essere indici di ricchezza. 
    D'altra parte, come  a  suo  tempo  osservato  dalla  Commissione
tributaria provinciale di Roma, la mancanza di connessione tra  aggio
e capacita' contributiva causa  inoltre  una  discriminazione  tra  i
contribuenti, i quali si vedono «privati  del  diritto  a  dosare  la
propria contribuzione in base al reddito, scegliendo in  questo  modo
l'intensita' delle proprie prestazioni lavorative». 
    b.3) Il Collegio  osserva  che  la  ricorrente  ha  correttamente
eccepito la violazione del principio di riserva  di  legge  (art.  23
della Costituzione ) e tale  eccezione  appare  condivisibile  se  si
considera che i compensi di riscossione costituiscono - in concreto -
prestazioni patrimoniali imposte: esse sono legittime, pero', solo se
previste «in base alla legge». La riserva di legge relativa stabilita
dalla Costituzione impone,  infatti,  che  il  legislatore  ordinario
individui il presupposto e la misura della prestazione. 
    Cio' non e'  avvenuto  nel  caso  dei  compensi  di  riscossione,
mancando sia una disposizione  di  legge  che  se  pur  genericamente
individui gli atti esecutivi o comunque  le  altre  attivita'  a  cui
devono essere specificamente correlati gli  oneri  di  riscossione  a
carico del contribuente e percio' una norma che disciplini la  misura
del costo dell'esecuzione coattiva in relazione  alla  sua  specifica
consistenza e complessita'. E difatti, proprio  in  riferimento  alla
misura della prestazione la giurisprudenza della Corte costituzionale
ha ritenuto che il principio della riserva di legge e' rispettato nei
casi in cui la  norma  indica  la  misura  massima  dell'aliquota,  o
comunque fissa i criteri  idonei  a  delimitare  la  discrezionalita'
dell'imposizione   da   parte   dell'Ente   di   riscossione   (Corte
costituzionale, sentenze n. 72 del 1969 e n. 507 del 1988). 
    b.4) Il Collegio rileva che il superamento dei limiti della legge
delega, in violazione dell'art. 76  della  Costituzione  e'  fondato,
come esposto nell'art. 17, comma 1, prevede un aggio  di  riscossione
in misura percentuale, non descrivendo  alcuna  verifica  puntuale  e
precisa dei costi realmente sostenuti per la  riscossioni  dei  ruoli
affidati all'agente di riscossione, in chiara violazione della  legge
delega. 
    b.5)  Il  Collegio  rileva  che  la  prospettata   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  17,  comma  1,  del  decreto
legislativo n. 112/1999 e' rilevante e non  manifestamente  infondata
atteso che nel caso in esame il pagamento dell'aggio e' stabilito  in
misura  fissa,   anziche',   in   misura   proporzionale   ai   costi
effettivamente    sostenuti    dal    servizio    di     riscossione.
L'irrazionalita' normativa deriva dalla circostanza che detta  misura
non assicura che la gestione del servizio  sia  volta  soltanto  alla
copertura dei costi. Il dubbio di  incostituzionalita'  si  consolida
poi  laddove  viene  configurato  il  pagamento  pur  in  assenza  di
specifici criteri di determinazione del costo del servizio. L'obbligo
dell'aggio puo' ritenersi ragionevole e coerente allorche' la  misura
corrisponda  al  costo  della  prestazione,  mentre  deve   ritenersi
ingiusto, penalizzante e costituzionalmente illegittimo per l'assenza
di un tetto minimo e/o massimo alla misura dei compensi. Tale sistema
fa risaltare l'incostituzionalita' della previsione  di  una  qualche
forma  di  riequilibrio  per  effetto  del  decreto  legislativo   n.
201/2011. La disciplina previgente appare quanto  mai  irragionevole.
Infatti, il compenso di riscossione costituisce il  corrispettivo  di
una specifica prestazione di servizi,  per  il  quale  e'  del  tutto
arbitraria  la  determinazione  della  sua  misura   a   carico   del
contribuente nella percentuale fissa sulle somme  iscritte  a  ruolo.
Tale percentuale non e' in alcun modo riferita ai costi  di  gestione
sostenuti dall'agente di riscossione e cio' in contrasto  (ad  avviso
di  questo  giudice  tributario)  con   l'art.   97   per   manifesta
irrazionalita'. 
    La questione di legittimita' costituzionale involge,  dunque  per
contrasto con l'art. 97 della Costituzione, relativo al principio  di
buon andamento della P.A, difettando di quei criteri di trasparenza e
correlazione con l'attivita' richiesta e congrua con i costi medi  di
gestione del servizio che rappresenta i corollari necessari  di  buon
andamento sancito dall'art. 97, primo comma della  Costituzione,  per
manifesta illogicita'. 
    Per cui, condividendo  i  dubbi  della  parte  ricorrente,  anche
quelli che non sono stati specificamente  ripresi  nella  motivazione
che  qui  precede,  questo  Collegio  ritiene  che  la  questione  di
legittimita'  costituzionale   dell'art.   17,   comma   1,   decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 112,  come  modificato  dall'art.  32,
comma 1, lettera a), del decreto-legge  29  novembre  2008,  n.  185,
convertito dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 in vigore dal 2 novembre
2008, per contrasto con gli  articoli  3,  23,  53,  76  e  97  della
Costituzione, sia rilevante nel presente giudizio in quanto  in  esso
non  puo'  essere  definito  in  assenza  di  una  risoluzione  della
questione di legittimita' costituzionale e che tale questione non sia
manifestamente infondata alla luce delle considerazioni suesposte. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Collegio, 
    visti  gli  articoli  134  della  Costituzione,  l  della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23,  legge  costituzionale  11
marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 17 del decreto  legislativo  n.
112/1999, testo unico delle disposizioni concernenti il sistema della
remunerazione per la riscossione dei tributi per  contrasto  con  gli
articoli 3, 23, 53, 76 e 97 della Costituzione; 
    Sospende il giudizio in corso sino all'esito della questione. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale,  alla  quale  rimette  la  anzidetta   questione   di
legittimita' costituzionale ritenuta la  sua  rilevanza  ai  fini  di
decidere. 
    Manda alla segreteria per gli adempimenti di legge  affinche'  la
presente ordinanza sia notificata alle  parti  in  causa  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  comunicata  ai  presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
        Venezia, 29 marzo 2019 
 
                      Il Presidente: Caracciolo 
 
 
                                       Il relatore estensore: Vanadia