N. 89 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2020

Ordinanza  del  5  febbraio  2020  del  Tribunale   di   Torino   nel
procedimento penale a carico di L. J.. 
 
Reati e pene - Esclusione della punibilita' per particolare  tenuita'
  del fatto - Previsione che l'offesa non  puo'  essere  ritenuta  di
  particolare tenuita' nel caso del reato di cui  all'art.  337  cod.
  pen. quando il reato e'  commesso  nei  confronti  di  un  pubblico
  ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni. 
- Codice penale, art. 131-bis, secondo comma, ultimo periodo. 
(GU n.29 del 15-7-2020 )
 
                         TRIBUNALE DI TORINO 
                        Prima sezione penale 
 
    Il Tribunale di Torino, in composizione monocratica,  in  persona
del dott. Andrea Natale; 
    Visti gli atti del procedimento penale in atto nei  confronti  di
L. J., nato a ..., l'..., libero - presente, con domicilio dichiarato
in ...., T....,  difeso  di  fiducia  dall'avv.  Alessandra  Firpo  e
dall'avv. Luca Carnino del Foro di Torino; 
    imputato 
        a) in ordine al reato p. e p.  dall'art.  337  c.p.,  perche'
usava violenza,  consistita  nello  sferrare  ripetutamente  calci  e
ginocchiate ai  Carabinieri  I.,  S.,  L.  e  B.,  appartenenti  alla
Stazione Carabinieri di ..., colpendo in  ...  il  M.llo  L.  con  un
calcio ad un ginocchio e  l'App.  B.  con  una  testata  allo  zigomo
destro, per opporsi ai predetti  pubblici  ufficiali  mentre  stavano
compiendo un atto del loro ufficio e servizio e, segnatamente, mentre
stavano procedendo alla identificazione del  medesimo  L.  J.  e  gli
stavano prestando assistenza  e  soccorso,  unitamente  al  personale
sanitario del 118 intervenuto su richiesta degli  stessi  Carabinieri
operanti. 
        In T.... il 7 gennaio 2020 
    all'esito dell'udienza in camera di consiglio del 5 febbraio 2020
ha pronunciato la seguente ordinanza. 
1. Il procedimento a quo 
    L'imputato e' stato presentato  al  Tribunale  per  la  convalida
dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo con  un  addebito
di resistenza a pubblico ufficiale. 
    Il Tribunale  ha  convalidato  l'arresto  -  ritenendo  che,  nel
contesto in cui si trovarono, gli operatori  di  polizia  giudiziaria
avvessero fatto un uso non irragionevole dei poteri  coercitivi  loro
assegnati dall'ordinamento - e ha rigettato  la  richiesta  cautelare
formulata dal pubblico ministero, per difetto di esigenze cautelari. 
    Successivamente  alla  convalida  dell'arresto,   l'imputato   ha
chiesto di procedere nelle forme del giudizio abbreviato. 
    Ammesso il rito, acquisito il fascicolo del pubblico ministero ed
esaurita la discussione, il  pubblico  ministero  ha  sollecitato  la
condanna  dell'imputato,   con   riconoscimento   delle   circostanze
attenuanti generiche, alla pena, ridotta per il rito, di mesi quattro
di  reclusione;  la  Difesa  ha  concluso   chiedendo   l'assoluzione
dell'imputato [ritenendo che - date le circostanze in cui e' maturato
il fatto (di cui si dira') - l'imputato non si fosse reso conto della
qualita' di  pubblico  ufficiale  dei  Carabinieri  intervenuti];  in
subordine ha formalizzato conclusioni in punto pena. 
    Il Tribunale, prima di  pronunciarsi  sui  merito  del  giudizio,
ritiene  necessario  sospendere  il  procedimento  e  rimettere  alla
valutazione della Corte costituzionale la questione  di  legittimita'
costituzionale che verra' di seguito esposta. 
2. Rilevanza della questione nel giudizio a quo 
    Prima di dare conto delle ragioni per cui il Tribunale ritiene la
questione non manifestamente  infondata,  e'  necessario  dare  conto
della rilevanza della questione. 
  2.1. La ricostruzione del fatto 
    Dal verbale di arresto risulta che una pattuglia dei  Carabinieri
- nel corso di un servizio di pattugliamento svolto in  abiti  civili
nella zona di T.... nord - ha notato verso le ore 18,00 del 7 gennaio
2020 una persona, apparentemente priva di sensi e  riversa  a  terra,
sul ciglio della strada. Gli  operatori  di  polizia  hanno  pertanto
arrestato la marcia del veicolo e si  sono  diretti  verso  il  corpo
dell'uomo,  constatando  che  la  persona  di  loro  interesse   «era
presumibilmente ubriaca, dato che  emanava  un  fortissimo  odore  di
alcool e rispondeva flebilmente agli stimoli». 
    Viene contattato il servizio  118  e,  in  attesa  del  personale
sanitario, i Carabinieri - nel frattempo raggiunti da altri operatori
che agivano in uniforme - cercano di chiedere all'uomo se  stia  bene
(in modo difficoltoso, posto  che  egli  non  comprendeva  la  lingua
italiana). 
    I soccorsi sanitari tardano ad arrivare. Per circa un'ora - cosi'
il verbale di arresto - l'uomo (un cittadino cinese poi  identificato
in  L.)  tiene  «un  comportamento  assolutamente   tranquillo»,   ma
manifesta evidenti segni di ubriachezza e non riesce ad  interloquire
efficacemente con gli operatori di polizia (che gli chiedono se  stia
bene). 
    Nel frattempo, i Carabinieri sollecitano nuovamente  l'invio  sul
posto del personale sanitario. 
    Ad un certo  punto,  tardando  ancora  ad  arrivare  l'ambulanza,
l'uomo prova ad alzarsi «con totale mancanza di  coscienza  di'  se'»
[cosi' il verbale di arresto]; gli operanti lo invitano a risedersi e
ad attendere l'ambulanza.  Sennonche',  L.,  non  appena  risedutosi,
comincia a tirare (mentre e' ancora a terra) calci agli operatori li'
attorno, per poi calmarsi nuovamente. 
    Il  personale  sanitario,  sollecitato  per  una   terza   volta,
sopraggiunge alle 19,40 (vale a dire: un'ora e quaranta  minuti  dopo
la prima chiamata). Subito L. - che comincia  a  manifestare  qualche
segno di ripresa - si mostra aggressivo verso gli operatori sanitari.
Sennonche', doverosamente, i Carabinieri cercano  di  trattenerne  la
foga; a questo punto, L. si rivolge verso gli operatori di polizia  e
colpisce con un pugno al fianco il carabiniere scelto S. e «con calci
e manate» tutti gli altri operanti, «cercando di sferrare colpi  alla
cieca, con pero' il chiaro intento di colpirli».  Immobilizzato  dopo
pochi secondi e fatto salire sull'auto di  servizio,  nel  corso  del
tragitto verso la caserma, LU prova  a  colpire  l'appuntato  B.  con
delle ginocchiate (non riuscendoci),  colpendolo  pero'  allo  zigomo
destro con una testata. 
    Una volta giunto in caserma, L.  tiene  comportamenti  oppositivi
(urlando frasi in cinese) e colpisce il maresciallo L. con un  calcio
alla gamba destra e il carabiniere I. con una ginocchiata alla coscia
destra. 
    Per offrire ulteriori elementi utili alla comprensione del fatto,
occorre dare atto delle  spiegazioni  rese  dall'imputato  nel  corso
dell'udienza di convalida dell'arresto. 
    L'imputato ha dichiarato di non ricordare nulla,  poiche'  troppo
ubriaco; il sig. L. ha pero'  precisato  che  quel  giorno  egli  era
sconvolto, avendo avuto notizia che suo padre stava morendo in  Cina;
per tale ragione, egli aveva comprato un biglietto aereo per  recarsi
da lui e, sempre sconvolto dalla notizia sulle condizioni del  padre,
si sarebbe ubriacato. Le affermazioni del sig. L. sono  -  almeno  in
parte  -  riscontrate  dall'elenco  degli   oggetti   trovati   nella
disponibilita' dell'imputato all'atto dell'arresto: tra essi figurano
il permesso di soggiorno e la carta di identita' italiana di  L.,  il
suo passaporto c...., e un biglietto aereo custodito all'interno  del
borsello. 
    La ricostruzione dei  fatti  riportata  nel  verbale  di  arresto
risulta dettagliata e affidabile, non essendovi elementi per ritenere
calunnioso il verbale di  arresto.  Del  resto,  gli  operanti  hanno
deciso di non recarsi al pronto soccorso. Sicche' si  puo'  escludere
che i Carabinieri abbiano un qualche motivo di interesse  a  «calcare
la mano» nei confronti dell'imputato. 
  2.2. La qualificazione giuridica del fatto 
    La condotta sopra descritta  e'  correttamente  qualificata  come
resistenza a  pubblico  ufficiale.  La  qualita'  degli  operanti  e'
necessariamente nota a L. (visto  che  alcuni  operatori  agivano  in
uniforme e che le condotte sono avvenute in parte all'interno  di  un
veicolo di servizio  e  in  parte  all'interno  di  una  caserma  dei
Carabinieri). 
    Gli agiti dell'imputato sono qualificabili  come  atti  violenti,
tali dovendosi qualificare il menar calci e pugni (con  colpi  andati
in parte a vuoto e in parte a bersaglio), le ginocchiate, la testata. 
    L'azione violenta era diretta ad impedire a pubblici ufficiali di
compiere atti del loro ufficio: in prima battuta, in quanto  tesi  ad
impedire  ai  Carabinieri  di  proteggere  il   personale   sanitario
intervenuto  in  soccorso  dell'imputato;  in  seconda  battuta   per
impedire agli operanti di portare a  compimento  la  redazione  degli
atti di identificazione conseguenti all'intervento. 
    E' solo il caso  di  evidenziare  che  non  puo'  essere  escluso
l'elemento  soggettivo  del  reato:  per  chiaro  dettato   normativo
(articoli 92, 85, comma 2, c.p.), lo stato di ubriachezza non esclude
la capacita' di intendere e  di  volere  al  momento  del  fatto;  ne
discende che - non potendo essere attribuito rilievo  all'ubriachezza
- si deve ritenere  che  L.  non  potesse  ignorare  la  qualita'  di
pubblico  ufficiale  rivestita  dai  Carabinieri  (alcuni  dei  quali
operavano in uniforme), ne'  poteva  ignorare  le  ragioni  del  loro
intervento (essendo di immediata comprensione che costoro - per  fare
un esempio - avevano il dovere di proteggere gli operatori del  118).
Cio' posto, si deve rilevare che gli  agiti  violenti  non  risultano
coartati da fattori esterni,  con  la  conseguenza  che  se  ne  deve
ritenere la volontarieta'. 
  2.3. La valutazione della particolare tenuita' del fatto 
    Il Tribunale ritiene che le condotte  tenute  da  L.  J.  abbiano
arrecato un'offesa ai beni giuridici protetti dall'art. 337 c.p. 
    Da un lato, per le ragioni viste al  paragrafo  che  precede,  e'
stato   turbato   il   «regolare   funzionamento    della    pubblica
amministrazione» [per l'individuazione di tale bene  giuridico  quale
oggetto di tutela penale da parte dell'art. 337 c.p., v. Sez.  U,  n.
40981 del 22 febbraio 2018 - dep. 24 settembre  2018,  Apolloni,  Rv.
27377101, punto 4.2. del considerato in diritto]. 
    Dall'altro lato, e' stata posta a repentaglio «anche la sicurezza
e la liberta' di determinazione e di azione  degli  organi  pubblici,
mediante la protezione delle persone fisiche che singolarmente  o  in
collegio ne esercitano le funzioni»  [per  l'individuazione  di  tale
bene giuridico quale oggetto di tutela penale da parte dell'art.  337
c.p., v. Sez. U, n. 40981 del 22 febbraio 2018 -  dep.  24  settembre
2018, Apolloni, Rv. 27377101, punto 4.2. del considerato in  diritto,
in chiusura]. 
    Il Tribunale ritiene tuttavia che l'offesa che, in  concreto,  la
condotta di  L.  ha  arrecato  ai  predetti  beni  giuridici  sia  di
«particolare tenuita'». 
    La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha   precisato   che   tale
valutazione  esige  «una  equilibrata  considerazione  di  tutte   le
peculiarita' della fattispecie concreta e  non  solo  di  quelle  che
attengono all'entita' dell'aggressione del bene  giuridico  protetto»
[Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016 - dep. 6 aprile 2016,  Tushaj,
Rv. 26659101, considerato in diritto n. 6; corsivi di chi  scrive]  e
ha aggiunto che «la valutazione inerente all'entita' del danno o  del
pericolo non e' da sola sufficiente a fondare o escludere il giudizio
di marginalita' del fatto» [Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio  2016  -
dep. 6 aprile 2016, Tushaj, Rv. 26659101, considerato in  diritto  n.
9; corsivi di chi scrive]. 
    Orbene, la valutazione complessiva delle condotte  dell'imputato,
del modesto  turbamento  derivato  al  regolare  funzionamento  della
pubblica amministrazione, l'assenza di  conseguenze  lesive  per  gli
operatori di  polizia,  la  considerazione  del  modesto  livello  di
colpevolezza depongono univocamente a supporto di  tale  conclusione.
Infatti: 
    2.3.1 le modalita' della condotta denotano la  assoluta  modestia
del fatto 
        il sig. L. ha menato si' colpi all'indirizzo dei Carabinieri;
si e' trattato tuttavia di colpi sferrati «a mani nude», senza uso di
armi improprie; si e', peraltro, trattato di  colpi  che,  in  parte,
nemmeno sono andati a segno;  i  colpi  andati  a  segno  sono  stati
sferrati - in parte - allorche' L. era addirittura seduto  per  terra
(con una minor capacita' offensiva, dunque) e  -  in  altra  parte  -
costituiscono l'effetto di movimenti scomposti tenuti da una  persona
gravemente ubriaca (nel verbale  di  arresto  si  mette  in  luce  la
«totale  assenza  di  coordinazione  dei  movimenti»);  occorre   poi
considerare  che  gli  agiti  violenti  appena  considerati  si  sono
alternati a periodi di quiete e di  atteggiamento  collaborativo,  in
attesa che sopraggiungesse il  personale  del  118  (che,  stando  al
verbale di arresto, e' sopraggiunto  dopo  circa  un'ora  e  quaranta
minuti); che si sia trattato di  condotte  che,  pur  violente,  sono
state di modesta intensita' si ricava dal fatto che i  Carabinieri  -
pur  avendo  dovuto  esercitare  anch'essi  la  forza   per   placare
l'imputato - hanno sempre avuto ragione dei  suoi  comportamenti  nel
breve volgere di «pochi secondi»; 
    2.3.2. la  gravita'  della  lesione  subita  dai  beni  giuridici
protetti dalla norma incriminatrice 
        il turbamento  del  «regolare  funzionamento  della  pubblica
amministrazione» e' stato di modesto rilievo;  il  Tribunale  ritiene
che non si debba aver  riguardo  al  lasso  di  tempo  che  ha  visto
impegnati  gli   operatori   di   pubblica   sicurezza;   la   durata
dell'intervento e' stata in larghissima parte determinata  dal  serio
ritardo con cui il personale del 118 e' sopraggiunto dopo la chiamata
dei  Carabinieri;  per  circa  un'ora,  il  sig.  L.  -   in   attesa
dell'ambulanza - «teneva un comportamento  assolutamente  tranquillo»
[cosi' il verbale di arresto]; nel  prosieguo  (perdurato  per  circa
mezz'ora), egli ha tenuto i comportamenti violenti descritti in  atti
(durati pochi attimi), alternandoli a periodo di quiete; il  regolare
funzionamento della PA ha dunque  subito  un  turbamento  che  si  e'
protratto per un tempo tutto  sommato  trascurabile;  del  resto,  il
personale dei Carabinieri e' riuscito senza particolari problemi: (a)
a garantire la sicurezza degli operatori del 118; (b) ad appurare  lo
stato di salute del sig. L.; (c)  a  redigere  gli  atti  di  polizia
giudiziaria relativi all'intervento appena espletato; 
        altrettanto  e'  a  dirsi  per  l'ulteriore  bene   giuridico
protetto  dall'art.  337  c.p.  [«la  sicurezza  e  la  liberta'   di
determinazione e di azione degli  organi  pubblici»]:  nessuno  degli
operatori dei Carabinieri ha riportato lesioni personali  e  la  loro
incolumita'  fisica  ha  subito  una  modesta  messa   in   pericolo,
considerato che i comportamenti violenti di L. erano posti in  essere
a mani nude, da persona ubriaca che si muoveva in  modo  scomposto  e
scoordinato; 
    2.3.3. la modesta intensita' del dolo 
        se pure l'ubriachezza non esclude la capacita' di intendere e
di volere, e' pero' da ritenere  che  tale  condizione  incida  sulla
valutazione relativa all'intensita' del dolo  (che  rileva  sotto  il
profilo del «grado di colpevolezza»); tanto piu' - si osserva -  che,
nel caso in esame, e' da escludere che si sia trattato di ubriachezza
preordinata; cio' premesso, nemmeno puo' essere  trascurato  -  nella
complessiva valutazione del grado di colpevolezza -  il  contesto  in
cui sono maturati i fatti:  il  sig.  L.  era  sconvolto,  avendo  la
prospettiva della possibile e imminente morte del padre,  lontano  in
Cina; ebbro, si accascia al suolo e  viene  soccorso;  sennonche',  i
soccorsi tardano ad arrivare e L. - che ha un biglietto aereo per  la
Cina - cerca di allontanarsi, in cio' ostacolato dagli operatori  dei
Carabinieri; e' di tutta evidenza che - allorche' l'imputato tenne  i
comportamenti violenti descritti in imputazione -  egli  abbia  agito
con un - presente, ma modestissimo - livello di colpevolezza; 
    2.3.4. ancora sulle modalita'  della  condotta  e  sui  motivi  a
delinquere 
        la condotta piu' volte descritta non  e'  qualificabile  come
condotta crudele; ne' si ravvisano,  in  danno  degli  operatori  dei
Carabinieri, sevizie;  i  motivi  a  delinquere  non  possono  essere
qualificati come abietti o futili; e' da escludere che  il  personale
dell'Arma dei carabinieri sia composto da persone  in  condizioni  di
minorata difesa; 
    2.3.5. la assoluta occasionalita' del comportamento 
        l'imputato risulta incensurato e immune da pendenze e perfino
da precedenti segnalazioni di polizia. Nemmeno risulta dimostrato che
egli abbia problemi di ricorrente abuso di sostanze alcooliche. 
  2.4. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale 
    Sulla scorta della valutazione degli  elementi  di  fatto  sinora
ripercorsi, il Tribunale ritiene che la  condotta  di  L.  J.  -  pur
corrispondente al tipo legale e connotata da (modesta) offensivita' -
sia qualificabile come episodio di particolare tenuita'. Il che evoca
quanto disposto dall'art. 131-bis c.p. 
    La fisionomia della causa di non punibilita' codificata dall'art.
131-bis c.p. e' stata oggetto di approfondita disamina da parte della
giurisprudenza di  legittimita',  intervenuta  a  Sezioni  unite  [il
riferimento e' a Sez. U, n. 13681 del  25  febbraio  2016  -  dep.  6
aprile 2016, Tushaj,  Rv.  26659101,  richiamata  anche  dalla  Corte
costituzionale; cfr. sentenza n. 207 del 2017, considerato in diritto
n. 4, e, implicitamente, ordinanza n. 279 del 2017]. 
    Si richiamano di seguito alcuni passaggi di quella sentenza che -
ancorche' certamente noti - sono funzionali a  meglio  illustrare  il
dubbio di legittimita' costituzionale che qui si coltiva. 
    Le  Sezioni  unite  hanno  evidenziato  che  «il  legislatore  ha
limitato il campo d'applicazione del nuovo istituto in relazione alla
gravita' del reato, desunta dalla pena edittale massima; ed alla  non
abitualita' del comportamento» [Sez. U, n. 13681 del 25 febbraio 2016
- dep. 6 aprile 2016, Tushaj, Rv. 26659101, considerato in diritto n.
5, corsivi di chi scrive]. 
    La causa di non  punibilita'  in  questione  «persegue  finalita'
connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio (...). Lo  scopo
primario e' quello di espungere dal circuito penale  fatti  marginali
che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessita'  di
impegnare i complessi meccanismi del processo» [Sez. U, n. 13681  del
25 febbraio  2016  -  dep.  6  aprile  2016,  Tushaj,  Rv.  26659101,
considerato in diritto n. 6, corsivi di chi scrive]. 
    Compiendo   la   valutazione   di   fatto   che   rientra   nella
responsabilita' del giudice comune (e, dunque, di questo  Tribunale),
si ritiene che il caso del  sig.  L.  potrebbe  (in  concreto  e  ove
rimossa la disposizione che verra' denunciata in questa sede)  essere
ritenuto non punibile ex art. 131-bis c.p.: (i) la pena edittale  per
il reato in contestazione e' non superiore a  cinque  anni;  (il)  il
fatto e' qualificabile  come  di  particolare  tenuita'  (cfr.  supra
2.3.1-2.3.4); (iii) il comportamento  non  e'  abituale  (cfr.  supra
2.3.5). 
    Per le ragioni sopra  viste,  si  ritiene  che  il  comportamento
(occasionale e di modesta gravita') del sig. L. non sia «bisognoso di
pena» e che l'inflizione di una  pena  nei  suoi  confronti  potrebbe
essere non conforme al principio di proporzione e di extrema ratio. 
    Sennonche' l'applicazione della causa di non punibilita'  ora  in
discorso risulta preclusa dal dettato  dell'art.  131-bis,  comma  2,
ultimo periodo, c.p. [come modificato dall'art. 16, comma 1,  lettera
b) del decreto-legge n. 53 del 2019, conv. in legge con legge  n.  77
del  2019,  a  seguito  di  emendamento  16.5  proposto  in  sede  di
conversione del decreto-legge]. 
    A seguito della novella appena menzionata, l'art. 131-bis,  comma
2, ultimo periodo,  c.p.  prevede  infatti  che  «l'offesa  non  puo'
altresi' essere ritenuta di particolare tenuita' (...)  nei  casi  di
cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato e' commesso nei
confronti di  un  pubblico  ufficiale  nell'esercizio  delle  proprie
funzioni». 
    Tale disposizione e' d'ostacolo all'applicazione della  causa  di
non punibilita' dell'art. 131-bis c.p. nel caso  ora  in  esame.  Ove
fosse   rimossa   tale   preclusione   -   della   cui   legittimita'
costituzionale il Tribunale dubita - si potrebbe applicare tale causa
di non punibilita' alle condotte tenute dal sig. L. 
    Di   qui   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale che si ritiene non manifestamente infondata. 
3.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale 
    Il Tribunale ritiene che la  preclusione  all'applicazione  della
causa di non punibilita' prevista dall'art. 131-bis c.p.  al  delitto
di resistenza a pubblico ufficiale - introdotta dall'art.  16,  comma
1, lettera b), del decreto-legge n. 53 del 2019 (come  modificato  in
sede di conversione, avvenuta con legge n. 77  del  2019)  -  sia  in
contrasto con il principio di uguaglianza, irragionevole e  contraria
al principio di  proporzionalita'  che  deve  informare  le  risposte
sanzionatorie. 
    Il Tribunale non ignora che la Corte costituzionale - chiamata  a
giudicare dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 131-bis  c.p.,
nella parte in cui esso non e' applicabile al delitto di ricettazione
attenuata ex art. 648 cpv. codice  penale  -  richiamando  precedenti
arresti,  «ha  chiarito,  [che]  "l'estensione  di   cause   di   non
punibilita', le  quali  costituiscono  altrettante  deroghe  a  norme
penali generali, comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione
a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo
quelle che sorreggono  la  norma  generale  e  quelle  che  viceversa
sorreggono la norma derogatoria: un  giudizio  che  [...]  appartiene
primariamente al  legislatore"  (sentenza  n.  140  del  2009).  Tale
giudizio  e',  pertanto,  suscettibile  di  censure  di  legittimita'
costituzionale solo nei casi  di  manifesta  irragionevolezza»  [cfr.
Corte costituzionale,  sentenza  n.  207  del  2017,  considerato  in
diritto n. 6; per inciso: al considerato  in  diritto  n.  7,  sembra
leggersi un monito rivolto al legislatore, quasi ad indicare  che  la
questione potrebbe in futuro ricevere risposte di segno diverso]. 
    Tuttavia, se il perimetro  delle  cause  di  non  punibilita'  e'
primariamente rimesso alle scelte del legislatore, e' certo vero  che
il  disegno  di  quel  perimetro  deve  rispondere   a   criteri   di
ragionevolezza e proporzione.  Ed  e'  altrettanto  vero  che  -  nei
decenni trascorsi - la Corte costituzionale, con  la  prudenza  e  il
necessario rispetto delle prerogative del  legislatore,  ha  ritenuto
sindacabile l'esercizio della discrezionalita' legislativa in materia
di trattamento sanzionatorio. Cio' nella prospettiva di affermare  il
«volto costituzionale della pena» [per usare una  felice  espressione
di Corte  costituzionale,  sentenza  n.  50  del  1980],  ed  evitare
l'affermazione  di  zone   franche,   sottratte   al   sindacato   di
legittimita' costituzionale. 
    Non e' possibile - ne' necessario, trattandosi di  giurisprudenza
ben nota alla Corte costituzionale  -  ripercorrere  in  questa  sede
tutta la giurisprudenza costituzionale sul sindacato cui puo'  essere
sottoposta  la  discrezionalita'  del  legislatore  in   materia   di
trattamento sanzionatorio. Ci si puo' qui limitare  a  richiamare  un
passaggio della  sentenza  n.  40  del  2019  che  sembra  costituire
un'efficace sintesi del percorso della giurisprudenza costituzionale: 
        «Ne  deriva  la  violazione  dei  principi  di   eguaglianza,
proporzionalita', ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  oltre  che
del principio di rieducazione della pena di  cui  all'art.  27  Cost.
(...) questa Corte ha chiaramente affermato ancora di  recente  nella
sentenza n. 222  del  2018,  allorche'  le  pene  comminate  appaiano
manifestamente  sproporzionate  rispetto  alla  gravita'  del   fatto
previsto quale reato, si profila un contrasto con gli artt.  3  e  27
Cost., giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si
risolve in un ostacolo alla  sua  funzione  rieducativa  (ex  multis,
sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del  2012  e  n.  341  del  1994).  I
principi di cui agli artt. 3 e 27  Cost.  "esigono  di  contenere  la
privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana
nella misura minima necessaria e sempre allo scopo  di  favorirne  il
cammino di recupero,  riparazione,  riconciliazione  e  reinserimento
sociale" (sentenza  n.  179  del  2017)  in  vista  del  "progressivo
reinserimento armonico della persona nella societa', che  costituisce
l'essenza  della  finalita'  rieducativa"  della  pena  (da   ultimo,
sentenza n. 149 del 2018).  Al  raggiungimento  di  tale  impegnativo
obiettivo  posto  dai  principi   costituzionali   e'   di   ostacolo
l'espiazione  di  una  pena  oggettivamente  non  proporzionata  alla
gravita' del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e
inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo
rieducativo  verso  cui  obbligatoriamente  deve   tendere».   [Corte
costituzionale, sentenza n. 40 del 2019, considerato in diritto  5.2,
corsivi di chi scrive]. 
    La Corte costituzionale delinea dunque i principi  costituzionali
che   debbono   essere   considerati   nell'esame   del   trattamento
sanzionatorio: eguaglianza, proporzionalita', ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost., oltre che del principio di rieducazione della  pena
di cui all'art. 27. Il principio di proporzione, peraltro,  oltre  ad
avere un ancoraggio  costituzionale  per  il  tramite  del  parametro
costituzionale «interno» dato dagli artt. 3 e  27,  comma  3,  Cost.,
riceve anche esplicita copertura costituzionale per  effetto  di  una
disposizione di  diritto  (primario)  dell'Unione  europea  [art.  49
CDFUE, che rileva come parametro di legittimita'  costituzionale  per
effetto dell'art. 117, comma 1, Cost.]. 
    Il Tribunale ritiene che, se  i  principi  costituzionali  appena
indicati  sono  riferimento  utile  per  sindacare  la   scelta   del
legislatore di perimetrare in un  certo  modo  la  cornice  edittale,
quegli stessi principi costituiscano necessariamente un parametro  di
riferimento per sindacare - sotto il profilo della  ragionevolezza  e
della proporzionalita' - le scelte del legislatore sulla possibilita'
di rinunciare o meno all'applicazione della sanzione in certi casi  e
non in altri. 
    In  altri  termini:  gli  schemi  concettuali  utilizzati   dalla
Consulta per sindacare la legittimita' costituzionale dei trattamenti
sanzionatori, sembrano poter (e  dover)  essere  utilmente  impiegati
anche per sindacare ragionevolezza e proporzionalita'  del  perimetro
delle cause di non punibilita'. 
  3.1. Impossibilita' di interpretazioni alternative del testo  della
legge 
    Va preliminarmente evidenziato che il testo della legge e' chiaro
e che non risultano praticabili interpretazioni alternative del testo
capaci di consentire l'applicazione della causa di non punibilita' in
questione al delitto di resistenza a pubblico ufficiale. 
    Il senso proprio delle parole rende  esplicito  quale  sia  stato
l'intento del legislatore: precludere l'applicazione della  causa  di
non punibilita' in parola nel caso dei  reati  previsti  dagli  artt.
336, 337 e 341-bis  c.p.,  ove  commessi  in  danno  di  un  pubblico
ufficiale (e non, invece, in  danno  di  un  incaricato  di  pubblico
servizio). 
    Non si danno,  pertanto,  interpretazioni  alternative  a  quella
esplicita nel testo della legge che consentano di superare i dubbi di
legittimita' costituzionale di cui si dira' immediatamente. 
    L'impossibilita' di interpretazioni alternative impone dunque  di
esporre  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  che   investono
direttamente il testo dell'art. 131-bis,  comma  2,  ultimo  periodo,
c.p. 
  3.2. Il trattamento differenziato di situazioni simili 
    La causa di non punibilita' prevista dall'art.  131-bis  c.p.  ha
come primo presupposto la cornice edittale  di  riferimento,  essendo
l'istituto applicabile solo a reati puniti con  pena  «non  superiore
nel massimo a cinque anni» di pena detentiva. 
    La Corte costituzionale ha ritenuto la «soglia»  di  cinque  anni
ne' irragionevole, ne' arbitraria: «rientra nella logica del  sistema
penale che, nell'adottare soluzioni diversificate, vengano  presi  in
considerazione determinati limiti edittali, indicativi  dell'astratta
gravita' dei reati; e l'individuazione di tali  limiti  (cosi'  come,
nel caso in esame, l'indicazione del limite relativo  alla  causa  di
non  punibilita')  e'  frutto  di  un  apprezzamento  che  spetta  al
legislatore»  [Corte   costituzionale,   sentenza   207   del   2017,
considerato in diritto n. 6; corsivi di chi scrive]. 
    Occorre allora interrogarsi sulla  ragionevolezza  di  previsioni
che - all'interno della categoria  «reati  puniti  con  la  pena  non
superiore  nel  massimo  a  cinque  anni»   di   pena   detentiva   -
circoscrivano un sottoinsieme di  reati  che,  pur  rientranti  nella
cornice edittale di riferimento, non  possono  esser  considerati  di
particolare tenuita' per espressa volonta' del legislatore. 
    Si tratta, dunque, di valutare la ragionevolezza della scelta del
legislatore sotto il profilo delineato nell'art. 3,  comma  1,  Cost.
(inteso  come  necessita'  di  trattamento  omogeneo  di   situazioni
simili). 
    In altri termini: in alcuni casi «il legislatore  preferisce  non
punire, sia per riaffermare la natura di extrema ratio della  pena  e
agevolare la "rieducazione del  condannato",  sia  per  contenere  il
gravoso carico di contenzioso penale  gravante  sulla  giurisdizione»
[cosi' Corte costituzionale, ordinanza n. 279 del 2017]. 
    La  categoria  degli  «alcuni  casi»  in   cui   il   legislatore
«preferisce non punire» e' individuata anzitutto con riferimento alla
cornice edittale  (ove  primariamente  si  cristallizza  il  giudizio
legislativo di gravita' di una certa categoria di fatti di reato). E'
infatti nel delineare quella soglia di pena massima (pena massima  di
cinque anni di reclusione) che il legislatore esprime la sua prima  e
principale valutazione sulla possibilita' o  meno  di  consentire  al
giudice di valutare se - nel caso concreto - sia ravvisabile il  c.d.
«bisogno di pena». 
    Cio'  posto:  e'  ragionevole  -  e'  conforme  al  principio  di
necessita' di trattamento omogeneo di situazioni  simili  -  ricavare
per  alcune  tipologie  di  reato  delle   «sottosoglie»?   o   delle
sottocategorie  di  reati  che  sono  -  di   per   se'   -   esclusi
dall'applicazione dell'istituto? 
    Il  Tribunale  ritiene  che  la  previsione  di  sottrarre   alla
possibilita'  di  applicazione  dell'art.  131-bis  c.p.  (in   linea
generale applicabile ai reati puniti con pena massima di cinque  anni
di reclusione) il delitto previsto dall'art. 337 c.p. (rientrante  in
tale  soglia)  costituisca  un  trattamento  differenziato   di   una
situazione che - quanto alla cornice  edittale  -  e'  omogenea  agli
altri reati rientranti nel perimetro dell'art. 131-bis c.p. 
    E sotto tale profilo si ravvisa una violazione dell'art. 3  della
Costituzione (trattamento differenziato - e deteriore - di situazioni
omogenee). 
  3.3. L'irragionevolezza della differenziazione di  trattamento  del
reato previsto dall'art. 337 c.p. 
    Si puo' obiettare  che  il  legislatore  -  proprio  al  comma  2
dell'art. 131-bis c.p. - ha introdotto  dei  limiti  all'applicazione
della causa di non punibilita' (e che, pertanto,  anche  l'esclusione
dell'applicabilita' della causa di  non  punibilita'  al  delitto  di
resistenza  a  pubblico  ufficiale  potrebbe  essere  un  ragionevole
trattamento differenziato). 
    Ad avviso del Tribunale, cosi' non e'. 
    Gia' le Sezioni unite avevano rilevato che «il legislatore  (...)
ha  esplicato  una  complessa  elaborazione  per  definire   l'ambito
dell'istituto. Da un lato ha compiuto  una  graduazione  qualitativa,
astratta, basata sull'entita' e sulla natura  della  pena;  e  vi  ha
aggiunto un  elemento  d'impronta  personale,  pure  esso  tipizzato,
tassativo,  relativo  alla  abitualita'  o  meno  del  comportamento.
Dall'altro lato ha demandato al giudice una ponderazione quantitativa
rapportata al disvalore di azione, a quello  di  evento,  nonche'  al
grado della colpevolezza. Ha infine limitato la discrezionalita'  del
giudizio escludendo alcune  contingenze  ritenute  incompatibili  con
l'idea di speciale tenuita':  motivi  abietti  o  futili,  crudelta',
minorata difesa della vittima ecc. ...» [Sez.  U,  n.  13681  del  25
febbraio 2016 - dep. 6 aprile 2016, Tushaj, Rv. 26659101, considerato
in diritto n. 9, corsivi di chi scrive). 
    Ma le «contingenze ritenute incompatibili con l'idea di  speciale
tenuita'» previste nel testo originario dell'art. 131-bis,  comma  2,
c.p. sono cristallizzate in enunciati concepiti in modo  ben  diverso
dal divieto di applicare la causa di non punibilita'  al  delitto  di
resistenza a pubblico ufficiale. 
    Infatti,  il  testo  originario  esplicita  una  valutazione  del
legislatore sulla qualificazione giuridica  di  talune  categorie  di
fatto storico sulle quali  il  legislatore  esprime  un  giudizio  di
politica criminale. Si tratta di una (negativa) valutazione giuridica
- compiuta dal legislatore - di alcuni aspetti del fatto storico  che
caratterizzano: 
        la condotta (e,  dunque,  si  tratta  di  una  qualificazione
giuridica della modalita' della condotta): non puo'  essere  valutata
come tenue la condotta  di  chi  abbia  agito  con  crudelta',  abbia
adoperato sevizie o abbia profittato  delle  condizioni  di  minorata
difesa della vittima; 
        la gravita' delle conseguenze  del  reato:  non  puo'  essere
valutato come tenue il fatto, allorche' la condotta abbia cagionato -
o da essa siano derivate, quali conseguenze non volute - la  morte  o
le lesioni gravissime di una persona; 
        la colpevolezza: non puo' essere valutato come tenue il fatto
quando l'autore abbia agito per motivi abietti o futili. 
    Si  ripete:  con  i  limiti  originariamente  dettati   dall'art.
131-bis, comma 2, c.p., il legislatore  ha  dato  una  qualificazione
giuridica di elementi di fatto che gia' rientravano  nell'oggetto  di
valutazione per  decidere  sull'applicabilita'  dell'istituto,  cosi'
«guidando» e limitando la discrezionalita' giudiziaria  (cui  compete
pur sempre la responsabilita' di valutare se  un'azione  sia  o  meno
crudele o sorretta da motivi abietti e via seguitando). 
    Nel caso ora in esame (art.  337  c.p.),  invece,  l'applicazione
dell'istituto e' preclusa non per una qualche connotazione del fatto.
Ma solo per il titolo di reato che viene in discorso (art. 337 c.p.).
Il che vale  a  differenziare  l'eccezione  introdotta  con  l'ultimo
periodo dell'art.  131-bis,  comma  2,  c.p.,  dalle  altre  clausole
restrittive originariamente presenti nel testo e appena considerate. 
    Ma, a ben vedere, il caso  si  differenzia  anche  dall'ulteriore
limite all'applicazione  dell'istituto  contenuto  nell'art.  131-bis
c.p., introdotto nel testo originario del  decreto-legge  n.  53  del
2019 (prima, cioe' della modifica occorsa in sede di conversione). Il
testo originario del decreto-legge n. 53 del 2019 (art. 16, comma  1,
lettera b) dispone che non possono essere qualificati  come  tenui  i
«delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e  sei
mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni
sportive». 
    Anche tale disposizione, dunque, circoscrive in modo  restrittivo
il perimetro della causa  di  non  punibilita';  tuttavia,  essa  non
enuncia la clausola restrittiva facendo riferimento al solo titolo di
reato, ma indica anche alcune circostanze  del  fatto  di  reato  che
ricevono - in quanto circostanze di fatto - una certa valutazione  da
parte del legislatore: e la ragione di politica  criminale  che  puo'
aver  animato   il   legislatore   nell'adottare   tale   scelta   e'
probabilmente  legata  alla  pericolosita'  dei  reati  che   vengono
consumati in occasione di manifestazioni sportive (ove un episodio in
se' banale puo' innescare - per effetto delle folle radunate  in  uno
stadio - conseguenze ben  piu'  gravi,  inducendo  il  legislatore  a
ritenere giustificato pero' cio' un trattamento di maggior rigore  in
ordine a quei fenomeni) o alla valutazione che il legislatore da' dei
motivi a delinquere dei reati  commessi  a  causa  di  manifestazioni
sportive (come se essi fossero valutabili come futili). 
    Per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale (ma anche per i
reati previsti dagli artt. 336 e 341-bis c.p.), invece, la  causa  di
non punibilita' e' preclusa unicamente (e ad  avviso  del  Tribunale,
irragionevolmente) sulla base del titolo di reato. 
    A  una  simile  conclusione,  si  potrebbe   obiettare   che   il
trattamento di maggior rigore che si intende garantire ai delitti  di
violenza e resistenza a pubblico ufficiale sia legato alla  tipologia
di beni giuridici protetti  da  tali  fattispecie  di  reato  e  alla
necessita'  di  una  loro  tutela  rafforzata.  Si  potrebbe,  cioe',
affermare che l'esclusione della causa  di  non  punibilita'  ha  una
funzione general-preventiva, tesa a rappresentare  ai  consociati  un
monito, utile ad evitare che si possano - quali che  ne  siano  modi,
forme e intensita' - commettere  episodi  di  minacciosa  o  violenta
coartazione della liberta' morale dei pubblici ufficiali. 
    Ma una simile obiezione non regge ad un esame  sistematico  della
disciplina emergente dalla novella. 
    Se quella appena accennata fosse la  ratio  della  disciplina  di
maggior rigore introdotta in sede di conversione del decreto-legge n.
53 del 2019, non si  comprenderebbe  perche'  si  preveda  che  anche
l'oltraggio a pubblico ufficiale non possa mai essere considerato non
punibile  per  particolare  tenuita'  del  fatto  [con   un'ulteriore
irrazionalita': l'oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis  c.p.)
non puo' mai essere considerato di particolare tenuita';  l'oltraggio
a un corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 342  c.p.)  e
l'oltraggio a magistrato in udienza (art. 343  c.p.)  possono  essere
considerati di particolare tenuita'; non e' chiaro quale possa essere
la ratio di una  simile  differenziazione;  anzi:  si  tratta  di  un
ulteriore segno della irragionevolezza complessiva  della  disciplina
oggi censurata]. 
    Ma - limitando il discorso ai temi rilevanti nel giudizio  a  quo
e, dunque, al delitto di resistenza a pubblico ufficiale - si  rileva
che il legislatore non ha escluso l'applicabilita' della causa di non
punibilita'  in  relazione  ad  alcune  fattispecie  di   reato   che
proteggono beni giuridici identici (o  contigui)  a  quelli  protetti
dall'art. 337 c.p. 
    Si e' detto che - secondo il diritto  vivente  -  la  fattispecie
prevista dall'art. 337 c.p. ha un duplice oggetto di tutela:  (1)  il
«regolare funzionamento  della  pubblica  amministrazione»;  (2)  «la
sicurezza e la liberta' di determinazione e di  azione  degli  organi
pubblici,  mediante  la  protezione   delle   persone   fisiche   che
singolarmente  o  in  collegio  ne  esercitano  le   funzioni»   [per
l'individuazione di tali  beni  giuridici  quali  oggetto  di  tutela
penale da parte dell'art. 337 c.p.,  v.  Sez.  U,  n.  40981  del  22
febbraio 2018 - dep. 24 settembre 2018, Apolloni, Rv. 27377101, punto
4.2. del considerato in diritto]. 
    Orbene. Limitando il discorso  solo  ad  alcune  delle  possibili
figure di reato che potrebbero essere richiamate, si  rileva  che  la
causa di non punibilita' della  particolare  tenuita'  del  fatto  e'
applicabile (ove ne ricorrano in concreto i presupposti): 
        (a) al delitto di rifiuto d'atti d'ufficio previsto dall'art.
328, comma 1, c.p.  che  sicuramente  intende  approntare  tutela  al
regolare funzionamento della PA [e, anzi,  la  fattispecie  in  esame
riguarda settori di intervento della PA particolarmente  sensibili  e
certamente meritevoli di una tutela rafforzata e che impongono che la
pubblica funzione si esplichi «senza ritardo»]; 
        (b) al delitto di abuso di  ufficio  previsto  dall'art.  323
c.p. [anch'esso innegabilmente volto a tutelare il regolare andamento
della PA, oltre alle ragioni dei privati coinvolti nell' - o soggetti
all' - esercizio di una pubblica funzione]; 
        (c) al delitto di lesioni aggravate dal fatto di essere state
commesse «contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero
un ufficiale o agente di pubblica  sicurezza,  nell'atto  o  a  causa
dell'adempimento delle funzioni o del servizio» [artt.  582,  585  in
relazione all'art. 576, comma 5-bis c.p.]; anche in  questo  caso  e'
sicuramente posta in discussione la «protezione delle persone fisiche
che  singolarmente  o  in  collegio»  esercitano  pubbliche  funzioni
determinate dalla legge. 
    In conclusione: per le  ragioni  sopra  esposte,  il  trattamento
differenziato - e di maggior rigore - che e' previsto per il  delitto
di resistenza a  pubblico  ufficiale  non  sembra  rispondere  ad  un
criterio di ragionevolezza. 
  3.4.  La  ricerca  nei  lavori  parlamentari  di  una  ragione  del
trattamento differenziato per il delitto  di  resistenza  a  pubblico
ufficiale 
    Non  essendo  ricavabile  dal   testo   della   legge   in   modo
autoevidente, e' a questo punto necessario verificare se - dai lavori
parlamentari - emerga la necessita' di «politica  criminale»  che  il
legislatore ha inteso soddisfare  disponendo  che  una  resistenza  a
pubblico ufficiale non  possa  mai  essere  valutata  di  particolare
tenuita'. 
    L'impossibilita' di applicare la causa di non  punibilita'  della
particolare tenuita' del fatto ai reati  di  violenza,  resistenza  e
oltraggio a  pubblico  ufficiale  e'  stata  introdotta  in  sede  di
conversione del decreto-legge n. 53 del 2019. Come noto,  il  decreto
in questione e' teso a introdurre «disposizioni urgenti in materia di
ordine e sicurezza pubblica». Il suo oggetto e' piuttosto eterogeneo,
dettando: (a) disposizioni in materia di  contrasto  all'immigrazione
illegale; (b) disposizioni in materia di ordine e sicurezza pubblica;
(c) disposizioni in materia di contrasto alla violenza  in  occasione
di  manifestazioni  sportive;  (d)  disposizioni  per   potenziamento
dell'efficacia dell'azione amministrativa a supporto delle  politiche
di sicurezza. 
    Nel testo del decreto-legge e per quanto  qui  di  interesse,  si
introducevano una serie di previsioni che  inaspriscono  la  risposta
penale dell'ordinamento in relazione a reati commessi  nel  corso  di
manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico e in  relazione
a reati commessi in occasione o a causa di  manifestazioni  sportive.
Nel disciplinare quest'ultimo settore, il Governo aveva introdotto  -
con l'art. 16, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 53 del 2019 -
la  preclusione  all'applicazione  della  causa  di  non  punibilita'
prevista dall'art. 131-bis c.p. ai  «delitti,  puniti  con  una  pena
superiore nel massimo a due anni e sei mesi di  reclusione,  commessi
in occasione o a causa di manifestazioni sportive». Tale disposizione
e' gia' stata considerata sopra, al paragrafo 3.3. 
    Durante i lavori alla Camera dei deputati (atto Camera n.  1913),
in commissione referente, e' stato  poi  proposto  l'emendamento  che
viene qui in rilievo [emendamento 16.5,  proponenti  on.  Tonelli  ed
altri, pubblicato nel Bollettino delle giunte e commissioni  in  data
10  luglio  2019].  Con  l'emendamento  in  questione  si   intendeva
modificare [come poi  avvenuto]  l'art.  131-bis,  comma  2,  secondo
periodo,  prevedendo  che  l'offesa  non  possa  essere  ritenuta  di
particolare tenuita' (anche) «nei casi di cui agli artt. 336,  337  e
341-bis c.p., quando  il  reato  e'  commesso  nei  confronti  di  un
pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni». 
    Dall'esame dei lavori parlamentari non risulta che, in  occasione
del deposito dell'emendamento, siano stati presentati una relazione o
un  qualsivoglia  testo  contenente  l'indicazione  dei  motivi   che
sorreggevano la proposta. 
    La consultazione dei  lavori  parlamentari,  pero',  consente  di
riscontrare che  l'emendamento  e'  stato  approvato  in  Commissione
referente - alla seduta del 18 luglio 2019 -  senza  che,  nel  corso
della discussione, sia stato affrontato  il  merito  dell'emendamento
[gli unici riferimenti all'emendamento 16.5, ricavabili dal resoconto
della seduta di Commissione del 18 luglio 2019,  sono  relativi:  (a)
alla necessita' di ritenere «assorbiti» dall'emendamento  16.5  altri
emendamenti con analogo contenuto proposti da altri parlamentari; (b)
al fatto che altri parlamentari si sono associati (senza  esplicitare
i motivi) alla proposta dell'on. Tonelli; (c) al fatto che i relatori
della  I  e  la  II  Commissione  hanno  espresso  parere  favorevole
all'approvazione dell'emendamento e che  anche  il  Governo,  per  il
tramite  del  sottosegretario  on.  Sibilia,   ha   espresso   parere
favorevole; (d) al fatto che la  commissione  in  sede  referente  ha
approvato l'emendamento in questione]. 
    La lettura dei resoconti parlamentari  relativi  alle  sedute  di
assemblea  della  Camera  dei  deputati  offre  -  pur  marginali   -
indicazioni ulteriori. Il contenuto dell'emendamento  16.5  e'  stato
oggetto di intervento - nella seduta del 25 luglio 2019 - da parte di
tre soli deputati: (a) l'on. Prisco, che  ha  plaudito  al  risultato
ottenuto,  affermando  che  «e'  stato  possibile  cancellare  quella
schifezza  della  tenuita'  sulle  aggressioni  a  diverso  modo  nei
confronti delle Forze dell'ordine, perche' se tu sputi e  insulti  un
poliziotto che sta li' a rappresentare lo Stato  per  1.500  euro  al
mese non e' che hai la medaglia al valore civile (...), oggi hai  tre
anni di carcere. E' questa la differenza tra chi sta dalla  parte  di
quegli uomini e quelle donne  in  divisa  e  chi  sta  invece  sempre
dall'altra   parte!   (...)»   [per   la   trascrizione   del   resto
dell'intervento, cfr. resoconto stenografico di seduta n. 215 del  25
luglio 2019, p. 67-68]; (b) l'on. Tonelli, che ha  osservato:  «(...)
e' stato finalmente tolto da alcuni articoli  un  principio  che  era
quello della lieve entita': non e' piu' possibile  oggi  e  legittimo
sputare sulla divisa di un poliziotto in  servizio,  perche'  non  e'
possibile che qualcheduno riconosca in un tribunale la lieve  entita'
del  fatto  (...).  Avrei  voluto  vedere  se  in  udienza   qualcuno
sputacchiasse su una toga di un magistrato  (...).  Questo  e'  molto
importante: e' molto importante non solamente per le divise.  Qui  vi
e' un popolo infinito, perche' questi articoli fanno  riferimento  ai
pubblici ufficiali e  agli  incaricati  di  pubblico  servizio.  Come
tuteliamo da queste  orde  di  barbari,  a  volte,  una  persona,  un
capotreno, quando chiede il biglietto e si  ritrova  in  risposta  un
pugno (...)? Come riusciamo a tutelare un controllore in un  autobus?
Come possiamo riuscire? Tutti gli incaricati  di  pubblico  servizio,
che  sono  molteplici,  sono  tantissimi  -  le  guardie  particolari
giurate,  gli  operatori  delle  motorizzazioni,  i  portalettere,  i
farmacisti, i sacerdoti -, tutte queste persone  potranno  godere  di
questo tipo di tutela» [resoconto stenografico di seduta n.  215  del
25 luglio 2019, p. 75; per la trascrizione del resto dell'intervento,
ibidem, p. 74 e ss.]; (c) l'on.  Fratoianni  che  -  trattando  anche
della particolare tenuita' del fatto - ha criticato la  filosofia  di
fondo del decreto-legge, nella sua valutazione  informato  a  logiche
emergenziali fondate su un clima di paura artificiosamente alimentato
[resoconto stenografico di seduta n. 215  del  25  luglio  2019,  pp.
77-78]. 
    Durante i lavori parlamentari al Senato (atto Senato n. 1437), il
senatore Ostellari - in  occasione  della  seduta  della  commissione
giustizia,  in  sede  consultiva  -  si  e'  limitato  a  dare  conto
dell'emendamento all'art.  16  del  decreto-legge  n.  53  del  2019,
approvato dall'altro ramo del Parlamento, senza pero' esplicitare  la
ragione di politica criminale sottesa alla  novella  [cfr.  resoconto
sommario n. 113 del 30 luglio 2019  della  seduta  della  Commissione
giustizia, in sede consultiva]. 
    La senatrice De Petris - nel corso delle sedute nn. 97 e 99 della
1ª commissione permanente - ha proposto di  sopprimere  la  modifica,
ritenendola «molto grave» (senza pero' incontrare il  consenso  della
maggioranza degli altri senatori) [cfr. resoconto sommario n. 97  del
30 luglio 2019 e n.  99  del  1°  agosto  2019,  della  seduta  della
Commissione Affari costituzionali, in sede referente]. 
    Nel corso dei lavori di assemblea al Senato della Repubblica,  e'
stata - anzitutto - respinta una questione pregiudiziale con la quale
si metteva in discussione il complessivo impianto del  decreto-legge,
ritenuto - anche nella parte che qui interessa - in contrasto  con  i
principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita'   [cfr.   questione
pregiudiziale  proposta  dai  senatori  De  Petris,  Errani,  Grasso,
Laforgia,  De   Falco,   Nencini,   Nugnes,   Martelli   e   respinta
dall'Assemblea; cfr. resoconto stenografico di seduta n.  142  del  5
agosto 2019, pp. 6 e ss.]; nel corso della  discussione  assembleare,
la modifica di cui qui si discute e' stata oggetto di  considerazione
da parte del sen. Saponara [che si e'  limitato  a  dare  atto  della
modifica, apprezzandola; cfr. resoconto stenografico di seduta n. 142
del 5 agosto 2019, p. 37] e del sen. Balboni [che  ha  ricalcato  gli
argomenti gia' usati alla Camera dei deputati dagli onorevoli  Prisco
e Tonelli; cfr. resoconto stenografico di seduta n. 142 del 5  agosto
2019, p. 47]. 
    I lavori parlamentari, dunque, non  offrono  precise  indicazioni
sulla ratio sottesa al divieto di applicazione dell'art. 131-bis c.p.
ai delitti di violenza, resistenza e oltraggio a  pubblico  ufficiale
[e non anche all'incaricato di pubblico servizio, come pure sostenuto
durante i lavori]. 
    Gli unici riferimenti rilevati nei resoconti  parlamentari  hanno
ad oggetto non tanto  il  tema  che  era  oggetto  del  decreto-legge
(l'ordine e la sicurezza pubblica), quanto  l'onore  e  il  prestigio
delle Forze di polizia, in una  lettura  che  -  nelle  parole  degli
onorevoli Prisco e Tonelli e del sen. Balboni (gli unici a  discutere
esplicitamente a favore del merito dell'emendamento approvato) - pare
informata ad  una  «concezione  sacrale  dei  rapporti  tra  pubblici
ufficiali e cittadini» [per usare il lessico di Corte  costituzionale
n. 341 del 1994, in materia di trattamento sanzionatorio del reato di
oltraggio]. 
    Sennonche' tale visione sacrale  dei  rapporti  tra  cittadino  e
autorita'  non  sembra  poter   costituire   una   adeguata   ragione
giustificatrice (ai sensi di quanto previsto  dagli  artt.  3  e  27,
comma 3, Cost.)  del  trattamento  differenziato  introdotto  con  la
modifica dell'art. 131-bis c.p. Questa conclusione e'  effettuata  in
questa sede anche alla luce di quanto scrisse la Corte costituzionale
nella sentenza n. 341 del 1994 (al considerato in diritto n. 3). 
4. Conclusioni sulla non manifesta infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale: il petitum 
    In conclusione: la motivazione che precede delinea quali siano  i
profili di contrasto - inemendabili in via interpretativa  -  che  il
Tribunale ravvisa. 
    L'esclusione della applicazione della causa  di  non  punibilita'
prevista dall'art. 131-bis c.p. si pone in  contrasto  con  l'art.  3
Cost., con un vizio che - secondo la valutazione del Tribunale  -  si
colloca «a cavallo» tra la violazione del principio di eguaglianza  e
quello di irragionevolezza manifesta delle scelte del legislatore. 
    4.1. Risulta violato il principio di uguaglianza nella misura  in
cui si prevede - ordinariamente - che la  causa  di  non  punibilita'
possa trovare applicazione per tutti  i  reati  puniti  con  la  pena
detentiva non superiore nel  massimo  a  cinque  anni  di  reclusione
(mentre essa - sulla base  della  disciplina  impugnata  -  non  puo'
trovare  applicazione  per  il  reato  di   resistenza   a   pubblico
ufficiale). Se la valutazione  che  il  legislatore  ha  compiuto  in
astratto sulla tenuita' del fatto  e'  legata  alla  soglia  di  pena
massima  edittale,  il  trattamento  differenziato  del  delitto   di
resistenza a pubblico ufficiale e' in contrasto con il  principio  di
uguaglianza. Risulta pertanto un possibile contrasto  con  l'art.  3,
comma l, della Costituzione [cfr. supra, paragrafo 3.2.]. 
    4.2.   Non   si   ravvisano    peraltro    sufficienti    ragioni
giustificative,  capaci  di  discriminare  -  in  modo  razionale   e
ragionevole - la preclusione introdotta per il delitto di  resistenza
a pubblico ufficiale. Le  altre  clausole  restrittive  previste  nel
comma  2  dell'art.  131-bis  c.p.   introducono   disposizioni   che
qualificano come non tenue un certo elemento del  fatto  storico:  la
condotta, la gravita' dell'evento (o del pericolo) o la  colpevolezza
dell'agente [cfr. supra, paragrafo 3.3]. La clausola derogatoria  che
esclude la possibilita' di ritenere la  tenuita'  del  fatto  per  il
delitto  di  resistenza  a  pubblico  ufficiale  e'   invece   legata
unicamente ed esclusivamente al titolo di reato in contestazione. 
    Nemmeno si ravvisa una adeguata giustificazione a tale regime  di
maggior rigore per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale  ove
si  considerino  gli  oggetti  di   tutela   della   fattispecie   in
considerazione  (regolare  funzionamento  della   PA   e   protezione
dell'incolumita' e della liberta'  morale  degli  organi  della  PA);
altre figure di reati contro la pubblica  amministrazione  proteggono
analoghi oggetti di  tutela  e,  per  essi,  il  legislatore  non  ha
precluso la possibilita' di valutare come  particolarmente  tenui  le
condotte penalmente rilevanti [si rimanda alle considerazioni  svolte
esaminando la situazione dei reati previsti  dagli  artt.  328,  323,
582-585-576 comma 5-bis, c.p.; v. paragrafo 3.3.]. 
    Ne', infine, i lavori parlamentari consentono di  ricavare  quale
possa essere la ratio della disciplina di maggior  rigore  introdotta
con riferimento al delitto di resistenza a pubblico ufficiale: si  e'
visto  [al  paragrafo  3.4]  che,  dai  lavori  parlamentari,  sembra
emergere una ragione di politica criminale legata  piu'  alla  tutela
del prestigio e  dell'onore  del  pubblico  ufficiale  che  ad  altre
ragioni. E si e' rilevato che  tale  ragione  di  politica  criminale
sembra porsi in contrasto con quanto ritenne la Corte  costituzionale
nella sentenza n. 341 del 1994  [ove  si  rimodulo'  la  pena  minima
edittale del delitto di oltraggio nel testo allora vigente]. 
    4.3.  La  fisionomia  della  causa  di  non   punibilita'   della
particolare tenuita'  del  fatto  e'  legata  -  secondo  il  diritto
vivente, cristallizzato nella giurisprudenza delle  Sezioni  unite  -
alla necessita' di «espungere dal circuito  penale  fatti  marginali,
che non mostrano bisogno di pena», perseguendo «finalita' connesse ai
principi di proporzione ed extrema ratio» [Sez. U, n.  13681  del  25
febbraio 2016 - dep. 6 aprile 2016, Tushaj, Rv. 26659101, considerato
in diritto, n. 6]. 
    Il riconosciuto ancoraggio dell'istituto della tenuita' del fatto
al  principio  di  proporzione  ha   trovato   avallo   anche   nella
giurisprudenza  costituzionale:  l'ordinanza  n.  279  del  2017   ha
rilevato che «il fatto  particolarmente  lieve,  cui  fa  riferimento
l'art. 131-bis c.p. e' comunque un fatto offensivo,  che  costituisce
reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per riaffermare
la natura di extrema ratio della pena e  agevolare  la  "rieducazione
del condannato", sia per contenere il gravoso carico  di  contenzioso
penale» [Corte costituzionale, ordinanza n. 279 del 2017; corsivi  di
chi scrive]; la sentenza n. 120 del 2019 ha  ribadito  che  la  ratio
dell'istituto  e'  collegata   alla   scelta   del   legislatore   di
«riafferrnare la natura di extrema ratio della pena  e  agevolare  la
rieducazione del condannato» [Corte costituzionale, sentenza  n.  120
del 2019, considerato in diritto n. 3; corsivi di chi scrive]. 
    Il  collegamento  dell'istituto   della   non   punibilita'   per
particolare tenuita' del fatto ai principi rieducativi connessi  alla
concreta applicazione della sanzione  e  alla  natura  residuale  dei
meccanismi  sanzionatori  penali  chiama  direttamente  in  gioco  il
principio di proporzionalita' del trattamento sanzionatorio. 
    Sul  punto,  il  Tribunale  non  intende  richiamare   tutta   la
giurisprudenza   costituzionale   in   materia   di   principio    di
proporzionalita' delle pene. Si tratta di elaborazioni ben note  alla
Corte costituzionale. 
    Qui ci si  limita  ad  evidenziare  un  aspetto:  la  scelta  del
legislatore di precludere - in astratto, una volta per tutte e  sulla
base del solo titolo di reato -  l'applicazione  dell'istituto  della
non punibilita' per particolare tenuita'  del  fatto  al  delitto  di
resistenza a pubblico ufficiale, puo' comportare, nel  caso  concreto
(e a differenza di altri casi concreti che si trovano  in  situazioni
in larga misura assimilabili), l'irrogazione di condanne in casi  che
non rivelano un «bisogno di  pena»  e  in  cui  l'applicazione  della
sanzione penale, risultando sproporzionata, si porrebbe  in  frizione
con  il  «volto  costituzionale  della   pena»   tratteggiato   nella
giurisprudenza costituzionale. 
    Del resto, in un passaggio della sentenza n. 236 del 2016  (forse
classificabile  come  obiter  dictum),  la  Corte  costituzionale  ha
esplicitamente  evidenziato  che  «la   tutela   del   principio   di
proporzionalita', nel campo del diritto  penale,  conduce  a  "negare
legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee
a  raggiungere  finalita'   statuali   di   prevenzione,   producono,
attraverso  la   pena,   danni   all'individuo   (ai   suoi   diritti
fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente  maggiori  dei
vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la  tutela  dei
beni e valori offesi dalle predette incriminazioni" (sentenze n.  341
del 1994 e n.  409  del  1989).  Deve  essere  ricordato,  in  questa
prospettiva, anche l'art. 49, numero  3),  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il  7  dicembre
2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in  forza
dell'art. 6, comma 1, del Trattato sull'Unione  europea  (TUE),  come
modificato dal Trattato di Lisbona,  firmato  il  13  dicembre  2007,
ratificato e reso esecutivo con  legge  2  agosto  2008  n.  130,  ed
entrato in vigore 1° dicembre 2009 - a  tenore  del  quale  "le  pene
inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato"»  [Corte
costituzionale, sentenza n. 236 del 2016, considerato in  diritto  n.
4.2]. 
    In altri termini: la potenzialita' del principio  di  proporzione
non puo' risultare circoscritta  al  quantum  di  sanzione,  ma  puo'
estendersi anche a sindacare la ragionevolezza  della  necessita'  di
sanzione penale (nella questione qui  sottoposta,  la  ragionevolezza
della necessita' di sanzione in uno specifico caso concreto). 
    Per tale ragione, si rimette alla Corte costituzionale  anche  la
valutazione dei profili di contrasto tra la disciplina impugnata e il
principio  di  proporzionalita'  della  risposta  sanzionatoria,  per
contrasto con il combinato disposto degli artt.  3  e  27,  comma  3,
della Costituzione [in esso richiamato anche il dettato dell'art. 49,
n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'UE,  per  il  tramite
del parametro costituzionale scolpito nell'art. 117, comma l, Cost.]. 
    4.4. Non resta  che  esplicitare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  che  si  intende  sollevare.  Si  chiede  alla  Corte
costituzionale  di  valutare  se  l'art.  131-bis,  comma  2,  ultimo
periodo, c.p. risulti in contrasto con gli artt. 3  e  27,  comma  3,
Cost. e con l'art. 117, comma l,  Cost.  in  relazione  all'art.  49,
comma 3, CDFUE nella parte in cui  dispone  che  «l'offesa  non  puo'
altresi' essere ritenuta di particolare tenuita' (...)  nei  casi  di
cui agli articoli (...), 337 e (...), quando il reato e' commesso nei
confronti di  un  pubblico  ufficiale  nell'esercizio  delle  proprie
funzioni». 
    Per tale ragione, il processo deve  essere  sospeso  e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost., 23 e ss. legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  131-bis,  comma  2,   ultimo
periodo, c.p. per contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost., con  l'art.
3 in relazione all'art. 27, comma 3, Cost. e con l'art. 117, comma 1,
Cost. in relazione all'art. 49, comma  3,  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, nella  parte  in  cui  dispone  che
«l'offesa non puo' altresi' essere ritenuta di  particolare  tenuita'
(...) nei casi di cui agli articoli (...), 337  e  (...),  quando  il
reato  e'  commesso  nei   confronti   di   un   pubblico   ufficiale
nell'esercizio delle proprie funzioni». 
    Sospende il processo sino all'esito del giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  al  signor  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   e
comunicata ai signori Presidenti del Senato della Repubblica e  della
Camera dei deputati. 
    Comunicato a  pubblico  ministero  e  difensore  in  udienza.  Si
notifichi all'imputato presso il domicilio eletto. 
    Dispone che la cancelleria trasmetta  alla  Corte  costituzionale
gli  atti  del  presente  giudizio,  con  la  prova  delle   avvenute
notificazioni e comunicazioni. 
        Torino, 5 febbraio 2020 
 
                         Il giudice: Natale