N. 151 SENTENZA 23 giugno - 16 luglio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Istruzione  -  Scuole  italiane  all'estero   -   Affidamento   degli
  insegnamenti  obbligatori  nell'ordinamento  italiano  -  Procedure
  concorsuali per il reclutamento dei docenti - Requisiti - Residenza
  da almeno un anno nel paese ospitante - Denunciata  violazione  dei
  principi del pubblico concorso e del buon andamento della  pubblica
  amministrazione, nonche' disparita' di trattamento - Non fondatezza
  della questione. 
- Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, art. 31, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 51 e 97. 
(GU n.30 del 22-7-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  31,  comma
2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64, recante «Disciplina
della scuola italiana all'estero, a norma dell'articolo 1, commi  180
e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n. 107», promosso  dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,  sezione  terza-ter,
nel procedimento vertente tra il sindacato Unione Italiana del Lavoro
(UIL) Scuola  nazionale  e  altri  e  il  Ministero  dell'istruzione,
dell'universita' e della  ricerca  e  altri,  con  ordinanza  del  30
settembre 2019, iscritta al  n.  3  del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  4,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione della UIL Scuola nazionale, di  G.
C. e di S. S.,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito il Giudice relatore Giulio Prosperetti ai sensi del decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data  10
giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 settembre  2019  (reg.  ord.  n.  3  del
2020), il Tribunale amministrativo regionale per  il  Lazio,  sezione
terza-ter,  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione,  dell'art.  31,
comma 2, del decreto legislativo  13  aprile  2017,  n.  64,  recante
«Disciplina della scuola italiana all'estero, a  norma  dell'articolo
1, commi 180 e 181, lettera h), della legge 13 luglio 2015, n.  107»,
nella parte in cui prevede, come requisito per l'affidamento da parte
delle scuole italiane all'estero di insegnamenti obbligatori  secondo
l'ordinamento  italiano,  che  il  personale  italiano  o   straniero
interessato sia «residente nel paese ospitante da almeno un anno». 
    1.1.- La questione e' insorta nel corso di un  giudizio  promosso
dal sindacato Unione Italiana  del  Lavoro  (UIL)  Scuola  nazionale,
insieme   ad   alcuni   docenti,   nei   confronti   del    Ministero
dell'istruzione, dell'universita' e della  ricerca  e  del  Ministero
degli affari esteri e della cooperazione internazionale,  nonche'  di
alcuni istituti scolastici italiani all'estero. 
    Il giudice rimettente riferisce che i ricorrenti hanno  impugnato
i bandi di concorso adottati tra i mesi di marzo  e  aprile  2018  da
alcune scuole italiane all'estero  (nel  dettaglio:  il  bando  della
Scuola italiana di Atene, del 21 marzo 2018; il  bando  della  Scuola
statale italiana di Madrid, del 19 marzo 2018; il bando dell'Istituto
statale comprensivo "Leonardo da Vinci" di Parigi, del 7 marzo  2018;
il bando della Scuola media e liceo scientifico statale  "I.M.I."  di
Istanbul, del 29 marzo 2018; il bando dell'Istituto italiano  statale
comprensivo di Barcellona, del 13 aprile 2018; il bando dell'Istituto
statale omnicomprensivo "Galileo Galilei"  di  Addis  Abeba,  del  10
aprile 2018). 
    Si tratta di bandi  per  il  reclutamento  di  personale  docente
cosiddetto  locale  da  parte  delle   menzionate   scuole   italiane
all'estero, emanati ai sensi dell'art. 31, comma 2, del d.lgs. n.  64
del 2017, secondo cui «[n]elle scuole statali  all'estero  un  numero
limitato di insegnamenti obbligatori nell'ordinamento  italiano  puo'
essere affidato a personale italiano o straniero, residente nel paese
ospitante da almeno un anno, in possesso dei requisiti previsti dalla
normativa italiana e avente una conoscenza certificata  della  lingua
italiana con finalita'  didattiche  a  livello  avanzato  secondo  il
Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle  lingue.
Con decreto del Ministero degli affari esteri  e  della  cooperazione
internazionale, sentito il Ministero dell'istruzione dell'universita'
e della ricerca, sono stabiliti, avendo  riguardo  alle  specificita'
dei contesti locali e  delle  discipline  caratterizzanti  i  diversi
indirizzi di studio, gli insegnamenti ai quali in ciascuna scuola  si
applicano le disposizioni del presente comma, nonche' i criteri e  le
procedure di selezione e di assunzione del personale interessato». 
    Il giudice a quo rappresenta che i  ricorrenti  hanno  impugnato,
altresi', il decreto 8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501, con  cui  il
Ministero degli affari esteri  e  della  cooperazione  internazionale
Direzione generale per la promozione del sistema Paese, in attuazione
di quanto previsto dalla seconda parte dell'art.  31,  comma  2,  del
d.lgs. n. 64 del 2017 ha  individuato  gli  insegnamenti  obbligatori
secondo l'ordinamento italiano che, nelle scuole statali  all'estero,
possono essere affidati a personale docente  con  contratto  a  tempo
indeterminato, regolato dalla legge locale, nonche' i  criteri  e  le
procedure di selezione e assunzione di detto personale. 
    I ricorrenti, nel domandare  l'annullamento,  previa  sospensione
cautelare, degli atti impugnati, hanno censurato, tra le altre  cose,
la previsione, quale requisito di partecipazione alla selezione,  del
possesso di un titolo di residenza di almeno un anno nel paese estero
ove dovrebbe svolgersi il rapporto di lavoro, requisito che i  cinque
professori ricorrenti hanno allegato di non possedere. 
    Nel giudizio si sono  costituiti  il  Ministero  dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca ed il Ministero degli affari  esteri
e  della  cooperazione  internazionale,  in  persona  dei  rispettivi
Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo il rigetto del gravame. 
    Il Collegio rimettente prosegue riferendo che, esaurita  la  fase
cautelare, la causa e' stata decisa con sentenza  parziale  n.  11409
del 2019, nella quale, ritenute non fondate le eccezioni  preliminari
sollevate dalle parti resistenti, sono  stati  rigettati  nel  merito
tutti i motivi di censura sollevati dai ricorrenti, ad  eccezione  di
quello concernente la prospettata illegittimita' costituzionale della
disposizione di cui all'art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64 del  2017,
nella parte in cui stabilisce il  requisito  della  residenza  almeno
annuale nel paese estero. Cio' in quanto i  ricorrenti  assumono  che
tale  requisito,  nel  limitare  di  fatto  la  partecipazione   alle
selezioni de quibus, contrasterebbe con  gli  artt.  3  e  97  Cost.,
violando il principio del pubblico concorso. 
    Cio' premesso, il giudice a quo,  in  accoglimento  del  predetto
motivo di gravame, ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata
la questione di legittimita'  costituzionale  della  disposizione  in
oggetto, laddove stabilisce il predetto requisito. 
    1.2.- In ordine alla rilevanza della questione, il giudice a  quo
rappresenta che i bandi di concorso e il citato decreto  ministeriale
8 gennaio 2018, prot. n. 3615/2501, oggetto d'impugnazione  da  parte
dei  ricorrenti,  riproducono  la  previsione  normativa   censurata,
contemplando il possesso da parte degli aspiranti del requisito della
residenza da almeno un anno nel  paese  estero  ospitante  la  scuola
italiana che indice la procedura di reclutamento. 
    Poiche' i  professori  ricorrenti  non  posseggono  il  requisito
suddetto,  non  possono  prendere  parte  alle  selezioni,   da   cui
«l'impugnazione - per tale specifico motivo - dei bandi e del decreto
ministeriale presupposto». 
    Il rimettente ravvisa la rilevanza della questione in  quanto  la
decisione  del  giudizio  (limitatamente  all'unico  profilo  rimasto
ancora da decidere) «non puo' prescindere dalla valutazione circa  la
legittimita' costituzionale della norma di legge che ha introdotto il
requisito censurato»: l'eventuale annullamento, in parte  qua,  della
disposizione  censurata   determinerebbe   difatti   l'illegittimita'
derivata   degli   atti   amministrativi   impugnati    e,    quindi,
l'accoglimento della censura sollevata dai ricorrenti, i  quali  «per
l'effetto, all'esito di una  rinnovata  attivita'  amministrativa  di
definizione  dei  criteri  di  partecipazione  alle  selezioni   (con
espunzione  del  criterio  giudicato  illegittimo),  finirebbero  col
beneficiare della possibilita' di prendere effettivamente parte  alle
procedure selettive». 
    Esclusa la possibilita' di una interpretazione adeguatrice  della
disposizione censurata, stante il suo  chiaro  tenore  letterale,  il
rimettente precisa che essa «per il  fatto  stesso  di  prevedere  il
criterio restrittivo della  residenza  almeno  annuale,  finisce  con
l'imporlo (a valle)  a  quelle  istituzioni  scolastiche  estere  che
vogliano bandire una selezione per il proprio personale c.d.  locale,
nonche' (a monte) alla stessa amministrazione  ministeriale  chiamata
ad adottare l'atto normativo generale previsto  dalla  seconda  parte
del comma 2 dell'art. 31» con cui sono  stabiliti,  tra  l'altro,  «i
criteri e le procedure di selezione e  di  assunzione  del  personale
interessato». 
    1.3.- In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
preliminarmente richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui
il concorso pubblico, nel  consentire  di  attuare  il  principio  di
uguaglianza nell'accesso ai pubblici uffici di cui all'art. 51 Cost.,
costituisce la forma generale ed ordinaria  di  reclutamento  per  il
pubblico impiego, «in quanto  meccanismo  strumentale  al  canone  di
efficienza dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost.,  potendo  a
tale regola  derogarsi  solo  in  presenza  di  peculiari  situazioni
giustificatrici e purche' le selezioni non  siano  caratterizzate  da
arbitrarie  ed  irragionevoli  forme  di  restrizione  dei   soggetti
legittimati a parteciparvi (cfr., tra le tante, Corte cost., sent. n.
159 del  2005)»,  sicche'  «le  deroghe  possono  essere  considerate
legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon  andamento
dell'amministrazione  e  ove  ricorrano  peculiari  e   straordinarie
esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (cfr.,  in  tal
senso, Corte cost., sentt. n. 52 del 2011 e nn. 90 e 177 del 2012)». 
    Con specifico riguardo alle selezioni del personale docente delle
scuole, il TAR Lazio  prosegue  esponendo  che  nella  giurisprudenza
costituzionale si e' sempre affermata la preminenza del criterio  del
merito «il quale "costituisce, invero, il criterio  ispiratore  della
disciplina del reclutamento del personale docente" (cfr. la sent.  n.
41 del 2011 e, piu' di  recente,  la  sent.  n.  251  del  2017)»,  e
precisa, altresi', che «[a]nche laddove,  in  alcune  piu'  risalenti
decisioni, la Corte ha riconosciuto, eccezionalmente, la legittimita'
costituzionale di disposizioni di legge che restringevano  la  platea
dei  candidati  in  ragione  della  loro  residenza,  cio'  ha  fatto
precisando che tale requisito  deve  risultare  "ricollegabile,  come
mezzo al fine, allo assolvimento di servizi altrimenti non  attuabili
o almeno non attuabili con identico risultato" (cfr., in  tal  senso,
le sentt. n. 158 del 1969, n. 86 del 1963, n. 13 del 1961 e n. 15 del
1960, oltre all'ord. n. 33 del 1988), in tal modo  significativamente
declinando  il  presupposto  del  collegamento  funzionale   tra   il
requisito  della  residenza  e  le   esigenze   di   buon   andamento
dell'amministrazione». 
    Tanto premesso, il giudice a quo osserva che nel caso  di  specie
appare pacifico che  la  disposizione  denunciata  ha  introdotto  un
criterio restrittivo per l'accesso all'impiego  pubblico  (costituito
dal  posto  di  docente  delle  scuole  statali  all'estero),  avendo
previsto che alle relative selezioni possano partecipare solo  coloro
che risultino residenti da almeno un anno nel paese estero ospitante. 
    Tale restrizione, tuttavia, ad avviso del rimettente non  sarebbe
«assistita da adeguate  ragioni  giustificatrici  e  finisce  con  il
ridurre in modo arbitrario ed irragionevole la platea  dei  possibili
candidati:  non  si   rinvengono,   invero,   quelle   "peculiari   e
straordinarie esigenze di interesse pubblico" (cfr. sentt. n. 52  del
2011 e n. 137 del 2013)» che, secondo  la  richiamata  giurisprudenza
costituzionale, possono consentire legittime deroghe al principio del
concorso pubblico. 
    Inoltre,  il  criterio   restrittivo   in   esame   non   sarebbe
"funzionale"  al  buon  andamento   dell'amministrazione   scolastica
statale all'estero (e, piu'  in  generale,  al  corretto  e  proficuo
raggiungimento degli obiettivi del «sistema della formazione italiana
nel mondo», quali declinati dall'art. 2 del d.lgs. n.  64  del  2017,
sistema che vede proprio nelle scuole statali  all'estero  una  delle
proprie principali articolazioni). 
    Cio' in quanto, «per un verso, il requisito di residenza  e'  qui
imposto per l'insegnamento non delle materie obbligatorie secondo  la
normativa locale (come e', invece, per la diversa ipotesi di  cui  al
comma 1 dell'art. 31 del d.lgs. n. 64 del 2017) ma per l'insegnamento
delle materie obbligatorie secondo l'ordinamento italiano - con venir
meno, pertanto, di ogni possibile collegamento tra tale  insegnamento
e l'esperienza "di vita" all'estero che tale requisito  sembra  voler
perseguire - mentre, per altro verso, la stessa conoscenza (da  parte
del docente che abbia vissuto per almeno un anno  nel  Paese  estero)
dell'ambiente locale e di eventuali connesse esigenze ambientali  non
pare ergersi, nel  caso  di  specie,  quale  adeguato  e  ragionevole
criterio  di  preselezione,  non  apparendo  esso   in   alcun   modo
ricollegabile, come mezzo al fine, all'assolvimento  di  un  servizio
(l'insegnamento  delle  materie  obbligatorie   secondo   il   nostro
ordinamento) altrimenti non attuabile  o  almeno  non  attuabile  con
identico  risultato,  secondo  quanto   precisato   dalla   riportata
giurisprudenza costituzionale». 
    In riferimento alla dedotta  violazione  dell'art.  3  Cost.,  il
rimettente deduce che la previsione  del  requisito  della  residenza
determinerebbe una disparita'  di  trattamento  tra  i  candidati  in
quanto, pur se secondo la legge «gli insegnamenti de  quibus  possono
essere affidati sia a personale italiano sia a  personale  straniero,
il requisito in questione finisce con il far  prevalere  quest'ultima
categoria. E' evidente, infatti,  che  i  docenti  stranieri,  ed  in
particolare quelli che abbiano la cittadinanza del  Paese  ospitante,
hanno  maggiori  possibilita'  di  soddisfare  il   requisito   della
residenza  almeno  annuale,  rispetto   ai   docenti   italiani   che
generalmente non vivono all'estero». 
    Conseguentemente,   il   contestato   requisito   «finisce    per
indirizzare le selezioni a  vantaggio  di  coloro  che,  per  ragioni
legate alla propria nascita e/o alle proprie origini  nel  territorio
straniero, possano vantare un legame di fatto  piu'  forte  con  quel
territorio, e cio'  a  discapito  dei  candidati,  come  gli  odierni
ricorrenti, che hanno cittadinanza italiana  (o  di  qualsiasi  altro
Paese): ma senza che la preferenza cosi' accordata a  quel  legame  -
come gia' visto - possa dirsi funzionalmente collegata alle  esigenze
dell'amministrazione». 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio incidentale con atto depositato l'11 febbraio 2020. 
    2.1.-    Preliminarmente    la    difesa    statale     eccepisce
l'inammissibilita' della questione sotto due diversi profili. 
    L'ordinanza non avrebbe «esplicitato in modo pienamente  autonomo
le  ragioni  per  le  quali  nutre  il   dubbio   di   illegittimita'
costituzionale, limitandosi ad  una  sostanziale  riproduzione  delle
deduzioni delle parti interessate». 
    Al riguardo viene richiamata la sentenza n. 285  del  2010  della
Corte  costituzionale,  secondo  cui   «[i]l   mero   richiamo   alle
argomentazioni prospettate dalle parti nel processo principale  rende
l'ordinanza di rimessione priva del  requisito  dell'autosufficienza,
dovendo il giudice esplicitare le ragioni che lo portano  a  dubitare
della  costituzionalita'  della  norma  censurata  in  modo  tale  da
permettere alla Corte di  verificare  la  sussistenza  del  requisito
della rilevanza, non potendosi supplire a tale carenza per mezzo  del
riferimento sopra indicato». 
    Inoltre  sarebbe  del  tutto   carente   la   motivazione   sulla
impossibilita'   di   esperire   interpretazioni   costituzionalmente
orientate della norma censurata. 
    Nel  ricordare  che  il  giudice  a  quo  deve   «vagliare   ogni
possibilita' di interpretare la  disposizione  in  modo  conforme  al
dettato costituzionale (Corte Cost., sent. 6 ottobre 2006, n.  324)»,
la difesa statale deduce il difetto di una  precisa  motivazione  del
rimettente circa l'impossibilita' di pervenire  a  un'interpretazione
costituzionalmente conforme della previsione normativa censurata. 
    Riguardo  tale  profilo,  l'Avvocatura   generale   dello   Stato
rappresenta che la giurisprudenza costituzionale ha  riconosciuto  al
legislatore una discrezionalita' nel derogare per specifici obiettivi
di pubblico interesse alla regola della selezione del personale della
pubblica amministrazione mediante concorso pubblico e che, una  volta
fatta la scelta di non  derogare  a  tale  regola  di  selezione,  il
legislatore  gode   anche   di   discrezionalita'   «nell'individuare
eventuali restrizioni all'accesso al  pubblico  concorso,  purche'  i
relativi criteri non siano manifestamente irragionevoli  o  idonei  a
creare non giustificabili differenze di trattamento tra gli aspiranti
alla partecipazione». 
    In  proposito  la   difesa   statale   ricorda   che   la   Corte
costituzionale «ha affermato il principio che l'accesso in condizioni
di parita' ai pubblici uffici  puo'  subire  deroghe,  con  specifico
riferimento  al  luogo  di  residenza  dei  concorrenti,  quando   il
requisito medesimo  sia  ricollegabile,  come  mezzo  al  fine,  allo
assolvimento  di  servizi  altrimenti  non  attuabili  o  almeno  non
attuabili con identico risultato (sent. 158 del 1969, 86 del 1963, 13
del 1961, 15 del 1960)» (ordinanza n. 33 del 1988). 
    Nel caso in esame l'Avvocatura generale dello Stato evidenzia che
il legislatore non ha  derogato  alla  regola  del  concorso  per  la
selezione dei docenti da destinare alle  scuole  italiane  all'estero
nelle materie caratterizzanti e  obbligatorie  secondo  l'ordinamento
italiano, ma ha invece richiesto, per potervi partecipare,  oltre  ad
altri requisiti, anche il possesso della residenza da almeno un  anno
nel paese di destinazione. 
    Tale  requisito,  introdotto  dalla  disposizione  censurata,  ha
oggettivamente  un  effetto  di  specifica  selezione  rispetto  alla
potenziale  platea  dei  legittimati  a   partecipare   al   concorso
(costituita da docenti italiani e stranieri abilitati a insegnare  in
determinate materie e  con  determinate  competenze  linguistiche  in
italiano). 
    Tuttavia, ad avviso della difesa  statale,  «non  sembra  che  il
giudice rimettente abbia assolto al suo dovere di individuare,  nella
norma censurata, un significato conforme  a  Costituzione  (v.  Corte
Costituzionale 317/2009; ordinanza n. 96/2010, 77/2009  e  56/2007)».
Cio' in  quanto  ha  «enucleato  i  soli  argomenti  che  evidenziano
l'assenza  di  un  ragionevole  rapporto  di  strumentalita'  tra  la
conoscenza del Paese di destinazione,  presuntivamente  esistente  ex
lege, secondo il giudice a quo, in capo a chi puo' vantare almeno  un
anno di residenza nel luogo dove dovra' insegnare, e le materie che i
docenti che partecipano al concorso dovranno insegnare». 
    Inoltre, «non viene neppure tentata una  diversa  interpretazione
che consenta di attribuire al requisito  della  residenza  nel  Paese
straniero di destinazione, una funzione diversa e ulteriore che possa
soddisfare il rapporto di strumentalita' che deve sussistere tra tale
requisito e l'assolvimento del servizio». In proposito,  l'Avvocatura
generale assume che «[a] mero titolo  di  esempio  si  puo'  rilevare
l'esistenza di un pubblico interesse, rilevante  ex  artt.  51  e  97
della Costituzione, a investire risorse nella selezione di  personale
docente che e' gia' personalmente organizzato per svolgere la propria
prestazione all'estero, come presuntivamente si puo' ritenere per chi
ha fissato una residenza per un periodo apprezzabile (almeno un anno)
nel  Paese  per  il  quale  si  presenta  la   candidatura,   fattore
obiettivamente idoneo  a  ridurre  la  possibilita'  che  il  docente
selezionato rinunci alla idoneita' all'esito  del  concorso,  il  che
puo' avere indubbie ripercussioni anche in termini di  organizzazione
del calendario scolastico nel Paese di destinazione». 
    Sulla  scorta  di  quanto  cosi'  rilevato,  la  difesa   statale
«evidenzia   quindi   la   possibile   erroneita'   del   presupposto
interpretativo dal quale muove  il  T.a.r.,  cosi'  come  difetta  la
ricerca di una  soluzione  costituzionalmente  obbligata  al  quesito
sollevato  dal  remittente,  considerata   anche   l'ampiezza   della
discrezionalita' di cui gode il legislatore  nella  materia  sicche',
perche' la questione sia fondata, deve risultare chiaro che la  norma
censurata ha un  contenuto  manifestamente  irragionevole  (v.  Corte
Costituzionale sentenza n. 60/2014)». 
    2.2.- Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato  ritiene  che
la questione sia comunque infondata. 
    In particolare, riguardo alla dedotta  violazione  da  parte  del
rimettente dell'art. 3 Cost., la difesa statale rileva che «la  norma
censurata consente di partecipare al concorso a  docenti  italiani  e
stranieri, purche' in grado di documentare che risiedono da almeno un
anno  nel  Paese  nel  quale  dovra'  essere  svolta  la  prestazione
lavorativa (e salvo il possesso degli altri  requisiti  specifici  di
competenza anche linguistica)»; e che «[i]l possesso di una specifica
cittadinanza o dell'essere  nati  in  un  determinato  Paese  non  e'
criterio selettivo per l'accesso, ne' il possesso di una  determinata
cittadinanza implica necessariamente che la stessa  persona  possieda
anche la residenza nel Paese di cui e' cittadino». 
    Non sarebbe allora corretto «affermare, come invece fa il giudice
a quo, che i docenti che possiedono la cittadinanza italiana sono per
cio' solo svantaggiati in quanto  generalmente  privi  del  requisito
della residenza all'estero almeno  annuale».  Parimenti  non  sarebbe
individuata correttamente «la  categoria  che  sarebbe  ingiustamente
avvantaggiata, utilizzata come elemento di paragone per  valutare  la
conformita' della norma censurata al  parametro  di  cui  all'art.  3
della Costituzione, costituita  da  docenti  stranieri  che,  essendo
cittadini del  Paese  al  quale  il  singolo  bando  di  concorso  si
riferisce, secondo quanto prospettato dal giudice a quo  avrebbero  o
avrebbero molto piu' facilmente, rispetto ai docenti di  cittadinanza
italiana, anche la residenza da almeno un anno nel Paese per il quale
viene fatta la domanda di insegnamento». 
    3.-  Con  memoria  depositata  il  10  febbraio  2020,  si   sono
costituiti la UIL Scuola nazionale e due dei docenti  ricorrenti  nel
giudizio principale (G. C. e S.  S.),  aderendo  alle  argomentazioni
addotte dal giudice rimettente. 
    Anche le parti richiamano  la  giurisprudenza  costituzionale  in
materia  di  concorso  pubblico,  con  particolare  riferimento  alle
condizioni da essa  stabilite  per  considerare  legittime  eventuali
deroghe, possibili solo quando siano «funzionali esse stesse al  buon
andamento  dell'amministrazione   e   ove   ricorrano   peculiari   e
straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee  a  giustificarle
(cfr., in tal senso, Corte cost., sentt. n. 52 del 2011 e  nn.  90  e
177 del 2012)». 
    Nel caso di specie le parti ritengono che il criterio restrittivo
per l'accesso all'impiego pubblico - costituito dal posto di  docente
delle  scuole  statali  all'estero  -  previsto  dalla   disposizione
censurata, non sarebbe assistito da adeguate ragioni  giustificatrici
e «finisce con il ridurre in  modo  arbitrario  ed  irragionevole  la
platea  dei  possibili  candidati»,  in  assenza  di   peculiari   ed
eccezionali  esigenze  di  interesse  pubblico,  ovvero  dettate   da
necessita'  funzionali   al   buon   andamento   dell'amministrazione
scolastica statale all'estero. 
    In  proposito,  le  parti  rappresentano  che  «recentemente   la
Direttiva n. 3 del 2018 emessa dal Ministero per la Semplificazione e
la pubblica amministrazione (Linee guida sulle procedure concorsuali)
ha espressamente ribadito, nell'indicare i  requisiti  di  ammissione
nelle procedure di  reclutamento  dei  concorsi  pubblici,  che  tali
procedure  risultano  finalizzate  unicamente  alla   selezione   dei
candidati  migliori»  e  che  «[l]a  predetta  Direttiva   ha   cosi'
chiaramente escluso di poter attribuire alcuna forma di preferenza  -
o meglio, di motivo di esclusione - nei confronti dei  candidati  che
risultano residenti da almeno un anno nel Paese estero ospitante». 
    Con specifico riferimento al reclutamento di  docenti,  le  parti
richiamano il precedente costituito dalla sentenza n. 251  del  2017,
con  cui  e'  stata  dichiarata  la   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 110, della legge 13 luglio 2015, n.  107  (Riforma
del sistema nazionale di istruzione e  formazione  e  delega  per  il
riordino delle disposizioni legislative vigenti), nella parte in  cui
escludeva dagli ivi previsti concorsi pubblici  per  il  reclutamento
dei docenti coloro che erano stati  assunti  con  contratto  a  tempo
indeterminato nelle scuole statali. 
    Le parti evidenziano che nella predetta sentenza si  afferma  che
nella disposizione censurata «il diritto di partecipare  al  concorso
pubblico e'  condizionato  alla  circostanza  -  invero  "eccentrica"
rispetto all'obiettivo della procedura concorsuale di selezione delle
migliori professionalita' - che non  vi  sia  un  contratto  a  tempo
indeterminato alle dipendenze della scuola statale». 
    Nel ricordare che «[l]a contestata esclusione  si  fondava  sulla
durata  del  contratto  (a  tempo   determinato,   ovvero   a   tempo
indeterminato) e sulla natura del datore di lavoro (scuola pubblica o
scuola   paritaria;   amministrazione   della    scuola    o    altre
amministrazioni)», le  parti  rappresentano  che,  secondo  la  Corte
costituzionale,  «nessuno  di  tali  criteri   risultava   funzionale
all'individuazione della platea  degli  ammessi  a  partecipare  alle
procedure concorsuali, le quali dovevano, viceversa, essere impostate
su  criteri  meritocratici,   volti   a   selezionare   le   migliori
professionalita'». 
    Cio' comportava la irragionevole  restrizione  della  platea  dei
partecipanti al pubblico concorso, in contrasto non solo con l'art. 3
Cost., ma anche con i principi enunciati dagli artt. 51  e  97  Cost.
Difatti, nella citata sentenza  n.  251  del  2017  si  afferma  che,
costituendo il merito il criterio  ispiratore  della  disciplina  del
reclutamento del personale docente (sentenza  n.  41  del  2011),  la
preclusione stabilita dall'art. 1, comma 110, della legge n. 107  del
2015 contraddice tale finalita', «impedendo sia di realizzare la piu'
ampia partecipazione  possibile,  sia  di  assicurare  condizioni  di
effettiva parita' nell'accesso». 
    3.1.- In prossimita' dell'udienza  le  parti  private  costituite
hanno presentato brevi note nelle quali hanno  ribadito  quanto  gia'
illustrato   nella   memoria   di   costituzione,   riproponendo   le
argomentazioni  ivi  svolte  e  insistendo,  in  particolare,   sulla
impossibilita' di un'interpretazione adeguatrice  della  disposizione
censurata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio,  sezione
terza-ter, con l'ordinanza in epigrafe dubita,  in  riferimento  agli
artt.  3,  51   e   97   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 31, comma  2,  del  decreto  legislativo  13
aprile  2017,  n.  64,  recante  «Disciplina  della  scuola  italiana
all'estero, a norma dell'articolo 1, commi 180  e  181,  lettera  h),
della legge 13 luglio 2015, n. 107», nella parte in cui prevede, come
requisito per l'affidamento da parte delle scuole italiane all'estero
dei previsti insegnamenti obbligatori secondo l'ordinamento italiano,
che il  personale  italiano  o  straniero  interessato  debba  essere
«residente nel paese ospitante da almeno un anno». 
    L'art. 31, comma  2,  del  d.lgs.  n.  64  del  2017  stabilisce:
«[n]elle scuole statali all'estero un numero limitato di insegnamenti
obbligatori  nell'ordinamento  italiano  puo'   essere   affidato   a
personale italiano o straniero,  residente  nel  paese  ospitante  da
almeno un anno, in possesso dei requisiti  previsti  dalla  normativa
italiana e avente una conoscenza certificata  della  lingua  italiana
con finalita' didattiche a livello avanzato secondo il Quadro  comune
europeo di riferimento per la conoscenza delle  lingue.  Con  decreto
del   Ministero   degli   affari   esteri   e   della    cooperazione
internazionale, sentito il Ministero dell'istruzione dell'universita'
e della ricerca, sono stabiliti, avendo  riguardo  alle  specificita'
dei contesti locali e  delle  discipline  caratterizzanti  i  diversi
indirizzi di studio, gli insegnamenti ai quali in ciascuna scuola  si
applicano le disposizioni del presente comma, nonche' i criteri e  le
procedure di selezione e di assunzione del personale interessato». 
    1.1.- La questione e' stata sollevata nell'ambito di un  giudizio
promosso dal  sindacato  Unione  Italiana  del  Lavoro  (UIL)  Scuola
Nazionale, unitamente a cinque docenti, che avevano impugnato i bandi
di concorso adottati tra il marzo e l'aprile 2018  da  alcune  scuole
italiane all'estero, ai sensi del citato art. 31, comma 2, del d.lgs.
n. 64 del 2017, per il reclutamento del personale docente  cosiddetto
locale  cui  affidare  alcuni  specifici   insegnamenti   obbligatori
nell'ordinamento italiano, nonche' il decreto 8 gennaio  2018,  prot.
n. 3615/2501, del Ministero degli affari esteri e della  cooperazione
internazionaleDirezione generale per la promozione del sistema Paese. 
    Il giudice  a  quo  rappresenta  che  i  ricorrenti,  hanno,  tra
l'altro, censurato la previsione negli atti impugnati del possesso di
un titolo di residenza pari ad almeno un anno nel  Paese  estero  ove
dovrebbe  svolgersi  il  rapporto  di  lavoro  quale   requisito   di
partecipazione per la selezione, «requisito che,  in  particolare,  i
cinque professori ricorrenti hanno allegato di non possedere». 
    Con sentenza parziale il Collegio ha deciso tutte  le  questioni,
fatta salva l'eccezione prospettata dai ricorrenti di  illegittimita'
costituzionale della disposizione di cui all'art. 31,  comma  2,  del
d.lgs. n. 64 del 2017, per asserito contrasto con gli artt.  3  e  97
Cost. in riferimento  alla  violazione  del  principio  del  pubblico
concorso, nella parte in cui prevede il predetto requisito. 
    1.2.- Esclusa la possibilita' di  un'interpretazione  adeguatrice
della norma censurata, atteso il suo chiaro tenore letterale, il  TAR
rimettente  ritiene  la  questione  rilevante  e  non  manifestamente
infondata. 
    In ordine alla rilevanza,  il  giudice  a  quo  evidenzia  che  i
provvedimenti contestati riproducono il requisito della residenza  da
almeno  un  anno  nel  paese  estero  ospitante   contemplato   dalla
disposizione denunciata e che «[i] professori ricorrenti non  possono
prendere parte alle selezioni perche'  non  posseggono  il  requisito
suddetto. Da qui l'impugnazione - per tale  specifico  motivo  -  dei
bandi e del decreto ministeriale presupposto». 
    Per queste ragioni il rimettente ritiene  che  la  decisione  del
giudizio (limitatamente all'unico profilo ancora  da  decidere)  «non
puo'   prescindere   dalla   valutazione   circa   la    legittimita'
costituzionale della norma di legge che ha  introdotto  il  requisito
censurato», in quanto il suo  eventuale  annullamento  determinerebbe
l'illegittimita' derivata  degli  atti  amministrativi  impugnati  e,
quindi, l'accoglimento della censura sollevata dai ricorrenti. 
    A  sostegno  della  non  manifesta   infondatezza,   il   giudice
rimettente, richiamata la giurisprudenza di questa Corte in ordine al
criterio del concorso come strumento per il reclutamento nel pubblico
impiego, afferma  che  la  previsione  da  parte  della  disposizione
censurata del requisito della residenza da almeno un anno  nel  paese
ospitante si porrebbe contestualmente in contrasto con gli  artt.  3,
51 e 97 Cost. 
    Relativamente alla violazione del principio di uguaglianza  posto
dall'art. 3 Cost., il giudice a  quo  afferma  che  il  requisito  in
oggetto determinerebbe una ingiustificata disparita'  di  trattamento
tra i candidati, indirizzando la selezione in  modo  irragionevole  a
vantaggio di coloro che per ragioni di nascita o di  origine  possono
vantare col paese di destinazione un piu' forte legame,  a  discapito
degli altri candidati. 
    Quanto alla lesione dell'art. 51 Cost., il TAR rimettente  assume
che il  contestato  requisito  previsto  per  l'accesso  al  pubblico
impiego  (costituito  dal  posto  di  docente  delle  scuole  statali
all'estero)  non   risulterebbe   assistito   da   adeguate   ragioni
giustificatrici di interesse  pubblico  nei  termini  indicati  dalla
ricordata giurisprudenza costituzionale, e finirebbe per  ridurre  in
modo arbitrario e irragionevole la platea dei possibili candidati. 
    Da ultimo, in ordine  alla  violazione  dell'art.  97  Cost.,  in
riferimento  al  principio  del   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione, il TAR rimettente deduce che  non  sussisterebbe  un
collegamento funzionale  tra  il  requisito  della  previa  residenza
ultrannuale nel  paese  ospitante  e  l'esigenza  di  buon  andamento
dell'amministrazione scolastica statale all'estero,  in  quanto  tale
requisito e' imposto per l'insegnamento  delle  materie  obbligatorie
secondo l'ordinamento italiano, rispetto al  quale  viene  meno  ogni
possibile collegamento con l'esperienza di vita all'estero  che  tale
requisito sembra  voler  perseguire,  laddove  la  stessa  conoscenza
dell'ambiente  locale   connesso   alla   pregressa   residenza   non
costituisce adeguato e  ragionevole  criterio  di  preselezione,  non
essendo ricollegabile all'assolvimento del servizio richiesto. 
    2.-   Vanno   preliminarmente   esaminate   le    eccezioni    di
inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    2.1.- Secondo la difesa statale l'ordinanza non assolverebbe alle
prescrizioni della giurisprudenza di questa Corte circa la necessaria
autosufficienza delle argomentazioni addotte a sostegno del dubbio di
costituzionalita',  poiche'  il  rimettente  si  sarebbe  limitato  a
riprodurre quanto prospettato dai ricorrenti. 
    Senonche' dalla lettura dell'ordinanza non emergono elementi  che
confortano il predetto assunto difensivo. 
    Le  argomentazioni  addotte  dal  giudice  rimettente  risultano,
difatti, svolte  in  modo  autonomo,  in  quanto  non  rinviano  alle
deduzioni dei ricorrenti  del  giudizio  principale,  ne'  richiamano
passaggi  argomentativi  da  essi  svolte  negli  scritti  difensivi,
laddove non rileva che esse, eventualmente, si  ispirino  o  facciano
proprio quanto dedotto  dai  ricorrenti  negli  atti  depositati  nel
giudizio principale. 
    2.2.- La difesa statale eccepisce, altresi',  che  nell'ordinanza
sarebbe del tutto carente la motivazione da parte del giudice  a  quo
sulla impossibilita' di esperire  interpretazioni  costituzionalmente
orientate della disposizione censurata. 
    Anche questa eccezione va disattesa. 
    Innanzitutto, il Collegio rimettente ha chiaramente ravvisato nel
tenore letterale della disposizione censurata l'impedimento a una sua
diversa interpretazione compatibile con il dettato costituzionale. 
    In  effetti,   il   dettato   della   disposizione,   nella   sua
essenzialita' e univocita', non si presta a dubbi di sorta. 
    Inoltre, le deduzioni  svolte  sul  punto  dalla  difesa  statale
riguardano  il  merito  della  questione,   e   non   gia'   la   sua
ammissibilita' (ex plurimis, sentenze n. 11 del  2020  e  n.  12  del
2019). 
    Deve dunque ritenersi assolto da parte del rimettente l'onere che
su di lui incombe per consentire di superare sul punto il  vaglio  di
ammissibilita' (ex plurimis, sentenze n. 189 del  2019,  n.  135  del
2019, n. 12 del 2019 e n. 221 del 2015). 
    3.- Nel merito la questione non e' fondata. 
    3.1.- La disposizione censurata costituisce uno specifico aspetto
della disciplina dettata dall'art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 64  del
2017, riguardante la possibilita' per le scuole  italiane  all'estero
di affidare, attraverso apposite procedure concorsuali,  insegnamenti
obbligatori  nell'ordinamento  italiano  a   personale   italiano   e
straniero in possesso di determinati requisiti, stipulando  contratti
a  tempo  indeterminato  regolati  dal  diritto  locale,  da  cui  la
qualificazione di "docenti a contratto locale". 
    La censura verte sulla previsione del  possesso  da  parte  degli
aspiranti del requisito di essere «residente da almeno  un  anno  nel
paese ospitante». 
    Tale   requisito,   indubbiamente,   costituisce   un    criterio
restrittivo per l'accesso  al  pubblico  impiego,  nella  fattispecie
quello di docente della scuola  italiana  all'estero  che  indice  la
procedura concorsuale. 
    Il thema decidendum dell'odierno giudizio e' pertanto  costituito
dalla verifica della compatibilita'  della  previsione  normativa  in
esame con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in
materia di concorso pubblico  per  l'accesso  all'impiego  presso  la
pubblica amministrazione, diffusamente richiamati  dal  rimettente  a
sostegno  della  questione,   in   particolare   relativamente   alla
possibilita' di introdurre restrizioni al principio dell'accesso alla
procedura  concorsuale,  come   quella   costituita   da   specifiche
previsioni in ordine al requisito della residenza. 
    Questa  Corte,  difatti,  ha   vagliato   la   ragionevolezza   e
giustificabilita' di disposizioni che prevedevano  specificamente  il
requisito  della  residenza  per  l'accesso  a  concorsi   ovvero   a
determinate  attivita'  di  rilievo   pubblico,   riconoscendone   la
legittimita' allorche' «il requisito medesimo sia ricollegabile, come
mezzo al fine, allo assolvimento di servizi altrimenti non  attuabili
o almeno non attuabili con identico risultato» (cosi' ordinanza n. 33
del 1988, che richiama le sentenze n. 158 del 1969, n. 86  del  1963,
n. 13 del 1961 e n. 15 del 1960). 
    A tali statuizioni si e' conformato in modo letterale  lo  stesso
legislatore  aggiungendo,  con  l'art.  51,  comma  1,  del   decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge  4  marzo
2009, n. 15, in materia di  ottimizzazione  della  produttivita'  del
lavoro  pubblico  e  di  efficienza  e  trasparenza  delle  pubbliche
amministrazioni), all'art. 35, comma 5-ter, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165 (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), un  ultimo  periodo
secondo cui il principio della parita' di condizioni per l'accesso ai
pubblici uffici e' garantito, attraverso specifiche disposizioni  del
bando «con riferimento al luogo di residenza dei concorrenti,  quando
tale requisito sia strumentale all'assolvimento di servizi altrimenti
non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato». 
    3.2.- Al  fine  di  individuare  la  funzione  che  il  censurato
requisito svolge nel complessivo assetto della disciplina di  settore
e, dunque, di comprendere se  tale  funzione  possa  costituirne  una
valida motivazione ai sensi della richiamata giurisprudenza di questa
Corte,   occorre,   preliminarmente,   procedere    alla    sintetica
ricostruzione del quadro normativo di riferimento. 
    Il sistema scolastico italiano all'estero si articola in una rete
di istituti, sezioni e attivita' che assicurano  in  molti  paesi  di
diversi  continenti   tutti   i   livelli   di   istruzione:   scuola
dell'infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado. 
    Di tale rete fanno attualmente parte gli  otto  istituti  statali
onnicomprensivi, con sede ad Addis Abeba, Asmara, Atene,  Barcellona,
Istanbul, Madrid, Parigi e Zurigo. 
    La materia e'  stata  rivisitata  dal  d.lgs.  n.  64  del  2017,
attuativo dell'art. 1, commi 180  e  181,  lettera  h),  della  legge
delega 13 luglio 2015, n.  107  (Riforma  del  sistema  nazionale  di
istruzione e formazione e delega per il riordino  delle  disposizioni
legislative  vigenti),  concernente  il  riordino   e   l'adeguamento
normativo in materia di istituzioni e iniziative scolastiche italiane
all'estero: in particolare, il numero  1)  della  citata  lettera  h)
prevede «la definizione dei criteri e delle modalita'  di  selezione,
destinazione  e  permanenza  in  sede   del   personale   docente   e
amministrativo», e il successivo numero  4)  contempla  espressamente
uno  specifico  ambito  di  intervento   costituito   proprio   dalla
«revisione della disciplina dell'insegnamento di materie obbligatorie
secondo la legislazione locale o l'ordinamento scolastico italiano da
affidare a insegnanti a contratto locale». 
    Relativamente alle modalita' di reclutamento  del  personale,  il
decreto  legislativo  in  esame  conferma   il   canale   prioritario
costituito  dal  collocamento  fuori  ruolo,  entro  un   determinato
contingente massimo, del personale  amministrativo  e  docente  della
scuola a tempo indeterminato, in continuita' con le previsioni  della
previgente disciplina dettata dalla Parte V del  decreto  legislativo
16  aprile  1994,  n.  297  (Approvazione  del  testo   unico   delle
disposizioni legislative vigenti in materia di  istruzione,  relative
alle scuole di ogni ordine e grado). 
    Tuttavia, in attuazione del ricordato numero 4) della lettera  h)
del   comma   181,   dell'art.   1   della   legge   delega,    viene
significativamente  rivisitato  e  ampliato  il  secondo  canale   di
reclutamento, costituito  dall'assunzione  di  "personale  locale"  -
docente e non docente - con contratto "locale", ovvero regolato dalla
legge locale. 
    La materia e' disciplinata dal Capo IV (Situazioni  particolari),
Sezione I (Personale locale nelle  scuole  statali  all'estero),  del
d.lgs. n. 64 del 2017, costituita dagli artt. 31, 32 e 33. 
    L'art. 31, che viene in evidenza nell'odierno giudizio,  riguarda
specificamente il reclutamento dei docenti. 
    Il comma 1 ridefinisce la disciplina gia'  contemplata  dall'art.
653 del previgente d.lgs. n. 297 del 1994, relativa  al  conferimento
di  insegnamenti  obbligatori  in  base  alla  normativa  locale  non
previsti nell'ordinamento scolastico italiano:  in  modo  innovativo,
viene estesa la possibilita' del conferimento, oltre che al personale
straniero, anche a quello italiano, e introdotto il  requisito  della
residenza nel paese ospitante da almeno un anno per  i  soggetti  che
vogliano partecipare alle selezioni. 
    La piu' incisiva novita' e' tuttavia  quella  recata  dalla  gia'
innanzi riportata disposizione del comma 2 del medesimo art.  31  del
d.lgs. n. 64 del 2017, laddove consente l'affidamento di un  limitato
numero di insegnamenti obbligatori per lo stesso ordinamento italiano
a personale italiano o straniero, dotati dei requisiti previsti dalla
normativa italiana e avente una conoscenza certificata  della  lingua
italiana con finalita' didattiche a livello avanzato, purche'  sempre
in possesso del requisito della residenza da almeno un anno nel paese
che ospita la scuola che bandisce la selezione. La seconda parte  del
medesimo comma demanda a un decreto del Ministero degli affari esteri
e della cooperazione internazionale  (MAECI),  sentito  il  Ministero
dell'istruzione,   dell'universita'   e   della    ricerca    (MIUR),
l'individuazione degli insegnamenti ai quali in  ciascuna  scuola  si
applicano le disposizioni  dettate  dal  medesimo  comma,  nonche'  i
criteri e le procedure di selezione e  di  assunzione  del  personale
interessato. 
    Il comma 3 stabilisce, peraltro, che «se non si  puo'  provvedere
diversamente, puo' prescindersi dal periodo minimo di  residenza  nel
paese ospitante». 
    Il comma 5 definisce il trattamento  economico,  prevedendo,  tra
l'altro, che esso sia pari alla retribuzione  dell'analogo  personale
delle scuole locali o,  se  piu'  favorevole,  ai  tre  quarti  della
posizione stipendiale iniziale spettante al personale delle scuole in
Italia con le medesime funzioni. 
    Anche relativamente al  personale  non  docente  e'  prevista  la
possibilita' per le scuole italiane all'estero  di  assumere,  previa
autorizzazione del MAECI  e  nei  limiti  delle  risorse  finanziarie
disponibili, personale «permanentemente residente da almeno due  anni
nel Paese dove opera la scuola ed avente una conoscenza della  lingua
italiana adeguata ai rispettivi compiti» (art. 32 del  d.lgs.  n.  64
del 2017). 
    Infine,  l'art.  33  stabilisce  che  la  legge  regolatrice  dei
contratti di cui agli artt. 31 e 32 e' quella  locale.  Di  specifico
interesse per la tematica in esame e' il comma 3, secondo  cui  «[l]e
selezioni del personale di cui alla presente sezione si conformano  a
principi di imparzialita', pubblicita' e  trasparenza,  e  mirano  ad
accertare la conoscenza della lingua italiana  e  il  possesso  delle
competenze necessarie ai compiti  da  svolgere»,  prevedendo  che  le
modalita' delle selezioni siano  stabilite  con  decreto  del  MAECI,
sentito il MIUR. Infine, il comma 4 prescrive che «[e'] in ogni  caso
escluso il transito nei ruoli del  personale  di  cui  alla  presente
sezione». 
    Il quadro regolatorio e'  stato  completato  dall'emanazione  dei
decreti previsti dall'art. 31, comma 2 (decreto MAECI 8 gennaio 2018,
prot. n. 3615/2501),  e  dall'art.  33,  comma  3  (decreto  MAECI  4
settembre 2017, prot. n. 1202/1615). 
    In particolare,  il  decreto  MAECI  8  gennaio  2018,  prot.  n.
3615/2501, individua  nell'Allegato  A  gli  specifici  insegnamenti,
obbligatori secondo l'ordinamento italiano,  affidabili  da  ciascuna
scuola a docenti a contratto locale, tra i quali:  lingua  e  cultura
inglese, matematica, scienze, tecnologia, arte  e  immagine,  musica,
scienze motorie ed educazione fisica. 
    4.- Gli artt. da 31 a 33 del d.lgs. n. 64 del  2017  configurano,
dunque, un disegno di riorganizzazione del sistema di reclutamento da
parte delle scuole italiane all'estero del personale, docente  e  non
docente, con contratto di "diritto locale". 
    La piu'  significativa  innovazione,  come  si  e'  rilevato,  e'
proprio quella prevista  dall'art.  31,  comma  2,  che  consente  il
conferimento di  incarichi  di  insegnamento,  secondo  la  normativa
locale, anche in materie obbligatorie secondo l'ordinamento italiano,
accompagnata  dalla  previsione  che  possano  essere  attribuiti   a
cittadini stranieri e  italiani,  a  condizione  che  essi  risultino
residenti nel paese ospitante da almeno un anno. 
    Si tratta di una innovazione perseguita dal legislatore  sin  dal
tentativo operato nella medesima direzione con le previsioni  dettate
dal comma 2 dell'art. 9 del decreto-legge  31  agosto  2013,  n.  101
(Disposizioni  urgenti  per  il   perseguimento   di   obiettivi   di
razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni),  poi  espunto  in
sede di conversione, operata dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. 
    Le ragioni di tale innovazione possono dunque essere  individuate
in quelle stesse, di carattere finanziario e  gestionale,  che  erano
state poste a fondamento dell'intervento operato con il citato  comma
2 dell'art. 9 del d.l. n. 101 del 2013. 
    Nella relazione tecnica, concernente la predetta disposizione, si
affermava che l'intervento era volto a fronteggiare la riduzione  del
personale  scolastico  di  ruolo   assegnabile   per   l'espletamento
dell'insegnamento  presso   le   scuole   statali   all'estero,   con
consistente   riduzione   della   correlata   spesa    per    effetto
dell'applicazione  ai  docenti  assunti  con  contratto   locale   di
trattamenti retributivi meno onerosi di quelli previsti per i docenti
di ruolo provenienti dall'Italia, svolgenti le medesime funzioni. 
    Dalla ricognizione del quadro normativo,  in  definitiva,  emerge
che l'esaminata disciplina dettata dall'art. 31, comma 2, del  d.lgs.
n. 64 del 2017 costituisce,  dunque,  uno  strumento  flessibile  per
ciascuna scuola italiana all'estero volto a soddisfare il  fabbisogno
di personale docente in funzione di specifiche esigenze locali. 
    In tale prospettiva,  vale  la  pena  osservare  che  le  materie
concretamente affidate ai docenti a "contratto locale" non ineriscono
allo specifico patrimonio storico e culturale italiano. 
    Si intuisce,  peraltro,  la  preoccupazione  del  legislatore  di
differenziare nettamente i due ricordati canali di  reclutamento  del
personale delle scuole italiane all'estero,  distinguendo  lo  status
giuridico ed economico del "personale locale" da quello del personale
di  ruolo  proveniente  dall'Italia,  come  attestano:  la  ricordata
previsione dell'art. 33, comma 4, che significativamente  esclude  il
transito nei ruoli del personale assunto  con  contratto  locale;  la
circostanza che si possa prescindere dal periodo minimo di  residenza
nel paese ospitante solo ove non  si  possa  provvedere  diversamente
(art. 31, comma 3); la previsione che solo in  quest'ultimo  caso  si
possano rimborsare le spese di viaggio. 
    Si tratta, in altre parole, di elementi voluti congiuntamente dal
legislatore per connotare in termini di specialita' la  tipologia  di
rapporto lavorativo  in  questione,  specialita'  alla  cui  luce  va
valutata la previsione che impone il requisito della previa residenza
almeno annuale nel paese ospitante la scuola. 
    Non a caso tale stretta connessione si ripete, come si  e'  avuto
modo di rilevare, in tutte le previsioni del d.lgs. n. 64  del  2017,
che riguardano il personale locale nelle scuole  italiane  all'estero
sia docente (art. 31, commi 1 e 2), sia non docente (art. 32), per il
quale, anzi, la durata della previa residenza nel paese ospitante  e'
elevata a due anni. 
    5.-  La  verifica   della   legittimita'   costituzionale   della
disposizione  censurata  non  puo'  dunque  prescindere   dalla   sua
contestualizzazione nell'ambito e in funzione del complessivo disegno
di revisione della disciplina del reclutamento dei docenti locali con
contratto "locale" da parte delle scuole italiane all'estero. 
    In tale prospettiva, il contestato requisito risulta, per  quanto
si e' evidenziato, funzionale alle esigenze  gestionali  del  sistema
delle  scuole  italiane  all'estero  e,  nel  contempo,  concorre   a
rafforzare il rapporto della singola scuola e dei suoi alunni con  il
contesto locale, contribuendo a una loro migliore integrazione. 
    In questo modo, il requisito della  previa  residenza  nel  paese
ospitante da almeno un anno, previsto dalla  disposizione  censurata,
ottempera alle condizioni individuate da questa Corte  per  ritenerlo
conforme ai principi posti dall'art. 51 Cost., in materia di  accesso
all'impiego nella pubblica amministrazione, e dall'art. 97 Cost.,  in
tema di miglior andamento delle attivita' in questione. 
    Ne consegue che la disposizione censurata si sottrae ai dubbi  di
costituzionalita' sollevati dal Collegio rimettente in ordine a tutti
i parametri costituzionali evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 31, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 64,
recante  «Disciplina  della  scuola  italiana  all'estero,  a   norma
dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera h), della legge  13  luglio
2015, n. 107», sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97  della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,
sezione terza-ter, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE