N. 55 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 giugno 2020

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 1° luglio  2020  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Commercio  -  Norme  della  Regione  Campania  -  Strumento  comunale
  d'intervento per l'apparato distributivo (SIAD) - Previsione che il
  SIAD  costituisca  uno  strumento  integrato  della  pianificazione
  urbanistica con funzione esaustiva del potere di  programmazione  e
  pianificazione del territorio ai fini commerciali e  di  fissazione
  dei  criteri  per  l'esercizio  delle   attivita'   commerciali   -
  Assegnazione della finalita' di salvaguardia dei valori  artistici,
  culturali, storici ed ambientali locali - Previsione  che  il  SIAD
  fissi i fattori di valutazione connessi, tra l'altro,  alla  tutela
  dei beni culturali  e  disponga  vincoli  agli  insediamenti  delle
  attivita'  commerciali  in  aree  o  edifici  di  valore   storico,
  archeologico, artistico e ambientale,  nei  limiti  necessari  alle
  esigenze di tutela. 
Commercio - Norme della Regione Campania - Interventi comunali per la
  valorizzazione del centro storico - Previsione che  il  SIAD  possa
  preservare,  rilanciare  e  potenziare  la  funzione   tipica   del
  commercio nel centro storico -  Esercizi  di  vicinato  del  centro
  storico -  Previsione  della  superficie  di  vendita  massima  nel
  rispetto  degli  imperativi  motivi   di   interesse   generale   -
  Istituzione del protocollo di arredo urbano. 
Commercio - Norme  della  Regione  Campania  -  Grandi  strutture  di
  vendita  -  Condizioni  per  il  rilascio   dell'autorizzazione   -
  Osservanza delle disposizioni in  materia  urbanistica,  di  quelle
  fissate dal SIAD e  dalla  normativa  regionale  di  riferimento  -
  Rispetto dei  requisiti  comunali  e  regionali  di  compatibilita'
  territoriale dell'insediamento - Ammissione della  rilocalizzazione
  nell'intero territorio regionale in conformita' con  le  scelte  di
  localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD del Comune
  di  insediamento  -  Subordinazione  all'autorizzazione   comunale,
  previa valutazione da parte della competente Conferenza dei servizi
  esclusivamente dell'impatto sull'ambiente. 
Commercio - Norme della Regione Campania  -  Modalita'  di  esercizio
  dell'attivita' - Condizioni e modalita' stabilite  dal  Comune  per
  l'esercizio del commercio su aree pubbliche - Individuazione  delle
  zone aventi valore archeologico, storico, artistico  ed  ambientale
  nelle quali l'esercizio del commercio su aree pubbliche e'  vietato
  o sottoposto a particolari restrizioni. 
Paesaggio (tutela  del)  -  Norme  della  Regione  Campania  -  Nuove
  concessioni - Installazione di un nuovo impianto  di  distribuzione
  di carburanti lungo le autostrade, le  tangenziali  ed  i  raccordi
  autostradali - Rilascio condizionato, tra  l'altro,  alla  verifica
  della conformita' alle disposizioni per la tutela dei beni  storici
  ed artistici. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Norme  della  Regione  Campania  -
  Commissario  regionale  -  Nomina  nei  casi  di   inefficienza   o
  irregolarita' del mercato, affinche' rimuova le irregolarita' o  ne
  ridia efficienza. 
- Legge della Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7 (Testo Unico  sul
  commercio ai sensi dell'articolo 3, comma 1 della  legge  regionale
  14 ottobre 2015, n. 11), artt. 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e  6;
  20, commi 1, 2 e 3; 28, commi 7, lettere a) e b), e 10; 61, commi 1
  e 2; 83; e 130, comma 1. 
(GU n.32 del 5-8-2020 )
    Ricorso  ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, codice fiscale 80224030587, fax
06/96514000 e PEC ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - presso  i  cui
uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione  Campania,  in  persona  del  presidente  della
giunta regionale in carica, con sede in Napoli - via S. Lucia n. 81; 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6, 20, commi 1, 2 e 3,  28,
comma 7, lettere a) e b) e comma 10, 61, commi 1 e 2, 83 e 130, comma
1 della legge Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7,  recante  «testo
unico sul commercio  ai  sensi  dell'art.  3,  comma  1  della  legge
regionale  14  ottobre  2015,  n.  11»,  pubblicata  nel   Bollettino
ufficiale della regione n. 91 del  27  aprile  2020,  per  violazione
degli articoli 9, secondo comma; 117, secondo comma,  lettera  s),  e
81, terzo comma della Costituzione, nonche' del  principio  di  leale
collaborazione, e in riferimento agli articoli 10, comma  4,  lettera
g), 20, 21, 24, 52, 106, comma 2-bis e 135, 143  e  145  del  decreto
legislativo  n.  42  del  2004  «Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio». 
    E cio' a seguito  ed  in  forza  della  delibera  di  impugnativa
assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 25 giugno 2020. 
    La legge regionale con cui e' stato approvato il testo unico  sul
commercio della Regione Campania, contiene numerose disposizioni  che
- per le motivazioni di seguito indicate - eccedono dalle  competenze
regionali  perche'  si  pongono  in  contrasto  con  nome  vincolanti
contenute nel Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  decreto
legislativo n. 42  del  2004,  che  costituiscono  norme  interposte,
violando gli articoli 9  e  117,  secondo  comma,  lettera  s)  della
Costituzione,  in  materia  di  tutela  del  paesaggio  e  dei   beni
culturali, nonche' il principio di leale collaborazione e l'art.  81,
terzo comma, della Costituzione. In particolare: l'art. 19, commi  2,
3, 4, lettera b), e 6, e l'art. 20, commi  1,  2  e  3,  violano  gli
articoli 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52, 106, comma 2-bis  e
135, 143, e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio; l'art.
28, comma 7, lettere a) e b), e comma 10, viola gli articoli 135, 143
e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio; l'art. 61, commi
1 e 2, viola gli articoli 20, 21, 24, 52, 106, comma 2-bis del Codice
dei beni culturali e del paesaggio; l'art. 130, comma  1,  viola  gli
articoli 135, 143 e 145 del Codice di settore. 
    Inoltre la disposizione contenuta  nell'art.  83,  prevede  spese
senza  indicarne  la  quantificazione  ne'  la   relativa   copertura
finanziaria,  in  contrasto  con  l'art.  81,  terzo   comma,   della
Costituzione. 
    Le  disposizioni  della  legge   regionale   summenzionate   sono
costituzionalmente illegittime e, giusta determinazione  assunta  dal
Consiglio  dei  ministri  nella  seduta  del  25  giugno  2020,  sono
impugnate per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale degli articoli 19, commi  2,  3,  4,
lettera b), e 6 e 20, commi 1, 2 e 3 della legge Regione Campania  21
aprile 2020, n. 7, per violazione degli articoli  9  e  117,  secondo
comma, lettera s) della Costituzione, nonche' del principio di  leale
collaborazione, in relazione agli articoli 10, comma 4,  lettera  g),
20, 21, 24, 52, 106, comma 2-bis e 135, 143, e  145  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio. 
    1.  Gli  articoli  19  e  20  della  legge  regionale  in   esame
disciplinano  lo  strumento  comunale  d'intervento  per   l'apparato
distributivo (SIAD) e presentano criticita' analoghe. 
    L'art. 19  reca  previsioni  concernenti  lo  strumento  comunale
d'intervento per l'apparato distributivo (SIAD), che,  ai  sensi  del
comma 2, costituisce  lo  strumento  integrato  della  pianificazione
urbanistica con funzione esaustiva del  potere  di  programmazione  e
pianificazione del territorio ai fini commerciali. 
    Il successivo comma 3 dispone, poi, che «Il  SIAD,  tenuto  conto
delle condizioni della viabilita', delle norme  igienico-sanitarie  e
di  sicurezza,  fissa  i  criteri  per  l'esercizio  delle  attivita'
commerciali in aree private e in aree pubbliche, nel  rispetto  delle
destinazioni d'uso delle aree e degli immobili.». 
    In questa prospettiva, la previsione del  comma  4,  lettera  b),
assegna al SIAD il compito  di  «salvaguardare  i  valori  artistici,
culturali, storici  ed  ambientali  locali,  soprattutto  del  centro
storico, attraverso l'eventuale divieto  di  vendita  di  determinate
merceologie, senza inibire lo sviluppo del commercio e  della  libera
concorrenza fra varie tipologie commerciali». 
    Il comma 6 dispone, inoltre, che «Il  SIAD  fissa  i  fattori  di
valutazione  connessi  alla  tutela  della  salute,  dei  lavoratori,
dell'ambiente,  incluso  l'ambiente  urbano  e  dei  beni  culturali,
nonche' dispone vincoli di carattere dimensionale o  tipologico  agli
insediamenti delle attivita' commerciali in aree o edifici che  hanno
valore storico, archeologico,  artistico  e  ambientale,  nei  limiti
necessari  alle  esigenze  di  tutela  e  nel  rispetto  dei   motivi
imperativi di interesse  generale  previsti  dall'art.  2,  comma  1,
lettera e).». 
    Le descritte disposizioni presentano profili  di  illegittimita',
perche': 
        a) per i beni culturali, non si prevede che la fissazione dei
limiti necessari per le esigenze di tutela avvenga nel rispetto della
disciplina della parte  II  del  codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio; in particolare, il testo normativo non tiene assolutamente
conto della circostanza che, ai sensi  dell'art.  20  del  Codice  di
settore,  spetta  soltanto   all'autorita'   preposta   alla   tutela
individuare gli eventuali usi del bene culturale non compatibili  con
il loro  carattere  artistico  o  storico  oppure  tali  da  arrecare
pregiudizio alla conservazione; non  e'  osservato,  inoltre,  quanto
previsto  all'art.   52   del   medesimo   codice,   che   disciplina
specificamente le modalita' di coinvolgimento  del  Ministero  per  i
beni  e  le  attivita'  culturali  nelle  determinazioni  concernenti
l'esercizio del commercio in aree di valore culturale  e  nei  locali
storici tradizionali; 
        b) per i beni paesaggistici, l'art. 19  assegna  al  SIAD  il
compito di stabilire gli insediamenti ammissibili, senza tenere conto
della circostanza che, ai sensi degli articoli 135,  143  e  145  del
Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  le   trasformazioni
consentite e non consentite dei beni paesaggistici  sono  individuate
dal piano paesaggistico, da adottare previa intesa con lo Stato,  che
costituisce strumento sovraordinato rispetto a  ogni  altro  atto  di
pianificazione  territoriale,  nonche'  agli  strumenti   urbanistici
comunali. 
    L'art.  20  della  legge  regionale  disciplina  gli  «Interventi
comunali per la valorizzazione del centro storico», disponendo quanto
segue: 
    «1. Il SIAD ha il compito di preservare, rilanciare e  potenziare
la funzione tipica del commercio nel centro storico ed il  suo  ruolo
di polo primario e di aggregazione della vita sociale, attraverso  la
crescita e la diversificazione  delle  attivita'  commerciali,  anche
mediante l'adozione di  specifici  protocolli  di  arredo  urbano  da
definirsi   con   le   organizzazioni   di   categoria   maggiormente
rappresentative sul territorio regionale, per tutelare il  patrimonio
edilizio di interesse storico e culturale. 
    2. Il SIAD, puo' prevedere  per  gli  esercizi  di  vicinato  del
centro storico, la superficie di vendita massima  pari  a  150  metri
quadrati nel rispetto degli imperativi motivi di  interesse  generale
di  cui  all'art.  2,  comma  1,  lettera  e),  secondo  le  relative
procedure, senza limitazioni non  giustificate  o  discriminatorie  e
previa espressa determinazione di detti motivi. 
    3. Il SIAD prevede,  previa  consultazione  con  le  associazioni
delle imprese commerciali operanti nel centro storico,  l'istituzione
del  protocollo   arredo   urbano,   in   cui   sono   stabilite   le
caratteristiche strutturali, morfologiche e cromatiche delle insegne,
delle vetrine, del sistema  di  illuminazione  esterna  degli  arredi
esterni  degli  esercizi  commerciali   del   centro   storico.   Con
l'approvazione del protocollo arredo urbano il comune fissa anche gli
incentivi  tributari  o  le  forme  di  incentivazione  per  favorire
l'adozione delle relative misure da parte degli esercenti del  centro
storico  aderenti  ad  associazioni  di   commercianti   maggiormente
rappresentative sul territorio regionale». 
    Al riguardo, si segnala come, ai  sensi  del  combinato  disposto
degli articoli 10, comma 4, lettera g), e  12  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, le pubbliche piazze, vie, strade  e  altri
spazi aperti urbani realizzati da oltre settanta anni si presumono di
interesse culturale e sono sottoposti alla tutela di cui  alla  parte
II del codice fino al compimento del procedimento di verifica di  cui
al predetto art. 12. Va, inoltre, considerato che  i  centri  storici
possono essere oggetto anche di tutela paesaggistica, ai sensi  della
parte III del codice,  e  in  particolare  dell'art.  136,  comma  1,
lettera c), che li prevede espressamente. 
    L'art. 20 si pone quindi in contrasto  con  la  disciplina  della
parte II e della parte III del codice, in  quanto  non  contempla  il
coinvolgimento  dell'autorita'  di  tutela  nella  valutazione  degli
«imperativi motivi di interesse generale» che possono determinare  la
limitazione della superficie di vendita degli esercizi  di  vicinato,
ne' nella definizione del «protocollo di  arredo  urbano»,  il  quale
dovrebbe invece essere necessariamente stabilito  sulla  base  di  un
accordo con la soprintendenza territorialmente competente. 
    La dichiarata conformita' del SIAD, nel  quale  si  sostanzia  la
pianificazione urbanistica degli esercizi commerciali, allo strumento
urbanistico generale non appare escludere  la  possibile  elusione  o
violazione della disciplina di tutela culturale e paesaggistica,  ne'
puo' ritenersi che il mancato rinvio al codice  sarebbe  giustificato
dal fatto  che  la  legge  regionale  regola  i  soli  aspetti  della
pianificazione commerciale, e non la pianificazione territoriale. 
    Non puo', per le motivazioni che seguono, affermarsi che il SIAD,
quale strumento di pianificazione derivato, assicuri  l'ambito  della
tutela mediante il Piano urbanistico comunale (c.d.  PUC)  a  cui  il
SIAD deve conformarsi, per  cui,  a  cascata,  sarebbero  conformi  i
«protocolli di arredo urbano» considerato che,  tra  gli  «imperativi
motivi di interesse generale» di cui all'art. 6, comma 2, lettera  e)
della  legge  regionale  potrebbe  ricondursi  anche  la  tutela  del
patrimonio culturale. 
    La normativa regionale  in  esame  confligge  apertamente  con  i
principi costituzionali in materia di tutela del patrimonio culturale
e del paesaggio, in quanto la regione ha disciplinato  uno  strumento
comunale pianificatorio del tutto svincolato dalle  attribuzioni  che
la legge riconosce al Ministero per i beni e le  attivita'  culturali
sulla base dei principi costituzionali  in  materia,  in  spregio  al
Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    L'introduzione, di cui il  testo  regionale  e'  carente,  di  un
esplicito richiamo al rispetto della normativa di tutela culturale  e
paesaggistica non avrebbe costituito  un  mero  adempimento  formale,
esplicitando bensi' il principio, di  rilievo  costituzionale,  della
necessaria condivisione tra gli enti territoriali e  lo  Stato  delle
scelte pianificatorie e inerenti il decoro urbano,  laddove  incidano
sui beni sottoposti a tutela culturale o paesaggistica. 
    La regione, come emerge  dal  testo  delle  norme  in  esame,  ha
escluso in radice la partecipazione dello  Stato  e,  per  esso,  del
Ministero di settore, dalle scelte sopra  dette;  partecipazione  che
invece il Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio  prevede  come
necessaria e assolutamente indefettibile. 
    Le disposizioni in esame attribuiscono alle sole  amministrazioni
locali scelte che, ricadendo  in  contesti  tutelati,  richiedono  la
partecipazione   dello   Stato   e   per    esso    del    Ministero,
istituzionalmente preposto alla tutela del patrimonio culturale e del
paesaggio, ai sensi del Codice  di  settore,  costituente  disciplina
normativa interposta rispetto  al  parametro  costituzionale  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione. 
    1.1. Per quanto riguarda, in particolare, i  beni  culturali,  le
norme regionali in esame si pongono in contrasto con gli articoli 10,
comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52 e 106, comma 2-bis del Codice  di
settore. L'art. 20 del codice, infatti, vieta gli  usi  incompatibili
con il carattere culturale del bene. L'art. 21 dispone che spetta  al
soprintendente autorizzare qualsiasi opera o lavoro  che  riguardi  i
beni culturali; al riguardo, l'art. 24 prevede che in  caso  di  beni
comunali (come per esempio vie, piazze e altri spazi urbani comunali)
l'autorizzazione possa  essere  rilasciata  mediante  accordi.  Anche
l'art. 106, comma 2-bis, subordina la  concessione  in  uso  di  beni
comunali di interesse culturale all'autorizzazione del Ministero  per
i beni e le attivita' culturali. L'art. 52 poi regola con  precisione
i poteri comunali in materia di commercio che incidono potenzialmente
su beni culturali (vie, piazze,  centri  storici),  disciplinando  le
rispettive competenze del comune e della soprintendenza,  sulla  base
del principio di leale collaborazione istituzionale. 
    Come ha evidenziato il giudice amministrativo, il  decoro  urbano
«non e' una materia  o  un'attivita'  ma  una  finalita'  immateriale
dell'azione amministrativa, che corrisponde al valore  insito  in  un
apprezzabile livello di qualita' complessiva della tenuta degli spazi
pubblici, armonico e coerente con  il  contesto  storico,  perseguita
mediante  la  selezione   delle   apposizioni   materiali   e   delle
utilizzazioni, specie commerciali (art. 52 del decreto legislativo n.
42/2004, Codice dei beni culturali) ma non solo» (Consiglio di Stato,
sentenza n. 1817 del 2017). 
    Il Consiglio di Stato  ha  evidenziato  anche  la  pluralita'  di
materie e di interessi coinvolti, precisando che il decoro urbano, «a
seconda del profilo e dello strumento, puo'  essere  frutto  vuoi  di
tutela  (e  valorizzazione)  del  patrimonio   culturale,   vuoi   di
disciplina urbanistica o del commercio, vuoi delle politiche comunali
di  concessioni  di  suolo  pubblico:  comunque  in   ragione   delle
competenze di legge.» (cfr. ancora la sentenza citata). 
    Occorre peraltro ribadire che le pubbliche piazze, vie, strade  e
altri spazi aperti urbani  di  interesse  artistico  o  storico  sono
tutelati ope legis ai sensi dell'art. 10, comma  4,  lettera  g)  del
Codice di settore. Al  riguardo,  la  Corte  costituzionale  ha  gia'
chiarito che la normativa regionale del commercio su aree  pubbliche,
riconducibile alla materia del  «commercio»,  in  quanto  ricomprende
anche la possibilita' di disciplinarne nel concreto  lo  svolgimento,
nonche' quella di vietarne l'esercizio in ragione  della  particolare
situazione di talune aree metropolitane, deve avvenire entro i limiti
qualificati invalicabili della tutela dei beni ambientali e culturali
(sentenza n. 247 del 2010). 
    Secondo la Corte, infatti, la ratio  del  divieto  trova  la  sua
giustificazione proprio nello  scopo  di  garantire,  indirettamente,
attraverso norme che  ne  salvaguardino  la  ordinata  fruizione,  la
valorizzazione dei maggiori centri  storici  delle  citta'  d'arte  a
forte vocazione turistica. 
    A maggiore conferma, la Corte, nella medesima pronuncia, richiama
proprio il Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  che  ha  reso
esplicito che le pubbliche piazze, le vie,  le  strade  e  gli  altri
spazi urbani di interesse artistico o storico rientrano  fra  i  beni
culturali, e che essi sono pertanto oggetto di tutela ai  fini  della
conservazione del patrimonio artistico e del decoro urbano. 
    Anche il giudice amministrativo ha evidenziato che il vincolo ope
legis imposto sugli spazi urbani, in base  all'art.  52  del  codice,
«condiziona le scelte delle  amministrazioni  comunali  nel  regolare
l'esercizio  del  commercio  nelle  aree  pubbliche   aventi   valore
archeologico,   storico,   artistico   o   monumentale,   frutto   di
pianificazione  congiunta  tra  l'amministrazione  statale  e  quella
comunale» (TAR  Lazio,  Roma,  sentenza  n.  6413  del  2012).  Nella
medesima sentenza, il giudice amministrativo ha ribadito  come  dalla
disciplina  di  tutela  del   patrimonio   culturale   discenda   una
ineludibile competenza dell'amministrazione  centrale  a  partecipare
alle scelte delle amministrazioni locali, motivata dalle esigenze  di
protezione del patrimonio culturale. 
    La stessa Corte  costituzionale,  nel  censurare  l'art.  52  del
Codice di settore, nel  testo  previgente  all'attuale,  laddove  non
prevedeva alcuno strumento idoneo a garantire la leale collaborazione
tra Stato e regioni (sentenza n. 140 del 2015), ha  affermato:  «Tale
patrimonio, costituendo un bene intrinsecamente comune e  refrattario
ad arbitrarie frantumazioni, e' affidato alla cura  della  Repubblica
nelle sue varie articolazioni,  dovendosi  pertanto  individuare  una
ideale  contiguita'  tra  le  funzioni   di   tutela   (intesa   come
l'individuazione, la protezione  e  la  conservazione  dei  beni  che
costituiscono il  patrimonio  culturale),  affidate  alla  competenza
esclusiva dello Stato, e quelle di  valorizzazione  (intesa  come  la
migliore conoscenza, fruizione e utilizzo  dei  medesimi),  assegnate
invece alla competenza concorrente di Stato e regioni. Come nel  caso
in esame tale contiguita' puo' determinare, nella  naturale  dinamica
della  produzione  legislativa,  una  situazione  di  concorrenza  di
competenze, causata dalla circostanza che la norma statale di  tutela
detta una disciplina incidente direttamente e  non  in  via  riflessa
sull'ambito della valorizzazione. Non potendosi ravvisare  in  queste
occasioni una materia (e una competenza) prevalente  sulle  altre,  e
non essendo applicabile  il  criterio  della  prevalenza,  si  impone
quello  della  leale  collaborazione  tra  Stato  e   sistema   delle
autonomie, di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione». 
    Nell'attuale   formulazione   dell'art.   52   del   codice    le
deliberazioni ivi previste, riferite all'esercizio del  commercio  in
aree  di  valore  culturale,  sia  con  riferimento  alla  competenza
comunale di cui al comma 1, sia con riferimento  alle  determinazioni
che vietano gli usi non compatibili, attribuite al  Ministero  per  i
beni e le attivita' culturali, d'intesa con regione e comuni, di  cui
al comma 1-ter, sono atti  di  programmazione  e  pianificazione  del
territorio (Consiglio di Stato, sentenza n. 8256 del  2019).  Infatti
le scelte relative all'esercizio del commercio nei centri  storici  e
all'arredo urbano, comprese le occupazioni  di  suolo  pubblico,  che
comportano un utilizzo permanente, a fini privati, di spazi  pubblici
sottratti all'uso comune, non si risolvono nella mera  localizzazione
delle attivita', ma comportano funzioni pianificatorie non  meramente
urbanistiche, afferendo alla tutela culturale e all'impianto  storico
del paesaggio urbano. 
    Sotto altro profilo, il posizionamento  dell'arredo  urbano,  ove
riguardi luoghi storici sottoposti a tutela  interinale,  quali  via,
piazze  e  altri  spazi   urbani,   richiede   l'autorizzazione   del
soprintendente, ai sensi dell'art. 21 del Codice di settore. 
    La concessione di spazio  pubblico  tutelato  richiede,  inoltre,
l'autorizzazione del predetto Ministero ai sensi dell'art. 106, comma
2-bis del codice in parola. 
    1.2. Per quanto riguarda il paesaggio, la  conformita'  del  SIAD
allo strumento urbanistico generale, affermata al comma  2  dell'art.
19, non appare assicurare la tutela del patrimonio  culturale  e  del
paesaggio. 
    Tale tutela non e' infatti certamente rimessa alla pianificazione
urbanistica,  bensi'  allo  strumento   poziore   e   gerarchicamente
sovraordinato costituito dal piano paesaggistico, che non e'  neppure
preso in  considerazione  dalla  norma  regionale.  Occorre  peraltro
sottolineare che in Campania e' ben  lungi  dall'essere  definito  il
nuovo piano paesaggistico (di cui agli articoli 135, 143  e  145  del
Codice) che, qualora approvato, renderebbe obbligatoria una specifica
procedura di verifica della  conformita'  dei  piani  urbanistici  al
piano medesimo da parte della regione e del Ministero di settore  (ai
sensi degli articoli 143, comma 9, e 145 del medesimo codice). 
    Conseguentemente, lo strumento disciplinato nella  legge  de  qua
assurge,  sostanzialmente,  al  ruolo  di  vero   e   proprio   piano
paesaggistico,   del    tutto    svincolato    dal    principio    di
co-pianificazione obbligatoria tra  la  regione  e  lo  Stato,  e  di
gerarchia dei piani; principi sui quali si  fonda  la  disciplina  di
pianificazione paesaggistica di cui alla  parte  III  del  Codice  di
settore. 
    Non essendo condivisibile l'assunto di  partenza,  ossia  che  la
tutela e' assicurata dal PUC, a cui il SIAD  e'  conforme,  non  puo'
nemmeno affermarsi che «a cascata» sarebbero conformi  alle  esigenze
di  tutela  paesaggistica  anche  i  «protocolli  di  arredo  urbano»
elaborati unilateralmente a livello comunale, e atti a  incidere  nei
centri storici, che come detto  possono  formare  oggetto  di  tutela
paesaggistica. Non e' dubbio, del resto, che gli elementi  di  arredo
urbano funzionali all'esercizio di attivita' economiche siano  idonei
a incidere sui valori paesaggistici e necessitino dell'autorizzazione
paesaggistica   (eventualmente   ai   sensi   del   regolamento    di
semplificazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica  n.
31 del 2017: cfr., per esempio, allegato B voci B.25 e B26). 
    La disciplina del SIAD contenuta nella legge regionale,  ove  non
si prevede alcun percorso condiviso con il Ministero dei beni e delle
attivita' culturali, appare quindi  lesiva  dei  principi  di  tutela
paesaggistica di cui agli articoli 135,  143  e  145  del  codice,  e
ridonda quindi nella violazione  degli  articoli  9  e  117,  secondo
comma, lettera s) della Costituzione, nonche' del principio di  leale
collaborazione inter istituzionale. 
    Il   legislatore   nazionale,   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa  esclusiva  in  materia  di  tutela  del  paesaggio,   ha
assegnato infatti al piano paesaggistico una  posizione  di  assoluta
preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. 
    L'art. 135, comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio
di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42,  dispone,  in
particolare, che «Lo Stato e  le  regioni  assicurano  che  tutto  il
territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e
gestito  in  ragione  dei  differenti  valori  espressi  dai  diversi
contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono  a
specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici,
ovvero piani urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione
dei valori paesaggistici,  entrambi  di  seguito  denominati:  «piani
paesaggistici».  L'elaborazione  dei  piani   paesaggistici   avviene
congiuntamente  tra  Ministero  e  regioni,  limitatamente  ai   beni
paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1,  lettere  b),  c)  e  d),
nelle forme previste dal medesimo art. 143.». I  successivi  articoli
143, comma 9, e 145, comma 3, del Codice di settore sanciscono,  poi,
l'inderogabilita' delle previsioni del predetto strumento da parte di
piani,  programmi  e  progetti  nazionali  o  regionali  di  sviluppo
economico e la loro  cogenza  rispetto  agli  strumenti  urbanistici,
nonche' l'immediata prevalenza del piano paesaggistico su ogni  altro
atto della pianificazione  territoriale  e  urbanistica  (cfr.  Corte
costituzionale n. 180 del 2008). 
    Mediante la suddetta disciplina, e' stata effettuata  una  scelta
di principio la cui validita' e importanza e' gia' stata  evidenziata
piu' volte dalla Corte costituzionale, in occasione dell'impugnazione
di leggi regionali che intendevano mantenere uno  spazio  decisionale
autonomo agli strumenti di pianificazione dei comuni e delle regioni,
eludendo la  necessaria  condivisione  delle  scelte  attraverso  uno
strumento di pianificazione sovracomunale, definito d'intesa  tra  lo
Stato e la regione. La Corte ha, infatti, affermato l'esistenza di un
vero e proprio obbligo, costituente un principio  inderogabile  della
legislazione   statale,   di   elaborazione   congiunta   del   piano
paesaggistico,   con   riferimento   ai   beni    vincolati    (Corte
costituzionale n. 86 del 2019) e ha rimarcato che l'impronta unitaria
della   pianificazione   paesaggistica   «e'   assunta    a    valore
imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale  in  quanto
espressione  di  un  intervento  teso  a  stabilire  una  metodologia
uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali
e   paesaggistici   sull'intero    territorio    nazionale»    (Corte
costituzionale, n. 182 del 2006; cfr. anche la sentenza  n.  272  del
2009). 
    Piu' in dettaglio, la Corte costituzionale ha evidenziato che «il
piano paesaggistico ha la funzione di strumento di  ricognizione  del
territorio  oggetto  di  pianificazione  non  solo  ai   fini   della
salvaguardia  e  valorizzazione  dei  beni  paesaggistici,  ma  anche
nell'ottica dello sviluppo sostenibile  e  dell'uso  consapevole  del
suolo, in modo da  poter  consentire  l'individuazione  delle  misure
necessarie per il corretto inserimento, nel  contesto  paesaggistico,
degli interventi di trasformazione del territorio» (sentenza  n.  172
del 2018). Nella medesima pronuncia, la Corte  ha  pure  riconosciuto
che «In questa piu' ampia prospettiva, rilevano l'art. 135, comma  4,
lettera d), e l'art. 143,  comma  1,  lettera  h),  Codice  dei  beni
culturali,  in  base  ai  quali  il  piano   deve   provvedere   alla
individuazione «delle linee di sviluppo urbanistico ed  edilizio,  in
funzione della loro compatibilita' con i diversi valori paesaggistici
riconosciuti e tutelati» nonche'  «delle  misure  necessarie  per  il
corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di
trasformazione del territorio, al fine  di  realizzare  uno  sviluppo
sostenibile delle aree interessate». 
    La Corte ha ancora ribadito che  spetta  al  piano  paesaggistico
«introdurre un organico sistema di regole, sottoponendo il territorio
regionale a una specifica normativa  d'uso  in  funzione  dei  valori
tutelati», anche prevedendo, in determinate aree, divieti assoluti di
intervento; cio' che appare «del tutto conforme al  ruolo  attribuito
al piano paesaggistico dagli articoli 143, comma 9, e 145,  comma  3,
Codice dei beni culturali, secondo cui le previsioni del  piano  sono
cogenti e inderogabili da parte  degli  strumenti  urbanistici  degli
enti locali e degli atti di pianificazione previsti  dalle  normative
di settore e vincolanti  per  i  piani,  i  programmi  e  i  progetti
nazionale e regionali di sviluppo economico». 
    Gli articoli 19 e 20 della legge regionale censurata  si  pongono
pertanto in  contrasto  con  le  disposizioni  sopra  richiamate,  in
quanto, disciplinando unilateralmente, al di  fuori  di  qualsivoglia
condivisione con lo Stato,  la  pianificazione  del  territorio,  che
costituisce  una  parziale  anticipazione  del  piano  paesaggistico,
sviliscono la valenza propria di quest'ultimo strumento, ponendo  nel
nulla il principio di necessario adeguamento al  piano  paesaggistico
della pianificazione urbanistica, a esso sotto ordinata. 
    Da cio' la violazione della potesta' legislativa esclusiva  dello
Stato in materia di tutela del paesaggio di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera s), della  Costituzione,  disposizione  rispetto  alla
quale costituiscono norme interposte le  previsioni  del  Codice  dei
beni culturali e del paesaggio  che  specificamente  disciplinano  la
pianificazione paesaggistica, e in particolare gli articoli 135,  143
e 145. 
    In   virtu'   della   potenziale   grave   incidenza   sui   beni
paesaggistici, quali i centri  storici,  la  previsione  dell'art.  1
della legge regionale n. 1  del  2020  viola  anche  l'art.  9  della
Costituzione, in forza del quale la tutela del paesaggio  costituisce
interesse costituzionale primario e  assoluto  (Corte  costituzionale
sentenza n. 367 del 2007). 
    1.3. Le norme citate si pongono  altresi'  in  contrasto  con  il
principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto  il  SIAD
costituisce il frutto di una  scelta  assunta  unilateralmente  dalla
regione, al di fuori del percorso  condiviso  con  lo  Stato  che  il
codice pone come  presupposto  ineludibile  dell'intero  processo  di
pianificazione. 
    Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della  Corte
costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere
a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e regioni», atteso  che
«la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente
idoneo  a  regolare  in  modo  dinamico  i  rapporti  in   questione,
attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi'  in
particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del  2006).  In
particolare, la Corte ha posto proprio tale principio alla base della
pronuncia, prima citata, n. 140 del 2015, con la quale  ha  censurato
l'art. 52 del codice, proprio per il mancato  coinvolgimento  di  una
delle parti in causa (a quel tempo, la regione). 
    Conclusivamente,  e'  costituzionalmente  illegittima  la   legge
regionale che  disciplina  lo  strumento  comunale  d'intervento  per
l'apparato  distributivo  (SIAD),  che   costituisce   lo   strumento
integrato della pianificazione urbanistica con funzione esaustiva del
potere di programmazione e  pianificazione  del  territorio  ai  fini
commerciali, escludendo del tutto il Ministero dal  procedimento,  ed
esautorando cosi' lo Stato dal ruolo assegnatogli dalla  Costituzione
in materia di  tutela  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  come
declinato dal Codice di settore. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 7, lettere a)  e
b) e comma 10 della legge Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7,  per
violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma,  lettera  s)  della
Costituzione, nonche'  del  principio  di  leale  collaborazione,  in
relazione agli articoli 135, 143, e 145 del Codice dei beni culturali
e del paesaggio. 
    2. L'art. 28 della  legge  regionale  reca  la  disciplina  delle
«Grandi strutture di vendita». 
    Il  comma  7  del  suddetto  articolo  dispone  che  il  rilascio
dell'autorizzazione  per  una  grande   struttura   di   vendita   e'
subordinato  -  per  quanto  qui  rileva  -   all'osservanza   «delle
disposizioni in materia urbanistica, di quelle fissate dal SIAD e dal
presente testo  unico»  (lettera  a)  e  «dei  requisiti  comunali  e
regionali di compatibilita' territoriale dell'insediamento»  (lettera
b), senza considerare minimamente il piano paesaggistico. 
    Il comma 10  dello  stesso  articolo  stabilisce,  poi,  che  «La
rilocalizzazione di  una  grande  struttura  di  vendita  e'  ammessa
nell'intero territorio regionale in  conformita'  con  le  scelte  di
localizzazione per le grandi strutture previste nel SIAD  del  comune
di insediamento ed e' subordinata all'autorizzazione comunale, previa
valutazione  da  parte  della  competente  Conferenza   dei   servizi
esclusivamente  dell'impatto  sull'ambiente  e   sul   traffico   nel
territorio in  cui  si  rilocalizza,  nel  rispetto  delle  normative
edilizie vigenti.». 
    La disciplina regionale omette quindi del tutto di prescrivere la
necessaria conformita' della localizzazione delle grandi strutture di
vendita anzitutto al piano paesaggistico, da approvarsi previa intesa
con lo Stato, ai sensi degli articoli 135, 143 e 145 del  Codice  dei
beni  culturali  e  del  paesaggio.  Si  deve  ribadire,  anche   con
riferimento a questa disposizione della legge regionale, quanto sopra
illustrato in ordine alla unilateralita' delle scelte della  regione;
scelte volte a escludere la necessaria partecipazione dello  Sato  e,
per esso, del Ministero di settore, in violazione delle competenze in
materia di tutela del paesaggio costituzionalmente assegnate. 
    Tale  volonta'  del   legislatore   regionale   si   coglie,   in
particolare,  nel  comma  10  dell'art.   28,   laddove   la   tutela
paesaggistica  non  e'  neppure  menzionata,  non  potendo  ritenersi
ricompresa  nel  riferimento  generico  all'«impatto  sull'ambiente»,
tanto piu' tenuto conto della formula limitativa  usata  dalla  legge
(«previa valutazione ... esclusivamente»). 
    Quand'anche si volesse ritenere che con il termine «ambiente»  si
sia  inteso  fare  riferimento  anche  al  paesaggio,  le  previsioni
contenute  al  comma  7,  lettere  a)  e  b),   escludono   qualsiasi
possibilita'  di  assumere  come  parametro   valutativo   il   piano
paesaggistico, con tutte le conseguenze che si sono sopra illustrate. 
    Anche tale norma, pertanto, e' costituzionalmente illegittima per
violazione degli articoli 9 della Costituzione e 135, 143 e  145  del
Codice di settore, costituenti  norme  interposte  rispetto  all'art.
117, secondo comma,  lettera  s),  della  Costituzione,  nonche'  per
violazione del principio di leale collaborazione; cio'  per  tutti  i
motivi sopra evidenziati ai paragrafi 1.2. e 1.3, ai quali si rinvia. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 61,  commi  1  e  2  della
legge Regione Campania 21 aprile 2020, n.  7,  per  violazione  degli
articoli 9 e 117,  secondo  comma,  lettera  s)  della  Costituzione,
nonche' del principio di  leale  collaborazione,  in  relazione  agli
articoli 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52,  106,  comma  2-bis
del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    3. L'art.  61  della  legge  regionale  in  esame  disciplina  il
commercio sulle  aree  pubbliche,  stabilendo  che  «L'esercizio  del
commercio  su  aree  pubbliche  e'  subordinato  al  rispetto   delle
condizioni e delle modalita' stabilite dal comune» (comma  1)  e  che
«Il comune individua le zone  aventi  valore  archeologico,  storico,
artistico ed ambientale nelle quali l'esercizio del commercio su aree
pubbliche e' vietato o sottoposto a particolari  restrizioni  per  la
salvaguardia delle zone predette, nonche' per  comprovati  motivi  di
viabilita', di carattere igienico-sanitario o di pubblica  sicurezza»
(comma 2). 
    Anche in questo caso, e' del tutto omesso il ruolo spettante alla
soprintendenza, ai sensi dall'art. 52 del Codice dei beni culturali e
del  paesaggio  secondo  cui  l'individuazione  di  aree  di   valore
culturale per  le  quali  vi  sia  volonta'  del  comune  di  dettare
prescrizioni  deve  obbligatoriamente  essere  definita  «sentito  il
soprintendente». 
    Non si puo' dunque ritenere che la tutela dei luoghi  di  rilievo
storico, artistico, archeologico, ambientale possa essere  assicurata
dal comune: tale facolta', posta in capo ai comuni ai sensi dell'art.
52  del  codice,  non  esclude  affatto   che   vi   possano   essere
installazioni e occupazioni su suolo  pubblico  per  l'esercizio  del
commercio in aree non individuate dal comune tra  quelle  soggette  a
particolari prescrizioni (e quindi potenzialmente assentibili perche'
conformi allo strumento urbanistico),  ma  ricadenti  comunque  nelle
aree di tutela ai sensi della parte II del  codice,  e  ritenute  non
autorizzabili dalla soprintendenza, nell'esercizio dei poteri di  cui
agli articoli 10, comma 4, lettera g), 20, 21, 24 e 106, comma  2-bis
del medesimo codice. 
    Anche tale norma appare pertanto illegittima per violazione delle
norme del Codice di settore ora richiamate,  e  conseguentemente  per
invasione della potesta' legislativa esclusiva spettante  allo  Stato
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione,
nonche' dell'art.  9  della  Costituzione,  in  considerazione  della
menomazione delle esigenze di tutela  del  patrimonio  culturale.  E'
violato, inoltre, anche il principio di leale collaborazione, per  le
ragioni gia' sopra illustrate. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 130, comma 1  della  legge
Regione Campania 21 aprile 2020, n. 7, per violazione degli  articoli
9 e 117, secondo comma, lettera s) della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione, e in relazione agli articoli  135,
143 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    4. L'art. 130 introduce una disciplina in materia di  concessioni
per l'installazione di nuovi impianti di distribuzione di  carburanti
lungo le autostrade, le tangenziali ed i raccordi autostradali. 
    Il comma 1 prevede che il rilascio della predetta concessione sia
subordinato: 
        «a) al rispetto  delle  norme  previste  dal  presente  testo
unico; 
        b)  alla  verifica  della   conformita'   alle   prescrizioni
urbanistiche e fiscali, alle prescrizioni  concernenti  la  sicurezza
sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei
beni storici ed artistici; 
        c) al rilascio dell'autorizzazione alla  dismissione  nonche'
alla eventuale bonifica del sito, se necessaria; 
        d) alla dichiarazione di  assenso  da  parte  della  societa'
titolare della concessione autostradale o dell'Anas,  se  proprietari
dell'area oggetto dell'intervento, nel rispetto  del  presente  testo
unico.». 
    Anche in questo caso emerge la volonta'  di  non  attenersi,  nel
rilascio delle concessioni, al piano paesaggistico, che la regione ha
l'obbligo di approvare d'intesa con lo Stato, ai sensi degli articoli
135, 143 e 145 del Codice di settore. 
    Il rinvio, operato dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 130, al
necessario rispetto delle disposizioni di tutela dei beni  storici  e
artistici non risulta sufficiente  ad  assicurare  la  compatibilita'
costituzionale della norma, in quanto, con  riferimento  ai  contesti
paesaggisticamente tutelati ai sensi della  parte  III  del  medesimo
Codice  dei  beni  culturali  e  del   paesaggio,   manca   qualsiasi
riferimento al piano paesaggistico, elaborato congiuntamente  con  il
Ministero per i beni e le attivita' culturali e per  il  turismo,  ai
sensi delle disposizioni sopra  richiamate,  ovvero  alla  disciplina
d'uso dei beni paesaggistici, di cui agli articoli 140, 141 e 141-bis
del codice, ovvero - quanto meno  -  ai  casi  e  limiti  individuati
mediante apposito accordo stipulato tra la regione e detto Ministero,
destinato a confluire nel piano paesaggistico. 
    Conseguentemente,  la   tutela   paesaggistica,   nel   caso   di
concessioni per l'installazione di nuovi impianti di distribuzione di
carburanti  lungo  le  autostrade,  le  tangenziali  ed  i   raccordi
autostradali in tutto il territorio regionale, viene illegittimamente
sottratta alla pianificazione  obbligatoria  e  alla  disciplina  del
piano paesaggistico e rimessa alle  valutazioni  caso  per  caso  dei
singoli interventi. 
    Anche in questo caso,  e'  percio'  riscontrabile  la  violazione
degli  articoli  135,  143  e  145  del  codice,  costituenti   norme
interposte rispetto all'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  della
Costituzione. 
    Emerge, inoltre, la violazione dell'art. 9 della Costituzione, in
considerazione  dell'abbassamento  del  livello  della   tutela   del
paesaggio,   nonche'   la   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione, per le ragioni gia' sopra illustrate. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art.  83  della  legge  Regione
Campania 21 aprile 2020, n. 7, per  violazione  dell'art.  81,  terzo
comma della Costituzione. 
    5. L'art. 83 della legge regionale in esame istituisce la  figura
del  commissario  regionale,  nominato  dalla  giunta,  chiamato   ad
intervenire nei casi di  inefficienza  o  irregolarita'  del  mercato
all'ingrosso, al fine  di  rimuovere  le  eventuali  irregolarita'  o
ridare efficienza al mercato. 
    La disposizione regionale non quantifica in alcun modo gli  oneri
economici derivanti  da  detta  istituzione  e  conseguentemente  non
prevede alcuna copertura finanziaria. 
    La norma regionale, quindi, viola l'art. 81,  terzo  comma  della
Costituzione secondo  il  quale  ogni  disposizione  legislativa  che
importi nuovi o maggiori  oneri  deve  indicare  i  mezzi  per  farvi
fronte. 
    Come  piu'  volte  affermato  dalla  Corte   costituzionale,   la
copertura finanziaria delle spese  deve  indefettibilmente  avere  un
fondamento giuridico, dal momento che, diversamente opinando, sarebbe
sufficiente inserire qualsiasi numero nella parte attiva del bilancio
per realizzare nuove o maggiori spese. 
    Come e' stato affermato piu' volte da codesta  Ecc.ma  Corte,  la
«copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono  due
facce della stessa medaglia, dal momento che l'equilibrio  presuppone
che  ogni  intervento   programmato   sia   sorretto   dalla   previa
individuazione   delle   pertinenti   risorse:   nel   sindacato   di
costituzionalita' copertura finanziaria ed equilibrio integrano  «una
clausola generale in grado  di  operare  pure  in  assenza  di  norme
interposte  quando  l'antinomia  [con  le   disposizioni   impugnate]
coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti  la  forza
espansiva dell'art. 81, quarto [oggi terzo] comma della Costituzione,
presidio degli equilibri di finanza pubblica,  si  sostanzia  in  una
vera e propria clausola  generale  in  grado  di  colpire  tutti  gli
enunciati normativi causa di effetti  perturbanti  la  sana  gestione
finanziaria e contabile» (Corte costituzionale sentenza  n.  192  del
2012;  Corte  costituzionale  sentenza  n.  184   del   2016;   Corte
costituzionale  sentenza  n.  274  del  2017  e,  da  ultimo,   Corte
costituzionale sentenze n. 197 e n. 227 del 2019). 
    Pertanto, l'art. 83 della legge regionale in esame,  nella  parte
in cui non prevede  la  copertura  finanziaria  dell'istituzione  del
commissario straordinario, si pone in contrasto con l'art  81,  terzo
comma della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   come   sopra
rappresentato   e   difeso,   chiede   che   codesta   Ecc.ma   Corte
costituzionale voglia  dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale
degli articoli 19, commi 2, 3, 4, lettera b), e 6, 20, commi 1,  2  e
3, 28, comma 7, lettere a) e b) e comma 10,  61  commi  1  e  2,  gli
articoli 83 e 130, comma 1 della legge  Regione  Campania  21  aprile
2020, n. 7, recante «testo unico sul commercio ai sensi dell'art.  3,
comma 1 della legge regionale 14 ottobre 2015, n. 11», pubblicata nel
Bollettino ufficiale della regione n. 91  del  27  aprile  2020,  per
violazione degli articoli  9,  secondo  comma,  117,  secondo  comma,
lettera s),  e  81,  terzo  comma  della  Costituzione,  nonche'  del
principio di leale collaborazione, e in riferimento agli articoli  10
comma 4, lettera g), 20, 21, 24, 52, 106, comma 2-bis e  135,  143  e
145 del decreto legislativo n.  42  del  2004  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. 
    Con l'originale notificato del presente ricorso si deposita: 
        1. estratto della determinazione del Consiglio dei  ministri,
assunta nella seduta del 25 giugno 2020 e della relazione allegata al
verbale; 
        2. copia  della  legge  regionale  impugnata  pubblicata  nel
Bollettino ufficiale della regione n. 91 del 27 aprile 2020. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
      Roma, 26 giugno 2020 
 
                   L'avvocato dello Stato: Mangia