N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 gennaio 2020

Ordinanza  del  7  gennaio  2020  del  Tribunale   di   Spoleto   nel
procedimento penale a carico di M. M.. 
 
Processo penale - Incompatibilita' del giudice -  Incompatibilita'  a
  celebrare il dibattimento - Mancata previsione per il  giudice  che
  abbia respinto la richiesta di  sospensione  del  procedimento  con
  messa alla prova. 
- Codice di procedura penale, art. 34, comma 2. 
(GU n.34 del 19-8-2020 )
 
                        TRIBUNALE DI SPOLETO 
 
    Il Giudice monocratico, premesso che con decreto di  citazione  a
giudizio del 18 aprile  2016,  M.M.  (nato  a  ...  il  ....  ed  ivi
residente  e  domiciliato  in  Frazione  ...)   veniva   chiamato   a
rispondere, davanti al Tribunale  di  Spoleto,  del  reato  p.  e  p.
dall'art. 635,  comma  2  del  codice  penale  (per  avere,  mediante
l'utilizzo di una mazzetta edile, danneggiato e reso inservibile,  in
data 15 giugno  2013,  il  distributore  di  sigarette  esposto  alla
pubblica fede davanti alla tabaccheria, sita in ..., di proprieta' di
O.A.); 
    Alla prima udienza svoltasi al cospetto di questo Giudice, il  12
settembre 2017, il difensore di fiducia munito di procura speciale  -
avv. Antonia Marucci del Foro di Spoleto - richiedeva la  sospensione
del  processo  con  messa  alla  prova   dell'imputato,   depositando
documentazione a sostegno dell'istanza; 
    Alla successiva udienza del 24 ottobre 2017,  il  Tribunale,  pur
ritenendo sussistenti le condizioni generali ex  lege  richieste  per
l'ammissione dell'istituto prescelto dalla difesa (ed in  specie,  il
rispetto del limite di pena detentiva, essendo il delitto  contestato
punito con pena della reclusione fino ad un massimo di tre  anni;  il
mancato precedente accesso allo stesso rito; e, l'assenza delle altre
cause  ostative  previste  dall'art.  168-bis  del  codice   penale),
reputava  opportuno,  prima  di  determinarsi  in  merito,  procedere
all'audizione della persona offesa dal reato non comparsa; 
    Si addiveniva cosi' all'udienza del 6 marzo 2018, laddove  veniva
per  l'effetto  esaminata  la   p.o.   O.A.   Questi,   espressamente
interpellato sul punto, esplicitava il suo dissenso a che  l'imputato
accedesse  alla  messa  alla  prova,  insistendo   percio'   per   la
prosecuzione ordinaria del  processo.  Nello  specifico,  la  persona
offesa motivava la posizione di contrasto, rievocando  in  parte  gli
eventi occorsi («...  come  risulta  dalle  immagini  registrate  dal
sistema di videosorveglianza che ha ripreso il fatto,  il  M  ...  ha
sfondato completamente il distributore di sigarette... tanto  che  ho
dovuto poi buttarlo via e sostituirlo con un altro...per il vero, non
e' la prima volta che il M. .... commette un simile gesto ... non  si
rende conto di cio' che fa e va aiutato...»)  e  ribadendo  di  avere
subito un ingente danno («...pari a 20.000  euro  ...  non  risarcito
dall'assicurazione ...»). 
    Il Giudice, sulla base di cio'  e  tenuto  conto  altresi'  delle
complessive risultanze processuali a  propria  disposizione,  ovvero,
del certificato del casellario giudiziale in atti (da cui risultava a
carico del prevenuto una sentenza di condanna - poi condonata  -  per
rissa ed una di patteggiamento con pena sospesa - irrevocabile il  1°
ottobre 2010 - per il reato di cui all'art. 73, comma  5  del decreto
del  Presidente  della  Repubblica  n. 309/90),  degli  esiti   della
relazione  di  indagine  sociale  effettuata   dall'UEPE   competente
(laddove  si   riportano   dichiarazioni   dell'imputato   in   parte
inverosimili - il danneggiamento del distributore e' stato fatto  per
rabbia  perche'  non  restituiva  il  resto  dei   soldi   introdotti
all'interno di esso... - e in parte non comprovate - delitto e' stato
commesso in un periodo di difficolta' economica  e  familiare...  -),
nonche', del contenuto del programma di  trattamento  elaborato  (che
non prevedeva alcun intervento in favore  della  persona  offesa  dal
reato), rigettava la richiesta di sospensione del processo con  messa
alla prova del prevenuto. 
    Nell'ordinanza di rigetto il Tribunale si soffermava sul  rilievo
dato  al  dissenso  della  p.o.  ai  fini  dell'adottata   decisione,
motivando il raggiunto convincimento, in assenza  di  norme  espresse
sullo specifico punto,  attraverso  una  interpretazione  sistematica
delle altre disposizioni codicistiche interessate. 
    Si richiamava infatti - anche attraverso il rinvio  a  precedente
ordinanza assunta dal Giudice nel corso del medesimo  procedimento  -
il contenuto dell'art. 464-bis,  comma  4  del  codice  di  procedura
penale (secondo cui il programma di trattamento  deve  prevedere,  se
possibile, il risarcimento del  danno  e/o  condotte  riparatorie  in
favore della persona  offesa  dal  reato  e  comunque  promuovere  la
mediazione con la stessa p.o.), dell'art.  464-quater,  comma  1  del
codice di procedura penale (a mente del quale la decisione  e'  presa
dal Giudice dopo avere sentito  le  parti  e  la  persona  offesa)  e
dell'art. 464-quater, comma 7 del codice di procedura penale (ove  si
riconosce alla persona offesa dal reato sia il diritto di sollecitare
il pubblico ministero  ad  impugnare  l'ordinanza  che  decide  sulla
richiesta di messa alla prova dell'imputato sia il potere autonomo di
ricorrere per cassazione avverso siffatta ordinanza nelle ipotesi  in
cui non le sia stata consentita la partecipazione all'udienza  o  non
sia stata essa sentita una volta comparsa). 
    In definitiva,  il  Tribunale  riteneva  che,  nell'ambito  della
procedura che ci occupa, la persona offesa, lungi dal  dovere  essere
relegata al ruolo  di  soggetto  meramente  passivo,  dovesse  invece
assumere la parte di protagonista.  Nel  rigettare  la  richiesta  di
messa alla prova, pertanto, veniva riconosciuta  piena  incidenza  al
dissenso espresso, in punto di ammissione, dalla p.o., valendo  anche
la  sua  opinione  ad   escludere   ogni   automatismo   nell'accesso
all'istituto de quo. 
    Concludeva il Giudice asserendo che, a diversamente  opinare,  si
trascurerebbero senza ragione le finalita' riparatorie  sottese  alla
messa alla prova (in uno con quelle primarie di deflazione del carico
processuale) in armonia con le  linee  guida  dettate  in  materia  a
livello europeo (secondo la nota direttiva UE n. 29/2012). 
    Preso atto del rigetto,  il  difensore  chiedeva  un  rinvio  per
valutare la praticabilita' di altri riti alternativi ed il  Tribunale
lo concedeva anche al fine  di  meglio  approfondire  il  tema  della
eventuale sopravvenuta propria incompatibilita'  all'ulteriore  corso
del giudizio; 
    All'udienza del 18 settembre  2018,  la  difesa  non  prospettava
alcun nuovo rito speciale, ma, in accordo con il pubblico  ministero,
eccepiva  la  dianzi  prospettata  incompatibilita'  del  Giudice  ab
origine adito e conseguentemente sollevava questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2 del codice di  procedura  penale
nella parte in cui una simile incompatibilita' (dopo il rigetto della
richiesta di sospensione del procedimento con messa alla  prova)  non
e' stata prevista; 
    Il Tribunale si riservava di  provvedere  in  successiva  udienza
all'uopo  fissata,  invitando  il  difensore  al   deposito   -   poi
intervenuto  in  data  23  maggio  2019  -  di  memoria  illustrativa
dell'interposta questione di costituzionalita'. 
 
                           Considerato che 
 
    Analoga  questione,  nell'auspicio  di  una  ennesima   pronuncia
additiva in funzione integratrice della  norma  di  riferimento,  era
gia'   stata   sollevata   dinnanzi   alla   Corte    costituzionale,
ipotizzandosi un presunto contrasto dell'art. 34, comma 2 del  codice
di procedura  penale  (contenente  l'elenco  dei  tassativi  casi  di
incompatibilita'  del  Giudice  determinata  da  atti  compiuti   nel
procedimento) con i precetti di cui agli articoli 3, 24 e  111  della
Costituzione, nella parte in  cui  non  viene  ivi  prevista  (anche)
l'incompatibilita'  a  partecipare  e/o  procedere  al   (successivo)
giudizio (ordinario) del Giudice del dibattimento che ha rigettato la
richiesta  di  sospensione  del  processo  con   messa   alla   prova
dell'imputato; 
    La suddetta  questione  e'  stata  dichiarata  inammissibile  con
ordinanza n. 19 del 2017; 
    La dichiarazione di inammissibilita' si e' pero'  fondata  su  un
argomento di mera  natura  procedurale,  ovvero,  sul  fatto  che  il
giudice a quo non  aveva  nell'ordinanza  di  rimessione  degli  atti
(autonomamente) motivato le  ragioni  per  cui  riteneva  fondata  la
questione medesima; 
    Pertanto,   nulla   impedisce   una   rivisitazione   del   tema,
demandandosi alla Corte costituzionale una verifica estesa al  merito
della questione, dopo avere illustrato le ragioni per le quali la  si
ritiene ammissibile, rilevante e fondata; 
 
                               Osserva 
 
    La  questione  di  costituzionalita'   sollevata   dalla   difesa
dell'imputato  appare  anzitutto  rilevante,  poiche'   il   giudizio
radicatosi  davanti  al  Tribunale  in  composizione  monocratica  di
Spoleto non puo' essere ragionevolmente definito a prescindere  dalla
risoluzione della questione medesima. 
    Ed invero, la decisione da rimettersi alla  Corte  costituzionale
sul tema della supposta incompatibilita' del Giudice risulta,  da  un
lato, preliminare  rispetto  ad  ogni  altro  provvedimento  inerente
all'ulteriore corso del processo, e, dall'altro lato, determinante ed
immediatamente applicabile al caso di specie. 
    Parimenti  la  questione  va  ritenuta  fondata,  essendo   certo
meritevoli di una piu' approfondita verifica i  dubbi  interpretativi
prospettati  dal  difensore  nell'applicazione  della  norma  dettata
dall'art.  34  del  codice  di  procedura  penale  in  rapporto  alla
complessiva disciplina codicistica della messa alla prova. 
    Nel dettaglio, dandosi momentaneamente per conosciuti i  principi
elaborati dalla  giurisprudenza  in  punto  di  individuazione  delle
condizioni atte a determinare l'incompatibilita' del  Giudice  adito,
conviene far partire l'analisi dalla  puntuale  disamina  dei  poteri
cognitivi e valutativi in astratto riconosciuti  al  Tribunale  nella
fase della decisione sull'ammissione dell'imputato alla prova  e  nel
caso concreto dal Giudice del dibattimento esercitati per addivenirsi
al rigetto della correlata richiesta  difensiva  di  sospensione  del
processo. 
    L'art.  464-quater,  comma  1  del  codice  di  procedura  penale
esordisce statuendo che il Giudice si pronuncia con  ordinanza  sulla
richiesta di messa alla prova  dell'imputato  sempre  che  non  debba
pronunciare sentenza di proscioglimento a  norma  dell'art.  129  del
codice di procedura penale 
    Mutatis mutandi, cio' equivale a dire che al Tribunale, investito
di un'istanza di sospensione del processo con messa  alla  prova,  e'
imposta - esattamente come nell'ipotesi di richiesta di  applicazione
pena su accordo delle parti - una preliminare delibazione  sulla  non
ricorrenza  delle  condizioni  ex  lege  previste  per  un  immediato
proscioglimento  dell'imputato,  o,  se  si  preferisce,  un   seppur
sommario positivo giudizio (almeno) sulle seguenti circostanze  (alla
base di qualsivoglia rimprovero penale): che il fatto  sussista,  che
sia stato commesso dall'imputato,  che  costituisca  reato,  che  sia
previsto dalla legge come reato, che abbia  dato  vita  ad  un  reato
ancora procedibile e non gia' estinto. 
    Ed allora, apparendo oltremodo illogico accordare la  messa  alla
prova ad un imputato che risulti innocente o  per  altro  motivo  non
punibile, ne discende, come  inevitabile  assioma,  che  il  Giudice,
posto dinnanzi all'alternativa fra procedere  oltre  nel  giudizio  o
sospendere il processo in forza  del  prescelto  istituto  in  esame,
deve, in prima battuta, valutare i presupposti della colpevolezza del
prevenuto rispetto ad un reato sussistente in tutti i  suoi  elementi
costitutivi e soggettivamente riferibile all'imputato medesimo. 
    Con una verifica che - secondo quanto riconosciuto  dalla  stessa
Corte costituzionale (cfr., sentenza n. 131 del  2019)  -  va  estesa
persino alla correttezza della qualificazione giuridica attribuita al
fatto da parte del pubblico ministero. 
    Del resto, che la commissione di un reato ad opera  dell'imputato
stia alla base della sospensione del processo per  messa  alla  prova
trova  indiretta  conferma   sistematica   nel   disposto   dell'art.
168-quater  del  codice  penale  (secondo  il  quale,   la   predetta
sospensione viene revocata se l'imputato, durante  il  periodo  della
prova, «commette» un «nuovo delitto» non colposo o un  «reato»  della
stessa indole di «quello» per cui si procede), dell'art.  464-quater,
comma 3  del  codice  di  procedura  penale  (ove  si  legge  che  la
sospensione  de  qua  viene  concessa  se  il  giudice  ritiene   che
l'imputato si asterra' dal «commettere ulteriori reati») e, per  quel
che interessa, anche dell'art. 464-septies del  codice  di  procedura
penale, ricollegando tale norma all'esito  positivo  della  prova  la
pronuncia di  una  sentenza  dichiarativa  di  estinzione  del  reato
(evidentemente prima commesso). 
    Proseguendosi nell'analisi dei poteri discrezionali al  Tribunale
riconosciuti ed esercitatili nella fase  di  ammissione  della  messa
alla prova, onde valutarne gli eventuali effetti  pregiudizievoli  in
termini di  incompatibilita',  preme  richiamare  l'art.  464-quater,
comma 3 del codice di procedura penale, nella parte  in  cui,  non  a
caso, si richiede al Giudice  di  accertare,  in  base  ai  parametri
dettati dall'art. 133 del codice penale, l'idoneita' del programma di
trattamento proposto ed il pericolo di recidiva. 
    Il  riferimento  ai  criteri  stabiliti  dal  codice  penale  per
l'applicazione di una pena in concreto congrua,  ovvero,  commisurata
alla vicenda sotto giudizio, non sembra lasciare adito a dubbi. 
    Anche per decidere sulla messa alla prova il Giudice deve  tenere
conto della  gravita'  del  reato  e  della  capacita'  a  delinquere
dell'imputato (letteralmente meglio definito colpevole). 
    Sul primo versante, e' percio' tenuto a considerare: le modalita'
dell'azione, vagliando tipologia e forma attuativa del reato commesso
(nel caso che ci occupa, si ricorda il danneggiamento integrale di un
distributore di sigarette eseguito con l'uso di una mazzetta edile da
ritenersi pertanto preordinato e portato alle  massime  conseguenze);
la gravita' del danno (o del pericolo) cagionato alla persona  offesa
(danno qui ingente essendo stato quantificato nella somma  di  20.000
euro non risarcita dall'assicurazione); ed ancora,  l'intensita'  del
dolo (o il grado della colpa). 
    Per  altro  verso,  deve  il  Tribunale  valutare:  i  motivi   a
delinquere ed il carattere del reo; precedenti  penali  e  giudiziari
nonche' condotta e vita del reo antecedenti  al  reato  (nell'ipotesi
all'esame complessivamente giudicati con valenza negativa si' da  non
far propendere per  una  occasionalita'  dell'azione  criminosa);  la
condotta contemporanea e susseguente  al  reato;  e,  da  ultimo,  le
condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo (riprese,
come per  prassi,  anche  nella  relazione  di  indagine  preliminare
stilata  dall'UEPE  e  messa   a   disposizione   del   Giudice   del
dibattimento). 
    Di particolare interesse, ai fini della  presente  ordinanza,  e'
poi l'individuazione della piattaforma conoscitiva  da  cui  l'organo
giudiziario e' abilitato a  trarre  gli  elementi  per  una  compiuta
decisione sulla richiesta di sospensione del processo con messa  alla
prova dell'imputato. 
    Certamente il Tribunale monocratico puo' fare largo uso di quanto
contenuto nel  fascicolo  del  dibattimento  ed  in  specie  di  ogni
elemento in esso rappresentato  come  riferibile  al  prevenuto  (dal
certificato del casellario giudiziale  alla  documentazione  prodotta
dalla difesa a sostegno della richiesta del  rito  in  verifica).  E,
cosi, anche della  relazione  di  indagine  socio-familiare  eseguita
dall'UEPE, comprese  le  dichiarazioni  rilasciate  dall'imputato  in
ordine al reato commesso ed ivi riportate (cfr., antea per il caso  a
processo). 
    Inoltre, ai sensi  dell'art.  464-bis,  comma  5  del  codice  di
procedura penale, e' riconosciuto al Giudice un prezioso (per  quanto
eccezionale per  essere  limitato  ai  soli  casi  necessari)  potere
istruttorio (in funzione della decisione sulla messa alla prova). Gli
e' infatti consentito acquisire (ulteriori) informazioni  (da  terzi)
sulle condizioni di  vita  dell'imputato,  salvo  poi  il  dovere  di
portare gli elementi probatori extraprocessuali in tale modo raccolti
- siano essi documenti o dichiarazioni - a conoscenza delle parti del
giudizio in corso. 
    Ma non solo. Secondo quanto stabilito dalla Corte  costituzionale
(con sentenza n. 91 del 2018), sempre  nell'ottica  di  una  compiuta
decisione sulla richiesta di sospensione del processo con messa  alla
prova, il Giudice puo' acquisire e visionare -  cosi'  integrando  la
propria sfera di  cognizione  -  gli  atti  di  indagine  preliminare
contenuti  nel  fascicolo  del  pubblico  ministero,  fermo  restando
l'obbligo  di  restituirli  all'organo  di  accusa  nell'ipotesi   di
successivo rigetto della richiesta. 
    E cio' in forza  di  una  (non  vietata)  applicazione  analogica
dell'art. 135, disposizione di attuazione  del  codice  di  procedura
penale, invero espressamente previsto per il (solo  e  diverso)  caso
della  richiesta  di  applicazione   pena   rinnovata   prima   della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma a  buon
ragione estensibile alla procedura in esame sul rilievo che anche qui
il dibattimento viene comunque evitato. 
    Sulla base di queste  premesse  e  riconducendosi  ad  unita'  le
molteplici argomentazioni sinora svolte, non si vede  come  si  possa
allora insistere in un ormai anacronistico  restringimento  dell'area
di valutazione imposta all'organo giudiziario che finisca per  optare
nel senso di un rigetto dell'istanza di messa alla prova. 
    A ben vedere ed anche a prescindersi dal  ricorso  (nel  caso  di
specie non effettuato) allo strumento operativo di cui all'art.  135,
disposizione di attuazione del codice di procedura penale, il Giudice
chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di sospensione  del  processo
compie un ampio e non meramente formale accertamento sul fatto  reato
al prevenuto ascritto e sulla persona stessa  dell'imputato  (qui  ad
esempio anche attraverso l'audizione diretta della persona offesa). 
    E l'attento esame delle risultanze acquisite si  orienta  in  una
duplice  e  solo  apparentemente  antitetica  direzione,  dovendo  il
Tribunale, da un lato e in via  primaria,  verificare  sostenibilita'
dell'accusa e colpevolezza dell'imputato  (pena  una  non  ammissione
«fisiologica» dell'istituto della messa alla  prova),  e,  dall'altro
lato, a seguito di  positivo  riscontro  della  antecedente  analisi,
valutare se il reo risulti in concreto meritevole  dell'accesso  alla
prova  in  assenza  di  condizioni  giustificative  di   un   rigetto
altrimenti «patologico» della richiesta. 
    Ne discende che la decisione del  Giudice  in  materia  non  puo'
qualificarsi  come  puramente  procedurale  e/o  interlocutoria   ne'
tantomeno frutto di un esercizio «accademico» della  discrezionalita'
giurisdizionale. 
    Anzi, nell'evenienza di mancato accoglimento della  richiesta  di
messa alla prova, e' certo il  contrario,  ovvero  che  la  pronuncia
assume il carattere proprio della definizione di una delicata fase  -
quale e'  quella  degli  atti  introduttivi  al  dibattimento  -  con
valutazioni necessariamente di merito sulla  fondatezza  dell'ipotesi
accusatoria. 
    Simile ricostruzione dogmatica peraltro ben si  concilia  con  la
natura ibrida dell'istituto sotto osservazione  che  si  caratterizza
invero  per  una  fisionomia  sostanziale  unita   ad   un'intrinseca
dimensione processuale valevole ad elevarlo al rango di un nuovo rito
speciale alternativo al dibattimento. 
    Si tratta  infatti  di  un  procedimento  in  tutto  equiparabile
all'applicazione concordata della pena su richiesta delle  parti  per
la predominante base consensuale, atteso che,  in  entrambi  i  casi,
l'imputato, in cambio dell'ottenimento di benefici sanzionatori,  non
contesta l'accusa, ovvero, rinuncia al pieno esercizio del diritto di
difesa coessenziale al rito ordinario. 
    Ed allora, cio' rappresenta un  (decisivo)  motivo  in  piu'  per
ritenere che, nell'ipotesi di rigetto della richiesta di  sospensione
del processo con messa alla prova, il Giudice  diventa  incompatibile
con l'ulteriore corso del giudizio di merito. 
    Sostenere il contrario non puo' che dare adito a  seri  dubbi  di
legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma  2  del  codice  di
procedura penale in relazione  ai  diversi  aspetti  implicati  dalla
questione. 
    Sarebbe, in primis,  violato  il  principio  di  uguaglianza  dei
cittadini davanti alla  legge  ex  art.  3  della  Costituzione,  per
l'evidente  disparita'  di  trattamento  che  si  realizzerebbe   fra
situazioni analoghe, non avendo giustificazione alcuna  differenziare
la disciplina  processuale  del  caso  in  esame  rispetto  a  quella
garantita per i (paritetici) casi espressamente previsti  dal  citato
art. 34 e/o per quelli (similari) introdotti nel  tempo  dalla  Corte
Costituzionale con i suoi interventi additivi. 
    In secondo luogo,  violato  sarebbe  anche  l'invece  inviolabile
diritto di difesa riconosciuto a tutti i cittadini in  ogni  stato  e
grado  del  procedimento  ai  sensi  dell'art.  24,  comma  2   della
Costituzione, atteso che le  conseguenze  negative  dipendenti  dalla
scelta  del  rito  speciale   si   tradurrebbero   in   ripercussioni
pregiudizievoli inerenti ad una modalita' di esercizio  dello  stesso
diritto di difesa. 
    Da ultimo - ma non per  importanza  -  sarebbe  violato  uno  dei
principi cardine fissati per l'esercizio della giurisdizione  secondo
le regole legali del giusto processo. 
    Contraddicendosi quanto statuito dall'art.  111,  comma  2  della
Costituzione,  infatti,  il  processo  che  dovesse  proseguire   con
l'apertura del dibattimento davanti allo  stesso  magistrato  che  ha
rigettato la richiesta di messa alla  prova  sarebbe  inevitabilmente
condizionato  dalle  valutazioni  -   negative   per   la   posizione
dell'imputato - da questi in precedenza espresse  per  la  formazione
del proprio convincimento, con grave compromissione di  imparzialita'
e terzieta' del Giudice. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale, visti gli articoli 23, legge n. 87/1953 e 1 L.C. n.
1/1948,  ritenuta  la  questione  non  manifestamente   infondata   e
rilevante, dispone la sospensione del giudizio con trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma  2  del  codice  di
procedura penale - in relazione ai precetti di cui agli  articoli  3,
24 e 111  della  Costituzione  -  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'incompatibilita'  a  partecipare  e/o  procedere  al   (successivo)
giudizio (ordinario) del Giudice del dibattimento che ha rigettato la
richiesta  di  sospensione  del  processo  con   messa   alla   prova
dell'imputato. 
    Ordinanza letta in udienza. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notifica  al  Presidente   del
Consiglio dei ministri e ai presidenti delle Camere del Parlamento. 
      Spoleto, 7 gennaio 2020 
 
                         Il Giudice: Padula